Memorie biografiche di San Giovanni
Bosco
raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne
(Giovanni Battista LEMOYNE voll. I-IX, Angelo AMADEI vol. X, Eugenio
CERIA voll. XI-XIX, Indice anonimo dei voll. I-VIII e Indice dei voll.
I-XIX a cura di Ernesto FOGLIO)
Vol. XVIII, Ed. 1937, 878 p.
Prefazione. 3
CAPO I 6
La vita di Don Bosco nell'Oratorio durante i primi due mesi e mezzo
dei 1886. 6
CAPO II 16
Per la Liguria e per la Francia verso la Spagna. 16
CAPO III 26
Diario barcellonese. 26
CAPO IV 47
Partenza dalla Spagna e ritorno a Torino. 47
CAPO V 55
Da Maria Ausiliatrice all'Assunta. Don Bosco nell'Oratorio ed a Pinerolo.
55
CAPO VI 70
Quarto Capitolo Generale. 70
CAPO VII 77
S. Giovanni Bosco a Milano. L'ultima vestizione dei chierici a S. Benigno.
77
CAPO VIII 84
Spedizione missionaria dei 1886. Sguardo alle Case e alle Missioni d'America.
84
CAPO IX 100
Trasferimento del noviziato a Foglizzo. 100
CAPO X 104
Ultime cose del 1886. 104
CAPO XI 110
Vita di ritiramento. 110
CAPO XII 118
Nel terremoto del febbraio 1887. 118
CAPO XIII 123
Ultimo viaggio del Santo a Roma. 123
CAPO XIV 130
Consacrazione della chiesa dei Sacro Cuore. 130
CAPO XV 139
Descrizione della chiesa e partenza di Don Bosco da Roma. 139
CAPO XVI 144
L'ultima festa di M. A. celebrata con Don Bosco. Due settimane a Valsalice.
L'ultimo onomastico. 144
CAPO XVII 148
Un mese a Lanzo. Ultimo compleanno. Ultima dimora a Valsalice. 148
CAPO XVIII 156
La Prefettura Apostolica di mons. Fagnano. 156
CAPO XIX 165
Cinque Repubbliche d'America domandano a Don Bosco i Salesiani. 165
CAPO XX 174
In quattro nazioni d'Europa. 174
CAPO XXI 183
Estremi bagliori crepuscolari. 183
CAPO XXII 194
I primi undici giorni di malattia. 194
CAPO XXIII 203
Venti giorni di benigna tregua. 203
CAPO XXIV 210
Ultimi smantellamenti della carne. 210
CAPO XXV 214
La fine. 214
CAPO XXVI 220
Pratiche per il seppellimento e onoranze funebri. 220
CAPO XXVII 224
La salma di Don Bosco a Valsalice. 224
CAPO XXVIII 227
Opinione di santità in vita e dopo morte. 227
CAPO XXIX 233
Testimonianza dei miracoli. 233
CAPO XXX 240
APPENDICE DI DOCUMENTI 250
DOCUMENTI E FATTI ANTERIORI 375
Prefazione.
Con questo diciottesimo volume si chiudono le Memorie Biografiche di
San Giovanni Bosco. Dalla narrazione della sua vita balzano allo sguardo
nettamente distinti tre Periodi. Fino al 1841 sono gli anni della vocazione
e preparazione sacerdotale; seguono poi subito i travagliosi inizi della
sua missione a pro della gioventù, ai quali si associano successivamente
la lenta elaborazione degli elementi che formeranno la Pia Società
Salesiana, il progressivo affermarsi di questa Società e il suo
definitivo costituirsi mercè la pontificia approvazione delle
Regole nel 1874; infine gli ultimi quasi tre lustri vanno dedicati al
consolidamento e all'espansione di tutta l’Opera. Don Bosco in
morte potè rimettere al successore un’istituzione, a cui
nulla mancava di quanto le era essenziale per una vitalità rigogliosa
e perennemente feconda.
Ad arrotondare il numero dei volumi se ne aggiungeranno altri due, uno
per dare la storia completa della glorificazione dagli esordi della
causa, che si può dire Principiata immediatamente dopo la morte,
all'universalità del culto, e un altro Per allestire un indice
analitico, che faciliti nel miglior modo possibile le ricerche.
In volumi sì numerosi e di sì gran mole la vita del fondatore
ci si spiega dinanzi con una ricchezza d’informazioni, che nella
letteratura agiografica forse non ha riscontro. Tanta profusione di
notizie, se letterariamente parlando ha del soverchio,
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offre però gradito e utile pascolo alla numerosa famiglia del
Santo, avida di conoscere a fondo e nei più minuti particolari
le vicende paterne. Per i figli di Don Bosco le sue Memorie Biografiche
saranno in ogni tempo un tesoro domestico d’incalcolabile valore.
Negli estranei Può destare meraviglia e fors'anche diffidenza
un cumulo così enorme di materiale biografico; ma la cosa è
avvenuta nella maniera più naturale del mondo. In mezzo a’
suoi Don Bosco non condusse vita appartata nè svolgeva dietro
una cortina impenetrabile la sua attività, ma stava in abituale
contatto sia con i giovani che con i confratelli, operando sotto gli
occhi di tutti, Parlando loro delle cose sue, ricevendoli con la massima
frequenza e familiarità (I).
Ebbe poi con esterni vicini e lontani, d'ogni classe sociale, infinite
relazioni, accordando loro continue udienze e visitandoli Personalmente,
beneficandoli nel corpo e nello spirito, mettendoli a parte de' suoi
disegni e delle sue imprese, invocandone
(I) Chi sa quanti col tempo stenteranno a comprendere come mai un uomo
quale fu D. Bosco andasse tanto alla buona perfino con i ragazzi da
contar loro le cose della propria vita; ma non comprenderà mai
Don Bosco chi non riesca a figurarselo come un padre in mezzo ai figli.
Un vecchio Salesiano ricorda di aver udito dalle sue labbra uno di questi
aneddoti intimi, mentr'egli e vari suoi compagni lo attorniavano passeggiando
nel cortile dell'Oratorio. Non sa più la circostanza che diede
occasione al racconto; ma il racconto gli è ben presente alla
memoria. Un giorno in Francia Don Bosco, poco prima delle dodici, si
recava a pranzo da una famiglia che l'aveva invitato per quell'ora.
Lungo la strada chi l'accompagnava si rammentò che egli aveva
promesso pure ad altri signori di pranzare da loro alle due, e glielo
disse. Don Bosco senza scomporsi gli rispose: - Lascia fare, contenteremo
anche quelli. - A questo punto della narrazione un giovane saltò
su a domandare se ci fossero poi veramente andati. - Ma sicuro, diss'egli,
e anche là ci siamo fatto onore. - Quindi piacevolmente spiegò
in che modo subito dopo un pranzo si fossero trovati disposti a cominciarne
un secondo e lodò la grande carità degli uni e degli altri
invitatori verso le sue opere. Ecco qui un esempio della naturalezza
con cui Don Bosco diveniva fonte di notizie per la sua biografia.
Don Andrea Scotton, arciprete di Breganze, in una lettera del 26 febbraio
1891 a Don Rua scriveva di Don Bosco: “ In lui edificava anche
ciò che spiace negli altri. Egli parlava spesso di se medesimo
e delle cose sue, ma con tanta semplicità e con tanta unzione
ch'era una meraviglia il sentirlo ”.
Don Lemoyne (Mem. biog. v. 11, p. 30) scrive: “ Don Bosco era
felicissimo in questa narrazione e nel ricordare ogni più piccola
circostanza di esse. Ricordava, sorrideva, gioiva, si compiaceva di
quei tempi passati ” .
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gli aiuti di cui abbisognava. L’effetto fu che una quantità
innumerevole di persone si trovò al corrente di fatti e di detti
suoi e in possesso di suoi scritti, sicchè non ci voleva gran
fatica per averne copiosi ragguagli. Ad agevolare il lavoro degli storici
contribuì ancora la venerazione che fin dai Primi tempi circondò
l'uomo di Dio, la qual venerazione fece sì che in casa vi fosse
chi prendeva nota delle sue parole e delle sue azioni e che fuori si
conservassero gelosamente le sue lettere e si serbasse indelebile ricordo
delle relazioni avute con lui. Inoltre egli stesso per ordine superiore
lasciò come in eredità a' suoi figli pagine preziosissime
su momenti importanti della propria vita. Che più? Allorchè
Don Bonetti intraprese nel Bollettino a raccontare la storia dei primi
venticinque anni dell'Oratorio, ogni puntata era riveduta da Don Bosco
medesimo o in sua assenza da Don Rua (I). Finalmente il Processo informativo
Per la causa di beatificazione e canonizzazione condusse dinanzi al
tribunale ecclesiastico di Torino una schiera di testi autorevolissimi
e direttamente informati, le cui deposizioni riempiono voluminosi incartamenti.
Ben rare volte adunque toccò a un biografo la sorte di poter
attingere a fonti così fresche e limpide, così abbondanti
e sicure.
La menzione fatta poc’anzi di Don Rua c’invita a soffermarci
un istante Per considerare la Portata e il valore della sua testimonianza.
Egli convisse quaranta lunghi anni con Don Bosco; ma qui convivere non
dev'essere preso come sinonimo di coabitare: significa invece esattamente
dividere insieme la vita. Questa convivenza, com’è naturale,
procedette per gradi a seconda dell'età e degli uffici; tuttavia
la Parte anteriormente riservata gli si fece in tutto palese nella maturità
degli anni. Don Bosco per Don Rua non conobbe segreti, di modo che questi
dopo la scomparsa di lui ne era, diremo così, l'archivio vivente.
La sagacia dell'ingegno gli aveva permesso di scrutarne oggettiva -
(I) Questa revisione era così assidua, che, quando Don Bosco
e Don Rua viaggiavano alla volta di Spagna, Don Bonetti, come vedremo,
spedì loro le bozze della puntata che doveva uscire prossimamente
sul periodico, e Don Rua gliele rimandò con le osservazioni di
Don Bosco.
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mente il pensiero e l’opera; la sua memoria tenacissima gli rispondeva
Pronta e fedele a ogni richiamo; nella sua coscienza poi di uomo santo
non trovavano adito mistificazioni e neppure quegli alteramenti del
vero che una pietà poco illuminata stima leciti a scopo di edificazione.
Un esempio può valere per mille. Il Don Bosco del dottore D'Espiney
aveva già riempito la Francia e trovato lettori pressochè
in ogni nazione civile, quando nel 1890 sull'undicesima edizione francese
si pensò di farne la traduzione italiana. Orbene Don Rua si assunse
di rivedere il testo, eliminandone quanto a lui non risultasse vero
di scienza propria; nel che andò con estremo rigore. Infatti
non esitò a sopprimere anche l'ultima apparizione del grigio,
avvenuta nel 1883 sulla strada fra Ventimiglia e Vallecrosia, quantunque
ne avesse inteso parlare. L’autore se ne lagnò, perchè
ne aveva udito il racconto da Don Bosco stesso a Nizza Mare pochi giorni
dopo il fatto; inteso questo, si rammaricò pure Don Rua della
soppressione, adducendo semplicemente a propria scusa l’insufficiente
notizia avutane. S’immagini di che valido aiuto sia stata allo
storico l’agevolezza di poter ricorrere a un informatore così
bene informato e così coscienzioso nell'ammannire le sue informazioni.
Storico tanto fortunato dobbiamo dire Don Giovanni Battista Lemoyne;
sebbene questa sua fosse una fortuna aggiunta ad altre fortune, principale
fra tutte l'aver avuto agio di controllare la tradizione ancora palpitante
intorno a lui consultando Don Bosco in Persona e di potersi annoverare
per circa ventitrè anni fra quelli i quali in vista dei loro
rapporti con Don Bosco applicavano con ragione a se stessi il nos qui
manducavimus et bibimus cum illo. Vogliamo descrivere; qui l'opera meritoria
del glorioso figlio di Don Bosco.
Avanti di accingersi all'impresa di narrare ampiamente la vita del Santo,
egli si allestì un enorme zibaldone, dove ammassò i materiali,
di cui principalmente si sarebbe servito nella stesura del lavoro. È'
una miscellanea che, ordinata cronologicamente e ridotta in bozze di
stampa, si compone di tre elementi. Un Primo elemento documentario consiste
nella ripro -
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duzione di tutti i documenti ufficiali che esistevano allora negli
archivi della Congregazione. Il secondo elemento epistolare intercalato
nel precedente, comprende centinaia di lettere, giunte a Don Bosco od
a Superiori dell'Oratorio da parte di Salesiani, di Missionari, e di
Cooperatori e Cooperatrici e di altri, delle quali Però rarissime
volte rimangono gli originali per necessari raffronti. Il terzo elemento
che potremmo chiamare narrativo risulta dallo smembramento di manoscritti
inediti o quasi inediti, i cui brani sono disseminati nei luoghi opportuni
del repertorio. Data la natura della raccolta e l’uso a cui era
destinata, Don Lemoyne non si credette obbligato d’indicarne le
fonti. Fra queste fonti nella Parte da noi studiata abbiamo potuto individuale
una Memoria confidenziale stampata e da Don Bosco inviata ai Cardinali
circa le sue vertenze con l’Ordinario torinese; una cospicua Cronichetta
di Don Barberis; un gruppo di taccuini, nei quali Don Berto pigliava
appunti durante i suoi viaggi con Don Bosco a Roma e notava circostanze
degne di essere ricordate, sebbene estranee ai viaggi; un lungo Diario
di Don Viglietti con una breve appendice di Don Bonetti; e altre scritture
di minor conto. Com’è naturale, il nostro racconto, dovunque
sia possibile, dipende direttamente dalle fonti, e queste sono citate.
Appartengono alla terza serie anche notizie d’incerta origine,
provenienti senza dubbio da relazioni orali o scritte, di cui non esistono
indicazioni o pezze d’appoggio. Talvolta Don Lemoyne vi parla
in nome proprio o vi si rivela abbastanza chiaramente nello stile; allora
non abbiamo mai omesso di citarlo, rimettendoci per il rimanente alla
sua autorità. Di numerosi particolari siamo debitori a fonti
da lui ignorate o a lui posteriori. Messo quindi mano a stendere la
narrazione, egli arrivò col nono volume fino al 1870. Il volume
porta la data del 1917; ma già dall'anno antecedente sulle elaborate
pagine gli era caduta la stanca mano (I).
(I) Intorno alla storia dei primi anni aveva cominciato a lavorare,
vivente ancora Don Bosco. Del suo lavoro scriveva il 24 marzo 1886 a
monsignor Cagliero: “ Questa vita si svolge a poco a poco così
soave, magnifica, meravigliosa, varia che difficilmente vi potrà
esser libro più dilettevole ”.
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Noi siamo persuasi che con l’andare del tempo archivi pubblici
e Privati riveleranno, da fondi inesplorati o tuttora chiusi, documenti
nuovi sulla multiforme attività di Don Bosco (I); ma checchè
venga ulteriormente alla luce, la figura del Servo di Dio, pure, ricevendone
novello splendore, rimarrà sempre fissata ne' suoi inconfondibili
lineamenti attuali. Vi è Per altro un punto, nel quale eventuali
rivelazioni offriranno forse maggiori chiarimenti pur senza far modificare
il giudizio che oggi se ne formano gli studiosi della sua vita; vogliamo
alludere all'atteggiamento di Don Bosco in quello che nella storia d'Italia
viene dello risorgimento nazionale. La grande entratura del Santo anche
presso ambienti governativi potrebbe, a chi lo guardi superficialmente,
suggerire apprezzamenti non in tutto conformi al vero. Conviene dunque
precisare bene qui le idee.
Nel risorgimento nazionale italiano bisogna distinguere tre cose: il
fatto in sè, gli uomini che ne furono autori, e gli effetti istituzionali
che ne derivarono.
Il fatto in se stesso ci si presenta come la risultante di due moti
convergenti, uno politico e l'altro sociale. Pro o contro il moto politico,
che andava a sfociare nell'indipendenza e unità d'Italia, Don
Bosco nulla fece, nulla disse, nulla scrisse. La sua condotta volutamente
negativa in questo campo s'ispira a un principio teorico - pratico,
implicito nella categorica risposta da lui data alla categorica domanda
di Pio IX, quando lo interrogò quale fosse la sua Politica. Sua
politica affermò egli allora essere quella del Pater noster,
la politica cioè che milita, sì, per l'avvento di un regno,
ma del regno di Dio. Il Principio informatore di questo programma era
che il Prete, se vuole assicurarsi l’efficacia del proprio ministero,
deve librarsi in alto, al disopra delle divisioni causate dai partiti
politici. Si spiegò appunto in tal senso parlando un giorno con
monsignor Bonomelli, il grande vescovo di Cremona, il quale ne riferì
le seguenti
(I) Più volte Don Bosco fu udito ripetere: - Una quinta parte
della mia vita non si potrà mai narrare, avendo io distrutto
o essendosi perduti i documenti,
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“ precise parole ” (I): “ Nel 1848, gli disse Don
Bosco, io mi accorsi che se voleva fare un po’ di bene doveva
mettere da banda ogni politica. Me ne sono sempre guardalo e così
ho potuto fare qualche cosa e non ho trovato ostacoli, anzi ho trovato
aiuti anche là dove meno me l'aspettava ”.
Altra cosa era il moto sociale, mirante all'elevazione intellettuale,
civile ed economica del popolo. Don Bosco intravide non solo l’irresistibilità
di questa tendenza democratica, ma anche tutto il bene e il male di
cui sarebbe stata apportatrice, secondochè la caldeggiata evoluzione
si attuasse sotto o senza o contro l'influsso del Vangelo; quindi si
consacrò tutto all'educazione cristiana dei figli del popolo
nell'intento di preparare all'Italia una riserva di cittadini moralmente
sani e spiritualmente capaci di far sentire la loro azione benefica
sull'indirizzo dei tempi nuovi (2).
Quanto agli uomini del risorgimento, Don Bosco si studiò fin
da principio di non perderne il contatto, mosso a questo da tre ideali:
procurarsi la possibilità di far loro del bene, renderli favorevoli
o almeno averli non ostili alla sua opera, e impedir loro di recare
troppo danno alla Chiesa. Per ognuno dei quali oggetti le Memorie Biografiche
somministrano esempi numerosi atti a provare la giustezza delle sue
vedute. Onde colse felicemente nel segno la Civiltà Cattolica
là dove, annunziando la morte di Don Bosco, scrisse di lui (3):
“ In pieno secolo XIX, in mezzo alle convulsioni dei popoli ed
ai rivolgimenti politici, egli seppe con l’autorità della
parola e dell’esempio suscitare una corrente mirabile di carità
ed attirare a sè gli spiriti più ribelli alle serene dolcezze
della fede cristiana ”.
(I) Mons. GEREMIA BONOMELLI, Questioni religiose - morali - sociali
del giorno. Vol. 1, pag. 310. Milano, Cogliati.
(2) Renato Bazin, in una pubblicazione postuma che contiene note intime
della sua vita (Etapes de ma vie, Paris, Calmann - Lèvy, 1936),
scrive nell'ottobre del 1913 che “ correre alla difesa della religione,
rifare le anime religiose, fortificare attorno a noi la dottrina, preparare
apostoli - operai e apostoli - contadini per mezzo delle opere ”
gli sembra una “ bella missione ” che “ bene adempita,
senza occuparsi di politica, non sarà senza influsso politico
” .
(3) Anno 1888, vol. I, pag. 498.
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Riguardo agli effetti da noi chiamati istituzionali, riguardo cioè
al nuovo regime nazionale con tutto il complesso de’ suoi pubblici
ordinamenti, Don Bosco, anzichè metterli in discussione, badò
a Profittarne fin dove fosse possibile e lecito per cavare da essi i
maggiori e migliori vantaggi. Quindi non contrariò le autorità
costituite, anzi le rispettò e le fece rispettare. Fu consuetudine
di certi ambienti e di certa stampa, massime dopo la caduta del potere
temporale, svilire la Casa di Savoia, che aveva riunito sotto il suo
scettro l'intera penisola; egli invece e a Torino e durante i suoi viaggi
deplorò sempre tale maniera di fare, perchè, e la storia
dovrà dargli pienamente ragione, ravvisava nella dinastia sabauda
l'unico vero sostegno dell'ordine pubblico in Italia. Finalmente auspicò
ognora che la conciliazione, temuta dagli uni e deprecata dagli altri,
venisse un bel giorno a sanare il calamitoso dissidio apertosi in Italia
dopo il 1870 fra il potere ecclesiastico e il potere civile; vagheggiava
però una conciliazione che rivestisse le forme lodale da Pio
XI in uno storico discorso e dal medesimo Pontefice tradotte in fatto
con i patti lateranensi.
A mo’ di conclusione riassumeremo il nostro pensiero riproducendo
l’assennato giudizio di uno strenuo giornale cattolico (I), che
in morte del Santo, magnificatane l’operosità e l’umiltà,
proseguiva: “ In anni tanto travagliosi di rimutamenti politici
e di difficoltà sociali e di lotte religiose, Don Bosco si tenne
sempre e perfettamente fedele ai suoi doveri di prete cattolico, sempre
e perfettamente devoto all’autorità ecclesiastica e principalmente
al Papa; lavorando sempre a tutt’uomo per la Chiesa e con la Chiesa,
combattendo sempre e a tutt’uomo il male; ed insieme evitando
nelle parole e nel contegno sito ogni asperità, alieno da litigi,
da contese, da contrasti, preferendo l’operare al parlare, studiandosi
di mantenere con di gli animi e di rivolgerli e guidarli alle buone
opere, a decoro e incremento della religione, a beneficio della società
”.
(I) L’Eco di Bergamo, 2 febbraio 1888.
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Siamo dunque le mille miglia lontani dalla tattica di coloro che, presi
in mezzo fra forze avverse, mettono la propria abilità nel tenere,
come si suol dire, il piede in due staffe. Questi tali, generalmente,
fanno la fine di chi vuol servire a due padroni che in ultimo diventano
invisi all'uno e all'altro. Di Don Bosco avvenne precisamente il contrario.
A convincersene basta dare uno sguardo alla stampa in occasione della
sua morte. Si assistette allora a questo edificante fenomeno, che di
fronte a lui sembrava scomparsa la distinzione fra giornali buoni e
cattivi, tanto si accordavano tutti nel celebrarne il nome. L’unico,
il più lividamente settario, non volendone dir bene, e non potendone
dir male, si astenne dal parlarne, non comunicando ai lettori nemmeno
la notizia della sua morte.
Il segreto di questa attrazione universale fu la carità, praticata
secondo la dottrina del Vangelo; ecco nelle sue mani la possente calamità
dei cuori. Un deputato liberale d’allora, poi più volte
ministro, uomo di alta levatura, rilevò ed espresse egregiamente
da quell'altra riva tale verità in una sua lettera di condoglianza
per la morte del Servo di Dio (I). “ Nell’ordine del pensiero
storico e politico, scrisse egli, troppe cose dividono gli animi in
tempo di rinnovamento civile e sociale. Ma anche da lidi diversi piace
e giova a tutti ammirare la luce della carità quando si eleva
al cielo dopo di avere confortato largamente tante umane miserie. Si
può avere un concetto diverso della civiltà; ma vi sono
punti nei quali la concordia è perfetta fra tutti coloro che
credono nell'infinita virtù della carità e pei quali il
lenire gli umani dolori nel nome di Dio, e il rialzare lo spirito di
chi soffre, e il rigenerare col lavoro chi è oppresso dalla povertà
e dalla sventura, e il dischiudere agli ingegni nuovi campi di prova
e alla virtù del sacrificio nuove regioni di pietose vittorie,
sembra impresa santa e salutare e feconda di vantaggi morali, economici
e civili ”.
Allorchè la malattia di Don Bosco, facendosi ogni dì più
(I) Lett. di Paolo Boselli a Don Francesia, Roma 3 febbraio 1888.
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minacciosa, dissipava le ultime illusioni, i tanti e tanti che lo amavano,
non sapevano capacitarsi che dovesse venire il giorno in cui non avrebbero
più potuto vederlo nè udirlo nè comunque comunicare
con lui. Ma, morto che fu e calmatasi la loro commozione, videro che
egli cominciava proprio allora a essere più vivo che mai. Leggere
e sentir parlare di lui piaceva singolarmente a piccoli e a grandi.
Gli esempi e gl’insegnamenti da lui, lasciati formavano materia
di predicazione, argomento di articoli, oggetto di studio. Il suo ritratto
adornava le pareti dei santuari domestici come segno della benedizione
di Dio e si portava anche addosso come pegno di celeste assistenza.
Grazie innumerevoli e d’ogni genere, attribuite alla sua intercessione,
ci si riferivano da paesi disparatissimi. La popolarità del suo
nome, già grande in vita, guadagnava ognora in intensità
ed estensione. Così avvenne che, quando, a breve distanza dalla
sua dipartita, fu annunciato l’inizio della sua causa di beatificazione,
parve la cosa più naturale del mondo che per lui si passasse
sopra in modo tanto insolito alle leggi dei tempi. Dall’aprirsi
poi dei processi un crescendo universale e continuo d'interessamento
seguì le varie fasi della procedura romana fino all’apoteosi
pasquale del 1934, il cui ricordo commuove tuttora quanti ebbero la
fortuna di esserne spettatori e avrà un'eco imperitura nella
storia della Chiesa. Oggi l'universalità del culto, richiesta
dall'Episcopato cattolico e decretata dalla Santa Sede, è venuta
a Porre l'ultimo suggello ufficiale alla glorificazione, che già
il Santo riscoteva isolatamente in pressochè tutte le diocesi
della terra. Di tanta venerazione si può a motto miglior diritto
ripetere quello che un sommo poeta disse della fama di un altro poeta
sommo: com’essa al presente dura viva nel mondo, così durerà
quanto il mondo lontana.
Torino, 22 agosto 1936.
CAPO I
La vita di Don Bosco nell'Oratorio durante i primi due mesi e mezzo
dei 1886.
SUL principio del 1886 il nostro Santo per due mesi e mezzo non si
mosse dall'Oratorio. I giovani durante le ricreazioni, quando lo vedevano
passare per il ballatoio del secondo piano uscendo dalla sua camera
o recandovisi, interrompevano subitamente i loro giuochi, correvano
là sotto e con segni di grande allegrezza gli battevano forte
le mani. Egli prima di ritirarsi si fermava un istante, si afferrava
alla ringhiera e lasciava cadere qualche buona parola, accolta con riverente
attenzione e salutata con un più fragoroso applauso. Una sera
Don Francesia nel dare la "buona notte " disse che non era
necessario battere così le mani tutte le volte che si vedeva
Don Bosco; sapersi già dai Superiori, che essi gli volevano bene.
Ma l'avviso non servì a nulla, perchè continuarono a far
festa ogni volta che avevano la fortuna di vederlo.
Quanto alle sue condizioni di salute, Don Lazzero il 10 gennaio scriveva
a monsignor Cagliero: “ Don Bosco si lagna che non può
più occupare la sua testa; per poco che faccia, sente subito
un forte mal di capo. Pazienza che non si occupi, purchè esista,
o in piedi o seduto, poco importa: per noi basta, per noi è tutto
”. E Don Rua in una delle solite circolari mensili comunicava
il 27 gennaio queste notizie: “ La sanità
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del nostro caro Padre, grazie a Dio, non peggiora, ma purtroppo non
vi è miglioramento considerevole; le gambe rimano sempre di portarlo,
la vista è sempre debole, lo stomaco ognora molto stanco. Egli
tuttavia ancora confessa e dà udienza quando può, e non
sa riposarsi mai ».
Confessava i Salesiani che andavano da lui in camera, e in camera confessava
i giovani della quarta e quinta ginnasiale, che radunava pure di quando
in quando per tener loro un discorsetto familiare specialmente sul tema
della vocazione. Indimenticabili rimasero alcune di queste riunioni,
secondochè ci riferiscono i sopravviventi e si ricava da memorie
del tempo.
Una fu quella del 3 gennai Già il 13;dicembre del 1885, finito
di parlare, aveva regalati i giovani di nocciuole; ma ora, volendo,
distribuire le rimaste, operò un prodigio non dissimile da altri
narrati nel corso di queste Memorie. Fattosi dunque portare il sacchetto,
distribuiva con grande larghezza. Il chierico Festa, osservando che
ve n'era assai meno della volta precedente, lo avvertì: - Non
ne dia tante, perchè non basteranno per tutti.
- Lascia fare a me, gli rispose Don Bosco.
Anche colui che teneva il sacro gli ripetè che, facendo così,
i più non ne avrebbero avute. -Tu taci, gl'ingiunse egli. Hai
paura di restar senza? - Fra questi il già da noi mento-vato
Giuseppe Grossani (1), che durante certe ore del giorno stava in anticamera
per introdurre da Don Bosco i visitatori e ricorda che le nocciuole
erano state portate dalla signora Nicolini; egli c'informa anche di
varie circostanze.
Sessantaquattro dunque erano i presenti; dandone, come il Santo faceva,
una manciata a ognuno e poi addirittura a due mani, le nocciuole sarebbero
finite presto. Ma ecco che l'attenzione degli alunni fu attratta da
una novità ben singolare. Osservando quante nocciuole erano uscite
e quante
(1) Cfr. vol. XVII, pag. 520.
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ne rimanevano ancora, s'avvidero con grande meraviglia che nel sacchetto
il livello non si era abbassato e che per quante continuassero a venir
fuori, la quantità dentro non diminuiva; sembrava che una mano
misteriosa tante ne riponesse quante egli ne estraeva.
La meraviglia andò al colmo, quando, terminata la distribuzione,
si potè constatare che il sacchetto pesava nè più
nè meno di prima. Allora i giovani non si tennero dal manifestare
a Don Bosco il proprio stupore e gli domandavano come mai avesse fatto.
- Oh! io non so, rispose con tutta semplicità sorridendo. Ma
a voi che siete miei amici posso fare delle confidenze. Vi conterò
quello che avvenne all'Oratorio tanti anni fa. - E prese a narrare fa
prodigiosa moltiplicazione delle castagne, e l'altra delle Ostie consacrate.
Sull'ultimo comparve Don Francesia, il quale, sentendo un insolito chiasso,
si avanzava dicendo: - Oh! oh! che c'è? che c'è? - E i
ragazzi in coro: - Don Bosco ci ha dato le nocciuole. - E Don Francesia
a Don Bosco: - Allora un po' anche a me! - Ma Don Bosco: - Tu non puoi
mangiarle, perchè non hai denti.
In quel mentre salì dal cortile un gran chiacchierio. Erano i
cantori che tornavano da Valsalice dov'erano andati per un'accademia.
Don Francesia disse a Don Bosco che quelli erano dei più grandi
e che non conveniva privarli delle nocciuole. - Falli venir su gli rispose
Don Bosco, nell'atto di licenziare gli altri. - Poi ordinò a
Grossani di guardare nel cassettone, se mai ve ne fossero rimaste. Il
giovane, che prima aveva lasciato il cassettone netto, trasalì
al trovarvene una bella quantità. Le raccolse, le mise nel sacchetto
e le portò a Don Bosco il quale sempre a piene mani ne diede
a una quarantina di ragazzi, cavandone ancora una manata per il portatore.
Insegnava nel ginnasio superiore anche Don Lorenzo Saluzzo. Il Santo
lo desiderava presente sempre alle conferenze degli allievi; ma quella
volta mancò. Di lì a poco Don Bosco,
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incontratolo nella biblioteca, gli disse: - Hai fatto male a mancare
questa sera alla conferenza.
- Perchè, signor Don Bosco?
- Fatti raccontare da Festa che cosa è accaduto.
- No, me lo racconti lei: mi faccia questo piacere.
Intanto, attirati dalla curiosità, si avvicinarono pure Don Finco,
Don Luchelli e altri, e Don Bosco narrò la cosa con la semplicità
di chi fosse stato nulla più che spettatore.
Sparsasi per casa la notizia, da ogni parte si dava la caccia alle miracolose
nocciuole. “ Io, scrive Don Lemoyne, interrogai i giovani e vidi
che tutti affermavano d'aver visto la cosa coi propri occhi e in tutti
essere ferma la persuasione che fosse avvenuto un miracolo ”.
Undici giorni dopo Don Bosco chiamò di nuovo intorno a sè
i medesimi alunni. Nelle loro menti perdurava vivo il ricordo di certe
parole dette da lui nel dare la strenna per il 1886 e con filiale confidenza
gli avevano fatto pervenire la preghiera che volesse spiegare un po'
chiaramente alcune sue predizioni. Il 14 gennaio dunque, avutili in
camera, parlò così, e mentr'egli parlava, il chierico
Festa scriveva le sue parole.
Siamo nuovamente qui per dirci insieme due parole. Voi direte: Perchè
Don Bosco chiama solamente noi per parlarci e non chiama anche i preti,
i chierici, gli artigiani, o almeno tutti gli studenti? Naturalmente,
che questo eccita nei vostri compagni e negli altri che vedono questa
preferenza, un po' d'invidiuzza. Ma dovete sapere che Don Bosco una
volta era sempre in mezzo ai giovani, e dai giovani sempre cercato.
Egli andava a dar missioni a Chieri, a Castelnuovo, a Ivrea, a Biella,
e i giovani, non interni qui dell'Oratorio, ma giovani della città
di Torino si radunavano a dieci, a venti, a trenta, una volta fino a
cento e trenta e andavano a piedi fin dove era Don Bosco per confessarsi
da lui. E Don Bosco amò sempre trovarsi in mezzo ai giovani.
Adesso non posso più muovermi, non ho più forza per parlare
a tutta la casa; tuttavia se non tutto l'Oratorio, se non tutti gli
studenti, almeno una parte desidero dirigerla io: almeno quei di quarta
e quinta.
Ma voi mi avete chiesto qualche cosa di particolare; che vi spiegassi
la strenna; e che vi dicessi qualche cosa di quei sei vostri com -
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pagni. Ecco: dirvi se sia tra di voi qualcuno che debba morire non
conviene, ma vi debbo dire che di quei sei quasi tutti sono preparati
e se dovessero comparire adesso al tribunal di Dio, speriamo che sarebbero
tranquilli e farebbero le cose bene. Gli altri anche si andranno preparando
poco per volta. Poichè dovete sapere che vi è chi, senza
accorgersene essi, sta loro dietro con gran cura per prepararli bene.
Cosicchè quando sarà il loro turno, si può sperare
che tutto andrà bene anche per essi. E voi pure state tranquilli,
ma tenetevi preparati, e non confidate nella sanità, foste anche
i più robusti dell'Oratorio.
Un giorno, negli anni passati, Don Bosco aveva avvisato che fra dato
tempo sarebbe morto uno dei giovani dell'Oratorio. Don Bosco senza dirlo
espressamente gli stava dietro, e lo aiutò a far bene la sua
confessione generale, e a metter bene tutte le sue cose a posto, e si
era pure raccomandato a qualche superiore che stesse attento. E poi
debbo dirvi che era un buon giovane, ed era ben preparato, quindi fece
le cose bene.
Tuttavia se c'era un robusto nell'Oratorio, era Milane. Di soprapiù
giunse fino all'ultimo giorno del termine prefisso, e già dicevano
i compagni: Là, stavolta la scampa... Quando l'ultimo giorno
alle nove del mattino egli aveva una piccola indisposizione, ed era
seduto nel suo letto attorniato da più compagni, colla sua pagnotta
in mano. Tutti allegramente chiacchieravano; quando ad un punto, Milane
si volge da un canto e si appoggia al guanciale. I compagni lo chiamano,
e non risponde. Lo scuotono ed ei non dà segno d'accorgersi di
nulla. Era già cadavere.
Adesso vi ho solo nominato questo Milane, ma potrei farvi il nome di
parecchi altri non meno sani e robusti di lui e che pure ebbero una
simile sorte. Dunque state preparati e non confidate nella vostra sanità.
Siate divoti molto di Maria Santissima, pregate e state allegri, ma
molto allegri.
M'avevate poi anche chiesto che vi spiegassi quello che ho detto dei
disastri pubblici che desoleranno in questo anno i nostri paesi. Io
vi dico questo volentieri; e quasi quasi l'avrei anche detto in pubblico
dal pulpito. Il Signore ci manderà delle calamità, cioè,
pestilenza, siccità e guasti d'innondazione. E voi chiederete:
- Perchè il Signore manda questi castighi?
Questo perchè ci deve essere e c'è senza dubbio. È
il vizio della disonestà che attira sopra il mondo le calamità,
i castighi del Signore. Vedete che è una cosa delicata, e per
questo motivo non ho creduto del tutto a proposito dirlo in pubblico.
I puri di cuore vedranno la gloria di Dio. E per puri di cuore s'intendono
coloro che non ebbero la disgrazia di cadere nel brutto peccato o se
caddero si rialzarono subito.
Voi sentirete a dire che là c'è il colera, altrove innondazioni
ecc. Dite: Sono tutti castighi che manda il Signore agli uomini per
punirli dei loro peccati. Ma voi non temete, state allegri, molto allegri.
Purchè abbiate al collo la medaglia di Maria: Ausiliatrice, e
ne siate molto
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divoti, io voglio sperare che come altre volte qui nella città
di Torino e proprio qui attorno all'Oratorio fuvvi il colera, e i nostri
giovani ne furono preservati, così pure sarete preservati voi.
Queste cose dico a voi in particolare, ma che siano per voi, e non istate
neppure a scrivere a casa ai vostri parenti o ad altri: Don Bosco ci
ha detto che ci deve venire questo e quest'altro. No, siano per voi,
traete dal mio avviso il maggior frutto che potete, ma non ditene nulla
con altri.
Ancora una cosa volevo dirvi. Ho visto che molti stamattina sono venuti
qui per le confessioni, a far la comunione e l'esercizio della buona
morte. Io sono molto contento: ma naturalmente che questo eccita negli
altri un po' d'invidia. E i piccolini possono dire: - E non abbiamo
anche noi altri i nostri peccati da confessare a Don Bosco? - Eh sì,
ma Don Bosco, come ho già detto, non può più attendere
a tutti. Egli perciò si limita a quei di quarta e quinta, perchè
essi si trovano nell'ultimo anno in cui debbono deliberare della loro
vocazione, da cui quasi sempre dipende la salute eterna di un giovane.
Egli è il confessore ordinario di quei di quarta e quinta ginnasiale,
ma con ciò non si intende dire che facciano male coloro che andassero
da altri confessori. Purchè un giovane frequenti e faccia bene
la confessione e comunione! Vi ripeto che mi preme solo di sapere i
vostri pensieri sulla vocazione, sia ecclesiastica, come non ecclesiastica,
perchè desidero la vostra felicità temporale ed eterna.
In quanto a coloro che vengono qui a far la comunione alla messa di
Don Bosco ne son contento. Ma intendo che si faccia liberamente. Chi
vuol fare la comunione in chiesa, ben fatto, e chi vuol farla alla messa
di Don Bosco la faccia pure: ma che nessuno faccia perchè sia
comandato. No!
Noi ci rivedremo altre volte, quando voi non abbiate niente a fare e
Don Bosco abbia niente a fare; e vi dirò sempre quello che mi
parrà possa farvi maggior bene.
Gli accurati registri dell'Oratorio segnano accanto ai nomi le date
di sei morti avvenute fra marzo e il settembre del 1886, due di studenti
e quattro di artigiani (I).
Nello stesso mese, la sera del 31, i giovani si radunarono una terza
volta. - Ci racconti qualche sogno che riguardi
(I) Sono i seguenti: I° Brunet Carlo da Bardonecchia, di Iª
ginnasiale superiore (9 marzo). - 2° Ranzani Carlo da Borgo Castano
Primo, di 2ª ginnasiale (13 aprile). - 3° Enria Antonio da
Torino, calcografo (4 maggio). 4° Trogu Antonio da Carloforte, legatore
(28 maggio). - 5° Ferrari Giovanni da Vigevano, legatore (5 luglio).
- 6° Alladio Giacomo da Busca, fabbro (21 settembre). In gennaio
morì a casa sua anche Gonino Carlo da Druent, sarto; ma era partito
per malattia il 27 dicembre, cosicchè non si trovava presente
alla strenna.
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proprio noi, - dissero a Don Bosco. Ed egli rispose: - Si che ve lo
racconterò. Alcuni anni sono sognai che
dopo la Messa della comunità passeggiavo tra i giovani. Tutti
mi stavano attorno e mi guardavano ascoltando le mie parole. Uno però
innanzi a me mi voltava la schiena. [Quando in cortile Don Bosco passeggiava
coi giovani" quelli che gli camminavano innanzi facendogli corona,
procedevano a ritroso senza mai voltare le spalle]. Quel tale aveva
in mano un bel mazzo di fiori a vari colori, bianchi, rossi, gialli,
violacei... Io gli dissi che si voltasse e guardasse a me; egli allora
si voltò per un momento e poi riprese il suo cammino. Io ne lo
rimproverai ed egli mi rispose: Dux aliorum hic similis campanae, quae
vocat alios ad templum Domini, ipsa autem non intrat in ecclesiam Dei
[costui che fa da guida ad altri, è come la campana che chiama
altri alla casa del Signore, ma essa non entra in chiesa]. Al suono
di queste parole tutto scomparve e io pure mi dimenticai presto del
sogno. Giorni sono però vidi fra voi un giovane, che era proprio
quello sognato; si è fatto più grandicello, ma è
lui. - I giovani domandarono subito:
- È qui fra noi? chi è?
- Sì, rispose Don Bosco, è qui fra voi, ma chi sia non
è spediente dirlo; tanto più che non saprei neppur io
che interpretazione dare al sogno.
Ciò detto, si fece riportare le nocciuole dell'altra volta. Erano
alquanto diminuite, perchè nel frattempo più d'una mano
piamente furtiva doveva aver pescato nel sacchetto. Com'era naturale,
durante la distribuzione i giovani tenevano gli occhi sbarrati per osservare
bene che cosa succedesse; ma allora il sacchetto si vuotava, si vuotava...
Nondimeno ve ne fu per tutti, fuorchè per uno dei due che reggevano
il sacco, uno sostenendolo su di una mano e l'altro mantenendone aperta
la bocca (I). Ma Don Bosco, frugato per en -
(I) Erano Tomasetti Tito, morto sacerdote salesiano, e Franchini Giovanni
vivente, anche lui sacerdote salesiano. Il diario di Don Viglietti introduce
Garassino, che invece era rimasto nello studio; ma il diarista non si
era trovato presente al fatto.
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tro: - Oh! eccone ancora una esclamò. Poi continuando a cercare,
ne tirò fuori con aria sorridente una manciata, che diede a quel
ragazzo dicendogli: - Tienle preziose. Quindi chiamò il catechista
Don Trione, che stava dietro ai giovani, e ne diede pure a lui; chiamò
Don Durando, prefetto generale, che aveva l'ufficio là vicino,
e anche per lui ne trovò. Voglio darne ancora, disse, a Mazzola
e a Bassignana; ed entrambi n'ebbero una manata caduno. I giovani, più
che stupiti, riguardavano muti e come presi da sacro terrore.
Alla fine, introdotta nuovamente la mano nel sacchetto, estrasse altre
cinque nocciuole, e mostrandole manifestò il suo rincrescimento,
perchè alcuni giovani non ci fossero. In fatti ne mancavano proprio
cinque, dei quali tre andati a Valsalice e due fermatisi nello studio.
Certo è che in quella semioscurità e data la sua mala
vista egli non aveva potuto notare con i propri occhi tali assenze.
Mentre si usciva, l'alunno Barassi, avvicinatosi a Don Bosco, gli domandò:
- Quel tale del mazzo di fiori farà scisma, non è vero?
- Certo, e darà da pensare - rispose Don Bosco. Ma non ne sappiamo
altro.
Prima di rientrare dall'anticamera nella sua stanza, fermò e
prese per mano Calzinari, giovanetto pio, ma che non si lasciava mai
vedere da Don Bosco, e gli parlò all'orecchio. Quegli impallidì
e rispose: - Va bene.
Rimasto solo con i segretari, il Santo disse: - Quel giovane del mazzo
di fiori l'ho già invitato e chiamato, mi promise di venire,
ma non è venuto ancora. Eppure è necessario che io gli
parli.
Quanto bene ricevevano coloro che si accostavano con tutta confidenza
a Don Bosco, specialmente in confessione!
Nel 1888, dopo la morte del Santo, giunse a Don Rua una lettera di carattere
molto intimo, ma di cui lo scrivente lo autorizzava a fare qualsiasi
uso; per questo fu conservata
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e riporteremo qui il tratto, che parla di Don Bosco confessore. Quel
poveretto, scaltrito troppo presto al male, aveva contratto pessime
abitudini, che lo spingevano alla perdizione; ma per divina misericordia
fa accettato quale studente nell'Oratorio, dov'egli si abbandonò
tutto nelle braccia di Don Bosco, svelandogli ogni settimana con sincerità
le sue miserie. La costanza nella pratica della confessione settimanale
è un gran mezzo per sollevarsi e riacquistare la libertà
dei figli di Dio; nel caso però di cui parliamo, non sarebbe
forse bastata così presto senza la carità paziente, dolce,
benigna di Don Bosco. Udiamolo dal penitente medesimo: “ Solo
quella calma sempre serena e tranquilla di Don Bosco, e sto per dire,
una certa qual indifferenza a qualunque cosa gli si dicesse; solo quel
suo linguaggio, parco, sì, ma condito dalle finezze di un amor
santo e d'una compassione viva ad un tempo e soave come balsamo; ed
infine quel sentire, senza scomporsi mai, ripetutamente le stesse miserie;
questi furono i mezzi salutari, questi gli amorosi lacci, onde l'uomo
di Dio riuscì a mettermi ben presto nell'anima non solo l'abborrimento
alla colpa, ma il coraggio, la fiducia vivissima che avrei potuto anche
una volta spezzare le dure catene della mia schiavitù [ ... ].
Oh quante volte, ripensando alla carità di Don Bosco, all'immenso
bene che egli mi ha fatto, corro pur subito col pensiero alla deplorevole
condizione di moltissime anime, le quali ancorchè guaste dal
vizio si riavrebbero ancora e tornerebbero a salute, se nel confessore
trovassero sempre quell'amabilità, quella lieta e consolante
accoglienza che era tanto propria del buon Padre! ”.
Due giorni prima della descritta adunanza era stata introdotta nell'appartamento
di Don Bosco una novità. Fino allora, ogni volta che non potesse
discendere in chiesa, egli celebrava la Messa nell'anticamera, ad un
altarino dissimulato da una custodia fatta a mo' di armadio. Il chierico
Viglietti non senza difficoltà era riuscito a ottenere che la
stanza attigua alla sala d'aspetto fosse trasformata in cap -
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pella con il suo bel altare, e la sera di S. Francesco, venuto il cardinale
Alimonda a intrattenersi col Servo di Dio, il segretario espose a Sua
Eminenza quanto piacere procurerebbe a tutta la casa, se si degnasse
di benedire altare e cappella. Il Cardinale vi si prestò di ottimo
grado. Sopraggiunti il Vescovo d'Ivrea, alcuni canonici e parecchi illustri
signori, tutti assistettero con Don Bosco alla cerimonia. L'Eminentissimo,
indossata la stola, recitò con il rituale alla mano le preci
liturgiche e benedisse l'altare illuminato a festa e la stanza. In coro
gli astanti recitarono il Miserere con gli altri salmi. Fu una graziosa
funzioncina, della quale si vede oggi tutta l'opportunità; poichè,
diventate le camere di Don Bosco un vero santuarietto, ecco che la cappellina,
dov'ei celebrò le sue ultime Messe ne forma come il sancta sanctorum.
Abbiamo accennato alla solennità di S. Francesco; bisogna che
ne diciamo qualche cosa. La precedette una conferenza ai Cooperatori,
che “ per maggior comodità ”, come si leggeva nella
lettera d'invito, fu tenuta nella chiesa di S. Giovanni Evangelista.
Presiedeva Don Bosco. Il pubblico si aspettava anche di udirlo ed egli
desiderava di parlare; ma i medici non vollero. Ne diè dunque
incarico a Don Bonetti, al quale assegnò insieme i pensieri da
svolgere. Furono questi tre: 1° Alcuni effetti consolanti delle
Opere Salesiane mercè la carità dei Cooperatori; 2°
bisogno di continuare e di accrescere questi effetti mediante altre
opere importanti; 3° mezzi da usare a tale intento (I). Avrebbe
dovuto dare la benedizione monsignor Bertagna; ma, avendoglielo un'altra
funzione impedito, la diede Don Bosco, del quale scriveva Don Lazzero,
a monsignor Cagliero il 3 febbraio: “ Certo che a veder Don Bosco
all'altare è cosa che per una parte rallegra tutti, per altra
parte poi a tutti fa compassione nel vederlo tanto a stentare montando
e discendendo i gradini; egli però lo fa volentieri ”.
(I) Tutto il discorso fu pubblicato in due puntate sul Bollettino di
marzo e di aprile.
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A rallegrare Don Bosco arrivarono la stessa sera sani e salvi dall'Uruguay
Don Calcagno e Don Rota e dal Brasile Don Borghino. Sbarcati a Bordeaux,
erano stati ottimamente ricevuti e cordialmente trattati dal Vescovo,
solo perchè li seppe figli di Don Bosco.
Mai la festa di S. Francesco era stata celebrata con tanta pompa. Monsignor
Valfrè, da poco vescovo di Cuneo, disse la Messa della comunione;
il Cardinale assistette pontificalmente alla Messa cantata; l'eloquente
monsignor Riccardi, vescovo d'Ivrea, pronunciò nel pomeriggio
il panegirico, unificando la vita del Sales intorno al programma di
amar Dio e farlo amare; il maestro Dogliani eseguì la messa imperiale
di Haydn; la benedizione fu impartita dal Cardinale; fece da priore
della festa il dottor Fissore. Al pranzo onorarono la mensa di Don Bosco
quaranta invitati, fra cui Sua Eminenza, quattro Vescovi e i conti di
Franqueville parigini. Sul tardi i giovani recitarono un nuovo dramma
di Don Lemoyne intitolato Vibio Sereno, d'argomento romano e cristiano
del primo secolo. Anche Sua Eminenza vi si volle trovare. “ Don
Bosco, scrisse Don Lazzero nella lettera del 3 febbraio, passò
assai bene quella giornata e prese parte a tutto anche lui ”.
La notte precedente egli aveva dormito male, svegliando con le sue grida
il Viglietti, che al mattino lo interrogò. Vedeva, rispose egli,
un giovane grasso con la testa larga che si andava restringendo verso
la fronte, piccolo, tarchiato, che mi si aggirava attorno al letto.
Io cercava con ogni modo, di allontanarlo; ma cacciato da una parte
fuggiva dall'altra e continuava la sua molesta manovra. Io lo rimproverava,
lo voleva battere, ma non riuscivo a far cessare quella noia. Finalmente
gli dissi: Guarda che, se non ti allontani, mi costringi a dirti una
parola che non ho mai pronunciata. E seguitando il giovane i suoi giri,
io gli disse forte: Carogna! E mi svegliai. Conchiuse il racconto arrossendo
e soggiungendo: - Non ho mai detto questa parola in vita mia; ed ora
mi tocca dirla in sogno? - E sorrideva.
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Due sogni, che per il loro carattere si possono classificare col precedente,
si compiacque di raccontare il 25 febbraio, conversando con i suoi segretari.
Il primo era questo. Entrava egli nella cattedrale di S. Giovanni a
Torino, quando vide due preti, uno dei quali stava appoggiato alla pila
dell'acqua santa e l'altro ad una colonna, tenendo entrambi con indifferenza
il cappello in testa. Avrebbe voluto riprenderli, ma titubava alquanto,
scorgendo sulle loro facce l'espressione del più cinico disprezzo.
Nondimeno fece forza a se stesso e disse al primo:
- Scusi, di che paese è lei?
- Che le importa di saper questo? rispose quegli bruscamente.
- È solo perchè volevo dirle una cosa che mi preme.
- Ma io non ho nulla da fare con lei.
- Allora senta: io non voglio rimproverarla; ma se non ha rispetto per
il luogo santo e non le importa della gente che si scandalizza e che
ride di lei, abbia almeno riguardo a se stesso. Deponga quel cappello!
- È vero, ha ragione, fece il prete, e si tolse il cappello.
Poi Don Bosco andò dall'altro e gli ripetè l'avviso. Quegli
pure si scoprì il capo. Don Bosco allora, ridendo di cuore, si
destò.
Ed ecco il secondo sogno. S'imbattè in un tale che gli diceva
con insistenza di presentarsi al pubblico e predicare sulla Via Crucis.
- Predicare sulla Via Crucis? - rispose egli - Vorrà dire sulla
Passione del Signore.
- No, no, ripeteva colui, sulla Via Crucis.
Così dicendo, lo condusse per una lunga strada, che metteva capo
in un immenso piazzale, e lo fece salire sopra un piedestallo. Il luogo
era deserto; onde Don Bosco: - Ma a chi debbo predicare, se qui non
c'è nessuno?
Or ecco ad un tratto gremirsi di gente la piazza. Egli parlò
allora della Via Crucis, spiegò il significato della parola,
enu -
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merò i vantaggi della pia pratica e, come ebbe terminato di
parlare, tutti lo supplicarono di proseguire, spiegando le singole stazioni.
Don Bosco si scusava affermando che non sapeva più che cosa dire;
ma il popolo persisteva ed egli ripigliò la predica e parlò,
parlò senza interruzione, dicendo che la Via Crucis è
la via al Calvario, la via dei patimenti, che Gesù ha percorso
per il primo questa strada e che per la medesima propone a noi di seguirlo
con quelle parole: Qui vult Post me venire, abneget semetipsum, tollat
crucem suam quotidie et sequatur me. Finalmente nella foga del dire
si svegliò.
Sulla Via Crucis aveva raccontato un altro sogno il 16 novembre dell'anno
avanti. Gli pareva di avere attorno a sè una moltitudine di gente
che gli dicesse: Faccia una Via Crucis con gli esempi! La faccia, la
faccia!
- Ma che esempi volete che io vi porti? rispondeva egli. La Via Crucis
è per se stessa un continuo esempio dei patimenti di nostro Signore.
- No, no; vogliamo un nuovo lavoro.
Don Bosco si trovò all'istante con l'opera composta; anzi aveva
già in mano le bozze di stampa e cercava con premura Don Bonetti
e Don Lemoyne o Don Francesia, perchè gliele correggessero, essendo
egli molto stanco. In questa affannosa ricerca il sonno se n'andò.
Il Santo doveva realmente riprodurre in sè l'esempio della passione
di Gesù Cristo, sopportando in unione con lui le dolorose infermità
che l'avrebbero ormai accompagnato fino alla morte e offrendosi così
quale modello di pazienza a' suoi figli.
Facciamo ancora luogo a un sogno, che sembra contenere qualche elemento
profetico. Lo narrò a Don Lemoyne e al chierico Festa il 1°
marzo. Sognò di essere ai Becchi. Sua madre con un secchiello
in mano stava presso la sorgente e ne toglieva l'acqua sporca, che versava
nel mastello. Quella sorgente prima aveva dato sempre acqua purissima;
quindi si stupiva, non sapendo come spiegare la cosa.
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- Aquam nostram pretio bibimus, disse allora mamma Margherita.
- Sempre col vostro latino! le rispose Don Bosco. Questo non è
testo scritturale.
- Non importa; metti tu altre parole, se ti senti. In queste si comprende
tutto: basta studiarle bene. Iniquitates eorum porta... Adesso aggiungivi
quello che vuoi.
- Portavimus? portamus?
- Quello che vuoi: portavimus, portamus, portabimus. Pensa bene a queste
parole, studiale e falle studiare a tutti i tuoi preti, e troverai tutto
ciò che deve accadere.
Quindi lo condusse dietro la fontana in un luogo elevato, donde si distinguevano
Capriglio e le sue borgate e le borgate di Buttigliera e Buttigliera
stessa e più altre borgate sparse qua e là, e additandogliele
disse:
- Che differenza c'è fra questi paesi e la Patagonia?
- Ma, rispose, io vorrei, se potessi, fare bene qui e bene là.
- Se è così, va bene, replicò mamma Margherita.
Allora gli parve che la madre se ne andasse ed egli, essendosi stancata
troppo la fantasia, si svegliò. Dopo il racconto fece questa
osservazione: - Il posto nel quale mi condusse mia madre, è molto
adatto per farvi qualche opera, essendo centrale fra molte e molte borgate
che non hanno chiesa alcuna.
Don Rua nella circolare citata sopra, oltre alle confessioni, accennava
alle udienze. La fatica delle udienze riempiva sempre parecchie ore
delle sue giornate; ma di due visite soltanto ci si è conservata
la memoria, visite assai differenti fra loro.
Il 3 gennaio andò a trovarlo un avvocato francese; lo mandavano,
come diceva, i Borboni. Fece a Don Bosco un lungo ragionamento per venir
a dire che si trattava di restaurare in tutta Europa le antiche monarchie
borboniche, cominciando dalla Spagna, e che da parte dei principi di
quelle Case chiedeva a lui consiglio e benedizione. Don Bosco
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lo lasciò parlare finchè volle. Da ultimo il forestiero
per istrappargli una risposta domandò: - Quale sarebbe il parere
di Don Bosco in questo affare?
- Io non sono giudice competente in tali questioni, rispose. Dei pretendenti
conosco appena i nomi, e neppure di tutti. Del resto io ho grandi obblighi
verso la Francia; colà sono stati innalzati da me vari ospizi,
mantenuti dalla carità dei Francesi. Per conseguenza non debbo
in alcun modo abusare dell'ospitalità concessami. Io dunque non
saprei dare alcun consiglio. Osserverò soltanto che non sarebbe
prudenza accingersi a un'impresa, se non si possiedono mezzi sicuri
di probabile riuscita.
- Oh, se si uniscono tutti i Borboni, ripigliò l'avvocato, i
mezzi ci sono.
- Ma badino che se non c'è probabilità, anzi certezza
della riuscita, immensi danni verranno alla Francia.
- E quale sarebbe il suo giudizio circa la riuscita dell'impresa?
- Che in ogni cosa sia fatta la santa volontà di Dio.
- Darebbe lei una benedizione ai principi borbonici?
- E perchè no? Ma solo in questo senso, che sia fatta la santa
volontà di Dio in ogni cosa, e niente altro.
- Mi autorizza a riferire queste sue parole?
- Non ho nessuna difficoltà.
Dopo questo dialogo l'avvocato si disse diretto a Venezia per ricevere
gli ordini di Don Carlos. Qualcuno dubitò che fosse un agente
investigatore della polizia francese, mandato a esplorare quali fossero
le idee politiche di Don Bosco. In ogni modo le risposte del Santo non
potevano destare sospetti nè offrire appiglio ad accuse. Era
stato sempre suo sistema di non entrare mai in politica. L'altra visita
che dicevamo, aveva per iscopo di ottenere una guarigione. Un tal signore,
fatto fare cavaliere da Don Bosco, gli aveva promessa una somma a benefizio
delle sue opere; ma, sebbene potesse, non manteneva mai la parola.
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Ora avvenne che un suo figlio, fortunato factotum negli affari domestici,
cadesse gravemente ammalato. Il padre, vista la mala parata, corse da
Don Bosco il 19 gennaio, raccomandandoglisi a mani giunte, affinchè
pregasse e facesse pregare per la guarigione. - Io ho promesso ben volentieri
di pregare, disse poi Don Bosco a chi gli stava da presso, ma il figlio
è chiamato da Dio. Bisognerebbe che il cavaliere dicesse a Don
Bosco: Alto là, Don Bosco! io ho qui diecimila lire da dare a
lei e deve ottenermi questa grazia da Maria Ausiliatrice. Allora sì;
ora invece non posso far altro che pregare il Signore che a suo figlio
dia presto il paradiso, quando muoia. - Secondo la dottrina del Santo,
chi non è generoso con Dio, ha poca speranza di ricevere da lui
grazie straordinarie.
Fece appunto la contraria esperienza un'insigne benefattrice di Don
Bosco, la contessa Vanda Grocholska, nata principessa Radziwill. Nel
marzo del 1886, il giorno prima che Don Bosco partisse per la Spagna,
fu colpita a Cracovia da pleuropolmonite con complicazioni e ridotta
ben tosto agli estremi. Sua sorella telegrafò al Santo, scongiurandolo
di pregare per l'inferma. Un medico chiamato da Parigi faceva del suo
meglio per salvarla; ma poco andò che essa entrava in agonia.
Or ecco che il dottore, tastandole il polso, mandò un grido:
- È salva! - In seguito passarono alcune settimane e Don Rua
scrisse a un'amica della Contessa per sapere notizie; colei però
non potè rispondere, sicchè la signora fu creduta morta.
Don Bosco era già a Barcellona, quando Don Rua che ve l'accompagnava,
gli disse un giorno: - La Grocholska è morta certamente.
- No, no, rispose egli sorridendo. È guarita e in questo momento
fa colazione.
- Da chi ha ricevuto notizie?
- M'è arrivato un telegramma dal cielo.
Le cose stavano precisamente com'egli diceva (I).
(I) App., Doc. I.
31
Appartiene al medesimo tempo un altro caso di conoscenza delle cose
lontane. Da Monaco la Superiora di un convento gli aveva scritto per
raccomandargli una signorina epilettica, convertitasi dal protestantesimo.
Egli rispose: “ Sia fedele alle promesse fatte. Finchè
sarà fedele, avrà la protezione della Santissima Vergine
”. La signorina godette buona salute finchè si mantenne
fedele; ma poi, venuta meno, il male la riassalì. Orbene, data
quella risposta, Don Bosco proseguiva: “ Non avreste in casa una
tale così e così? Dite a cotesta figliuola prodiga che
torni a prendersi cura della madre cieca e de' suoi figli . La Superiora
trasecolata si domandava come mai Don Bosco sapesse una cosa non riferitagli
da alcuno; tanto più che anch'essa nutriva già qualche
sospetto. Una disgraziata aveva dato a intendere di essere mulatta e
pagana, ma vivamente desiderosa di conoscere e di abbracciare la religione
di Gesù Cristo. Un padre gesuita, informatone da una confidente
di lei, ne fece parola al Vescovo, poi richiese la Madre Superiora che
volesse prendere la donna nella comunità per prepararla al battesimo.
L'infelice creatura si mostrava impaziente di riceverlo; ma era tutta
una commedia, come si scoperse quasi subito; il nostro Santo aveva messo
in tempo sull'avviso, poichè mancavano appena due giorni alla
sacra cerimonia (I).
Dalla Francia giungeva pure a Don Bosco una simpatica onorificenza.
Ricorderanno i lettori la conferenza da lui tenuta nel 1883 dinanzi
alla Società Geografica di Lione sulla Patagonia. In seguito
egli inviò anche una memoria intorno al medesimo argomento, giudicata
lavoro di pregio. Il Consiglio Direttivo della Società non ebbe
davvero fretta a deliberare, se soltanto nel gennaio del 1886 gli comunicava
essergli stata decretata una medaglia d'argento per le sue benemerenze
nel campo della scienza geografica “ quale la s'intende ai giorni
nostri ”, cioè come “ contributo allo studio e al
(I) Ivi, DOC. 2.
32
progresso degli uomini e delle cose nei paesi stranieri ”. La
consegna però doveva farsi in una seduta solenne, che non era
possibile tenere se non molto tempo dopo. Una faccia della medaglia
si voleva che portasse questa leggenda: Don Bosco - Prêtre Salèsien
- Civilisation de la Patagonie, e gli si chiese che indicasse una data
da apporvi. Fu risposto che per la data si segnasse il 24 maggio 1879,
giorno dell'ingresso dei Salesiani nella Patagonia, e che al nome di
Don Bosco si facesse seguire fondateur des Salésiens (I).
La consegna non si poteva fare se non in una solenne seduta generale
da tenersi verso la fine dell'anno. Venuto il dicembre, la Presidenza
gli diede avviso per la domenica 19. “ Sarebbe per noi un onore
e una fortuna, gli si scrisse allora (2), se Ella potesse assistervi;
anche la cittadinanza di Lione sarebbe felice di vederla e di acclamarla
”. Ma a rappresentare Don Bosco vennero delegati Don Barberis
e Don Albera. Introdotti dal presidente Desgrands nell'aula dell'Università,
ove la Società soleva tenere le sue adunanze, furono fatti sedere
in luogo distinto accanto al seggio presidenziale. Dopo la lettura d'un
verbale sui progressi e sui lavori della Società, il Presidente
prese la parola. Ricordò in termini di grande elogio il discorso
di Don Bosco sull'estrema punta dell'America Meridionale; disse che
l'oratore aveva date notizie assai precise e interessanti di quelle
inospite regioni, notizie ricavate sia da autori accreditati sia specialmente
dalle relazioni de' suoi Missionari, che egli seguiva con la sua mente
e col suo affetto; conchiuse avere Don Bosco per tal modo così
ben meritato della Società Geografica, che il Consiglio gli aveva
decretato una medaglia d'argento. Don Albera allora si avanzò
a ricevere questa medaglia fra i più vivi applausi della numerosa
assemblea.
All'estero anche due giornali scrissero alte lodi di Don Bosco. Nel
Portogallo la Palavra di Oporto recava nei numeri
(I) App., Doc. 3.
(2) Ivi, DOC. 4
33
del 15 e 16 gennaio un lungo ed entusiastico articolo, che celebrava
il nostro Santo come l'uomo più benemerito dell'umanità
negli ultimi tempi. Un altro giornale inneggiava a lui dalle sponde
del Tamigi. Era il Merry England, che, fattane una splendida biografia,
esprimeva questo giudizio sui preti di Don Bosco: “ I sacerdoti
salesiani sono invero uomini di dottrina, ma quel che più monta,
sono anche dotati di apostolico zelo e di vera pietà: sono insomma
buoni e zelanti pastori, che darebbero volentieri la vita per la salvezza
delle proprie pecorelle ” . Il nuovo e popolarissimo Eco d'Italia
organo dei cattolici genovesi, nel numero del 25 gennaio, rendendo conto
dell'articolo, professava dal canto suo la massima stima e venerazione
perla Società Salesiana e per il suo Fondatore e terminava con
questo fervido appello: “ Oh sì! aiutiamo, propaghiamo,
favoriamo del nostro meglio l'opera santa del novello Apostolo dell'infanzia
abbandonata; noi renderemo con ciò uno dei più grandi
e dei più segnalati servizi alla santa causa di Dio e della sua
Chiesa ”.
Una voce discorde risonò da Faenza. Il radicale Lamone, ripigliando
a sbraitare contro i figli di Don Bosco, nel numero del 17 gennaio denunziava
alle autorità l'“ Educazione Salesiana ”, perchè
i Salesiani, nemici della patria, instillavano i loro sentimenti nell'anima
dei giovanetti. Ma quale fosse realmente la calunniata educazione salesiana,
l'aveva proclamato proprio in quei giorni il nuovo Consigliere Scolastico
generale Don Francesco Cerrutti, che inaugurò il suo ufficio
dando alle stampe sull'aprirsi dell'anno un suo opuscolo dal titolo:
Le idee di Don Bosco sull'educazione e sull'insegnamento e la missione
attuale della scuola. L'educazione salesiana era informata precisamente
da tali idee, “ quelle stesse, scriveva Don Cerruti (I), dei più
grandi pedagogisti ed educatori moderni ”, rabbrividiti alla vista
dell'irreligione e dell'immoralità che minacciavano di travolgere
popoli e nazioni.
(I) Ivi, pag. 10 - 11.
34
Chi vedeva Don Bosco tanto svigorito, non avrebbe potuto immaginare
che cosa ruminasse in cuor suo tra il febbraio e il marzo. Egli andava
meditando un viaggio nella Spagna. Sentendo di dover fare presto, perchè
altrimenti non avrebbe più potuto appagare questo suo desiderio,
si studiava di vincere le opposizioni degli affezionati suoi figli,
trepidanti per la sua preziosa esistenza. A dir vero nella Spagna c'era
già stato, ma alla maniera dei Santi, non per le vie ordinarie.
Narreremo qui l'avvenimento, del quale possediamo parecchie relazioni
e di cui udimmo più volte il racconto genuino dalla bocca stessa
di chi ricevette una visita così inaspettata. Può sembrare
strano che questi, parlando del fatto più tardi, non rammentasse
bene nelle sue relazioni la notte della prima comparsa, se fosse cioè
quella che precedette o che seguì la festa di S. Francesco di
Sales; ma è un difetto di memoria che non infirma la credibilità
del fatto, sul quale egli depose nei Processi apostolici.
Don Branda, direttore della casa di Sarrià, dormiva tranquillamente
nel suo letto, quando si sentì chiamare. Destatosi, distinse
benissimo la voce di Don Bosco che diceva: Don Branda, alzati e vieni
con me. - Don Branda pensò: - Oh sì che io voglio sognare!
Ho bisogno di dormire! E per liberarsi da quella creduta illusione,
si voltò dall'altra parte. Tosto si riaddormentò profondamente
e dormì fino al suono della sveglia. Al mattino ricordava la
voce udita nella notte, ma non vi fece caso e se ne stette tranquillo
fino all'ottava di S. Franesco. Nella notte sul 6 febbraio ecco durante
il sonno un'altra chiamata: - Don Branda! Don Branda! - La voce
era nuovamente quella di Don Bosco. Si scosse, aperse gli occhi e vide
con stupore la camera illuminata come in pieno giorno; anzi, poichè
aveva il letto in un'alcova, si trovò di fronte delineato sulla
cortina il profilo di un prete, che era tutto Don Bosco. La voce continuò:
- Adesso non dormi! Alzati dunque.
- Vengo subito - rispose. Si alza, si veste e rimossa
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la tendina, vede là in mezzo alla camera Don Bosco che lo sta
aspettando.
Spirava dal suo volto e dallo sguardo un affetto paterno e confidente.
Don Branda gli si avvicinò, gli prese la mano per baciarla, e
in quel mentre Don Bosco gli disse: - Vieni con me, conducimi a visitare
la casa. Ti farò vedere cose, delle quali tu non sospetti nemmeno.
Eppure sono cose che fanno spavento.
Don Branda, pigliate le chiavi delle camerate e uscito con Don Bosco
dalla sua stanza, salì le scale ed entrò con lui nei dormitori.
Tutti i giovani dormivano nei loro letti. Don Bosco gliene indicò
tre riconoscibilissimi, sebbene avessero i volti bruttamente sfigurati.
- Vedi questi tre disgraziati? Li ha guastati uno che tu non crederesti,
se non fossi venuto io a dirtelo. E sono venuto perchè c'era
bisogno che io ti svelassi questo mistero d'iniquità. Tu te ne
sei fidato, tu lo credi buono, e tale sembra all'esterno. È il
coadiutore... (e disse nome e cognome). È lui che ha assassinato
nell'anima questi giovanetti. Guarda in che stato sono ridotti.
Don Branda all'udire quel nome restò di sasso. Non avrebbe mai
sospettato tanta nequizia. Quel tale passava realmente per buono e all'esterno
teneva una condotta inappuntabile. Don Bosco proseguì: - Mandalo
subito via dalla casa. Non tollerare che si fermi ancora in mezzo ai
giovani. Sarebbe capace di rovinarne altri.
Intanto continuavano ad andare, passando da una camerata nell'altra
e osservando tutti i dormienti a uno a uno. Don Bosco gliene mostrò
parecchi che avevano la faccia sconvolta e deforme. Usciti dalle camerate,
fecero un giro per tutta la casa. Scale, stanze, cortili erano sempre
inondati di luce, come se fosse giorno. Don Bosco camminava speditamente,
quasi avesse appena una quarantina d'anni. Si tornò nella stanza
di Don Branda. Qui in un angolo, vicino ad una scansia, comparvero i
tre poveri giovani nell'atto di nascondersi per isfuggire la vista di
Don Bosco; avevano
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sempre la faccia ributtante. Vicino ad essi stava immobile il coadiutore
con la testa bassa, tutto tremante e contraffatto, come un condannato
a morte che si avviasse al patibolo. La fisionomia di Don Bosco diventò
terribilmente severa e additandolo a Don Branda, gli disse: - È
costui che rovina i giovani! - Voltosi poi al
reo, gli gridò con un tono di voce schiacciante: - Scellerato,
sei tu che rubi le anime al Signore? Sei tu che tradisci a questo modo
i Superiori? Indegno del nome che porti! - Così continuava con
accento minaccioso ad apostrofarlo, mettendogli sott'occhio l'enormità
della sua colpa, continuata e taciuta per mesi e mesi in confessione.
Compariva pure un chierico presso queste figure; era in atteggiamento
di umiliato, ma non contraffatto come il coadiutore. Don Bosco guardò
anche lui, ma non così severamente come l'altro, e disse a Don
Branda: - Anche costui allontana dalla casa; altrimenti, se rimane,
farà gravi cadute.
- Ma io non so come fare a eseguire questi comandi, osservò Don
Branda. Non so quali ragioni addurre per venire a queste conclusioni;
non ho prove: è spinoso l'affare. Non potrebbe lei incaricare
qualche altro dell'esecuzione?
Mentre così parlava, gli sembrò di travedere Don Rua,
che ritto vicino a Don Bosco, si metteva l'indice sulle labbra e gli
faceva segno di tacere. Don Branda tacque e Don Bosco si mosse per uscire
dalla stanza. In quel punto sparve tutta la luce. Don Branda, rimasto
là perfettamente all'oscuro, cercò a tastoni il lume sul
tavolino, lo accese e si vide solo. Mancavano due ore alla sveglia.
Allora, preso il Breviario, cominciò a recitare il divino ufficio.
Sonata la campana, scese a celebrare in preda a viva commozione.
Il pensiero di dover dare lo sfratto a quei due lo turbava. Come chiamarli
a sè? come entrare in discorso? quali argomenti addurre per farli
confessare la loro colpa? Li sorvegliava continuamente, ma nulla scorgeva
in essi meritevole di rimprovero. Sentiva per altro una voce interna
che gli ripeteva sempre: - Agisci! agisci!
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Chiamati il prefetto e gli assistenti, raccomandò loro che aprissero
bene gli occhi per iscoprire i meno buoni fra i giovani; sperava così
che qualche indizio del male nascosto sarebbe trapelato. Risoluto di
non parlare, credette di essere per queste precauzioni in buona coscienza.
Gli parve con ciò d'aver fatto tacere quelle voci interne, che
difatti per qualche giorno lo lasciarono in pace. Ogni volta però
che andava a celebrare, si sentiva compreso da un certo orrore che lo
faceva tremare.
Mentr'era in tale stato d'animo, gli arrivò da Torino una lettera
di Don Rua, che egli conservò a lungo e fece vedere a molti (I);
in essa si diceva: “ Stasera io passeggiava con Don Bosco ed egli
mi disse che ti ha fatta una visita. Ma forse a quell'ora tu dormivi
”.
Quattro o cinque giorni dopo l'apparizione, recatosi a celebrare in
casa della signora Dorotea, si sentì dire dalla mamma dei Salesiani:
- Ho sognato Don Bosco, sa; l'ho sognato questa notte.
- Mi perdoni, la interruppe Don Branda, questa mattina vorrei celebrare
subito subito.
Le parole della santa donna gli avevano messo il cuore in subbuglio,
nè voleva ascoltare altro. Andò difilato in cappella,
si vestì e cominciò la Messa. Ma, recitato l'Introibo
e saliti i gradini, mentre si chinava a baciar l'altare, fu invaso da
terrore e tremore, e gli risonò dentro una voce che diceva: -
Fa' subito quello che ti ha ordinato Don Bosco; altrimenti questa è
l'ultima Messa che celebri.
(I) La mostrò al prefetto Don Aime; la lesse in una conferenza
ai chierici, come ricordava Don Pirola; la fece leggere a Missionari
passati di là poco prima dell'arrivo di Don Bosco; poi col tempo
gli andò smarrita. Don Rua depose nei Processi: “ Io era
a Torino in quei giorni, e il giorno appresso a quell'apparizione Don
Bosco, discorrendo con me, mi disse che nella notte aveva fatto una
visita a Don Branda e parmi abbia ordinato di chiedergli per lettera
se avesse eseguito i suoi ordini. Io in quel momento non feci gran caso
delle sue parole ed eseguendo l'ordine avuto più non pensai ad
altro. Quando poi pochi mesi dopo accompagnai Don Bosco nella Spagna,
Don Branda che ci venne ad incontrare alla frontiera, mi raccontò
chiaramente l'avvenuto ed allora intesi quale visita gli avesse fatta
Don Bosco ”.
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Tornò a casa risoluto di agire. Avrebbe voluto chiedere consiglio,
ma non sapeva a chi; al confessore non ne parlò, temendo che
non giudicasse la cosa in buon senso. Tuttavia ruppe gl'indugi. Fatto
venire il prefetto Don Aime e raccomandatogli lo stretto segreto su
quanto stava per dire, gli narrò solo in parte quello che aveva
visto nella notte dell'ottava di S. Francesco, gli palesò i nomi
dei tre giovani e gli diede le opportune istruzioni. Li chiamasse separatamente
senza che uno sapesse dell'altro, facesse loro intendere francamente
di conoscere tutto e imponesse di palesargli il nome dello scandaloso.
Se negassero o rifiutassero di parlare, alzasse pure le mani. Interrogato
il primo, lo chiudesse nella tale stanza e nessuno potesse parlargli.
Quindi, chiamato il secondo, lo trattasse come il primo; poi lo conducesse
nella tale scuola e ve lo chiudesse. Interrogato il terzo, lo tenesse
nel suo ufficio e venisse a riferire sul risultato dell'inchiesta. -
Qui in questo foglio, terminò Don Branda, io scrivo il nome di
chi ho visto autore dello scandalo e, ritornando tu dall'interrogatorio,
faremo il confronto di questo nome con quello svelato dai giovani. -
In così dire prese la penna, scrisse e piegò il foglio.
Il prefetto eseguì a puntino. Il primo giovane, sbalordito, benchè
avesse cominciato a negare, visto che il superiore era risoluto e sicuro,
confessò. Il secondo e il terzo, messi egualmente alle strette,
diedero la medesima risposta.
Don Aime tornò dal Direttore a comunicargli il risultato delle
sue indagini. Allora Don Branda spiegò il foglio e glielo presentò.
Era il nome del coadiutore denunziato dai giovani. Non esisteva più
alcun motivo di prudenza, che dovesse trattenere il superiore; perciò
fece immediatamente chiamare il colpevole.
Costui da più giorni viveva in preda a una paurosa agitazione
interna. Avutolo alla sua presenza, Don Branda lo investì dicendo:
- Sei tu che mi rovini i giovani?
- Io?... e come? balbettò sbalordito.
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- Sì, tu, così e così.
Il disgraziato cadde in ginocchio implorando pietà ed esclamando:
- Glie l'ha scritto Don Bosco?
- Don Bosco è venuto in persona a dirmelo.
Sentendosi poi intimare che uscisse tostamente dalla casa, pianse, supplicò,
disse che lo togliessero da quegli uffizi che gli erano di pericolo:
lo mettessero anche a scopare, ma gli accordassero almeno due mesi di
tempo per provvedere al suo avvenire. Fu esaudito.
Allorchè poi Don Bosco arrivò alle frontiere della Spagna,
Don Branda che gli era andato incontro, lo trasse da parte in una sala
e gli disse: - A Sarrià forse non troverà le cose proprio
come desidera.
- Che cosa hai fatto?
- I tre giovani furono rimandati alle loro case, mettendo alcuni giorni
d'intervallo fra le partenze; ma il coadiutore è ancora in casa.
Ho ceduto alle sue lacrime e preghiere, accordandogli una dilazione
di qualche mese.
- Va bene. Verrò e vedrò quello che dobbiamo fare.
Qualche settimana dopo anche il coadiutore veniva congedato definitivamente
dalla casa.
CAPO II
Per la Liguria e per la Francia verso la Spagna.
NELLA Spagna i Cooperatori Salesiani, erano, se non ancora numerosi,
molto influenti; alte personalità del clero e del laicato ne
portavano con vanto il titolo. Il nome di Don Bosco vi echeggiava da
un capo all'altro; poichè giornali e riviste richiamavano l'attenzione
del pubblico tanto sopra di lui che sopra le sue case di Utrera e di
Sarrià. I più insigni benefattori, prima fra tutti donna
Dorotea, si sarebbero stimati felicissimi di vederlo; onde secondo le
occasioni lo pregavano di recarsi anche nella loro patria. Don Bosco
da tempo vi voleva andare; anzi promise formalmente quella visita. Sul
finire di febbraio la risoluzione era presa e tosto cominciarono i preparativi.
Quando dentro e fuori dell'Oratorio si sparse la voce che si sarebbe
avventurato a un viaggio così lungo, Salesiani e amici restarono
sbigottiti, temendo seriamente che non avesse a soccombere per via.
Egli tranquillava tutti appellandosi all'esperienza dei viaggi precedenti,
i quali, non che deteriorargli la salute, glie l'avevano migliorata.
Diceva per altro che avrebbe prima fatto prova della sua resistenza,
percorrendo bel bello la riviera ligure e poi anche la costa francese;
se le cose fossero andate bene, avrebbe proseguito: se no, si sarebbe
fatto fronte indietro.
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La notizia che Don Bosco era in procinto di visitare la Spagna, si
diffuse ben tosto colà, destandovi un'immensa aspettazione; ma
l'ansia di conoscere Don Bosco, di udirne la parola, di godere della
sua presenza in nessuno poteva essere più viva che in donna Dorotea,
poichè nessuno aveva come lei tanta affinità di spirito
con Don Bosco e quindi tanta attitudine a comprendere la grandezza della
sua missione.
Lasciò l'Oratorio di Valdocco alle due e mezzo pomeridiane del
venerdì 12 marzo, prendendo seco per la prima parte del viaggio,
oltre al chierico Viglietti segretario, Don Cerruti e Don Sala. Aveva
l'aspetto abbastanza buono; ma traeva a stento la persona, bisognosa
di appoggio. Alla stazione di Porta Nuova il corrispondente di un giornale
toscano (I) salutandolo mostrò di vederlo con dolore partire
per così remote contrade. Gli rispose che ve lo spingeva il bisogno
di provveder pane a’ suoi giovanetti.
- Si raccomandi a Depretis! scappò detto al giornalista.
- Si, si, a lui! Se sapesse quanto mi costano in sole imposte tutte
le case che ho in Italia!
Senza verun incomodo, anzi con allegre conversazioni si arrivò
a Sampierdarena. Là egli trovò due bravi operai di Arenzano
che lo aspettavano per consegnargli offerte in riconoscenza di grazie
ottenute a intercessione di Maria Ausiliatrice; essi gli dissero che
nel loro paese la popolazione aveva in Maria Ausiliatrice una fede ardente.
La notte passò cattiva per Don Bosco, che fu poi costretto a
celebrare la Messa in camera. Vi assistettero però i giovani
della quarta e della quinta ginnasiale. Appena fatto il ringraziamento
e preso un po' di ristoro, cominciò a ricevere senza interruzione
fino a mezzodì. Era quasi tutta gente, com'egli disse, venuta
a ringraziare Maria Ausiliatrice per grazie ricevute dopo la sua benedizione
dell'anno avanti.
I Cooperatori genovesi avevano disposto ogni cosa, af -
(I) L'Amico del popolo di Prato, 20 marzo 1886.
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finchè fosse tenuta una conferenza in città nella chiesa
di San Siro; vi s’incamminò dunque nelle prime ore del
pomeriggio. Ci volle essere anche l'Arcivescovo monsignor Magnasco.
Parlò Don Cerruti, intrattenendo per mezz'ora l'affollato uditorio
accorso a vedere Don Bosco. Al suo passaggio fu un'accalcarsi intorno
a lui per baciargli la mano: in qualche momento si temette che restasse
schiacciato. Prima e dopo della conferenza ascoltò in sacrestia
coloro che gli volevano parlare. L'Arcivescovo alle persone che gli
s'accostavano per baciargli l'anello, diceva: - Andate da Don Bosco.
- Il coadiutore Enria sentiva tanti che si chiamavano fortunati d'aver
ricevuto la benedizione di un santo. Scriveva Don Lazzero a monsignor
Cagliero il 28 marzo: “ La persona del nostro caro Padre D. Bosco
mano mano che invecchia diventa sempre più preziosa. A Genova,
ove andò per la conferenza dei Cooperatori, non vi fu mai per
Don Bosco tanto entusiasmo come questa volta; e non si dimostrarono
mai così generosi, e prova fu la colletta molto abbondante ”.
Intorno al medesimo argomento così scriveva a Don Rua un Cooperatore
di Voltri (I): “ Ho passato un'ora circa di paradiso! L'amato
Don Bosco pareva che i Cooperatori e le Cooperatrici, perdoni la frase,
volessero mangiarselo. Tutti lo volevano vedere, parlargli, baciargli
la mano; e lui, il caro, tutto ridente, a tutti dava ascolto e una buona
parola; di quelle parole che hanno un'arcana influenza sull'animo ”.
Sull'imbrunire venne accompagnato al palazzo della signora Ghiglini,
dove si fece pranzo. Ritornò a Sampierdarena tardi e stanco.
Ad un signore era stato udito dire: - Per me, vivo con un po' di meliga;
ma ho tanti figliuoli da sfamare, e siccome la carità dei buoni
non ha confine, così io ho bisogno di tutti (2). - A chiusa della
giornata il Viglietti scrive nel suo diario: “ Don Bosco oggi
era allegro, diceva arguzie e aveva la mente chiarissima ”.
(I) Il signor Primo Arona, Vegima per Voltri, 21 marzo 1886.
(2) L'Eco d'Italia, 15 marzo 1886.
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Don Belmonte, direttore dell'Ospizio di Sampierdarena, attestò
che a S. Siro accadde un fatto meraviglioso. Nella sacrestia Don Bosco
distribuiva medaglie di Maria Ausiliatrice; ma, rimastone senza, si
rivolse a lui, domandandogli se ne avesse portate. Il Direttore gliene
diede una quarantina o fors'anche meno. Allora il Santo ricominciò
a distribuire. Il luogo era stipatissimo di gente ed egli dava e dava
a quanti sfilando gli stendevano la mano. Don Belmonte e il signor Dufour,
che gli stava a fianco, non potevano credere ai loro occhi: di medaglie
ne furono certamente distribuite parecchie centinaia, forse più
d'un migliaio. Senza una moltiplicazione la cosa non sarebbe stata assolutamente
possibile.
Nel giorno seguente le udienze si succedettero per lunghe ore senza
posa. Sul mezzodì, accompagnata dal padre e dalla madre, venne
una giovane che non voleva sapere di chiesa e sembrava addirittura matta.
Dinanzi a Don Bosco depose il folle orgoglio, s'inginocchiò anch'essa
per ricevere la sua benedizione e poi piangendo disse: - Riconosco davvero
il mio errore. Il demonio mi ha tenuta finora in inganno. Domani mi
andrò a confessare e farò la comunione. - I genitori commossi
non si alzavano più da terra nè sarebbero più voluti
partire. La scena durò alquanto; finalmente, fatta una bella
offerta, uscirono.
Quella sera si consacrarono solennemente le campane destinate al nuovo
campanile di S. Gaetano; il coadiutore Quirino, venuto apposta dall'Oratorio,
le inaugurò, sonandole con la sua impareggiabile maestria, notissima
ai Torinesi. Finita la cerimonia, Don Bosco riattaccò le udienze,
protraendole fino alle otto. “ È stanco, si ridice nel
diario, ma pare stia assai bene; è tranquillo, allegro ”.
Nonostante gl'impicci d'ogni genere che non gli lasciavano tregua, egli
non perdeva di vista l'Oratorio; infatti terminò la giornata
ordinando al segretario di scrivere a Don Rua e suggerendogli le cose
da dire. Scrisse tosto il Viglietti: “ D. Bosco m'incarica di
pregarla a voler dare i saluti ai gio -
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vani da parte sua; che dica loro che qui a Sampierdarena ha trovato
dei giovani di molto buona volontà; che come all'Oratorio quelli
di 4° e 5° ieri mattina assistettero in camera alla Messa di
D. Bosco e che tutti fecero con molto fervore per sue mani la comunione.
Mi incarica di salutare tanto Don Lemoyne, Don Lago, Suttil, Festa e
Gastaldi ” . Quindi aggiungeva per conto suo il segretario: “
Per carità, caro Sig. Don Rua, raccomandi alle preghiere di tutti
Don Bosco, poichè la sua salute lascia molto a desiderare ”
.
Comparve all'ospizio uno scultore che senz'avere mai veduto Don Bosco
ne aveva su fotografie abbozzato la testa e il busto, sperando sempre
di poterlo una buona volta avvicinare per farvi gli ultimi ritocchi.
Gli si mise dunque ai panni e tanto lo importunò, che il Servo
di Dio dovette rassegnarsi a posare. Montando sul palchetto preparatogli
dall'artista, rideva e diceva: - Ecco, salgo al supplizio. - Nel vedere
poi come quegli gettasse sulla figura una specie di terra impastata
per correggere il primo tentativo, bisbigliò al segretario: -
Vedi, Viglietti, come m'impiastra bene? - Ma dopo un quarticello d'ora
gli venne sonno e s'addormentò. Svegliatosi s'accorse che era
passata un'ora, onde scese tosto, perchè molta gente aspettava
di potergli parlare.
Questo fu la mattina del 15. Dopo pranzo le udienze lo stancarono assai;
tuttavia a cena raccontò alcuni cari aneddoti. Venendosi infine
a discorrere della sensibilità di cuore, disse che nel celebrare
la Messa non gli riusciva più di raccomandare i Missionari per
la troppa commozione che lo assaliva fino a minacciare di soffocarlo.
- Allora io, soggiunse, devo per forza pensare a Gianduia e distrarmi
a ogni costo.
Gran viavai di visitatori anche al mattino del 16, giorno della partenza.
All'ultimo momento, ecco il marchese Spinola con gli apparecchi fotografici
per ritrattarlo. Il Santo per compiacerlo accondiscese; ma questo causò
perdita di tempo, sicchè si dovette fare molto in fretta per
raggiungere
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il treno di Varazze. Alla stazione per altro erano stati avvisati,
e il Capo ebbe la bontà di aspettare.
Ad Arenzano la fermata, anzichè di pochi minuti, sarebbe dovuta
essere di qualche ora per contentare tutto quel mondo di gente, che
inondò la stazione. La folla irruppe nell'interno, conducendo
o portando ammalati. Circondarono il treno, si aggrappavano alle carrozze,
vi si cacciavano sopra. C'era già ritardo; il Capo diede ripetutamente
il segno della partenza, ma il macchinista non osava mettersi in moto
per tema di disgrazie. Una donna inferma, portata nel vagone dove si
trovava Don Bosco, e da lui benedetta, risanò all'istante, sicchè
fece ritorno a casa camminando speditamente.
Che dire poi di Varazze? Gl'impiegati non poterono nemmeno ritirare
i biglietti dei viaggiatori, perchè coloro che scesero dal treno
andarono confusi nella straboccante moltitudine spintasi a viva forza
fino al binario. Il parroco della matrice, amicissimo dei Salesiani,
aveva annunziato dal pulpito l'arrivo di Don Bosco; inoltre aveva diramato
in città e nei comuni limitrofi una circolare con l'avviso di
una conferenza per i Cooperatori. L'effetto fu che accorse gente da
Savona, da Sestri, da Voltri, da Arenzano; i vecchi affermavano che
a Varazze non erasi mai vista tanta affluenza di forestieri, nè
un simile slancio di ardore e tale spettacolo di fede.
La salita che mette capo al collegio richiede pochi minuti; ma Don Bosco
v'impiegò tre quarti d'ora, tanta folla gli faceva ressa intorno
per baciargli le mani. I giovani che lo attendevano allineati di qua
e di là della stradicciuola, si scompigliarono e furono travolti
dalla piena.
Dopo pranzo le adiacenze dell'istituto rigurgitavano di gente. Si tentò
bene di trattenerla fuori, ma fu fatica sprecata. Il portone, comunque
fosse avvenuto, si spalancò, la fiumana si spandè nel
cortile, riempì i corridoi, invase scale e scuole. Chi infrenava
quella violenza? Si temette per la vita di Don Bosco, se fosse uscito.
Don Viglietti, fermo dinanzi alla camera, predicava a sordi; taluni
gli s'inginoc -
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chiarono ai piedi gridando che per carità lasciasse loro vedere
Don Bosco. La conferenza era fissata per le quattro; ma sonavano già
la cinque e Don Bosco stava tuttora in camera, seduto sulla sua sedia
e stretto da ogni parte.
Eppure bisognava liberarlo. A estremi inali, estremi rimedi: si ricorse
alle braccia nerborute di pescatori, che, presolo in mezzo col segretario,
lo scortarono fino alla casa parrocchiale. Per abbreviare il percorso
ve lo fecero entrare da una porta che non si apriva quasi mai, a tergo
dell'edifizio e poi lo accompagnarono per una via privata che dava in
piazza. Ardua impresa fu rompere la folla accalcata dinanzi alla chiesa;
il povero Don Bosco non camminava più, ma si avanzava quasi trasportato
dall'ondeggiare del popolo. Viglietti per non essere divelto da lui
gli si teneva aggrappato alla sottana. Gruppi di curiosi gremivano finestre,
porte, tetti. Alle ore sei si varcava la soglia del tempio. Spalleggiati
sempre da quei bravi ominoni, egli e il segretario raggiunsero il presbiterio,
dove finalmente Don Bosco si sedè.
Eseguitosi dai cantori del collegio il Quasi arcus, Don Cerruti trattò
della carità, carità di orazioni e carità di opere.
Quindi salì in pulpito il parroco, che commosso ed entusiasmato
strappò le lacrime. Naturalmente in quel pigia pigia svennero
parecchie persone, che furono portate fuori. Dopo la benedizione la
chiesa non si sfollava. La piazza era un selciato di teste. Mentre si
studiava come risolvere il problema dell'uscita, si avvicinò
a Don Bosco un contadino con un braccio al collo e gli disse: - Preghi
per me. Mi son fatto male: non posso lavorare, la famiglia stenta.
- Qual è il braccio ammalato? - chiese Don Bosco.
- Ma... Oh!!... Non saprei... - Son guarito!
Don Bosco gli raccomandò di nascondere il fazzoletto e di tacere;
ma c'erano troppi testimoni: la voce corse e l'entusiasmo crebbe. Presso
la balaustra un popolano, facendosi largo a furia di gomiti, si accostò
a lui, come se avesse un gran segreto da confidargli. Parlava in dialetto
e Don Bosco
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non capiva; onde chinò il capo per ascoltarlo meglio. L'altro
confuso e non intendendo il perchè della sua mossa, gli scoccò,
sulla guancia un bacio e se n'andò.
Don Bosco moveva verso la porta a passo di formica. A quando a quando
si udivano grida di persone in pericolo di essere acciaccate. Egli,
sempre calmo e tranquillo, sorrideva a tutti, aveva per tutti una parola
e un saluto, massimamente per i fanciulli. Come Dio volle, fra urti
e riurti potè raggiungere la cancellata della canonica. Di qui
per una gradinata si montava sul pianerottolo dinanzi all'ingresso.
Il Santo, fatti alcuni gradini, si volse alla moltitudine. Tanto bastò
perchè in un batter d'occhio regnasse un solenne silenzio. Intenerito
disse che ringraziava tutti della dimostrazione di affetto; ringraziò
il parroco della sua benevolenza; poi si mise in atto di dare la benedizione.
Magnifico spettacolo! Era sull'annottare. Don Bosco là in alto,
ritto in piedi, tutto raccolto, alzò la destra a formare la croce
su quella moltitudine inclinata o prostrata. All’amen scoppiò
un grido immenso di Viva Don Bosco, più volte ripetuto ed echeggiante
lontano. Le campane sonavano a festa e dinanzi il mare tremolando sembrava
fremere nel chiarore delle stelle. Gli anziani non hanno ancora dimenticata
l'impressione di quell'attimo suggestivo.
Nella casa del parroco diede udienza fino alle nove. Tutta questa gente,
disse poi al segretario, non sa neppure essa che cosa voglia da me.
Vengono taluni e mi dicono: Io ho la moglie inferma, io il fratello,
io il marito, vorrei la sua guarigione. Aggiungono: Mi dica quanto fa.
Ma, rispondo io, le grazie non si vendono; dite tre Ave a Maria Ausiliatrice
per tre giorni. Ma come? ripigliò qualcuno, ci vuol altro che
delle Ave Maria per queste cose! Mi dica pure senza esitazione: quanto
fa? E Don Bosco bisogna che spieghi come sia necessaria la fede in Dio,
la preghiera e la elemosina per ottenere grazie. - Ce n'era veramente
della fede. Piovvero offerte non solo pecuniarie, ma in orecchini, anelli
e simili gioiellerie.
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Fra i tanti che andarono da Don Bosco vi fu una madre che tutta dolente
gli portava innanzi una figlioletta debolissima di gambe e in pericolo
di diventare storta. Il rachitismo la deformava sempre più. Don
Bosco le diede la benedizione e poi disse alla madre: - Andate, buona
donna, non addoloratevi: la vostra figlia si metterà meglio.
- Infatti la bambina prese a migliorare, crebbe robusta e vive tuttora:
si chiama Carmela Gracchi.
Possediamo anche la minuta relazione di una grazia spirituale. La signora
Maria Bruzzone, nativa di Rossiglione e dimorante a Varazze, aveva un
figlio per nome Giuseppe che di obbediente e affettuoso erasi fatto
amante di balli e di compagnie sospette. La povera madre non si sapeva
dar pace. Alle ammonizioni materne il giovanotto taceva, sorrideva e
continuava a fare il comodo suo. Poi si era associato a una combriccola
di buontemponi, che se la spassavano in serate di danza. Angosciata
la donna piangeva e pregava. La venuta di Don Bosco le allargò
il cuore. Andò in collegio per isfogarsi con lui; ma come fare
in quel maremagno? Pensò di aspettarlo alla stazione, quando
partisse, ma piazzale, atrio, sala d'aspetto formicolavano di gente.
Perduta ogni speranza, si rannicchiò in un angolo, chiusa nel
suo dolore. Mentre se ne stava là così trambasciata, ecco
uno dei preti che accompagnavano Don Bosco alla stazione, farsele da
presso e dirle: - O donna, venite con me. - La Bruzzone lo segui macchinalmente
e si trovò alla presenza del Santo, che l'aveva mandata a chiamare.
Stupita, confusa per sì misteriosa chiamata, gli cadde in ginocchio
ai piedi e ruppe in pianto. Don Bosco dopo un istante le disse: - Ora
che cosa volete, povera donna?
- Oh padre! ho tante cose da dirle. Ma sono così smarrita che
non mi vengono le parole. Ho famiglia numerosa, ma ho un figlio...
- Povera madre! la interruppe Don Bosco, posandole la mano sul capo.
Fatevi coraggio. In quello che pensate,
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non c'è nulla di nuovo. Nel santo sacrifizio della Messa pregherò
per voi e presto sarà tutto accomodato. Consolatevi!
La benedisse e partì. La donna viveva in un continuo martirio
pensando che suo figlio fosse invischiato in disoneste relazioni; invece
Don Bosco l'aveva rassicurata su questo punto, e le cose stavano proprio
com'egli aveva detto. Poi venne il meglio da lui prenunziato. L'ultima
domenica del carnevale, in cui la madre aveva più che mai ragione
di temere, egli le disse verso sera: - Mamma, andiamo a dormire.
- Tu mi vuoi ingannare per essere più libero! gli rispose ella.
Tu fa' quello che vuoi, ma a riposo io andrò o non andrò,
secondochè mi parrà.
- No, mamma, non t'inganno; io vo a dormire.
Andò difatti. Che cosa fosse avvenuto in lui, non si sa, anche
perchè il giovane era di poche parole; ma è certo che
da quel punto non frequentò più i luoghi e le persone
di prima, benchè avesse sborsato la sua quota di associazione.
Si fece serio, attese agli affari, trafficò anche in America
qualche anno, ritornò in famiglia e non commise più leggerezza
di sorta.
Il 17 marzo alle undici di notte Don Bosco giunse ad Alassio. Nell'andata
per una buona mezz'ora non aveva con Don Cerruti parlato d'altro che
di Missionari e di Missioni, specificando i luoghi dell'America', dell'Africa
e dell'Asia, dove i suoi nel volgere del tempo si sarebbero spinti e
stabiliti. Direte, osservava, che vi sono già altre Congregazioni.
È verissimo; ma noi andiamo in loro aiuto e non per pigliare
il loro posto, ricordatevene bene! Generalmente esse si occupano piuttosto
degli adulti; noi dobbiamo occuparci in special modo della gioventù,
massime di quella povera e abbandonata.
Non ci sono pervenute notizie intorno alla sua dimora nel collegio di
Alassio. Da una lettera che Don Viglietti scrisse a Don Rua la sera
del 18 si apprende soltanto che nulla valeva a distrarre l'attenzione
di Don Bosco dall'Oratorio.
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Diceva infatti il segretario: “ Egli m'incarica di tanti saluti
a Lei ed al Capitolo e m'incarica pure di dirle che faccia sapere sue
notizie ai giovani e faccia tanti saluti a quelli di 4° e 5°
ginnasiale, ai quali dirà che Don Bosco li ricorda continuamente
e che tutte le mattine dopo la sua comunione gli pare sempre di distribuire
ad essi il pane degli angeli ”.
Il 20 era a Nizza, dove pensava di fermarsi fino al termine del mese.
La processione delle visite cominciò presto. Il fiore della cittadinanza
assistette alla conferenza del 24; vi si unirono anche nobili signori
che soggiornavano a Cannes. Il conferenziere, che fu l'abate Bonetti
nizzardo, ebbe una geniale perorazione. Disse: “ Vi fu un giorno
un angelo del paradiso, il quale si beava in Dio e nelle cose di Lui;
e mirando sulla terra tante disgrazie, vedendo la società in
rovina, l'infanzia abbandonata, si sentì profondamente commosso
e presentatosi a Dio, parlò così: - Io godo quassù
di ogni vostro bene, ma ho visto sulla terra le creature vostre che
gemono e che invocano da voi soccorso. Io sacrifico volentieri, o mio
Dio, ogni bene del cielo per correre in loro aiuto. - E sia! rispose
il Signore. Allora quell'angelo del paradiso, libratosi sulle sue ali
dorate, scese in Italia, volò nella Francia, nella Spagna: sull'intera
Europa largì le sue efficaci benedizioni; volò sino alle
estreme Americhe e le ricolmò de' suoi doni, e non mai stanco
di beneficare, quest'angelo di pace già affranto dagli anni e
dalle fatiche, passa ovunque benedicendo e consolando gli uomini. Quest'angelo,
o uditori, voi lo conoscete: l'avete tra voi: è Don Bosco ”.
Anche Don Bosco si alzò a parlare e pieno di commozione attribuì
ai Cooperatori tutto il merito del bene che si cercava dai Salesiani
di fare. “ Fu lucidissimo di mente ”, nota il diarista.
Al pranzo gli faceva corona un bello stuolo di amici, fra cui gl'immancabili
e cari signori Levrot, D'Espiney e Michel. Don Bosco aveva aspettato
sì lieta occasione per onorare particolarmente il dottore D'Espiney.
Per opera sua il Papa
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l'aveva creato cavaliere dell'Ordine di S. Gregorio Magno; perciò
all'ingegnere Levrot, fatto già da lui decorare della medesima
onorificenza, affidò l'incarico di darne con acconce parole pubblica
comunicazione. L'ingegnere al levar delle mense pronunziò un
eletto discorso, in cui la nobiltà dei concetti gareggiava con
la squisitezza della forma (I). Una sola sua affermazione vogliamo qui
rilevare, che sorpassa i termini di una semplice cortesia conviviale.
Il Levrot per lunga consuetudine conosceva assai bene il nostro Santo
e meglio d'ogni altro sapeva misurare la portata delle sue parole, quando
disse: “ Don Bosco fa bene tutto quello che fa e finisce sempre
con aver ragione ”. Proprio così! Non poche volte infatti
Don Bosco giudicato da prima sfavorevolmente oppure malamente sospettato,
al trarre delle partite ne uscì con la sua, riscotendo approvazione
e lode. Per un caso solo, che più esattamente fu un complesso
di casi, l'incomprensione perdurò a lungo anche dopo la sua morte;
ma nel momento predisposto dalla Provvidenza la giustificazione del
Servo di Dio sfolgorò di luce meridiana in faccia a tutta quanta
la Chiesa.
Fra gli applausi dei commensali Don Bosco appuntò la croce equestre
in petto al nuovo cavaliere; indi parlò l'abate Bonetti, parlò
Don Bosco stesso, parlò l'avvocato Michel. “ Fu una bella
festa di famiglia ”, annotava Don Viglietti.
Più tardi Don Bosco, accompagnato dal direttore Don Ronchail
e da Viglietti, andò a visitare la contessa Braniska, presso
la quale trovò pure il Duca di Rivoli e altri nobili signori.
Di là si recò da Madama di Montorme. Ritornato a casa,
aveva la zimarra crivellata per brandelli portatigli via dalle forbici
di persone devote.
Il mattino seguente le visite si moltiplicarono, sicchè non gli
restava un momento di respiro; ma con le visite si moltiplicava anche
la carità. Alla sera venne una Contessa inglese,
(I) App., Doc. 5.
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disposta a donare una sua vasta proprietà in Inghilterra, perchè
vi si fabbricasse una casa salesiana. La moveva a tanta larghezza il
dovere della riconoscenza. Da pochi giorni appena, giacendo inferma
si da non poter lasciare il letto, aveva scritto a Don Bosco per implorarne
la benedizione, e appena ricevuta la risposta, erasi alzata e allora
senza il menomo disagio si recava a fargli visita.
Notevole fu il caso di una signora Mercier, oriunda inglese, ma da molto
tempo domiciliata in Francia. Benchè protestante, aveva scritto
a Don Bosco da Nizza il 7 dicembre 1885. Inferma da dieci anni, invocava
il soccorso delle sue preghiere tanto per l'anima che per il corpo (I).
Don Bosco le aveva fatto rispondere da Don Ronchail che dopo il 20 febbraio
egli sarebbe stato a Nizza e che quindi ella potrebbe rivolgersi a lui
in persona. Con Don Albera e col segretario il Santo si recò
al suo palazzo la sera del 26. Le ragionò di religione con vero
calore; anch'essa discorreva in modo, che all'udire la si sarebbe creduta
senz'altro cattolica. Volle la benedizione di Don Bosco; anzi con gran
piacere ricevette in dono il Cattolico nel secolo, dicendo che sperava
di abbracciare il Cattolicismo. Don Bosco ve la incitava con dire: -
Siamo vecchi, signora. Che cosa risponderemo a Dio? Non tardi! - Ma
non si convertì.
Di là passò a visitare due signore ammalate. Rincasando
trovò una doppia gradita sorpresa da parte dei giovani. Gli presentarono
essi una corona di comunioni da farsi per lui e una lista di duecento
nomi d'alunni che, messisi con buona volontà a far bene per amor
suo, avevano ottenuto dieci di condotta semestrale.
Soggiornava a Nizza la Regina del Wurtemberg, sposa del Re Carlo I e
sorella dello Czar Alessandro II, caduto vittima dei nichilisti nel
1881. Si chiamava Olga Nicolaiewna. Sebbene appartenesse alla Chiesa
scismatica russa, pure bra -
(I) App., Doc. 6.
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mava di vedere Don Bosco, perchè sentiva a dire che egli era
un santo. Mandò quindi una dama di corte a pregarlo, che volesse
accondiscendere alle sue istanze; l'avrebbe potuto ricevere soltanto
dalle tre e mezzo alle quattro di quel giorno 27.
Don Bosco rispose affermativamente. Se non che alle tre e mezzo, affacciatosi
alla porta della camera, in cui dava udienza, vide alcune persone in
attesa di essere ricevute, fra gli altri la contessa Michel e il Barone
Héraud, e tranquillamente rientrò. Don Ronchail e Viglietti,
saliti per prenderlo, passeggiavano nella sala d'aspetto impazienti
di quel ritardo. Quando finalmente lo videro uscire, lo sollecitavano
a far presto; ma egli, visto là Don Cerruti e sapendo che avrebbe
voluto confessarsi, lo chiamò dentro e gli disse: - Oh, la Regina
del Wurtemberg può ancora aspettare un poco e intanto noi possiamo
terminare le cose nostre. - Sentita poi la sua confessione, gli disse:
- Ora abbi la bontà di confessare anche me. - Fuori quei due
stavano sulle spine. Appena l'ebbero seco, si lagnavano dell'ora già
trascorsa e: - Facciamo presto, gli ripetevano, chè non arriveremo
più a tempo. Anzi è già forse troppo tardi...
- E ciau! rispose loro in piemontese sorridendo; turnuma a ca (Pazienza,
ce ne torniamo a casa).
Intanto veniva salutando e accarezzando i giovani del collegio che incontrava,
e a qualcuno dava anche un buon ricordo. In istrada salì sul
cocchio mandatogli dalla marchesa di Constantin. Quel buon umore del
barone Héraud, messosi in capo di volergli fare da staffiere,
saltò in cassetta. Al palazzo ci doveva essere per le quattro
un ricevimento di gala; perciò dame e cavalieri si aggiravano
per le sale, curiosi di vedere Don Bosco, che si fermavano a guardare
con venerazione.
Giunti nell'anticamera, un valletto annunziò Don Bosco alla Regina.
Fu subito introdotto. La Sovrana gli mosse incontro con dimostrazioni
di cortesia e parlandogli con la
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massima affabilità. Fattolo sedere, gli chiese notizie delle
sue case, de' suoi giovani, del suo metodo educativo e con quali mezzi
facesse fronte a tante spese; lo pregò pure di occuparsi del
Wurtemberg. Interrogando e ascoltando, lo contemplava riverente, finchè
da ultimo gli domandò se in quel momento avesse necessità
di soccorsi. Don Bosco rispose che, essendo la prima volta che aveva
l'onore di vedere Sua Maestà, non voleva intrattenerla su tale
argomento. Ma poichè la Regina insisteva e si mostrava desiderosa
di fare qualche cosa per lui, le spiegò quello che erano i Cooperatori.
- Questo appunto io voleva da lei! esclamò la Regina. Mi faccia
dunque Cooperatrice Salesiana.
La conversazione durò tre quarti d'ora. Solo quando il Servo
di Dio disse che era sulle mosse per andare nella Spagna, la Regina
rispose di non volerlo trattenere più a lungo; lo pregava però
di tornare a Nizza, e vicina a congedarlo gli disse con viva commozione:
- La ringrazio della benedizione che ha portata nella mia famiglia.
Quanto prima darò notizia di questo fatto ai parenti e riferirò
loro quello che mi ha detto. Prenderò subito nota del giorno
e dell'ora di una visita così preziosa.
Per ritirarsi dalla presenza dei Sovrani bisogna aspettare che facciano
essi segno di congedare; ma la Regina sembrava che esitasse a lasciare
Don Bosco. Infine, senza chiamare alcun servo, come avrebbe portato
l'etichetta, lo accompagnò ella medesima fino alla soglia. Visti
Don Ronchail e Viglietti, domandò chi fossero, che ufficio avessero,
e ne li complimentò. Al segretario raccomandò con sentimento
la persona di Don Bosco e, fatto un saluto, si ritirò. Attraversando
le sale, Don Bosco era oggetto di penosa compassione da parte di numerose
dame, che lo vedevano camminare a stento e con chiari indizi di sofferenza.
Doveva partire per Cannes; ma poichè vi era tempo, fece una visita
alla casa delle Agostiniane, ritiro di ricche dame, e diede ivi udienza
particolare ad alcune signore. Dopo
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si filò alla stazione, dove un gruppo di signori e signore lo
attendeva per augurargli il buon viaggio.
Prese il treno in compagnia del solo Viglietti. All'arrivo il marchese
Gaudemaris gli offerse la sua carrozza, sulla quale lo condusse a pranzo
nel suo villino. Accomiatatosi da quell'ottima famiglia, il Santo andò
a dormire nel pensionato Montplaisir, tenuto dalle dame Ausiliatrici
in una villa sfarzosa presso la stazione; le religiose però abitavano
in una casa vicina. Nella loro cappella celebrò il dì
seguente; poi cominciarono le udienze, continuate fino a mezzogiorno.
Fu a colazione dalla Contessa di Villaroi nella sua villa detta del
Gran Pino, e anche qui accordò udienze. Quando fece ritorno alle
Ausiliatrici, il cortile era stipatissimo di gente che al suo passaggio
s'inginocchiava sulla ghiaia per essere benedetta. Distribuì
medaglie e poi ricevette fino a, notte. Don Viglietti la mattina dopo
informava Don Rua: “ Mi preme darle notizie di Don Bosco, il quale
dorme nella camera attigua alla mia, nella gran villa del Pensionato
delle Ausiliatrici [ ... ]. Don Bosco è stanco, ma grazie a Dio
e alle preghiere dei giovani dell'Oratorio è abbastanza bene
in salute. Dice che venga presto a Marsiglia, cioè il 1°
o il 2° giorno di aprile, perchè preme la partenza per Barcellona
”.
Molte persone si raccolsero il 29 nella cappella dell'ospedale per ascoltare
la sua Messa; poscia egli si ritirò in casa del cappellano monsignor
Guigou. Il zelante Cooperatore si vide ben presto in serio impiccio,
perchè il piacere di albergare Don Bosco gli fu turbato dall'irrompere
dei molti che seguivano dappertutto il Santo e gl'invasero senza riguardi
l'abitazione. Venne pure la Principessa di Caserta, sorella di Francesco
V, ultimo Re di Napoli. Là gli si portò una giovane stesa
sopra un lettuccio e legata, perchè la prendevano facilmente
le convulsioni. I genitori afflittissimi lo pregavano di benedirla.
Egli li esaudì e poi domandò: - Da quanto tempo tiene
il letto questa fanciulla?
- Da cinque anni, rispose il padre.
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- Avete fede in Maria Ausiliatrice? - Sissignore, rispose il padre.
- Se avete fede, sciogliete la fanciulla da quei legami, fatela vestire
in questa camera qui accanto e vedrete che si alzerà e camminerà
senza bisogno di aiuto.
- Oh, ma questo è impossibile, scattò la madre. I medici
non vogliono che la si tocchi. È impossibile; e poi non si può
assolutamente muovere.
- Ma fate come vi dico! ripetè Don Bosco.
Allora l'inferma stessa disse: - Ma abbiate fede, papà: credete
a Don Bosco, provate a obbedirgli: slegatemi, e io guarirò. -
Dopo qualche esitanza, il padre la slegò. Poi essa prese le poche
vesti che aveva sul letto, se le indossò da sola, si levò
su e si mise a camminare, dicendo: - Vedete, papà, vedete, mamma,
come cammino bene! Sono guarita.
La madre poco mancò che svenisse per lo stringimento di cuore
prodottole dalla eccessiva gioia e il padre sembrava interdetto; la
figlia invece li pregava di aiutarla a portarsi a casa il suo letticciuolo,
perchè voleva andarci con le sue gambe. Il padre ne la dissuadeva,
pretendendo che si ricoricasse per essere riportata da loro. - Don Bosco,
che dobbiamo fare? - domandò la fanciulla. - Ecco, rispose il
Santo, andatevene a casa con vostro padre e vostra madre e ringraziate
Maria Ausiliatrice.
È facile immaginare quello che successe fuori, quando si vide
uscire dalla camera il letto vuoto e dietro camminare con passo fermo
la fanciulla. Subito furono portati altri infermi; ma Don Bosco disse:
- Qui è tempo di fermarsi! E prese a ordinare determinate preghiere
da recitarsi per lungo spazio di tempo a fine di ottenere la grazia.
Una signora spettatrice della scena sopra descritta mandò a prendere
un suo figlio con tutto il letto e lo fece portare davanti a Don Bosco;
ma egli lo benedisse in fretta, gli assegnò alcune pie pratiche
per un certo numero di giorni e dando buone speranze di guarigione,
si allontanò.
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A mezzodì accettò di far colazione nella bellissima villa
del signor Potron, donde restituitosi presso monsignor Guigou, dovette
appagare i desideri a un'infinità di persone. Entravano a gruppi
nella sua camera, ricevevano con la benedizione una medaglia e tosto
uscivano. Infine si recò a visitare sua Altezza reale la principessa
di Hohenzollern Antonia di Braganza, sposa del principe Leopoldo e fervente
cattolica, che gradì assai di essere fatta Cooperatrice salesiana.
Di là proseguì verso la stazione, ossequiato colà
da molti signori, fra i quali spiccavano il Principe e la Principessa
di Caserta, che gli baciarono con venerazione la mano. A Cannes ancor
più che a Nizza la carità gli era stata larga di sussidi.
Da Nizza aveva scritto il venerdì 26 ai conti Colle: “
Lunedì sera, a Dio piacendo, sarò da loro e potremo comodamente
discorrere delle cose nostre. Se possono prepararmi un altare, dirò
volentieri la santa Messa in casa; altrimenti starò ai loro ordini
”. La sera del giorno stabilito giunse a Tolone. - Cenò
con quei cari signori, che secondo il solito, attratti dalla soavità
del suo conversare, non si staccarono da lui prima della mezzanotte.
Nella lettera citata egli aveva pure scritto: “ Martedì
verranno da Hyères a Tolone per farci una semplice visita il
conte Du Boys e sua figlia. Sono benefici e ottimi cattolici e non danno
soggezione ”. Arrivarono difatti e il conte li invitò a
pranzo, come pure il curato di S. Luigi e altri amici. Il Du Boys pregò
Don Bosco di dargli alcune medaglie di Maria Ausiliatrice e avutele
narrò come ad una medaglia di Maria Ausiliatrice egli andasse
debitore della vita. Tre anni avanti, caduto dall'altezza di più
metri, si sarebbe dovuto sfracellare, tanto più con il grave
peso di 79 anni sopra le spalle; ma, toccato il suolo, non sentì
altro male che lo sbalordimento causato dal capitombolo. Il portentoso
fatto era da attribuirsi, secondo lui, all'avere in dosso la medaglia
di Maria Ausiliatrice.
Nelle conversazioni con i Colle molto si era discorso della
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biografia di mamma Margherita, che Don Lemoyne stava preparando. Il
Conte aveva tanta impazienza di leggerla che la voleva ad ogni costo
veder pubblicata presto; ne avrebbe sostenute lui stesso le spese, ma
ne voleva la sollecita pubblicazione. Perciò Don Viglietti scriveva
subito all'autore: “ Don Bosco mi comanda di scriverle quanto
qui segue in lettera espressa ed io ubbidisco ” . Ed esposta la
volontà del Conte, proseguiva: “ Don Bosco dice che: Sia
come si vuole, corretta o non corretta, si parli poco o molto di lui,
questo non gl'importa, ma vuol avere quanto prima questa soddisfazione.
Se non basta un comando, dice che lo supplica come di un favore, che
lasci ogni altra occupazione, ma faccia la volontà del padre
che lo ama come il più caro a lui di tutti i Salesiani. Questo
è quanto Don Bosco vuole ch'io le dica ” .
Un desiderio di Don Bosco valeva per dieci comandi. Infatti Don Lemoyne
in una lettera del 23 aprile diceva a monsignor Cagliero: “ Sono
dietro a finire in furia la vita di mamma Margherita, perchè
penso di offrirla a Don Bosco per S. Giovanni ” . E in quel giorno
gliela offrì (I).
Lo scrittore vi fa in questa forma la presentazione della madre di Don
Bosco: “ Non ricca ma con un cuor di regina, non istrutta in scienze
profane ma educata nel santo timor di Dio, priva ben presto di chi dovea
essere il suo sostegno, ma sicura coll'energia della sua volontà
appoggiata all'aiuto celeste, seppe condurre a termine felicemente la
missione che Dio aveale affidata ”. Il libro incontrò largo
favore; rispondeva infatti alla legittima curiosità di quanti
desideravano sapere chi e come avesse formato Don Bosco fanciullo.
Quella biografia piacque moltissimo a Don Bosco, che ne leggeva spesso
qualche pagina piangendo, com'ebbe a
(I) Scene morali di famiglia nella vita di Margherita Bosco, Torino,
1886, Tip. Salesiana. Il 19 aprile Viglietti scriveva da Sarrià
a Don Lemoyne: “ D. Bosco dice che riguardo alle particolarità
della morte di mamma Margherita potrà con frutto interrogare
D. Giacomelli ”.
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dire egli stesso un giorno all'autore. E avendogli questi manifestato
quanto quelle lacrime di consolazione e di affettuosi ricordi fossero
care a lui, che n'era la causa, il buon Padre, stringendogli la mano,
gli disse: - Grazie! - nè altro aggiunse.
Da Tolone Don Bosco partì quella sera per Marsiglia. Nel suo
scompartimento viaggiava un povero sofferente, che gemeva in modo da
muovere a pietà. Conosciuto Don Bosco, gli si gettò ai
piedi, invocandone la benedizione. L'ebbe, si sentì meglio, donò
a Don Bosco cento franchi e poi recitò il rosario intero, la
qual cosa diceva di non aver più potuto fare da gran tempo. Il
Servo di Dio lo assicurò che avrebbe continuato a migliorare.
Nella stazione di Marsiglia gli diedero il benvenuto la famiglia Olive
e il parroco Guiol. Un entusiasmo indescrivibile infervorò il
ricevimento nell'oratorio di S. Leone. Sul cader del giorno tutta la
casa si raccolse intorno a lui per celebrarne l'arrivo con una festosa
accademia (I). Un bel particolare fu che gli Venne presentata la somma
di mille franchi, frutto di piccoli risparmi impostisi dai giovani di
Marsiglia, di Parigi, di Lilla e della Navarra per aiutarlo nell'erezione
della chiesa del Sacro Cuore a Roma. L'iniziativa della colletta era
partita dagli alunni del S. Leone.
I giornali cittadini annunziarono la presenza di Don Bosco; onde la
casa in certe ore del mattino e della sera sembrava presa d'assalto.
Il Servo di Dio, benchè stanco, non voleva scontentare nessuno;
anzi, per non cagionar pena a quei di casa, dissimulava la sua stanchezza,
narrando loro a mensa piacevoli episodi della sua vita (2).
Per ripigliare il viaggio aspettava Don Rua, che arrivò a sera
inoltrata del 2 aprile. D'accordo con lui decise di partire
(I) App., Doc. 7.
(2):Allora fu che raccontò l'episodio dell'argenteria da tavola
a Aix in casa del barone Martini, come riferisce Don Viglietti nel diario
(cfr. vol. XIV, pag. 30).
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per Barcellona il giorno 7, prendendo posto in un vagone con letti.
Nell'attesa Don Rua studiava lo spagnuolo, usando come libro di lettura
l'opuscolo del Vescovo di Milo, da noi citato nella Prefazione del volume
precedente (I).
Diciamo qualche cosa di questa operetta. Chi è Don Bosco? quale
fondamento ha la sua riputazione di uomo straordinario? che cosa si
deve pensare dell'Opera salesiana e del suo autore? Eran queste le domande
che si movevano dagli Spagnuoli, dacchè due case di Don Bosco
facevano parlare di sè nella loro patria; a queste domande si
propose di rispondere l'autore in tre lunghi capitoli che hanno l'andamento
e l'orditura di tre vere conferenze. 11 denso volumetto si chiude con
la ristampa di tre articoli pubblicati da Monsignore nel 1880 sulla
Revista popular di Barcellona (2) sotto il titolo di Don Bosco y los
Talleres salesianos. Egli dice d'aver fatto uno studio attento dell'Istituzione
salesiana ed è persuaso di rendere con il suo lavoro un segnalato
servigio alla Chiesa “a cui appartiene la gloria dell'illustre
sacerdote ” e un servigio non minore alla società a cui
vantaggio ridonda tutto quello che contribuisce a divulgare e favorire
le sante imprese d'un uomo così insigne, autentico rappresentante
della carità cristiana ” (3). La freschezza dello stile
fa che queste pagine si leggano volentieri anche oggi (4).
Don Bosco non affettava punto d'ignorare questa e altre simili pubblicazioni,
ma le riguardava dall'alto. Don Evasio Rabagliati, in un suo ritorno
dall'America, disse al Servo di Dio che aveva letto quel libro e che
gli era piaciuto molto.
- Ebbene, gli rispose Don Bosco, fanne la traduzione.
(I) Monsignor Spinola, prima titolare di Milo e ordinario di Coria,
poi Vescovo di Malaga, Arcivescovo di Siviglia e infine Cardinale, era
Prelato di così santa vita che è in corso il processo
per la sua beatificazione e canonizzazione. Con l'intuito dei Santi
egli comprese a pieno la santità di Don Bosco e la grandezza
della sua missione, come appare anche dal suo libro Don Bosco y su Obra.
(2) Num. 708, 709, 710.
(3) Introducción, pag. 10.
(4), Ne diamo un saggio in App., Doc. 8.
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Ormai tu e Don Lasagna fra tutti i Missionari americani siete i soli
capaci di scrivere ancora correntemente in italiano. Così lo
faremo stampare.
- Ma come, Don Bosco? osservò con tutta confidenza Don Rabagliati.
Noi stessi fare le nostre lodi? Non le sembra una sconvenienza?
- Eh no, vedi; se non stampiamo noi, stamperanno gli altri, e il risultato
è lo stesso. Non si tratta ormai più di personalità;
si tratta di glorificare l'opera di Dio e non quella dell'uomo, perchè
è opera sua quanto si è fatto e si fa.
Una signora, certa Elisa Blanch, affetta da alienazione mentale, condotta
il 3 aprile alla presenza di Don Bosco, nell'istante medesimo che era
da lui benedetta, ricuperava l'uso della ragione.
Nemmeno questa volta mancò a Marsiglia qualche caso di guarigione.
Un giorno si presentò a Don Bosco una buona donna che soffriva
già da parecchi anni per forte mal di capo e lo scongiurava di
benedirla e di farglielo cessare. Egli prima di darle la benedizione
le suggerì di recitare tre Ave Maria per un dato tempo. In un
attimo il dolore sparì; onde la donna felice e contenta promise
che prima di notte avrebbe portato un'offerta di cento franchi in segno
di gratitudine. Se non che, tornata in famiglia, per la gran gioia dimenticò
e la preghiera e la promessa. Ben presto per altro se ne dovette ricordare;
poichè, risvegliatosi il male, ci vide il dito di Dio per non
aver mantenuta la parola. Quindi qualche giorno dopo era nuovamente
da Don Bosco a compiere il suo dovere, partendone risanata.
La signorina di Gabriac era gravemente inferma di consunzione. Saputo
che Don Bosco si trovava a Marsiglia e avendo sentito raccontare di
numerose guarigioni da lui operate, gli fece dire che l'avrebbe veduto
molto volentieri. Abitava in via Santa Filomena denominata oggi dal
dottor Escat, nella villa occupata al presente dalla clinica Blanchard.
Il Santo per appagarne il desiderio l'andò a visitare. Essa lo
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pregò senz'altro di guarirla. - lo non sono mica un guaritore
- le rispose egli. Tuttavia soggiunse: - Noi ora pregheremo Maria Ausiliatrice
e io le darò in suo nome la benedizione. Fece recitare tre Ave
Maria e benedettala si ritirò. Quattro giorni dopo, mentr'egli
celebrava per lei la Messa, come le aveva promesso di fare, la malattia
fu arrestata e la signorina guarì così bene, che si sposò
ed ebbe due figli sanissimi.
I Santi posseggono il segreto meraviglioso di rappacificare i cuori
divisi. Madama Broquier, devota cooperatrice, aveva una figlia, che
per cagione di suo marito si era inimicata con lei e col padre; da lungo
tempo più non esistevano cordiali rapporti fra le due famiglie.
Don Bosco, vedendo come i genitori fossero addolorati per tale discordia,
si offerse a fare da paciere. I coniugi Broquier contentissimi diedero
un pranzo in suo onore, invitandovi per suggerimento di lui solamente
la figlia e il genero. Questi, attratti dal pensiero di potersi trovare
a mensa con Don Bosco, accettarono di buon grado l'invito. Era già
un gran passo. Durante il pranzo Don Bosco non disse nulla che alludesse
agli affari domestici, ma sempre faceto rallegrava tutti con i suoi
motti gioviali. Alle frutta però, alzando il bicchiere, fece
un brindisi alla pace, alla concordia, all'affetto di famiglia, ma in
modo così gentile e insinuante, che tutti rimasero commossi,
anzi rapiti; alla fine si abbracciarono e la pace fu fatta.
Il lunedì 5 aprile monsignor Vescovo cresimò nella cappella
dell'oratorio una trentina di ragazzi, dopo la qual funzione s'intrattenne
alquanto con Don Bosco. In casa si celebrava quel giorno la festa di
S. Giuseppe, occasione propizia per invitare i principali benefattori
alla mensa di Don Bosco e per tenere una conferenza ai Cooperatori.
Un eletto uditorio di signori e signore ascoltò il conferenziere
e vivamente si commosse alle parole che il Santo volle rivolgere loro
in fine; giacchè, ricordando la carità dei Marsigliesi,
egli s'intenerì a segno, che i singulti gl'impedivano ogni tanto
di continuare.
Dedicò il giorno 6 alle signore del comitato. Celebrata per
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loro la Messa, le radunò per la prima volta non più presso
il parroco di S. Giuseppe, ma nel salone dell'oratorio, “ più
accessibile, notano i verbali, che non la canonica alle gambe sofferenti
del santo fondatore ”. Vi si trattò in primo luogo dell'acquisto
di un vicino terreno, essendoci vera necessità di ampliare il
fabbricato per non dover respingere troppe domande. - Al momento non
è cosa possibile, disse Don Bosco. Bisogna anzitutto che si pensi
a pagare i debiti. Conosco anch'io le difficoltà dei tempi; molti
che vorrebbero fare la carità, non possono. Ringraziamo la divina
Provvidenza degli aiuti datici finora. Ho parlato con Don Albera e ho
veduto cha la casa ha settanta mila franchi di debito vecchio, proveniente
dalle costruzioni eseguite. Pagato questo, si potrà con i soccorsi
della carità far fronte alle spese ordinarie. Io vado a Barcellona
e là spero di trovar danaro. - Allora l'abate Guiol lo interruppe
e ricordando come Don Bosco avesse detto nella conferenza che avrebbe
voluto stendere non due, ma tre mani per chiedere la limosina, gli domandò
se di quelle tre mani una ne riservasse per l'oratorio di San Leone.
- Tutt'e tre rispose prontamente Don Bosco, mostrandosi pieno di fiducia
nel buon risultato del suo viaggio. Infatti da Barcellona mandò
in una volta sola diecimila franchi a Don Albera.
A giustificare la sua fiducia narrò un fatto provvidenziale.
- Quest'inverno, disse, Don Albera mi pressava a spedirgli danaro. Raggranellato
quanto potei, mi trovai appena con millecinquecento franchi, la metà
dei tremila che ci volevano. Arriva la posta con lettere dalla Russia,
dall'Austria e financo dall'Africa centrale. Le apro, e vengono fuori
certe sgorbiature di segni strani, che si sarebbero dette scritture
diaboliche. Nessuno di noi le sapeva decifrare; fortunatamente si potè
avere un interprete. Una signora pagana scriveva dicendo d'aver sentito
nominare una signora che concedeva grazie grandi e si chiamava Santa
Vergine; sapere essa che si aveva bisogno di danaro e che Don Bosco
non poteva an -
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dare dalle sue parti; vi mandasse invece qualche compagno a battezzare
lei e altre persone; gli si pagherebbe il viaggio; inviargli intanto
un'offerta. Fu difficile il cambio, perchè s'ignorava il valore
di quella moneta; ma quando si tirò la somma delle varie offerte
di tante provenienze, ecco i millecinquecento franchi precisi che mancavano,
e il più consolante si era che tutti mandavano per riconoscenza
di grazie ottenute mediante l'intercessione di Maria Ausiliatrice. Ella
è che protegge la nostra opera. - Ciò detto, passò
a dar notizie sui progressi delle Missioni salesiane in Patagonia e
sull'andamento dell'oratorio di S. Leone, conchiudendo così con
la sua abituale bonarietà: - Fin d'adesso v'invito tutte a Torino
per la mia Messa d'oro nel 1891. Si prevedono per quella festa cose
dell'altro mondo. Ci saranno duemila cantori, verrà monsignor
Cagliero, primo Vescovo salesiano, a capo d'un coro di Patagoni. - Nei
verbali però si soggiunge che Don Bosco lasciò trapelare
il dubbio di non potersi trovare presente alla festa. Prima che si togliesse
la seduta, il parroco Guiol gli rimise un'offerta di mille franchi.
Quel giorno Don Bosco andò a pranzo dal signor Olive. Apertasi
la porta che dava nella sala dov'era imbandita la mensa, un oh! di meraviglia
sfuggì a quanti accompagnavano il Santo: apparvero là
entro silenziosi e festanti i novizi della Provvidenza. Il signor Olive,
quello del mezzo pollastro per tutti i giovani di Valdocco, aveva procurato
a Don Bosco la bella sorpresa (I). I figli del padrone di casa servirono
i convitati.
(I) L'abate Guiol aveva festeggiato con i novizi alla Provvidenza San
Francesco di Sales, manifestando poi alle signore del comitato le sue
impressioni nella seduta del 5 febbraio. Quello che disse è molto
interessante. “ Ces enfants étaient vraiment admirables
et pénétrés de cet esprit de Don Bosco, qui est
un esprit particulier. Don Bosco a voulu faire servir la jeunesse par
la jeunesse et une jeunesse pieuse, ou par ses prêtres élevés
dans son esprit et formés par lui; les enfants, grandis dans
cette atmosphère, pénétrés de ces idées,
sont admirablement disposés à l'apostolat. Ils sont formés
à la pénitence, à la prière, au renoncement,
vertus éminemment requises pour faire un bon prêtre, et
préparer ensuite la jeunesse au devoir et à la vie chrétienne:
c'est l'oeuvre que le comité a la mission et la consolation de
soutenir, et pour laquelle son dévouement doit s'employer ”.
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Sparsasi in città la notizia che Don Bosco sarebbe partito il
giorno 7, crebbe l'affluenza all'oratorio; al momento poi di partire
nel cortile dell'istituto s'addensava una massa compatta. Gli fecero
ala al passaggio i giovani interni, visibilmente addolorati. Ne aumentò
il dolore la parola di addio usata da Don Bosco: - A rivederci in Paradiso.
- Don Viglietti scrive che all'udirla quei buoni figliuoli piansero.
E ne avevano ben donde; poichè non avrebbero riveduto mai più
sulla terra l'amato Padre. Un ricordo indimenticabile che fu l'ultimo
aveva lasciato ai Confratelli della casa rivolgendo loro nell'andar
via queste parole in italiano: - Rammentatevi che siete fratelli.
Presso il treno erano convenuti i più intimi amici con le loro
famiglie. Il capostazione, che per lui e per i suoi due compagni aveva
fatto trovare un bellissimo scompartimento riservato, gli mosse incontro
con i principali impiegati della ferrovia a presentargli ossequi e auguri;
la sua signora gli offerse un vago mazzo di fiori. Al fischio della
locomotiva felicitazioni e applausi si levarono a Don Bosco. Il buon
Don Albera, rimasto ivi con in mente la visione della sua figura affranta
e con un gran timore che il viaggio gli avesse a far male, si sentì
il cuore gonfio e grosse lacrime gli rigarono le gote.
CAPO III
Diario barcellonese.
ALL'ORATORIO si dubitava sempre fortemente che la salute permettesse
a Don Bosco di spingersi fino al di là dei Pirenei. “ Se
ciò sarà, scriveva Don Lazzero a monsignor Cagliero il
28 marzo, si potrà con tutta verità chiamare un miracolo,
giacchè, umanamente parlando, considerato lo stato fisico di
Don Bosco, sarebbe cosa da neppur sognare ”. Tuttavia, esprimendo
il pensiero comune, conchiudeva: “ È l'uomo della Provvidenza,
e tanto basta ”. Ma ad onta di tutti i timori egli non si arrestò
a mezza via.
Port - Bou è la prima stazione spagnuola che il viaggiatore incontra,
varcando la frontiera francese dalla parte prospettante il golfo del
Leone. Nel tragitto da Marsiglia il treno di Don Bosco impiegò
undici ore, essendo partito alle cinque pomeridiane del 7 aprile per
giungere ivi alle quattro del mattino seguente. Furono colà solleciti
a dargli il benvenuto Don Branda e un signor Suñer di Barcellona.
Questo signore era intendente di una ricchissima famiglia barcellonese,
che sperava dal Santo una grazia segnalata, come diremo a suo luogo.
Egli richiese per sè un'intera vettura a salone e v'introdusse
Don Bosco e i suoi due compagni, che vi trovarono ogni comodità
immaginabile per ristorarsi e per riposare. Don Bosco per l'estrema
debolezza non potè a meno di rompere il digiuno; Don Rua invece,
desiderando anche ad ora tarda celebrare la Messa, non toccò
cibo nè bevanda.
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La ferrovia, costeggiato un po' il Mediterraneo, s'interna alquanto
e dopo un buon tratto riesce nuovamente sulla costa. Qui in una stazione
secondaria salì Don Narciso Pascual, genero di donna Dorotea,
insieme con un figlio. Padre e figlio conoscevano già Don Bosco,
essendo stati a Torino nel 1884.
Nel cambiare treno si era unito a Don Bosco anche un passeggero messosi
in viaggio contemporaneamente a Marsiglia. Mancava poco alla partenza
da quella città ed egli stava già seduto al suo posto,
quando l'aveva colpito un grande frastuono; affacciatosi allo sportello,
aveva inteso che partiva anche Don Bosco. Tante cose sapeva già
sul conto suo; onde ardeva del desiderio di avvicinarlo. A Port - Bou
fu appagato. Il signor Suñer che lo conosceva, si offerse a presentarlo
e lo fece in lingua francese; ma il presentato compiè la presentazione
parlando italiano. Allora Don Bosco gli disse: - Ella non si separi
da me; ci faremo compagnia nel rimanente del viaggio. - Quegli, contento
come una pasqua, non si staccò più dal suo fianco. Dopo
un buon tratto di amena conversazione, Don Bosco s'addormentò
fino allo spuntare dell'alba. Quel cortese signore, vistagli una scarpa
slacciata, si chinò per legargliela; il che eseguì con
grande suo piacere, nonostante l'opposizione del Santo. A Barcellona
Don Bosco scese dal treno, sostenendosi al suo braccio e nell'accomiatarlo
gli disse: - Domattina l'aspetto a Sarrià. Desidero di darle
la comunione. - “ Non occorre ch'io dica, scrive egli (I), che
prima dell'ora fissata me n'andai alla casa salesiana di Sarrià
”.
Con il piccolo stato maggiore sopra descritto Don Bosco, fece dunque
il suo ingresso nella capitale della Catalogna. Da alcune settimane
i giornali ne avevano annunziata la venuta, accompagnando la notizia
con informazioni sulla sua persona e sulle sue opere; quando poi fu
noto il giorno del
(I) Relazione del sig. Gio. Batt. Montobbio Villavecchia all'Ispettore
Don Calasauz, Barcelona, 6 Junio 1934. Il sig. Montobbio, vivente e
oriundo genovese, è il viaggiatore qui sopra menzionato.
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suo arrivo, si mossero anche da Madrid, da Siviglia e da altre principali
città nobili personaggi e cospicue rappresentanze tanto del clero
che del laicato per recargli l'augurale saluto. I Barcellonesi, fieri
dell'onore di accoglierlo in mezzo a loro, gli fecero una di quelle
pubbliche manifestazioni con cui avrebbero accompagnato il ricevimento
di un sovrano. A migliaia si riversarono verso la stazione, signori
e popolani mescolati insieme. In uno spazio riservato si schierarono
ordinatamente i capi delle società cattoliche e personalità
rappresentative del mondo scientifico, civile, politico e religioso.
Il Governatore vi rappresentava la Regina Maria Cristina, reggente per
il nascituro Alfonso XIII. Monsignor Vescovo, assente dalla sua residenza,
aveva dato incarico al Vicario Generale di fare le sue veci, e questi
era là con un imponente corteggio di ecclesiastici. Avanzatosi
Don Bosco, gli si parò dinanzi uno spettacolo di straordinaria
grandiosità. La quale grandiosità acquistava un carattere
assolutamente nuovo dal singolare contrasto fra la solennità
dell'accoglimento e l'umiltà dell'accolto, che, atteggiato a
modestia, cadente della persona, quasi smarrito al cospetto di siffatta
moltitudine, passava con volto placido, rivelando però nel lampo
degli occhi quale grande anima si nascondesse in quel misero frale.
Dimentico della stanchezza che gli opprimeva le membra, si porgeva calmo
e cortese a quanti si sforzavano di accostarlo per umiliargli ossequi
o per rivolgergli una preghiera. Secondo i casi e gl'incontri rispondeva
a ognuno o con un semplice inchino del capo o con uno sguardo amorevole
o con una cortese parola, mentre un sorriso grazioso gl'infiorava le
labbra. Ma di quel passo non avrebbe mai raggiunto una delle cinquanta
e più carrozze che si disputavano il privilegio di portarlo in
città attraverso a quel mare di gente. Con l'aiuto di volonterosi
vi pervenne alfine dopo circa un'ora. Nella gara per la preferenza la
scelta cadde di pien diritto sulla vettura della mamma dei Salesiani,
che ne gioì al sommo,
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lieta già per le parole rivoltele da Don Bosco al primo vederla,
poichè le aveva detto: - Oh signora Dorotea! Ogni giorno io pregava
Iddio che mi facesse la grazia di conoscere lei prima di morire.
Condotto al palazzo della nobile dama, si ritirò nella camera
assegnatagli, sentendo estremo bisogno di quiete; frattanto Don Rua
celebrava la Messa nella cappella domestica con l'assistenza di tutti
coloro che avevano fatto fin là scorta d'onore a Don Bosco. Il
Servo di Dio comparve poscia nella sala, dove i rappresentanti di parecchie
illustri case volevano ossequiarlo. Pranzò poi in quella patriarcale
famiglia; indi, ricevute alcune visite, montò in carrozza per
recarsi al collegio di Sarrià.
A Sarrià il nome di lui era benedetto insieme con il nome di
Maria Ausiliatrice specialmente per un fatto, che non dal solo popolino
si riteneva prodigioso. L'anno innanzi il colera aveva gravemente afflitta
Barcellona, mentre Sarrià, distante pochi chilometri e frequentata
ogni giorno da migliaia di persone che venivano dal luogo infetto, ne
era stata salva. Donna Jesusa de Serra, acquistato gran numero delle
medaglie di Maria Ausiliatrice che Don Bosco assicurava essere antidoto
contro il morbo, aveva mandato i suoi due figli José e Sebastian
a sotterrarle lungo le strade conducenti da Barcellona a Sarrià,
e in Sarrià non si dovette lamentare nemmeno una vittima.
Nel collegio, Don Bosco giungeva aspettato come il Messia. L'anno prima
i giovani gli avevano spedito per S. Giovanni un loro disegno con la
figura di una locomotiva in corsa e con questa scritta: Da Torino a
Barcellona. Il loro sogno era finalmente realtà. Quante novene
avevano fatte, quante mortificazioni praticate per ottenere dal Cielo
la grazia che Don Bosco arrivasse sano e salvo in mezzo a loro! Quindi,
appena udito che la grazia stava per essere concessa, si diedero attorno
a fine di preparargli degna accoglienza.
Il cortile era magnificamente adornato; ma più di tutti
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i festoni e i fiori attrassero la sua attenzione i visi aperti e sereni
dei giovani, che con gli occhi puntati su di lui non si saziavano di
rimirarlo. Ecco il padre, pensavano, ecco il santo, ecco l'operatore
di miracoli del quale tante cose avevano lette e udite! Un bell'inno
accompagnato dalla banda musicale elevò in alto i cuori, vibranti
di gioia e di gratitudine. Una folla stipatissima si accalcava dentro
e fuori della casa.
I primi passi furono diretti alla cappella per render grazie a Dio del
felice viaggio con tante suppliche impetrato. Vi si cantò un
mottetto appositamente composto sulle parole Ego sum pastor bonus; poi
Don Bosco impartì ai giovani e a tutti gli altri la benedizione
di Maria Ausiliatrice. Diede quindi Don Rua la benedizione col Santissimo,
assistendolo il Vicario Generale della diocesi e un professore del seminario
teologico. La commozione unita agli effetti degli strapazzi di quella
notte e di quel giorno avrebbe finito con sopraffarlo, se il Viglietti,
sempre pieno di attenzioni e di premure, non l'avesse dopo alcune brevi
udienze sottratto di là e introdotto nella sua camera. Le stanze
che dovevano servire per lui e per i suoi due compagni erano state scopate,
arredate, ammobiliate, pulite dalla stessa signora Dorotea con l'aiuto
delle proprie figlie:
Il Correo Catalan, uscito la sera, dopo aver descritto l'arrivo, diceva:
“ L'intera Barcellona, rappresentata da tutte le e lassi sociali,
ha ricevuto con gioia la visita d'un sì virtuoso sacerdote, al
quale noi diamo il nostro cordiale benvenuto e, se fosse possibile,
desidereremmo che la sua permanenza fra noi si prolungasse molto ”.
Il pessimo tempo, durato quasi tutta la mattina seguente, contrariò
i Barcellonesi, ma favorì Don Bosco, perchè, non essendovi
affluenza di visitatori, egli ebbe agio di riposare alquanto. Non fu
più così nel pomeriggio: l'anticamera gli si riempì
di signori e di signore, appartenenti alla prima nobiltà. La
diversità della lingua non gli dava impiccio alcuno; infatti
il Viglietti scrisse nel diario: “ Don Bosco parla in
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italiano e tutti con vera meraviglia lo intendono; egli poi intende
assai bene lo spagnuolo ”. Don Rua invece, dacchè aveva
posto piede nella Spagna, non aveva parlato più se non spagnuolo,
e maneggiava con tanta disinvoltura quella lingua da far stupire chi
sapeva averla egli appresa in pochi giorni e sopra una di quelle grammatichette
da quindici centesimi edite dal Sonzogno di Milano (I).
Nessuna lontananza, nessun incalzarsi di vicende valeva a distrarre
totalmente il pensiero di Don Bosco dall'Oratorio. Ecco quello che verso
sera il Viglietti scriveva da parte di lui a Don Lemoyne: “ Grazie
a Dio Don Bosco sta bene, e mi incarica di dire che quantunque sia in
altre terre e fra altre genti, il suo cuore e la sua mente è
sempre nel caro nido dell'Oratorio ”.
Nel nostro racconto procederemo da qui innanzi narrando i fatti secondo
la successione dei giorni. Sarà il diario barcellonese del viaggio
di Don Bosco nella Spagna. È vero che egli soggiornò a
Sarrià; ma sebbene questa popolazione, non ancora assorbita come
oggi dalla città, formasse un comune a parte, tuttavia si considerava
quale vero sobborgo di essa.
SABATO 10 APRILE
Nella notte dal 9 al 10 aprile Don Bosco fece un nuovo sogno missionario,
che raccontò a Don Rua, a Doli Branda e al Viglietti, con voce
rotta a volte dai singulti. Il Viglietti lo scrisse subito dopo e per
ordine suo ne inviò copia a Don
(I) Quel giorno, 9 aprile, scrivendo a Don Bonetti, cominciava la lettera
così: “ Muy querido Don Bonetti. En el viaje yo pude leer
al amado Padre nuestro la historia del Oratorio. El ha sido mucho severo,
y me sugerió varias modificaciones, corno tú encontrarás
en las estampas; entre otras la de suprimir el nombre y hasta la inicial
del Professor que vino a visitarnos, y la historia de la muerte de Farini
y de Cavour ”. Erano bozze della Storia dell'Oratorio di S. Francesco
di Sales, parte seconda, capo XVI, uscito poi nel Bollettino di agosto.
Come si vede, la pubblicazione di Don Bonetti era sorvegliata da Don
Bosco e da Don Rua. Il nome del professore si può leggere in
LEMOYNE, M. B., vol. VII, pag. 445. Della fine dei due uomini politici
si narra ivi, vol. VI, pag. 688, e pag. 962 - 63.
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Lemoyne, affinchè se ne desse lettura a tutti i Superiori dell'Oratorio
e servisse di generale incoraggiamento. “ Questo però,
avvertiva il segretario, non è che l'abbozzo di una magnifica
e lunghissima visione ” . Il testo che noi pubblichiamo è
quello del Viglietti, ma un po' ritoccato da Don Lemoyne nella forma
per renderne più corretta la dizione.
Don Bosco si trovava nelle vicinanze di Castelnuovo sul poggio, così
detto, Bricco del Pino, vicino alla valle Sbarnau. Spingeva di lassù
per ogni parte il suo sguardo, ma altro non gli veniva fatto di vedere
che una folta boscaglia, sparsa ovunque, anzi coperta di una quantità
innumerevole di piccoli funghi.
- Ma questo, diceva Don Bosco, è pure il contado di Rossi Giuseppe
(I): dovrebbe ben esserci!
Ed infatti dopo qualche tempo, scorse Rossi il quale tutto serio stava
guardando da un lontano poggio le sottostanti valli. Don Bosco lo chiamò,
ma egli non rispose che con uno sguardo come chi è soprapensiero.
Don Bosco, volgendosi dall'altra parte, vide pure in lontananza Don
Rua il quale, allo stesso modo che Rossi, stava con tutta serietà
tranquillamente quasi riposando seduto.
Don Bosco li chiamava entrambi, ma essi silenziosi non rispondevano
neppure a cenni.
Allora scese da quel poggio e camminando arrivò sopra un altro,
dalla cui vetta scorgeva una selva, ma coltivata e percorsa da vie e
da sentieri. Di là volse intorno il suo sguardo, lo spinse in
fondo all'orizzonte, ma, prima dell'occhio, fu colpito il suo orecchio
dallo schiamazzo di una turba innumerevole di fanciulli.
Per quanto egli facesse affine di scorgere donde venisse quel rumore,
non vedeva nulla; poi allo schiamazzo succedette un gridare come al
sopraggiungere di qualche catastrofe. Finalmente vide un'immensa quantità
di giovanetti, i quali, correndo intorno a lui, gli andavano dicendo:
- Ti abbiamo aspettato, ti abbiamo aspettato tanto, ma finalmente ci
sei: sei tra noi e non ci fuggirai!
Don Bosco non capiva niente e pensava che cosa volessero da lui quei
fanciulli; ma mentre stava come attonito in mezzo a loro contemplandoli,
vide un immenso gregge di agnelli guidati da una pastorella, la quale,
separati i giovani e le pecore, e messi gli uni da una parte e le altre
dall'altra, si fermò accanto a Don Bosco e gli disse: - Vedi
quanto ti sta innanzi?
- Sì, che lo vedo, rispose Don Bosco.
(I) Di quella terra Don Bosco per ischerzo aveva creato conte il coadiutore
Rossi.
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- Ebbene, ti ricordi del sogno che facesti all'età di dieci
anni? - Oh è molto difficile che lo ricordi! Ho la mente stanca;
non ricordo più bene presentemente.
- Bene, bene: pensaci e te ne ricorderai.
Poi fatti venire i giovani con Don Bosco gli disse: - Guarda ora da
questa parte, spingi il tuo sguardo e spingetelo voi tutti e leggete
che cosa sta scritto... Ebbene, che cosa vedi?
- Veggo montagne, poi mare, poi colline, quindi di nuovo montagne e
mari.
- Leggo, diceva un fanciullo, Valparaiso.
- Io leggo, diceva un altro, Santiago.
- Io, ripigliava un terzo, li leggo tutt'e due.
- Ebbene, continuò la pastorella, parti ora da quel punto e avrai
una norma di quanto i Salesiani dovranno fare in avvenire. Volgiti ora
da quest'altra parte, tira una linea visuale e guarda.
- Vedo montagne, colline e mari!...
E i giovani aguzzavano lo sguardo ed esclamarono in coro: - Leggiamo
Pechino.
Vide Don Bosco allora urla gran città. Essa era attraversata
da un largo fiume sul quale erano gittati alcuni grandi ponti.
- Bene, disse la donzella che sembrava la loro maestra; ora tira una
sola linea da una estremità all'altra, da Pechino a Santiago,
fanne un centro nel mezzo dell'Africa ed avrai un'idea esatta di quanto
debbono fare i Salesiani.
- Ma come fare tutto questo? esclamò Don Bosco. Le distanze sono
immense, i luoghi difficili e i Salesiani pochi.
- Non ti turbare. Faranno questo i tuoi figli, i figli dei tuoi figli
e dei figli loro; ma si tenga fermo nell'osservanza delle Regole e nello
spirito della Pia Società.
- Ma dove prendere tanta gente?
- Vieni qui e guarda. Vedi là cinquanta Missionari in pronto?
Più in là ne vedi altri e altri ancora? Tira una linea
da Santiago al centro dell'Africa. Che cosa vedi?
- Veggo dieci centri di stazioni.
- Ebbene, questi centri che tu vedi, formeranno studio e noviziato e
daranno moltitudine di Missionari affine di provvederne queste contrade.
Ed ora volgiti da quest'altra parte. Qui vedi dieci altri centri dal
mezzo dell'Africa fino a Pechino. E anche questi centri somministreranno
i Missionari a tutte queste altre contrade. Là c'è Hon
- Kong, là Calcutta, più in là Madagascar. Questi
e più altri avranno case, studi e noviziati.
Doli Bosco ascoltava guardando ed esaminando; poi disse: - E dove trovare
tanta gente, e come inviare Missionari in quei luoghi? Là ci
sono i selvaggi che si nutrono delle carni umane; là ci sono
gli eretici, là i persecutori, e come fare?
- Guarda, rispose la pastorella, mettiti di buona volontà. Vi
è
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una cosa sola da fare: raccomandare che i miei figli coltivino costantemente
la virtù di Maria.
- Ebbene, sì, mi pare d'aver inteso. Predicherò a tutti
le tue parole.
- E guardati dall'errore che vige adesso, che è la mescolanza
di quelli che studiano le arti umane, con quelli che studiano le arti
divine, perchè la scienza del cielo non vuol essere con le terrene
cose mescolata.
Don Bosco voleva ancora parlare; ma la visione disparve: il sogno era
finito.
Mentre Don Bosco raccontava, i tre ascoltatori esclamarono a più
riprese: - Oh Maria, Maria! - Il Santo, quand'ebbe finito, disse: -
Quanto ci ama Maria! - Parlando poi di questo sogno con Don Lemoyne
a Torino, prese a dire con tranquillo, ma penetrante accento: - Quando
i Salesiani saranno nella Cina e si troveranno sulle due sponde del
fiume che passa nelle vicinanze di Pechino!... Gli uni verranno alla
sponda sinistra dalla parte del grande Impero, gli altri alla sponda
destra dalla parte della Tartaria. Oh! quando gli uni andranno incontro
agli altri per stringersi la mano!... Quale gloria per la nostra Congregazione!...
Ma il tempo è nelle mani di Dio!
Il medesimo Don Lemoyne nel mandare copia del sogno a monsignor Cagliero
scriveva il 23 aprile a proposito della parte ivi rappresentata da Don
Rua, vicario di Don Bosco, e da Giuseppe Rossi, provveditore generale:
“ Io come interprete noterò: Don Rua è la parte
spiriuale sopra pensiero, Rossi Giuseppe la parte materiale pur essa
imbrogliata. L'avvenire deve consolare l'uno e l'altro ”. E così
realmente fu.
Un buon commento a quel punto del sogno, dove si parla del Cile, balza
fuori da quanto si riferisce nel Bollettino di settembre del 1887. Descrivendosi
un viaggio compiuto da monsignor Cagliero con monsignor Fagnano nella
repubblica transandina, si narra che a Santiago il senatore Valledor
pregava i Salesiani di accettare la direzione dell'orfanotrofio governativo,
costituendosi padri di tanti fanciulli dai sette ai dieci anni, e che
andati essi a visitare l'istituto, si sentirono
75
leggere da un orfanello queste parole in un'accademiola: - Sono due
anni che piangiamo e preghiamo, perchè Don Bosco ci dia un padre.
- Non basta. Monsignor Fagnano, intrattenutosi con i ragazzi, parlò
con alcuni semplicetti che gli dicevano: - Le fanciulle hanno la madre
(alludevano alle suore), ma noi non possiamo avere un padre. Nostro
padre è Don Bosco, ma finora non è arrivato. - A Valparaiso
poi nel giorno del loro arrivo più di duecento fanciulli correvano
dietro ad essi gridando: - Finalmente sono arrivati i nostri padri!
Domani potremo andare a scuola. Oh che piacere! - Vedendo e udendo queste
cose, essi pensavano a quanto avevano letto nel sogno, tanto il fatto
rispondeva alla predizione (I). Nei primi giorni gli alunni di Sarrià
fecero gran festa. La prima volta che la banda musicale eseguì
alcune sonate dopo il pranzo, Don Bosco a ciascuno dei sonatori diede
con le sue mani un dolce. “ Questi giovani, scriveva il Viglietti
(2), sono fuori di loro dalla gioia per la presenza di Don Bosco, il
quale sta assai bene ed è molto allegro ”.
Poichè il flusso e riflusso dei visitatori sarà quotidiano,
noi non istaremo a ripetere sempre la medesima cosa. Talora passavano
a mo' di corrente che non s'interrompeva mai, ma più sovente
inondavano a guisa di piena. La religiosità radicata nell'anima
spagnuola si esaltava in vicinanza di un sacerdote che godeva tanta
fama di santità.
Anche a Barcellona come a Marsiglia le Cooperatrici Salesiane avevano
costituito un comitato di circa trenta dame, tutte non meno caritatevoli
che nobili, e aiutavano con zelo la casa di Sarrià. Le presiedeva
donna Dorotea. Ogni quindici giorni regolarmente si riunivano per esaminare
i bisogni e avvisare ai mezzi; anzi lavoravano esse stesse con le proprie
mani intorno alla biancheria. Don Bosco le convocò e parlò
in italiano, ringraziandole della carità con cui si pro-
(I) Lett. di Don Rabagliati a Don Bosco, Concepción del Cile,
14 maggio 1887
(2) Lett. a Don Lemoyne, Barcellona, 10 aprile 1888.
76
digavano a vantaggio della sua opera e predisse che fra non molto la
casa di Sarrià, ampliata secondo il bisogno, sarebbe occupata
da cinquecento giovani, ai quali esse avrebbero estesa la loro benevola
e benefica protezione.
Donna Dorotea da vera madre pensava a tutto che potesse occorrere a
Don Bosco, a Don Rua e al segretario Viglietti. Quindi li provvedeva
della biancheria personale, ne visitava le camere, badando che ogni
cosa fosse netta e in ordine, e per questi servizi aveva destinata una
sua fantesca; mandava pure una sua cuoca per cucinare le vivande, confezionandone
talune ella medesima.
Venne a visitare Don Bosco il marchese Brusi, direttore del Diario de
Barcelona, foglio assai diffuso, e uscì dalla camera tutto commosso.
Nel numero del giorno pubblicò un articolo con l'esatta e particolareggiata
descrizione dell'arrivo di Don Bosco a Sarrià.
DOMENICA II APRILE.
Allora, come dicevamo, Sarrià formava un comune autonomo con
una popolazione fluttuante, che in certe stagioni raggiungeva la cifra
di venticinque mila. L'alcade con la giunta municipale e le primarie
autorità si recarono ufficialmente a ossequiare Don Bosco, per
il quale manifestarono tutti la più grande venerazione. L'alcade
specialmente dichiarò che ringraziava il Cielo d'aver donato
a Sarrià una casa salesiana e promise che il municipio l'avrebbe
protetta sempre e con tutte le forze. Dal Santo quei signori ricevettero
con gradimento una medaglia di Maria Ausiliatrice e poi la sua benedizione.
Più tardi fu bello vedere con quanto interesse ascoltassero insieme
la parola di lui il Direttore del Correo Catalan, uno stuolo di studenti
universitari e i rappresentanti delle scuole serali barcellonesi. Partiti
questi, entrò il Provinciale dei Gesuiti con alcuni Padri.
77
Sull'annottare la banda diede concerto nel cortile illuminato e la
giornata si chiuse con i fuochi d'artifizio. Essendosi dovute lasciar
aperte le porte per non iscontentare nessuno, accorse una fiumana di
gente. Anche Don Bosco volle godere dello spettacolo, ma con riguardo
a' suoi occhi, che aperse quasi solamente per mirare un bel pallone
elevarsi nell'aria recando scritto a grossi caratteri il suo nome venerato
e infine librarsi maestoso sulla città di Barcellona.
LUNEDI’ 12 APRILE.
Il Diario suddetto in un secondo articolo tesseva gli elogi dì
Don Bosco, della sua opera mondiale e dei Talleres di Sarrià.
Nella sua visita del dì innanzi il Direttore del giornale aveva
ammirato nella fisionomia di Don Bosco il riflesso, oltrechè
della santità, anche di un'intelligenza superiore e di una volontà
indomita.
Quanto gradiva sempre Don Bosco gl'incontri con exallievi dell'Oratorio!
Uno di questi, certo Giacomo Gherna, domiciliato a Barcellona, si affrettò
a rivederlo e a ribaciargli la mano Egli pativa da anni dolori alle
gambe, soffrendo talmente, che gli costò non poco quell'andata
a Sarrià. Come fu alla presenza del suo benefattore, gli fece
la storia della proprie sofferenze. - Ma lascia un po' andare, gli disse
Don Bosco, sta' tranquillo! - E così parlando gli toccò
le ginocchia. Quindi presero a rievocare le memorie dei primi tempi
dell'Oratorio, ricordando episodi e persone. Il Gherna si rammentava
benissimo d'aver detto nel 1860 a Don Bosco nell'atto di congedarsi:
- Venga poi a Barcellona! - Al che Don Bosco: - E chi sa? - gli aveva
risposto, ma con un tono da lui ritenuto sempre come affermazione di
cosa sicura. - Or ecco, esclamava, che quel chi sa si è avverato!
Di discorso in discorso la mente del vecchio discepolo si veniva popolando
di molti cari ricordi, sicchè dopo se ne tornò speditamente
a Barcellona senza nemmeno accorgersi di essere guarito, tanto andava
assorto nelle dolci rimem -
78
branze degli anni trascorsi sotto la direzione paterna di Don Bosco.
Avvertì di esser libero dal suo male quand'era già in
città; dal momento che il Santo gli aveva posate sulle ginocchia
le mani, non aveva sentito più nulla, nè in seguito ebbe
più a sperimentare molestie di quella fatta. Altre infermità
gli sopravvennero nel corso della vita; ma di quella restò sempre
immune. Così attestava Don Rinaldi.
MARTEDÌ 13 APRILE.
Una lettera circolare, compilata da Don Lemoyne e firmata dal prefetto
generale Don Durando, comunicava a tutte le case della Congregazione
le notizie più rilevanti sul viaggio di Don Bosco fino al suo
arrivo nel collegio di Sarrià. Una seconda lettera dello stesso
genere sarà spedita il 5 maggio.
Un altro giornalista, il Direttore della Revista popular, dottor Sardà
y Salvayan, visitò Don Bosco, che lo volle seco a pranzo. Dalle
tre alle sei pomeridiane, secondo calcoli fatti, passarono circa duemila
persone. Una giovane sui quindici anni che aveva mano e gamba destra
rattrappite, venuta con la madre, domandava a Don Bosco la benedizione.
Egli la benedisse e poi la interrogò:
- Dove vi sentite male?
- Qui, nella mano, rispose; non la posso muovere.
Così dicendo, non s'avvedeva che la alzava e la mostrava aperta
davanti a una trentina di visitatori. Don Bosco sorrideva, mentr'essa
confusa provava la sensazione di non averla ancora flessibile; ma il
Santo gliele fece giungere tutt'e due, ordinandole di dire con lui:
- O Maria, guaritemi! - Poi le ordinò di recitare ogni giorno
fino al Corpus Domini, tre Pater, Ave e Gloria non per ottenere la guarigione,
ma in ringraziamento della guarigione ottenuta. Infatti anche la gamba
doveva avere le sue articolazioni snodate, se la fanciulla potè
andarsene senza zoppicare.
Quel tal soprintendente recatosi con Don Branda a rice -
79
vere Don Bosco presso la frontiera gli portò una lettera di
Don Jovert, marchese di Gélida, suo signore, che molto umilmente
si raccomandava alle sue preghiere (I). Il Santo gli rispose di proprio
pugno, assicurandolo che avrebbe pregato e chiedendogli che si scegliesse
un giorno per fare la comunione e che glielo indicasse, perchè
nella stessa mattina egli avrebbe celebrata la Messa secondo le di lui
intenzioni.
La lettera del Marchese, conosciuta che fu in famiglia, destò
nei parenti viva impressione a motivo dei religiosi sentimenti, ivi
manifestati, giacchè da lungo tempo egli più non si confessava.
Ma c'era dell'altro. Questo signore, tutto dedito al commercio marittimo,
possedeva una grande fortuna; lo travagliava però una manía
che formava la sua infelicità. La si potrebbe chiamare coprofobia;
facilmente infatti s'immaginava che le cose fossero lorde di sterco.
Non mangiava con la famiglia. Saputo che la madre di sua moglie era
stata una volta a Sarrià, luogo, secondo lui, pieno di sporcizia,
non la voleva più vedere, e guai perciò se essa ardisse
toccare la figlia! Egli di tratto in tratto conosceva a pieno la sua
condizione, tant'è vero che aveva promesso in voto un milione
per edificare un ospedale, se ottenesse la grazia di essere liberato
da si morbosa follia. Il male aveva avuto principio dopo una caduta.
Anni addietro, mentre andava con la sua signora a Lourdes, il cavallo
impennato si era lanciato a pazza corsa, precipitando finalmente in
una voragine. La bestia erasi sfracellata, il Marchese invece aveva
riportato appena qualche lieve contusione al fianco. Siccome la dirupata
balza misurava non meno di duecentocinquanta metri, la gente superstiziosa
lo credette indemoniato. Allora i suoi familiari avevano riposto ogni
speranza in Don Bosco; egli tuttavia rifiutava di riceverlo, per aver
appreso dai giornali che il Santo sarebbe venuto dall'abbominata Sarrià.
La sua signora per altro, in compagnia dell'intendente, era
(I) App., Doc. 9.
80
già stata di nascosto a vedere Don Bosco, ritornando consolatissima
da un lungo colloquio avuto con lui. Le pareva dunque che fosse già
una mezza grazia l'avere suo marito scritto così spontaneamente
e così piamente al Servo di Dio.
Un vecchio colonnello nell'impeto della sua fede volle a ogni costo
baciare a Don Bosco i piedi. Dopo entrò una famiglia composta
di ventidue persone. Allorchè tutti s'inginocchiarono per essere
benedetti, egli, rivolgendosi a una signora che stava in mezzo ai presenti,
le disse: - Lei non s'inginocchi. - Un incomodo alle gambe non le avrebbe
permesso d'inginocchiarsi se non forse con estremo disagio; ma a lui
chi l'aveva detto? La cosa non mancò di produrre sorpresa e commozione.
MERCOLEDÌ 14 APRILE.
Molti ascoltarono la Messa di Don Bosco, che distribuì circa
duecento comunioni. A mezzogiorno donna Dorotea gli procurò un
riposante svago nella sua villa, cinta da vasto parco e con un giardino
rallegrato dalla varietà di animali rari. Salendosi la scala
che metteva negli appartamenti, si passò davanti a un grande
specchio sul primo pianerottolo. Don Bosco, rivoltosi a coloro che gli
erano venuti incontro, disse: - Bisogna poi ricordarsi d'invitare al
pranzo anche quegli altri signori. - E indicava le persone riflesse
nello specchio.
Si rise dello scherzo che gli diede motivo di raccontare piacevolmente
un aneddoto accaduto a Marsiglia qualche anno innanzi in un negozio
di abiti. Egli aveva condotto con sè l'abate Martiri, curato
della parrocchia, dalla quale dipendeva la casa della Navarra. Uomo
della più schietta semplicità, trovatosi ivi di fronte
a una grande specchiera, confuso e distratto si tolse il cappello al
sacerdote che credeva d'aver incontrato e che era invece la sua propria
figura. Contemporaneamente l'immaginato forestiere gli aveva naturalmente
corrisposto il saluto. Il buon prete, avviatosi
81
verso la porta d'entrata, faceva cerimonie. - Passi lei diceva gestendo.
L'altro ripeteva i medesimi segni senza parlare. - Ma no, ripigliava
il curato, prego, passi prima lei. La scena durò alcuni minuti,
mentre Don Bosco stava collocato in modo che non potesse lo specchio
riflettere la sua persona e rideva. Ridevano allora anche quei signori,
udendo il piacevole racconto.
Non lungi dalla villa sorgeva un collegio femminile aristocratico, diretto
dalle religiose del Sacro Cuore. Pregatone andò a visitarlo.
Tutta la comunità scese a riceverlo nella porteria, mentre le
alunne interne attendevano sulla terrazza dinanzi alla sala di studio.
Ecclesiastici e persone esterne in buon numero vi si erano riuniti per
vederlo da vicino e averne la benedizione. Egli si avanzava a passo
lento, sorretto dalle braccia di Don Rua e di Viglietti e conversando
affabilmente con la superiora, Madre di Bofarull. Nel giardino lo stuolo
delle alunne esterne gli procurò una bella improvvisata, poichè
intonarono con molto garbo sul noto motivo popolare la lode torinese
a Maria Consolatrice. Posto piede nell'istituto, si sedette per prendere
un tantino di riposo.
Era ivi fra gli astanti la madre di un'alunna, che nel breve giro di
due settimane aveva perduto due figli. Profittando di quel momento,
si prostrò ai piedi del Santo, gli narrò le sue sventure
e lo supplicò di guarirle la figlia maggiore, così ottusa
di mente, che, sebbene quattordicenne, non poteva essere ammessa alla
prima comunione. Don Bosco, intenerito al dolore della povera signora,
chiamò a sè la fanciulla, le diede una medaglia e poi,
stendendo la destra sul capo di lei, proferì ad alta voce la
formula della benedizione, e promise di domandare la grazia desiderata,
se la cosa fosse per tornare a maggior gloria di Dio. Rivoltosi quindi
alla madre che si struggeva in lacrime, le disse: - Abbia fiducia; la
figlia farà la comunione. - Nè aggiunse altro. La predizione
si avverò; infatti la bambina potè finalmente accostarsi
alla sacra mensa e pochi mesi dopo Dio la chiamava a sè.
6 - CERIA, Memoriebiografiche, Vol. XVIII.
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Fra la commozione generale Don Bosco si rimise in cammino verso la
terrazza. Sul punto di varcare la soglia, ecco le note della banda salesiana
che dal giardino rallegrava la scena. Cessato il suono, due alunne si
fecero avanti. Una a nome delle compagne presentò a Don Bosco
un'elegante borsa con dentro un'offerta; l'altra gli lesse un indirizzo
(I). Quindi parlò Don Bosco, raccomandando loro di frequentare
i sacramenti. Sfilarono infine tutte a una a una per ricevere dalle
sue mani la medaglia di Maria Ausiliatrice.
Fra le convittrici si trovava la piccola Mercedes S. di otto anni, un
fiore di giovinetta, ma zoppa dalla nascita. Suo padre, che aveva quell'unica
figliuola, che cosa non avrebbe fatto per rimediare a quella fisica
imperfezione! Egli sperava allora in un miracolo, e la bimba vi si era
preparata con una novena di preghiere. Il Santo, a cui fu presentata
per la benedizione, com'ebbe udito di che si trattava, rispose: - No,
questo non sarebbe per suo bene (2).
Nello studio lo aspettavano le Suore, un'ottantina all'incirca, che
gli fecero dono di un artistico ostensorio. Ricevettero anch'esse la
medaglia e la benedizione. Una delle presenti, da lungo tempo malata
senza speranza di guarigione, aveva con uno sforzo sovrumano lasciata
l'infermeria ed erasi trascinata fino a Don Bosco per essere benedetta.
Pensava fra sè: - Chi sa? A volte le ore disperate sono le ore
di Dio. - Il Santo, quasi leggesse nella sua mente, le disse: - Figlia,
bisogna amare la croce, che Gesù ci mette sulle spalle. - L'inferma
capì, prese coraggio e si abbandonò completamente nelle
mani di Dio.
La Superiora non rifiniva di ringraziarlo della preziosa visita. L'anno
precedente essa gli aveva scritto quattro volte a Torino per ottenere
grazie speciali da Maria Ausiliatrice e sempre n'era stata esaudita.
Mentr'egli poi partendo attra -
(I) Il Viglietti, fattoselo date, lo portò a Torino; ma noi
ne abbiamo trovato solamente la traduzione italiana (App., Doc. 10).
(2) Per un caso simile. cfr. vol. XVI, pag. 203.
83
versava il giardino, si dovette permettere alle convittrici che uscissero
dallo studio per ischierarsi lungo il suo passaggio e allontanato che
fu, si affollarono sul terrazzo e sui poggiuoli più alti, donde,
agitando fazzoletti e veli, gridavano: - Viva, viva Don Bosco!
Un terzo articolo comparso nel Diario de Barcelona inneggiava a Don
Bosco e alle sue opere, specialmente alle sue scuole di arti e mestieri.
“ Un'aureola di santità, vi si leggeva, risplende sul suo
volto, riverbero delle sue cristiane virtù e della sua pura fede,
mediante le quali ha portato a felice compimento e continua a dirigere
con prosperi successi la sua opera di religione e di civiltà
”(I).
GIOVEDÌ 15 APRILE.
Oltre al già detto Comitato delle dame appartenenti alla nobiltà,
un altro ne esisteva di Cooperatrici, il cui ufficio era di questuare
per l'opera salesiana di Sarrià. Anche a loro il Santo volle
tenere una conferenza, nella quale spiegò in che consistesse
il cooperare con Don Bosco.
Un'adunanza di carattere diverso fu tenuta intorno a lui nelle ore pomeridiane.
Fioriva a Barcellona una Società Cattolica, che traeva i suoi
membri dal ceto alto della cittadinanza. Il suo Presidente si era trovato
alla stazione nel momento dell'arrivo di Don Bosco; poi nel pomeriggio
del io gli aveva condotto un gruppo di soci più eminenti, che
ebbero dal Santo un'udienza lunga e cordiale; infine si deliberò
d'indire una riunione solenne in suo onore. Un biglietto personale d'invito
chiamava a raccolta tutto il sodalizio per il 15 (2). La mattina del
14 i soci avevano assistito in corpo alla Messa di Don Bosco, servita
dal Presidente e dal Segretario; quindi tornarono alla sera nella sala
del teatro per un con -
(I) App., Doc. II.
(2) App., Doc. 12.
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vegno privato o conferenza religiosa, presente Don Bosco. Ma ben altro
apparato ebbe l'assemblea generale del 15.
Il Presidente con il Consiglio direttivo si portò a Sarrià
per prendere Don Bosco e accompagnarlo alla sede sociale. Erano tutti
in abito di cerimonia e recavano sul petto le insegne della Società.
Tre vetture aspettavano alla porta. Salirono nella prima Don Bosco,
Don Rua, il Vicario della diocesi e il provicario; nella seconda il
Presidente e il chierico Viglietti; nella terza gli altri. L'Associazione
si era fino allora adunata in un vecchio locale divenuto angusto per
il numero sempre crescente degli associati; onde se n'era allestito
uno nuovo, sontuoso, che si volle appunto inaugurare quel giorno con
la visita di Don Bosco. Tre grandi sale furono appena sufficienti a
contenere gli accorsi, perchè alquanti di essi vennero con le
signore.
All'entrare di Don Bosco si levarono tutti in piedi, mentre l'orchestra
intonava una marcia trionfale. Assiso ch'ei si fu sopra un'alta cattedra,
ascoltò il canto di una bella Salve Regina eseguita da una ventina
di giovanetti sotto la direzione dell'autore medesimo, il maestro Frigola,
salito allora in rinomanza anche fuori della Spagna. Poi il Presidente,
professore universitario, pronunziò un discorso nobile ed elevato.
Dopo l'intermezzo di una sonatina il segretario lesse l'atto, con cui
si dichiarava che l'Associazione, riunita a consiglio, aveva deliberato
di decorare Don Bosco delle insegne sociali. Si fecero quindi avanti
due distinti cavalieri, che gli appendettero al collo una gran medaglia
d'oro recante gli emblemi di S. Giorgio e di S. Giuseppe. Quando sul
suo petto brillò la fiammante insegna, un'ovazione entusiastica
salutò il novello socio. Anche qui spiccava più che mai
il contrasto già notato altrove dello sfarzo circostante e dell'umiltà
di Don Bosco nel suo atteggiamento.
Sentì il dovere di prendere egli pure la parola. La voce gli
venne robusta e la parola vibrata; il suo pensiero, benchè espresso
in italiano, fu agevolmente afferrato. Disse così:
85
Signori,
Vorrei possedere la vostra bella lingua patria per esprimere in essa
le mie idee. Non so dirvi ciò che in questi momenti sente il
mio cuore; sono estremamente commosso al considerare ciò che
questa riunione significa, e principalmente per l'onorificenza da voi
assegnatami.
Prometto di conservare questa medaglia come distintivo onorifico e glorioso;
vedendola ricorderò la nobile Associazione di Cattolici ed i
cattolici di Barcellona; arrivato a Torino, la mostrerò con orgoglio
a miei cari figli, raccomandando loro d'imitare le virtù dei
cattolici barcellonesi, e quando andrò a Roma e vedrò
il Santo Padre, gli dirò quanto lo ami a Barcellona l'Associazione
di Cattolici e tutto quello che essa fa a vantaggio della sana dottrina.
Rendo le più vive grazie al signor Presidente per le espressioni
d'immeritato elogio da lui indirizzatemi nel suo discorso, il cui principale
argomento è stato il grati frutto che reca alla società
moderna l'istituzione dei Talleres Salesiani
Ho un grande concetto dell'entusiasmo cattolico che qui regna e mi congratulo
con la città di Barcellona, che fu in ogni tempo una città
eminentemente pia e godo di credere che tale sarà sempre in avvenire,
meritando con questo gloriosi giorni.
Come popolazione industriale essa ha più interesse d'ogni altra
a proteggere i Talleres Salesiani. Da queste case escono annualmente
cinquantamila giovani utili alla società, i quali vanno nelle
officine e nei laboratori a diffondere le buone massime; così
stanno lontano dalle carceri e dalle galere e si cambiano in esempi
viventi di salutari princípi.
Il giovane che cresce per le vostre strade, vi chiederà da prima
una limosina, poi la pretenderà e infine se la farà dare
con la rivoltella in pugno.
Come risultato della missione incivilitrice dei Talleres, posso citare
il frutto che ottengono le Missioni Salesiane in Patagonia, dove la
religione di Gesù Cristo è già conosciuta e praticata
da più di quattordicimila indigeni.
Termino supplicando questa onorevole adunanza dell'aiuto delle sue preghiere,
affinchè Dio benedica i Talleres stabiliti nella vicina Sarrià,
destinati senza dubbio a migliorare la condizione degli orfani poveri
e abbandonati.
Tre volte lo interruppero gli applausi; ma più frequenti furono
i segni di viva commozione. Fattasi una colletta in favore dell'opera
salesiana, egli benedisse gli astanti e la seduta fu tolta. Ma allora
cominciò per lui la fatica più opprimente, perchè
l'intera assemblea si mosse e lo prese d'assalto,
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Non trattavasi di una folla qualunque, ma era un'eletta di persone
aristocratiche, le quali sapevano rispettare le convenienze; tuttavia,
considerato il gran numero, lo stancarono assai, perchè per contentare
ognuno, dava a chi la mano da baciare, a chi il conforto di una buona
parola, a chi una speciale benedizione.
Fino a Sarrià lo scortò il medesimo seguito di prima.
Non ne poteva proprio più; si mostrava per altro di buon umore.
Al Viglietti disse che, mentre lo colmavano di tanti onori, egli fra
sè e sè andava ruminando il celebre motto (I): Quam parva
sapientia regitur mundus!
La memoria dell'avvenimento è consacrata in un elegante opuscolo
che contiene, oltre il resoconto della straordinaria seduta, il discorso
presidenziale e tradotta in spagnuolo la breve parlata di Don Bosco
(2). 1 giornali si occuparono diffusamente del fatto.
VENERDÌ 16 APRILE.
Venne condotto a Don Bosco un ragazzino, che portava al collo un braccio
così distorto da non poterlo nè alzare nè muovere;
l'aveva in quello stato fin dall'infanzia. I genitori si raccomandavano
a Don Bosco, perchè benedicesse il loro figliuolo. Don Bosco
lo benedisse; poi gli ordinò di sciogliere il braccio, di battere
le mani palma a palma e di giungerle dicendo: - Maria, aiutatemi! -
Il fanciullo obbedì. Era il principio della guarigione completa.
Già per la terza volta il cappellano della Suore di Loreto ritornava
a pregare Don Bosco, che volesse andar a consolare la Superiora del
monastero afflitta da un cancro nè d'altro de -
(I) Il cancelliere svedese Ozenstiern a suo figlio che non voleva per
timidezza accettare l'ufficio di primo plenipotenziario della Svezia
al Congresso di Müster (1648) avrebbe detto: Videbis, fili mi,
quam parva sapientia regitur mundus.
(2) Acta de la Sesión solemne celebrada en 15 de Abril de 1886
por la Associación de Católicos de Barcelona para imponer
la insignia de la Corporación al ilustre y venerable presbítero
Sr. D. JUAN BOSCO, Fundador de los Talleres Salesianos, Barcelona, Tipografía
Católica, 1886.
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siderosa che di vedere lui prima di morire. Egli aveva fatto subito
rispondere che potendo sarebbe passato a visitarla e che intanto le
mandava una medaglia di Maria Ausiliatrice.
Il giovanetto Medina, barcellonese e povero, aveva un dito in cancrena
e i medici si disponevano a farne l'amputazione. Presentato a Don Bosco
e da lui benedetto, non sperimentò lì sul momento nulla
di nuovo; ma durante la notte gli si essiccò la piaga e il dito
guarì del tutto. Poco tempo dopo Don Branda lo accettò
nel collegio, dov'egli rimase soltanto alcuni mesi, perchè entrò
fra i Maristi e nel 1890, quando il Direttore narrò il fatto
a Don Lemoyne, studiava teologia.
SABATO 17 APRILE.
Gran banchetto in onore di Don Bosco presso Don Narciso. I convitati
erano tutti e soli parenti. Uno zio del padrone di casa gli lesse un
sonetto da lui composto (I). Al suo ritorno un mondo di gente lo aspettava.
DOMENICA 18 APRILE.
Migliaia di persone ingombravano la strada, il cortile, la sala d'aspetto
e le camere attigue. Bisognò affiggere alla porta della chiesa
un cartello indicante le ore in cui Don Bosco avrebbe dato la semplice
benedizione. “ Don Bosco è stanco e non troppo bene in
salute ” , scrisse il Viglietti nel diario.
LUNEDÌ 19 APRILE.
Don Bosco pensava alla casa di S. Benigno, vivaio della Congregazione,
e fece scrivere che pregava per quei chierici e che sperava di rivederli
presto. Udienze da mane a sera. Telegrafò a Rossi di spedirgli
medaglie in grande quantità e a grande velocità.
(I) App., Doc. 13.
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MARTEDÌ 20 APRILE.
“ Don Bosco è senza fiato e senza forze, nota il diarista,
soltanto a forza d'impartire benedizioni e di dire: Dios os bendiga
”. Ormai era costretto a benedire gente in massa. Ogni mattina,
finito di celebrare, benediceva coloro che riempivano la chiesa; usciti
quelli, ve ne entravano altrettanti per lo stesso fine. Quindi, raggiunta
a fatica la camera, dava subito principio alle udienze. L'amministrazione
della linea ferroviaria dovette moltiplicare a dismisura le corse da
Barcellona e viceversa.
Giunse il Vescovo di Vich, monsignor Morgadez y Gili, venuto appositamente
per vedere Don Bosco. Accolto al suono della marcia reale spagnuola,
si fermò a pranzo con due canonici che lo accompagnavano. Si
susseguirono parecchie illustri famiglie di Barcellona, fra cui quella
del Governatore. Arrivò pure il Vescovo della diocesi, monsignor
Català y Albosa. Data la mentalità del tempo, fu giudicato
colà atto di gran degnazione l'essere andato per il primo a visitare
Don Bosco, che non l'aveva preceduto, sapendolo fuori della sua residenza.
Monsignore gli dimostrò vero affetto e conversò con lui
per più di un'ora. In presenza sua fu letta la lettera di cui
era latore il segretario del ministro Silvela per l'affare dell'istituto
madrileno, come abbiamo narrato nel volume precedente. Le premure di
tanti personaggi nell'onorare Don Bosco accrescevano a mille doppi verso
di lui la venerazione del popolo che vedeva.
Descrivendo il viaggio parigino avemmo occasione di menzionare la signora
di Cessac, calda ammiratrice e generosa benefattrice di Don Bosco. Orbene
il giorno 20 egli ricevette da Parigi un telegramma che diceva: Viscomtesse
de Gessac très malade. Viscomte de Cessac. Dolente della notizia,
fece rispondere da Don Rua promettendo preghiere. Prima però
che la lettera partisse, un secondo telegramma annunziava:
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Hier instantainement dans la soirée j’ai été
guérie, ie mange et je bois; merci pour vos prières. Viscomtesse
de Cessac. In una lettera confidenziale del 30 aprile il marito descrisse
poi a Don Rua la malattia della consorte e il modo della guarigione,
avveratasi, a quanto parve, nel tempo in cui Don Bosco aveva pregato
per l'inferma. Non fu però cosa molto durevole. Il quadernetto,
in cui Don Bosco nel 1884 scrisse le lettere da copiare e inviare ai
principali benefattori dopo la sua morte, ne contiene una anche per
la di Cessac; ma il Santo stesso vi appose due anni appresso questa
annotazione, preceduta da croce: “ Requiescat in pace - 1886 ”.
Morì infatti la signora nell'autunno di quell'anno.
MERCOLEDÌ 21 APRILE.
Don Bosco si era mosso per recarsi a celebrare la Messa in casa della
marchesa di Comillas, quando nel discendere le scale gli si menò
davanti un'ossessa, che, appena lo vide, si gettò a terra e parve
svenire, mandando spuma dalla bocca e dibattendosi e scontorcendosi
come una serpe. Egli le diceva d'invocare Maria, essa invece urlava:
- No, no! - E poi per bocca sua lo spirito maligno ripigliava: - No,
non voglio uscire, non voglio partire. - Siccome la disgraziata aveva
nome Maria, Don Bosco la chiamava: - Maria, prendi questa medaglia.
- Ma essa non dava segno d'intendere. Finalmente Don Bosco la benedisse.
S'alzò allora la giovane, prese la medaglia che Don Bosco le
offriva, la baciò, entrò in chiesa e udì la Messa.
Sembrava guarita; infatti fece colazione tranquillamente, e tutto questo
alla presenza di molte persone. Coloro che l'accompagnavano, dicevano
di non averla vista da gran tempo così calma e n'erano stupefatti.
Per allora se ne tornò consolata a casa sua.
Fuori due vetture elegantissime stavano in pronto per portare il Santo
dalla Marchesa, che lo onorò come se fosse un Cardinale. Qui
cediamo la penna al Viglietti che scrive:
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“ Giungemmo al palazzo della Marchesa che davvero si può
chiamare una reggia. Vi sono grandi ricchezze, massime in capolavori
di arte, e saloni immensi. Ogni volta che qualche Principe o Re viene
a Barcellona, alberga presso la Marchesa. Tutto il servizio dell'altare
privato era splendidissimo; il messale era tutto foderato in oro e argento
cesellato e con incastri di perle preziose; il calice come la pisside
erano in oro massiccio, adorni di diamanti e smeraldi e topazi ”.
Durante il divino Sacrifizio vi fu canto con accompagnamento di armonio
e di pianoforte; ma tutta musica italiana. Vi assistevano circa duecento
invitati fra parenti e amici della Marchesa. Don Bosco dovette poi fare
la conoscenza di ciascuno, ricevendoli separatamente o a piccoli gruppi
fino alle undici. Di là andò a rendere la visita al Vescovo,
che lo accolse con vivo trasporto. Don Bosco vagheggiava il disegno
di fondare, come a Marsiglia, anche a Barcellona un noviziato o meglio
un collegio missionario nazionale e ne fece parola a Monsignore che
promise protezione e aiuto, dicendosi d'accordo con lui nel darvi principio
a Sarrià con un ginnasio che servisse a coltivare le vocazioni
ecclesiastiche. Sembrava che non volesse più lasciarlo partire.
Lo accompagnò, cosa inaudita, fino allo scalone. A pranzo Don
Bosco andò dalla marchesa di Moragas, suocera del signor Jobert.
Uscito di là si soffermò al convento delle Suore loretane
per confortare, come aveva promesso, la Superiora, ridotta ormai in
fin di vita da un'ulcere maligna. Le disse parole di grande consolazione
e la benedì. Quindi da tutta la comunità e dal cappellano
gli fu presentata una religiosa che da molto era condannata a stare
con le gambe accavalcate senza mai poter fare un passo nè muoversi.
Il giorno avanti, avvertita che Don Bosco sarebbe passato dinanzi alla
porta del convento, il quale dava stilla strada che mena da Barcellona
a Sarrià, si era fatta portar fuori sopra una barella per essere
da lui benedetta. A quella benedizione data così in passando
erasi sentita guarire, sicchè, alzatasi, camminava da sola con
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grande meraviglia di tutte le consorelle. Anche allora, alla presenza
di Don Bosco, si diede a correre e a spiccar salti con non ancora vinto
stupore di tutte, abituate da gran pezza a vederla sempre immobile.
Suor Candida, chè tale è il nome della graziata, vive
tuttora [1935] in un paesello vicino a San Sebastiano, inchiodata per
vecchiaia nel suo letto.
Fatto ritorno al collegio, vi trovarono strada e cortile ingombri di
gente e di vetture. Dentro stavano in attesa duecentocinquanta signori
della Società di S. Vincenzo de' Paoli. Don Bosco si presentò
subito a loro e li salutò affettuosamente, rallegrandosi della
loro fede e pietà. Disse dell'Opera Salesiana e dell'Opera loro,
mostrando come questa armonizzasse molto bene con quella. Seduta stante,
si fece una colletta, secondochè si costumava e si costuma nelle
singole riunioni dei soci formanti le varie conferenze. Infine Don Bosco
li benedisse e, donata a ognuno la medaglia di Maria Ausiliatrice, si
ritirò nelle sue stanze a ricevere quanti più poteva dei
moltissimi che erano impazienti di parlargli. “ Sono moltissime
le grazie, scrive il Viglietti, che ogni giorno si ricevono con la benedizione
di Maria Ausiliatrice impartita da Don Bosco, ed ogni giorno abbiamo
relazione di questi benefici effetti. Ma ormai è impossibile
tener nota di tutte ”.
GIOVEDÌ SANTO 22 APRILE.
Nella Spagna i tre ultimi giorni della settimana santa erano interamente
consacrati a opere di pietà, soprattutto alla ricordanza dei
misteri della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo.
Si sospendeva qualsiasi altra occupazione: non più visite, se
non per grave necessità; le corse ferroviarie e tramviarie ridotte
ai minimi termini; chiusi i negozi e le officine; affollatissime le
chiese. Furono dunque tre giorni di gran sollievo per lo stanco Don
Bosco, che potè godere un po' di quiete e trattenersi con i suoi
figli di Sarrià.
Ogni regola però ha la sua eccezione; infatti, nonostante
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le sospensioni delle visite, egli ricevette il signor Mas con la moglie
e il figlio. Questo signore dirigeva un rinomato cotonificio, il più
importante di Barcellona, là dove oggi ha sede l'Università
industriale. Uomo assai stimato e cattolico zelante, voleva una benedizione
speciale da Don Bosco per sè e per i suoi. Ricevuti non senza
difficoltà, stettero con lui nella sua stanza più di un'ora
e nell'accomiatarli il Santo tenne il signor Mas per qualche secondo
fortemente abbracciato, dicendogli all'orecchio certe parole non mai
rivelate interamente a nessuno. Soltanto due anni dopo, venuto in punto
di morte, chiamò la consorte e le disse di prepararsi anch'essa,
perchè di lì a poco tutt'e due, come gli aveva detto Don
Bosco, si sarebbero trovati all'eternità. La moglie infatti morì
un mese dopo.
Il defunto aveva lasciato al figlio Giuseppe un grande Crocifisso donatogli
dal Servo di Dio. Questo figlio che ora (1935) ha 73 anni, nel 1934,
colto da gravissima polmonite, da cui i medici non speravano più
di salvarlo, si mise quel Crocifisso al collo e in pochi giorni con
grande sorpresa dei sanitari perfettamente guarì.
Nel pomeriggio del giovedì santo Don Rua e il chierico Viglietti
furono accompagnati da Don Narciso alla città per la visita delle
sette chiese. A documento della tradizionale pietà spagnuola
ancor viva allora riproduciamo una pagina della corrispondenza del Viglietti
con Don Lemoyne. “ Quando ritornammo a Sarrià, scriveva
egli, abbiamo avuto un mondo di cose da raccontare a Don Bosco, perchè
davvero noi non credevamo che in Ispagna vi fosse tanta religione. Avevamo
veduta la truppa in grande uniforme andare ordinatamente guidata dagli
ufficiali alla visita dei sepolcri, le bandiere sui palazzi di città
e su quelli governativi velate a lutto: non una vettura per le vie,
non un rumore di voce e d'istrumento; ma tutte le strade stipate di
gente che con edificante pietà e con il rosario e il libro di
divozione in mano si recava alle chiese. Per questi tre giorni in Barcellona
non si trovano vetture,
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sono fermi i treni nelle stazioni. Oggi neppure alla posta si dà
corso alle lettere e tutte le fabbriche e botteghe sono chiuse. Solo
al mezzogiorno del sabato santo si rompe questo religioso, silenzioso
incanto. Il soldato spagnuolo ha obbligo di ascoltare ogni domenica
la santa Messa ”.
Ricomparve l'ossessa del giorno 21. Smaniava come un demonio; ma nuovamente,
ricevuta la benedizione, si riebbe, si strinse al petto e ripetute volte
baciò l'immagine della Madonna e ringraziava Doli Bosco.
VENERDÌ SANTO 23 APRILE.
Don Bosco trascorse la giornata nell'intimità con i suoi figli.
I giovani la mattina stettero fuori; ma nel pomeriggio fecero lungamente
compagnia a Don Bosco, che scherzava e passeggiava con loro nel cortile.
Poi andò nei due giardini attigui, percorrendoli in lungo e in
largo. Dopo visitò tutto il collegio, sempre accompagnato da
alunni. S'informò così d'ogni cosa e fece vari progetti
di costruzioni, proponendo la compera di un nuovo terreno adiacente.
SABATO SANTO 24 APRILE.
Don Bosco celebrò nell'oratorio privato di Don Narciso. Stando
in quella casa, udì i colpi di cannone che annunziavano l'alleluia
pasquale. Fu quasi il segnale per la ripresa dell'affollamento. Già
centinaia di persone lo aspettavano al ritorno, nè egli smise
di ricevere se non alle tredici e mezzo.
In seguito venne a conferire con lui un comitato di signori, che si
occupavano dei preparativi per una conferenza salesiana. Ragionò
con loro a lungo dell'Opera sua e del modo di sostenerla. Anche le signore
del comitato femminile, radunate in una sala a parte, avevano desiderio
di rivederlo; il Santo vi andò e le infervorò a perseverare
nella loro caritatevole attività. Nel frattempo la fiumana della
gente aveva inondato
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il recinto e i pressi del collegio; parecchie migliaia di persone vi
stavano agglomerate. Il riposo dei giorni antecedenti gli rese possibile
prolungare le udienze fino a tarda ora.
PASQUA 25 APRILE.
Una graziosa festicciuola accrebbe letizia alla Messa pasquale di Don
Bosco: faceva la sua prima comunione una nipotina di Don Narciso figlia
di Don Emanuele Pascual. Quest'altro dovizioso e fervoroso cristiano
amava molto i Salesiani, sicchè godeva di mettere a loro profitto
la sua grande influenza e largheggiava con essi in carità. Contento
che Don Bosco gli avesse comunicata la figlia, volle far stare allegri
tutti i giovani della casa, regalandoli di chicche.
Fra gl'invitati alla cerimonia vi era quel signor Montobbio, che aveva
viaggiato con Don Bosco. Dopo la Messa prese parte egli pure alla refezione.
Don Bosco sedeva al posto d'onore. A un certo punto trasse di tasca
il fazzoletto da naso. Il signor Montobbio, usando della confidenza
che il Santo gli dava, lo pregò di regalarglielo. Rispose: -
Si, ma a patto che mi dia un pezzo di carta. Quegli comprese di quale
carta parlasse; ma non avendo seco la somma che intendeva donargli,
promise che sarebbe tornato da lui un altro giorno con la carta: intanto
però gli lasciasse il fazzoletto. Don Bosco lo contentò.
Il fazzoletto è oggi religiosamente custodito quale reliquia.
Anche in sogno Don Bosco rivedeva l'Oratorio. Nella notte sul 25 gli
era parso di essere presente a una conferenza tenuta da Don Lemoyne
agli alunni della quarta e della quinta, e aveva notato come ne mancassero
molti; sceso poi in Maria Ausiliatrice durante la Messa della comunità,
aveva osservato una diminuzione considerevole nel numero delle comunioni;
appresso, ricevuto il rendiconto dei giovani suddetti, aveva dovuto
lamentare l'assenza di non pochi. Or -
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dinò di scrivere queste cose a Torino e di far sapere che al
suo ritorno avrebbe palesato a ciascuno la parte da lui rappresentata
nel sogno.
LUNEDÌ 26 APRILE.
Alla Messa Don Bosco distribuì gran numero di comunioni, finchè,
non potendo più reggere alla fatica, rimise la pisside ad un
altro sacerdote, il quale dovette lasciare la balaustra e inoltrarsi
nella chiesa fra la moltitudine, essendosi resa impossibile ai comunicandi
la circolazione. Dopo vi fu un'invasione vera e propria. Basti dire
che nel breve giro di un'ora egli vuotò sette grossi pacchi di
medaglie, non dandone più di una sola a ciascuno.
Che momento critico allorchè fece per salire in camera! Una barriera
umana gli sbarrava il passo. Quei di casa si guardavano attoniti, non
sapendo come venirgli in aiuto. Egli tuttavia sembrava la tranquillità
in persona. Unico spediente parve il dare tanto di catenaccio al portone,
affinchè almeno non s'entrasse più; quindi in parecchi
si lavorò di mani e di piedi per aprirgli un varco. Bisognò
armeggiare dalle dieci alle undici. Chiusolo poi in camera, vi s'introducevano
le persone a quaranta o cinquanta per volta. Egli benediceva tutti in
massa, dava a ognuno la medaglia, e via per lasciare il posto a un altro
gruppo eguale. A dodici riprese si ripetè quella manovra, tanto
da far passare coloro che si stipavano nell'interno del collegio; ma
fuori rumoreggiava una moltitudine assai maggiore, di cui più
tardi si regolò l'ingresso a fiotti, finchè scese la notte.
Nella cappella Don Rua faceva ai giovani la sua prima predica in lingua
spagnuola.
MARTEDÌ 27 APRILE.
Un forte raffreddore interruppe bruscamente il relativo benessere di
Don Bosco; tale incomodo però non lo distolse dal ricevere i
seminaristi di Barcellona. Altro di notevole non
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abbiamo da registrare per questo giorno se non la firma da lui apposta
sotto una circolare invitante a conferenza Cooperatori e amici per il
30 nella chiesa parrocchiale di Belén (I).
MERCOLEDÌ 28 APRILE.
Dovunque andasse, non mancavano mai a Don Bosco occasioni di farsi
consolatore degli afflitti. Il signor Ramón de Ponsich, venerando
vegliardo, ricco e senza figli, aveva perduto ai primi del mese la compagna
della sua vita; onde non faceva che piangere. Ricusava di prender cibo
e sonno, e si temeva che soccombesse a tanto dolore. Da lui medesimo,
non che dai parenti, si sperava che una visita di Don Bosco gli avrebbe
ridonato la pace. E Don Bosco si recò alle sette e mezzo del
mattino nel suo superbo palazzo, non molto distante dal collegio di
Sarrià. Ivi giunto, confessò il buon signore, disse per
lui la Messa e gli diede la santa comunione. Dopo se ne stette a discorrere
insieme per circa tre ore e pranzò con i suoi parenti. Quegli
durante la giornata non pianse più e in seguito la sua afflizione
era calma e rassegnata. Don Bosco gli scrisse poi da S. Benigno il 31
agosto, facendogli auguri per il suo onomastico e ricordandogli il suo
proposito di favorire i Missionari della Patagonia. L'autografo è
oggi molto logoro e quasi illeggibile, per essere stato usato come reliquia
su molti infermi.
È da contare anche un incontro un po' sui generis. Alcuni giorni
prima era stato da Don Bosco un prete a dirgli in gran confidenza che
la notte seguente sarebbe forse morto il parroco di S. Maria del Pino;
aver egli già ricevuto il Viatico e versa re in extremis. Essere
la sua parrocchia più ricca di tutte le altre, anzi la migliore
sotto qualunque aspetto. Chiedergli quindi una speciale benedizione
che facesse riuscire lui al concorso. Don Bosco gli rispose: - Eppure
questo parroco
(I) App., Doc. 14.
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mandò a me persone, le quali mi dicessero che, se io gli avessi
fatta una visita, egli sarebbe guarito. Sento che è un eccellente
sacerdote, uno di quelli dei quali la Chiesa presentemente ha gran bisogno.
Io pregherò per lui e solo da pochi istanti gli ho mandato una
medaglia di Maria Ausiliatrice. Sicchè facciamo così:
ella pure unisca le sue alle mie orazioni, affinchè Dio faccia
di lei e di questo parroco ciò che è meglio per la gloria
sua.
Per il concorso alla parrocchia si erano inscritti molti preti e parroci;
ma rimasero tutti burlati, perchè il 28 aprile si seppe che,
appena la medaglia toccò l'ulcere dell'infermo, egli, già
spedito dai medici e con i suoi momenti contati, era uscito di pericolo
e andava sensibilmente migliorando.
Da indagini fatte nell'archivio parrocchiale della chiesa del Pino risulta
che quel parroco si chiamava Francesco di Paola Esteve Nadal. Ora nei
giornali dell'aprile 1886 si legge che il parroco del Pino Don Francesco
Esteve era stato viaticato e nei registri dei morti presso la medesima
parrocchia il suo nome compare sotto l'11 aprile 1889. Campò
dunque ancora tre anni dopo la miracolosa guarigione.
Un bel colpo di scena accadde quella sera. Nella camera di Don Bosco
quaranta persone, benedette tutte insieme, gli sfilavano dinanzi per
ricevere la medaglia, quando si levò un grido generale. Una donna
rientrava ridendo in guisa da parere mentecatta e diceva: - Si facciano
raccontare da queste qui il mio caso; io dall'emozione non posso parlare.
Le indicate da lei erano due donne che l'avevano trasportata da Barcellona
a Sarrià, perchè ricevesse da Don Bosco la solita benedizione.
Precipitata per la scala di casa sua, erasi rotto un piede, che i medici
disperavano di poterle curare. Allora invece, benedetta dal Santo mentr'egli
andava su in camera, si era pochi minuti dopo rizzata in piedi senza
bisogno di chi la sostenesse. Passato il primo stupore, pazza dalla
gioia veniva gesticolando e gridando a quella maniera fra gli oh! e
gli ah! di quanti l'avevano commiserata pocanzi. Il
98
Viglietti volò a chiamare Don Rua e altri, perchè fossero
testimoni del fatto. Il suo nome era Rosa Tarragona y Doret, figlia
di Giuseppe e Serafina de Pons de Orbyod, nativa questa di Urgel. Se
n'andò a piedi e la dimane tornò ad ascoltare la Messa
di Don Bosco, sentendosi benissimo, come se per l'addietro non avesse
avuto alcun male.
GIOVEDÌ 29 APRILE.
Don Bosco insieme con Don Rua e Viglietti si recò dal presidente
del Banco di Barcellona, signor Oscar Pascual. Mentr'egli stava in quella
casa, venne introdotta una signora per avere la sua benedizione. Da
gran tempo le sue gambe erano irrigidite a segno che la poveretta non
poteva fare un passo. Don Bosco le assegnò una preghiera da recitarsi
fino a gennaio. Essa obbedì e al cominciare del nuovo anno cominciò
a uscire e a camminare. Cosi scrisse a Don Viglietti il I° gennaio
1887 la signora Consuelo Pascual de Martí (I).
Nel ritorno diceva: - Se io volessi aprire non solo i cuori, ma anche
le borse e avere danaro quanto voglio, non avrei che da pronunziare
queste vere parole: Se volete grazie da Maria Santissima Ausiliatrice,
date e certamente riceverete; e chi più dà, più
riceve. Ma questo non lo dico chiaramente per non spaventare e non indisporre
le autorità tanto governative che ecclesiastiche.
Le vicinanze del collegio somigliano a un gran campo di fiera. “
Giungono a Sarrià, scriveva il Viglietti a Don Lemoyne, vengono
al collegio e non trovando posto in casa, si seggono lungo i viali della
strada e pei rivacci di questa fanno la loro colazione il loro pranzo
e aspettano giorni interi per vedere Don Bosco. E dico vedere, perchè
introdotti cinquanta o
(I) Nella lettera diceva: “ Mas de pronto diga eso a D. Bosco,
esa seflora hacía muchísimos afios que no podía
dar un paso y ahora sale ya ed casa ”.
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sessanta per volta nella camera di Don Bosco per prendervi la benedizione
e ricevere dalle sue mani una medaglia, poi non vogliono più
allontanarsi. Io mi affanno, mi spolmono per far loro intendere che
se ne vadano e lascino ad altri il posto. - Ma che cosa fanno qui? -
domando. - Oh! vogliamo guardarlo, mi rispondono. È un santo!
è un santo! - Lo contemplano, piangono e intanto al solo baciare
i suoi abiti o ricevere la sua benedizione ottengono molte grazie di
guarigioni. Oramai non posso più tener conto di tutto ”.
Una donna il 28 dolorava per un cancro; i medici le consigliavano di
tentare l'operazione. Avuta la benedizione di Don Bosco e il dì
seguente sottoposta a nuova visita, fu dichiarata fuori di pericolo,
poichè l'ulcere si cicatrizzava. Fatti di tal natura si divulgavano
in un baleno. “ Ne parlano i giornali nelle loro colonne, continuava
il Viglietti; il Vescovo con quelli che lo visitano, il clero coi fedeli,
le famiglie coi parenti; ne parlano gli impiegati, i militari, gli operai.
Di qualunque affare si tratti, il discorso finisce sempre per cadere
lì”. Molti lo fotografavano, ritraendolo chi seduto nella
sua camera, chi nel discendere sorretto le scale, chi all'altare nell'atto
di distribuire la comunione. Nessuna meraviglia pertanto che il Vescovo,
punto facile a infervorarsi soverchiamente, dimostrasse per l'Opera
di Don Bosco un'ammirazione da far stupire. In una conferenza al suo
clero si dichiarò tutto per Don Bosco.
Questo stato degli animi era il miglior preparativo che si potesse desiderare
per la conferenza, al cui allestimento si adoperavano i signori del
Comitato. Divisi in più sottocomitati, visitavano le singole
famiglie, raccoglievano offerte, inscrivevano nuovi Cooperatori e invitavano
tutti all'adunanza. Don Manuel Pascual aveva dato loro una parola d'ordine,
con la quale si salutavano a vicenda incontrandosi per via. Uno diceva:
A solis ortu usque ad occasum. L'altro rispondeva: Salesiani sumus.
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VENERDÌ 30 APRILE.
Quindici giorni di siffatta preparazione sortirono il loro effetto;
fu anche una splendida dimostrazione di fede al cominciare del mese
mariano.
Benchè la conferenza fosse fissata per le quattro pomeridiane,
il parroco di Belén dovette aprire al tocco, se non voleva che
gli atterrassero la porta, e alle due e mezzo per evitare disgrazie
bisognò chiudere. Migliaia di persone strepitavano inutilmente
nella piazza e per le vie attigue. Nella chiesa, abbastanza vasta e
fornita dì ben trenta capaci tribune, la gente stava pigiata
oltre ogni dire.
Don Bosco, che aveva pranzato in casa di donna Dorotea, giunse con la
di lei carrozza. Non essendo possibile inoltrarsi per la navata, gli
si aperse un'entrata dalla parte della sacrestia. Si assise nel presbiterio
dal lato del vangelo, a destra del Vescovo, che aveva alla sua sinistra
Don Candido, abate della Trappa francese di S. Maria del Deserto a Tolosa
(I) e tutto intorno sedevano i dignitari del clero diocesano. In cornu
episiolae presero posto le autorità civili e militari con parecchi
Direttori di Società e di giornali. I Comitati dei signori e
delle signore occupavano nella chiesa posti distinti; i primi portavano
al petto le decorazioni. La Guardia cittadina a cavallo non resistette
all'urto esterno: un'ondata di popolo ruppe una cancellata, oltre la
quale però la porta rimase di bronzo.
La cerimonia sì svolse more solito, compresa la lettura preliminare
di un capo della vita di S. Francesco di Sales. Il conferenziere, dottor
Giuseppe Julià, nel prendere la benedizione del Vescovo, gli
domandò: - Su qual pensiero dovrò maggiormente insistere?
(I) Si era recato nella Spagna per fare la visita canonica alla casa
filiale di là; lo accompagnava come segretario Don Andrea Malet,
allora neosacerdote e oggi abate a Santa Maria del Deserto.
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- Parlate, rispose Monsignore, della grande Opera di quest'uomo di
Dio e fate comprendere bene la sua missione.
- Che gliene pare, Don Bosco? chiese poi al Santo.
- Io, rispos'egli, non ho che da esclamare: Deo gratias!
L'oratore rappresentò in Don Bosco l'inviato della Provvidenza
alla Chiesa per i bisogni speciali del tempo, esaltò l'istituzione
dei Talleres Salesianos e illustrò il bene che facevano i Talleres
di Sarrià. Si cantò quindi la Carità del Rossini;
poi Don Bosco volle far udire la sua voce. Fattosi alla balaustra, disse
che avrebbe voluto avere la voce delle trombe di cui si parla nella
sacra Scrittura per ringraziare i barcellonesi delle loro dimostrazioni
di fede, di religione, di carità e di simpatia; annunziò
che la mattina dopo nella medesima chiesa avrebbe celebrato la Messa
per tutti gli astanti; comunicò d'aver ricevuto in giornata telegraficamente
da Roma una speciale benedizione del Santo Padre per tutti i benefattori
della sua Opera e per i presenti alla conferenza. Da ultimo il Vescovo,
sceso dalla sua cattedra e postosi a fianco di Don Bosco, ripetè
con robustissima voce in castigliano quello che il Santo aveva detto
nella propria lingua. Donna Dorotea, presidente del Comitato femminile,
e donna Antoñita de Oscar Pascual, tesoriera, stavano ad un tavolo
riunendo tutte le limosine, che i giovani della Società Cattolica
e le Cooperatrici con ordine ammirabile avevano raccolte nei vari punti
della chiesa a ciascuno assegnati.
Quando tutto fu terminato, si riapersero i battenti. Il Viglietti descrive:
“ La moltitudine invece di uscire si riversò smaniosa su
Don Bosco. Ognuno voleva vederlo, toccarlo, avere un suo sguardo, udire
una sua parola; vi fu perfino chi per toccarlo si gettava per terra
allungando il braccio con pericolo di restare calpestato; ma coll'aiuto
di poderose braccia presto si potè involare Don Bosco alla quasi
indiscreta pietà dei presenti, perchè altrimenti chi sa
che cosa ne avrebbero fatto. Salito in vettura con i suoi, questa, per
soddisfare
102
alla volontà della gente, passava avanti alla chiesa, dove una
folla immensa stava a capo scoperto attendendo il suo passaggio. E pensare
che pioveva della meglio! ”. (I).
SABATO I° MAGGIO.
Il concorso alla Messa di Don Bosco nella chiesa di Belém non
fu minore che alla conferenza. Nell'atrio donna Dorotea e altre dame
vendevano libri e oggetti di divozione a conto di Don Bosco e raccoglievano
offerte. Finita la Messa, si ripetè la questua; poi Don Bosco
benedisse gli astanti, ringraziando commosso i Barcellonesi di quanto
avevano fatto per lui ed encomiandone l'edificante pietà. Il
parroco si provò a dire qualche cosa; ma, proferite le prime
frasi, si lasciò vincere dalla commozione e si limitò
ad esclamare con uno sforzo di voce: - Abbiamo qui fra noi un santo,
un inviato del Cielo! - La moltitudine andò in delirio, sicchè,
spinto con violenza il cancello della balaustra, la piena traboccò
dentro, mandando sospiri e grida che parevano il rumoreggiare delle
onde del mare in tempesta. Don Bosco fu tratto in salvo a gran fatica
e rinchiuso nella sacrestia.
Per mezzogiorno accettò l'invito di Don Manuel Pascual. Durante
il banchetto che non poteva essere più sontuoso, gli fece la
proposta di dedicare una campana della chiesa del Sacro Cuore in Roma
al ricordo della prima comunione ricevuta nel dì di Pasqua dalla
sua figliuola. Per questo scopo egli aveva già pronta e lesse
l'iscrizione, da lui composta (2). Là, come in altre case patrizie,
tutto quello che Don Bosco
(I) Il Diario de Barcelona del I° maggio, dopo la relazione della
cerimonia, parlava dei buoni effetti prodotti dalla presenza di Don
Bosco a Sarrià (App. Doc. 15).
(2) Hac die magna Paschatis nobilis puella Maria de la Soledad Pascual
y de Slanza scientia et virtute precoci, aetatis annorum novem, prima
vice ad coenam Angelorum in ecclesia asceterii Salesiani Barcinonensis
accessit. Parentes Don Manuel M. Pascual de Boffarul y Maria de la Soledad
de Slanza de Pascual gaudentes et benedicentes Dominum ad perennem rei
memoriam gratulanti animo pasuerunt, 1886.
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usava o toccava, era considerato come preziosa reliquia; quindi è
che si mettevano in disparte e religiosamente si conservavano bicchieri,
posate, tovaglie e simili.
DOMENICA 2 MAGGIO.
La moltitudine affollatasi ai Talleres salesiani era senza numero.
Incominciò a giungere alle tre del mattino e continuò
fino alle otto di sera, rimanendo non pochi digiuni tutto il giorno.
Nei cortili e per le strade era un pienone. Fu impossibile dare subito
udienze particolari; quindi Don Bosco andò sui poggiuoli delle
camere attigue alla sua e lanciò la benedizione a migliaia e
migliaia di fedeli. Sono spettacoli che è impossibile descrivere;
bisognava vederli. Si piangeva, volere o no, alla vista di tanta fede,
di tanta carità, di tanta religione! Ovunque poi Don Bosco andasse,
già stava in pronto la lapide o il bronzo, sul quale scolpire
a perpetua memoria del fatto la data della sua venuta.
Per fare il breve tratto dalla camera alla chiesa andando a celebrare
ci mise una buona mezz'ora. Sceso poi dall'altare, non potè nemmeno
deporre la pianeta, chè la folla accalcata nel presbiterio lo
bloccò, tirandolo in tutte le direzioni per baciargli la mano
e i sacri indumenti. “ Il male si è, dice il diario del
Viglietti, che nella confusione e nell'entusiasmo rimane talvolta Don
Bosco assai malconcio. Lo tirano, lo graffiano, lo portano via di peso;
eppure Don Bosco conserva la sua tranquillità, anzi ride di questi
entusiasmi e dice talvolta: - Mi fanno male, ma non importa, il pezzo
più grosso rimane sempre attaccato ” .
Non sospese le udienze fino al tocco, quando il Vescovo e una quarantina
di ragguardevoli invitati lo aspettavano per un'agape familiare. Le
mense erano apparecchiate nel salone del teatro. Durante la sera più
volte si ripresentò dall'alto a benedire la folla strabocchevole
ammassata all’in-
104
torno. Calata la notte, assistette ai fuochi d'artifizio. Fra le altre
geniali sorprese apparve luminoso un suo ritratto con il vestito alla
spagnuola.
LUNEDÌ 3 MAGGIO.
La mattina del 3 maggio Don Bosco per quella bontà inesauribile
che lo portava a fare sempre cosa grata a chicchessia, aderì
ad un invito che dovette causargli qualche incomodo. Il signor Suñer,
il sopraintendente della marchesa Moragas, già musico di camera
alla corte di Napoleone III, era autore di varie composizioni musicali
sacre e profane, che faceva eseguire da una schola cantorum da lui creata
e diretta. Ora, egli desiderava che Don Bosco lo onorasse della sua
presenza durante la prova di una sua Messa. Il Santo non seppe dirgli
di no e sceso in cappella, assistette a tutta l'esecuzione. Don Viglietti
scrive nel suo diario che l'esito fu felicissimo; ma si può ritenere
che Don Bosco avesse la mente ad altro che non erano le melodie del
canto.
Quel giorno Don Luis Martí - Codolar diede nella sua villa un
banchetto per festeggiare e onorare Don Bosco. Veline in persona a prenderlo
verso le II con un cocchio tirato da sei splendidi cavalli e con cocchieri
in livrea. Lungo il percorso fu un'ovazione continua.
Quella villa era una sontuosità. I forestieri la visitavano per
ammirarne le bellezze, e frequenti iscrizioni ricordavano la venuta
di Principi e di Re. Vi si vollero anche i giovani del collegio. Sulle
torri, poichè l'edifizio aveva l'aria di un gran castello, sventolavano
bandiere con lo stemma del casato.
Al suo arrivo gli mossero incontro la numerosa famiglia e i parenti.
Gli alunni stavano raggruppati intorno alla loro banda musicale, che
sonava la marcia reale italiana. Sulla porta d'entrata una grande scritta
a fiori diceva: Viva Don Bosco. Ma il Santo stava a testa bassa nè
vedeva l'apparato. - Veda, veda, Don Bosco, quello che hanno fatto
105
per lei, gli sì disse. Egli alzò il capo, guardò,
sorrise e tornò a raccogliersi in se stesso.
Nella sala dei concerti le figlie di Don Luis con una loro cugina lo
salutarono al suo giungere con un'allegra esecuzione di violino, violoncello
e pianoforte. Nel giardino una lunga tavola accolse i giovani, presieduti
dai figli di Don Luis e dai loro cugini, nella sala da pranzo a una
mensa con cinquanta coperti sedettero gli altri. Vi regnò tanta
cordialità, che Don Bosco e i suoi avevano l'illusione di trovarsi
come in famiglia.
Uno dei commensali disse a Don Bosco: - Oh Don Bosco, bisogna che lei
preghi, affinchè noi ci ritroviamo tutti uniti nel cielo, come
siamo ora qui. - Il Santo, fattosi serio, lasciò cadere nel silenzio
generale queste parole: - Io lo vorrei, ma non sarà così.
- Queste parole causarono in tutti un visibile disagio. Ma Don Bosco
per rasserenare gli animi riprese l'abituale sorriso e disse: - Ebbene,
pregheremo la Madonna, che è tanto buona, ed essa aggiusterà
le cose (I)
Dopo il pranzo Don Bosco si ritirò in una camera per riposare.
Più tardi vennero parenti di Don Luis per avere udienza da lui.
In ultimo entrarono Don Luis e la sua consorte. Quello che colà
passasse, nessuno lo seppe; ma quando i due coniugi uscirono dalla stanza,
pareva che non potessero darsi ragione di quello che loro era accaduto
e avevano gli occhi gonfi di lacrime; il Viglietti li udì esclamare:
- È un santo! È un santo!
Alle quattro Don Bosco discese con gli altri nel giardino, dove Don
Joaquin Pascual, nipote di Don Luis, dispose un bel gruppo di tutti
insieme per una fotografia a ricordanza di si felice giorno. In pochi
minuti furono prese dieci fotografie differenti.
(I) Lett. di Don Roberto Vidal, monaco della Badia del Deserto, alla
Direzione del Bollettino francese, Bellegarde (Haute Garonne), 20 novembre
1936.
106
I ritratti di Don Bosco formano oggi una collezione numerosa e varia.
Ve ne sono di tutte le età del suo sacerdozio e nei più
diversi atteggiamenti. Orbene si è giustamente osservato (I)
che in nessuno mai si, sorprende il menomo indizio, non che di orgoglio,
ma di una tal quale sufficienza o di semplice vanità. La sua
faccia “ quadrata, energica, rude, franca e profonda ” appare
negli ultimi anni “affinata dalla sofferenza ” ; ma anche
nel pieno del vigore spira sempre “ bontà semplice e soave
”. E poi “ che autorità! che intelligenza! che fascino
segreto! ”.
Come quell'operazione fu terminata si svolse una scenetta interessante.
Quell'abate mitrato dei Trappisti che abbiamo incontrato alla conferenza
nella chiesa di Belém, era in quei giorni ospite della famiglia
di Don Narciso Pascual e fu tra gl'invitati; nel gruppo fotografico
sedeva alla destra di Don Bosco. Si alzò dunque e parlò
con tanto entusiasmo di Don Bosco e della sua missione che commosse
tutti gli astanti. Toltosi poi dal dito l'anello e dal collo la croce
abbaziale: Qui, esclamò, innanzi a questo uomo di Dio, non c'è
autorità che valga. - E inginocchiatosi a' suoi piedi, ne implorò
per sè e per tutti i presenti la benedizione. Tutti s'inginocchiarono
e furono benedetti. Infine l'abate, come attesta Don Rua nei processi,
fece tante e tali istanze per avere il zucchetto portato in capo dal
servo di Dio, che, vintane la riluttanza, riuscì a strapparglielo.
Egli si era fermato tre giorni a Barcellona espressamente per godere
della presenza di Don Bosco. Il già suo segretario (2) ospite
anche lui della nobile famiglia, scriveva al canonico Tournier di Tolosa
nell'anno della beatificazione (3): “ Furono giorni preziosi quelli
nei quali potei vedere il santo, parlargli, mangiare alla sua mensa.
In un giro per il giardino ebbi la soddisfazione di
(I) HENRI GHÈON, Saint Jean Bosco. Collezione “ Les grands
Coeurs ”. Parigi, Flammarion. Pag. 186.
(2) Cfr. sopra, pag. 100, in nota.
(3) Chan. CLÉMENT TOURNIER, Le bienheureux Don Bosco à
Toulouse. Toulouse, Impr. Berthoumieu, 1929. Pag. 87.
107
dargli il braccio, il che mi apportò tante benedizioni, senza
contare la benedizione datami da Doti Bosco mentre stavo prostrato a'
suoi piedi ”.
Don Bosco volle anch'egli vedere e visitare la sì decantata villa.
Perciò, accompagnato da tutti quei signori, seguito dai giovani
di Sarrià e sostenuto da Don Luis, percorse gran parte del giardino,
soffermandosi a guardare la magnifica raccolta di uccelli acquatici
e terrestri, e poi cammelli, cervi, orsi, elefanti, coccodrilli e altri
animali esotici..
Verso il tramonto prese commiato. “ Parrà cosa singolare,
scrive il Viglietti nel suo diario, eppure credo di non esagerare dicendo
che in nessun luogo noi abbiamo incontrato tanto affetto e tanta venerazione
per Don Bosco, quanto in codesta famiglia. Gli è Don Bosco stesso
che oggi me lo diceva ” . Prima di partire dovette assistere allo
scoprimento di una lapide, destinata a ricordare l'onore della sua visita
(I).
Era facilmente previdibile che durante il giorno molta gente avrebbe
cercato di Don Bosco nel collegio; si era quindi concertato la mattina
che, a chiunque venisse, fosse presentato un foglio dove apporre la
propria firma e che si dicesse come Don Bosco al ritorno, benedicendo
quelle sottoscrizioni, intenderebbe di benedire i soscrittori, i loro
parenti e le loro particolari intenzioni. Orbene, quand'egli rincasò,
gli fu recato un voluminoso incartamento con non meno di settemila firme
(2). Questo però non valse a esimerlo dal presentarsi al balcone
per benedire la moltitudine di coloro, che erano rimasti là in
attesa.
Per trasportare a Sarrià i tanti barcellonesi che vi affluivano,
non bastavano certo le corse ordinarie del treno; negli ultimi giorni
si triplicarono le partenze e talora attaccando due macchine, tanto
era il carico.
(I) App., Doc. 16.
(2) Il Viglietti scrisse d'aver portato a Torino quell'incartamento;
ma noi ignoriamo dove sia andato poi a finire.
108
SENZA DATA.
Vi sono alcuni fatti straordinari che non sappiamo a quale giorno assegnare,
essendosene avuto contezza da relazioni assai posteriori; li presenteremo
perciò qui tutti di seguito.
Anzitutto, tre guarigioni. Una povera madre condusse alla presenza di
Don Bosco una sua figliuola, che andava soggetta alla corea, volgarmente
detta ballo di S. Vito, e lo supplicava di volergliela guarire. - Non
sarò io a guarirla! rispose il Santo. Poi, fissando l'ammalata,
le disse: - Sii molto divota della Santissima Vergine, recita ogni giorno
un’Ave Maria, e non soffrirai più di questo male. - Una
signora presente alla visita pregò nell'uscire quella madre che,
se la fanciulla guarisse, gliene desse avviso. Passato qualche tempo,
andò la madre stessa in persona a dirle tutta contenta che d'allora
in poi la figlia era stata sempre benissimo.
La medesima signora, tornando quel giorno a casa, fece visita a una
famiglia Figueras, nella quale sapeva esserci una figlia a letto in
gravi condizioni per frequentissime emorragie. Raccontò ivi quanto
aveva visto e udito di Don Bosco e diede alla madre dell'ammalata una
medaglia donatale dal Servo di Dio, raccomandandole di aver fede e di
metterla al collo dell'inferma. Orbene da quell'istante le emorragie
cessarono per sempre.
Una cugina della stessa signora soffriva pure da più anni abbondanti
perdite di sangue. Sentendo le meraviglie di Don Bosco, un giorno, piena
di fede, disse a chi gliene parlava: - Io non ho bisogno di andare da
lui; mi basterebbe ascoltare la sua Messa. - Infatti, ascoltata che
l'ebbe, guarì completamente (I).
Due altri fatti furono riferiti a Don Lemoyne da Don Filippo Rinaldi,
che li aveva uditi da persone degne di fede,
(I) Relazione della teste, signora Giuseppa Ferrea, vedova Pons, Barcellona
18 luglio 1909.
109
quand'era Ispettore nella Spagna. Una signora, desolatissima per continui
aborti, sfogò con Don Bosco il suo dolore. Il Santo la confortò
e le disse: - Stia tranquilla. Da qui innanzi non sarà più
così. - Cosa singolare! Ebbe ancora sette figli e tutti quanti
vitali e vissuti.
Un professore Dalman andò da Don Bosco in compagnia della moglie
e dei figli. La signora portava in braccio un bimbo di uno o due anni.
Padre e madre gli chiesero la benedizione e si raccomandarono alle sue
preghiere, affinchè i loro figli divenissero perfetti cristiani.
Don Bosco, alzati gli occhi al cielo, stette un minuto in raccoglimento;
quindi, accennando ai più grandicelli, disse sorridendo: - Questi
li faremo tutti religiosi. - Poi, voltosi al bambinello, ripigliò:
- E questo per Don Bosco! - I genitori non fecero mai motto con alcuno
di quelle parole, ma aspettavano gli eventi. Orbene uno dopo l'altro
i figli più grandi si fecero religiosi in diversi istituti, fra
gli altri, uno entrò nella Compagnia di Gesù, il più
piccolo si fece salesiano.
Un'altra predizione di Doli Bosco si avverò esattamente Si sentiva
a Sarrià il bisogno che venissero le Figlie di Maria Ausiliatrice;
egli pure ne riconobbe sul posto tutte le convenienze. Ora un giorno
vide a breve distanza dalla casa una villa ben cintata e disse a Don
Branda: - Quello è il luogo che dovrà servire per le nostre
Suore. - Ma tutto sembrava congiurare in senso contrario. Le pretese
erano così esorbitanti che dopo vani tentativi per farle ridurre
si rinunziò a quell'idea e si pensava di provvedere altrimenti.
Don Bosco insisteva sempre con il Direttore, perchè le Suore
potessero andare presto a Sarrià. Ogni speranza pareva svanita,
quando il proprietario improvvisamente morì e suo figlio, unico
erede, risoluto di abbandonare un luogo la cui vista gli rinnovava del
continuo l'acerbo dolore, di sua spontanea volontà offerse la
casa a un prezzo mitissimo; inoltre si trovò subito chi sopperì
alle spese di acquisto, sicchè le Suore non tardarono a prenderne
possesso.
110
Un giorno ricevette un gruppo di signori sconosciuti, ai quali sul
finire dell'udienza distribuì una medaglia; Ne aveva presa una
manata a caso e l'ultimo rimase senza. Questi lo pregò di non
volernelo privare. Don Bosco gli disse: - Lei ha abbandonato la vita
religiosa. - Infatti egli era uscito dalla Compagnia di Gesù.
MARTEDI' 4 MAGGIO.
Il giorno della partenza si approssimava e gli amici di Don Bosco sentivano
già il dolore del distacco. Una cara dimostrazione commosse quanti
vi si trovarono presenti. I nipotini di Donna Dorotea e i figli di Don
Luis Marti - Codolar, una quarantina in tutto, sacrificando i loro piccoli
peculii, portarono e consegnarono con le loro mani a Don Bosco chi cento,
chi duecento lire e chi anche più. Egli riceveva sorridendo e
dicendo a ognuno qualche parolina; infine invocò sopra di essi
le benedizioni del Signore.
Celebrò in casa Pons, dove prese anche la refezione dei mezzodì;
quindi visitò le suore Ausiliatrici e il collegio dei Gesuiti.
Con i Padri s'intrattenne per più di mezz'ora edificando a todos
con su santa conversación, su dulzura y su humildad, scriveva
a noi il padre Antonio Viladevall da San Miguel nell'Argentina il 25
giugno 1933. Quand'egli si accingeva a lasciarli, tutti quei religiosi
gli baciarono la mano.
Il venerando padre Viladevall ha un motivo personale per non dimenticare
mai quella visita. Nel collegio egli insegnava matematica; ma un'ostinata
laringite da alcuni mesi lo rendeva afono, sicchè invece di fare
scuola era obbligato a far ripassare le cose già spiegate o a
valersi di un alunno assai intelligente, che, standogli vicino pi esso
la cattedra, ripetesse forte ai condiscepoli quanto il professore gli
bisbigliava all'orecchio. Tutte le cure non davano il menomo risultato;
ma il suddetto alunno fu lo strumento della Provvidenza. Si chiamava
Giuseppe de Salas, di nobile famiglia. Parlò del
111
maestro alla madre e la madre espose il caso a Don Bosco, implorando,
il suo aiuto. Don Bosco le diede una medaglia di Maria Ausiliatrice,
perchè gliela portasse e gli dicesse di metterla in un po' d'acqua
e di bere questa, pregando la Madonna di guarirlo. - Spero che lo guarirà
- conchiuse. Il Padre seguì il consiglio, sebbene sin gran fe,
come confessa oggi. Eppure la voce subito gli tornò nè
avvertì mai più alcun residuo o sintomo del male. Perciò
conserva tuttora la medaglia como oro en pano.
Partito dal collegio dei Gesuiti, andò a confortare una contessa
inferma e in seguito fece una visita all'ospedale fondato da donna Dorotea.
A Sarrià una marea di gente lo aspettava fin dal mattino. Passando
in carrozza, vedeva molti saliti sui tetti delle case, altri sui muri
di cinta e sugli alberi della strada. Secondo il consueto si affacciò
al balcone e indirizzò alcune parole a quella turba, che applaudiva,
gridava Viva Don Bosco e si prostrava al suolo per essere benedetta.
La porta di casa si teneva saldamente chiusa, perchè sarebbe
stato impossibile regolare l'afflusso e chi sa di quali vandalismi pii
si sarebbe stati spettatori impotenti! Qualche sottrazione però
non si potè evitare da parte di alcuni privilegiati, ai quali
per debiti riguardi si concesse di entrare da Don Bosco. Quante volte
in quegli ultimi giorni il segretario rifornì di nuova penna
il calamaio o restituì al letto nuovi capi di biancheria!
MERCOLEDI' 5 MAGGIO.
Don Bosco disse la Messa in casa di donna Dorotea, indugiandosi fin
dopo il mezzogiorno con la famiglia; poi visitò la marchesa di
Comillas. Là venne a prenderlo Don Luis Martí per condurlo
alla chiesa di Las Mercedes. È questo un celebre santuario della
Madonna, molto caro ai barcellonesi e meta di frequenti pellegrinaggi.
Qualunque forestiero che sia credente, capitando a Barcellona, non parte
senza recarsi a salutare Nostra Signora della Mercede; ecco perchè
anche
112
Don Bosco alla vigilia di lasciare la città aveva divisato di
andare colà a pregare e a ringraziare la Beata Vergine. Conosciutasi
la sua intenzione, molta gente ne attese il passaggio per le vie, dalle
verande e nella chiesa. Ricevuto all'ingresso da un folto stuolo di
nobili signori, fu da essi accompagnato nel presbiterio e invitato ad
accomodarsi in un posto speciale. Di fronte a lui un coro di giovanetti
cantò con accompagnamento d'orchestra una Salve Regina; poi si
compiè un atto che ben possiamo chiamare storico. Dobbiamo esporre
prima gli antecedenti.
Fra le amene e fertilissime colline, che cingono di splendida corona
la metropoli catalana, una si aderge più alta di tutte, dominando
non solo le circostanti valli e pianure, ma anche le città vicine.
Non sarebbe facile immaginare un panorama più incantevole di
quello che di lassù si gode; onde fu sempre luogo di gradito
ritrovo ai cittadini e ai forestieri. La collina porta un nome ben singolare,
poichè la si chiama monte Tibidabo. La sua altezza e la straordinaria
amenità del sito hanno fatto sì che l'immaginazione popolare
localizzasse ivi la terza tentazione di Gesù, dando corso alla
leggenda che il demonio trasportasse lassù il Salvatore e mostrandogli
tutti i regni del mondo, dicesse proprio su quella vetta: Haec omnia
TIBI DABO, si cadens adoreveris me (I).
Da pochi anni tutta la sommità dell'altura era venuta in possesso
di uomini spregiudicati, che macchinavano di crearvi un lussuoso albergo
che fosse allettante richiamo a gaudenti e vitaioli cosmopoliti ovvero
di favorirvi l'erezione di un tempio protestante. A tali minacce sette
buoni signori nel 1885 si erano accordati fra loro di farne acquisto
per impedire che un luogo sì bello cadesse davvero in mano al
demonio; compratolo, si sarebbe quindi studiato quale ne potrebbe essere
l'uso migliore. Provvisoriamente intanto vi avevano eretta una cappella
dedicata al Sacro Cuore di Gesù.
(I) MATT., IV, 9.
113
Or eccoci a Don Bosco. La sua presenza a Barcellona aveva fatto nascere
l'idea di fargliene un presente, affinchè a tutti i mal intenzionati
egli rispondesse con parole del Signore: Vade retro, Satana (I). Uno
dei proprietari vi si era opposto, dicendo di non sapere nemmeno chi
fosse quel Don Bosco; ma Don Manuel Pascual gliene parlò con
tanta eloquenza di particolari, che quegli fu preso da un arcano timore
e rimase non solo senza parola, ma quasi senza respiro.
Mentre dunque Don Bosco stava là in preghiera, si avanzarono
verso di lui i detti signori, fecero dare lettura di un atto col quale
gli cedevano la proprietà della montagna e rassegnarono nelle
sue mani le carte relative. Il documento di cessione era scritto e ornato
da valente calligrafo (2). Glielo presentò a nome della Commissione
il Presidente della Società di g. Vincenzo de' Paoli con queste
parole: - A perpetuare il ricordo della sua venuta in questa città,
i signori qui presenti si sono consigliati e di comune accordo hanno
deliberato di cederle la loro proprietà del monte Tibidabo, affinchè
la sua cima, che minacciava di cambiarsi in un semenzaio d'irreligione,
sia consacrata con un santuario al Sacro Cuore di Gesù, per mantenere
ferma e incrollabile quella religione che con tanto zelo ed esempio
Ella ci ha predicata e che è nobile retaggio dei padri nostri.
Allora Don Bosco, profondamente commosso, rispose: - Sono confuso dell'inaspettata
e novella prova che mi date della vostra religione e pietà. Ve
ne ringrazio; ma sappiate che in questo istante voi siete strumenti
della divina Provvidenza. Quand'io lasciava Torino per venire nella
Spagna, pensavo tra me: Ora che la chiesa del Sacro Cuore a Roma è
quasi terminata, bisogna studiare qualche altro mezzo per onorare il
Sacro Cuore e propagarne la divozione. Ed una voce intera mi rendeva
tranquillo, assicurandomi che avrei
(I)MARC., VIII, 33.
(2) App., Doc. 17.
114
potuto qui soddisfare al mio voto. Quella voce mi ripeteva: Tibi dabo,
tibi dabo! Sì, o signori voi siete strumenti della divina Provvidenza.
Col suo aiuto sorgerà presto su quel monte un santuario dedicato
al Sacro Cuore di Gesù; là avranno tutti comodità
di accostarsi ai saliti Sacramenti e si ricorderà in eterno la
vostra carità e la fede di cui mi avete date tante e sì
belle prove.
Commosse erano le sue parole e grande fu la commozione di coloro che
le udirono. Benedetta la moltitudine e accompagnato nella sacrestia,
scrisse il suo nome in un registro destinato a raccogliere le firme
dei più ragguardevoli visitatori del santuario (I).
Uscì da quel sacro luogo consapevole di essersi addossata un'impresa,
della cui attuazione egli non avrebbe potuto vedere nemmeno il principio;
ma quanto questa gli stesse a cuore lo diede a vedere subito fin dalla
prima adunanza capitolare che si tenne dopo il suo ritorno la mattina
del 26 maggio. Ricordati vari impegni assunti nella Spagna, proseguì:
- Sul monte Tibidabo si potrebbe mettere il noviziato dei giovani spagnuoli
destinati alle Missioni I Vescovi approvano, anzi sono entusiasmati
del progetto. Intanto le cose procedono; il monte è donato. -
Del voto di Don Bosco raccolsero religiosamente l'eredità i suoi
successori Intanto prima che il mese di maggio fosse al termine, in
vetta al Tibidabo sotto la direzione dei Salesiani e mercè il
contributo di persone divote, spuntava dal suolo una cappelletta gotica,
con la quale il divin Cuore avrebbe cominciato a prendere possesso del
luogo (2).
Da Barcellona Don Luis la riaccompagnò a Sarrià con la
sua vettura. Gente alla partenza, gente per istrada, gente all'arrivo:
scene commoventi in ogni dove, grida e applausi
(I) Nella chiesa della Mercede, ai lato sinistro dell'altare dedicato
a Santa Maria de Cervellón ed eretto nella navata destra della
crociera, si legge sopra una lapide marmorea un'iscrizione latina che
ricorda il fatto della donazione ivi avvenuta.
(2) Diario de Barcelona, 30 maggio 1886 (App., Doc. 18).
115
da tutte le parti. La calma imperturbabile del Servo di Dio dava ansa
alle folle, che mettevano a duro cimento il buon volere e l'energia
di chi lo scortava.
Dopo cena giunsero al collegio tutte le famiglie Pascual. Erano quattro
e sembrava che gareggiassero in manifestare la loro affezione per Don
Bosco. Le aveva spinte là il pensiero della sua imminente partenza.
“ Quelle famiglie erano tutte in lacrime ”, scrive il Viglietti
nel suo diario.
GIOVEDÌ 6 MAGGIO.
Era l'ultimo giorno. Don Bosco celebrò al nuovo altare eretto
nella cappella del collegio. Dopo la Messa, risalito in camera, benedisse
la moltitudine che ad alte grida lo chiamava fuori. Fe' cenno di voler
parlare. Succedette un movimento generale, un urtarsi alle spalle, un
pigiarsi per arrivar ad afferrare quello che direbbe. Disse: - Spero
di rivedervi tutti in Paradiso... Lassù non più l'udienza
di un povero prete, ma di Maria Santissima in persona, del suo divin
Figlio Gesù, e non più per pochi minuti, ma per tutta
l'eternità.
Le ultime udienze furono per le famiglie Pascual, che, nonostante i
commiati della sera innanzi, non seppero resistere al desiderio di godere
ancora una volta della sua amabile conversazione. “ Commoveva,
dice il diarista, vedere quei poveri signori e quelle signore aggirarsi
per le camere, salutarci singhiozzando e non sapere come allontanarsi.
Andavano sino alla porta, poi ritornavano addietro, rientravano, baciavano
gli oggetti usati da Don Bosco. Ci risalutavano e, poveretti, non sapevano
darsi conto di ciò che loro accadeva ” .
Don Bosco non aveva mai potuto parlare a tutti i giovani riuniti perciò
dopo pranzo, all'ultimo momento, entrò in chiesa dove stavano
raccolti per ricevere i suoi ricordi e disse loro poche parole, li benedisse
e li salutò. Quei ragazzi si struggevano in lacrime.
116
Gl'impiegati ferroviari della linea di Sarrià desideravano anch'essi
l'onore di averlo sul loro treno, essendo egli sempre andato e venuto
in carrozza; perciò gli avevano preparato un vagone speciale
e insieme con le loro signore, quando giunse, lo colmarono di gentilezze.
Salirono con lui le maggiori autorità del luogo, non che vari
Cooperatori e amici. Non c'erano Don Luis e Don Oscar Pascual. Sapendo
che un visibilio di gente inondava la stazione di Barcellona, si fecero
trovare con le carrozze alla penultima fermata, ricevettero Don Bosco
e i suoi compagni e lo portarono per riposto cammino al treno di Francia,
risparmiandogli così strapazzi ed emozioni.
Presso il treno di Francia Don Bosco incontrò donna Dorotea con
uno stuolo di signore e signori, convenuti per l'estremo commosso addio.
Parecchi montarono con lui sul treno per scendere poi a una stazione
distante circa due ore dalla loro città.
Donna Dorotea, ritornando a Barcellona, riandava seco stessa le sante
parole udite e le sante cose vedute in quelle settimane, nelle quali
aveva fatto veramente da Maria e da Marta. Semprechè le era stato
possibile, aveva ascoltato con serafica pietà la Messa del Servo
di Dio e aveva accudito anche con le proprie mani ai servizi riguardanti
la sua persona. Aveva financo chiamato pittori che adornassero la sala
del suo palazzo, nella quale intendeva accogliere un tanto ospite, e
partito ch'ei fu, la conservò come una reliquia, convertendola
in cappella e rinchiudendovi in grandi armadi i mobili e gli oggetti
da lui adoperati. Era poi stata cosa edificantissima vedere come la
buona signora, che tutta Barcellona ammirava e venerava per l'eroismo
della sua carità, se ne stesse davanti a Don Bosco umile come
una bambina che non sapesse parlare.
Due volte, in aprile e in maggio, Don Durando, come Prefetto Generale,
inviò alle case salesiane relazioni sommarie del viaggio di Don
Bosco nella Spagna. Della prima scriveva
117
monsignor Cagliero (I): “ La lettera di Don Durando fu letta
e divorata dall'attenzione di tutti; e malgrado soffiasse un vento freddissimo,
ci scaldò tutti di un santo entusiasmo, di nobile orgoglio per
essere figli di un tanto padre ”.
Don Bosco dal canto suo in che pensieri avrà occupato la mente,
allorchè fu solo, scorrendo fra sè e sè le vicende
di quelle ventinove giornate così campali e così trionfali?
A lecito argomentarlo da due parole sfuggitegli dalle labbra (2). Un
giorno a mensa uno dei convitati commentava dinanzi a lui quel ripetersi
quotidiano di affollamenti, ed egli con tutta pacatezza e semplicità
gli susurrò per tutta risposta: - Io non so perchè venga
a vedermi tanta moltitudine di persone! - Quando poi nel seguito della
conversazione il discorso cadde sull'opera salesiana di Sarrià,
asserì con l'aria di dire una cosa da nulla: - I Talleres Salesianos
daranno istruzione ed educazione a cinquecento fanciulli. - Obliare
se stessi e intendere con salda fede allo svolgimento delle opere volute
da Dio, ecco gli abituali pensieri dei Santi.
(I) Lett. a Don Lazzero, Patagones 26 maggio 1886.
(2) Diario de Barcelona, 1° maggio 1886.
CAPO IV
Partenza dalla Spagna e ritorno a Torino.
PIÙ d'un lettore salesiano; giunto al termine del capo precedente,
si sarà domandato perchè mai nel racconto del soggiorno
barcellonese di Don Bosco, come del resto anche in quello della dimora
parigina, non si sia fatta quasi menzione di Don Rua, che pure non dovette
essersene stato ozioso a fianco del Servo di Dio. La colpa è
in gran parte delle nostre fonti, ne' suoi riguardi pressochè
mute. Bisogna però anche aggiungere che era suo costume eclissarsi
e scomparire accanto a Don Bosco sì da non distrarre menomamente
l'attenzione di chicchessia dalla persona del santo fondatore. Noi possiamo
con tutta ragione ritenere che egli attendesse al disbrigo della stragrande
di lui corrispondenza; che lo rappresentasse in atti di cortesia ed
anche in faccende di rilievo, ma sempre a guisa di umilissimo segretario;
che nella sua qualità di Vicario per il governo della pia Società
si tenesse in quotidiana relazione d'affari con i membri del Capitolo
Superiore, la quale attività si svolgeva naturalmente nell'ombra
senza che nulla ne trapelasse ai vicini; che esercitasse il sacro ministero
a pro dei confratelli e dei giovani della casa di Sarrià, specialmente
confessando: ma la verità è che noi non ne sappiamo niente
in modo positivo. E niente ne sapremo per il viaggio di ritorno.
Accadde però negli ultimi giorni a Sarrià un fatto, che,
ricordato allorchè Don Rua assunse la successione di Don
119
Bosco, servì a conciliargli la venerazione dei Cooperatori spagnuoli.
Un bambino, spedito dai medici, non doveva più tardare molto
a rendere l'ultimo respiro. I genitori, in uno slancio di amore e di
fede, lo portarono a Don Bosco. Il Santo che non ne poteva proprio più,
fece rispondere che andassero da Don Rua. Questi lo benedisse, e il
moribondo guarì all'istante. Sul momento si considerò
la benedizione di Don Rua come data in nome di Doli Bosco, al quale
per conseguenza fu attribuita l'efficacia dell'intercessione; ma poi,
diffusasi la notizia e ponderato il caso, si credette di dover riconoscere
anche a Don Rua la sua parte di merito.
I nostri viaggiatori non andarono la sera del 6 maggio oltre Gerona.
Don Bosco aveva estremo bisogno di riposo e di quiete prima di esporsi
a nuovi disagi e trovò un nido di pace nella casa del magnifico
signor Gioachino de Carles, che con i suoi figli fu ad attenderlo alla
stazione. Una folla sterminata circondava l'edifizio della ferrovia;
ma il Santo, rivolto un saluto alle autorità religiose e civili
che gli furono presentate appena smontò dal treno, venne fatto
salire tostamente in carrozza e sottratto agli assalti della moltitudine.
Il palazzo che lo accolse aveva ospitato già quattordici Sovrani,
fra cui Amedeo di Savoia durante il suo breve regno nella Spagna. La
famiglia, ammiratrice di Doli Bosco, stimò gran dono del cielo
l'averlo anche per poco tempo nel proprio grembo. La camera assegnatagli
è tenuta ancora oggi in venerazione, sebbene il palazzo abbia
cambiato proprietario. Donato al Vescovo di Gerona, diventò sontuosa
sede dell'Azione Cattolica.
Come mai Don Bosco potè godere di sì aristocratica ospitalità
lungi da Barcellona? A questa domanda risponde un testimonio vivente
[1936], il vecchio parroco di Lloret de Mar, reverendo Giovanni Ferrès
y Puntones, che allora aveva una mansione presso la nobile famiglia
(I). Don Gioachino,
(I) Relazione di Don Eugenio Magni, direttore della casa salesiana
di Gerona (5 maggio 1936). Cfr. anche Mensajerito de Maria Auxiliadora
di Gerona, (5 maggio 1936). Le date qui e altrove indicano che certe
notizie sono state inserite quando il volume era già in tipografia.
120
primogenito di Gioachino de Carles, saputo che a Barcellona era arrivato
un religioso in concetto di santo, pensò di andarlo a visitare.
Il 24 aprile dunque, preso con sè il giovane Ferrès e
recatosi alla casa salesiana di Sarrià, ottenne presto udienza
da Don Bosco. Il loro colloquio durò a lungo. Nulla si sa di
quello che si dissero; ma il Carles fu visto uscire contentissimo. La
dimane questi ascoltò la Messa di Don Bosco nella cappella dell'istituto
e ricevette da lui la comunione. Dopo una seconda udienza partì
raggiante di gioia, perchè Don Bosco gli aveva fatto sperare
una fermata in casa sua durante il viaggio di ritorno. La speranza divenne
realtà. Allorchè un biglietto avvertì i signori
Carles che il Santo sarebbe stato a Gerona la sera del 6 maggio, tutta
la famiglia provò maggior contentezza che si se fosse trattato
dei Reali di Spagna. Quindi palazzo messo a gala, gran banchetto nel
più bel salone, camera di prim'ordine per l'ospite. Il nostro
parroco descrive così l'impressione sua d'allora: “ Don
Bosco aveva statura media, occhi vivissimi, sguardo penetrante, il sorriso
sulle labbra, una straordinaria attrattiva. Poseia el don de gentes.
Bastava vederlo per dire che era un Santo. L'effetto sperimentato da
me alla sua presenza era che, guardandolo, mi sentivo forzato a ripiegarmi
sopra di me e a esaminare come stessi di anima ”. Al suo partire
lo vollero accompagnare fino a Cervere i signori Gioachino de Carles
padre e figlio con i due figli minori Emilio e Edoardo. Breve fu la
visita, ma durevole la corrispondenza epistolare.
Data questa brevità della dimora, egli non potè fare nè
ricevere molte visite. Ricevette fra gli altri il Vescovo monsignor
Tommaso Sivilla, venuto il giorno appresso di buon mattino, tanto vivo
desiderio aveva di vederlo. Osservando il sontuoso appartamento assegnatogli:
- Come! esclamò al signor Carles che ve lo accompagnava. Per
Don Bosco questo appartamento? - A cui quegli rispose: - Eccellenza,
se ne avessi avuto uno migliore, glie l'avrei assegnato. - Partì
alle otto e mezzo antimeridiane. Tutta la
121
famiglia de' suoi ospiti lo volle accompagnare fino a Port - Bou, accomiatandosi
da lui con le più squisite significazioni di riverenza e di affetto.
Rimasto solo con Don Rua e con Viglietti (anche Don Branda che l'aveva
seguito fin là, era dovuto ritornare indietro) accettò
con grato animo il pranzo preparatogli ivi da una buona signora, riprendendo
poi nelle ore pomeridiane il treno di Montpelier, donde intendeva per
la linea più corta far ritorno in Italia. Gli premeva di giungere
presto a Torino, approssimandosi la novena di Maria Ausiliatrice; un
presto relativo però, essendosi stabilito che egli procedesse
per tappe, come consigliavano le sue condizioni di salute.
Previa la fermata di un'oretta a Cette, della quale approfittò
per salutare una ricca famiglia, compiè alle sei e mezzo l'itinerario
della giornata, avente per meta Montpellier. Qui lo aspettavano a braccia
aperte il Rettore del Seminario grande e gli altri superiori, che lo
condussero a cena con i Seminaristi.
La mattina dopo, 8 maggio, celebrò la Messa della comunità;
poi diede udienza a numerose persone che dalle prime ore del giorno
facevano ressa alla porta del Seminario.
Verso le undici, invitato dalla Superiora, andò a visitare le
religiose del Sacro Cuore. Vi era aspettatissimo. “ Tout était
en joie ce jour - là; on allait voir un Saint ”, ci scrisse
il 25 febbraio 1934 una delle superstiti, la quale proseguiva: “
Molto si era pregato per ottenere quella visita, considerata come una
grazia grande. E tale era in realtà il vedere e l'udire quel
venerando vegliardo, i cui lineamenti, il cui accento portavano l'impronta
di un'anima intimamente unita a Dio ”. Stette là un quarto
d'ora, assiso in un seggiolone e circondato dalla comunità, dalle
educande e da un gruppo di signore. Parlò alcuni minuti; quindi
cominciarono ad avvicinarglisi varie persone, che una a una gli confidavano
le loro pene o gli chiedevano preghiere. Egli le ascoltava tutte con
122
bontà. Gli si appressò anche una fanciullina che con
le manine giunte e con gli occhi lacrimosi lo supplicò dicendo:
- Padre, mi faccia tornare la mamma!
- Dov'è? le chiese il Santo.
- È morta, rispose la piccina.
- Lascia che se ne stia col Signore, le disse Don Bosco. Sta molto bene
lassù.
Facendosi tardi, avvertì a voce alta in modo da essere udito:
- Non posso più ascoltarvi tutte. Vi darò la benedizione
e pregherò che vi siano concesse le grazie da voi desiderate.
La religiosa che ci fornì queste notizie, era ancora secolare.
Un po' di vocazione la sentiva, ma quasi più in astratto per
fede che per via d'inclinazione. Si trovava a passare qualche giorno
nel convento, non punto decisa a rimanervi; la Superiora invece, per
metterla al sicuro, avrebbe voluto che andasse quella sera stessa al
noviziato. Allontanarsi così di botto dalla famiglia, senza far
avvertiti i genitori, senza nemmeno salutarli, senza poter più
godere neppure un giorno di quella vita da zitella che tanto le piaceva,
era cosa che le scombussolava il cervello. In tale stato d'animo, allorchè
Don Bosco, passandole vicino, la riunirò, si mantenne indifferente.
La Superiora le fe' cenno di seguirla. Obbedì, scese lentamente
la scala dietro il Santo e quando si fu nel giardino, la Madre la trasse
dinanzi a Don Bosco, indicandole d'inginocchiarsi per ricevere una benedizione
da lei non chiesta nè desiderata. Tuttavia obbedì ancora.
Egli le pose paternamente la mano sulla testa che bolliva, e premendo
forte le disse: - Povera figliuola, abbiate fiducia. Avrete molto da
lottare, sì, molto... ma... - Il turbamento che la assalse in
quell'istante, non le permise di udire le parole che tennero dietro
a quel ma. Ebbene tutto si avverò alla lettera: lotte, contrasti,
difficoltà personali ed estrinseche congiurarono a strapparle
la vocazione; ma a quarantasette anni da tale incontro essa, chiamandosi
felice della sua vita religiosa, at -
123
tribuiva questa felicità all'efficacia della benedzione e delle
preghiere di Don Bosco.
L'Eclair, organo cattolico del luogo, nel numero del sabato 8, rievocando
le impressioni prodotte anche a Montpellier dalle cose che nel 1883
si narravano della visita di Don Bosco a Parigi, dava a' suoi lettori
la notizia che le célèbre prêtre italien si trovava
nella loro città e che la dimane avrebbe celebrato la Messa delle
otto nella cattedrale. Questo annunzio mise in movimento la cittadinanza;
una folla mai vista riempì assai prima del tempo la vasta chiesa.
Al suo arrivo gli mosse incontro tutto il capitolo e il clero. Al vangelo
il Vicario Generale parlò dal pulpito, raccomandando la questua
a favore delle opere salesiane. Don Rua e Viglietti andarono in giro
con il vassoio e ringraziavano gli oblatori con la frase rituale di
Don Bosco: Que Dieu vous le rende. Finita la Messa, il Servo di Dio
disse alcune parole alla moltitudine. “ La sua voce lenta e debole,
scrisse il citato foglio nel numero del 10, non domina l'uditorio; l'accento
straniero lo mette fra noi a disagio, appare esitante nel suo dire ”;
ma “ basta vederlo per sentire come un’emanazione soprannaturale
che s’irradia da tutta la sua persona ”.
Preso un po' di ristoro nella canonica, si portò al monastero
della Visitazione, dove s'intrattenne alquanto con le Suore radunate
in una sala. Era gravemente inferma una suora, molto cara a tutta la
comunità per le sue belle virtù. Le religiose lo pregarono
di farle una visita, sperando un miracolo. Il Santo andò a trovarla;
ma, raccoltosi alcuni istanti in atto di consultare la volontà
di Dio, alzò il dito e mostrando all'ammalata il cielo: - Al
cielo, al cielo! - esclamò. Infatti poco dopo rese l'anima al
Signore (I).
Prima di partire il Santo diede ivi stesso molte udienze. Per le dodici
ritornò nel Seminario. Lo dirigevano i figli di S. Vincenzo de'
Paoli, che avevano scelto quel giorno per
(I) App., Doc. 19.
124
festeggiare il loro santo Patrono, stimando la presenza di Don Bosco
il più bel numero del programma.
Nel pomeriggio cominciò la processione dei visitatori; ne vennero
tanti, che non fu possibile contentare tutti, e non si doveva turbare
l'orario della comunità. Accadde un prodigio, del quale furono
molti i testimoni. Una signora inferma, portata quasi di peso davanti
a Don Bosco, ne ricevette la benedizione e guarì all'istante,
sicchè tornò a casa facendo da sè la strada. Dalla
sala delle udienze passato nella sua camera, egli per prima cosa si
alleggerì delle monete d'oro e d'argento che gli sfondavano le
tasche; onde in seguito disse scherzando: - A Montpellier se non accettavamo
il danaro, ce lo tiravano dietro e stimavano che facessimo loro una
grazia accettandolo.
Rivide a Montpellier una sua cara conoscenza, il dottore Combal, che
vi aveva la sua residenza (I). Appena informato della venuta di Don
Bosco, si affrettò a visitarlo fin dalla prima sera, rinnovando
poi ancora la visita nelle due sere successive. L'ultima volta menò
pure seco la famiglia, nè volle separarsi da lui senza esaminare
ben bene le sue condizioni di salute. Uscito dalla stanza e incontrati
Don Rua e Viglietti, confermò la diagnosi di due anni addietro.
Don Bosco, ripetè egli, non ha altra malattia che un'estrema
prostrazione di forze. Se Don Bosco non avesse mai fatto nessun miracolo,
io crederei il maggiore di tutti la sua stessa esistenza. È un
organismo disfatto. È un uomo morto dalla fatica e tutti i giorni
continua nel lavoro, mangia poco e vive. Questo è per me il massimo
dei miracoli.
I chierici manifestavano per Don Bosco un'affettuosa ammirazione; a
dar loro ascolto, avrebbero vuotato il seminario per correre dietro
a lui. Dopo la cena si presentò ad essi in una sala. Non si reggeva
più in piedi. Avrebbe desiderato parlare; ma la spossatezza era
tanta, che dovette rinunziarvi
(I) Cfr. vol. XVII, pag. 56.
125
e limitarsi a benedirli tutti insieme. Nondimeno la sua semplice vista
fu più eloquente ed efficace di qualsiasi discorso.
Che una parente di Don Bosco vivesse a Montpellier, forse neppure gli
era noto o fors'anche non se ne rammentava. Espatriato non sappiamo
per qual motivo con la moglie, una Zagna, Francesco Bosco, figlio di
Giovanni, zio paterno del Santo, aveva terminato prematuramente la vita
a Marsiglia nel 1870, lasciando due figlie ancora bambine. Queste furono
allevate a Montpellier nell'orfanotrofio delle suore di Nazaret dove
appunto si trovavano, quando arrivò il loro grande cugino. La
maggiore, nata nel 1867, era ormai in età da dover decidere sul
suo avvenire. Visitò Don Bosco nel Seminario. Non lo vedeva allora
per la prima volta; poichè su gli otto anni la madre, andata
a Castelnuovo, l'aveva condotta a lui in Torino (I). Egli dunque, ricevutala
con bontà commovente, le domandò che cosa intendesse di
fare e n'ebbe in risposta che voleva farsi religiosa. - Sì, va
bene, le diss'egli, guardandola con i suoi occhi penetranti. M'interesserò
di te. - Quindi alla suora che la accompagnava, soggiunse: - Io assistetti
negli ultimi momenti suo nonno, fratello di mio padre. Se tutti vivessero
come lui, la morte sarebbe sempre bella come la sua. - La giovane entrò
fra le Benedettine del Sembel presso Miols nel dipartimento dell'Héraut,
professandovi nel 1893 e cambiando il suo nome di Paola in quello di
Maria Eleonora (2). Vi divenne poi Superiora e mentre scriviamo si trova
nella badia di Pradines, nel dipartimento della Loire (3).
(I) In una lettera alla sua parente, Madre Eulalia Bosco, delle suore
di Maria Ausiliatrice, essa scriveva da Pradines il 21 novembre 1929,
accennando a questa andata e al proprio padre: “ Il devait être
très estimé; j'avais remarqué que le vieilles personnes
qui l'avaient connu à Castelnuovo, quand on leur disait: - Voilà
la fille de François Bosco - joignaient les mains et disaient:
- Oh! Oh! - Elles me regardaient avec une tendresse respectueuse ”.
(2) A farla accettare nel convento si adoperò l'abate Gervais,
Vicario Generale di Montpellier, mosso dall'affetto grandissimo che
portava a Don Bosco.
(3) Dobbiamo queste informazioni parte a suor Maria Joseph della Trappa
d'Espira de l'Agly nei Pirenei orientali, che le inviò a Don
Lemoyne il 5 aprile 1899, parte alla stessa madre Maria Eleonora per
via di una sua relazione mandata a Madre Eleonora con la lettera citata.
126
La piena della gente aumentava d'ora in ora, turbando seriamente la
tranquillità del pio luogo; onde il Santo decise di non prolungarvi
di più la sua dimora. Perciò la mattina del io, fatto
un po' di déjenner dalle Suore della Carità, che per mezzo
dei loro Confratelli avevano potuto ottenere quel favore, partì
per Valenza.
Quell'ospitalità offertagli tanto cordialmente nel Seminario
di Montpellier ebbe un seguito, del quale non potremmo non fare parola.
Al signor Dupuy, superiore del Seminario, Don Bosco aveva mandato da
Torino con i suoi ringraziamenti anche alcune pubblicazioni sue, fra
le altre la Vita di S. Vincenzo de' Paoli. Quegli rispondendo il 2 luglio,
dopo averlo ringraziato gli diceva: “ Il Seminario di Montpellier
serba ancora la più gradita impressione della sua visita; i buoni
abitanti della città, che le fecero sì bella accoglienza,
sarebbero disposti a rinnovargliela e io mi offrirei nuovamente a sorreggerla
e a ripararla dall'assalto della folla. E sì che dovetti sudare
un bel poco a contenere l'impeto del popolo, che voleva baciare la mano
a un prete povero fra i poveri e pieno di acciacchi ”. Ma tuttavia
era rimasto con un grave rammarico. Avendolo lasciato interamente a
disposizione degli altri, non erasi mai potuto procurare la comodità
di discorrere con lui da solo a solo, mentre avrebbe avuto un gran desiderio
d'interrogarlo sul metodo da lui usato per portare le anime a Dio. Gli
aveva bensì domandato come facesse con sì scarso numero
di aiutanti a governare tanti giovani, e Don Bosco gli aveva risposto
che tutto il segreto stava nell'infonder loro il santo timor di Dio;
ma di questa sua risposta il Superiore non era pago. “ Il timor
di Dio, osservava nella medesima lettera, è soltanto il principio
della sapienza; io invece vorrei sapere quale sia il suo metodo per
guidare le anime al sommo della sapienza, che è l'amor di Dio
”.
Quando gli si lesse la lettera (I), Don Bosco esclamò:
(I) App., Doc. 20.
127
Il mio metodo si vuole che io esponga. Mah!... Non lo so neppur io.
Sono sempre andato avanti come il Signore m'ispirava e le circostanze
esigevano (I). - Che cosa rispondesse o facesse rispondere, non si sa;
ma certo queste parole nella loro semplicità vogliono dire molto.
Esse non significano già che fosse suo costume come nota Don
Fascie (2), andare senza saper dove, ma che non si era irrigidito in
un sistema stereotipato, il quale “ gli troncasse la libertà
dei movimenti di fronte a nuove iniziative o a nuove esigenze ”.
Infatti il suo spirito eminentemente pratico rifuggiva dalle astrattezze.
Un metodo veramente Don Bosco fece suo, il così detto metodo
preventivo, ma traendone gli elementi dalla “ tradizione umana
e cristiana ” e dallo studio sull'animo dei giovani, lungi perciò
dal campo della Pedagogia teorica.
Sulla linea da Montpellier a Valenza s'incontra Tarascona, dove bisognava
cambiare treno. In quell'attesa di circa mezz'ora, sparsasi ivi intorno
la voce che quel prete vestito all'italiana era Don Bosco, la sala d'aspetto
si riempì dì gente. Gli uni si vedeva che erano attratti
da semplice curiosità, altri al contrario gli venivano a chiedere
divotamente la benedizione.
S'arrivò a Valenza verso le quattro pomeridiane. Il parroco della
cattedrale, tutto affetto per Don Bosco e per i Salesiani, si trovò
a riceverlo nella stazione e lo condusse a casa sua. Alla cena sedeva
a mensa anche l'economo della grande Certosa di Grenoble, che conversò
lungamente col Servo di Dio. Quel buon monaco sapeva pochissimo di Don
Bosco e meno ancora della sua opera; ma il Viglietti riuscì in
breve a catechizzarlo così bene, che egli partendo promise di
ricordarsene e abbracciò tutti con la più schietta cordialità.
Quel ricordarsene voleva dire che nelle rilevanti beneficenze largite
ogni anno dal dovizioso monastero, ci sarebbe stato mar -
(I) LEMOYNE, Vita del Venerabile Don Bosco, vol. II, pag. 311.
(2) D. B. FASCIE, Il metodo educativo di Don Bosco, S.E.I., pag. 20
- 22
128
gine anche per Don Bosco. Nè furono parole lanciate al vento.
Infatti il 31 maggio si presentò all'Oratorio un monaco di quella
Certosa che a nome del Priore portava a Don Bosco in dono cinquantamila
franchi con una lettera piena di benevolenza per lui, nella quale il
Superiore si dichiarava pronto a prestargli ogni servizio e a somministrargli
ogni soccorso.
Un pranzo d'onore fu imbandito dal parroco il giorno dopo, con larghi
inviti di signori della città, fra i quali menzioneremo il Du
Boys, biografo di Don Bosco, incontrato già da noi a Tolone (I).
In seguito Don Bosco fece visita alle Suore della Visitazione, alle
Trinitarie e alle signore che lavoravano per i Missionari, dappertutto
spargendo consigli, conforti e benedizioni. Alle otto della stessa sera
vi fu conferenza nella cattedrale, che, sebbene vastissima, si gremì
di popolo; ma Don Bosco cedette la parola a Don Rua, il quale narrò
la storia dell'Oratorio e poi con Viglietti andò per la chiesa
a raccogliere limosine.
Il giorno 12, come già il mattino antecedente, celebrò
nella cattedrale. Dopo il vangelo, postosi a sedere, parlò a
un uditorio numerosissimo, toccando in particolar modo della chiesa
del Sacro Cuore di Gesù in Roma; quindi si ripetè la questua,
mentre Don Rua dalla balaustra distribuiva in grande quantità
medaglie di Maria Ausiliatrice. Date udienze quante potè, Don
Bosco si ritirò perchè era imminente l'ora di partire.
Scoccavano le dodici, quando si lasciò Valenza per Grenoble,
ultima tappa di Don Bosco in terra di Francia: ultima diciamo non solamente
nel lungo viaggio fin qui descritto, ma oramai anche per il rimanente
del vivere suo.
A Grenoble la fama era precorsa. Sacerdoti e signori andati a riceverlo,
vista l'aspettazione del pubblico, avevano divisato di condurlo dalla
stazione alla chiesa di S. Luigi. Le vie e le piazze vicine riboccavano
di gente, e dentro la
(I) Cfr. sopra, pag. 57 e vol. XVII, pag. 223.
129
folla si accalcava in ogni angolo. Il parroco, vestito di rocchetto,
gli venne incontro con tutto il suo clero fino alla porta e ad alta
voce lo invitò a benedire i suoi parrocchiani ed a fare per loro
una preghiera. Don Bosco accondiscese. Allora non ci fu più ritegno
che valesse: la moltitudine, trasportata da una specie di frenesia,
si gettò sopra di lui, sicchè bisognò circondarne
vigorosamente la persona, affinchè non rimanesse schiacciato,
ma potesse in qualche modo raggiungere l'altare. Per questo, non riuscendosi
più a toccargli la mano o la veste, si vibravano da lungi le
corone del rosario, tempestandolo di colpi sulle spalle, sul collo,
sulla testa, sulle braccia; cosicchè tanto nell'entrare che nell'uscire
fu assoggettato a una “ pia flagellazione ”, come si esprime
nei Processi Don Rua, che gli stava daccanto (I). Infatti alla sera
aveva le mani tinte di sangue, gli doleva la faccia e accusava un dolore
al braccio destro.
Quando col tempo e con la pazienza s'arrivò a chiuderlo in carrozza,
venne condotto nel Seminario maggiore con un seguito di ecclesiastici
e di laici. I veicoli entrarono per la porta carraia, mentre i seminaristi
stavano tutti affacciati alle finestre, ansiosi di vedere il Santo.
Il Superiore, attorniato dal suo personale, lo ricevette a pie' dello
scalone. Vedendolo affaticato e ansante gli disse:
- O Padre reverendo, lei sembra molto sofferente... Ma
nessuno meglio di lei sa quanto la sofferenza santifichi.
- No, no, signor Rettore, gli rispose prontamente Don Bosco, quella
che santifica non è la sofferenza, ma la pazienza.
Sonata poco dopo la cena, entrò con tutti i superiori nel refettorio
dei chierici, che, levatisi in piedi, applaudirono con entusiasmo, ed
egli, giunto al suo posto, disse a voce alta ed in italiano: - Buon
appetito! - Cosi fece poi anche tutte le altre volte.
Servivano per turno alle mense quattro chierici. I quattro
(I)Summ. dei Proc. dioc., num. XVIII, § 185.
130
di quella sera complottarono di trafugare e dividersi fra loro le stoviglie
e le posate di Don Bosco; ma a coonestare il furtarello si quotarono
un tanto ognuno per fare acquisto di un servizio nuovo uguale al trafugato.
Così, al momento opportuno, piombarono sulla preda e si ripartirono
la refurtiva.
La prima giornata di Grenoble, 13 maggio, fu assai laboriosa. Infra
Missam, celebrata nella cattedrale con l'assistenza del Capitolo che
l'aveva ricevuto in corpo con la solennità del cerimoniale vescovile,
Don Bosco parlò piuttosto lungamente al folto uditorio, mostrando
come la sua opera rispondesse alle esigenze dei tempi. Seguì
la solita questua.
Dopo la Messa, mentre a piedi attraversava la piazza piena di gente
e si dirigeva alla canonica, ecco un canuto vegliardo fendere la folla,
raggiungerlo, gettarglisi in ginocchio davanti e supplicarlo di benedire
lui e di pregare per la sua consorte. Tutta la città lo conosceva
e l'aveva in venerazione; era il signor Paolo Lamache, uno dei sette
che con l'Ozanam istituirono a Parigi nel 1833 la Società di
S. Vincenzo de' Paoli, più nota sotto il nome di Conferenze.
Stabilitosi già vecchio a Grenoble, aveva da più anni
la moglie gravemente inferma; allora anzi la povera ammalata non poteva
più ingerire alimento di sorta e i medici non davano più
alcuna speranza. Il marito, uomo di fede, saputo che Don Bosco era là,
veniva a tentare la prova estrema. Don Bosco, udita la sua accorata
invocazione, si raccolse alcuni istanti in se stesso, come per consultarsi
con Dio, e poi disse:
- Faccia per i poveri qualche cosa che le costi sacrifizio e sue figlie
non hanno gioielli di famiglia, ai quali siano molto attaccate?
- Sì, ne hanno, rispose.
- Ebbene, ripigliò Don Bosco, li offrano a Maria Ausiliatrice
per le opere salesiane.
La privazione era ben dura; tuttavia pochi giorni dopo quei tesoretti
domestici prendevano la via di Torino. Don Bosco ricevutili fece telegrafare:
“ Otterrassi guarigione, se
131
utile alla salvezza eterna ” . L'effetto fu che la signora Lamache
guari e campò altri venti lunghi anni.
Nella casa parrocchiale convennero i membri della Società di
S. Vincenzo per rendergli omaggio ed esserne benedetti. Dopo, recatosi
a visitare una benefattrice, vi si fermò a dare molte udienze.
Per il pranzo s'andò fuori di città, nella villa del Seminario
con tutti i chierici. Nel ritorno egli passò dalle religiose
del Sacro Cuore; poi, rientrato nella sua dimora, continuò fin
tardi a ricevere chi volle parlargli. Nell'ora della lettura spirituale
che precedeva immediatamente la cena, non permettendosi più l'ingresso
a estranei, si uni ai seminaristi per il pio esercizio; ma quella volta
il leggere venne sostituito da una esortazione di Don Rua. Questi prese
a ragionare sul tema dell'amor di Dio per noi. Scrive uno che fu presente:
“ Le sue ardenti parole rivelano in lui un'anima infocata. Più
che meditazione era contemplazione, ma per il Santo diventò estasi.
Grosse lacrime gli rigavano le guance e il Superiore, come se n'avvide,
con la sua voce dolce e simpatica disse forte: - Don Bosco piange. -
È impossibile esprimere l'emozione prodotta nelle nostre anime
da quella semplice parola. Le lacrime del Santo furono ancor più
possenti che gl'infiammati sospiri di Don Rua. Noi ci sentimmo profondamente
scossi e riconoscemmo la santità al segno dell'amore, nè
avevamo più bisogno di miracolo per manifestare al Santo la nostra
venerazione, mentre di là s'andava nel refettorio ”.
Ed ecco che fecero. I seminaristi erano centoventi, e ognuno volle baciare
la mano a Don Bosco. In un batter d'occhio s'intesero fra loro. Due
gli si piantarono ai fianchi e gli presero le braccia per sostenerle;
così lungo il portico fino al refettorio si succedevano due a
due di qua e di là a baciargli le mani. Ora si noti che in Francia
non si usa generalmente baciare, come costumiamo in Italia, le mani
ai preti; il farlo è colà un atto che riveste il carattere
di alta venerazione personale.
Nacque appresso una gara per potergli parlare in privato.
132
Ecco un episodio. Il mattino seguente per tempo un chierico Edoardo
Jourdan, sgusciando non si sa come dalle file, corse dov'era l'appartamento
di Don Bosco e picchiò all'uscio della sua camera. Nessuno rispose,
ma si fece innanzi il Viglietti, il quale gli disse che Don Bosco stava
nella sala di lettura. Senza dire nè un nè due il chierico
si volse da quella parte, seguìto da un compagno sopraggiunto
lui pure non si sa come. In quel punto si apre la porta e Don Bosco
viene fuori. Entrambi spiccano un salto e si gettano in ginocchio. Parlò
per primo il Jourdan dicendo:
- Padre, io sono indeciso circa la mia vocazione. Mi dica lei che cosa
debbo fare.
- Voi, amico mio, bisogna che veniate con me, rispose Don Bosco. Voi
sarete salesiano.
Anche l'altro lo interrogò sulla via da scegliere e ne ricevette
per tutta risposta un gesto negativo della destra che voleva significare:
- Voi no, non vi voglio. - Tanto nel dire sì al primo che nel
fare no al secondo egli si espresse in modo egualmente categorico.
Un'altra smania prese quei buoni seminaristi: tagliargli pezzetti della
sottana o ricci dei capelli. I tentativi si facevano quando il Superiore
presentava a Don Bosco le singole camerate. Parecchi vi andavano armati
di forbici, ma all'atto pratico veni va loro meno il coraggio di adoperarle.
Qualcuno tuttavia vi s'arrischiò; ma uno sguardo fulmineo del
Santo incuteva timore. Vi fu uno più fortunato degli altri, al
quale il colpo riuscì; ma Don Bosco se n'accorse e disse sorridendo
al Superiore: - Signor Rettore, ella ha dei ladri qua entro. Il Rettore
sbarrò gli occhi; ma fu l'allarme di un istante. Bella è
l'osservazione di colui che abbiamo citato poc'anzi a proposito del
lacrimare di Don Bosco; egli concilia ingegnosamente due cose tanto
diverse, quali la severità di quelle occhiate e l'amabilità
di questo sorriso. “ Io sguardo severo, scrive, ante factum e
il sorriso post factum. Nei Santi come in Dio la giustizia e la misericordia
si danno un bacio ineffabile ”.
133
Chi così commenta, è il chierico che ricevette da Don
Bosco il no, dopochè al suo compagno era toccato il sì.
A quest'ultimo nell'udienza della sua camerata il Santo replicò
l'invito, nè parlava a sordo; infatti, recatosi per il noviziato
a Marsiglia, egli divenne sacerdote e visse da ottimo Salesiano fino
al 1923. L'altro, esercitato per più anni il ministero pastorale
in diocesi, entrò nella grande Certosa di Grenoble, dove rimase
fino alla cacciata dei religiosi dalla Francia. È il padre Pietro
Muton, oggi vicario della Certosa di Motta Grossa in quel di Pinerolo;
la sua relazione sulla dimora di Don Bosco nel Seminario di Grenoble
contiene tante altre coserelle che si possono leggere in fondo al volume
(I). Ei vi tace però una particolarità, che raccontò
nel nostro noviziato di Monte Oliveto (2). Quand'era nel Seminario,
correva pericolo di perdere la vista o per lo meno di non averne a sufficienza
per continuare gli studi. Orbene, la prima volta che potè afferrare
la mano del Santo, se la appoggiò, pieno di confidenza, su gli
occhi, i quali come per incanto si rinvigorirono e ogni sua apprensione
fu per sempre dileguata.
La terza giornata di Don Bosco a Grenoble passò su per giù
come la prima, con la differenza della pioggia, che, pur cadendo a catinelle
non rattenne una fiumana di popolo dall'invadere la chiesa di S. Luigi,
dove andò a celebrare, e poi la piazza e le vie adiacenti. Ricevuto
al solito dal parroco e dal clero sulla porta, al vangelo fece un po'
di storia della chiesa del Sacro Cuore a Roma. Dopo la Messa, udienze
nella canonica, udienze presso la chiesa di S. Lorenzo da lui visitata,
udienze nel Seminario. Alle otto di sera s'andò a S. Andrea per
la pia pratica del mese mariano. Si faceva già scuro e una marea
di gente rumoreggiava nella piazza, perchè in chiesa non poteva
più entrare nessuno. Temendosi di qual-
(I) App., Doc. 2 1. Nella ripartizione della preda alla mensa di Don
Bosco, a lui toccò il bicchiere che, facendosi monaco, donò
alla propria famiglia, che religiosamente lo conserva. Nelle feste della
beatificazione e della canonizzazione fu portato a tavola e ognuno vi
bevve un sorso di vino.
(2) La voce di Monte Oliveto, marzo - aprile 1932.
134
che disgrazia in tanto tramestio, Don Bosco scese dalla vettura e parecchi
signori con a capo l'erculeo coadiutore Graziano, venutogli incontro
dall'Italia, lo circondarono e gli apersero alla meglio un po' di passaggio.
Il Servo di Dio era stanco da non poterne più; eppure volle dire
al popolo qualche parola dalla balaustra e gli diede la sua benedizione.
Se l'entrare nella chiesa non fu senza apprensioni, l'uscire diventò
una paurosa impresa; con tanta e tale moltitudine irrequieta potevano
succedere grossi guai. “ Tanto Don Bosco quanto noi che gli eravamo
insieme, scrive il Viglietti, non dimenticheremo mai quella sera. Io
aveva i piedi pesti che mi sanguinavano; per non essere allontanato
da lui dovetti aggrapparmi alle sue vesti. Il povero nostro padre, oltre
all'essere stanco e pesto e malconcio dall'indiscreta pietà dei
fedeli, aveva le mani livide. Lo hanno morso, gli hanno strofinato sul
volto e sulle mani corone, crocifissi e medaglie ” . Tuttavia
per chi era au - dessus de la mêlée dovette essere un commovente
spettacolo di fede.
L'ultimo giorno, 15 maggio, non uscì dal Seminario se non quando
fu l'ora della partenza. Celebrò la Messa della comunità
e salutò i chierici. Non vide il Vescovo della diocesi monsignor
Fava, perchè assente dalla città; Don Bosco però
nel giungere si era fatto un dovere di recarsi all'episcopio in segno
di devoto omaggio. Finalmente verso le nove col diretto d'Italia lasciò
Grenoble, dando l'addio in perpetuo a quella Francia, della quale per
tante guise aveva sperimentato la benevolenza e la generosità.
Don Lemoyne raccolse la notizia di un fatto prodigioso avvenuto a Grenoble
prima ancora che vi giungesse Don Bosco. Un tal signor Darberio aveva
un figlio malato di male incurabile e, cosa più affliggente per
la cristiana famiglia, restio a ricevere i sacramenti; si era perciò
il padre rivolto per lettera a lui, supplicandolo di pregare Iddio che
almeno toccasse il cuore a quel disgraziato. Don Bosco gli aveva risposto
che suo figlio non solamente sarebbe guarito, ma al
135
suo passaggio per Grenoble gli avrebbe servito la Messa.
E così avvenne.
Si riferiscono al medesimo passaggio due lettere scritte a Don Bosco
nel gennaio del 1888 da chi doveva ignorare in quali condizioni si trovasse
allora il Servo di Dio. Nella prima, che è del 16, la signora
Susanna della Brosse chiede un favore spirituale; ma per aprirsi la
via alla domanda gli rammenta un favore temporale già da lui
ottenutole. “ Quand'ella, scrive la richiedente, passò
due anni fa da Grenoble, mio padre soffriva per grave mal d'occhi. La
S. V. si degnò di pregare per lui Maria Ausiliatrice, e nel giorno
stesso gli occhi di mio padre erano guariti ”.
La seconda lettera con la data del 25 è di un giovane povero
povero per nome Mario Faure, che gl'invia in offerta l'obolo di un franco
e venticinque centesimi e che, uscito d'infermità, si raccomanda
alle sue preghiere, perchè possa trovar lavoro. Orbene per richiamarglisi
alla memoria, gli ricorda parecchie circostanze di un'udienza accordatagli
a Grenoble, che cioè egli è quel tal povero giovane gobbo
da lui ricevuto nella sua camera in seminario prima di andar a celebrare
nella chiesa di S. Luigi e che aveva la madre inferma, e che il Servo
di Dio gli donò una medaglia per essa, raccomandandogli di fare
sino alla fine dell'anno questa preghiera al Sacro Cuore di Gesù:
“ Gloria al Sacro Cuore di Gesù ora e sempre e in tutti
i secoli. Così sia ”. Giaculatoria molto facile a ricordarsi,
consigliata forse dal vedere la poca levatura del soggetto. Egli assicura
d'aver fatto sempre la preghiera, ma nulla aggiunge sullo stato della
madre. Piuttosto noi vorremmo che fosse rilevato il singolare tratto
di bontà, con cui Don Bosco in un momento così intempestivo
ricevette, ascoltò e confortò quel poveretto come se fosse
un gran personaggio.
Ed ora veniamo all'epilogo. L'II maggio da Valenza il Viglietti aveva
scritto a D. Lemoyne: “ Don Bosco al cui fianco mi trovo in questo
momento, m'incarica di salutarla tanto
136
e di salutare tutti i Superiori dell'Oratorio e tutti i giovani e dir
loro che sabato alle sei di sera spera di rivederli tutti in buona salute
”. Questa comunicazione dopo sì lunga assenza e dopo la
trepidazione comune per la sua preziosa salute durante un viaggio così
faticoso mise in gran festa tutto l'Oratorio. Giunse quando mancava
poco alle sette. Chi può de scrivere l'entusiasmo al vederlo
comparire dalla porteria? Il primo entusiasmo per altro si cambiò
tosto in commossa tenerezza all'osservare quanto si andasse incurvando
sempre più nella persona (I). Mentr'egli attraversava lento lento
il cortile in mezzo a due ale compatte dei giovani che gli afferravano
le mani per baciarle, uno dei segretari, vedendolo affaticato, volle
por termine a quel movimento, respingendo i ragazzi; ma Don Bosco, che
avvertì l'improvvisa pena dei più vicini, gli diede uno
schiaffetto sulla guancia dicendo: - Perchè non vuoi che vengano
a baciare la mano? Lasciali venire. - Così tutti ebbero quella
soddisfazione, accompagnandolo poi con grida di gioia e con applausi,
mentr’egli percorreva il ballatoio per andare alla sua camera.
Dopo la cena una bella luminaria e grandi iscrizioni esprimevano il
generale tripudio.
Cadeva ai 16 di maggio il Patrocinio di S. Giuseppe, festeggiato nell'Oratorio
specialmente dagli artigiani. Don Bosco per ringraziare la Madonna dei
benefizi ricevuti nel suo viaggio volle non senza gran disagio celebrare
la Messa in Maria Ausiliatrice al solito altare di S. Pietro durante
la Messa della comunità, sicchè tutti ebbero la consolazione
di vederlo a loro agio; poi a mezzogiorno per il pranzo scese nel refettorio
dei Confratelli, dove gli si lessero da giovani e da superiori complimenti
in prosa e in versi. Poichè Don Bosco parlava assai bene e gustava
il piemontese, Don Francesia, direttore degli studenti, lo salutò
gaiamente in quel dialetto (2). Alla fine Don Lazzero, direttore degli
artigiani, annunziò che dopo le funzioni della sera i suoi avrebbero
fatto
(I)Lettera di Don Lazzero a Monsignor Cagliero, Torino 17 maggio 1886.
(2) App., DOC. 22.
137
un'accademia da potersi intitolare: San Giuseppe e Don Bosco, pregava
quindi i presenti a volerla onorare, ma a Don Bosco disse che non osava
fargli l'invito, tanto più che il trattenimento si sarebbe fatto
nel cortile; dover tuttavia essere un prezioso regalo per gli artigiani
poterlo contemplare anche solo pochi istanti in mezzo a loro. Don Bosco
rispose: - Se il tempo è bello e se l'aria non sarà troppo
fredda, ci verrò.
Ci andò difatti. Il Viglietti aveva avuto l'idea di mettergli
prima al collo la medaglia datagli a Barcellona dalla Società
Cattolica; la qual novità fu salutata da tutti con segni di grande
allegrezza. Con le lodi a S. Giuseppe s'intrecciarono gli accenni ai
viaggi di Don Bosco, al bene da lui operato, alla decorazione barcellonese
e a tante altre cose che lo intenerirono fino alle lacrime. Anche gli
operai cattolici di Borgo Dora, dei quali Don Bosco era presidente onorario,
avevano mandato una rappresentanza con un affettuoso indirizzo da leggersi
in pubblico (I). Il Santo rimase così contento, che ordinò
di copiare in pulito le cose lette, formarne un fascicoletto decoroso
e mandarlo nella Spagna alla nobile famiglia Marti Codolar. “
Così terminava, scrisse l'indomani Don Lazzero nella lettera
citata, il bel giorno di ieri, bello per l'arrivo di Don Bosco fra noi,
bello perchè Patrocinio di S. Giuseppe, bello perchè nella
novena della nostra festa di Maria Ausiliatrice, bello ancora pel cielo
limpido e chiaro dopo molto tempo che non avevamo più avuto giorno
di così bel sereno ”.
Chi più d'ogni altro in Torino godeva del felice ritorno di Don
Bosco era il cardinale Alimonda. Lasciati passare alcuni giorni, quando
credette che Don Bosco si fosse rimesso abbastanza dagli strapazzi di
quel viaggio, che fu giudicato da taluni “ pia e sorprendente
temerità ” (2), la mattina del 18 maggio venne improvvisamente
all'Oratorio per vederlo. Non fu la sua una vista di mera convenienza,
ma di cordiale
(I) App., Doc. 23.
(2) Verbali dei Comitato femminile marsigliese, seduta del 13 maggio
1886.
138
amicizia, tanto che la protrasse per più di un'ora. Egli trovò
purtroppo il Servo di Dio quale lo descriveva il 20 maggio Don Lazzero
al Vicario Apostolico della Patagonia, “ Mi domanderai: Ma come
sta Don Bosco? Non istà male, ma ognor più diventa pesante,
cioè le gambe s'indeboliscono sempre più e pare che il
suo corpo pesi il triplo, non potendolo più reggere le sue gambe;
a stento si trascina avanti a passo di formica. Di testa va ancor bene,
di stomaco passabilmente; solo che giorno per giorno va diminuendo in
lui la volontà di parlare; gode nel sentire gli altri a discorrere,
e specialmente quando si espongono cose riguardanti le missioni, allora
sta molto attento, e generalmente in queste cose prende la parola anche
lui. Del resto noi ci auguriamo che possa andar avanti così ad
multos annos ”.
Anche questa volta dunque Don Bosco, sebbene sembrasse in tale stato
da non poter raggiungere la meta prefissa, nondimeno, secondando una
sua persistente idea, senza consultare le proprie forze, senza tener
conto della più ordinaria prudenza umana, si era spinto così
lontano, e la Provvidenza l'aveva, come sempre, visibilmente assistito,
facendogli superare ostacoli a comun giudizio insormontabili. Quanto
bene spirituale operò nelle anime con l'efficacia della sua parola!
Ma prescindendo da questo, noti che dagli aiuti materiali di cui pur
tanto abbisognava, e dalla grandiosa offerta del Tibidabo destinato
a essere il voto nazionale della Spagna al Sacro Cuore di Gesù,
la sua presenza nella cavalleresca nazione fece sì che, come
già in Francia, l'opera sua vi fosse universalmente conosciuta,
acclamata e desiderata e vi prendesse poi in breve volgere di anni ampio
e solido sviluppo, sì da uscire perfino incolume dai truculenti
furori della rivoluzione comunistica che nel 1934 sconvolse e insanguinò
tutto il paese (I).
(I) Mentre correggiamo le bozze (4 dic. 1936) Satana incarnato nel
bolscevismo russo, dopo aver atterrato centinaia di chiese e assassinati
14.000 preti, minaccia di fare nella Spagna il concentramento delle
forze infernali per annientare l'Europa cristiana e civile... se l'arcangelo
S. Michele non lo ricaccerà prima negli abissi da cui è
uscito.
CAPO V
Da Maria Ausiliatrice all'Assunta. Don Bosco nell'Oratorio ed a Pinerolo.
LA festa di Maria Ausiliatrice acquistava d'anno in anno una popolarità
sempre maggiore e sempre più estesa. Nel 1886 grande fu il concorso
dei fedeli durante la novena, grandissimo alla vigilia, straordinario
nel giorno della solennità. Con il numero c'era anche la vera
divozione. Il salernitano Don D'Antuono, predicatore del mese mariano
e della novena, disse d'aver predicato in chiese più vaste e
dinanzi a maggior folla di popolo, ma di non aver mai visto tanto raccoglimento
e tanta pietà.
La presenza di parecchi Vescovi a Torino, recentemente consacrati, favori
lo splendore delle sacre Funzioni, che per tutto il 23 si svolsero così
solenni da sembrare che fosse il dì della festa; i pontificali
del mattino e della sera contribuirono a creare quella illusione, tanto
più essendo la domenica. Don Bosco celebrò all'altare
di S. Pietro. Assistette alla sua Messa una serrata moltitudine di persone
e gliela servirono il Presidente generale dell'Unione Cattolica Operaia
torinese e il Presidente della sezione di S. Gioachino. I Soci di quest'ultima
erano venuti in corpo a ringraziare Maria Ausiliatrice per il felice
viaggio del loro Presidente onorario. Nel pomeriggio, due ore prima
dei vespri, si tenne la conferenza salesiana. Don Bosco aveva lasciato
sperare che avrebbe par-
140
lato; ma all'ultimo gli mancarono le forze e ne die' incarico a Don
Bonetti. Egli se ne stette ad ascoltare dal presbiterio, mirato e rimirato
con commozione dagli uditori in quel suo atteggiamento composto e accasciato.
Mentre poi si faceva la questua, accadde un episodio veramente singolare.
Un operaio, che a furia di gomitate era giunto fino a lui, gli depose
nelle mani dieci scudi dicendo: - Sono sei mesi che metto da parte questo
po' di risparmio. Se lo abbia per i suoi poveri fanciulli.
Quando il Servo di Dio uscì nel cortile dell'Oratorio, i Cooperatori
lo attorniarono in gran numero con un affetto indicibile. “ Chi
non vide Don Bosco fra i suoi, fu scritto allora (I), non può
farsi un'idea che cosa sia entusiasmo ”. Che pena tuttavia vedendolo
così lento a muoversi e così curvo nella persona! - Com'è
invecchiato! - si esclamava. Il Viglietti scrive nel suo diario: “
Don Bosco impiegò tre quarti d'ora per risalire in camera sua.
Quanta gente! I più sono forestieri che vengono a ringraziare
Maria Ausiliatrice pei favori ottenuti. Due volte Don Bosco diede la
sua benedizione colle lacrime agli occhi a quella turba. È stanco,
è senza fiato, è sfinito che cade; eppure vuole contentare
tutti, parlare con tutti, a tutti chiedere notizie. È un martire
”.
Alla festa, benchè in giorno feriale, vi fu tanto concorso, quanto
non se ne era mai visto nell'Oratorio. Il cardinale Alimonda fece assistenza
pontificale alla Messa cantata da un Vescovo, e ritornò alla
sera per la benedizione. Nell'interno dell'Oratorio convennero successivamente
centinaia di sacerdoti e di laici, amici di Don Bosco, per rallegrarsi
con lui e tenergli lieta compagnia. A mensa fecero corona da un lato
all'Arcivescovo parecchi Vescovi e dall'altro a Don Bosco i conti Colle
e vari Cooperatori italiani. Fin dal mattino si aggiravano per l'Oratorio
e presero parte alle funzioni tutti i novizi di S. Benigno, condotti
a visitare Don Bosco in sì bel giorno. Egli li volle vedere tutti
assieme e nell'acco -
(I) Bollettino Salesiano, luglio 1886.
141
miatarli disse loro: - Siete già molti, ma il noviziato sarà
ancor più numeroso. Vi dò due medaglie, una per voi e
una per chi volete. Ve la dò piccola, affinchè, se la
mandate per lettera, non passi il peso. Vi dò anche la benedizione,
affinchè come chierici e come preti possiate fare tanto del bene,
e la dò pure a quei della vostra famiglia. Io mi ricorderò
sempre di voi. - A sera avanzata il Santo s'intenerì tutto all'udire
dalle sue, camere un grido immenso di Viva Maria Ausiliatrice che più
migliaia di petti emisero ripetute volte dalla piazza del santuario,
dinanzi allo spettacolo della cupola illuminata.
Due giorni dopo la festa di Maria Ausiliatrice il Santo presiedette
un'importante adunanza capitolare, a cui partecipò anche il procuratore
generale Don Dalmazzo. Questi a nome del Ministro degli Esteri conte
di Robilant, che ne aveva trattato con lui in via confidenziale per
mezzo del commendatore Malvano, propose a Don Bosco la fondazione di
una casa salesiana al Cairo. Il Vicario Apostolico monsignor Sogaro
e il Delegato Apostolico monsignor Chicaro aver scritto al Ministro
chiedendo i Salesiani; il Governo italiano aver già antecedentemente
pensato a Don Bosco per questo oggetto, conoscendo benissimo quello
che egli faceva e sapendo per esperienza che qualunque impresa egli
si assumesse la conduceva a compimento; il Governo darebbe una grossa
somma brevi manu, conservando sopra ogni cosa il più alto silenzio
e lasciando ai Salesiani piena libertà di azione senza che dovessero
dipendere da chicchessia; chiedere il Ministro l'apertura di una scuola
al più presto possibile, cioè al principio del prossimo
anno scolastico o al più tardi nel febbraio del 1887.
Ma Don Bosco, dopo aver fatto notare che il Governo, quando si erano
aperte le trattative per la Patagonia, non aveva mantenute le sue promesse,
concluse: - Ora si dice che è cosa sicura. Ma non c'è
pericolo che Di Robilant cada dal Ministero? Se ciò fosse, tutto
andrebbe in aria.
Don Dalmazzo rispose non esservi probabilità di mutamenti riguardo
a quel disegno; darne assicurazione il Malvano,
142
che sarebbe sempre rimasto Direttore generale degli affari esteri nonostante
il cambiamento del Ministro; e poi essere cosa conforme alle vedute
del Governo, e non di un solo Ministro.
Don Bosco disse: - Sono inclinato ad accettare e manderò al Cairo
alcuni Salesiani, appena potrò. Bisogna per altro cercare un
lestofante (I) che vada al Cairo, veda e faccia le trattative. Si dica
che cercheremo di abbreviare il tempo per la nostra andata; che non
dobbiamo però urtare con la Propaganda Fide, dalla quale non
possiamo staccarci. Non faremo tuttavia parola dei sussidi che il Governo
ci darebbe. Io intanto vi dico schiettamente che questa Missione è
un mio piano, è uno de' miei sogni. Se io fossi giovane, prenderei
con me Don Rua e gli direi: "Vieni, andiamo al Capo di Buona Speranza,
nella Nigrizia, a Kartum, nel Congo; o meglio a Suakin, come suggerisce
monsignor Sogaro, perchè c'è l'aria buona ". Per
questo motivo si potrebbe mettere un noviziato dalla parte del Mar Rosso.
Ma bisogna che la Propaganda non sia contraria ai Salesiani. Don Dalmazzo
faccia sentire al commendatore Malvano, parlandogli accademicamente,
quanti Italiani, abbandonati a certa immoralità, siano nell'America
del Sud, in Patagonia, nelle Pampas, nell'Argentina, nel Chilì,
nelle isole Ancud (2), e ciò per dimostrare quello che facciamo
e quindi le necessità di sussidi.
Il Capitolo non senza discussione accettò la proposta del Di
Robilant, ma a patto che si facessero le cose a poco a poco, appena
si potesse.
Il cardinale Simeoni, nuovo Prefetto di Propaganda, sembrava che avesse
ereditato dal cardinale Franchi, suo predecessore, la diffidenza verso
le capacità missionarie dei Salesiani. Egli baciava perfino le
mani a Don Bosco e gli dava familiarmente del tu; ma l'essersi opposto
al desiderio di monsignor Sogaro di farsi salesiano pareva a Don Bosco
un
(I) Scherzevolmente voleva dire un uomo abile che sapesse procedere,
con accortezza.
(2) Intende l'arcipelago di Chiloe, dove Ancud è il porto più
attivo, nel Cile meridionale.
143
indizio di quella scarsa fiducia. Era però “ vero nostro
amico, tutto per noi ” , come si espresse allora Don Bosco, monsignor
Domenico Jacobini, segretario di detta Congregazione, e a lui si deve
se il Cardinale Prefetto scrisse il 26 febbraio 1887 a Don Bosco: “
Con molto piacere ho sentito che V. S. è disposto di mandare
in Egitto i Sacerdoti del suo Istituto per aprire una scuola la quale
provveda all'istruzione ed educazione Cattolica della gioventù
della colonia italiana. E desiderando che il progetto vada a realizzarsi
quanto più presto sarà possibile, interesso V. S. di mettersi
in diretta relazione col Vicario Apostolico Mons. Anacleto Chicaro,
il quale ha sempre avuto il più grande impegno per questa scuola,
onde togliere la gioventù italiana dall'ozio e dal pericolo di
corruzione, che ivi incontra ad ogni passo ”.
Così le due Autorità, una per estendere l'influenza italiana
all'estero e l'altra per dilatare il regno di Dio, s'incontrarono nella
medesima opera buona; ma, dato il dissidio che divideva i due poteri,
il tutto erasi svolto senz'alcuna intesa reciproca, e dalla parte italiana
non per iniziativa del Governo, ostile alla Chiesa, ma per l'illuminato
buon volere del Ministro piemontese. Questi aveva sui fondi segreti
stanziato un milione per sussidio missionario; se non che, come si seppe
più tardi da fonte sicura della famiglia Di Robilant, il Crispi,
fatto cadere il Ministro, dispose di quella somma. Nell'Egitto inviò
Don Rua i Salesiani dieci anni dopo, fondando l'istituto di Alessandria;
per il Cairo bisognò aspettare fino al 1925.
Un'altra circostanza ci richiama a Roma verso questa fine di maggio.
Durante l'assenza di Don Bosco da Torino una lieta notizia aveva rallegrato
i Salesiani. La Congregazione, per la morte dell'Eminentissimo Nina
avvenuta il 25 luglio 1885, era rimasta senza Cardinale Protettore.
Don Bosco fece istanza al Santo Padre perchè si degnasse affidare
quest'ufficio al cardinale Laurenzi, al quale rese noto il suo desiderio
e la sua domanda. Ma il Cardinale, manifestata al Papa la sua risoluzione
di non accettare, ne informò il
144
Santo con una lettera piena di umiltà per la propria persona
e di stima per lui e per la sua Congregazione (I). Finalmente dopo otto
mesi il Santo Padre con biglietto della Segreteria di Stato in data
17 aprile aveva nominato a quell'ufficio il cardinale Parocchi, suo
Vicario in Roma. Al fausto annunzio il prefetto generale Don Durando
telegrafò in nome di Don Bosco a Sua Eminenza ringraziamenti
e promesse. Il Cardinale gli rispose telegraficamente che ai “
nobilissimi sentimenti ” espressigli avrebbe corrisposto con “
sollecitudini degne di Don Bosco ”. Il Santo a sua volta, appena
ne fu informato, scrisse da Barcellona a Sua Eminenza, manifestando
la propria gratitudine e il proprio giubilo, e ne ricevette questa risposta.
P. Superiore generale Rev.mo,
Alla carità di V. R. ed a quella degli amati suoi figli attribuisco
la loro consolazione per la mia nomina a Protettore della Congregazione
Salesiana e ne li ringrazio.
Veramente il succedere ad un Cardinale di tanti pregi quanti adornarono
il compianto Em.mo Nina, succedergli gravato da tanti altri pesi, è
affare non lieve e ben altri petti scoraggerebbe oltre il mio.
Ma le preghiere del Venerando Don Bosco, quelle degli esemplarissimi
ecclesiastici da lui radunati intorno al vessillo del Sales, mi affidano
che per la debolezza del Protettore non sarà recata in compromesso
la causa, non isvantaggiata l'utilità de' protetti.
E con questa fiducia, di nuovo mi sobbarco all'onere lietamente, alle
comuni orazioni del Superiore e dei sudditi raccomandandomi.
Roma, 29 aprile 1886.
Umil.mo per servirla
L. M. PAROCCHI
Card. Protettore (2).
Al Rev. Sup. Gen. dei Salesiani Don Giovanni Bosco (Spagna) Barcellona,
Sarrià.
(I) App., DOC. 24.
(2) Lucido Maria Parocchi, nato a Mantova il 13 agosto 1833, fece il
ginnasio e il liceo nel patrio Seminario. Per la teologia passò
a Roma nell'Università Gregoriana. Tornato a Mantova, insegnò
ai chierici teologia morale, diritto canonico e storia. Fu parroco dei
Santi Gervasio e Protasio. Nel 1871 Pio IX lo fece Vescovo di Pavia
e nel 1877 Arcivescovo di Bologna; ma nell'una e nell'altra sede il
Governo gli negò l'exequatur, sicchè
145
Dopo il ritorno di Don Bosco il cardinale Alimonda ebbe occasione in
una sua corrispondenza con il cardinale Parocchi di toccare tale argomento,
e questi gli scrisse molto amabilmente il 29 maggio: “ Di questo
Protettorato tanto più vado lieto, in quanto mi rende, in certa
guisa, partecipe delle preziose fatiche di quell'uomo veramente apostolico,
di quel portento di carità, che è il Superiore dei Salesiani
Don Bosco ”. Nello stesso mese il nuovo Protettore diede a divedere
pubblicamente quali sentimenti lo animassero verso Don Bosco e i Salesiani
nella conferenza da lui tenuta per Maria Ausiliatrice ai Cooperatori
romani presso le nobili Oblate di Tor de' Specchi. Lamentato che all'adunanza
mancasse “ la gemma, più fulgida ” che vi soleva
riplendere altre volte e dar lustro alla Conferenza salesiana: che vi
mancasse la “ veneranda persona di quell'apostolo della carità
moderna ”, l'“ ottimo e infaticabile Don Bosco ” che
avrebbe risposto a tante domande “ con quell'amabile suo sorriso
di fratello e di apostolo, con quell'accento di amico e di padre a tutti
sempre propizio ”: si addentrò nello studio dell'Opera
salesiana, dimostrando coma la sua nascita e il suo svolgimento si dovesse
attribuire alla fede e alla carità dell'Uomo di Dio. Illustrati
questi due punti, si rivolgeva alle madri di famiglia, perchè
con la carità ispirata dalla fede cooperassero a tanto bene,
concorrendo specialmente all'erezione dell'ospizio del Sacro Cuore in
Roma e al mantenimento dei giovanetti che crescevano su, speranze della
religione e del Cielo (I).
L'inferma salute non distoglieva Don Bosco da uno de' suoi obiettivi
prediletti, qual era l'accrescimento della cooperazione salesiana. Nell'ultimo
decennio della sua vita uno
dovette abitare nel Seminario, aspettando dal Papa le provvigioni dovutegli
dallo Stato. Pio IX lo creò Cardinale nel Concistoro del 22 luglio
1877, e nel 1882 Leone XIII lo chiamò a Roma; nel 1884 lo elesse
suo Vicario Generale per Roma. Nel 1889 passò dall'Ordine dei
Preti a quello dei Vescovi, occupando la sede suburbicaria di Albano.
Costretto da infermità, lasciò nel 1896 il Vicariato per
l'ufficio più tranquillo di Vice Cancelliere di Santa Romana
Chiesa. Morì nel dicembre del 1902.
(I) App., Doc. 25.
146
de' suoi pensieri dominanti fu di moltiplicare i Cooperatori e rassodare
la pia Unione con l'attirarvi autorevoli personaggi. Così nel
mese di maggio fece spedire a tutti i Vescovi d'Italia che non l'avessero
ancora, il diploma di Cooperatori, accompagnandolo coli, la collezione
del Bollettino Salesiano. Parve quasi l'estremo suo saluto all'Episcopato
italiano, per il quale in momenti critici erasi cotanto adoperato e
al quale voleva che la sua Congregazione procedesse indissolubilmente
unita. Dal 14 maggio al 19 luglio gli pervennero cinquanta risposte,
di cui tre dai cardinali Melchers, Lodovico Jacobini e Capecelatro.
Il pio Vescovo di Capua e dotto Bibliotecario di Santa Romana Chiesa
considerava l'essere annoverato fra i Cooperatori salesiani “
non solo come un onore ma come un vero benefizio spirituale ”.
I sacri Pastori ringraziavano, si raccomandavano alle preghiere di Don
Bosco e spesso facevano voti, perchè i figli di Don Bosco andassero
a lavorare nelle loro diocesi, delle quali descrivevano le lacrimevoli
condizioni religiose (I).
Il 2 luglio, essendosi discusso nel Capitolo Superiore sul modo migliore
di allestire la spedizione del Bollettino e sull'ordinamento da dare
ai Cooperatori, il nostro Santo parlò così: - Il Bollettino
non è solo il mezzo principale, ma:il necessario per la Congregazione.
I Cooperatori sono per noi un puntello incrollabile. Bisogna perciò
pensare a organizzarli. Non correre però, ma aver pazienza in
queste cose. Dallo stabilire i Decurioni al mettere in pratica tutta
l'organizzazione ci corre un gran divario. Bisogna andare adagio. Se
si promuoverà con ordine e regolarità il Bollettino e
la Società dei Cooperatori, la nostra Congregazione non mancherà
di mezzi materiali. - Il Bollettino aveva allora una tiratura di quarantamila
copie: la spesa annuale per stampa e francobolli, senza tener conto
del mantenimento del personale, ammontava a venticinquemila lire. In
quel decennio risul -
(I) Pubblichiamo alcune risposte nell'Appendice (Doc. 26 A - B - C
- D).
147
tavano entrate per il Bollettino lire novecentomila. Il primo passo
per l'organizzazione dei Cooperatori doveva consistere nel costituire
le Decurie in ogni parrocchia pregando i parroci a indicare l'individuo
da potersi eleggere a decurione e nel nominare per le grandi città,
dove abbondassero le decurie, un Direttore che fosse un canonico delegato
dal Vescovo. Nel fare tutto questo bisognava evitare due scogli, di
apparire troppo invadenti e di stornare la carità locale; ecco
perchè Don Bosco raccomandava di agire con calma e con prudenza.
I Prelati anzidetti, appartenendo quasi tutti a diocesi assai remote
da Torino, scrivevano a Don Bosco persuasi che egli godesse tuttora
buona salute e quindi continuasse ad agire nella piena efficienza della
sua attività personale; ma noi: sappiamo quanto le sue forze
andassero declinando. In certi momenti si sentiva talmente oppresso
da non poter più articolar parola. Tuttavia la sua presenza di
spirito non lo abbandonava mai. Una volta che aveva il respiro molto
affannoso disse ridendo: - Chi sa se si potrebbe trovare in Torino un
buon fabbricante di mantici.? Ne avrei bisogno per respirare. - Nel
giorno di - - Varia Ausiliatrice, mentre, oppresso dalla folla, era
quasi senza fiato e stentava a reggersi in piedi, volto al segretario,
gli sussurrò all'orecchio con affettata aria di mistero: - Chi
sa se due pugni per divozione si potrebbero dare? - Una sera il Viglietti,
accompagnandolo in camera all'ora del riposo, gli manifestò il
timore di avergli alleggerite soverchiamente le coperte e che perciò
nella notte egli potesse aver freddo. - Oli, bene, gli rispose, potrai
mettermi per copripiedi le scarpe. - Sono piccole cose, se si vuole,
ma che rivelano l'abituale sua tranquillità interiore, non sopraffatta
mai da incomodi fisici o da molestie esterne.
Nel pomeriggio del 7 giugno ordinò a Viglietti di far preparare
la vettura, perchè voleva ripigliare le sue passeggiate giornaliere,
impostegli dai medici. S'andò quella sera sul viale di Rivoli
e, passato il dazio, scese per fare un po'
148
di strada a piedi. Parlò di varie cose, fra le altre di coloro
che nelle Congregazioni religiose tengono l'ufficio di tesorieri, hanno
cioè, com'egli si espresse, la parte di Giuda nel sacro collegio,
e notò, come troppo spesso questi tali finiscano male prevaricando.
Era di quei giorni il triste esempio dato dall'Economo dei Fratelli
delle Scuole Cristiane. - È per questo, proseguì, che
io fili da principio della mia carriera feci voto di non tenermi danaro
in tasca. Subito, mali mano che viene, so dove impiegarlo. Sono sempre
carico di debiti, eppure si va innanzi.
Un'altra sera, tornando a parlare di amministrazione materiale, fece
questa osservazione: - Quando si ricevono in casa di quei signori che
furono prima ricchi o nobili di famiglia, o ebbero qualche grado o impiego
in società e che sono scaduti dal loro primo stato, non si adoperino
mai come amministratori nelle cose nostre, ma come servitori o semplici
segretari.
Anche nella vita di Don Bosco ci sono casi di creature irragionevoli
che entrano in dimestichezza col Salito. In una di quelle passeggiatine,
camminando egli fra Don Lemoyne ecco un passerotto volare innanzi a
lui e saltellare sul suolo. Quindi spiccò un volo e gli sì
posò sulla spalla destra. Poi spiccò un secondo volo,
fece un giro per l'aria e ridiscese fermandosi sulla spalla sinistra.
Finalmente si sollevò in alto e disparve.
Egli pure, come si legge di altri Santi, guardava con occhio di bontà
le creature di Dio. Nel novembre del 1887 un giorno durante il pranzo
si sentì il ronzio di una mosca. Don Bosco chiese che cosa ci
fosse. Alcuni, avvicinatisi alla finestra per vedere, gli risposero
che un ragno, piombato sopra una mosca, la legava con i suoi fili.
- Liberatela, liberatela, poveretta! esclamò con viva ansietà
- Oh lasci un po' che vediamo come vada a finire, rispose uno.
149
- Ma no, ma no!... Non mi piace così... Se non la liberate
voi, vengo io. Mi fa troppo pena.
E benchè così stremato di forze da aver bisogno di chi
lo sorreggesse, fece atto di alzarsi. Ma per contentarlo fu subito liberata
la mosca.
Egli pativa disturbi anche durante il sonno. Certe notti sognava mostri
che lo assalivano e vedeva gatti diventar leoni, e serpenti cambiarsi
in demoni. Una notte gridò a lungo, chiamando talora Viglietti.
Questi che riposava nella stanza vicina, da prima esitava a svegliarlo;
ma poi, temendo che tali grida e agitazioni potessero causargli nocumento,
entrò nella sua camera e lo destò. - Grazie, caro Viglietti,
gli disse allora; mi hai reso un bel servizio. Ho sogni che mi spaventano
e mi stancano tanto!
Una cara visita gli fecero il 21 giugno i dugentotrenta giovani del
collegio di Borgo S. Martino, condotti dai propri superiori a premio
della lodevole condotta che in generale avevano tenuta nel corso dell'anno
scolastico. Attraversarono le vie della città in colonna per
quattro, ammirati per il buon ordine e il buon contegno. Nell'Oratorio
fu notata la loro grande docilità e compostezza. Don Bosco li
vide tutti riuniti nello studio, dove ascoltò la lettura di qualche
indirizzo. Alle loro testimonianze di affetto rispose con molta tenerezza,
dicendo che egli portava sempre un grande amore alla sua casa secondogenita.
Accennando a questa gita, Don Lazzero scriveva (I): “ Il Collegio
di Borgo S. Martino è sempre florido ”.
Se il giovedì seguente 24 non fosse stato Corpus Domini, il collegio
di Borgo avrebbe scelto quel giorno per il suo viaggetto; d'altra parte
quella ricorrenza non impedì all'Oratorio di festeggiare l'onomastico
di Don Bosco. Era parso ai Superiori d'intendere esser desiderio di
Don Bosco che quell'anno si facesse una festa di S. Giovanni più
bella del solito. Di una
(I) Lettera a monsignor Cagliero, Torino [5 luglio?] 1886
150
ragione si resero conto da sè, un'altra la compresero dopo.
Le cose dell'Oratorio, dacchè vigeva il nuovo sistema della doppia
direzione, non camminavano come si sarebbe sperato, massime nella sezione
degli studenti; a rialzare il tono della vita domestica avrebbe giovato
certamente una bella festa di famiglia, che avvicinasse ognor più
i giovani a Don Bosco e ai loro superiori. L'altra ragione era la presenza
di personaggi stranieri, che avevano già assicurato a Don Bosco
il proprio intervento; anche per riguardo ad essi conveniva dare alla
festa un apparato di solennità che piacesse agli ospiti, li edificasse
e mostrasse in atto una caratteristica della vita salesiana, che è
gioconda vita di famiglia. Conoscendosi dunque l'intenzione del Santo,
nulla si risparmiò per ben secondarla e a detta dei presenti
le cose riuscirono a meraviglia e tornarono di compiuta soddisfazione.
Un personaggio che nessuno aspettava, arrivò improvvisamente
all'Oratorio verso le due pomeridiane della vigilia, quando già
la casa presentava il gaio aspetto della circostanza: il Presidente
della repubblica peruviana con suo figlio. Essendo in viaggio per Parigi,
volle impiegare il breve tempo di una fermata a Torino per visitare
Don Bosco e l'Oratorio. Il chierico Viglietti, - che parlava speditamente
lo spagnuolo, gli fece da cicerone. Padre e figlio si mostrarono entusiasmati
e si dissero desiderosi di ritornare per osservare tutto a miglior agio;
intanto pregarono con affettuosa insistenza Don Bosco, che pensasse
a una sua fondazione nel loro paese. Nel Perù il nostro Santo
era conosciuto attraverso la Biografia scritta dal D'Espiney e tradotta
nel 1884 dal padre Luigi Torra. L'attenzione generale nel Perù,
come in genere presso le repubbliche americane, era attratta specialmente
dalle scuole professionali per i figli del popolo. I Salesiani andarono
a Lima tre anni dopo la morte del Santo.
Partiti i Peruani, ecco giungere due altri ospiti, che erano vivamente
attesi: il signor Gioachino de Font, segretario dell'Associazione cattolica
barcellonese, e il conte di Ville -
151
neuve Flayosc, presidente di società agricole nella Francia
meridionale. Alla consueta accademia della vigilia, quali rappresentanti
dei loro paesi, quei due signori sedettero ai fianchi di Don Bosco.
Del programma il numero più notevole fu la presentazione della
vita di Mamma Margherita, scritta da Don Lemoyne. L'autore accompagnò
quell'atto con un suo sonetto, nel quale definiva il libro come il più
bel mazzo di fiori che si potesse offrire a Don Bosco nel suo onomastico
un mazzo cioè formato con le sempre olezzanti virtù della
sua santa genitrice (I).
Il 24 disse la Messa all'altare di S. Pietro. Ricevette nella mattinata
la rappresentanza degli ex - allievi, che gli offersero un paramentale
rosso broccato in argento. Interprete dei comuni sentimenti fu il geometra
Giacomo Belmonte. Nel suo discorsetto, che venne dato alle stampe (2),
il caro ricordo dei tempi lontani ci è fatto rivivere da questi
periodi: “ Ognuno degli antichi allievi conserva una cara memoria
dei giorni trascorsi sotto la paterna direzione del nostro amatissimo
Don Bosco. Ora adulti, se nelle molteplici loro occupazioni si sentono
talvolta affranti dalle difficoltà, contrastati dalle circostanze,
loro viene in aiuto la memoria benedetta di Don Bosco, che a tempo seppe
loro insegnare colla parola e coll'esempio la costanza nel lavoro, nei
propositi, e la cristiana magnanimità. Quanti, per non dir tutti,
contano i giorni trascorsi in quest'aura di pace e di religione, di
studio e di lavoro, tra i più belli della lor vita! La memoria
della loro giovinezza va congiunta sempre colla immagine del Superiore
affettuoso che lasciò traccia incancellabile di sè nella
loro esistenza. E il numero di quelli che, adulti, rimpiangeranno i
giorni felici passati sotto la cura di così buon Padre va ognor
crescendo. Gli allievi che ogni anno, finiti i loro studi o appresa
la loro arte, si diffondono pel mondo fan sì che oramai
(I) App., Doc. 27. Cfr. sopra, pag. 58.
(2) Nel dì onomastico del Reverendissimo D. Giovanni Bosco gli
antichi allievi dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Torino, 1886.
Tip. Salesiana. Pp. 6 - 7.
152
non vi è paese ove non si senta parlare di Don Bosco ”.Don
Bosco rispose con grande affetto e con lacrime di paterna riconoscenza.
Seguìto dagli ospiti e dai membri del Capitolo Superiore, scese
per il pranzo nel refettorio comune. L'ultima dimostrazione, la seconda
accademia dinanzi a un pubblico numeroso, fu amenissima per canti, suoni
e letture. L'Unione Cattolica Operaia torinese vi proclamò suoi
soci onorari i signori di Villeneuve e di Font (I). Un'imponente corona
di lauro fantasticamente illuminata recava intrecciati in tanti rami
i nomi di tutte le case di Don Bosco. Alla fine il Santo dovette limitarsi
a ringraziare e salutare con un ampio gesto delle braccia e con un sorriso
pieno d'ineffabile tenerezza.
Il Cardinale questa volta non potè intervenire pubblicamente,
anche perchè le cerimonie del Corpus Domini lo tennero occupato;
ma verso le diciassette volle visitare Don Bosco, rimanendo con lui
due ore.
I Confratelli d'America, misurato bene il tempo, arrivarono con le loro
lettere al momento opportuno. È cosa che intenerisce il leggere
quelle espressioni veramente filiali; per darne un saggio dovremmo ripetere
il già detto altrove. Come si vede che il ricordo di Doli Bosco
viveva perenne nei loro cuori, bastando da solo a mantenerli uniti,
a incoraggiarli nella difficoltà, a suscitare fra essi una santa
gara di apostolato! Certi uomini provvidenziali Dio li ha resi non solo
potenti in opere e in parole, ma ricchi anche di attrattive per cattivarsi
l'amore dei loro soggetti e ausiliari.
Parve che perfino Maria Ausiliatrice dal cielo si compiacesse di allietare
maggiormente un sì fausto giorno. Don Confortóla, già
Direttore della casa di Firenze e allora trasferito a Roma, stava per
soccombere vittima del vólvolo. Un telegramma del 23 implorava
per l'infermo benedizione
(I) Il Consiglio dell'Associazione barcellonese indirizzò poi
a Don Bosco una lettera affettuosa e riconoscente per le accoglienze
fatte al suo segretario (App., Doc. 28).
153
e preghiere. Doli Bosco rispose telegraficamente che pregava e faceva
pregare. La mattina del 24 un secondo telegramma di Don Dalmazzo era
così concepito: “ Viva S. Giovanni. Don Confortóla
dopo benedizione sua come risuscitato. Buona festa ”. Il medico
che lo credeva già morto, vedendolo in piedi presso il suo letto,
esclamò - Ecco un fenomeno che la scienza non sa spiegare.
Di un altro fatto, nel quale sembrò doversi scorgere la mano
di Maria Ausiliatrice, giunse notizia a Don Bosco nei medesimi giorni.
Una spaventosa eruzione dell'Etna aveva gettato il terrore nelle dense
popolazioni che vivevano tranquille lungo le falde del famoso vulcano.
Il paese più minacciato fu Nicolosi, comune di circa quattromila
anime. Si calcolava che da quel versante la lava percorresse da cinquanta
a settanta metri all'ora. Pinete, castagneti, terreni coltivati ne erano
investiti arsi e distrutti. Gli abitanti avevano abbandonato le loro
case. Nel terribile frangente le Figlie di Maria Ausiliatrice da Catania
e da Agira scrissero a Don Bosco, pregandolo di suggerire qualche mezzo
per iscongiurare il pericolo. Don Bosco rispose che si spargessero subito
sul luogo medaglie di Maria Ausiliatrice e che intanto egli benediceva
e pregava. Il parroco, avute dalle Suore le medaglie, le andò
a seminare il più in su che potè. Cosa mirabile! Quelle
medaglie segnarono come il limite estremo al torrido elemento, che cessò
di avanzare. Quando le Suore con qualche ritardo comunicarono a Don
Bosco la notizia del fatto, si era già potuto leggere nei giornali
un telegramma della Stefani che diceva: “ La lava è giunta
a trecento metri ed è rimasta sospesa in declivio sovrastante
al paese ”. Ora si noti che la corrente ignea “ sospesa
in declivio ” era tuttora nello stato, diremo così, liquido
e l'eruzione continuava ad alimentarla. Gli uomini della scienza davano
Nicolosi come irremissibilmente perduta. Persino l'anticlericalissima
Gazzetta di Catania diede pubblicità a un dispaccio che, precisando
il punto dell'arresto e chiamando il fenomeno con il suo vero nome,
154
si esprimeva così: “ Ad Altarelli lava biforcossi, lasciandoli
incolumi. Miracolo ”. Oggi quella massa accumulata su se stessa
e pietrificata è là a perennare la memoria del prodigio
(I).
Gli amici di Barcellona non dimenticavano Don Bosco; se n'ebbe novella
prova, trascorso che fu l'onomastico. Tra le famiglie a lui più
affezionate vi erano quelle dei fratelli Pascual. Ora il più
giovane di essi, Policarpo, dopo la partenza del Santo, aveva celebrato
il suo matrimonio e intrapreso il viaggio di nozze. Nel ritorno passò
per Torino e il 26 giugno procurò a Don Bosco la gradita sorpresa
di una sua visita in compagnia della sposa. Celebrandosi poi il giorno
seguente nell'Oratorio la festa di 8. Luigi, partecipò al pranzo
insieme con parecchi altri signori. Gli si fece sentire un po' di musica
dell'Oratorio e la ripetizione dell'inno, composto per l'ono - mastico
da Don Lemoyne e musicato dal maestro Dogliani. Partì da Torino
il 29, salutato alla stazione dal Viglietti in nome di Don Bosco e di
Don Rua. Dalla Spagna arrivavano allora quotidianamente a Don Bosco
da otto a quindici lettere.
Per non scontentare centocinquanta bravi lavoratori egli il 29 si rassegnò
a un disturbo non leggiero, dati i suoi incomodi. La sezione di 8. Secondo
dell'Unione Cattolica Operaia torinese celebrava il decimo anniversario
della sua fondazione e ottenne che l'agape fraterna si facesse nell'Oratorio.
Naturalmente fu invitato Don Bosco a presiedervi. Benchè il caldo
gli aumentasse le sofferenze, pure non seppe dire di no; anzi, dissimulando
i suoi disagi, lasciò nei commensali l'impressione che stesse
benino. Alla fine si diede la stura ai brindisi; Don Bosco ascoltò
sereno, ma non ebbe forza di rispondere in pubblico; tuttavia, terminato
il banchetto, i soci lo avvicinarono e poterono avere da lui individualmente
qualche buona parola.
Nell'anno della canonizzazione si discusse da varie parti si discusse
da varie parti se Don Bosco fosse stato o no Terziario francescano.
Il suo
(I) I due telegrammi erano stati riportati anche dall'Unità
Cattolica del 18 giugno.
155
nome compariva bensì in un vecchio elenco, ma non nei registri
ufficiali, forse perchè inavvertentemente omesso; quindi nel
1886 i Francescani di S. Antonio in Torino stimarono opportuno di rimediarvi,
mandandogli il diploma di ascrizione con la data del I° luglio e
qualificandolo per Patriarca dei Salesiani. Il documento era accompagnato
da una lettera con la data del 28 giugno, nella qual lettera il padre
Candido, “ direttore del Sacro Terzo Ordine ” gli diceva:
“ Eccole la carta che lo dichiara formalmente fratello Terziario
Francescano della Congregazione di S. Tomaso. M'immagino che Ella si
ricorderà d'aver fatto veramente la vestizione e professione
regolare, abbenchè non ricordi il tempo preciso; ma in caso che
non fosse certo, sarebbe bene farla anche adesso, essendo tale vestizione
e professione indispensabile per godere di tutti i vantaggi spirituali.
In questo caso ad un cenno della S. V. Rev.ma mi recherei volentieri
nella sua stessa stanza allo scopo ”. Il Padre doveva aver avuto
prima un colloquio con Don Bosco sull'argomento, perchè soggiungeva:
“ Intanto la ringrazio di cuore della paterna accoglienza fattami
e dell'adesione al nostro serafico sodalizio ”. È chiaro
che egli aveva affermata la sua appartenenza all'Ordine ab immemorabili
(I.).
Una visita assai importante ricevette la sera del 5 luglio. Annunziatisi
all'Oratorio il giorno stesso del loro arrivo in Torino, vennero da
lui i principi Czartoryski padre e figlio, che accettarono l'invito
al pranzo delle dodici per il dì appresso. A onorare gli ospiti
Don Bosco chiamò alcuni signori dell'aristocrazia torinese, fra
gli altri il conte Prospero Balbo. Questi si schermiva, allegando a
scusa la sua durezza d'udito che gl'impediva di prendere parte alla
conversazione. - Eppure io ho bisogno di lei, insistette Don Bosco,
per tenere compagnia ai principi Czartoryski.
(I) Anche di Pio X si sa che si fece terziario francescano quand'era
a Salzano parroco, ma non se ne sa altro, mancando i documenti (Fr.
V. FACCHINETTI, L'anima di Pio decimo. Milano, Soc. E d. “ Vita
e Pensiero ”, 193 5 Pag. 371).
156
A quel nome si risvegliò nel vecchio Conte il ricordo dell'antico
camerata d'armi. Nel 1848 all'assedio di Peschiera combatteva accanto
ai Piemontesi una legione di volontari polacchi, nella quale aveva un
comando il principe Ladislao Czartoryski, padre di Augusto. Là
appunto si erano essi incontrati con il grado entrambi di tenenti d'artiglieria.
Il desiderio di rivedere un sì ragguardevole commilitone fece
dimenticare al Conte la stia sordaggine. E l'incontro non poteva essere
più cordiale ed espansivo. A mensa lo scambio dei ricordi e l'evocazione
di fatti gloriosi alimentò per buon tratto la generale conversazione.
Don Bosco stette in ascolto, finchè, colto il momento opportuno,
prese lo spunto per parlare anche lui di sue lotte, ma di lotte sostenute
contro gli avversari delle sue opere, contro il nemico delle anime e
con i creditori. Augusto che lo ascoltava con interesse, gli domandò
se avesse in animo di mandare i Salesiani anche in Polonia.
- Bisogna fare qualche cosa, osservò il principe Ladislao, per
impedire la corruzione della gioventù. Coli la moralità
se ne va pure lo spirito nazionale.
- Certo, riprese il figlio, Don Bosco sarà contento della Polonia
e vi troverà molte vocazioni.
- Verremo, verremo anche da voi, affermò Don Bosco con accento
fermo, dopo essersi fermato un tantino a riflettere.
- Ma quando? gli fu chiesto.
- Appena avremo personale adatto, rispose. La difficoltà della
lingua non sarà leggiera; ma anche a questo si provvederà.
Dopo un momento di silenzio, Don Francesia con la sua semplicità
e in tono faceto disse al principe Augusto: - Veda, signor Principe,
venga lei a farsi salesiano e Don Bosco aprirà subito una casa
in Polonia.
Si sorrise, si scambiò ancora qualche paroletta sull'argomento
e poi si passò ad altro. Ma tre commensali continuarono a pensarvi:
Don Bosco, il principe Ladislao e suo figlio. Il padre aveva conosciuto
Don Bosco a Parigi nel palazzo
157
Lambert come abbiamo narrato; ma non aveva mai visto una casa salesiana
e aveva in mente che la Congregazione salesiana fosse un'istituzione
troppo umile. Irremovibile nel proposito di negare al figlio il chiestogli
consenso di farsi salesiano, aveva aderito alla sua proposta di recarsi
cori lui a Torino per conferire con Dori Bosco e osservare da vicino
le sue opere, non certamente per trattare di vocazione.
Dopo pranzo essi tre si appartarono e si riunirono a intimo colloquio.
Il padre espose i disegni della famiglia sull'avvenire di Augusto e
pregò il Santo del suo illuminato parere. Don Bosco, pur non
avendo dubbi sulla vocazione del giovane signore, non fece altro che
ripetere quanto più volte gli aveva già raccomandato per
iscritto: si preparasse all'avvenire in modo da corrispondere alle legittime
speranze della famiglia e della sua Polonia. Soggiunse però:
- Credo tuttavia che se in modo evidente la volontà di Dio si
manifestasse contraria al volere di Vostra Eccellenza, Ella non vi si
dovrebbe opporre.
- Senza dubbio, disse il padre; anzi amerei di avere un altro figlio
nello stato ecclesiastico.
- Sarebbe un'ottima cosa, conchiuse Don Bosco. Un membro di famiglia
così influente potrebbe fare gran bene alla Chiesa e alla patria.
Ad ogni modo sia fatta in tutto e per tutto la santa volontà
di Dio.
Padre e figlio si separarono contenti da Don Bosco. Il primo si era
formato un alto concetto di lui e si teneva sicuro che finalmente il
suo Augusto si sarebbe piegato ai disegni paterni; il secondo fu lieto
che il genitore avesse mutato sentimento sul conto di Don Bosco e se
ne andò deciso di seguire i consigli del Santo. Infatti a Sieniawa,
applicatosi agli affari, compiè operazioni finanziarie di gran
valore, rappresentando benissimo il padre e mantenendo degnamente le
tradizioni del casato. Il principe Ladislao era al colmo della gioia.
Ma quante volte a questo mondo riguardo alla sorte dei figli il padre
propone e Dio dispone!
158
I calori estivi sfibravano ogni dì più Doli Bosco; un
principio di dissenteria lo molestava non poco. Accettò quindi
il suggerimento di andare a Valsalice, dove, se si eccettuano le ore
meridiane, la temperatura anche nel cuor dell'estate è refrigerante.
Vi si recò la sera del 7 luglio insieme con Viglietti. Veramente
si sarebbe voluto che ritornasse a Pinerolo, come due anni addietro,
e il Vescovo si diceva felice di accoglierlo nella sua villa; ma da
prima titubava alquanto e poi, quando vi si decise (I), stabilì
di attendere a Valsalice fino al 15, perchè gli rincresceva privare
della sua presenza i due annuali convegni degli ex - allievi.
A Valsalice ricevette da due Prelati francesi due buone lettere. In
quell'anno era uscita dalla tipografia salesiana di Nizza la traduzione
francese del suo Cattolico nel secolo (2). Monsignor Dabert, vescovo
di Périgueux e di Sarlat, ricevutane una copia in omaggio, gli
scriveva d'aver trovato il libro eccellente sotto ogni aspetto, sia
cioè per solidità dimostrativa e per sicurezza storica
che per una tal quale semplicità e talora familiarità
di stile, della quale si avvantaggiavano la forza delle prove e l'esattezza
della dottrina. L'altra lettera veniva da Rennes. Quell'arcivescovo
monsignor Place, già vescovo di Marsiglia al tempo dell'andata
dei Salesiani, era stato fatto cardinale da Leone XIII nel Concistoro
del 7 giugno. Don Bosco gli aveva scritto una lettera di congratulazione.
Sua Eminenza nella risposta, chiamando il nostro Santo suo amico e scusandosi
d'aver tardato a rispondere, gli diceva: “ Ella conosce abbastanza
i miei antichi sentimenti, che sono sempre quelli, riguardo alla sua
persona e alla famiglia salesiana, e quindi ritenga pure che fra tutti
gli attestati di simpatia che ho avuto la consolazione di ricevere,
il suo mi è tornato particolarmente caro ”. Si raccomandava
infine con termini deferentissimi alle sue orazoni (3).
(I) App., Doc. 29.
(2) Le catholique dans le monde. Nice, Patronage St - Pierre, 1886.
(3) App., Doc. 30 e 31.
159
Al breve soggiorno valsalicese si collega pure la memoria di un fatto,
che ha del prodigio e del quale esiste nei nostri archivi autentica
relazione. Un agiato agricoltore di Rosignano Monferrato per nome Giorgio
Caprioglio aveva una figlia da parecchi mesi internata nel manicomio
di Alessandria. Il 10 luglio sì presentò a Don Bosco nel
collegio di Valsalice, gli espose il caso e implorò il suo aiuto.
Doli _Bosco gli prescrisse alcune preghiere da recitarsi ogni giorno
nella famiglia fino alla solennità d'Ognissanti. Il buon uomo
così fece e diceva a tutti: - Don Bosco ha promesso che la grazia
non mancherà. - Nonostante questa fiducia, egli, impaziente di
sapere l'esito del lungo pregare, verso il 22 ottobre si portò
ad Alessandria per avere notizie certe della figliuola; ma ne tornò
tutto addolorato, perchè non aveva potuto ottenere dal dottore
una parola rassicurante. Tuttavia, persuaso che Don Bosco era la bocca
della verità, continuò a pregare come prima. Ed ecco il
29 ottobre una lettera che annunziava la perfetta guarigione dell'alienata
e invitava ad andarla subito a prendere per ricondurla a casa. Il padre
accorse e la trovò in normalissime condizioni, tanto che la vigilia
d'Ognissanti essa volle ricevere in Alessandria i sacramenti per rendere
grazie a Dio della ricuperata salute.
Il cambiamento di dimora produsse ben presto i suoi benefici effetti;
tant'è vero che il Servo di Dio, sceso all'Oratorio l'II e il
15 luglio per trovarsi con gli ex - allievi, potè l'una e l'altra
volta parlar loro al levare delle mense. Fortunatamente le sue brevi
allocuzioni furono conservate e costituiscono il solo ricordo della
doppia festa. Al pranzo degli ex - allievi laici parteciparono anche
alcuni signori francesi. Don Bosco parlò così:
Desidero di indirizzarvi alcune parole, anche perchè non sono
certo di potermi ancor trovare un altro anno in mezzo a voi. Sarei ben
contento di passare ancora una e più volte questo bel giorno
in vostra compagnia, ma gli incommodi della vecchiaia mi avvertono di
non lusingarmi. Io vi ringrazio adunque d'essere venuti a pranzo con
me, e con voi anche questi signori che l'amicizia ci condusse qui
160
dalla Francia. Oggi non convennero qui tutti i miei buoni amici, i
cari figliuoli, perchè non era possibile per la lontananza e
per i molteplici affari. Ma voi incontrandoli dite loro che venendo
voi, in voi ho visto essi, ringraziando voi ho ringraziato essi pure
dell'affetto che continuano a portarmi: dite che Don Bosco è
sempre pronto a dividere con essi il suo pane, perchè non è
pane di Don Bosco, ma è il pane della Provvidenza. Don Bosco
vi ama tutti in Gesù Cristo, perchè voi lo amate, e spero
che Nostro Signore ci darà la grazia di vedere tempi migliori.
Don Bosco pregherà sempre per voi, e voi aiutatemi colle vostre
preghiere perchè possiamo dar mano a nuove opere, e continuare
le incominciate. Guardate quanto fu buona la Provvidenza con noi! Oggigiorno
sono migliaia e migliaia i ricoverati nelle nostre case, i quali certo
non si nutriscono di grilli e di fiori, eppure dal principio dell'Oratorio
fino ai giorni nostri il pane non mancò mai una sola volta, anzi
coi bisogni andarono sempre crescendo i mezzi. Ed io vi assicuro che
le cose nostre continueranno a crescere sotto le ali di questa divina
e amabile Provvidenza. Voi, e i vostri figli e i figli dei figli vostri
vedrete e godrete prendendo parte alle nostre sorti, alle nostre fortune.
Siamo fedeli alla nostra santa religione e tutti saranno costretti a
stimarci e amarci, nessuno potrà detestarci perchè la
carità è il vincolo che lega i cuori. Io vi prometto che
continuerò ad amarvi, come fratello, come padre, finchè
il nostro amore sarà coronato in quel giorno nel quale udremo
quelle soavi parole: Entrate nel gaudio del Signore, poichè avete
osservata la mia santa legge.
Con gli ex - allievi sacerdoti si unirono anche una ventina di laici,
che non erano potuti venire la domenica precedente. Dalle parole di
Don Bosco è facile arguire gli argomenti toccati prima in vari
brindisi. Le idee da lui espresse sono assai notevoli.
Io godo molto delle parole che furono dette. Ho intese, ho gustate le
vostre espressioni, le vostre proteste. Il signor Curato della Gran
Madre di Dio ha detto che nessuno supera in amore verso di me i giovani
antichi dell'Oratorio. Il signor ingegnere Buffa asserisce che gli amici
cooperatori non sono secondi a nessuno nel portarmi affezione e che
questa affezione di mille e mille è senza limiti. Ora tocca a
me rispondere chi sia da me più amato. Dite voi: questa è
la mia mano; quale di queste cinque dita è più amato da
me? Di quale fra queste mi priverei? Certo di nessuno perchè
tutte e cinque mi sono care e necessarie egualmente. Or bene io vi dirò
che vi amo tutti e tutti senza grado e senza misura. Molte cose io vorrei
dire in questo momento che riguardano i miei figli ed i Cooperatori
Salesiani.
La proposta del Curato della Gran Madre di eccitare ciascuno di voi
all'incremento dell'Opera dei Cooperatori Salesiani, è una
161
proposta delle più belle, perchè i Cooperatori sono il
sostegno delle opere di Dio, per mezzo dei Salesiani... Il sommo Pontefice
Leone XIII è non solo il primo cooperatore, ma il primo operatore.
Vi basti osservare la facciata della chiesa del Sacro Cuore! Essa vi
dice che l'opera dei Cooperatori, l'opera del Papa, è fatta per
scuotere dal languore, nel quale giacciono, tanti cristiani, e diffondere
l'energia della carità. Essa è l'opera che in questi tempi
appare eccezionalmente opportuna, come ha detto lo stesso Sommo Pontefice.
Un uomo poteva fax ciò che si è fatto da noi? Un uomo
poteva portare il vangelo in tanti luoghi e a tanta distanza? No che
un uomo non lo poteva! Non è Don Bosco, è la mano di Dio,
che si serve dei Cooperatori! Ascoltate! Voi avete detto in questo momento
che l'opera dei Cooperatori Salesiani è amata da molti. Ed io
soggiungo che questa si dilaterà in tutti i paesi, si diffonderà
in tutta la cristianità. Verrà un tempo in cui il nome
di Cooperatore vorrà dire vero cristiano! La mano di Dio la sostiene!
I Cooperatori saranno quelli che aiuteranno a promuovere lo spirito
cattolico. Sarà una mia utopia, ma pure io la tengo. Più
la Santa Sede sarà bersagliata, più dai Cooperatori sarà
esaltata; più la miscredenza in ogni lato va crescendo e più
i Cooperatori alzeranno luminosa la fiaccola della loro fede operativa...
Licenziatosi da quei cari amici, partì quella sera per Pinerolo
con Don Lemoyne e con Viglietti. Era venuto da Pinerolo a prenderlo
il Rettore del Seminario. All'arrivo lo attendeva il Vescovo con una
vettura padronale favorita da un signore della città. Monsignore,
tutto contento di riavere con sè il Servo di Dio, aveva fatto
preparare nella villa vescovile di S. Maurizio l'alloggio per lui e
per i suoi due segretari. Balzato d'un tratto a quell'altezza, Don Bosco
passò la prima notte un po' agitata. Fece un lungo sogno, del
quale però null'altro ricordava la dimane fuorchè di essere
stato chiamato in gran fretta alla ferrovia e di essere arrivato appena
in tempo a prendere il treno; giunto poi in un luogo, dove si combatteva
una grossa battaglia, essersi trovato improvvisamente nel mezzo della
zuffa.
Un sogno d'altro genere, non fatto da lui, ma nel quale egli pure entrava,
operò pochi giorni dopo salutari effetti in un'anima buona, come
ne lo informava il degno parroco. La signora Geronima Verdona di Gavi,
antica benefattrice, aveva per molti anni albergato con materna carità
Salesiani e
162
Figlie di Maria Ausiliatrice, quando nell'andare o venire da Mornese
passavano per di là. Ora, presentendo non lontana la sua fine,
aveva pregato Doti Bosco di mandargli un Salesiano, al quale far note
le sue ultime volontà. Fu mandato Don Cerruti. Di lì a
poco essa infermò non solo di corpo, ma anche di spirito. I medici
la dichiararono maniaca. Non voleva più nemmeno comunicarsi,
divenne taciturna e con le rare parole che proferiva, esprimeva dolore
e prostrazione. Inoltre non istava cinque minuti soli ferma o seduta
in un posto. Da circa due mesi versava in sì triste condizione,
quando persone amiche la raccomandarono alle preghiere di Don Bosco.
Orbene la sera del 19 luglio, coricatasi, prese placidamente sonno,
cosa che non le avveniva più da tempo, e sognò di vedere
appressarsi a lei Maria Ausiliatrice e Don Bosco per consolarla. Appena
svegliata, ordinò alla domestica di chiamarle il prete, perchè
voleva fare la comunione. Trascorse ancora alcuni giorni migliorata
nel fisico e libera nel morale, attendendo divotamente alle sue pratiche
religiose, finchè, serenamente spirando, andò a ricevere
il premio delle sue opere buone.
Le lettere, talora lunghette, che scrisse dalla villa del Vescovo, dimostrano
chiaramente quanto conferisse alla sua salute il clima di Pinerolo.
Una è indirizzata ai benefattori di S. Nicolás de los
Arroyos e il suo originale si conserva religiosamente colà nella
casa degli ottimi signori Montaldo.
Ai miei benemeriti e caritatevoli cooperatori e cooperatrici,
a tutti i loro parenti ed amici abitanti nella città e nei paesi
vicini di S. Nicolás de los Arroyos in America.
La vostra religione e la vostra carità, amici benevoli, cooperatori
e cooperatrici, è assai nota in America ed in Europa specialmente
per la continua protezione che prestate ai nostri cari figli che abitano
tra voi. Essi lasciarono questi nostri paesi assai volentieri per recarsi
ad occupare il sacro loro ministero a gloria di Dio ed a vantaggio spirituale
delle anime vostre ed in modo particolare della gioventù.
163
Questo fu assai loro raccomandato prima di partire da chi tanto li
amò in nostro Signor Gesù Cristo.
So che voi li aiutate, e quel poco che hanno già fatto è
tutto dovuto alla carità vostra. Continuate l'opera vostra, ed
io continuerò a pregare per voi il Signore affinchè le
sue grazie si moltiplichino sopra tutti i vostri affari e sopra le vostre
famiglie. Le vostre buone opere furono narrate al nostro Santo Padre
Leone XIII, che provò grande consolazione a tale racconto. “
Voi, egli mi disse, comunicherete la speciale mia benevolenza, direte
che io li benedico tutti di cuore, concedendo una particolare indulgenza,
ma plenaria che si ottenga da tutti i cooperatori, dalle loro famiglie,
dai loro parenti defunti che avessero bisogno di suffragio nelle pene
del Purgatorio ”.
Voi sapete che questi miei Salesiani non possedono sostanze temporali;
il loro patrimonio è la vostra pietà, è la vostra
carità. Monsignor Aneyros vostro veneratissimo Arcivescovo, Monsignor
Ceccarelli Pietro Curato e Vicario di San Nicolás sono quelli
che ci animarono a recarci tra voi, e la nostra confidenza è
tutta in loro ed in voi.
Se Dio mi conserva in vita spero di scrivervi altra mia lettera, ma
non è cosa sicura perchè essendo di molto invecchiato,
a stento posso scrivere e più difficilmente posso essere inteso.
Ho però grande speranza nelle vostre preghiere e nelle buone
notizie che spero ricevere di voi che amo in G. C. e per cui ogni giorno
fo speciale memoria all'altare del Signore. Dio ci benedica, e la Santa
Vergine Ausiliatrice ci guidi tutti sicuri per la via del Cielo.
Torino, 25 luglio 1886.
Aff.mo amico
Sac. GIO. BOSCO.
Nel giorno di S. Vincenzo ricordò l'architetto Levrot, il generoso
benefattore di Nizza Mare, e gl'inviò i suoi auguri di buon onomastico.
Car.mo Sig. Cav. Vincenzo Levrot,
La S.ta Vergine Aus. in questo suo giorno onomastico porti una speciale
benedizione sopra di Lei, sopra tutta la sua famiglia, sopra tutti i
suoi affari. Ricompensi largamente la carità che Ella ha già
fatto e continua a fare ai Salesiani.
Maria sia a tutti di guida sicura al Cielo.
Preghino anche per questo povero ma a voi
Torino [Pinerolo], 19 luglio 1886.
Aff.mo in G. C.
Sac. GIO. BOSCO.
164
Il Levrot rispondendo gli fece sapere che teneva a sua disposizione
mille franchi offerti dalla vedova Montbrun (I) per le sue opere. Doli
Bosco, usando questa volta il francese, lo pregò di ringraziare
la signora e lo autorizzò a rimettere la somma a Don Cibrario,
perchè la casa di Vallecrosia nel suo piccolo aveva bisogno di
tutto, come del resto anche le altre case salesiane che, diceva egli,
abbondavano solo di debiti e di creditori. Dandogli infine notizie di
sè, scriveva: “ La mia salute, grazie a Dio, va lui po'
meglio, ma è accompagnata da mille indisposizioni ”. (2).
Da Pinerolo aveva scritto al cardinale Parocchi, dandogli notizie della
sua salute e pregandolo di ottenergli una speciale benedizione dal Santo
Padre; nel medesimo tempo, per il rispetto che professava verso l'Eminentissimo
Protettore, gli chiedeva se in altre lettere potesse ancora far uso
della sua difficile scrittura o dovesse ricorrere alla mano del segretario.
Ne ricevette questa risposta, che senza dubbio gli fu di grande consolazione:
Don Bosco Rev.mo,
Ho annunziato al Santo Padre le felici notizie di V. R. e Sua Santità,
rallegrandosene vivamente, mi incaricò d'inviarle una specialissima
benedizione.
Nell'adempiere i comandi Apostolici, sono lieto di soggiungere l'espressione
de' miei sentimenti a V. P. Rev.ma noti da sì gran tempo, che
rivelarli di nuovo è portar vasi a Samo.
La prego, Rev.mo, se non è soverchio il disagio, di scrivere
da sè, intendendo io benissimo il suo carattere, quanto Ella
intende il cuore di chi le si professa con riverente affezione, implorando
la grazia dei suoi mementi.
Roma, 27 luglio 1886.
Div.mo Aff.mo in G. C
L. M. Card. Vicario.
Ancor più affettuosa fu una lettera del suo Cardinale Arcivescovo.
Don Bosco aveva incaricato Don Lemoyne di
(I) Cfr, voi. XVII, pag. 684.
(2) App., Doc. 32.
165
scrivere a Sua Eminenza una bella lettera in occasione dell'onomastico
e n'ebbe questa espansiva risposta:
Rev.mo e Car.mo Don Giovanni,
Quanto mi furono grati gli augurii che Ella, ottimo Don Giovanni,
mi fa presentare in occasione del mio onomastico! Il Rev.do e bravo
Sac. Lemoyne il quale così bene seppe interpretare tutto l'affetto
che i Salesiani hanno per me poveretto, aggiunge cosa che grande mente
consolami: dice che in tutte le case tenute dai Salesiani si prega sempre
pel vecchio Arcivescovo di Torino. Questo è conforto e caparra
di lieto avvenire.
Allorchè i buoni mi aiutano di loro preghiere ho fiducia anche
nella mia debolezza e posso sperare che del tutto infruttuosa non sarà
l'opera mia.
E per Lei venerando Don Bosco, io prego pure tutti i giorni. Che i giorni
suoi preziosissimi siano conservati a lungo. Che la Congregazione Salesiana
possa sentire per molto tempo ancora quell'influsso di carità
e di operosità, di sacrifizio che tanto scalda il cuore di Lei
fondatore benemerito e provvidenziale.
Le auguro vantaggi preziosi da coteste balsamiche aure alpine di S.
Maurizio, mentre a Lei, ai preti che le fanno corona, di tutto cuore
benedico e mi protesto
Di V. S. Ill.ma e Rev.ma
Torino, 7 agosto 1886.
Affezionatissimo in G. C.
GAETANO Card. Arcivescovo.
Ai primi di giugno una nuova nube di tristezza si era levata in Italia
e si andava lentamente stendendo sii tutta la penisola. Mentre l'eruzione
dell'Etna teneva in angoscia la provincia di Catania, nel Piemonte nel
Veneto, nelle Puglie, nell'Emilia e in Toscana mieteva vittime il colera.
Era meno intenso che nelle precedenti invasioni, ma durò più
a lungo. Ora si sapeva che Doli Bosco due anni prima aveva per antidoto
raccomandato di portare al collo la medaglia di Maria Ausiliatrice e
di fare certe pratiche; perciò le richieste della pia immagine
fioccavano all'Oratorio e innumerevoli furono le attestazioni di grazie
ottenute. La lettera seguente, scritta da Pinerolo alla signora Maggi
Fannio di Santa Maria Iconia
166
nel Padovano, è documento dei consigli che Don Bosco ripeteva
ai Cooperatori durante il pericolo.
Ill.ma Signora,
Ricevetti la pregiata sua del 25 corr. coll'acclusa offerta di cui
ringrazio la S. V. vivamente, e mi affretto assicurarla che io con tutti
i miei giovani prego di tutto cuore per Lei, pe' suoi cari, e per tutta
codesta buona città. Sì, che Maria Ausiliatrice stenda
il suo manto sopra di tutti, li benedica e li preservi da ogni male
nel tempo e nell'eternità.
Diedi ordine sieno subito spedite le medaglie: se non le riceve tra
qualche giorno favorisca avvertirmene.
Gradisca i miei ossequi, mentre io la benedico con tutti i suoi nel
nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Amen.
Della S. V. Ill.ma
[Pinerolo], Alli 27 luglio 1886.
Umile Servitore
Sac. GIO. BOSCO.
PS. - Per essere preservati dal cholèra è necessario:
I) Portare la medaglia al collo oppure sempre con sè.
2) Invocare sovente Maria Ausiliatrice (Maria Ausil.ce pregate per noi).
3) Frequentare con grande assiduità i SS. Sacramenti della Confessione
e della Comunione.
Come altre volte, la medaglia di Maria Ausiliatrice operava prodigi.
A Rimini nel mese di settembre, il figlio di una pia Cooperatrice le
tornò a casa colpito dal terribile morbo. La madre corse subito
col pensiero a Maria Ausiliatrice, e prima di porlo a letto, senza dir
nulla, gli mise sotto il guanciale una medaglia benedetta da Don Bosco.
Orbene appena il povero coleroso posò il capo nell'origliere,
esclamò pieno di allegrezza: - Oh come sto bene! Non ho più
niente. Mi pare di tornare da morte a vita. - Infatti balzò dal
letto e mentre prima non si reggeva sulle gambe, prese a camminare franco
per la camera senza che si scorgesse più in lui verun sintomo
del male (I).
(I) Bollettino Salesiano, febbraio 1887.
167
Le Figlie di Maria Ausiliatrice dovevano nell'agosto del 1886 tenere
il loro Capitolo Generale per l'elezione delle Superiore. Impedito egli
di presiederlo, vi delegò Don Rua, il quale dopo l'elezione di
Doti Bonetti a Catechista generale aveva assunto nuovamente l'incarico
della direzione generale delle Suore. Don Bosco gli comunicò
tutte le necessarie facoltà con questa bella lettera.
Car.mo D. Rua,
Pel solo motivo della cagionevole mia sanità, non posso recarmi
a Nizza per la elezione della superiora Generale e delle altre Superiore;
perciò ti concedo tutte le facoltà necessarie per questa
e qualunque altra deliberazione si debba prendere a questo uopo per
l'Istituto delle Figlie di M. A. Ho già pregato e continuerò
pregare affinchè ogni cosa riesca a maggior gloria di Dio.
Coraggio: Dio è con noi. Io vi attendo tutti al Paradiso, mediante
l'aiuto di Dio e la sua infinita misericordia.
Coraggio, ripeto, molte cose il Signore ci ha preparato; adoperiamoci
per mandarle ad effetto.
Io sono mezzo cieco e cadente di sanità; pregate eziandio per
me, che per tutti e per tutte vi sarò sempre in G. C.
Pinerolo, Villa Vescovile, 8 agosto 1886.
Aff.mo Amico e Padre
Sac. GIO. BOSCO.
Delle Suore Don Bonetti scrisse il 26 dello stesso mese a monsignor
Cagliero: “ Don Bosco desidera che si propaghino molto, poichè
ne ebbe avviso in proposito ex alto ”. Il loro Capitolo Generale
rielesse tutte le Superiore uscenti (I).
L'8 agosto il Circolo Cattolico Operaio di Bergamo festeggiava il decimo
anniversario di vita. La Presidenza, dandone antecedentemente notizia
a Don Bosco, l'aveva pregato d'una particolare benedizione, ed egli
scrisse al Presidente questa bella lettera che fu con altre di sommi
personaggi stampata in un numero unico intitolato CARITÀ.
(I) Notizie riguardanti le Figlie di Maria Ausiliatrice si leggono
in una lettera di Don Bonetti a monsignor Cagliero, che pubblichiamo
in Appendice (Doc. 33).
168
Ringrazio e benedico di cuore la bontà del Signore che nei nostri
difficili tempi abbia fatto nascere e propagare la pia Società
Cattolica Operaia. I frutti consolanti riportati dalla città
di Bergamo ce ne danno luminoso esempio di incoraggiamento a promuoverla.
Io pregherò ben di cuore il nostro Signore Iddio che voglia benedire
e proteggere tutti coloro che vi prendono parte ed in qualche modo la
promuovono.
In questa bellissima occasione mi faccio animo di raccomandare a Lei
e a tutti gli associati, affinchè nella loro grande carità
vogliano anche pregare per me e per li miei orfanelli che in questo
momento oltrepassano il numero di duecento diecimila.
Maria ci protegga tutti ed in ogni pericolo sia nostra sicura guida
per la strada del paradiso. Così sia.
Torino [Pinerolo], 22 luglio 1886.
Sac. GIO. BOSCO.
PS. Sono vecchio, semicieco, perciò legga con pazienza questo
povero scritto.
Già più volte in questo e in altri volumi ci è
avvenuto di narrare come Società Operaie Cattoliche volgessero
lo sguardo a Don Bosco, reputandolo grande antesignano nell'attività
a favore della classe lavoratrice. Questa opinione faceva sì
che, dove ci fossero case salesiane, le medesime Associazioni le considerassero
come luoghi per esse di naturale ritrovo. Così il 3 giugno a
La Spezia la Società Cattolica Operaia della città andò
i festeggiare nell'Istituto S. Paolo la benedizione della bandiera,
con l'intervento del noto cooperatore genovese Maurizio Dufour. Durante
il banchetto sociale, allestito nel cortile, dopo gli evviva al Papa,
al Re, alla Regina, al Vescovo, si gridò evviva a Don Bosco.
Quel nome elettrizzò i convitati, che lo ripeterono varie volte
freneticamente. A tali voci i giovani, che erano nello studio, scattarono
e corsero fuori acclamando e gridando anch'essi su tutti i toni: Evviva,
evviva Don Bosco (I).
Nel seguente mese a La Spezia non più dal popolo spezino, ma
dal Re d'Italia veniva reso onore a Don Bosco. Il Re Umberto, recandosi
il 17 luglio a Genova per assistere al-
(I) L'Eco d'Italia, 6 giugno 1880.
169
l'inaugurazione del monumento di Vittorio Emanuele II, suo augusto
genitore, si fermò un paio d'ore nella città marinara.
L'autorità municipale aveva invitato anche il collegio al ricevimento
e il Re gradì che gli fosse presentata una commissione dell'Istituto
per fargli omaggio. Egli aveva già all'arrivo notato quella schiera
di giovani disposti in due ale davanti all'albergo e aveva chiesto chi
fossero. Don Angelo Caimo, consigliere scolastico, avrebbe dovuto leggergli
un indirizzo; ma la brevità del tempo non lo permise. Sua Maestà
gli domandò varie informazioni; quindi, rivolto al Prefetto della
provincia ed agli ufficiali che gli stavano attorno, disse: - È,
una cosa davvero sorprendente. Questo Don Bosco ha un'attività
straordinariamente feconda, ormai i suoi istituti sono sparsi in molte
parti del mondo. E come fa bene! A Torino ha messo su un istituto modello,
che può stare a confronto con i migliori. - Infine manifestò
il desiderio di vedere nuovamente, partendo, tutti i giovani. Allora
il generale Pasi, suo primo aiutante di campo, mandò l'ordine
che venissero schierati presso l'uscita davanti alle truppe e che soltanto
la loro banda sonasse in quel momento Il Re passò in mezzo ad
essi, osservandoli con affetto e salutando con inchini i superiori.
Il dì appresso fu dal Sindaco rimessa al direttore la caritatevole
largizione sovrana di lire quattrocento.
D'ora innanzi non avremo più sogni importanti da narrare. Il
sogno di Barcellona fu l'ultimo dei grandi sogni di Don. Bosco. Altri
ne narrò in seguito, ma di ordine meramente naturale e a scopo
di ricreamento. Uno ne raccontò il 9 agosto. Aveva visto tanti
contadini salire sopra un fienile e osservare di qua e di là
se vi fosse fieno, ma non ne trovavano. Discesero nella stalla, guardarono
nelle greppie e ne rinvennero qualche rimasuglio.
- Ma come faremo? dicevano fra loro. La primavera è alla fine
e siamo senza fieno.
- Non ci rimane altro, borbottava uno, che uccidere le vacche e mangiarci
le loro carni.
170
- Ma e poi? ripigliava un altro. Faremo anche noi come fecero le vacche
di Faraone, che si mangiavano fra loro.
Appresso vide tante belle valigie chiuse, che nessuno apriva. Egli si
avvicinò e le aperse; erano piene di soldoni di rame.
- Che vuol dire questo? chiese Don Bosco alla sua guida.
- I ricchi, gli fu risposto, avranno queste monete, mentre diamanti,
oro, argento, gemme, tutto passerà in mano dei poveri. I ricchi
saranno spodestati e spogliati.
Dalla villa del Vescovo Don Bosco usciva di quando in quando per recarsi
al vicino santuario di S. Maurizio, in compagnia del segretario vescovile.
Un mattino sull'alto del colle denominato dal Martire della legione
tebea si fermò a contemplare il bellissimo panorama e vedendo
di fronte sopra un poggio isolato un caseggiato cospicuo, disse: - Oh
come è bello e incantevole quel monticello con quel magnifico
fabbricato! Come sarebbe adatto per un collegio salesiano! Era Monte
Oliveto, dove sorgeva un edifizio appartenuto già ai Gesuiti
e più tardi al Certosini, ma allora proprietà demaniale
Don Albera vi aperse nel 1915 un asilo per orfani della grande guerra
e il suo successore, venuto col tempo a cessare lo scopo primitivo,
v'istituì un noviziato salesiano (I).
Giacchè ormai si sentiva discretamente in forze, risolvette di
tornare a Valdocco per assistere alla premiazione finale dei giovani.
Partì dunque la mattina del 13 agosto. Volle dare un po' di mancia
alle persone di servizio, che tante premure avevano avuto per lui; ma
esse non solo non accettarono, ma lo pregarono di gradire una sommetta
raccolta fra di loro per i suoi ragazzi poveri. Egli intenerito li assicurò
che li avrebbe ricordati sempre nelle sue preghiere. - Non potrebbe
darci nulla di meglio, gli risposero. Per noi è un regalo il
poterla servire. Potessimo darle un po' più di salute!
Il Vescovo lo accompagnò fino alla stazione. Chi avrebbe
(I) Il pio desiderio di Don Bosco è rammentato da monsignor
Cesano, che era appunto quel segretario del Vescovo, in un Numero unico
per l'inaugurazione della luce e dell'acqua a Monte Oliveto (Torino,
Soc. Ed. Interi. 1923), pag. 6.
171
detto che non si sarebbero più riveduti in questo mondo? La
Santa Sede aveva trasferito monsignor Chiesa a Casale, dov'era morto
monsignor Ferré: a un amico di Don Bosco succedeva un altro amico.
Ma Dio lo chiamò repentinamente a sè il 4 novembre.
Benchè l'assenza non fosse stata troppo lunga, nè egli
fosse andato lontano, tuttavia i suoi figli grandi e piccoli ne salutarono
festosamente il ritorno. Era l'ora del pranzo. Sapendosi quanto gradisse
le notizie delle Missioni, gli si lessero a tavola alcune lettere di
monsignor Cagliero. Il Vicario Apostolico diceva che fra breve si sarebbe
inoltrato nel centro della Patagonia, dove aveva saputo esistere un
numero considerevole di selvaggi. Doli Bosco udiva piangendo. Anni addietro,
alla sua proposta di aprire Missioni nella Patagonia c'era stato anche
a Roma chi aveva riso; infatti le statistiche delle popolazioni di laggiù
davano per deserte quelle plaghe. - Don Bosco vuol andar ad evangelizzare
l'erba! - dicevano taluni. Ed ecco allora Monsignore confermare quanto
Don Bosco aveva visto in sogno. Tale fu il motivo della sua commozione.
Anche la Provvidenza sembrò volergli dare a modo suo il benvenuto.
La mattina seguente il prefetto generale Don Durando per urgenti necessità
gli aveva portato via tutto il danaro ricevuto in quei giorni. Appena
uscito Don Durando, entrò in camera un signore che da qualche
tempo attendeva nella stanza d'aspetto. Don Bosco, quasi a tentarne
la carità, gli disse:
- Scusi se l'ho fatto aspettare. Il Prefetto della Congregazione è
venuto a prendermi tutto il danaro che avevo, ed ecco Don Bosco povero,
senza un quattrino.
- Ma, signor Don Bosco, gli rispose egli, se in questo momento ella
avesse urgente necessità di una somma, come farebbe?
- Oh la Provvidenza... la Provvidenza! esclamò Don Bosco.
172
- Sì, Provvidenza... Provvidenza... va tutto bene; ma ora ella
è senza denaro e se ne abbisognasse subito, non saprebbe come
fare.
- In tal caso direi a lei, mio buon signore, che vada nell'anticamera
e troverà una persona che reca un'offerta a Don Bosco.
- Come?... dice davvero?... Ma di là non c'era nessuno, quando
io sono entrato. Chi le ha detto questo?
- Nessuno me l'ha detto. Io lo so, e lo sa Maria Ausiliatrice. Vada,
vada a vedere.
Quel signore si portò nell'anticamera, dove infatti c'era un
altro signore, e:
- Signore, gli disse, lei viene da Don Bosco?
- Sì, rispose colui, vengo a portargli un'offerta.
Invitato a entrare, consegnò al Servo di Dio trecento lire.
Nel dì dell'Assunta presiedette alla solenne premiazione degli
artigiani e degli studenti, che il giorno dopo sarebbero partiti per
le vacanze. Nel più bello del trattenimento un colpo di scena
mise sossopra tutti i presenti: apparve all'improvviso Doli Lasagna,
che veniva dall'Uruguay. Si diresse al caro Padre e fra la commozione
generale lo abbracciò con tutto l'affetto di un figlio; poi si
assise al suo fianco. Terminata l'accademia prese lui la parola. Nonostante
l'impazienza che suol assalire i giovani in tali momenti il suo dire
infiammato ne incatenò l'attenzione. Una cosa piacque specialmente
a Don Bosco. Un giorno del mese di maggio Don Lasagna era stato chiamato
al telefono da Montevideo. Il padre Superiore dei Gesuiti gli comunicava
che una gran signora di Santiago del Cile voleva i Salesiani nella sua
città, dicendosi pronta a pagar loro il viaggio dall'Europa e
a provvederli di tutto il necessario. Lì per lì Don Lasagna
non aveva fatto molto caso di quella comunicazione, troppo frequenti
essendo ormai tali offerte; ma cinque minuti dopo ricevette da Torino
una copia del sogno di Barcellona, nel quale si parlava appunto di una
casa a Santiago del Cile.
173
Al 15 di agosto erasi commemorato, come di consueto, il compleanno
di Don Bosco. Per questo il cardinale Alimonda aveva voluto portargli
personalmente i suoi auguri, rimanendo un'altra volta un buon paio d'ore
a colloquio con lui.
La contessa Balbo, che l'aveva complimentato per lettera, dovette sentirsi
ben lieta di ricevere da lui questa risposta.
Ill.ma Sig. Contessa,
Ricevetti la gentilissima sua del 14 corrente e mi è caro riscontrarla.
La ringrazio degli auguri che mi fece in occasione del mio compleanno
e glieli ritorno centuplicati. In tale occasione dissi la Santa Messa
all'altare di S. Pietro e lascio a Lei il pensare con quanto stento
e fatica, e pregai, pregai tanto per tutti coloro che mi diedero e danno
mano nel portare a compimento la Missione che per sua bontà mi
affidò il cielo: per la S. V, poi e per tutti i suoi più
cari nelle mie orazioni mi ricordai in singolare modo desiderando ad
essi la pienezza d'ogni grazia e favore spirituale e temporale.
Ill.ma Sig. Contessa, aggradisca i miei sinceri ossequi e mi creda sempre
qual godo ripetermi in G. C. N. S.
Della S. V. Ill.ma
Torino, 18 agosto 1886.
Devot.mo ed oblig.mo Servitore
Sac. GIO. BOSCO.
Oggi tutti sappiamo che Don Bosco nacque non il 15, ma il 16 agosto;
ma allora egli pure l'ignorava. Bella è l'osservazione che fa
a tal proposito un recentissimo biografo del Santo (I). Dopo aver immaginato
che Mamma Margherita passasse la festa dell'Assunta in gioconda unione
con la Madre di Dio, alla quale offerse il suo nascituro, soggiunge:
“ Don Bosco ha ragione di scrivere: Son nato il 15 agosto. Sì,
spiritualmente. Poichè due madri egli ebbe, una in cielo e l'altra
sulla terra, e ad entrambe fece onore ”.
(I) HENRI GHÈON, Saint Jean Bosco. Flammarion, Paris. Pag. 22.
CAPO VI
Quarto Capitolo Generale.
LA vita di Don Bosco, obbligato ormai dal peso dell'età e dagli
acciacchi, a trascorrere le sue giornate seduto nella propria cameretta
con il solo svago di qualche passeggiatina serale in carrozza, doveva
essere, umanamente parlando, monotona, massime per lui avvezzo a incessante
attività. A rompere la stucchevole uniformità vennero
negli ultimi mesi del 1886 quattro fatti, che, pur causandogli inevitabili
disagi, gli procurarono tuttavia anche vere consolazioni; vogliamo dire
il quarto Capitolo Generale, un viaggio a Milano, una spedizione missionaria
e l'inaugurazione della nuova sede per il noviziato a Foglizzo.
Il quarto Capitolo generale era l'ultimo che si dovesse svolgere sotto
la presidenza del santo Fondatore. La lettera di convocazione porta
la data del 31 maggio. In essa si notifica va pure che, compiendosi
prossimamente un sessennio dall'ultima elezione del Capitolo Superiore,
se ne sarebbe nella medesima circostanza rinnovata l'elezione. Luogo
dell'assemblea, il collegio di Valsalice; tempo, dal io di settembre.
Secondo le Costituzioni (I), avevano diritto di prendervi parte, oltre
ai membri del Capitolo Superiore, agli Ispettori e al Procuratore generale,
tutti i Direttori delle case; a tenore poi delle medesime Costituzioni
(2), essendovi le elezioni,
(I) Nota all'art. 3, capo VI.
(2) Capo IX, art. 10.
175
ogni Direttore doveva condurre seco mi socio professo perpetuo, eletto
all'uopo dai Confratelli della propria casa.
Ai singoli Direttori venne contemporaneamente spedito lo schema degli
argomenti da trattarsi, affinchè li portassero a conoscenza dei
loro dipendenti, i quali erano tutti invitati a farvi sopra serio studio
e a porre per iscritto proposte e riflessi che giudicassero opportuni,
inviandoli poi in tempo al Consigliere scolastico Don Cerruti, nominato
Regolatore del Capitolo Generale Detto schema era formulato in questi
brevi termini.
MATERIE DA TRATTARSI NEL CAPITOLO GENERALE
IN SETTEMBRE 1886
Si ripasseranno brevemente gli argomenti trattati nell'ultimo Capitolo
Generale, e specialmente:
I. Il num. III dello schema allora proposto, cioè il Regolamento
per le parrocchie dirette e dirigende dai Salesiani.
II Il num. V: indirizzo da darsi alla parte operaia nelle case salesiane
e mezzi di sviluppare la vocazione dei giovani artigiani.
Si propongono inoltre allo studio dei Confratelli queste nuove materie:
III. Modo di eseguire il decreto della F. M. di S. S. Pio IX Regulari
disciplinae.
IV. Sistema da seguirsi nel promuovere alle sacre ordinazioni.
V. Modo e mezzi d'impiantar case di studentato pei chierici nelle varie
ispettorie.
VI. Modo di provvedere all'esenzione della leva militare.
VII. Modificazioni da introdursi nel Catalogo della nostra Società.
Proposte da farsi dai Confratelli.
S'ingiungeva finalmente ai Direttori e ai Confratelli designati per
le elezioni di riunirsi il 25 agosto a S. Benigno Canavese e di fare
ivi un corso preparatorio di esercizi spirituali. A quegli esercizi
si trovò presente anche Don Bosco, che stava già colà
dal 21 durante la muta degli aspiranti (I).
(I) Prima di venir via da Torino aveva scritto al Papa, umiliandogli
devoti auguri per S. Gioachino, onomastico di Leone XIII. Il 24 ricevette
da Roma il seguente telegramma: “ Sacerdote Bosco. S. Benigno.
Ringraziandola per auguri e invocando pienezza dei celesti doni sugli
orfanelli diretti dai benemeriti Salesiani, Santo Padre imparte a tutti
Apostolica Benedizione. L. Card. JACOBINI”.
176
Mai erasi veduta riunione di Salesiani così imponente. Con il
Capitolo superiore facevano corona a Don Bosco tre Ispettori, ventinove
Direttori (I) con egual numero di soci eletti nelle singole case, più
alquanti altri sacerdoti estranei al Capitolo Generale. Predicatori
furono Doti Bertello, “ che fa delle meditazioni veramente classiche
”, scrisse Don Lazzero, e Don Lasagna “ che fa istruzioni
con zelo veramente da missionario e con spirito salesiano ”, soggiungeva
il medesimo (2).
Per motivi finanziari dall'America intervenne il solo Don Lasagna; la
qual cosa increbbe; perchè, nonostante tutto, si sarebbe desiderata
una più larga rappresentanza da quelle remote contrade (3). Monsignor
Cagliero volle farsi presente con alcune proposte, da svolgersi in una
speciale conferenza ai Direttori, le mandava a nome anche di quei Confratelli
(4).
(I) App., Doc. 34. Degli altri due Ispettori, quello ligure, Don Cerruti,
era dal 1885 Consigliere del Capitolo Superiore, e l'argentino, Don
Costamagna, mancava.
(2) Lett. a monsignor Cagliero, S. Benigno 28 agosto 1886.
(3) L. c.: “ Rincresce, dico da parte di D. Rua, che dall'America
sia solo venuto D. Lasagna. Si aspettavano con piacere anche D. Costamagna,
D. Fagnano e qualche altro ”. Don Rua stesso aveva scritto l'11
agosto a Don Riccardi, segretario di monsignor Cagliero: “ Siamo
assai disgustati dei Superiori d'America ci venga solo D. Lasagna al
Capitolo Generale. Ne aspettavamo almeno due. Pazienza ”. E Doli
Lasagna a monsignor Cagliero (S. Benigno, 26 agosto): “ D. Bosco
si afflisse molto perchè non sia venuto D. Fagnano e D. Costamagna
” .
(4) Proposte per una conferenza ai direttori.
I. Insistere sull'osservanza del voto di povertà, specie nei
viaggi, vestiario e riparazioni e costruzioni materiali.
2. Raccomandare l'esemplarità nella vita comune, specialmente
nel vitto, bibite separate, ecc.
3. Rispondano con prestezza e pienezza alle circolari dell'Ispettore.
4. Si faccia bene e regolarmente l'esercizio della Buona Morte, ma proprio
per i confratelli e non solo per i giovani.
5. Così pure i rendiconti mensuali di coscienza.
6. Ricordino che prima di tutto debbono assistere, amare e aiutare i
proprii confratelli e poi i giovani.
7. E questo sovratutto riguardo ai giovani chierici provenienti da S.
Benigno, i quali hanno bisogno che si continui loro l'assistenza paterna
e la gran carità che colà si usa nelle pratiche di pietà
e della Congregazione; si istruiscano ad essere buoni maestri ed assistenti
coi sistema preventivo di educazione leggendolo e spiegandolo; e si
sostengano nelle difficoltà che incontrano nel loro ufficio e
che sono talvolta la causa prima della loro defezione.
8. Le deliberazioni Capitolari si leggano tutte al principio dell'anno,
177
Durante gli esercizi Don Bosco si sentiva ogni dì più
spossato a cagione del caldo; perciò si limitava a dare qualche
poco di udienza ai Direttori nè poteva assolutamente fare altro.
Diceva però in generale: - Se mi volete parlare dell'anima, venite,
e troverete sempre Don Bosco pronto ad ascoltarvi. Ho più poco
fiato e lo adopero volentieri a benefizio de' miei figli. - Al vedere
poi tutti gli esercitandi stringersi intorno a lui durante qualche ricreazione
per ascoltarlo, mescolati insieme superiori e inferiori, diceva contento:
In questo vi riconosco tutti miei figli. Siate sempre senza gare di
preferenza. Qui vedo Direttori, predicatori degli esercizi, membri del
Capitolo Superiore, ma tutti riuniti come in una sola famiglia. Vorrei
dirvi tante cose, ma i miei polmoni non vogliono più soffiare.
Le dirò a Don Rua, ed egli ve le ripeterà. Intanto pregate
per Don Bosco. - Così dicendo, si allontanava, mentre i presenti
commossi si affrettavano a baciargli la mano (I). Infine, debilitato
all'eccesso e pieno di sofferenze, lasciò quella casa la mattina
del 31. Trascorso il rimanente della giornata nell'Oratorio, partì
alle dieci del 10 settembre per Valsalice. Passando dinanzi alla casa
delle Figlie di Maria Ausiliatrice dov'erano radunate molte Suore per
i loro esercizi spirituali, volle soffermarsi. Entrato diede a tutte
in cappella alcuni ricordi, le benedisse e, rimontato in vettura, proseguì
il suo cammino.
Lo aspettavano a Valsalice tutti i componenti il Capitolo Generale.
Verso sera vi fu adunanza nella chiesa. Don Bosco
poi un poco ogni giorno. Le regole un capo ogni mese nell'esercizio
di Buona Morte.
Don Cerruti (Torino, 12 ottobre 1886) gli scriverà: “ Le
vostre proposte arrivarono qui due giorni dopo la chiusura del Capitolo
Generale, vale a dire la sera del 9 settembre. Vedo però dalla
lettura di esse che per due terzi son quelle pure della maggioranza
de' confratelli e già adottate nel Capitolo Generale. Per l'altro
terzo ne terrò conto volentieri nella revisione e stampa delle
deliberazioni emesse, e pel valore loro intrinseco e perchè provenienti
da coloro, i quali, come sono i missionari, costituiscono la gloria
e il sostegno principale della Congregazione ”.
(I) G. B. FRANCESIA, Vita popolare del Reato Don Giovanni Bosco. Torino,
Soc. Ed. Intern. 35° migliaio, pag. 216.
178
si assise nel presbiterio, fra i membri del Capitolo Superiore che
scadeva. Dopo il canto del Veni Creator, Don Rua a nome di lui dichiarò
aperto il Capitolo Generale e lesse gli articoli del Regolamento riguardanti
tale oggetto. Quindi, invocata la protezione di Maria Vergine col canto
dell'Ave maris stella e ricevuta la benedizione di Gesù in Sacramento,
si passò nella sala delle riunioni per la sessione preparatoria.
Quivi, fattasi una succinta relazione circa gli uffici da affidarsi
agli eligendi, fu stabilito che all'elezione si procedesse il mattino
seguente e che nel pomeriggio si tenesse la prima seduta per trattare
del quinto e settimo tema, riferentisi agli studentati dei chierici
nelle diverse Ispettorie e la compilazione del Catalogo della nostra
Società: due argomenti di secondaria importanza, ma che nella
mente del regolatore dovevano servire soprattutto all'affiatamento dei
capitolari e ad avviare le discussioni.
Era la prima volta che il Capitolo Superiore si presentava al Capitolo
Generale con un suo segretario nella persona di Don Lemoyne. Il segretario
non è propriamente uno dei Superiori del Capitolo, del quale
è semplice officiale; non poteva quindi allora essere compreso
fra gli elettori nè in forza della regola che attribuiva al Capitolo
Superiore il diritto elettorale, nè in forza del giure comune;
l'assemblea pertanto, valendosi de' suoi poteri, prima che si sciogliesse
l'adunanza preliminare, deliberò ad unanimità che il segretario
generale del Capitolo superiore fosse elettore.
Venne per ultimo distribuito un elenco dei Soci eleggibili, non esclusi
gli scadenti dall'ufficio. Sommavano a settantuno, senza il Rettor Maggiore
che durava a vita, il suo Vicario che stava ad nutum Rectoris, i monsignori
Cagliero e Fagnano, aventi una destinazione speciale dalla Santa Sede.
A quel tempo bisognava fare l'elezione anche del Maestro dei Novizi,
poichè la regola tassativamente
179
prescriveva: Novitiorum Magister eligatur in Capitulo Generali (I).
L'elezione, svoltasi senza incidenti (2) il mattino del 2, diede questi
risultati.
Prefetto. Don BELMONTE DOMENICO.
Direttore Spirituale. Don BONETTI GIOVANNI.
Economo Don SALA ANTONIO.
Consigliere scolastico. Don CERRUTI FRANCESCO.
Consigliere professionale. Don LAZZERO GIUSEPPE
Consigliere. Don DURANDO CELESTINO.
Maestro dei Novizi. Don BARBERIS GIULIO.
Monsignor Cagliero fu proclamato Catechista onorario. A cose fatte,
si lesse a Don Bosco un indirizzo, col quale tutti i presenti dichiaravano
essere loro comune pensiero che riguardo all'elezione Egli potesse fare
come crederebbe meglio nel Signore, confermando o mutando. Don Bosco
ringraziò i congregati per quell'atto di fiducia, espresse la
sua soddisfazione e invitò a ringraziare Iddio. A mò di
conclusione annunziò con parole piene di carità e con
dolore la perdita fatta quella mattina medesima del carissimo confratello
Don Nespoli, augurando alla Congregazione tanti buoni Salesiani quale
era stato il testè defunto.
Don Nespoli meritava veramente una sì bella commemorazione. L'immaturità
della sua fine faceva piangere più dolorosamente la perdita di
un sì robusto ingegno e di una sì maschia virtù,
una virtù conquistata a forza di eroici sacri -
(I) Capo X, art. 9. Nel decimo Capitolo Generale del 1904, fu deliberato
che “ i Maestri dei Novizi saranno eletti dal Rettor Maggiore
coi consenso del suo Capitolo, udito il parere del consiglio ispettoriale
”. Cfr. Deliberazioni del IV Capitolo Generale. S. Benigno Canavese
1905.
(2) Don Lazzero scriveva a monsignor Cagliero (3 settembre 1886): “
Prima di ogni votazione si leggeva ad alta voce l'ufficio che l'eletto
doveva coprire: venuti ai Consiglieri, si dichiarò l'uno scolastico,
l'altro professionale, il terzo incaricato della corrispondenza per
le Missioni ”. E Don Cerruti al medesimo (12 ottobre 1886): “
Una cosa che consola è il buon ordine con cui fu fatta l'elezione
del Capitolo Superiore e tenuto il Capitolo Generale ”.
180
fizi, data la sua indole naturalmente sdegnosa e schiva. Rimasto orfano
del padre a nove anni, visse ancora un biennio presso i suoi, quando
una pia signora, alla cui carità il genitore morente aveva raccomandato
la povera famiglia, s'interessò per farlo accettare all'Oratorio.
Qui egli fece le cinque classi ginnasiali; ma nel ginnasio superiore,
ingolfato nella lettura dei classici e non trovando nella scuola chi
comprendesse i bisogni del suo spirito e lo illuminasse sufficientemente
nelle cose della fede, si raffreddò assai nella pietà.
Per sua fortuna, la santità di Don Bosco e di Don Rua, da lui
nettamente scorta, fu la doppia calamita che lo attrasse e lo ritenne.
Nel 1876 passò al noviziato, che allora costituiva un reparto
a sè nell'Oratorio. In quell'anno sotto la direzione di Don Barberis
cominciò il lavorio della sua ricostruzione spirituale, alquanto
rallentata appresso nei tre anni, che seguirono la professione temporanea,
finchè, mandato ad Alassio, trovò in Don Cerruti il Direttore
che faceva per lui. Da quel punto le sue ascensioni non ebbero più
arresto. Studio e pietà, scuola e assistenza erano la sua vita
di tutti i giorni. Insegnando nel liceo, voleva riserbata a sè
l'ora settimanale di religione, alla quale si preparava con la massima
serietà, ottenendo eccellenti risultati. Da Alassio s'inserisse
all'Università di Genova; ma, poco dopo aver conseguita la laurea
in lettere, ammalò a morte. Contava appena ventisei anni di età.
Il suo nome è raccomandato a una sua pubblicazione postuma, frutto
dell'amore intenso con cui erasi dedicato allo studio dei Santi Padri
(I). Il suo amico e collega d'insegnamento Don Fascie, allora laico,
oggi Consigliere scolastico generale, vi premise un'interessante prefazione
sulla vita del traduttore. Del suo carattere scrive: “ Vi era
in lui un'impronta di stabilità, una posa così energicamente
costante, che io, in qualunque atteggiamento mi venisse davanti o
(I) S. AURELIO AGOSTINO Lettere XXXIII. Traduzione e dichiarazioni
del sacerdote Giovanni Nespoli. Torino, Tip. Sal. 1887.
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lo scontrassi da me, poteva sempre raffigurarlo, e dirmi: è
lui. E v'era un posto, dove questo suo tratto, al quale si riconosceva,
spiccava proprio tutto e solo, ed era la scuola. Là Don Nespoli
ci era proprio tutto, senza mistura di sorta ”. Della sua attività
intellettuale egli osserva: “ Per lui il sapere era solo un mezzo;
il fine non era esser dotto, ma buono ed aiutare gli altri ad esser
buoni ” . Don Nespoli prestava questo aiuto con il rendersi buon
maestro, e il suo lodatore fa vedere com'egli sentisse di essere maestro
nel dir Messa, nel recitare il Breviario, in ricreazione, nel condurre
i giovani a passeggio e naturalmente nel fare lezione. “ Quell'indole,
dice Don Fascie, così fiera si ammansiva coi giovani, si faceva
tutto per loro, sapeva compatirli, pigliava sul serio tutte le loro
difficoltà od obbiezioni e le risolveva, si piegava anche un
poco al loro carattere. Era sempre serio però: e di più
v'era una categoria coi quali era inesorabile, e non ebbe mai tregua:
quella volontà così energica non potè mai piegarsi
a compatire, che dico? a soffrire i poltroni in iscuola ” . L'energia
della volontà lo accompagnò e sorresse per tutta la vita.
“ Era tanto deciso nelle cose sue, ricorda Don Fascie, che si
meravigliava forte, quando il suo direttore gli chiedeva, se gli fossero
mai venuti dubbi sulla propria vocazione. Non poteva capire, e non gli
entrava, che ci fosse della gente, che dopo aver preso una decisione
di tal sorta, potesse ancora pensare ad avere dei dubbi; e mi ci volle
del bello a capacitarlo ” . Amava la famiglia, gli amici, gli
scolari; ma, è sempre Don Fascie che parla, “ primo fra
tutti Don Bosco, che aveva preso nel suo cuore il posto di suo padre
e che nel riamarlo faceva sentire, quanto quel posto gli fosse caro
” (I).
Rientriamo nell'argomento del Capitolo Generale. La seduta pomeridiana
del 2 settembre, in cui, come abbiamo
(I) L. c., pag. VI, XIV, XX, XXX, XXVI. Fra le carte di Don Nespoli
fu trovato un quaderno di ricordi autobiografici, di cui la morte gl'impedì
la continuazione. Lo conserva Don Fascie. Una parte specialmente è
per più d'un capo così istruttiva che la pubblichiamo
nell'Appendice, tanto più che vi sono disseminati elementi utili
alla nostra storia (Doc. 35).
182
detto, si trattò del catalogo e degli studentati, non ci presenta
nulla di notevole, tranne qualche osservazione di Don Bosco. Egli approvò
la proposta d'inviare alle scuole superiori pontificie di Roma alcuni
dei più segnalati fra i chierici per completarvi i loro studi;
solo fece rilevare che allora gli sembrava troppo presto, attesa la
necessità dì personale per le opere in corso. I due primi
chierici salesiani Festa e Giuganino furono mandati all'Università
Gregoriana per la teologia nell'autunno del 1888. Il Salito raccomandò
inoltre che si mantenessero le denominazioni in uso, come ascritti e
anno di Prova invece di novizi e noviziato. - Questo, diss'egli, non
è nè necessario nè utile. - Sopra una terza cosa
verremo più avanti, quando si parlerà di Foglizzo. La
tornata non diede luogo a formali deliberazioni.
La mattina del 3 si discusse in primo luogo sul modo di esentare i chierici
dalla leva militare. In quegli anni stavano ancora aperte parecchie
vie di scampo, che in anni successivi si vennero chiudendo. - In tutte
queste cose, notò Don Bosco, è di somma importanza l'avere
a conoscitore delle leggi e delle persone qualcuno che sia buon amico
e che voglia aiutarci. E se non si ha nessuno, conviene ricorrere con
fiducia a chi sia al caso di potersene occupare invitandolo e pregandolo
di aiutarci a far valere nella leva o nella visita i diritti che possono
competere al coscritto. Generalmente accettano e s'impegnano presso
altri. - Assai notevole è quello che pronosticò dopo d'aver
accennato alle leggi della Francia e della Spagna in materia di servizio
militare. Disse: - In quanto all'Italia, ebbi comunicazione che si sta
studiando come esentare quelli che vorranno consacrarsi alle Missioni
estere. E ciò servirà molto alla esenzione dei nostri.
Non tarderà il giorno che il clero sarà esentato tutto
in Italia con qualche restrizione. Ma intanto fino a che questo non
sia, si procuri l'esenzione con tutti i modi onesti e legali (I). -
(I) Le deliberazioni in App., Doc. 36.
183
Nulla poteva allora far sperare l'esenzione generale del clero, anzi
lo spirito dei Governo moveva in direzione opposta; oggi invece dopo
i Patti del Laterano è un fatto compiuto: la restrizione si prospetta
per il caso di una mobilitazione generale, in cui però quelli
in sacris devono attendere a uffici sacerdotali o sanitari.
Esaurito questo tema, si esaminò la procedura da seguire nel
promuovere i chierici alle sacre ordinazioni. Sull'andamento della discussione,
continuata nel pomeriggio, i verbali sono muti; ma lo studio dovette
essere condotto ben a fondò, come ne fanno fede i quindici articoli
deliberati (I).
Nella seduta pomeridiana fu elaborato un regolamento per le parrocchie.
Il relatore Don Lasagna usufruì anche di lavori del Capitolo
Generale terzo intorno a questo oggetto. Egli premise alcune considerazioni,
che sembravano sconsigliare la facile accettazione di cure parrocchiali.
Molte difficoltà si sollevarono sul modo di conciliare fra loro
le due autorità, dove alla parrocchia andasse unito un ospizio.
Dopo vivo dibattito la questione fu troncata col rimettere al Rettor
Maggiore il determinare volta per volta, se il Direttore dell'ospizio
dovesse essere superiore di tutta la casa ovvero il Parroco dovesse
tenere anche la direzione. Restò per altro fermamente deciso
che le due amministrazioni stessero affatto distinte. Il tempo dacchè
i Salesiani governavano parrocchie, era ancora troppo breve, perchè
si potesse fare appello all'esperienza a fine di beli regolamentare
questa materia; tuttavia quel secondo tentativo segnò un progresso
sul primo, dando luogo a formulare un complesso di norme degne della
nostra considerazione, non foss'altro perchè furono il punto
di partenza alle definitive deliberazioni posteriori e poi perchè
furono discusse vivente Don Bosco (2).
Don Bosco entrò nell'aula ed assunse la presidenza, tenuta fino
allora da Don Rua, quando si studiava la maniera di ren-
(I) App., Doc. 37.
(2) App., Doc. 38.
184
dere il Parroco amovibile ad nutum Superioris, e, informatosi sommariamente
delle cose discusse, prese a parlare così: - Io sono di parere
che, trovandoci ora in tempi calamitosi per la divisione del potere
civile dall’ecclesiastico, convenga tirare innanzi come meglio
si può, regolandoci secondo gli eventi per le parrocchie che
già esistono. Per quelle che verrà il caso di accettare,
il Capitolo Superiore penserà al migliore modo per ottenere l’inamovibilità.
Un altro tentativo interessante fu quello di disciplinare meglio le
scuole professionali. Il paragrafo secondo dello schema diramato ai
Confratelli, presentava un duplice oggetto, indirizzo cioè da
darsi agli artigiani e mezzi per svilupparne la vocazione religiosa.
Partecipò alla discussione anche il coadiutore Rossi. Le deliberazioni
prese meritano di non giacere sepolte negli archivi, sia perchè
rispecchiano il pensiero di Don Bosco che certamente le fece sue, sia
perchè segnano il primo passo da un periodo basato sulla tradizione
a un periodo regolato da leggi scritte circa l'indirizzo intellettuale,
tecnico e religioso delle nostre scuole professionali. Era il frutto
di una trentennale esperienza (I).
Il 5 settembre, giorno di domenica, si tenne soltanto la seduta serale,
in cui il Capitolo determinò la maniera di osservare i decreti
sull'accettazione degli ascritti e il metodo da seguire nell'ammettere
ai voti. - Con questi decreti, disse Don Bosco, Pio IX ebbe più
che altro in mira di dare agli Ordini religiosi un'arma per respingere
coloro che domandano d'entrare in religione e non ne siano degni. Ecco
anche il motivo per cui questa disposizione fu ristretta solamente all'Italia.
Tale è lo spirito dei decreti.
Diciamo una parola sull'origine e la natura di questi decreti. Pio IX
un anno dopo ascesa la cattedra di Pietro, il 17 giugno 1847, diresse
ai Superiori generali, Abati, Provinciali ed altri Superiori regolari
l'Enciclica Ubi primum arcano,
(I) App., Doc. 39.
185
nella quale dichiarava che, appena eletto al pontificato, aveva concepito
il disegno di difendere, confortare ed abbellire gli Ordini religiosi.
Poi prometteva loro di volersi adoperare singolarmente perchè
in essi “ la santità dei costumi, l'insegnamento spirituale
e la disciplina regolare, secondo gli statuti di ciascuno, rivivessero
e fiorissero sempre meglio ”. Faceva noto infine che a promuovere
e a sostenere tale riforma egli aveva costituito la Congregazione de
statu regularium ed invitava i Superiori regolari a vigilare attentamente
sui loro sudditi ed a mantenersi in buon accordo tanto fra di loro quanto
coi Vescovi e col clero secolare, per contribuire tutti viribus unitis
all'edificazione del corpo di Cristo, cioè della santa Chiesa.
A compier l'opera della riforma emanò poi il 25 gennaio 1848
per l'organo di detta Congregazione il decreto Regulari disciplinae
instaurandae, ove s'impartivano salutari prescrizioni sull'ammissione
dei novizi all'abito e alla professione religiosa.
A tenore dell'ordinanza pontificia bisognava eleggere una Commissione
esecutrice generale e sette esaminatori provinciali. Procedutosi all'elezione,
risultarono eletti per la prima i membri e il segretario del Capitolo
Superiore e per esaminatori provinciali Don Francesia, Don Marenco,
Don Bianchi, Don Nai, Don Rinaldi Filippo (I), Don Tamietti, Don Guidazio
(2).
Le proposte varie dei Confratelli vennero presentate all'assemblea nelle
due sedute del giorno 6. La discussione di maggiore importanza è
per noi quella aggiratasi intorno al Bollettino Salesiano. Vi si affermò
in questi termini il concetto generale: “ Il Bollettino Salesiano
ha per iscopo di mantenere vivo lo spirito di carità fra i Cooperatori,
di portare a loro conoscenza le opere compiute o da compirsi dalla pia
nostra
(I) Don Filippo Rinaldi aveva partecipato soltanto alla seduta delle
elezioni, come compagno del Direttore della casa di S. Giovanni Evangelista
Don Marenco, avendovi egli titolo di vicedirettore.
(2) I nomi sono disposti secondo la graduatoria dei voti riportati.
186
Società, e di animarli a prestarle aiuto opportuno. Pertanto
si deve riguardare come l'organo della Società medesima ”
(I).
E affinchè il periodico si mantenesse fedele allo scopo, per
cui Don Bosco ne aveva intrapresa la pubblicazione, il Capitolo generale
deliberò quanto segue.
I. Il Bollettino sia redatto e stampato sotto l'immediata sorveglianza
del Capitolo Superiore il quale farà sì che venga tradotto
nelle diverse lingue, e incaricherà mi Direttore - Redattore
in capo, che abbia cura di rivedere e ordinare gli articoli e le notizie,
che vengono dai vari paesi, e provvegga alla sollecita sua pubblicazione
e spedizione.
2. Acciocchè il Bollettino corrisponda anche ai bisogni regionali,
lasciando sempre invariato il testo delle varie traduzioni, si riserberanno
le ultime pagine per pubblicare le notizie particolari di quelle case,
che trovansi nei diversi Stati.
In America avendosi a pubblicare qualche articolo di urgenza gli Ispettori
potranno far stampare un supplemento straordinario, di cui nel successivo
numero si darà riassunta la sostanza.
3. Ciaschedun Ispettore incaricherà uno della sua Ispettoria,
che sia idoneo ed abbia comodità di raccogliere un mensuale riassunto
delle notizie più importanti dell'Ispettoria, e le trasmetta
al Direttore del Bollettino prima del 15 del mese, affinchè possano
essere inserite nella prossima dispensa.
4. Le offerte che sono fatte dai Cooperatori per venire in aiuto alle
opere salesiane, come corrispondenza col Bollettino siano tenute in
conto a parte e da ogni casa si mandino al Rettor Maggiore.
Si possono ritenere negli Ospizi le offerte che designatamente vengono
fatte ad essi, purchè se ne dia avviso al Rettor Maggiore. In
ogni caso si eseguiscano sempre le intenzioni degli offerenti.
Durante le due sedute Don Bosco prese più volte la parola. Una
volta per incidente raccomandò a tutti di conoscere bene l'Opera
di Maria Ausiliatrice e di favorire le vocazioni degli adulti; poi aggiunse:
- Quando il cardinale Berardi, riferì al Santo Padre Pio IX su
quest'Opera, il Papa disse: "Se i frati vorranno frati, dovran
ricorrere a questa via; così anche i Vescovi, se vorranno preti
". La ragione è che talora i giovani fanno naufragio nell'adolescenza,
ma poi ritornano in sè all'età di sedici o diciotto anni
od anche a venti.
(I) Così nelle Deliberazioni, al capo V,
187
Parlandosi delle raccomandazioni fatte da Leone XIII per sottrarre
la gioventù alla Massoneria, Don Bosco osservò: Basterà
che si raccomandi ai giovani più adulti di non ascriversi a società
alcuna senza il consenso dei genitori e del parroco; ma noti se ne parli
di proposito nè in casa nè per le stampe. Sarebbe un risvegliare
le ire dei nemici senza alcun profitto.
Sulle visite degli Ispettori e dei Superiori maggiori alle case Don
Bosco raccomandò che si andasse sempre in nome del Superiore
e che si richiamassero i Confratelli all'osservanza delle Regole noti
in forza dell'Io voglio ma in forza del dovere dalle Regole imposto.
- L'Io guasta tutto - conchiuse. A rincalzo della quale raccomandazione
cadono qui in acconcio alcune parole da lui pronunziate il 14 febbraio
1887 nel Capitolo Superiore. Proponendosi di dare maggiore sviluppo
a certi articoli del Regolamento, egli disse: - Non si cerchi di rendere
troppo prolissi e specificanti i nostri Regolamenti, quando sembrino
tiri po' concisi. Ove non vi sia necessità di regola, si proceda
con una bontà paterna, e i sudditi aiutino il Superiore pel buon
andamento della Casa. - Ed ecco un bel tratto di questa bontà,
della quale egli era vivente esempio. Un ordine improvviso di Don Cerruti
sbalestrava, Don Borio da Lanzo a Randazzo. Al buon piemontese l'andare
in Sicilia sembrò che fosse un andare in capo al mondo e gli
seppe duro e se ne aperse per lettera con Don Bosco, che paternamente
gli rispose:
Caro D. Borio,
Parti pure tranquillo a mia benevolenza e la mia benedizione ti accompagnerà
ovunque andrai. Prendi teco la pazienza e la prudenza. Sii luce a' tuoi
compagni. Dio farà che ci possiamo vedere forse fra non molto
tempo.
Maria ci guidi nei pericoli e sia di tutti i Salesiani di vera guida
al cielo.
Continua pregare per questo tuo amico che ti sarà sempre in G.
C.
Torino, 6 febbraio 1886
Aff.mo
Sac. GIOV. BOSCO.
188
Ragionandosi del sistema preventivo, comunicò d'aver cominciato
un opuscolo su tale argomento e che sperava di poterlo o per sè
o per altri condurre a termine. Ma purtroppo non solamente il lavoro
non fu terminato anzi del suo cominciamento non rimase traccia fra le
carte del Santo (I).
Nella mattina del 7 il Capitolo si radunò per l'ultima volta.
Doli Bonetti vi lesse una relazione intorno a cinque cose da osservarsi
nel trattare con le Figlie di Maria Ausiliatrice, e cioè: I°
Non accompagnare il medico, quando visita le inferme. 2° Contentarsi
del loro servizio nella cucina e nei refettori. 3° Non opporsi al
trasloco di qualche suora. 4° Non dare mai loro del tu ed evitare
ogni atto di confidenza. 5° Al quesito se oltre al Santo Padre,
al Rettor Maggiore, alla Madre Generale fosse da permettere che le Suore
scrivessero liberamente al Direttore locale, agli antichi direttori
e al confessore, il relatore espresse parere contrario; soltanto a quelle
che dimoravano in America potersi concedere che per la ragione della
distanza scrivessero all'Ispettore.
Finalmente Doli Rua richiamò alcune parti della Regola, delle
quali importava inculcare l'osservanza. I° Rispondere con prontezza
e sollecitudine alle lettere mensuali degli Ispettori; così facessero
gli Ispettori per le domande loro rivolte dal Capitolo Superiore. 2°
Mettersi tutti d'accordo Ispettori e Direttori sull'osservanza della
povertà. 3° I Direttori non tenessero in camera bibite, liquori
per se e per altri. 4° I Direttori nella qualità e quantità
del vitto stessero al regolare. 5° Il vestiario si tenesse pulito,
ma non si avesse premura di mutarlo oltre la Regola; così le
calzature. 6° Non
(I) Nel volume sedicesimo (pag. 439 - 447) abbiamo pubblicato un vero
trattatello sui castighi. Il manoscritto è certamente di Don
Rua, ed è anche suo lo stile; ma chi parla è Don Bosco.
Noi pensiamo che Don Rua abbia dato forma di circolare a un abbozzo
di Don Bosco su tale argomento e che tale abbozzo fosse destinato alla
preparazione dell'annunziato opuscolo. La circolare, rimasta inedita,
fu da noi rinvenuta per un caso fortunato nel 1934. Senza dubbio Don
Rua non avrebbe mai ardito far parlare così Don Bosco, se Don
Bosco non avesse realmente così parlato.
189
viaggiare per piacere, e non prendere senza necessità la seconda
classe. 7° Fare l'esercizio della buona morte secondo le Deliberazioni
e separatamente dai giovani. 8° Si facessero regolarmente i rendiconti;
il praticarli con diligenza far procedere bene le case. 9° Il Direttore
anche prima che occuparsi dei giovani, curasse i confratelli. Si facesse
la scuola di teologia e quella di cerimonie; servire queste a conservare
lo spirito religioso. 10° Aiutare i giovani chierici provenienti
dal noviziato. Fomentare in loro lo spirito di pietà e formarli
alla pratica del lavoro. Si avvisassero specialmente di non affaticarsi
vociferando, allorchè incominciavano ad insegnare. Tenersi informati
dei loro portamenti nella scuola. Avvisarli con carità e sincerità.
II° Leggere in principio d'anno il sistema preventivo e spiegarlo,
com'erasi già determinato. 12° Badare ai princípi,
quando alcuno trovasse difficoltà, per aiutarlo opportunamente.
Dopo questo il Regolatore lesse l'atto di chiusura del Capitolo Generale,
che venne subito da tutti firmato. Il documento terminava con la seguente
dichiarazione: “ Come le nostre Regole danno al Rettor Maggiore
la più ampia facoltà su tutto quello che riguarda il benessere
e la prosperità della Pia Società Salesiana, così
i membri del Capitolo Generale prima di separarsi, mentre ringraziano
cordialmente l'Amatissimo loro Don Bosco della bontà paterna
usata nell'assisterli e fanno caldi voti per la sua carissima conservazione,
dichiarano unanimemente di lasciargli pieni poteri di sviluppare maggiormente
quello che non fosse stato abbastanza largamente trattato e aggiungere
o modificare tutto quello che fosse da aggiungere o modificare al bene
e progresso della Pia Società Salesiana ed in conformità
delle nostre Costituzioni ”.
Abbiamo riferite qua e là cose dette da Don Bosco durante le
tornate; ma a giudicare da quanto scrisse Don Albera, le sue parole
non furono tutte raccolte dai segretari del Capitolo Don Lemoyne e Don
Marenco. Dice infatti il secondo
190
successore del Santo (I): “ Ciascuno esponeva con calma e delicatezza
il proprio modo di vedere e, finita la discussione, si aspettava che
D. Bosco sciogliesse le difficoltà, decidesse le questioni, e
con sicurezza e precisione indicasse la via da tenersi. Quelle assemblee
erano altrettante scuole, ove il venerato Maestro, sentendo vicino il
giorno in cui avrebbe dovuto lasciare i suoi amati discepoli, pareva
volesse condensare in poche parole i suoi insegnamenti e tutta la sua
lunga esperienza ”.
Allorchè sul principio del nuovo anno scolastico il personale
delle case si trovava tutto al proprio posto e le cose vi avevano preso
il loro andamento regolare, Don Bosco con una circolare del 21 novembre
stesa da Don Lemoyne comunicò ufficialmente ai Confratelli il
risultato delle elezioni, unendovi le raccomandazioni seguenti.
Ora non rimane che a prestare dal canto vostro piena obbedienza al
nuovo Capitolo, secondochè venne dal Signore per mezzo vostro
ordinato. Questa obbedienza sia pronta, umile ed ilare quale ce la prescrivono
le Regole. Riguardiamo i nostri Superiori come fratelli, anzi come padri
amorosi, che null'altro desiderano che la gloria di Dio, la salvezza
delle anime, il nostro bene ed il buon andamento della nostra Società.
Ravvisiamo in essi i rappresentanti di Dio stesso, abituandoci a considerare
le loro disposizioni come manifestazioni della divina volontà.
E se qualche volta avverrà che diano ordini non conformi ai nostri
desideri, non rifiutiamoci perciò dall'ubbidienza, pensiamo che
anche a loro torna penoso il comandare cose gravi e spiacevoli, e ciò
fanno solo perchè riconoscono tali ordini come richiesti dal
buon andamento delle cose, dalla gloria di Dio e dal bene del prossimo.
Si faccia pertanto volentieri sacrifizio dei proprii gusti e delle proprie
comodità per sì nobile fine e si pensi che tanto più
sarà meritoria presso Dio la nostra ubbidienza, quanto più
grande è il sacrifizio che facciamo nell'eseguirla.
Guardiamoci poi, o miei cari figliuoli, dal cadere nel grave difetto
della mormorazione che tanto è contraria alla carità,
odiosa a Dio e dannosa alle comunità. Fuggiamo la mormorazione
riguardo a qualsiasi persona, fuggiamola specialmente riguardo ai nostri
confratelli, sopratutto se superiori. Il mormoratore, come dice lo Spirito
Santo, semina la discordia, porta il malumore e la tristezza là
dove regnerebbe la pace, l'allegria insieme colla carità. Procuriamo
perciò coll'ubbi -
(I) Sac. PAOLO ALBERA. Mons. Luigi Lasagna. Memorie biografiche. S.
Benigno Canavese, Scuola tip. sal. 1900. Pag. 214.
191
dienza, rispetto e affezione di portarci in modo che, come dice San
Paolo (I), i Superiori cum gaudio hoc faciant et non gementes, con gaudio
abbiano essi a compiere l'ufficio loro e non sospirando.
Ma l'ubbidienza e la carità non sono le sole cose che desidero
raccomandarvi in questa circostanza; una terza cosa mi preme anche assai
ed è l'osservanza perseverante del voto di povertà. Ricordiamoci,
o miei cari figliuoli, che da questa osservanza dipende in massima parte
il benessere della nostra Pia Società e il vantaggio dell'anima
nostra. La Divina Provvidenza, è vero, ci ha finora aiutato e,
diciamolo pure, in modo straordinario in tutti i nostri bisogni. Questo
aiuto, siamo certi, vorrà continuarcelo anche in avvenire per
l'intercessione di Maria Santissima Ausiliatrice, che ci ha sempre fatto
da Madre. Ma questo non toglie che noi dobbiamo usare dal canto nostro
tutta quanta la diligenza sì nel diminuire le spese, ovunque
si possa, come nel far risparmio nelle provviste, nei viaggi, nelle
costruzioni ed in generale in tutto quello che non è necessario.
Credo anzi che per questo noi ne abbiamo un dovere particolare e innanzi
alla Divina Provvidenza e innanzi ai nostri stessi benefattori. Perciò,
o miei cari figliuoli, vi raccomando caldamente la pratica di quanto
è stabilito nelle nostre deliberazioni (Distinz. V) riguardo
all'economia, soprattutto nei lavori e nelle costruzioni, nelle provviste
e nei viaggi.
Il Signore, siatene persuasi, non mancherà di benedire largamente
la nostra fedeltà ed esattezza nell'osservanza di questi tre
punti di tanta importanza, quali sono l'ubbidienza, la carità
e la povertà.
Le Deliberazioni comparvero stampate nel 1887. Del Capitolo Generale
terzo non erasi pubblicato nulla; perciò, rivedute le cose allora
deliberate, le si fusero con quelle deliberate di recente (2). Di interamente
nuovo, cioè non toccato nel 1886, vi è il capo quarto
su gli oratorii festivi (3). Don Bosco avrebbe desiderato offrire raccolte
in un solo volume tutte le Deliberazioni dei quattro Capitoli Generali;
ma, richiedendosi a questo lavoro un certo spazio di tempo, amò
meglio presentare senza indugio le sole Deliberazioni degli ultimi due.
La pubblicazione da lui vagheggiata vide la luce nel 1902 col volumetto,
in cui le Deliberazioni dei primi sei Capitoli Generali fanno seguito
alle Regole.
(I) Hebr., XVII, 17.
(2) Deliberazioni del terzo e quarto Capitolo Generale della Pia Società
Salesiana tenuto in Valsalice nel settembre 1883 - 86. S. Benigno Canavese,
Tip. Sal. 1887.
(3) App., Doc. 40.
CAPO VII
S. Giovanni Bosco a Milano. L'ultima vestizione dei chierici a S. Benigno.
MENTRE a Valsalice si succedevano le tornate del Capitolo Generale,
i cantori dell'Oratorio, guidati dal maestro Dogliani, partivano per
Brescia. Si era ivi alla vigilia di solenni feste per l'incoronazione
della Madonna venerata nel santuario delle Grazie, ed essi dovevano
sostenere una parte notevole del grandioso programma musicale. Per i
buoni uffizi di Don Elena, valente predicatore bresciano e zelante cooperatore,
Don Bosco aveva concesso ben volentieri i suoi giovani a quei fervorosi
cattolici. Oltre ai cittadini accorsero colà migliaia di fedeli
da tutte le diocesi lombarde; v'intervennero parecchi Prelati, fra i
quali monsignor Sarto, vescovo di Mantova, e il cardinale Canossa, vescovo
di Verona. Delle prove generali l'autorevole maestro Remondi esprimeva
questo giudizio (I): “ Una lode speciale va data al coro degli
allievi dell'istituto salesiano di Don Bosco ed al loro egregio maestro
signor Dogliani, che con pazienza pari all'intelligenza seppe istruire
quella squadra di cari fanciulli in modo da ottenere un affiatamento
ammirabile ”. Dalle lodi poi per l'“ammirabile loro esattezza
” nell'esecuzione finale un altro ragguardevole personaggio prendeva
argomento a magnificare il metodo e gli effetti dell'edu -
(I) Il Cittadino di Brescia, 7 - 8 settembre 1886.
193
cazione impartita negli istituti di Don Bosco. “ Urlo dei pregi,
scriveva (I), e dirò dei segreti delle case d'educazione di quest'uomo
prodigioso e provvidenziale, è l'allevare la gioventù
al bene senza imporlo, ma in modo che i fanciulletti stessi lo amino,
lo cerchino, lo seguano spontaneamente. Come effetto di questo difficilissimo
sistema, ieri mattina tutti i giovanetti cantori, senza il più
piccolo avvertimento da chicchessia, ma spontaneamente si accostarono
ai santissimi sacramenti. Oh! Don Bosco sa dare buoni cristiani alla
Chiesa non meno che ottimi cittadini e bravi cultori delle arti e delle
scienze alla patria ”.
La presenza dei giovani a Brescia produsse un senso così vivo
e generale di soddisfazione nella cittadinanza, che la Commissione per
i festeggiamenti scrisse a Don Bosco: “ Abbiamo visto e ammirato
fin da questi primi giorni non solo la maestria dei suoi cari giovani
nell'arte del canto, ma altresì il loro contegno sopra ogni dire
lodevole ed edificante; e compresi della più viva riconoscenza
pel generoso regalo che Ella ha fatto alla nostra città e alla
nostra Madonna coll'inviarli, non possiamo a meno che rendergliene subito
sincerissime grazie anche a nome del nostro Veneratissimo Vescovo (2).
Don Bosco è proprio una benedizione per tutto e per tutti ”
(3). Siccome poi si credeva che Don Bosco si trovasse già a Milano,
quei signori proseguivano: “ In questa occasione però lo
potrebbe essere anche di più se, trovandosi, come sentiamo, a
Milano, onorasse anche d'una brevissima sua visita la nostra cara Madonna
delle Grazie e mettesse così la corona alla nostra festa. Ce
la faccia, Rev.mo Don Bosco, questa bella improvvisata e si vedrà
attorno un po -
(I) L. c., 9 - 10 settembre.
(2) Era monsignor Giacomo Corna Pellegrini.
(3) Queste impressioni sono confermate in una lettera di Don Lazzero
che li accompagnava. Scriveva infatti a monsignor Cagliero il 16 settembre
1886 da Casale Litta: “ I nostri giovani attirarono la simpatia
e dei maestri e di ogni altra classe di persone, in una parola di tutta
Brescia; erano il gioiello di quelle grandiose feste ”.
194
polo pieno di fede e di divozione, che consolerà dolcissimamente
il piissimo di Lei cuore ”.
A Milano Don Bosco doveva giungere fra breve. La metropoli lombarda
aveva uno stuolo di Cooperatori numeroso, scelto e attivo. Anima dell'Associazione
era Don Pasquale Morganti, già alunno dell'Oratorio ed elevato
poi alla sede arcivescovile di Ravenna. Quei buoni amici facevano a
voce e per iscritto ripetute istanze, affinchè anche nella loro
città si tenesse una conferenza pubblica, che servisse a divulgare
sempre più la conoscenza delle opere salesiane; ma vi si voleva
l'intervento di Don Bosco. Valido, sostenitore della proposta fu Don
Angelo Rigoli, ex - alunno egli pure e dei più anziani, che dopo
sperava una visita di Don Bosco alla sua parrocchia di Casale Litta.
Don Bosco decise di secondare l'invito, incaricando della conferenza
Don Lasagna.
Sulla possibilità e opportunità di quell'andata erasi
protratta a lungo l'incertezza, poichè Don Rua e gli altri Superiori
trepidavano per la vita di Don Bosco. Avrebbe egli potuto sostenere
la fatica del viaggio? I prevedibili disagi non avrebbero dato il tracollo
alla sua inferma salute? E se, data la sua estrema debolezza, un malore
improvviso l'avesse colto lontano dall'Oratorio? Finalmente dopo tanto
tergiversare in un supplemento del Bollettino di settembre Don Bosco
stesso, annunziando ai Cooperatori lombardi la conferenza milanese per
la domenica 12 del mese, diceva (I): “ Nonostante gli incomodi
della vita, nutro la più viva fiducia di poter ancor io intervenire
alla conferenza, perchè desidero di fare e rinnovare la conoscenza
di un buon numero di persone del Clero e del Laicato Lombardo, le quali
in più occasioni diedero segni di generosa carità a pro
delle opere, che la divina Provvidenza ha posto nelle povere mie mani
” (2).
(I) Don Bonetti redasse la lettera in nome di Don Bosco.
(2) Don Lasagna aveva scritto a monsignor Cagliero (S. Benigno, 26 agosto):
“ D. Bosco di salute sta come sempre: debole, cadente 2 quasi
sfinito. Ciò nulla meno andrà a Milano ”.
195
In questa determinazione un motivo personale ebbe gran peso. Egli sentiva
quante obbligazioni lo legassero all'arcivescovo Calabiana per i benefizi
dal medesimo ricevuti durante il suo episcopato casalese ed era contento
di avere un'occasione per rendergli un pubblico attestato della propria
riconoscenza prima di lasciare questa terra.
Partì dunque la mattina dell'II settembre in compagnia del milanese
Don Rocca, direttore del collegio di Alassio, e assistito da Don Viglietti.
Venne a prenderlo nell'Oratorio e lo condusse alla stazione con un magnifico
cocchio un signore di Barcellona, Don Leandro Suner, l'amministratore
del marchese Jovert (I). Era giunto il dì innanzi dalla Germania,
scortando la marchesa Jovert con la costei dama di compagnia, e tutti
insieme avevano subito fatto visita a Don Bosco nel collegio di Valsalice,
ascoltandone la Messa e quindi accettando graziosamente di prendere
con lui il caffè. La Marchesa licenziandosi gli aveva rimesso
un'offerta di mille lire.
S'arrivò a Milano un'ora dopo il mezzodì. Il viaggio era
stato felice. Il cocchio dell'Arcivescovo lo aspettava per condurlo
al palazzo, dove Sua Eccellenza lo voleva suo ospite. Alla stazione
molti signori e signore e numerosi sacerdoti gli porsero con ambrosiana
cordialità il benvenuto. Don Lasagna, precedutolo il giorno avanti,
era là con Don Veronesi, direttore del collegio di Mogliano Veneto.
Sul piazzale esterno stava assembrata una folla di gente, che, al vederlo
camminare con pena e curvo della persona, ma sorridente, fu presa da
commozione e si udiva esclamare: - Ecco un santo!... Un gran santo!...
Il santo di Torino. - Molti al suo passaggio piegavano il ginocchio
per averne la benedizione.
Nell'atrio dell'episcopio incontrò i sacerdoti della Curia arcivescovile,
che gli fecero scorta d'onore fino all'Arcivescovo. Salì lo scalone
molto a rilento, sostenuto e quasi por -
(I) Cfr. sopra, pag. 66.
196
tato da vigorose braccia; ma erano oggetto di commenti la vivacità
de' suoi occhi e la lucidità dello spirito. Il venerando Prelato
pressochè ottuagenario, mossogli incontro, lo abbracciò
con tenerezza e lo ricevette con ogni dimostrazione di stima e di cordiale
amicizia. - Eccellenza, erasi affrettato a dirgli Don Bosco, prima di
morire io voleva rivederla ancora una volta e ricevere la sua benedizione.
Monsignore si mostrò affabilissimo anche con i Salesiani che
accompagnavano Don Bosco e prese tosto a parlare in dialetto, ricordando
il natio Piemonte e le proprie relazioni con Don Bosco e con i suoi
figli. Il Servo di Dio appariva stanco; perciò dopo una breve
refezione fu condotto a riposare nella camera a lui assegnata. Alle
cinque e mezzo, ora del pranzo, egli aveva ripigliato vigore, sicchè
tenne animata la conversazione fra gli invitati. Dopo ricevette alcune
visite. Quando, verso le dieci, s'andò a letto, l'Arcivescovo
volle prima la benedizione di Don Bosco; perciò ben prevedendone
le resistenza, gli s'inginocchiò di botto davanti con atto divotissimo
e appresso lo riabbracciò con affetto e lo accompagnò
nella sua stanza.
Il pensiero del Santo erasi portato a Valsalice, dove si faceva un corso
di esercizi spirituali; onde per suo ordine Don Viglietti nella serata
aveva scritto a Don Rua: “ Don Bosco m'incarica di pregarla che
Ella dica a tutti coloro che stanno costì agli esercizi dolergli
tanto di essere lontano d a essi, e questa essere la pena maggiore che
egli soffra; che però gli sono tutti molto presenti nelle sue
orazioni. Manda saluti a tutti, e a tutti copiose benedizioni ”.
La conferenza salesiana era stata preparata molto bene. La si tenne
la mattina del 12 alla Madonna delle Grazie. All'Arcivescovo spiaceva
che quella non fosse la stagione migliore, stante l'assenza di tutta
la nobiltà milanese, la quale per solito vi fa ritorno verso
Ognissanti; pure la riunione ebbe qualche cosa d'imponente. I giovani
dell'Oratorio, venuti là da Brescia, eseguirono meravigliosamente
alcune
197
parti della Messa cantata; il Sancta Maria succurre miseris del Cagliero
rapì anche i giornalisti profani, come si vede dai loro articoli.
Terminata la Messa, fece il suo ingresso nella chiesa l'Arcivescovo,
precedendovi di alcuni minuti Don Bosco, che giunse con Don Lasagna
e Doli Viglietti. Per via la gente l'aveva salutato con grande riverenza.
Appena si affacciò alla porta del tempio, i più vicini
si accalcarono intorno a lui, sicchè ci volle tempo e fatica
per trascinarlo (è qui la parola più acconcia) al presbiterio
accanto a Monsignore. La moltitudine che gremiva il vasto santuario,
lo contemplava silenziosa e devota. Anche lo storico Cesare Cantù
gli si era appressato nel suo passaggio, seguendolo un tratto da vicino
(I).
Dopo un mottetto cantato dai giovani, Doli Lasagna, presa la benedizione
dall'Arcivescovo, montò in pulpito. Al primo vederlo fu una grave
delusione, perchè tutti si aspettavano che avrebbe parlato Don
Bosco; ma fili dall'esordio il conferenziere si cattivò l'attenzione
e la simpatia del pubblico, composto di almeno ottomila persone, che
pendettero dal suo labbro per un'ora e più. Chiunque l'abbia
ascoltato qualche volta a predicare, non troverà esagerato il
giudizio che della sua eloquenza ha dato il suo biografo. “ Aveva,
scrive Don Albera (2), un'arte finissima per insinuarsi nel cuore de'
suoi uditori, e poi tale ricchezza di fatti e di ragioni, una parola
sì efficace da comunicare a tutti le sue idee e il medesimo suo
entusiasmo ”.
Egli sciolse da prima un inno di riconoscenza all'Arcivescovo, che vent'anni
addietro a Casale in quello stesso giorno l'aveva ammesso a vestire
l'abito chiericale. Fece quindi un quadro di tutta l'Opera di Don Bosco
nei due mondi estendendosi alquanto a descrivere pittorescamente la
vita missionaria dei Salesiani e in particolare la loro attività
a favore degli emigrati d'Italia. Il corrispondente di un giornale
(I) Cfr. vol. XIII, pag. 614.
(2) L. c., pag. 2 16.
198
torinese (I) scrisse che se la conferenza, anzichè in chiesa,
fosse stata tenuta in luogo privato, più e più volte gli
applausi dell'uditorio avrebbero interrotto l'oratore, massime quando
dimostrò che le Missioni non sono soltanto un'opera di religione,
ma anche di patriottismo, sicchè i governanti avrebbero obbligo
e interesse a favorirle, esentando dalla leva militare i chierici a
quelle destinati. Scosse poi fortemente l'uditorio, quando con tutta
la foga del suo dire rappresentò il Papato come la più
splendida e pura gloria d'Italia. La digressione, voluta forse a buon
fine, tornò opportunissima per vari motivi (2).
Quando tutto era finito, Don Bosco per condiscendere alle preghiere
di autorevoli persone attraversò la lunga navata della chiesa.
I Milanesi, come già i Parigini e i Barcellonesi, si spingevano
innanzi sul suo passaggio e chi gli baciava le mani, chi gli toccava
divotamente gli abiti, chi faceva il segno della croce, chi gli chiedeva
la benedizione. Gli altri che non si potevano avvicinare, lo rimiravano
da lungi inteneriti al vederlo sofferente e sorridente, e la commozione
cresceva osservando come a sorreggerlo vi fosse anche il venerando Arcivescovo.
Fuori della chiesa la folla che occupava la piazza e le vie attigue
proruppe in un immenso: Evviva Don Bosco! Evviva Monsignore! - Al trascorrere
della carrozza che portava i due personaggi, queste acclamazioni di
tratto in tratto si ripetevano con tutto lo slancio del popolare entusiasmo.
Egli smontò al seminario di S. Carlo, dove albergavano i cantori
dell'Oratorio e molta gente era convenuta per vedere Don Bosco e parlargli.
Quei giovani gli fecero tripudiando mille feste. Il Santo passò
in mezzo a loro dispensando sorrisi,
(I) Il Corriere di Torino, 13 settembre 1886.
(2) ALBERA, L. c., pag. 217 (App., Doc. 41). Una seconda conferenza
egli fece poi a S. Marco. Infatti in novembre, Don Pasquale Morganti
scrisse a Don Rua il 16 novembre 1895: “ Monsignor Lasagna può
dirsi il primo che abbia attizzato in questa città il fuoco pel
movimento salesiano colle sue due conferenze alle Grazie ed a S. Marco
” (L. c., pag. 2 19),
199
parolette e facezie. Gli spettatori, commentando la scena, ammiravano
quella paterna e filiale corrispondenza d'affetto.
- Salutati i ragazzi, Don Bosco si ritirò in una sala per dare
udienze. Ma come ascoltare uno a uno tanti visitatori? E poi in un attimo
la sala si riempì talmente di persone, che mancava la necessaria
libertà di conferire. Un fatto provvidenziale, richiamando l'attenzione
di tutti, offerse una via di scampo. Era là in mezzo alla confusione
una signora, che conduceva una sua figlia sorda. Com'essa potè
a gran fatica avvicinarlo, il Santo diede la benedizione alla fanciulla
e le ordinò di recitare una certa preghiera. Quella, come chi
ode e intende, si ritirò in un angolo, pregò nel modo
indicatole, e tornata a lui, gli disse: - Vede, Don Bosco? Io sono bell'e
guarita. Ora sento tutto. - Lo stupore dei presenti andò al colmo
e in un batter d'occhio la notizia della guarigione si sparse per la
città (I). Durante quella specie di parapiglia Don Bosco fu fatto
uscire di là; quando poi lasciò il seminario per restituirsi
all'Arcivescovado, i passanti ravvisandolo si fermavano, salutavano
e talora si raggruppavano ad applaudire.
La generosità ambrosiana non si smentì nè alla
conferenza nè dopo di essa. I parroci urbani apersero una sottoscrizione
in favore dei Missionari, perchè si avesse agio di soddisfare
alla propria carità anche da quelli che o non erano potuti intervenire
alla Madonna delle Grazie o intervenuti non erano per la soverchia piena
riusciti a versare il loro obolo.
Quella sera al pranzo l'Arcivescovo per onorare Don Bosco invitò
alcuni parroci e vari nobili signori. Levatosi da mensa, il Santo cominciò
a ricevere e ne ebbe fino a notte. Dopo Monsignore per sollevarlo alquanto
e ricrearlo tenne circolo prima della cena, procurandogli un'amena e
allegra conversazione. Venuta l'ora del riposo, il Servo di Dio ingiunse
a
(I) La Palabra di Lisbona, in un articoletto del 22 intitolato “
Cura milagrosa ” diede notizia del fatto scrivendo: “ A
fonte d'onde extrahimos esta noticia è uma carta particular do
rev. João Marques Simões, ha un anno residente em Italia
”.
200
Don Viglietti di prendere tutte le misure, perchè si potesse
partire al più tardi nel pomeriggio del giorno seguente. Durante
gli ultimi due anni della sua vita nel povero Don Bosco ai vecchi incomodi
si erano aggiunti nuovi disturbi funzionali, che gli rendevano molesto
il viaggiare, molestissimo il dimorare a lungo fuori di casa.
La mattina del 13 celebrò nella cappella arcivescovile, gremita
di assistenti. Gli servirono la Messa il presidente del Circolo dei
Santi Ambrogio e Carlo e un membro del Consiglio Superiore della gioventù
cattolica. Comunicò i giovani dell'Oratorio e molti degli astanti.
Il resto del tempo andò tutto nelle udienze, che, ripigliate
dopo la colazione, continuarono fino alle quattro. Approssimandosi il
momento della partenza, Monsignore si pose di bel nuovo in ginocchio
per ricevere la sua benedizione e nel congedarsi lo abbracciò
piangendo, baciandolo teneramente nelle mani e cordialmente ringraziandolo
di una visita così cara e indimenticabile. Molti signori, appreso
dai giornali che Don Bosco trovavasi a Milano erano accorsi dalle loro
ville; ma egli doveva partire nè poteva riceverli. Anche il duca
Scotti, suo grande amico e benefattore, giunse troppo tardi per intrattenersi
con lui a suo piacere, ma dovette contentarsi con altri signori e signore
di salutarlo alla stazione (I).
Partì da Milano con il solo Don Viglietti. Era proprio affranto.
All'arrivo il ronzino dell'Oratorio lo portò sull'umile carrozzella
da Porta Susa direttamente a Valsalice, dove il Santo fece una bella
improvvisata agli esercitandi, poichè inaspettato entrò
senz'altro nel refettorio, mentre si stava per finire la cena. Nella
tranquillità di quella dimora si riebbe a poco a poco discretamente.
Don Lasagna non si era unito con Don Bosco nel suo viaggio di ritorno,
perchè doveva andar a parlare ai Coope -
(I) Le povere fanciulle dell'istituto dei ciechi gli avevano scritta
una commovente lettera, pregandolo di portare o di mandare loro la sua
benedizione (App., Doc. 42).
201
ratori di Busto Arsizio e di Casale Litta Ve lo accompagnarono i trenta
cantori dell'Oratorio. Il prevosto Don Tettamanti e il parroco Don Rigoli,
due nomi tanto cari ai Salesiani, non avrebbero potuto fare di più,
se avessero dovuto accogliere Don Bosco in persona (I); nel che furono
secondati largamente dalle rispettive popolazioni ed anche dal clero
e dai fedeli di vari paesi vicini (2).
Giornali d'ogni colore si occuparono di Don Bosco prima del suo arrivo,
durante il suo soggiorno a Milano e dopo la sua partenza. L'organo massimo
del liberalismo italiano si limitò in antecedenza ad annunziarne
la venuta; era già più che qualche cosa per quei tempi.
Diede appresso in un lungo articolo, sono sue parole, “ la relazione
imparziale di quell'avvenimento cittadino ” , non senza prendere
in giro la questura, che, troppo credula a voci di una ideata contro
dimostrazione anticlericale, aveva oltrepassato il segno nelle misure
preventive. Parlando della musica scriveva: “ Davvero non crediamo
possibile ottenere da giovanetti maggiore intonazione, miglior fusione
e più bei coloriti di quelli gustati ieri ”. Si diffondeva
poi a dire della conferenza e del conferenziere, sebbene con qualche
pizzico di assai discutibile umorismo, conforme allo spirito del giornale
e del giorno, ogni qualvolta accadesse ai liberali di parlare della
Chiesa o del Papa. Infine, data felicemente in pochi periodi un'idea
di Don Bosco e delle sue benemerenze, terminava così: “
Un nostro amico, il prof. Rayneri di Montevideo, ci diceva un giorno
che laggiù il migliore collegio femminile è quello stabilito
da Don Bosco, dove sono in educazione anche le figlie del Presidente
della Repubblica ” (3).
La moderata Perseveranza descrisse con simpatia tutta la cerimonia del
12. Il liberalissimo Caffè, annunziata in un primo numero la
venuta di Don Bosco, “ uno fra i più colti dei capi influenti
del partito clericale ”, tornò nel numero
(I) Bollettino Salesiano, novembre 1886.
(2) App., Doc. 43.
(3) Corriere della sera, 122 - 13 C 13 - 14 settembre.
202
seguente a parlare della conferenza. Ecco l'impressione provata dal
redattore alla vista del Servo di Dio: “ Don Bosco è un
simpatico vecchio, dai lineamenti marcati, sorridente. Il suo aspetto
non dimostrerebbe la tarda età, che purtroppo manifestano le
sue forze quasi annichilite affatto ”. Così poi ne giudicava
l'opera e la vita: <~ L'opera benefica di Don Bosco prende ogni giorno
un'estensione maggiore e benchè la sua parola chiedente soccorso
venga sempre ed ovunque esaudita, egli, malgrado la sua tarda età,
mena una vita stentata, preoccupato da un solo pensiero "umanità
e religione ", nemico acerrimo della manifesta prepotenza dei clericali
arrabbiati. Questo è un vero ministro della religione di Cristo,
purtroppo imitato da pochi! ”. La non men liberale Italia, rallegratasi
che Don Lasagna avesse parlato bene ~~ senza insultare nè persone
nè le solite istituzioni ”, riassunse la conferenza e accennò
alla folla che vi assistette e a quell'altra che assediava Don Bosco
all'uscita. Il Pungolo, liberalone anch'esso, lodò la musica
e riferì distesamente sulla conferenza. La cattolica conciliatorista
Lega Lombarda illustrò in due articoli la vita e le istituzioni
del Santo (I). La Settimana religiosa di Milano uscì il 16 settembre
con un articolo ampio ed enfatico. Anche l'Eco d'Italia a Genova e il
Corriere di Torino pubblicarono con la stessa data corrispondenze milanesi
intorno al fatto.
Tre giornali non vollero smentire in parte o in tutto il loro programma
anticlericale a oltranza. Il Secolo, annunziata una prima volta la presenza
in Milano di “ uno dei capi influenti del partito clericale italiano,
Don Giovanni Bosco ”, soggiungeva: “ È questi fra
i più attivi propagatori delle dottrine clericali e fra i più
intelligenti, perchè non si limita a predicare, ma opera senza
posa, creando istituti d'ogni sorta, opifici, missioni, raccogliendo
i poveri, facendo tutto quello che dovrebbero fare i liberali. Noi lo
consideriamo come un esempio per tutti i partiti, perchè il tempo
nostro non vuol
(I) Perseveranza, 13; Caffè 13 - 141 - Italia, 13 - 14; Pungolo,
13 - 14; Lega Lombarda, 12 - 13 e 13.
203
chiacchiere ma fatti, e don Bosco dà i fatti ”. Ma una
seconda volta, discorrendo della conferenza, si contenne entro più
giusti limiti di cortesia, mostrandosi oggettivo verso il conferenziere
e facendo l'elogio dei giovani cantori. La Lombardia sotto un titolo
di battaglia “ La conferenza clericale di ieri ” non uscì
di tono fin là dove, incitando il Governo a indirizzare e proteggere
liberalmente l'emigrazione, gli agitava dinanzi a guisa di spauracchio
“ la strapotenza dei Missionari cattolici, la cui azione, se può
essere da principio vantaggiosa alla civiltà, si fa poi ostile
alle istituzioni liberali della madre patria ”. Per altro circa
il punto allora più scottante, costituito dai rapporti fra Chiesa
e Stato, attestò: “ Per la verità dobbiamo dire
che l'oratore fu assai temperato e guardingo nelle allusioni politiche
”. Non così misurata fu da Roma la Riforma del Crispi,
la quale diede ricetto a una corrispondenza milanese piena di veleno
contro la “ carità clericale ” di Don Bosco, contro
le sue “ scuole clericali ”, contro la concorrenza de' suoi
“ ricoveri clericali ” al lavoro di quelli “ che si
affaticano nella vita vera ”. Pur rendendo omaggio alle alte doti
personali dell'uomo, deplorava che si avesse “ l'ardire di chiamarlo
in una città civile l'Angelo della carità ”, come
si leggeva nella lettera d'invito alla conferenza (I).
La nota giusta vibrò naturalmente nelle colonne del pugnace Osservatore
Cattolico di Milano, letto allora per tutta la penisola. Nel secondo
di due articoli (2) vi si leggeva: “ La venuta di Don Bosco a
Milano ha preso le proporzioni d'un vero avvenimento, grazie alla venerazione
che qui si nutre verso questo Apostolo della carità e grazie
un poco all'intemperanza di certi giornali liberali, che invasi già
in questi giorni da antichi odi anticattolici tentarono presentare la
venuta di Don Bosco come una provocazione clericale e procurarono del
loro meglio per suscitare qualche disordine. Noi abbiamo
(I) Secolo, 13 - 14; Lombardia, 13; Riforma, 17.
(2) Numeri dei 12 e 15 settembre 1886.
204
visto qualche cosa di simili tentativi nelle precedenti citazioni tolte
da giornali più o meno ostili alla Chiesa; ma fortunatamente
la cittadinanza milanese non diede retta alle sobillazioni, volgendo
il poco pio desiderio dei politicanti in una loro solenne sconfitta
”. L'articolista, trovatosi presente all'ingresso di Don Bosco
nell'arcivescovado, manifestava così la sua impressione: “
Il venerando Don Bosco faceva pietà a vederlo salire lo scalone
del palazzo, con le gambe così acciaccate che quasi non lo sorreggono
più. Tuttavia egli ha la mente ancor limpida, l'occhio vivace,
ferma la memoria ”. Narra poi così la scena dell'incontro
con Monsignore: “ Allorchè si trovò dinanzi all'Arcivescovo,
questi con un atto di umiltà e di quell'animo squisito che lo
distingue, con industrioso stratagemma si inginocchiò ai piedi
di Don Bosco e volle Lui esserne benedetto ”. Detto quindi della
conferenza, descrive così l'uscita dal tempio: “ Avvenne
una scena pietosa e commovente. Don Bosco doveva attraversare il nostro
tempio gremito di gente ed era sopra pensiero di doversi trascinare
fino alla porta in mezzo a tanta folla, che voleva ammirarne le sembianze.
Allora il venerando Arcivescovo si prese lui sotto il braccio Don Bosco
e coadiuvato da altre persone s'accinse all'impresa della traversata,
che credo abbia durato non meno di un'ora, fra mezzo ai più edificanti
episodi di pietà e venerazione per i due vegliardi, stretti in
quel fraterno abbraccio ”. Fra le persone che si stimarono fortunate
di aiutare l'Arcivescovo nell'aprire il passo a Don Bosco, vi era il
celebre storico Cesare Cantù, che fin dal 1878 aveva gradito
il diploma di cooperatore salesiano, inviatogli dal Santo (I).
Sebbene la tristizia dei tempi non consentisse alle autorità
civili e politiche di secondare il sentimento popolare col rendersi
presenti in qualche modo a sì solenne manifestazione, tuttavia
si sa che guardavano di buon occhio quel movimento
(I) Cfr. vol. XIII, pag. 614.
205
della folla, così insolito allora intorno a un prete. La correttezza
abituale di Don Bosco verso i poteri dello Stato fu sempre apprezzato
a dovere in alto, talchè diede luogo qualche volta a sospetti
e malignazioni in chi non conosceva abbastanza il suo irreprensibile
spirito sacerdotale. Che carattere avessero simili rapporti, si è
veduto già in troppe occasioni, perchè sia necessario
ancora tornarvi sopra, se non fosse per aggiungervi un fatto di più
ai tanti altri. Festeggiandosi in settembre al Nichelino presso Torino
la distribuzione dei premi nelle scuole delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
assisteva al saggio anche il conte di Robilant, Ministro degli Esteri.
Don Tamietti, presentatosi a salutarlo in nome di Don Bosco: - Oh Don
Bosco! esclamò con vivo sentimento il Ministro. Lo ringrazi tanto
da mia parte, e gli dica che voglio che si serva di me e che io sono
tutto a' suoi ordini. Ma glielo dica, sa, glielo dica davvero. - Alla
fine del trattenimento gli ripetè ancora: - Si ricordi belle,
dica a Don Bosco che io lo voglio servire.
Il Santo non aveva tardato a ringraziare l'Arcivescovo di Milano della
straordinaria bontà, con cui si era compiaciuto di trattarlo.
Monsignore gli rispose il 25 settembre con un biglietto di visita il
quale recava scritte queste parole: “ Con molti e vivi ringraziamenti
al venerato e caro Don Giovanni Bosco pella sua lettera autografa e
pel libro che la seguiva. La sua visita in Milano è ricordata
da tutti con grata riconoscenza e particolarmente dallo scrivente che
si augura di potergli altre volte offrire la ospitalità. Preghi,
preghi per l'Arcivescovo di Milano ”.
Egli dimorava ancora a Valsalice, quando il 21 settembre, indirizzato
al “ Superiore della Congregazione Salesiana ”, giunse nell'Oratorio
un telegramma della Croix parigina, nel quale il Direttore del giornale
diceva: “ Prendo viva parte alla sciagura toccata. Preghiamo telegrafare
pronte notizie di Don Bosco ”. Grande fu la sorpresa di tutti,
ma tosto si comprese essersi in Francia annunziata la morte di Don
206
Bosco. Rispose Don Bosco stesso: “ Sto bene. Non so spiegarmi
la loro ansietà. Tuttavia ringrazio attenzione ”. Infatti
egli stava tanto bene, che ricevette subito dopo il conte e la contessa
Donato, intrattenendosi a lungo con loro, venuti a prendere da lui congedo
prima di partire per Costantinopoli a reggervi l'ambasciata del Re d'Italia
presso il sovrano turco.
Ciò non ostante anche giornali italiani il dì appresso
pubblicarono di una grave infermità del Santo. Allarmato da tali
notizie, il teologo Margotti volò a Valsalice per accertarsi
de visu; ma lo trovò seduto al tavolino con ottimo aspetto e
con la consueta ilarità. Richiesto della sua salute, rispose
che, a parte gli anni e l'infermità delle gambe, non sentiva
altro malore; del che benediceva la divina Provvidenza. Seguì
una lunga conversazione intorno alla Patagonia. Interrogato dal Margotti
sulle miniere aurifere che allora si dicevano scoperte laggiù,
Don Bosco tagliò corto dicendo che per volere del Papa egli aveva
mandato i Salesiani a guadagnare anime a Gesù Cristo e non a
cercar miniere d'oro o d'argento. Nel numero del 24 l'Unità Cattolica
sfatava le false voci sulla salute di Don Bosco.
Ridiscese all'Oratorio la sera del 27; ma vi rimase poco, perchè
il 29 partì per S. Benigno, dov'erano in corso gli esercizi spirituali
degli ascritti, che si preparavano all'emissione dei voti. Ai 3 di ottobre,
festa del Rosario, celebrò la Messa della comunità; essendo
però stanchissimo, potè distribuire la comunione soltanto
a quelli che servivano all'altare. Più tardi ricevette cinquantatre
professioni. Compiuto il sacro rito, volle indirizzare a tutti la sua
parola e affinchè non dovesse affaticarsi di soverchio, fu portato
per lui nel mezzo della cappella un seggiolone, intorno al quale si
raccolsero i chierici. La cronaca della casa ha un riassunto fedele
del suo discorso, che noi pure udimmo. Il Santo manifestò anzitutto
la contentezza da lui provata in quell'istante, contentezza ch'ei disse
tale quale non si può goder maggiore su questa terra. Passò
quindi a raccomandare la carità. Carità verso
207
i Superiori, obbedendo loro sempre in modo da non farli gemere e sospirare.
- P, sacrilegio, esclamò, fare il voto di obbedienza e poi regolarsi
come certuni, che obbediscono solo quando loro piace. - Carità
verso i Soci, non criticandosi mai gli uni gli altri in nulla, nemmeno
in quello che riguarda le nostre pubblicazioni. Espresse il suo biasimo
contro i critici, proferendo questa parola con energica vivacità.
Lì sopra insistette molto, ripetendo più volte la sentenza
che del prossimo bisogna o parlare bene o tacere; manifestava in ciò
un tal desiderio di essere inteso e obbedito e accompagnava il suo dire
con tale espressione di dolore, che si mise a piangere e la sua voce
tremola e fioca assunse un tono così forte e severo, che pareva
volesse maledire a quelle lingue d'inferno che non si muovono se non
per criticare. A un certo punto proseguì in questi termini: -
E se Don Bosco ebbe dei dispiaceri... questo fu per la mancanza di carità
fra i Confratelli. - Nel passaggio dalla prima alla seconda f rase una
subita commozione lo assalse, i suoi occhi si riempirono di lacrime
e ripigliò con un singulto represso. Indi cambiò argomento.
Assicurò a comune conforto che la Società Salesiana si
trovava allora in ottime condizioni riguardo alle finanze e che la Congregazione
si sarebbe dilatata in modo maraviglioso e che ai Salesiani non sarebbe
mancato nulla, finchè si fossero tenuti all'educazione della
gioventù povera, essendo quella la missione affidata loro dalla
Madonna. Se tutti voi, affermò, foste già in grado di
fare da Direttori, io saprei dove collocarvi subito dal primo all'ultimo.
- Infine si raccomandò alle nostre preghiere, protestando ripetute
volte che egli, finchè gli rimanesse un filo di vita, avrebbe
pregato e si sarebbe sacrificato per i suoi carissimi figli.
Mentre Don Bosco accoglieva così le novelle speranze della sua
famiglia religiosa e si studiava di formare in loro l'anima dell'apostolato,
altri apostoli si riunivano lo stesso giorno a comizio in Torino per
“ combattere e scongiurare i pericoli che nel vigoroso risveglio
del clericalismo intransi -
208
gente e del gesuitismo si preparavano a danno della patria ”,
come proclamava un deputato liberale (I). Don Bosco a chi gliene parlò
disse quel comizio un tentativo della Massoneria per portare in pubblico
l'empia istituzione e assuefare la gente a considerarla come un'associazione
rispettabile e benemerita.
Quello che maggiormente scottava la setta era il rifiorire delle scuole
private. In un opuscolo distribuito a quanti uscivano dal Comizio, Torino
veniva rappresentata come la città, in cui il nuovo movimento
clericale, massime per mezzo dell'istruzione, rivelava una più
sapiente abilità di strategia. Di quest'opera condotta con tanto
buon successo si additava in Don Bosco il massimo animatore. “
L'anima di questa vasta congiura, vi si leggeva (2), è il santo
ispirato di Valdocco, Don Bosco, uomo singolare per intelligenza e per
audacia, gesuita come Ignazio da Lojola, diplomatico fine, umile nella
propria grandezza, onnipotente per valore proprio e per debolezza altrui,
pronto a tutto, attivissimo, capace d'ogni cosa: d'impiantare in un
attimo collegi in ogni parte del mondo, di creare opifizi industriali,
di fabbricare chiese e di scrivere libercoli rugiadosi. Don Bosco è
una potenza che agisce forse coll'aiuto di altri, col sostegno di una
società che spera in lui più che nel Papa nero (3), è
una potenza che regna e governa senza apparenze e senza fasti, con un
aspetto di sordida umiltà, con una compunzione astuta, con un'anima
dentro alla quale ruggono impeti di odio implacabile per tutto quanto
è luce, è verità ed è progresso. Don Bosco
è l'incarnazione del nuovo clericalismo torinese, come ne è
l'anima, ne è la forza e ne è la mente ”.
Ecco una caricatura di Don Bosco guardato attraverso la lente anticlericale
del tempo. Ma per noi oggi questa defor-
(I) Unità Cattolica, 2 ottobre 1886.
(2) L'opuscolo di dieci paginette, senza indicazione di tipografia,
portava per intestazione: Quid agendum? (Avvenimenti al Partito liberale).
(3) I liberali chiamavano Papa nero il Generale dei Gesuiti.
209
mazione volontaria nasconde una testimonianza indiretta del quanto
sia stata efficace e provvidenziale l'opera sua preservatrice in Italia.
I nemici della Chiesa lo sentivano e ne fremevano; ma, movendosi egli
nell'ambito delle leggi, poco potevano contro di lui. Questa sua deferenza
alle istituzioni dello Stato fu talvolta fraintesa anche da - uomini
di buone intenzioni; egli però sapeva fin dove la sua coscienza
di cattolico gli permettesse di andare nè uscì mai d'un
pollice dalla via della rettitudine. Non sembrò anche a taluno
che si mostrasse troppo ligio a Casa Savoia, quasi dimenticando i torti
della Monarchia Sabauda verso la Chiesa? A Milano c'era bene chi la
pensava così; ma Don Bosco guardava più alto e più
lontano. Il 29 novembre del 1881 il Bismark aveva pronunziate dinanzi
al Reichstag le seguenti parole: “ - Quale garanzia potete voi
assumere per l'avvenire d'Italia, specialmente se Dio non conservasse
la dinastia che si erge con pochi rampolli? ”. Orbene Don Bosco,
sentendosi leggere queste parole nell'Unità Cattolica che le
citava nel numero del 12 ottobre 1886, disse: - Da anni e anni io vado
ripetendo la medesima idea, discorrendo delle cose d'Italia. - In tanto
dilaceramento di partiti egli scorgeva nella storica Monarchia il fulcro
dell'ordine e la guarentigia di un miglior avvenire. La storia conferma
la giustezza delle sue vedute (I).
(I) in un suo Diario del 1880, edito nel 1936 dalla Nuova Antologia,
il deputato d'allora Alessandro Guiccioli scriveva sotto il 22 agosto:
“ La Dinastia di Savoia è la sola cosa buona che ancora
ci rimanga ed essi [i sovversivi] prendono di mira proprio quella ”
(N. A. 16 giugno 1936, pagina 427).
CAPO VIII
Spedizione missionaria dei 1886. Sguardo alle Case e alle Missioni d'America.
LE case e Missioni Salesiane d'America versavano in gravi strettezze
finanziarie nè sul luogo si trovava modo di porvi rimedio; perciò
monsignor Cagliero ricorreva insistentemente a Torino, esponendo i bisogni
e invocando soccorsi. Don Bosco il 18 settembre 1885 aveva detto in
Capitolo: - Per soccorrere i Missionari sto pensando a una circolare
non ancora ben formulata. Ho ancora bisogno di pregare e poi parlerò.
- La circolare, compilata su traccia del Santo e da lui riveduta, era
pronta nell'ottobre del 1886. Vi si facevano conoscere lo stato presente
delle Missioni, i disegni per l'avvenire e le stringenti necessità
del momento; quindi si dava notizia di una prossima spedizione missionaria;
finalmente sia per sostenere le opere incominciate e per poter mettere
mano a nuove imprese, sia per avere gl'ingenti mezzi indispensabili
al divisato invio di altri operai evangelici s'implorava la carità
dei Cooperatori e delle Cooperatrici.
Ma l'appello non fu rivolto ai soli membri della pia Unione. Tradotta
in francese, spagnuolo, inglese e tedesco, la circolare venne spedita
pure in ogni parte d'Europa a Principi e a Ministri, non che a Direzioni
di giornali di qualsiasi colore. Se ne mandò copia financo all'Imperatore
della Cina e allo Scià di Persia. Occorreva scrivere non meno
di centomila
211
indirizzi; nel qual lavoro furono impiegati molti giovani dell'Oratorio,
un gruppo di chierici fatti venire da S. Benigno e una dozzina di suore
chiamate da Nizza Monferrato. Lo scopo di Don Bosco non era solo di
raccogliere elemosine, ma di rendere nota la sua Opera universalmente
nel mondo. Lo diceva egli stesso. - Non è solo il frutto presente
che io aspetto, ma tendo l'occhio al frutto avvenire. Chi ora non fa
nulla per noi, si ricorderà più tardi della nostra domanda
e farà. Quindi anche dopo passati anni e anni verranno lasciti,
eredità, offerte per motivo di queste circolari (I).
La stampa diede alla circolare larga pubblicità, riproducendola
per intero o riassumendola e commentandola. Tuttavia anche in questa
circostanza si rivelò la mentalità di certi liberali italiani,
chiusi, come sempre, nel loro meschino e astioso anticlericalismo. Quegli
uomini erano così indracati contro tutto quanto sapesse di cristiano,
che trattandone perdevano persino il buon senso e il senso comune; gli
odi antichiesastici che covavano nell'animo non lasciavano lor comprendere
neppure i solidi vantaggi, da altri governi laicisti apprezzati senza
riserva, che i Missionari procuravano alla madre patria. Ciò
nonostante delle pubblicazioni da essi ispirate si può ripetere
quello che di una velenosa tiritera sfoderata a Roma dalla Riforma del
Crispi osservava un giornale cattolico di Genova, che cioè la
conoscenza di siffatta prosa era “ il miglior mezzo per eccitare
i buoni ad aiutare sempre maggiormente il venerando fondatore delle
Congregazioni Salesiane ” (2).
E le offerte affluivano numerose e talora generose. Ce
(I) App., Doc. 44, ABCDE.
(2) L'Eco d'Italia, 31 ottobre 1886. Come documento dei tempi di Don
Bosco abbiamo creduto bene esumare quello scritto (App., Doc. 45). Lo
riprodusse anche la Gazzetta di Catania, che allora se ne servì
nella sua guerra contro i Salesiani. In Sicilia però le Letture
Domenicali di Palermo (28 novembre) non solo pubblicarono la “
stupenda circolare ”, ma apersero una sottoscrizione per le Missioni
Salesiane. Anche in Francia una Semaine anticléricale di Nevers
(II novembre) stampò un trafiletto insolente sotto il titolo
“ La chasse aux écus ”.
212
ne porge una prova lampante Don Bosco medesimo. Infatti già
il 2 novembre in un'adunanza capitolare, studiandosi qual fosse la maniera
più sicura per mandar denari alle case di America imploranti
aiuto, egli disse: - Adesso noi abbiamo in mano somme enormi da pagare.
Abbiamo emanato le circolari per le Missioni. La Provvidenza non manca.
Mettiamoci dunque su d'un piede sicuro. Per regolare i debiti delle
nostre case oltre l'Oceano, Don Lasagna rechi colà l'ordine di
radunare un Consiglio Americano, composto dei Direttori e degli Ispettori:
questo studi il modo di regolare il passato con i suoi deficit, combini
certe formalità, senza le quali nessun Direttore possa arbitrarsi
di contrarre nuovi debiti. Prima di partire Don Lasagna studi un sistema
di economia. In questi momenti la Provvidenza ce ne dà per noi
e per l'America. Don Fagnano sia solamente in spiritualibus e un economo
amministri la Missione temporalmente. In America non abbiano paura dei
debiti; questi siano addebitati al Capitolo Superiore, ma si faccia
ogni sforzo per regolarizzare le cose.
Agli oblatori ordinari si rispondeva con letterine di ringraziamento
litografate su originali di Don Bosco; ma il Servo di Dio in certi casi
rispondeva personalmente, tanto per modeste che per vistose oblazioni,
come si vede da due lettere, delle quali abbiamo copia. La prima è
al canonico Biagio Rumiano di Susa, già suo compagno al Convitto
Ecclesiastico.
Can.co mio carissimo,
Voglio scrivere io stesso per assicurarti che la tua lettera e la tua
offerta mi furono carissime. Se tu non hai il merito dei disturbatori,
hai quello dei donatori, come fai tu. Ma perchè non vieni più
a vedere questo povero amico? Fa i miei ringraziamenti al comune amico
canonico Bermond. Saluta in Domino tua sorella, se Dio non l'ha ancora
collocata nel posto che Maria le aveva preparato al paradiso.
Dio ci benedica e tu credimi sempre in G. C.
Torino, 30 novembre 1886.
Aff.mo amico
Sac. G. BOSCO.
213
Un Cooperatore che non faceva mai il sordo agli appelli dì Don
Bosco era il caritatevolissimo conte Eugenio De Maistre, il quale anche
questa volta mise mano generosamente alla borsa e n'ebbe la seguente
risposta.
Carissimo Sig. Conte Eugenio De Maistre,
Aveva tra mano una lettera a Lei diretta con cui l'assicurava che in
questi giorni avremmo fatto nell'Oratorio speciali preghiere per Lei
e per tutta la sua famiglia; quando ad un buon punto giunse il signor
Vergan portandomi la generosa carità di f. 2 m. da parte sua.
Dio sia sempre benedetto, e Lei, caro sig. Eugenio, sia sempre ringraziato.
Ho piena fiducia che Maria Ausiliatrice otterrà largo compenso
alla sua carità. Io dimando al Cielo che siano molto abbondanti
i frutti delle sue campagne, buona salute in tutta la sua famiglia e
la consolazione grande di vederli tutti camminare di virtù in
virtù, finchè li possa tutti vedere radunati intorno a
Lei in Paradiso. Noi dimostreremo la nostra gratitudine nel modo migliore
che possiamo. Perciò i tre ultimi giorni dell'anno i nostri orfanelli
faranno preghiere, comunioni a queste intenzioni: 29 dicembre per papà
conte De Maistre; 30, contessa di Lei genitrice; 31 per suffragio dell'anima
della signora contessa di Lei moglie defunta.
Voglia fare i miei rispetti a tutta la sua famiglia, si degni anche
pregare per me e per questa mia famiglia di 240 mila orfanelli che tutti
le professano la più sincera gratitudine, mentre a nome di tutti
i Salesiani ho il bello onore di potermi ora e sempre professare di
Lei
(Manca la data).
Obb.mo Servitore
Sac. GIOV. BOSCO.
Nel 1886 vi fu una piccola e una grande spedizione. Abbiamo narrato
nel volume precedente come nel 1885 venissero in Italia Don Borghino
dal Brasile e Don Calcagno e Don Rota dall'Uruguay. Questi tre, senz'attendere
la partenza più numerosa, s'imbarcarono per l'America in aprile
conducendo seco i tre chierici Fia, Giudici e Zanchetta, nomi divenuti
poi noti nel corso degli anni. Erano costoro semplici chierici; ma avevano
raggiunto il vigore dell'età e delle forze, provenendo dalla
classe dei Figli di Maria. Si toccò Barcellona, dove tutto faceva
sperare che avrebbero veduto ancora una
214
volta Don Bosco; videro invece soltanto i preparativi dei Confratelli
e dei Cooperatori per riceverlo due giorni appresso. Dei tre sacerdoti,
il cui ricordo vive fra noi in benedizione, Don Lazzero alla loro partenza
rinnovava una testimonianza già resa poco dopo il loro arrivo
in Italia, scrivendo (I): “ Tanto Don Borghino che gli altri due
meritano un attestato di ottima condotta pel tempo che furono tra noi;
e come dissi già altra volta, dimostrarono proprio buono spirito
e attaccamento a Don Bosco ed alla Società nostra. Speriamo che
il Signore li conserverà sempre tali ed essendo essi nel fior
dell'età avranno tempo a fare un gran bene ”.
Quando si avvicinava il tempo della spedizione maggiore, Don Bosco diramò
come supplemento del Bollettino di novembre una circolare ai Cooperatori
di Torino e dei dintorni, stampata in quattromila esemplari, per invitarli
alla cerimonia dell'addio. Una precedente sua circolare simile in francese
era stata unita all'appello di ottobre soltanto allorchè questo
fosse diretto a persone notoriamente amiche (2).
Ventisei Salesiani e sei Figlie di Maria Ausiliatrice dovevano passare
l'Atlantico, scortati da Don Lasagna. Questi nella prima metà
di novembre andò a Roma. Ivi dal conte Di Robilant, Ministro
degli Esteri, ottenne promessa di protezione e un sussidio di millecinquecento
lire. Entrò in tanta confidenza con lui che fu dal medesimo assicurato
non essere egli massone, come si vociferava. Venne ricevuto in privata
udienza dal Santo Padre, che subito volle essere informato della salute
di Don Bosco e gli fece molte domande sulle Missioni. Uditi i bisogni
del Brasile e inteso che Don Bosco,
(I) Lett. a monsignor Cagliero, 28 marzo 1886.
(2) App., Doc. 46 A - B. La circolare di ottobre e le notizie della
spedizione missionaria ispirarono a certi scrocconi l'idea di un tiro
mariuolo alla buona fede del prossimo. Organo fu la Staffetta, notiziario
settimanale di Napoli. Cadde nel tranello la Sicilia Cattolica di Palermo.
Don Bosco e Don Rua agirono con una prudenza che parrebbe financo eccessiva,
se la condotta dei Santi non fosse guidata sempre da sovrumana carità.
Chi vuol conoscere questo audace tentativo di trufferia, legga i documenti,
che parlano da sè (App., Doc. 47 A - B - C - D - E - F).
215
mosso unicamente dalla carità di Gesù Cristo, aveva preparato
una falange di Missionari, il Papa proruppe in queste parole: Annunziatelo
per l'onore di Torino e per la gloria della Congregazione Salesiana.
Questo fatto mi empie il cuore di contentezza e di speranza. Io mi riprometto
grandi cose per la Chiesa e per la società dall'Istituto Salesiano.
Don Lasagna, recatosi poi a Casale per salutare il fratello nel Seminario
ed altri parenti e amici, fu a un pelo di dover rinunziare per sempre
alle sue sante imprese missionarie; poichè ad alcuni distinti
ecclesiastici e laici, ammirati delle sue belle doti, balenò
l'idea di chiederlo alla Santa Sede per loro Vescovo, essendo la diocesi
vedovata del suo Pastore per la recente morte di monsignor Ferré.
Dall'idea si passò ai fatti, e due canonici portarono a Don Bosco
una supplica in tal senso, pregandolo che la trasmettesse egli stesso
al Santo Padre con una sua parola di raccomandazione. “ Così
il nostro carissimo Don Bosco, gli scrivevano due dei promotori (I),
aggiungerà un nuovo titolo, ai tanti che già ha, alla
benevolenza e riconoscenza della Diocesi Casalese ” . Don Bosco
rimise la supplica al cardinale Alimonda, affinchè ne facesse
quello che crederebbe meglio nel Signore. Il Cardinale gli domandò
quale fosse il suo pensiero. Don Bosco rispose di non volere per nulla
influire in simile negozio, ma di restare affatto indifferente. La pratica
fu avviata; se non che ormai era troppo tardi, avendo già Leone
XIII designato un altro. La Provvidenza aveva disposto che Don Lasagna
diventasse Vescovo senza cessare di essere missionario.
Quando questo disegno della Provvidenza ebbe effetto, e fu nel 1893,
si avverò una tacita predizione fatta da Don Bosco a Don Lasagna
nel giorno dell'addio. In quel 2 dicembre, nell'ora che precedette la
sacra cerimonia, Don Lasagna, terminato il suo ultimo colloquio con
il caro Padre, si fece dare medaglie da lui benedette per regalarle
poi agli amici, e
(I) Canonico Romagnoli e Don Luigi Calcagno, Casale 26 novembre 1886.
216
ottenutele si congedò. Era appena giù per le scale, scendendo
in chiesa a fare la conferenza, che lo raggiunse di corsa il chierico
Festa e gli consegnò una scatoletta dicendogli: Don Bosco le
manda questa scatola e dice che il resto è per gli altri, ma
questo è per lei, proprio per lei. - Dal suono gli parvero medaglie.
Se la mise in tasca, volò in chiesa e non ci pensò più.
In alto mare se ne ricordò, la aperse e vi trovò una catena
d'oro a filigrana sopra un po' d'ovatta. Rimase stupito a tal vista
e, non comprendendo niente, rimise il coperchio alla scatolina e la
ripose. Arrivato alla mèta, la chiuse senz'altro nella scrivania
né più la tirò fuori fino al giorno in cui il telegrafo
gli portò il triste annunzio della morte di Don Bosco. Allora
nella desolazione generale tutti in casa si diedero a cercare ogni oggetto
che parlasse loro del Padre estinto: scritti, medaglie, ricordi e simili.
Durante questa ricerca il segretario di Don Lasagna trovò la
scatoletta. Estrattane la catena, sollevò l'ovatta ed ecco un
bigliettino, nel quale un benefattore dì Chiavari diceva di mandare
la catena a Don Bosco, perchè servisse al secondo Vescovo salesiano
missionario in America. - Vuol dire, pensò Don Lasagna, che la
consegnerò da parte di Don Bosco al secondo Vescovo salesiano.
- Non immaginava allora che cinque anni dopo quel Vescovo sarebbe stato
egli stesso (I).
La mattina del 2 dicembre Doti Bosco nella sua cappella privata ricevette
per l'ultima volta professioni religiose. Eravamo un gruppo di giovani
chierici, che o per difetto d'età o per non completo anno di
noviziato non avevamo potuto fare i voti con i nostri compagni in ottobre
a S. Benigno. L'esortazione del Santo versò dopo sull'obbedienza.
Durante la funzione serale di addio nella chiesa di Maria Ausiliatrice
nè l'affascinante discorso di Don Lasagna nè la suggestione
del sacro rito nè l'alata parola del cardinale Alimonda valsero
a distogliere l'attenzione dei fedeli da Don
(I) L'Italia Reale di Torino del 3 aprile 1893 riferì la cosa
con le parole di monsignor Lasagna, che ne aveva fatto pubblicamente
il racconto.
217
Bosco. Stavasi il santo Vegliardo umile e raccolto in cornu evangelii
fra monsignor Manacorda, vescovo di Fossano, e monsignor Leto vescovo
titolare di Samaria. Tutti istintivamente sentivano che quella grande
vita declinava al tramonto. Abbracciato l'ultimo dei partenti, che per
la navata centrale sfilavano verso la porta, egli, sorretto a braccia
dai due Presuli, si trascinava fino alla sacrestia, dove il Cardinale
erasi degnato di aspettarlo e, fattosegli incontro, gli espresse i suoi
sentimenti di calda benevolenza.
Uno dei vantaggi che derivavano dal circondare di tanta solennità
simili partenze era che la stampa ne prendeva motivo per esaltare, diffondere
e rendere ognor più popolare in Italia l'idea missionaria. Questa
allora anche in città che come Torino avevano nell'anno periodici
richiami alle Missioni, era ben lungi dal godere la notorietà
e la simpatia che oggi la circondano in ogni dove. Per quella circostanza
nei maggiori e minori centri della penisola giornali e periodici cattolici
diedero particolareggiate relazioni dell'avvenimento torinese. L'Osservatore
Cattolico di Milano uscì con una corrispondenza del 2, che cominciava
così: “ L'Istituto Salesiano ha scritto oggi la più
bella pagina della sua storia ”. Poi il corrispondente confessava:
“ Oggi vedendo quel venerando prete, soave e modesto nel volto,
circondato dalla venerazione filiale delle più cospicue autorità
ecclesiastiche, ho sentito intenerirmi il cuore e appassionarmi l'anima
per lui ” . Nell'Unità Cattolica del 4 dicembre un anonimo
qualificato dal giornale per “ anima bella e pia ” e dal
Bollettino del gennaio 1887 per “ altissimo personaggio ”
chiudeva la sua ampia relazione sciogliendo a Don Bosco e a' suoi un
inno d'amore e di fede. “ A te, scriveva, venerando Don Bosco,
grazie. Si, grazie sincere per avermi invitato a riunione così
tenera e cara. Nella vasta chiesa di Valdocco ho visto tutta la bellezza
della religione cristiana che affratella i popoli. Il tuo Oratorio mi
diede l'immagine di una Propaganda Fide. Mai come giovedì sera
mi apparvero i tuoi ottocento fanciulli
218
così cari e pietosi: io li vedevo prostrati a pregare pei loro
fratelli Missionari, che forse non vedranno più. Mai come giovedì
sera mi apparvero venerabili le tue Suore ausiliatrici, che dai molti
coretti assistevano, pregando, alla pietosa cerimonia. E mai, oso dirlo,
mai note così poetiche e solenni non fecemi gustare il numeroso
coro de' tuoi cantanti! Oh! anima squisitamente musicale di monsignor
Cagliero! Possa tu ai miseri selvaggi delle Pampas sollevare con le
tue armonie religiose la mente ed il cuore alla luce del sovrannaturale,
come sollevi quelle de' tuoi compatrioti: possano gli alunni dei collegi
americani, battezzati nella fede di Cristo, moltiplicarsi rapidamente
e formar un coro immenso per lodare e benedire il Signore ”.
I viaggiatori andarono per l'imbarco a Marsiglia; li accompagnavano
Don Lazzero e Don Barberis. Di là Don Gastaldi, uno dei ventisei,
nel dare a Don Bosco ragguaglio del viaggio, gli manifestava i sentimenti
suoi e degli altri scrivendo (I): “ Provo una grande consolazione
ed un vero conforto nel poterle indirizzare queste due parole, supplendo
esse in qualche modo alla lontananza che già ci separa da Lei,
Amatissimo Padre. Non può immaginarsi quanto ci costò
e quanto doloroso trovammo l'addio e il distacco. Solo il pensiero che
Ella prega sempre per noi, ci benedice, ed il motivo per cui partiamo,
ci rende meno duro questo addio, Carissimo Padre. Già sentivamo
tutti di amarla, ma ora più che mai noi lo sentiamo, specialmente
quando penso a quei giorni felici in cui potevo, per sua bontà,
vederla e sentirne la paterna voce. Oh il Signore faccia sì che
possiamo ancor altre volte godere tal fortuna! ”. Recatisi in
pellegrinaggio alla Madonna della Guardia, dopochè ebbero celebrato
e fatto le loro divozioni, furono avvicinati da un pellegrino, il quale
chiese loro se fossero i Missionari di Don Bosco. Udito che sì,
lo sconosciuto pose in mano a uno di essi una
(I) Marsiglia, 7 dicembre 1888.
219
bella offerta e poi diede al custode del santuario una somma conveniente
per A disturbo. Seppero soltanto che egli era membro della Società
di S. Vincenzo de' Paoli.
Celebrata da tutti la festa dell'Immacolata nel noviziato di S. Margherita,
Don Lazzero ne riferì a Doli Bosco in questi termini, che giova
conservare (I): “ Riuscì una cara festa dì famiglia,
una vera riunione, fusione o, per esprimermi alla francese, una fratellanza
di spiriti francesi e italiani, che cercavano di esprimere uno spirito
solo, un'indole sola, quella del loro padre Don Bosco. Si fecero letture
allusive alla partenza dei Missionari, nelle quali veniva intrecciato
il nome di Don Bosco in modo da far conoscere in quali ottimi princípi
siano educati quei buoni giovani ascritti ”.
Don Lasagna ebbe agio di fare una visita ai conti Colle. Dalla camera
che quei signori chiamavano di Don Bosco, egli scrisse il 12 al buon
Padre: “ Oh! quanto sono felici queste due creature di conoscere
Doli Bosco, di essere stimate e amate da lui; quanto godono di deporre
nelle sue mani la loro fortuna, affinchè l'impieghi a maggior
gloria di Dio e a bene delle anime Essi stessi confessano di essere
strumenti benedetti della Provvidenza divina nelle mani di Don Bosco
”. E più innanzi continuava: “ E d ora che direi
a Lei, veneratissimo Padre, alla vigilia della partenza? Domani sera
o al più tardi dopo domani, martedì, noi saremo già
tutti a bordo del Tibet, che ci porterà lungi lungi da Lei. Oh!
come lo sente il nostro cuore, come se ne attrista in certi momenti!
Ma ci conforta il pensare che Ella ci accompagna colle sue benedizioni
e preghiere, che ci accompagna con tutto il suo affetto paterno. Noi
non abbiamo altro desiderio ed ambizione se non quella di mostrarci
degni figli di un padre si buono e sì Santo! Oh! se il Signore
ci aiuta a mantenere i nostri propositi, vedrà, o veneratissimo
Padre, che a costo di qualunque stento e sacrificio non le daremo che
consolazioni, grandi consolazioni ”.
(I) Lett. a Don Bosco, Marsiglia 12 dicembre 1886.
220
Salparono la sera del 14 La navigazione fu tragicamente procellosa.
“ Poveri miei compagni di Missione! esclamava Don Lasagna in una
lettera a Don Bosco (I). Essi non si scorderanno mai più di quanto
soffersero nelle due terribili giornate del 19 e 20 dicembre di quest'anno
” (2). E delle sei Suore: “ Davvero non mi sarei mai creduto
di trovare in queste giovani in queste povere Suore, tanta securità,
tanta intrepidezza. Ne sia lodato Iddio e ringraziato anche Lei, o caro
Padre, che ha saputo trasfondere sì eccellente spirito tra i
suoi figliuoli ”.
Giunsero sani e salvi nel porto di Montevideo il 6 gennaio; ma le dolorose
peripezie non erano ancora finite. In città serpeggiava il colera;
il colera menava strage a Buenos Aires (3); il colera aveva visitato
l'Italia: tutto questo aveva già creato difficoltà e indugi
per l'imbarco. Peggio fu all'arrivo. Sebbene a bordo non vi fosse stato
nessunissimo caso, tuttavia non ci fu verso che si volesse concedere
l'approdo, ma bisognò virare di bordo e andare a raggiungere
l'isola di Flores per starvi in quarantena. Fortunatamente la contumacia
durò appena cinque giorni, con non lieve dispendio però,
sicchè il 14 erano tutti a Villa Colon, festeggiatissimi da quei
Confratelli.
Se a Torino sembrava un bel numero quello dei partenti, si vide sul
posto che era ben poca cosa di fronte al bisogno: ci sarebbe voluto
almeno il doppio soltanto per rifornire in misura sufficiente le tre
case uruguaiane di Villa Colon, Las Piedras e Paysandù. Pure
si dovette cederne una parte all'Ispettoria Argentina, le cui opere
si moltiplicavano, obbligando a maggiore intensità di azione.
(I) A bordo del Tibet, 23 dicembre 1886.
(2) L'efficace descrizione della burrasca infernale si può leggere
sul Bollettino di marzo 1887.
(3) Quattro Salesiani, due della Boca, Don Bourlot, direttore e parroco.
e il coadiutore Fabrizi, e due di S. Nicolas, Don Galbusera e Don O
Grady, furono colti dal contagio; ma, scriveva Don Costamagna a Don
Bosco il 24 novembre, “ muniti della medaglia di Don Bosco, vinsero
la forza del male ”.
221
Don Lasagna, venendo in Italia, aveva portato a Don Bosco una lettera
del Vescovo di Montevideo, che, mentre raccomandava alle sue preghiere
la propria diocesi assai tribolata, chiedeva per Las Piedras una scuola
di arti e mestieri. Don Bosco ordinò a Don Lasagna di rispondergli:
I° ringraziando della benevolenza per i Salesiani e le Suore dell'Uruguay,
2° promettere preghiere per le sue tribolazioni e quelle della sua
diocesi perseguitata; 3° dire impossibile un ospizio di artigiani
a Las Piedras; 4° prometterlo per Montevideo colla speranza della
sua licenza e del Jackson a cui aveva già scritto in proposito;
5°Don Lasagna sarebbe ritornato con buoni compagni per dare esecuzione
a questo disegno di Don Bosco, che stava pure sommamente a cuore di
Gesù e di Maria; 6°che da quell'opera egli prevedeva dover
scaturire un gran bene alle anime ed alla religione in tutta la repubblica
dell'Uruguay e forse in tutta l'America del sud e che per quest'opera
interessava lo zelo di Monsignore e dei buoni. Su questi appunti, che
nell'originale erano più laconici, Don Lasagna compose la sua
risposta, della quale teniamo copia (I).
L'Ispettoria di Don Lasagna abbracciava anche le due case del Brasile.
Qui l'avvenire si annunziava lieto di belle promesse, ma il presente
era molto duro. La casa di Nicteroy lottava coi protestanti e coi debiti;
pure allargava la sua sfera d'azione. Quella incipiente di S. Paolo
scarseggiava troppo di operai. Da ogni parte i Vescovi supplicavano
continuamente per avere Salesiani nelle loro diocesi (2). Don Bosco,
presago dei progressi che la Congregazione avrebbe fatti tra le popolazioni
civili e le tribù selvagge di quell'immenso Stato, aveva scritto
per Don Borghino e i suoi tre: “ Voglio che siate luce. Quando
andrete nel Brasile e troverete i vostri
(I) App., Doc. 48 A - B. La lettera al signor Jackson, della quale
pure conserviamo copia, dev'essere stata del pari solamente sottoscritta
da Don Bosco (App., Doc. 49).
(2) Lett. di Don Riccardi a Don Bosco, Almagro (Buenos Aires) febbraio
1888.
222
confratelli, dite loro che siete venuti a portare luce, non perchè
vi siano colà tenebre, ma per giungere luce a luce, affinchè
i raggi risplendano fino nei selvaggi e nei moretti ”. Al medesimo
Don Borghino affidò l'incarico di far recapitare una sua lettera
alla principessa Isabella d'Orleans - Braganza, figlia dell'ultimo Imperatore
Don Pedro II e maritata al Conte d'Eu (I).
Altezza Imperiale,
La Divina Provvidenza dispose che due case salesiane fossero stabilite
nell'Impero del Brasile. Una a Nicteroy, l'altra a S. Paolo, ambedue
consacrate ad accogliere gli orfanelli più poveri ed abbandonati.
Alcuni di questi miei religiosi ritornati temporaneamente in Italia
mi hanno parlato assai della bontà e della carità di V.
A. Imp. e per questo io raccomando a Lei ed a sua Maestà l'Imperatore
tutti questi miei salesiani che non altro desiderano che guadagnare
anime al cielo e diminuire il numero dei discoli. Ma essi pregano molto
e fanno eziandio pregare i loro allievi per la sanità e prosperità
di tutta la sua famiglia e di sua Maestà Imperiale l'augusto
di Lei Genitore.
Maria SS.ma protegga codesta memorabile dinastia per cui i nostri orfanelli
in numero di oltre a duecento mila, fanno particolari [preghiere] a
Dio.
Io poi mi faccio stretto dovere nella santa messa invocare le benedizioni
celesti sopra tutti i sudditi Brasiliani, mentre con gratitudine somma
ho l'alto onore di potermi umilmente professare
Torino, marzo 1886.
Obbl.mo Servitore
Sac. GIO. BOSCO.
La raccomandazione di Don Bosco non restò lettera morta. Il
15 novembre l'Imperatore e l'Imperatrice, accompagnati dal Ministro
dell'Agricoltura e da altri personaggi, visitarono minutamente la casa
di S. Paolo, chiedendo al Direttore informazioni sui giovani e sul metodo
d'insegnamento. L'Imperatore disse che amava molto l'opera e che conosceva
Don Bosco e la sua Congregazione. Un giovanetto recitò con garbo
un piccolo complimento, presentando alle loro Maestà il volume
delle osservazioni meteorologiche di Colon, preparato all'uopo con la
fotografia dei giovani di
(I) L'autografo è a Parigi presso il principe Pietro d'Orleans
- Braganza, figlio della destinataria.
223
quel collegio e si cantò un inno semplice, ma di gradevole effetto.
Il Direttore poi offrì ai Sovrani il Diploma di Cooperatori,
che ricevettero riconoscenti. Partirono lasciando non dubbia prova di
simpatia con una buona elemosina.
Nel novembre dell'anno seguente l'Imperatore si trovava di passaggio
a Cannes. Don Cartier, direttore della casa di Nizza, volle andargli
a presentare gli omaggi di Don Bosco. Fu ricevuto con molta affabilità.
L'Imperatore, stringendogli la mano, gli domandò anzitutto notizie
di Don Bosco. - Come sta Don Bosco? È a Nizza? È un grand'uomo...
un santo... Io gli voglio molto bene... Fa un gran bene... Le sue opere
mi piacciono assai, specialmente la casa di S. Paolo dove si fa un bene
grande. - Don Cartier si rese interprete del rincrescimento di Don Bosco
per non poter raccomandare personalmente a Sua Maestà i suoi
figli del Brasile e di Nizza. Egli manifestò il suo dispiacere,
che, dovendo partire presto da Cannes, non poteva visitare la casa di
Nizza. Anche l'Imperatrice lo trattò con amabilità, esprimendogli
tutta la sua venerazione per Don Bosco e un'alta ammirazione per le
sue opere; in particolar modo raccomandò di fargli dire che pregasse
per l'Imperatore e per lei. Il dì appresso Don Cartier mandò
a Cannes il prefetto Don Fasani con una lettera di ringraziamento e
con alcuni doni da presentare al Sovrano. Erano due copie del Don Bosco
del D'Epiney, tre grandi fotografie del Santo e un esemplare dell'opuscolo
di Don Cerruti Le idee di Don Bosco sull’insegnamento. L'Imperatore
del Brasile coltivava molto la letteratura italiana, prediligendo le
opere del Manzoni, col quale aveva avuto molta familiarità. Gradi
ogni cosa e fermandosi a guardare il ritratto di Don Bosco, disse: -
Non mi contento di vederlo in effigie; lo voglio vedere in persona...
Sì, andrò a trovarlo. Cosi diceva il 26 novembre; due
mesi dopo Don Bosco era alle porte dell'eternità (I).
(I) App., Doc. So.
224
Parlando degli accrescimenti che nonostante tutto s'imponevano nel
Brasile, nell'Uruguay, nell'Argentina e nelle Missioni patagoniche,
Don Lasagna aveva scritto fin dall'8 gennaio a Don Rua: “ Che
vuole? Sono gli eventi che ci portano o, per meglio dire, è la
Divina Provvidenza che ci conduce: e bisogna seguirla ”. Era quella
medesima Provvidenza che intorno a Don Bosco aveva fatto crescere uomini
quali un monsignor Cagliero, un monsignor Fagnano, un monsignor Lasagna,
e altri parecchi spiriti alacri ed aperti alle grandi iniziative. Tali
dovevano essere i pionieri: non pavidi nè gretti ma ardimentosi
e dalle larghe vedute.
Sull'Argentina abbiamo in una lettera di monsignor Cagliero una messe
d'informazioni, che ci rappresentano al vivo lo stato delle cose locali
durante il periodo delle ferie estive, dal dicembre cioè al marzo.
Monsignore, lasciata la Patagonia il 5 gennaio, stette fuori della sua
residenza fino all'8 maggio. Il 22 febbraio era a S. Nicolas, donde
scrisse a Don Bosco.
Rev.mo ed aff.mo Padre in G. C.,
È tempo che le scriva io personalmente per darle conto esatto
di tutto ciò che passa nelle nostre case per dove transitai a
dare i santi Esercizi Spirituali.
Si diedero in Patagones, in Buenos Aires, in Colon e in S. Nicolas.
Contemporaneamente a quelli dei Salesiani corsero quelli delle suore
in tre punti, ed ebbi tre compagni. Cambiava sentinella, ma era sempre
il medesimo caporale che conduceva, guidava e comandava la pattuglia.
Furono per me una fatica non indifferente, ma pensando a quelle più
serie sostenute da Don Bosco in queste occasioni ed al bisogno di essere
al corrente di tutto e di tutti, l'ho considerata di poca importanza
e la superai con facilità.
In tutte le case ho trovato una volontà forte, risoluta, e decisa
di essere buoni e santi Salesiani. Si stimolarono i troppo tardi, si
frenarono i troppo veloci, e si scossero i sonnolenti. Don Bosco, l'Oratorio
ed i suoi primi tempi entravano in tutte le prediche; e lo dico francamente
che quei fortunati ricordi facevano del bene a tutti, predicanti e predicati,
dandoci un'idea chiara ed una guida sicura dello spirito salesiano.
Nei rendinconti e nelle conferenze particolari ho potuto parlare con
molto profitto dello spirito di povertà non solo, ma della economia,
tanto necessaria per pagare i debiti, dai quali non va esente nessuna
225
delle nostre case. Come pure ha preso intiero possesso, dove ve ne
era bisogno, il sistema preventivo e la gran molla della dolcezza e
carità nella educazione dei nostri alunni.
E la confidenza, l'amor fraterno, paterno, figliale tra Superiori ed
inferiori vi regnano su tutta la linea, cosicchè dovetti f are
poco o nessun cambio di personale.
Per le vocazioni si lavorò e si lavorerà di più
in avvenire, ma esse sono scarse perchè il terreno è ingrato.
Abbiamo fatto sette vestizioni di chierici novizii, tra quali quella
di Caprioglio che è un veterano e valoroso salesiano. Professarono
in dieci i voti triennali e perpetui e quasi tutti americani.
Le suore fecero esse pure io vestizioni e altrettante professioni e
quasi tutte italiane o figlie di italiani; cioè di quelli coi
quali abbiamo più relazioni.
In S. Nicolas però mi lusingo di un avvenire consolante. I numerosi
cooperatori che vi sono già trattano di affidare a noi la numerosa
turba di ragazzetti e ragazzette per educarla non solo, ma consecrarla
al Signore se tale sarà la loro vocazione. Regna in queste famiglie
il primitivo spirito cristiano e sono affezionatissimi ai Salesiani.
Li ho visitati quasi tutti nelle loro ricche chacras ed ho invitati
ad una modesta agape i principali, ieri che abbiamo fatta la festa di
S. Francesco di Sales e conferenza dei cooperatori. Tra essi figurava
Mons. Ceccarelli sempre ben affetto ai Salesiani e mio buon amico.
Presero le sacre ordinazioni del presbiterato Don Solari e Don Giovannini
in Colon, Don Rinaldi, Don Patrizio O’ Gradi, Don Zaninetti Guido
a S. Nicolas e tre minoristi; mentre molti altri si preparano collo
studio e colla virtù a ricevere la stessa grazia per gli anni
venturi.
Queste, o Veneratissimo Padre, sono le notizie od operazioni ad intra;
ora passo a darle quelle che sono ad extra. In Patagonia i nuvoloni
sinistri che offuscavano l'orizzonte scomparvero. Il sig. Governatore,
il generale Winter, con motivo del battesimo di una sua bambina volle
ad una refezione di famiglia quattro dei nostri Salesiani sacerdoti;
tra cui Don Fagnano contro il quale ardevano di preferenza le sue biliose
animosità. E la conciliazione è fatta per opera e grazia
di Maria Ausiliatrice, alla quale ho raccomandato speciali modo la Patagonia
ed i suoi interessi, appena sbarcato sul Rio Negro.
Le Missioni che erano ferme da un anno, ripigliarono il loro cammino
e Don Milanesio che prima era stato arrestato dai soldati, è
ora dai soldati guidato ed aiutato in caso di bisogno nella sua escursione
alle Cordigliere. Ed ho speranza che il Governo ci aiuti col dare il
soldo di Cappellani a non pochi di noi. Don Savio in Santa Cruz gode
il soldo di agrimensore in 54 scudi al mese, Don Beauvoir gode quello
di Cappellano militare in 64 scudi pure mensili. Ed ho bisogno che tale
risorsa la ottengano alcuni di noi in Patagonia, dove abbiamo debiti
serii per le due chiese che abbiamo dovuto costruire.
226
In Buenos Aires ho potuto avere un medium per avvicinare il Presidente,
ma temo che la politica lo scalzi tra pochi mesi e se verrà un
presidente nuovo e migliore, meglio per noi. Aspettiamo quindi gli avvenimenti.
In Montevideo invece la tempesta scoppiò e terribile! E che Dio
ce la mandi buona. Il Governo col suo Presidente si sono meritati il
disprezzo universale; e tutti i migliori cittadini coi migliori generali
e capitani d'esercito si sono uniti per spazzarli via colla polvere
di cannone. Il nostro collegio di Paysandù è in pericolo
di essere convertito in quartiere generale delle truppe del Governo
per la sua posizione e solida costruzione. Ma speriamo: il reclamo del
Ministro Italiano e le corazzate che tiene a disposizione nelle acque
di Montevideo lo faran desistere da tale proposito; ma intanto i giovani
non vengono fino a causa finita (I).
Preghi adunque, o carissimo Don Bosco, per questi sventurati paesi,
sempre in agitazione e sempre in armi tra loro. La nostra condizione
di stranieri ci consola in questi terribili frangenti, ma assai più
ci consola il pensiero che siamo anche stranieri a questa terra di triboli
e spine. Noi confidiamo nelle sue preghiere ed in quelle dei nostri
cari confratelli e cooperatori.
Si, preghi, chè ne abbiamo bisogno in questi momenti.
Dal Brasile alla Terra del Fuoco i suoi figli la salutano e pregano
per la sua preziosa salute. Dalle Alpi al Libero sappiamo che vi sono
dei nostri fratelli che l'amano; ma non sono inferiori a questi quelli
che qui l'amano con l'intensità dei due più grandi oceani
l'Atlantico ed il Pacifico; meschini perciò al paragone il Mediterraneo
e l'Adriatico.
Riceva i saluti di tutti e tutti ci benedica nel Signore.
Al venerando Capitolo ed ai suoi più venerandi soggetti, l'attestato
della nostra umile sommissione e la mia pastorale benedizione. Amen.
S. Nicolas, 22 febbraio 1886.
In G. C. aff.mo figlio
GIO. Vescovo di Magida.
PS. - Da Roma ho ricevuto insieme alla facoltà di autorizzare
i Matrimonii misti cum cautelis, una lettera del Card. Simeoni in risposta
alla mia prima relazione fatta alla Propaganda, ed è laudatoria.
Ora sto preparandone una seconda che manderò a Don Dalmazzo ed
un duplicato a Torino.
Similmente preparo una consimile relazione per la Propagazione della
fede e della S. Infanzia (2).
(I) La rivoluzione Scoppiò il 28 marzo, durò pochi giorni
e fu soffocata nel sangue.
(2) A queste notizie possono servire di complemento quelle che il suo
segretario Don Riccardi scrisse a Don Bosco il 12 marzo (App., Doc.
51).
227
Monsignor Cagliero, a cagione dei debiti che gravavano sull'Ispettoria
Argentina, aveva deciso di non aprire più case almeno per un
anno, ma circostanze provvidenziali lo fecero deflettere dal suo proposito.
Nel 188, 5 il Governo di La Plata aveva promesso ai Salesiani un bel
terreno, a condizione però che, se non vi fabbricassero un collegio,
il contratto da stipularsi rimanesse privo di effetto. I Salesiani avevano
una gran voglia di andare a La Plata, anche perchè la popolazione
era per più di metà italiana. Ma con tanti debiti come
arrischiarsi a fabbricare? Si lasciò dunque cadere la cosa. Tosto
sottentrarono i protestanti, che stavano alla vedetta e ottennero le
stesse agevolazioni governative. Se non che, edificato ivi un loro tempio
e costruite due abitazioni, dovettero, non si seppe mai il perchè,
sloggiare. All'ora il canonico Carranza, parroco nella città,
acquistò edifizi e terreno e poi con pressanti raccomandazioni
dell'Arcivescovo e di altre autorevoli persone si presentò ai
Salesiani per offrir loro ogni cosa. Dopo quanto era accaduto, si credette
di non poter rifiutare. Diedesi così principio a una nuova opera,
che in breve fiorì e tuttora fiorisce (I).
Una seconda relazione di monsignor Cagliero abbonda dì tali particolarità,
che, quantunque lunghetta, viene molto a proposito in questo luogo.
Amatissimo sig. Don Bosco e carissimo Padre,
Sono di partenza per ritornare alla mia cara Patagonia. Due mesi ci
ho dovuto impiegare per dare i santi spirituali esercizi nelle diverse
nostre case; ed un mese me lo sono goduto qui in Buenos Ayres. Ed era
necessario questo poco di riposo per visitare ed essere visitato, per
fare nuove relazioni e per cercare quattrini.
Per mezzo del Cappellano maggiore dell'Esercito, ho fatto relazione
col Ministro della guerra il quale si dimostrò favorevolissimo
alle nostre Missioni, in ciò che riguarda al bene dei soldati
che sono di guarnigione lungo le sponde del Rio Negro. E da lui ho potuto
avere gratis otto passaggi da Buenos Ayres a Patagones. Ciò mi
risparmiò
(I) In luglio Don Costamagna fece a Doti Rua un'interessante relazione
sopra questa casa (App., DOC. 52).
228
la spesa di 500 scudi; e come sogliamo dire noi, questo vale più
che un pugno sulla schiena.
Ma intanto i 300 scudi mensuali che il governo passava per le missioni
nostre da due anni furono sospesi e noi tiriamo avanti come possiamo.
Tra elemosine di messe ed oblazioni ho potuto radunare un mille scudi.
Poca cosa atteso il poco valore del danaro in queste regioni.
Visitando gli Istituti ho preparato il terreno per una specie di piccoli
cooperatori salesiani, (per non confondere quest'opera con quella della
S. Infanzia) e che spero darà alcune migliaia di scudi all'anno,
senza però dare alcuna pubblicità.
Ho fatto dare all'Arcivescovo una relazione delle nostre missioni durante
l'anno 1885, perchè la passi, come era di costume gli anni andati,
al Governo, il quale ci darà, o non ci darà soccorsi.
Ho pure reclamato aiuti da alcune società di beneficenza e mi
hanno promessa alcuna cosa.
Si dice che quando il lupo ha fame esce dalla tana; così ho fatto
io; e mi ci hanno spinto i debiti che abbiamo contratto col Banco per
innalzare le due chiese che sa.
Ora passo a darle notizia dei nostri crediti che abbiamo col Padre Eterno,
se ci vorrà usare della sua bontà e parte della sua infinita
misericordia.
Don Savio e Don Beauvoir con un coadiutore (Fossati) sono stabiliti
sulla sponda del Rio S. Cruz ed a cinque giorni di mare distanti da
noi. Essi sono in buonissima relazione col Governatore al quale ho parlato
prima che partisse per quelle terre. E non è improbabile che
si trasferiscano più in giù al Cabo de las Virgines dove,
come avrà saputo dai giornali, si dice che un fiumicello invece
di arena trarrebbe al mare niente meno che sabbia di oro!!! E mentre
noi scherziamo su questa nuova California, gli inglesi lavorano sul
serio ed a più non posso per trovare il loro Dio che non è
il nostro.
Don Milanesio, Don Panaro con un catechista ed un guarda cavalli sono
in missione dal mese di dicembre e da una stia lettera che ho avuto,
rilevo che al fine di aprile lascierà le Cordigliere coperte
di neve e se ne verrà a Patagones, dove stenderemo verbale delle
sue escursioni. Questi bravi Salesiani hanno percorso la bagatella di
300 leghe nella sola andata e superando mediante la divina provvidenza
un gravissimo pericolo nel viaggio: poichè il povero Don Milanesio
colpito dal solione cadde ammalato in mezzo al deserto e con diarrea
di sangue. Lontani 40 e più leghe dagli esseri viventi e senza
provvigioni, venne loro meno l'alimento. Allora il poon, o arriero dei
cavalli datosi a correre per tutte le parti per trovare almeno caccia,
incontrò una vacca bagual, ossia smarrita pel deserto; le diede
la caccia e fu quella che li sfamò durante otto giorni, quanti
furono necessarii perchè il povero Don Milanesio potesse proseguire
a cavallo il suo viaggio.
229
Alle falde delle Cordigliere un cavallo, come sovente succede, impennatosi
scavalcò la carica e si ruppe la pietra sacra dell'altare. Secondo
le facoltà dalla santa Sede concesse egli avrebbe potuto celebrare
con la pietra rotta od anche senza questa, ma amò meglio attraversare
a cavallo tutta la catena delle montagne e passare al Chili solo, Impiegò
due giorni girando come gira la gola di quelle roccie e si trovò
nel primo paese alla vista del Pacifico, chiamato Los Angeles. Fu ben
ricevuto dai Padri Francescani dai quali ebbe anche aiuti pecuniarii.
Essi conoscono Doli Bosco per fama ed i Salesiani, e sono ansiosi di
vederci da quelle parti. In un secondo viaggio, o meglio in una seconda
scavalcata a traverso los Andes passò a Chillian ed alla Concezione
sulle spiagge del mare. Ivi fu ricevuto con indicibile giubilo dal Vicario
Capitolare Don Domingo Cruz e dal suo segretario e gli mostrarono la
casa che stanno edificando per noi. Di lì invierebbonsi i Salesiani
nella immensa regione degli Araucani privi ancora di sacerdoti ed in
una necessità estrema di aiuti spirituali.
Caro Don Bosco, abbiamo tutte le case stremate di personale e se come
desidera la Paternità vostra ed io lo desidero e tutti lo desideriamo,
di stabilirci nel Chili, prepari una bella carovana di Missionarii e
lire la mandi alla Patagonia. Di qui abbiamo trovato il passo che in
una cavalcata di 1.500 chilometri ci porta alle Cordigliere ed in un'altra
di 2oo e per la strada dei camosci ci dà stanziati nel territorio
chileno.
La messe raccolta in questa Missione dai nostri coraggiosi missionari
fu di 100 Comunioni, venticinque o trenta matrimoni e circa 800 battesimi,
seicento dei quali sono di Indi. Essi, stanno bene di salute malgrado
i disagi, le fatiche e le vitaccie che debbono fare per quelle immense
solitudini, percorse solo da animali silvestri e domestici ed abitate
dagli Iridi Araucani passati al territorio Argentino.
Giungendo io a Patagones saprò se continueranno il loro cammino
di ritorno oppure se pensano fermarsi a metà strada dove sono
intesi col Cacico Namuncurà e con Sayuheque, per istruire le
due loro tribù nella nostra Santa Religione e battezzarli in
numero di 2500 Vedremo se faranno a tempo perchè il Ministro
della guerra mi disse che vorrebbe farli passare a Buenos Aires. La
ragione si è che non essendo stati abilitati in tempo al lavoro
di agricoltura ed amando essi l'ozio piuttosto che la fatica, teme una
sollevazione. Sarà di loro adunque quello che vorrà la
Divina Provvidenza.
Come le avranno scritto sono nove i novelli sacerdoti Salesiani ordinati
extra tempora. E come se fossero mele o ciliege se li partirono le diverse
case che ancora si lamentano per essere troppo pochi. Però non
sarà sempre così, perchè avendo in casa la fabbrica
ed il fabbricante se ne faranno più sovente.
Ma lei, o carissimo Doli Bosco, deve almeno mandarmi da S. Benigno la
stoffa e questa sia roba buona e di lunga durata. S. Giuseppe alcuni
giorni precedenti la sua festa ci ha regalato una nuova casa
230
nella nuova e bella città della Plata. Non volevamo, non potevamo
accettarla e ciò non pertanto ci cadde sulle spalle, perchè
così vollero l'Arcivescovo, il Vicario Foraneo di quella ed una
moltitudine di Italiani che si trovano senza soccorso spirituale e senza
istruzione religiosa. Il terreno, la casa di legno, e la bellina chiesa
pure (di questo marmo dolce) venuta bella e fatta dalla Svizzera, ce
la dà il Governo della Provincia. Ed intanto noi che avevamo
deciso di non aprire più casa alcuna nell'Argentina e volgevamo
risoluto lo sguardo al Chili, eccoci ancora seduti qui, vittima dell'educazione
di non dire mai di no quando altri vuole sì. Però se Don
Durando tiene fermo, non ne apriremo davvero più nessuna da queste
parti, no, davvero davvero! Se sarà vero! Come spero ed è
mio desiderio.
Nelle case tutte si gode di buona salute e migliore volontà di
lavorare e farci santi (I).
E la Paternità vostra ci aiuti con le sue sante orazioni e riceva
dal suo affezionatissimo figlio ogni felicità e benedizione
Buenos Aires, 10 - 4 - 1886.
GIOVANNI Vescovo di Magida.
Proprio mentre la riferita lettera andava alla posta, si annunziò
per telefono a Monsignore che il Presidente della Repubblica Roca, al
quale aveva chiesto udienza, volentieri l'avrebbe ricevuto. Senza frapporre
indugio il Vicario Apostolico si recò quella sera dal Generale
in casa stia. Lo accompagnava Don Costamagna. Suo scopo era di ringraziarlo
della lettera di raccomandazione datagli l'anno innanzi per il Governatore
del Rio Negro. Accettati i ringraziamenti, il Roca con rudezza militare
rimise ex abrupto sul tappeto la questione giurisdizionale. - Lei è
Vescovo, gli disse, e non è argentino. Non può esercitare
nella Repubblica. Il Papa non ha diritto di arbitrare qui senza il permesso
del Governo.
(I) A commento di queste parole serva la seguente statistica di Don
Costamagna a Don Rua (12 aprile): “ Sono 60 le fanciulle interne
e 100 le esterne del Collegio di Maria Ausiliatrice di fronte al nostro.
Sono 335 i nostri ragazzi di S. Carlo, di Cui 250 interni e gli altri
in parte a mezza pensione e in parte esterni. Sono 250 le ragazze della
Bocca, 100 quelle di San Isidoro, 100 quelle di Moron; 150 ragazzi alla
Bocca; 100 quelli di Santa Caterina. Tutti alle scuole. Poi ci vengono
gli Oratorii... Oh che cuccagna! e noi asciutti e secchi... e carichi
di debiti! Poi si ha da pensare alla casa della Plata (accettata per
forza di S. Giuseppe da Monsignore). Ma personale non ce n'è.
Quare conturbas me? Ci raccomandi al Signore perchè teniamo dritto
il timone e... o lavorare per Dio solo, o inorir tutti quanti quest'oggi
stesso. Baci la mano al nostro papà ”.
231
Monsignore schivò di nuovo abilmente il colpo rispondendo che
nella Repubblica egli non aveva giurisdizione ordinaria, ma era soltanto
Vescovo Missionario, visitatore delle case salesiane, specialmente in
Patagonia; nelle questioni o negli atti che potessero interessare le
viste del Governo, egli si riferirebbe all'autorità dell'Arcivescovo
di Buenos Aires.
La risposta evasiva valse una spiegazione e il Presidente ne rimase
soddisfatto. S'entrò quindi a discorrere dei progressi fatti
dalla Missione, di scuole, di due chiese costrutte, delle ultime escursioni
compiute da Monsignore e dai Missionari salesiani, delle molte conversioni,
dei mille e più battesimi amministrati dopo il suo arrivo a Indi
adulti e bambini. Più di tutto si ragionò dei tanti debiti
contratti per l'erezione delle due chiese, delle case e delle scuole
in Patagonia. Il Vescovo, ringraziatolo dì ottocento scudi rimessigli
per le mani dell'Arcivescovo, lo pregò di non dimenticare le
Missioni e di aiutare sempre i Missionari. Quegli promise. Poi volle
essere informato della Congregazione Salesiana e della sua organizzazione
di fronte alle leggi e lodò la saggezza di Don Bosco.
Monsignore trovò modo di lamentare la rottura intervenuta fra
la Repubblica e la Santa Sede. - Non esiste rottura, ribattè
il Presidente; è solamente una questione personale con Monsignor
Matera. È mia intenzione riannodare le relazioni quanto prima.
Anzi si serva pure di quanto le dico, può far note queste mie
disposizioni, officiosamente s'intende, al Segretario di Stato e al
Papa.
Monsignor Matera, Arcivescovo di Irenopoli e Delegato Apostolico e Inviato
Straordinario per l'Argentina, Uruguay e Paraguay, che monsignor Cagliero,
come vedemmo, incontrò nel 1885 a Montevideo, non godendo più
la fiducia del Governo argentino, era stato costretto a uscire dal territorio
della Repubblica, senza previa intesa con la Santa Sede; onde la rottura
con Roma. Ora la questione posta nei termini significati dal Presidente
veniva a essere di molto semplificata, sicchè non fu più
difficile arrivare a una soluzione,
232
Quel colloquio segnò il pulito di partenza a riallacciare le
relazioni diplomatiche; in vista di che Monsignore ne fece relazione
al procuratore generale Don Dalmazzo, affinchè ne informasse
il cardinale Lodovico Jacobini, Segretario di Stato.
Monsignor Cagliero aveva ormai saputo trarre dalla sua le massime autorità
governative, il che gli tornò utile a rassodare la propria autorità
nella stia sede di Patagones, come si vide al suo ritorno dopo la non
breve assenza. Noli furono soltanto i Salesiani e le Suore con le loro
scolaresche di ambe le sponde del Rio Negro a riceverlo; ma un popolo
vario e numeroso gremiva la spiaggia: signori e signore, marinai e militari,
indi e gauci lo attendevano con vero entusiasmo. Le principali autorità
salirono a bordo per ossequiarlo. Il Governatore, da alcuni giorni indisposto,
benchè anticlericale e personalmente ostile, non potè
esimersi dal mandare prontamente un ufficiale superiore a rappresentarlo,
dicendosi lieto del suo arrivo. Tutto questo rallegrò assai il
Vicario Apostolico, persuaso che tanto mutamento di animi nel centro
del Vicariato gli avrebbe spianato la via all'esercizio sempre più
fruttuoso del suo santo ministero. Certo è che il suo modo di
agire contribuiva a guadagnargli stima e fiducia. “ La sua persona,
scriveva Don Piccono (I), diffonde intorno a sè la soavità
e la letizia, e nelle sue azioni vanno unite la semplicità e
la prudenza, la dolcezza e l'energia di un vero primogenito di Don Bosco
”. Appena sbarcato, mosse verso la chiesa, dove, fatta breve orazione,
ringraziò tutti della splendida accoglienza. Ala quel ringraziamento
collettivo non poteva bastare: cortesia voleva che andasse poi facendo
visite alle persone di maggior riguardo, la qual cosa gli porse il destro
di conoscere da vicino le primarie famiglie, tanto bisognose di religiosa
istruzione.
Sotto quelle remotissime latitudini nè per l'immensa lontananza
nè per le sfibranti fatiche si affievoliva nei cuori
(I) Lettera a Don Lemoyne, Carmen de Patagones, 14 maggio 1886.
233
il ricordo di Don Bosco. Ne discorrevano fra loro, ne parlavano ai
giovani, non c'era ricorrenza che passasse inosservata. Così
il 19 maggio i giovanetti del collegio di Patagones gli scrissero ciascuno
la propria letterina per il prossimo onomastico. “ Carissima,
dice don Viglietti nel suo Diario, era quella del bravo giovane Luis
Villanueva, artigiano indo puro sangue, da due anni entrato in collegio
” . Quanto godesse Don Bosco nel leggere quei fogli, noti è
chi non sappia immaginare (I).
Si è conservato pure buon numero di lettere scritte per la medesima
circostanza da Confratelli. Ci usino indulgenza i lettori, se nuovamente
ricerchiamo in esse i sentimenti che quegli antichi Salesiani nutrivano
per Don Bosco. Ci pare che a lumeggiare la figura del nostro Salito
torni di non poco giovamento il vedere qual vivo affetto egli suscitasse
ne' suoi e di qual confortò nei travagli della vita, di quale
stimolo a ben operare riuscissero in tutti siffatte disposizioni d'animo.
Indubbiamente Doli Bosco possedette in grado sovrumano il dono di farsi
amare, e di quell'amore sincero, costante e operativo che è l'amor
filiale.
Cominciamo dall'Uruguay la nostra rassegna. Da Paysandù il chierico
Grando così gli apriva il suo cuore: “ Le assicuro, amato
Padre dell'anima mia, che solo colla vita cesserà in me la preghiera
ispirata dalla gratitudine verso chi per darmi la vita mi tolse dai
pericoli di perderla. Inoltre la assicuro che le nostre sante Regole
e i suoi saliti avvisi, che conservo scritti in una immagine di Mamma
Ausiliatrice, che Ella mi diede con sua firma, saranno norma della mia
condotta. Veggo che finora, solo così facendo, provo tranquillità
non provando malinconia o malumore se non quando mi apparto da tale
norma ”. Dal medesimo collegio il chierico Soldano dà sfogo
in questo modo a' suoi sentimenti: È questa un'occasione di più
che mi si presenta per manifestarle i miei sentimenti
(I) Non abbiamo trovata quella dell'Indio, ma solo due altre (App.,
DOC. 53 A - B).
234
di gratitudine, di fedeltà, d'amore; è questa una nuova
occasione che ci concede il Signore per onorare, per quanto far si possa
in questa terra di miserie, il merito suo, l'eroiche sue virtù;
è questa una nuova occasione che ci si offre per festeggiar Colui
che lo merita oltre ogni dire Grazie, infinite grazie vi rendo, o mio
Dio, che mi abbiate dato un tal Padre. Sì, carissimo Don Bosco,
Ella è mio Padre, che mi diede la vita, non materiale, ma morale
e spirituale. Ella è il mio più insigne Benefattore, che
abbia sulla terra, [...] Ella è il mio Salvatore, dopo di Gesù
[ ... ]. Ella è il mio Maestro, che mi predica colle parole e
mi muove coll'esempio ” .
Don Rota dal Collegio Pio di Villa Colon umilmente e sentitamente scrive:
“ Ultimo fra tanti figli mi presento anch'io ed anch'io voglio
unire il mio Viva Don Bosco ai mille e mille Viva che in questi giorni
si udiranno tra le mura dell'Oratorio. Forse il mio non arriverà
fili là, ma il di Lei cuore così delicato lo udirà
egualmente, perchè esce proprio da un cuore che lo ama con amore
figliale ”. Da Colon Don Calcagno, che si sente venir meno con
la salute la vita, si consola al pensiero di una vita migliore sempre
con Don Bosco. “ Temo, dice, che questa mia non Le giunga pel
suo giorno onomastico. Guarderò tuttavia di accompagnare con
tutti gli affetti del mio cuore le espressioni di amore e di riverenza
che le manifesteranno in quel giorno i miei cari fratelli dell'Oratorio
[...]. Caro Padre! si ricordi di questo suo povero figliuolo d'America,
che più non lo vedrà su questa terra! Oh preghi tanto
per me, affinchè possa un giorno, dopo aver praticate con tutte
le forze mie le sante Regole salesiane, possa un giorno gettarmi ai
suoi piedi lassù nel paradiso ” . Di là pure due
Hijos americanos, i chierici Echeverry e Canessa, usando entrambi la
loro lingua, lamentano di non averlo mai veduto, dicono di conoscerlo
attraverso le narrazioni dei Superiori e si raccomandano alle sue preghiere.
Scendendo poi a Buenos Aires, ecco Don Durando, direttore della recente
casa di S. Caterina, unire agli auguri filiali
235
per il suo “ caro Padre Don Bosco ” una bella relazione
sull'andamento del nuovo collegio; ecco Don Costamagna in lettera firmata
da tutti i Confratelli protestargli enfaticamente a nome di tutti: “
Oh Don Bosco, nostro carissimo Don Bosco! tutti delle case di S. Carlo,
della Misericordia, della Boca, di Santa Caterina e della Plata, che
andiamo vieppiù conoscendo il gran favore che il buon Dio ne
fece, quando ci diede figli a Doli Bosco, lieti fuor di misura, perchè
anche quest'anno vediamo arrivare tutto splendido il giorno onomastico
del carissimo Papà, inviando un Evviva Don Bosco all'unisono,
che passi l'Oceano e piombi nel cortile di cotesto felice Oratorio ad
allietare il più bel giorno del Padre della gioventù dei
due mondi, desideriamo che il benedetto nostro Vegliardo si persuada
ognora più che gli vogliono un bene grande grande tutti i suoi
figli della Provincia Argentina e che intendono tutti senza eccezione
essere degni figli di un tanto Padre ” .
Da S. Nicolàs due figli affezionati manifestano in lunghe lettere
la loro affezione, narrando con gran calore episodi dì bene,
nei quali hanno avuto parte. Don Rabagliati, che sarà il primo
Ispettore salesiano nella Colombia, protesta: “ Sia che l'obbedienza
mi trattenga qui o mi chiami altrove, porterò con me l'immagine
del carissimo padre Don Bosco e questa mi sarà sprone a lavorare
senza posa nel campo che l'obbedienza mi segnala, affine di mostrarmi
degno figlio di tanto Padre e di assicurarmi un posto al suo fianco
nel paradiso. Oh che bel giorno quello, o carissimo Padre! ”.
Il collegio di S. Nicolas aveva un buon numero di ragazzi irlandesi,
che provenivano da una vicina numerosissima colonia di quella nazione.
Se ne occupavano dentro e fuori Don Rabagliati, che parlava un po' inglese,
e specialmente Don O' Grady, venuto all'Oratorio dall'Irlanda. Questi
scrisse a Don Bosco in francese. “ La sua festa, gli diceva, o
amatissimo Padre, così bella e così cara, benchè
io abbia avuto il fortunato privilegio di assistervi una sola volta,
mi ha lasciata una deliziosa e durevole impressione nel cuore e ancora
236
adesso il solo pensarvi mi fa trasalire dalla gioia [...]. Se Lei amato
Padre, ama questi buoni Irlandesi, essi pure amano Lei, Molti di loro
già conoscono l'amore che porta alle anime e le sue numerose
opere sante; la amirano, la benedicono e quelli che seppero che io le
avrei scritto per offrirle i miei voti e auguri in occasione della sua
festa, si uniscono di tutto cuore con me per fare altrettanto ”.
Ed ora riportiamoci nella Patagonia, donde ci eravamo dipartiti. Il
segretario di Monsignore, pensando alla festa di S. Giovanili, voleva
fare a Doli Bosco un presente, se non per l'onomastico, almeno per il
natalizio. Ne manifestò l'idea a Don Lazzero. Fra i giovani artigiani
di Patagones uno ve n'era indio, calzolaio, quindicenne, già
capace di lavorare da sè abbastanza bene. Chiedeva pertanto Don
Riccardi la misura per fargli fare un paio di scarpe da mandare a Don
Bosco, che certo avrebbe gradito un simile dono del primo Indio accettato
in Patagonia da' suoi figli. Ala egli pure scrisse direttamente e lungamente
a Doli Bosco il 5 giugno, dicendogli con effusione: “ Sappia che
noi tutti l'amiamo immensamente nel Signore, e in tutte le nostre azioni,
siano sacre siano profane, sempre ed ovunque abbiamo presente alla mente
e più al cuore la carissima persona di V. S. nostro Amatissimo
Padre. Oh quanta festa faremo noi pure il 24 prossimo! Quel dì
lo spirito nostro sarà costi nell'Oratorio, vagando intorno intorno
a quella cameretta che in sè racchiude il nostro tesoro, il Padre
nostro. Più arditi ancora saremo noi! Ed in ispirito ci avvicineremo
a Lei, Carissimo Padre, e le diremo: - Oli Padre! oh Dori Bosco! quanto
ti amano i figli tuoi di Patagonia! Benedicili. - E Lei ci benedirà
di cuore e noi ripiglieremo con nuova lena e più vivo ardore
le nostre fatiche a pro di questi cari giovanetti che pure sono i figli
suoi, carissimo Don Bosco ”.
Finalmente anche Monsignore espresse i propri sentimenti prima a Doli
Lazzero e poi a Don Bosco. A Doli Lazzero diceva il 26 maggio: “
Va con questa un mondo di auguri per
237
il nostro amato Don Bosco che salutiamo affettuosissimamente e cordialissimamente
e indimenticabilissimamente. Dominus custodiat eum et vivificet eum
et beatum faciat eum in terra. Amen, amen, amen ”. A Don Bosco
aveva con gli auguri presentato un bel regalo, offrendogli il raccolto
dì tutto un anno fatto da' suoi figli nel nuovo campo evangelico
della Patagonia, ed erano 1300 battesimi di Indi e di indigeni del Rio
Negro, 1000 comunioni di neofiti, 3000 comunioni di persone divote,
200 comunioni mensili dei ragazzi e delle ragazze che frequentavano
le scuole. “ Sono, spiegava egli, i frutti raccolti dopo il mio
arrivo in questo finora sterilissimo deserto. Formatane una corona di
preziosissimi gigli, intrecciata di olezzantissimi fiori e tempestata
di brillanti ricchissimi gliela pongo sul venerando suo capo dicendo:
Copre i figli la gloria del padre. Gloria filiorum Pater eorum (I) ”.
Non possiamo non raccogliere anche la voce che parte da Santa Cruz.
Data la lontananza e le rare comunicazioni marittime con le altre parti
del continente sudamericano, Don Beauvoir aveva pensato a scrivere già
il 28 aprile. Da una sua diffusa esposizione spicchiamo alcuni pochi
periodi che fanno al caso nostro. “ Questo ultimo inutile, per
non dire gravoso fra i suoi figli non si dimentica, no giammai, del
Padre suo, per quanto lontani da lui trascorrano i giorni della sua
vita, e remote siano le contrade che lo separano dall'oggetto della
sua più viva affezione. Il pensare che Don Bosco si ricorda di
me, è un dolce ristoro, ma non è tutto. Meditando talora
gli anni della mia giovinezza passati ai suoi fianchi, una lacrima mi
solca le guance. - E perchè non posso ancora una volta vederlo,
parlargli, baciare la mano che tante volte mi benedisse? Un breve momento
che possa bearmi della stia amabile presenza, una volta sola che veda
ancora il suo volto ridente, che possa essere rallegrato dall'espressivo,
affabile suo sguardo, e poi morirei contento nel volontario, lontano,
(I) Prov., XVII, 6.
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deserto esilio. - Sì, lo spero, il Signore mi concederà
ancora questa desiderata fortuna ”. Don Bosco gli rispose: infatti
il 7 settembre Don Beauvoir scrisse a Don Rua: “ Ineffabile fu
il mio contento per aver ricevuto l'amata lettera del Venerando nostro
e Carissimo Babbo Don Bosco. Leggendola ritornai collo spirito a quei
tempi e a quei luoghi felici in cui passai i bei giorni della fanciullezza
e giovinezza mia ”.
Chi non vede che leva potente fosse nelle mani esperte di Don Bosco
un sì profondo e tenace affetto de primi Salesiani verso la sua
persona?
Nella lettera di Don Beauvoir c'era anche una notizia poco lieta. Un
povero coadiutore dava indizio di pervertimento. Don Bosco ordinò
di scrivere immediatamente che quel coadiutore fosse mandato in Europa.
Gli si fece bensì notare e la speranza del ravvedimento e l'ingente
spesa del viaggio. Non importa, esclamò addoloratissimo il Santo.
Costi quel che si vuole, ma lo si rimandi subito. È un'anima
che si perde, e bisogna salvarla. - Ma purtroppo era già tardi.
Il disgraziato fece poco dopo a Santa Cruz una morte assai infelice.
Monsignor Cagliero aveva compilato una relazione generale sullo stato
della Missione patagonica, traendone tre copie, di cui una per il Santo
Padre umiliatagli a mezzo del Cardinale Protettore (i), l'altra per
Propaganda
(I) Il cardinale Parocchi gli rispose così:
Ill.mo e rev.mo Monsignore,
Aderendo alle brame di V. S. Rev.ma compiei sollecitamente il gradito
incarico di riferire al S. Padre i felici progressi di codeste Missioni
de' buoni Salesiani. Il cuore del sommo Gerarca ne fu visibilmente commosso
e consolato ed ebbe parole d'encomio per la S. V. rev.ma e per tutti
quelli che con zelo veramente apostolico la coadiuvano nel propagare
il regno di Gesù Cristo; mentre loro impartiva l'implorata benedizione.
Io poi nel parteciparle i sentimenti sovrani, con Lei precipuamente
mi congratulo dell'operato, e disposto a quanto si può attendere
dal mio ufficio di Protettore, auguro a codeste Missioni sempre maggiore
incremento, in quella che a Lei, Monsignore, con profonda ed affettuosa
stima bacio riverente le mani.
Di V. S. Rev.ma
Roma, 23 agosto 1886 Dev.mo in G. C.
L. M. CARD. VICARIO
Prot. dei Sal.
239
Fide (I) e la terza per l'Opera della Propagazione della Vede; il suo
segretario ne cavò quindi un riassunto, che fu spedito a DON
BOSCO (2). A dare completo ragguaglio intorno a questo primo periodo
dell'attività missionaria salesiana sotto la guida illuminata
di monsignor Cagliero, resta che mettiamo innanzi ancora una sua lettera,
ricca d'importanti notizie e piena di vita.
Rev.mo ed amatissimo Padre,
Tardai alquanto a scriverle perchè aspettavo l'arrivo dei nostri
missionari che da sette mesi si trovano alle falde delle Cordigliere.
Essi sono felicemente giunti, assistiti in modo provvidenziale dal Signore
e da lui benedetti nelle loro escursioni apostoliche.
Il nostro Don Milanesio è una vera provvidenza per tutti gli
abitatori del Rio Negro: accompagnato dal nostro bravo Don Panaro e
dal coadiutore catechista Forcina, con due uomini per i cavalli, percorsero
a cavallo l'immensa distanza di 555 leghe, ossia di 2500 chilometri.
Valicando per ben due volte sopra muli los Andes, o Cordigliere, si
portò nelle pianure del Chilì toccando Antuco, Angeles,
Concepcion e Chillan, dove raccolse elemosine ed altri aiuti per la
Missione di Malbarco che si trova nel versante orientale dei monti che
formano il Rio Neuquen, confluente del Rio Negro.
Diedero la missione in trenta stazioni, ossia centri di popolazione,
più o meno numerosi. Battezzarono 1117 tra indigeni e figli di
famiglie cristiane, celebrarono 60 matrimoni e prepararono alla santa
Comunione 1836 neofiti.
Con questa missione resta esplorata tutta la valle del Rio Negro sino
ai confluenti Umay e Neuquen e tutta la valle destra e sinistra del
Neuquen co' suoi dieci o dodici confluenti, sino ai confini del Chili
e della provincia di Mendoza. Perciò la parte della Patagonia
settentrionale più importante e più popolata è
da noi già tutta conosciuta, visitata, e si può dire catechizzata,
se si eccettuano quattro o cinque tribù, i cui Cacichi si pronunziarono
in senso favorevole alla loro conversione (3).
Stiamo preparando una carta etnografica di tutta la zona compresa tra
il Rio Negro ed il Rio Colorado, segnalando le stazioni e centri di
(I) Per la prima volta riempì il modulo venuto da Propaganda
(App., Doc. 54).
(2) App., Doc. 55.
(3) Tutta questa missione, narrata e descritta da Don Milanesio, si
può leggere nel Bollettino di dicembre 1886. Sulle buone disposizioni
dei Cacichi è documento la visita fatta a Monsignore dal figlio
di Sayuhueque e narrata da Don Piccono (App., Doc. 56).
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popolazione, colonie e tribù, notando le distanze da una stazione
all'altra, mancando i fiumi principali ed il luogo dove si possono passare
a nuoto coi cavalli e accennando alle valli e ai monti più importanti
(I).
Di qui si manderà un abbozzo il più preciso che si possa,
e di lì il nostro geografo torinese farà scorrere le acque
dei fiumi, sorgere le piante dei monti, crescere l'erba dei prati popolati
di cavalli, di pecore, vacche, guanachi, struzzi ed altri infiniti esseri
carnivori ed erbivori.
Mando pure alla Paternità Vostra un prospetto minuto dei luoghi
dove passarono i nostri Missionari, col nome loro e con una particolareggiata
statistica dei battesimi, comunioni e matrimoni fatti.
Qui in Patagones e Viedma continuiamo a coltivare con frutto le tenere
pianticelle che crescono vigorose e cariche di fiori e frutti.
Abbiamo fatto una predicazione straordinaria pel santo Giubileo (2),
prendendo l'occasione dalla novena di N. S. del Carmine, patrona del
Pueblo, e predicando tre volte al giorno. Si raccolsero molte comunioni
di signore e di tutti i giovanetti e ragazze dei nostri collegi... ma
di uomini... zero!!!
Spero assai nell'Associazione dell'Apostolato di orazione inaugurato
con prospero successo e con quindici zelatrici, le principali del paese,
che hanno fatto prodigi per attirare tutte le madri di famiglia, e vi
riuscirono.
Così, mediante la divozione, l'amore ed appoggio del Sacro Cuore
di Gesù ho potuto ottenere che molte famiglie compissero il precetto
pasquale e si uniformassero allo spirito cristiano. Naturalmente questo
movimento alla pietà e divozione suscitò fermento nei
maligni, i quali già stridono di convulsione e rabbia satanica.
Ma noi zitti, calmi e prudenti tiriamo innanzi finchè qualche
santo ci aiuti a guadagnare anche gli uomini, schiavi molti del rispetto
umano, dell'interesse altri e delle passioni i rimanenti.
Da oltre un mese è con noi Don Savio, il quale ci dà molte
buone notizie della sua missione della Patagonia centrale e meridionale.
Egli ha potuto sapere dagli Indii Tehuelches, che vi sono molte Tolderie
sparse nelle immense pianure del deserto centrale e lungo le sponde
dei fiumi. Passato l'inverno farà ritorno a S. Cruz e tenterà
una importante escursione in quei dintorni. In questa escursione lo
accompagneranno alcuni Indii Tehuelches da lui già catechizzati
e battezzati, e tra questi il fotografato qui in Patagones, che la Vostra
Paternità può vedere alla sinistra del barbuto missionario.
(I) Vi lavorò attorno specialmente Don Stefenelli, con la collaborazione
di Don Milanesio e di Don Savio, sotto la sorveglianza di Monsignore.
Fu spedita a Don Bosco il 20 agosto. Non s'intese di fare un lavoro
scientifico, ma solamente una guida per uso e utilità dei Missionari
e dare ai lontani un'idea della Missione. Non l'abbiamo ritrovata.
(2) Per il 1886 Leone XIII aveva promulgato un Giubileo straordinario.
241
Don Beauvoir intanto attende alla missione con Fossati, fino all'arrivo
di Don Savio.
Don Fagnano è da alcun tempo in Buenos Aires in cerca di danaro
presso il governo e presso i privati, ma, come mi scrive, trova poca
fortuna: ed è questione capitale perchè non può
partire per la sua prefettura sino a che non abbia soddisfatto il banco
degli imprestiti fatti per inalzare la Chiesa. Le case di S. Carlos,
Colon e Paysandù sono pur esse gravatissime di debiti per le
costruzioni fatte e non possono, anche volendo, aiutare noi poveri abitanti
del deserto. E quello che più mi dispiace è che i nostri
sudori distillano appena il necessario a pagare gli interessi dei debiti.
Io sono tempestato da lettere che mi giungono dal Chilì, da Santiago,
da Valparaiso, da Talca e da Concepcion, e rispondo promettendo e che
pazientino. Ma col personale che ho non posso nemanco fare un passo
ed il solo Don Rabagliati, che me lo disputa ancora il collegio di S.
Nicolas, mi potrà essere utile ad incominciare qualche cosa nel
Chili.
Quanto prima dovrò pensare a stabilire almeno due centri lungo
il Rio Negro, ma senza mezzi e persone non mi slancio a tale impresa
ed aspetto l'opportunità. Intanto preparo una lunga relazione
da mandare a Propaganda, ed una lettera per Lione e Parigi.
Oh ne piovessero dei luigi!
Abbiamo saputo della sua gita a Barcellona e che commota fuit tota civitas.
Anzi che le furono offerti omnia regna mundi e che la Vostra Paternità
li accettò tutti insieme collo stesso niente Tibi dabo, per offrirli
al suo vero padrone il Signore.
Con questo viaggio avrà contentati i Catalani ma non gli Andalusi,
che ne furono delusi e meno gli Americani i quali vorrebbero inventare
una ferrovia aerea per avere l'onore di una sua visita,
Con le autorità civili e militari andiamo sempre belle, perchè
tengo anche sempre i guanti nelle mani. Ma non mi fido di loro, nè
in loro confido. Il povero Don Milanesio non appena era arrivato dalla
sua faticosissima missione che il generale gli fece sequestrare tutti
i cavalli col pretesto che erano del governo. Egli provò con
i documenti chiari e scritti che erano suoi, cioè della Missione.
A nulla valse. Allora discesi io a fargli visita e subito gettò
la colpa addosso ai vigilanti che avevano corso troppo. Io feci apparenza
di crederlo, mentre in Viedma non si muove foglia senza che egli lo
voglia; e soggiunse che già aveva dato l'ordine fossero restituiti
i nostri cavalli. Era con me Don Piccono, e mentre ci fece servire il
thè, io gli raccontava la protezione che l'Inghilterra presta
ai missionarii e varie altre cosette del caso che ha ben capito. Ma
sono militari e tanto basta. Sono sei anni che i Salesiani hanno preso
possesso della Patagonia e furono sei anni di battaglie, di calunnie
e di vittorie riportate, però a costo di sacrifizi e dispiaceri.
242
Ma se non fosse così non sarebbe vita di missionari la nostra.
Quanto a me poi, dopo la visita al Presidente, vivo di timori e di speranze
e Colui che mi ha mandato qui, ci pensi Lui a sostenermi. Con la venuta
del nuovo Presidente verranno guai sopra guai alla Chiesa in questo
disgraziato paese.
Io però ho la parola del presidente Roca, ma come gli manca un
c per fare rocca, quindi nulla mi prometto; e tiriamo innanzi alla guardia
di Dio. E se non mi disturbano continua il miracolo, dicono i buoni
argentini. Guai però se parlo di Vicariato o di Vicario, chè
mi regalerebbero l'esiglio immantinente. Perciò sono sempre vescovo
Salesiano e Missionario apostolico, cioè un mistero che essi
non comprendono e che non conviene spiegare a nessuno. E così
andiamo innanzi ed il bene si fa intanto a las barbas de gualicho come
dicono gli Indii.
Ho quindi bisogno di preghiere, e come è la V. Paternità
che mi gettò nel ballo, mi insegni a ballare perchè io
so soltanto suonare. Nei confratelli sacerdoti, chierici e coadiutori
v'è abbastanza impegno per osservare la S. Regola e per avanzare
nelle virtù proprie di un salesiano. Ogni giovedì ci troviamo
insieme colle due Case per una conferenza che versa o sulla morale casistica
o sopra alcuni punti di ascetica o su un punto disciplinare per la buona
marcia della nostra missione.
Sono coltivati assai gli oratorii festivi dei ragazzi e delle fanciulle
e da qualche tempo a questa parte sono anche assai frequentati. Andiamo
pure raccogliendo le spighe perdute, ossia giovinetti ed adulti indii
od indie, sparsi nelle varie famiglie cristiane. Ed a forza di instare
sollecitando e raccomandando, otteniamo che ce li mandino per istruirli
e battezzarli; e i già battezzati prepararli alla prima comunione.
Una buona parte però che vivono male coi cristiani, non possiamo
ridurli ad alcun bene; sono spighe calpestate dai cavalli e dai muli
quibus non est intellectus.
Il nostro missionario della Patagonia centrale Doli Beauvoir ha fatto
un'escursione sino al Cabo Virgines, dove si va radunando gente da tutte
parti, tutta alla luce dell'oro! (I). E veramente quelle sabbie sono
ricchissime per l'oro che contengono, e gli esploratori dicono che in
certi luoghi è più ricco ed abbondante che in California.
Oh fosse vero che ci trovassimo ancor noi nell'età dell'oro!
Eppure le galline stesse non lo guardano, preferendo invece un insetto
che non i grani auriferi.
Riceva, amatissimo Padre, i saluti, i cuori e l'affetto di tutti i suoi
(I) Il Cabo de, las Vírgines si trova all'imboccatura dello
stretto di Magellanos, Don Beauvoir era partito per questa escursione
da Santa Cruz, dove stava con Don Savio dal mese di marzo. Questi, come
narrammo, vi aveva potuto andare, perchè qualificatosi per agronomo;
D. Beauvoir vi era andato come cappellano del Governo.
243
figli della Patagonia. Preghi per noi, ed invochi sopra la nostra Missione
la protezione e le benedizioni di Maria SS. Ausiliatrice.
Le suore, ancor esse zelantissime, domandano con me la sua paterna benedizione.
Patagones, 28 luglio 1886.
Suo in G. C. aff.mo figlio
GIOVANNI, Vescovo.
Non isfugga all'attenzione di chi legge la cura che si prese subito
Monsignore di trapiantare laggiù l'Associazione dell'Apostolato
della preghiera e si noti la fiducia ch'ei riponeva nell'efficacia di
tale istituzione per la fecondità dell'ardente e indefesso suo
zelo. È da credere che la cosa gli sia riuscita non senza difficoltà;
ma l'averla tentata sarebbe già stato di per sè sicuro
indizio che il suo zelo era di buona lega. I discepoli di Don Bosco
avevano appreso dal loro impareggiabile Maestro non solamente a lavorare,
ma ben anche a pregare,
Al suo caro primogenito il Padre lontano volle mandare per il nuovo
anno una strenna che dovette tornargli molto cara. Sì, cara per
l'intervento finanziario paternamente generoso; cara per l'affetto che
traluceva dallo scritto con cui gliene dava comunicazione cara infine
per lo scritto stesso, che riempiva due discrete pagine e che rivelava
in ogni riga la fatica dello scrivente. Afa in eo quod amatur, aut non
laboratur aut et labor amatur (I).
Carissimo II., gnor Cagliero,
Doti Lasagna Parte e ti darà nostre notizie. La tua cambiale
fu ricevuta, e sarà scontata in f. 15 m. il 19 corrente Dicembre.
Don Lasagna non parte colle mani vuote. I passaggi, tutti i debiti fatti
in passato esistenti in f. circa 200 in. restano tutti pagati, saldati
da Don Bosco. Evviva l'abbondanza . Spero sarai efficacemente aiutato
dai novelli, confratelli. Fa in modo che pervengano minuti ragguagli
alla Propaganda, al capitolo, propagazione della Fede, della santa infanzia:
io Sullo sviluppo delle nostre Missioni. 20 Concessione nel Kily. 3°
Se il passo dai Rio Negro ad Ancud è già attivato.
(I)S. AGOSTINO, De bono viduitatis, 26.
244
In questo momento avvi notabile aumento di preti, aspiranti, chierici
e novizi.
Risparmia niente per diffondere il Cristianesimo all'occidente della
Patagonia, nelle terre del fuoco e di S. Diego.
Umili saluti all'amato nostro Arcivescovo Aneyros ed un millione di
omaggi. Tu poi prepara il coro di pagani che venga a cantare alla mia
messa cinquantenaria!?
Sta attento, stasera, dal luogo dell'antica montagnetta farò
lui discorsetto, Deo dante, ai nostri Salesiani.
Non dimenticare il Sig. C.te Colle e C.ssa Sofia di Lui moglie.
Cordialissima benedizione a tutti i miei figli. Raccomanda a tutti:
Cura grande della sanità, lavoro, temperanza e tutto riuscirà
bene. Amen.
Maria ci guidi al Cielo.
Aff.mo amico
Sac. GIO. BOSCO.
I° Domine, retribue nobis bona facientibus in vitam aeternam.
2° Occorrendoti fa ricorso alla provisione del Buon Pastore di Valparaiso
o di S. Santiago; mi promise di somministrare quanto abbisogna in danaro.
Ultimo giorno dell'anno 1886.
Il cenno alle cambiali richiede una spiegazione. Da lettere di Missionari
vediamo che essi in momenti critici si facevano rilasciare da Banche
Americane cambiali tratte sul nome di Don Bosco e che le Banche le rilasciavano
loro senza mai richiedere il consenso da Torino. Anzi cambiali siffatte
scadute e per dimenticanza non protestate venivano accettate dai banchieri
con meraviglia di quelli che le possedevano, sentendosi dire che valevano
tant'oro. Don Sala nei processi asserisce che si faceva così
in tutta l'Europa; la qual cosa egli depone per dimostrare quanto fosse
il credito goduto generalmente da Don Bosco.
Una circolare di Don Rua, recante la data del 31 dicembre e diretta
ai Direttori delle case d'America, contiene un punto che illustra l'atto
paterno di Don Bosco. Il Vicario di Don Bosco scriveva: “ Col
primo gennaio, cioè dimani qui nell'Oratorio si principierà
per tutte codeste case di America un conto nuovo, notando come saldati
tutti i conti passati. Sebbene
245
le offerte ricevute dietro la circolare di Don Bosco del mese di ottobre
non abbiano raggiunto la somma complessiva dei vostri debiti, Don Bosco
tuttavia desidera si faccia conto nuovo e così si farà.
Questo serva ad accrescere in ciascuno la riconoscenza al nostro amato
Padre e di stimolo ad essere sempre più attenti all'economia,
essendo questo il vivo desiderio tante volte dimostrato dal medesimo
” .
Da quanto abbiamo in succinto narrato qui sopra, i lettori han potuto
formarsi il convincimento che la missione patagonica, sospiro del cuore
apostolico di Don Bosco, doveva dirsi ormai organizzata in modo da far
concepire le più liete e fondate speranze per il suo avvenire.
CAPO IX
Trasferimento del noviziato a Foglizzo.
NON soltanto il crescente numero dei chierici consigliava di separare
gli ascritti dai professi, ma tale separazione era imposta anche dalle
esigenze canoniche. Al Capitolo Generale nella seduta pomeridiana del
2 settembre Don Bosco aveva ricordato come, allorchè fra Pio
IX e il Segretario dei Vescovi e Regolari si trattava dell'approvazione
delle Regole, si fosse parlato della necessità di dividere i
novizi dagli studenti e gli studenti dai soci. Avere egli in tale circostanza
fatto semplicemente osservare che c'era ancora bisogno di case, di persone,
di novizi, di tutto; al che esserglisi risposto dal Papa. - Andate e
fate come potete. Quindi il Santo proseguì conchiudendo: - Ora
a misura che si può, si venga a queste divisioni, che sono indicate
come utili e necessarie.
Egli avrebbe potuto dire di più, che cioè in vista di
tale separazione si stava già allestendo un edifizio apposito.
Infatti a Foglizzo, cospicuo comune rurale distante sei chilometri da
S. Benigno, aveva acquistato dai conti Ceresa di Bonvillaret un palazzo
con le sue adiacenze, che mediante adattamenti poteva contenere, certo
senza troppe comodità, anzi con non pochi nè piccoli disagi,
un centinaio di persone; ma non credette bene in quel momento parlarne,
probabilmente perchè non aveva ancora deciso se mandarvi i chierici
professi ovvero i novizi. Argomentiamo così da quanto aveva
247
detto in agosto a chi, nell'urgenza di conoscere la destinazione della
nuova casa per aver agio di provvedere con risparmio i materiali occorrenti
alle modificazioni da introdurvi, aveva risposto: - Lasciamo stare per
ora; aspettiamo la festa della Presentazione di Maria Vergine al tempio.
Allora il Signore e la Madonna ci ispireranno il da farsi. - Quella
festa cade al 21 novembre. Forse era sua abitudine aspettare nelle feste
della Madonna lumi speciali dal Cielo. Non indugiò tuttavia fino
a quella data per risolvere; poichè Don Barberis accompagnò
gli ascritti nella nuova sede il 14 ottobre. Per lo studentato filosofico
la Provvidenza destinava, come vedremo, il collegio di Valsalice.
Quando i novizi ne presero possesso, la casa non aveva ancora ricevuto
la sua denominazione e il suo santo protettore. Solo ai 20 di ottobre
il Capitolo Superiore, su proposta di Don Barberis, deliberò
d'intitolarla a S. Michele Arcangelo. I verbali non aggiungono altro;
ma quella deliberazione dovette essere ispirata dal desiderio di onorare
così il Vicario di Don Bosco, dedicando al suo Santo la prima
casa, e casa sì importante, aperta in Italia dopo la sua designazione
all'alto ufficio.
La cerimonia della solenne inaugurazione, fissata al 4 novembre, fu
rallegrata dalla presenza di Don Bosco. Egli partì dall'Oratorio
in compagnia di Don Rua e di Don Viglietti. Viaggiò in treno
fino a Montanaro, la cui stazione dista circa cinque chilometri da Foglizzo.
Là gli era venuta incontro in massa tutta la popolazione, preceduta
dal clero locale e viciniore. Uno sciame di ragazzi gli si affollò
intorno ed egli scherzava con loro, invitandoli tutti all'oratorio.
Quando montò in carrozza e il cavallo si mise al trotto, quei
fanciulli, con i loro zoccoli in mano o sotto il braccio, si diedero
a correre dietro, e corsero finchè non vennero loro meno le forze.
A mezzo cammino ecco i ragazzi di Foglizzo che lo attendevano agglomerati
ai due margini dello stradone; anch'essi
248
a piedi nudi accompagnarono, di gran corsa la vettura fino all'ingresso
del paese, senza curarsi dei sassi franti che formavano uno strato scaglioso
sotto le loro tenere piante. Gli abitanti del paese stavano ammassati
qua e là da dove cominciavano le case fino alla chiesa parrocchiale.
Alle prime case la vettura si fermò. Tosto si fece innanzi il
Sindaco circondato dalla Giunta municipale e lesse a capo scoperto un
suo discorsetto, nel quale si compiaceva della fortuna di poter accogliere
un sì grand'uomo nel suo tanto piccolo paese. Udita la lettura,
Doti Bosco lo invitò a sedergli allato; si procedette così
a lento passo, dietro la banda musicale, per la via grande fra gli applausi
di tutta la popolazione. Il festoso tintinnio delle campane e lo scoppio
fragoroso di mortaretti aggiungevano quel che di stravolgente che nelle
grandi occasioni manda in delirio i buoni terrazzani. “ È
poi impossibile, riferiva l'Eporediese del 10, descrivere la gioia entusiastica,
che la vista di Don Bosco destò negli ottanta giovanetti già
raccolti in questa casa e nei degni lor superiori. Chi scrive queste
linee vide egli stesso personaggi ragguardevoli, già attempati,
piangere a tale spettacolo per viva commozione e farsi anch'essi un
onore ed una premura di baciar le mani all'Uomo di Dio. Era infatti
una tenerezza il veder Don Bosco sorretto e quasi portato di peso dai
suoi Salesiani, mentre dal suo stabilimento recavasi alla casa parrocchiale,
e rispondente ad ogni istante a chiunque gli volesse parlare, fosse
un ragazzo od un adulto, un povero od un signore, almeno con uno sguardo
o un sorriso. Il buon Prete non si regge più sulle sue gambe;
epperò naturalmente si mostra un po' stanco: ma in tutto il resto
è sempre giovane: faccia ridente, fronte serena, occhi vivaci
e scintillanti, mente chiara, memoria tenace, conversazione amena; è
amabilissimo. Appena i capelli cominciano a inargentarsi un poco ”.
Il prevosto Don Ottino offerse il pranzo nella canonica, invitando oltre
alle autorità municipali anche i parroci dei dintorni. Rispondendo
ai brindisi dei commensali Don Bosco
249
dichiarò fra l'altro che, venendo a fondare una sua casa a Foglizzo,
era animato dalle più sincere intenzioni di fare per i giovanetti
del luogo il maggior belle possibile. Questo disse con speciale riferimento
alle parole di un sacerdote che aveva ricordato d'averlo visto tanti
anni avanti attorniato da poche dozzine di ragazzi e con nessun altro
aiutante all'infuori di sua madre, la quale faceva da cuoca, da cameriera,
da custode, insomma un po' di tutto, mentre allora quei ragazzi eran
divenuti legione e i suoi coadiutori si moltiplicavano ogni anno più
nel vecchio e nel nuovo continente.
Nel pomeriggio Doli Bosco passò un paio d'ore fra i suoi ascritti.
Prima benedisse la loro cappella: cappella decente, ma povera; basti
dire che era l'antica rimessa. Poi vestì dell'abito chiericale
un centinaio di giovani, in mezzo ai quali spiccava nell'abituale suo
umile atteggiamento il Servo di Dio Andrea Beltrami. Al termine della
funzione si assistette ad una curiosa scena. Tutti i novelli chierici,
uscendo dal sacro luogo, sfilavano attraverso al cortile, recando ognuno
la sua sedia. Fu una sorpresa anche per Don Bosco, il quale domandò
al direttore Don Bianchi la spiegazione del fatto. Questi gli rispose
non esservi che una sola sedia per ciascuno in tutta la casa e doversela
quindi i chierici portare seco in cappella, in istudio, in refettorio,
in camera. Il Santo disse sorridendo: - Oh così mi piace! Questa
casa incomincia bene.
Il Servo di Dio, come abbiamo riferito altrove, aveva detto un giorno:
- Don Barberis ha compreso bene Don Bosco. Per questo motivo Don Barberis
fu da lui preposto ai novizi nell'Oratorio e a S. Benigno, sicchè
divenne il Maestro ideale dei novizi salesiani. Affinchè dunque
nel nuovo noviziato l'educazione religiosa fosse continuata a dovere,
Don Bosco volle che Don Barberis ne tenesse l'alta direzione. La casa
venne affidata a Don Bianchi, che per parecchi anni era stato a S. Benigno
coadiutore fedele del Maestro e meritava tutta la fiducia; ma per conservarvi
integro lo spirito voluto dal Fondatore,
250
Don Barberis vi si recava il più sovente possibile, non mancandovi
mai soprattutto nei mensili esercizi della buona morte.
Il Santo ripigliò la via del ritorno nel pomeriggio del 5 fra
le dimostrazioni più cordiali dei Foglizzesi e dei Montanaresi,
ai quali ultimi, convenuti sulla piazza, dovette dare la sua benedizione.
Della vestizione fatta rese conto, appena rientrato nell’Oratorio,
alla signora Teodolinda Pilati di Bologna, come le aveva promesso prima
di partire (I).
Ill.ma Signora,
Sono di ritorno dalla funzione di Foglizzo. Ho benedetto l'abito a
cento dieci leviti, che si aggiunsero alla schiera di altri circa 500
che tutti si preparano a fine di recarsi a lavorare fra i selvaggi.
Li raccomando tutti alla carità sua e a quella della Sig. sua
sorella affinchè crescano nella scienza e santità e così
possano guadagnare molte anime al cielo.
Non solo fo di tutto buon grado la novena che piamente desidera, ma
è mia ferma intenzione di fare ogni mattino un memento speciale
nella Santa Messa a sua intenzione e per tutte quelle cose che formano
oggetto della sua carità e che sono tutte dirette ai vari bisogni
di Santa Chiesa.
Dio benedica Lei, i suoi parenti ed amici, e compatisca questo povero
vecchio e semicieco che le sarà sempre in Gesù e Maria
[Manca la data].
Ob.mo Servitore
Sac. GIOV. BOSCO.
(I) Infatti le aveva scritto:
Stimabilissima Signora,
La sua di cambio di f. 500 mi è regolarmente pervenuta ed è
pei nostri Missionari il più potente aiuto per la loro partenza
per la Patagonia. Io debbo in questo momento partire per Foglizzo per
vestire da chierici un centinaio di futuri Missionari.
Dopo due giorni sarò di nuovo qui e scriverò di nuovo.
Dio benedica Lei, sua sorella, i suoi parenti ed amici. Maria ci guidi
tutti per la strada del Cielo. Amen.
Torino, 4 novembre 1886.
Obbl.mo Servitore
Sac. GIO. BOSCO
251
Il Cielo sembrò voler mostrare cori i fatti che la casa di Foglizzo
era oggetto di una speciale provvidenza. Il 6 dicembre Don Bosco medesimo
a Don Marenco e a Don Viglietti, che lo accompagnavano nella solita
passeggiata pomeridiana, raccontò un tratto singolare della divina
Bontà verso quel noviziato. Il Direttore, avendo assoluta necessità
di una certa somma, venne a picchiare alla porta di Don Durando.
Apriamo qui una parentesi. Perchè di Don Durando e non di Don
Belmonte? Fallito l'esperimento della doppia direzione non tanto per
difetto del sistema, quanto perchè Don Francesia si mostrò
impari al bisogno (I), urgeva riordinare le cose dell'Oratorio sii altra
base (2). Si tornò dunque alla direzione unica, la quale venne
affidata all'autorità di Don Belmonte. Ma questo importava tale
peso di responsabilità, che il nuovo Prefetto Generale avrebbe
avuto bisogno della bilocazione per attendere contemporaneamente alle
due mansioni; perciò Don Bosco volle che Don Durando continuasse
di fatto a reggere la prefettura generale; il che permise a Don Belmonte
di dedicare per due anni all'Oratorio la maggior parte della sua attività
(3).
Don Bianchi pertanto, presentatosi a Doli Durando, gli disse che gli
mancavano 1960 lire per far fronte a liti impegno di somma urgenza.
- Che vuole? gli fu risposto. Vengo adesso da Doli Bosco, il quale che
ha dato tutto il danaro che era in casa. Non c'è altro. - Allora
Doli Bianchi, messo tra l'incudine e il martello, infilò la porta
di Doli Bosco, che, udito il caso, rispose: - Mali! non so proprio come
fare a contentarti. Ho dato tutto or ora a Doli Durando. Però
dev'essere giunta
(I) Questo è documentato nella corrispondenza di Don Lazzero
con monsignor Cagliero durante il 1885 e 86
(2) Don Cerruti scriveva a monsignor Cagliero il 12 ottobre 1886: “
Certo la direzione dell'Oratorio è parte importantissima della
Congregazione, e, come è adesso, non si può assolutamente
andare avanti ”.
(3) Nei nostri Annuari del 1887 e 88, accanto al nome del prefetto generale
Don Belmonte si legge: “ Direttore dell'Oratorio di S. Francesco
di Sales ”; e accanto a quello del consigliere generale Don Durando
“ Incaricato dell'uffizio di Prefetto ”.
252
qualche cosa dopochè. egli è stato qui. Tuttavia non
vi sarà, credo, tanto che basti. - Accostatosi al tavolino, tirò
a sè il cassetto e ne trasse del danaro. Lo contarono; erano
esattamente lire 1960!
Di ben altro genere, Ma ancor più sorprendente è un secondo
fatto, accaduto un Mese dopo. Nella vestizione del 4 novembre aveva
ricevuto l'abito da Don Bosco anche il giovane marsigliese Lodovico
Olive, che noi già conosciamo (I). Orbene in dicembre egli ammalò
gravemente di tifo. Poichè il male destava serie inquietudini,
ne f u avvertito Don Albera, che venne subito da Marsiglia e per agevolarne
la cura lo fece trasportare all'Oratorio. La vigilia di Natale Don Bosco
andò verso sera a visitare l'infermo e alla presenza del salesiano
Don Roussin gli disse. - Ti assicuro che la Madonna ti guarirà.
- Eppure i medici davano beli poche speranze di vita.
Il 28 arrivò il padre, che edificò quanti lo avvicinarono,
con la sua rassegnazione al volere di Dio e piena confidenza in Lui
Della Bontà divina egli aveva avuto di recente una prova in famiglia.
Una sua figliuola sembrava non dover più vivere. Il 9 dicembre
la giovinetta, sentendosi oltremodo sfinita, domandò che le si
ponesse sul capo una berretta di Don Bosco, conservata in casa. Presa
la berretta e piegatala, gliela posarono sulla testa. Pochi minuti dopo
disse alla mamma che stava meglio e che le togliesse pure la berretta.
Infatti s'addormentò, riposando alcune ore; del qual benefizio
non aveva più potuto godere dacchè teneva il letto. Il
giorno 18 suo padre telegrafava a Don Bosco per ringraziarlo delle preghiere
fatte, aggiungendo: “ Clara da alcuni giorni va molto meglio.
Domandiamo preghiere per buona convalescenza ”. Quand'egli partì
per Torino, la convalescenza faceva il suo corso normale. Quivi poi,
pranzando con Don
(I) Cfr. sopra, pag. 64. Egli avrebbe potuto fare il noviziato in
patria; ma non volle, perchè là, conoscendolo tutti, gli
avrebbero, diceva, usati riguardi, mentre a lui piaceva più conformarsi
interamente alla vita comune.
253
Bosco, gli fece alla fine un complimento, al quale il Santo rispose:
- Faremo un brindisi in Marsiglia, quando in capo alla tavola ci sarà
Lodovico bell'e guarito.
Non è a dire quanto conforto recassero queste parole al cuore
del padre. Tuttavia i dottori Vignolo, Gallenga, Fissore, Albertotti
e un altro dichiararono suo figlio spedito. Ma quello che non potevano
i medici, lo poteva bene Colei che è salus infirmorum. Nella
notte dal 1, al 4 gennaio Don Bosco fece un sogno, descritto da lui
medesimo nella forma seguente.
Non so se fossi sveglio o nel sonno, nemmeno potei accorgermi in quale
camera od abitazione mi trovassi, quando una luce ordinaria cominciò
a rischiarare quel luogo.
Dopo una specie di rumore prolungato apparve una persona intorniata
da molte e da molte altre che si andavano avvicinando. Le persone, i
loro ornamenti, erano così luminosi, che ogni altra luce restò
come tenebre, a segno che non si poteva più tenere il guardo
fisso sopra nessuno degli astanti.
Allora la persona che pareva alle altre di guida si avanzò alquanto
e incominciò in latino a parlare così: Ego sum humilis
ancilla quam Dominus misit ad sanandum Ludovicum tuum infirmum. Ad requiem
ille iam erat vocatus; nunc vero ut gloria Dei manifestetur in eo, ipse
animae suae et suorum curam adhuc habebit. Ego sum ancilla cui fecit
magna qui potens est et sanctum nomen eius. Hoc diligenter perpende
et quod futurum est intelliges. Amen (I).
Dette queste parole l'abitazione ritornò nella prima oscurità
ed io rimasi tutta la notte tra veglia e sonno, ma senza forza e come
privo di cognizione. Al mattino mi sono dato premura di avere novella
del giovane Ludovico Olive e mi venne assicurato che dopo una buona
notte egli era entrato in reale miglioramento. Amen.
Torino, 4 - 1887.
La notte appresso rivide la medesima apparizione, che in lingua latina
gli diede per il bene della Congregazione e dei giovani, parecchi avvertimenti
da lui così riferiti.
(I) lo sono l'umile ancella mandata dal Signore a guarire il tuo Ludovico
infermo. Egli era già chiamato al riposo; ora invece, affinchè
si manifesti in lui la gloria di Dio, avrà ancora da pensare
all'anima sua e a quelle de' suoi. Io sono l'ancella, alla quale ha
fatto cose grandi colui che è potente, e santo è il suo
nome. Rifletti attentamente a questo e capirai quello che deve avvenire.
Amen.
254
Continuatio verborum illius, quae se dixerat anciliam Domini: - Ego
in altissimis habito ut ditem filios diligentes me et thesauros eorum
repleam. Thesauri adolescentiae sunt castimoniae sermonum et actionum.
Ideo vos ministri Dei clamate nec unquam cessate clamare: Fugite partes
adversas, sive malas conversationes. Corrumpunt bonos mores colloquia
prava. Stolta et lubrica dicentes difficillime corriguntur. Si vultis
mihi rem pergratam facere custodite bonos sermones inter vos et praebete
ad invicem exemplum bonorum operum. Multi ex vobis p mittunt flores
et porrigunt spinas mihi et Filio meo.
Cur saepissime confitemini peccata vostra et cor vestrum semper longe
est a me? Dicite et operamini iustitiam et non iniquitatem. Ego sum
mater quae diligo filios meos et eorum iniquitates detestor. Iterum
veniam ad vos ut nonnullos ad veram requiem mecum deducam. Curam eorum
geram uti gallina custodit pollos suos.
Vos autem, opifices, escote operarii bonorum operum et non iniquitatis.
Colloquia prava sunt pestis quae serpit inter vos. Vos qui in sortem
Domini votati estis, clamate, ne cessetis clamare, donec veniat qui
vocabit
vos ad reddendam rationem villicationis vestrae. Deli Delictae meae
esse cum filiis hominum, sed osane tempos breve est: agite ergo viriliter
dum tempos habetis etc. (1).
Die 5 Ianuarii 1887.
Quella mattina del 5, fatto chiamare Don Lemoyne, gli manifestò
ogni cosa, dando luogo a un dialogo, di cui il suo interlocutore ci
lasciò memoria. Com'ebbe esposto quanto aveva veduto e udito,
proseguì: - E ora ti ho chiamato,
(1) Continuano le parole di colei, che si era detta l'ancella del Signore:
- Negli altissimi cieli io ho la mia stanza, per far ricchi coloro che
che amano e riempiere i loro tesori. Tesori dei giovani sono castigate
parole e caste azioni. Perciò voi, ministri di Dio, alzate la
voce e non stancatevi mai di gridare: Fuggite le cose contrarie, ossia
i cattivi discorsi. I discorsi cattivi corrompono i buoni costumi. Coloro
che hanno un parlare insensato e lubrico, assai difficilmente si correggono.
Se volete farmi cosa molto gradita, procurate di tenere buone conversazioni
fra voi e datevi scambievolmente esempio di ben operare. Molti di voi
promettono fiori e porgono spine a me e al mio Figlio.
Perchè fate confessioni così frequenti e il vostro cuore
è sempre lontano da me? Dite e fate il bene e non il male. Io
sono madre che amo i miei figli e detesto le loro colpe. Ritornerò
a voi per condurre alcuni al vero riposo. Mi prenderò cura di
essi come la gallina custodisce i suoi pulcini.
E voi, artigiani, siate artefici di opere buone e non d'iniquità.
I cattivi discorsi sono una peste che serpeggia in mezzo a voi. Voi,
chiamati ad amministrare l'eredità del Signore, alzate la voce,
non vi stancate di gridare finchè venga colui che chiamerà
voi a render conto della vostra amministrazione. È mia delizia
lo stare con i figliuoli degli uomini. Ma il tempo è breve; dunque,
finchè tempo avete, fatevi animo.
255
perchè tu mi dia consiglio. Debbo far sapere alla famiglia Olive
quello che ho sognato?
- Lo sa meglio di me, rispose Don Lemoyne, che la Madonna è sempre
stata tanto buona con lei.
- Oh sì, è vero.
- E che tanti di questi suoi sogni si sono avverati a puntino.
- È vero.
- E quindi, se mi permette, e per darne gloria a Dio, li chiamo visioni,
perchè tali sono.
- Hai ragione.
- Dunque noi abbiamo ogni ragione di credere che anche questo sogno
sia cosa soprannaturale che si avvererà e che Olive, benchè
disperato dai medici, guarirà.
- E quale sarebbe dunque il tuo consiglio?
- Per usare, se lei crede, un po' di prudenza umana, io direi di cominciare
a far correre la voce che Don Bosco ha sognato di Olive e che nel sogno
gli parve di aver concepito liete speranze.
- Ebbene, si faccia così.
- Ma lei, Don Bosco, faccia il piacere, scriva questo sogno. So che
stenta molto a scrivere, ma si tratta della Madonna. Se il fatto si
avvera, ecco un documento della materna bontà di Maria.
- Ebbene scriverò. - E scrisse così come qui sopra abbiamo
riferito.
Crediamo di non dover tacere un'altra circostanza. In una di quelle
notti il chierico Olive, quando stava malissimo, aveva sognato che Don
Bosco era entrato nella sua camera a visitarlo, dicendogli: - Sta' tranquillo,
fra dieci giorni verrai tu a trovarmi in mia camera. - La vivezza del
sogno lasciò nell'infermo la persuasione che Don Bosco in persona
fosse stato da lui e rifiutava di prestar fede a chi gli asseriva il
contrario. Il 10 gennaio le cose andavano tanto bene, che il padre ripartì
per la Francia. Il 12 Lodovico si alzò; il 24
256
comparve nel refettorio del Capitolo durante il pranzo, accolto dai
Superiori con grandi manifestazioni di gioia. Ristabilitosi completamente
in salute, non fece più ritorno a Foglizzo, ma andò per
volere di Don Bosco a continuare il suo noviziato in patria (I). La
sua salute si mantenne così buona che gli permise di prendere
parte nel 1906 alla prima spedizione di Missionari salesiani per la
Cina, dove fino al 1921, anno della sua santa morte, esercitò
un fecondo apostolato.
(I) Sul noviziato salesiano di Santa Margherita a Marsiglia la Semaine
religieuse di Nizza pubblicò nel primo numero di novembre un
articolo, che la signora Quisard segnalò a Don Lemoyne, dicendolo
scritto da Don Bosco stesso (App., Doc. 57).
CAPO X
Ultime cose del 1886.
A autunno avanzato, quando la vendemmia è da tempo finita, piace
andare in cerca di racimoli sfuggiti all'occhio dei vendemmiatori e
trovatine si piluccano con particolare diletto. Così faremo ora
noi, racimolando dagli ultimi quattro mesi del 1886 detti e fatti di
Don Bosco, che non poterono trovare luogo nelle pagine precedenti, ma
che pure hanno qualche valore.
A ottobre furono riprese le uscite pomeridiane in vettura. Giunto all'aperta
campagna, discendeva e ora sorretto da Don Viglietti, ora senza appoggi
avanzava passo passo, discorrendo intanto di molte cose. Era questo
per lui un vero riposo. Una sera ritornando s'imbattè nella carrozza
del Cardinale, che riconosciutolo fece fermare, balzò a terra
e si avvicinò a Don Bosco, chiedendogli premurosamente sue nuove
e dicendogli affettuose parole. Allontanato ch'egli si fu, Don Bosco,
avviandosi a casa, magnificava la bontà del grande Prelato.
Un'altra volta nel ritorno visitò le Suore del Buon Pastore,
presso le quali fin dai primi anni della sua dimora a Torino aveva esercitato
a lungo il sacro ministero. Si compiacque di conversare familiarmente
un'oretta con le religiose, riandando quei tempi lontani e le vicende
per la fondazione dell'Oratorio. Infine benedisse Suore e ricoverate,
lasciando di quell'ultima sua visita caro e Imperituro ricordo.
258
Ripigliò pure le sue settimanali conferenze agli alunni delle
classi superiori, tenendoseli attorno talvolta anche per un'ora intera.
Prima diceva loro qualche buona parola e poi chi voleva, si confessava.
Certe volte gli costava molto udire quelle confessioni, data la prostrazione
delle sue forze. Un giorno Don Viglietti per suggerimento del medico
lo pregò di desistere da tale fatica. - Già, già!
gli rispose ridendo. Tu ne hai fatto qualcuno di quei grossi e non vuoi
venirti a confessare, non è così? - Poi, prendendolo per
mano: - Eh, caro Viglietti, continuò, se non confesso almeno
i giovani, che cosa farò io ancora per essi? Ho promesso a Dio
che fin l'ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani.
Con siffatte adunanze egli mirava soprattutto a illuminarli circa la
scelta dello stato. Per essi e per tutti i giovani che si trovavano
nelle medesime condizioni aveva fatto tradurre dal francese e stampare
l'opuscoletto intitolato: Sentimenti di S. Tommaso d'Aquino e di S.
Alfonso Maria de' Liguori intorno all'entrata in religione (I). Migliaia
di copie ne furono spedite ai parroci delle diocesi pedemontane ed a
Cooperatori salesiani, affinchè, quanti ignoravano l'importanza
dello stato religioso, v'imparassero a non porre ostacoli alle vocazioni
(2).
Per consultare Don Bosco sulla sua vocazione venne a Torino una giovane
francese che doveva diventare una colonna dell'Istituto fondato in Africa
dal cardinale Lavigerie. Era essa in dubbio se farsi religiosa nelle
Missioni del Cardinale o claustrale in Francia o figlia di Maria Ausiliatrice.
Sapendola ricchissima, il Santo usò grande cautela di linguaggio;
non bisognava dare appiglio ad accuse ch'egli mirasse a carpire
(I) S. Benigno Canavese, 1886. La traduzione era del conte Prospero
Balbo.
(2) Perchè l'invio sortisse migliore effetto, vi si univa per
desiderio espresso da Don Bosco un bigliettino a stampa, nel quale si
diceva che “ nella fiducia di fare cosa utile il traduttore si
prendeva la libertà di mandare copia del libretto con preghiera
di un'Ave Maria secondo la sua intenzione ”.
259
eredità e doti. Due cose in ogni modo sono certe: che la giovane
si sarebbe fatta suora di Maria Ausiliatrice, se Don Bosco ve l'avesse
consigliata, e che Don Bosco ve l'avrebbe consigliata, se tale gli fosse
apparso il volere di Dio. Le parlò dunque così: - Se le
piace conservare un po' del genere di vita condotto finora presso i
suoi parenti, entri in una comunità di Francia, dove di buone
ce ne son tante. Invece se cerca solamente Gesù e la sua croce,
se vuole veramente soffrire con Gesù, vada nelle Missioni. -
In queste ultime parole essa intese la divina chiamata. Nel discorso
della vestizione il Cardinale fece menzione del fatto, che ricordò
poi nuovamente in una conferenza sulla tratta degli schiavi, da lui
tenuta l'anno seguente nella chiesa di S. Giuseppe a Marsiglia; poichè
in tale conferenza parlò pure della necessità di avere
suore e diede notizia della sua fondazione. La prima volta accennò
genericamente a un “ grande uomo di Dio, consultato a Torino ”
(I); ma la seconda volta, come i nostri Confratelli udirono, pronunziò
il nome di Don Bosco, aggiungendo nuove particolarità.
La signorina erasi prima rivolta al Cardinale per consiglio. In essa
egli aveva riscontrato la stoffa di una suora, quale si augurava di
trovare per il buon avviamento della sua recente fondazione africana.
La madre però si opponeva risolutamente alla vocazione della
figlia e l'opposizione era sostenuta da motivi non disprezzabili. Il
Cardinale, non sapendo che cosa decidere, prima di dire l'ultima parola
pensò di non fidarsi del suo giudizio, ma decise di rimettersi
ad un altro che giudicasse di quella vocazione. “ Mi rimisi ”
diss'egli, “ ad uno che non è in Francia, ma fuori, ad
un sacerdote la cui esistenza è tutta consacrata al bene delle
anime, che arde tutto di divozione per Maria Santissima, dalla quale
è continuamente protetto in modo visibile, fondatore di una Congregazione
religiosa che ormai si estende in ogni parte della terra,
(I) Mons. BAUNARD, Le Cardinal Lavigerie. Vol. II, pag. 398.
260
dotto, umile, la cui lunga esperienza dei cuori dà ogni fiducia
nella rettitudine de' suoi consigli, i cui miracoli non si contano più
perchè continui ”. Consigliò pertanto madre e figlia
a recarsi da lui perchè decidesse. Elleno obbedienti vennero
da Don Bosco, che le ascoltò separatamente e poi disse loro:
- Non si potrebbero accomodare le cose con una transazione?
- Quale? risposero.
- Che anche la madre si faccia suora insieme con la figlia! Alla madre
parve quella una voce del cielo. Ritornata al Cardinale, gli offerse
tutta se stessa, perchè la consacrasse al Signore. Allora si
trovava in Africa con la figliuola (I).
Venne da Don Bosco per consiglio anche un parroco di Torino, il teologo
Domenico Muriana, curato di S. Teresa e già allievo dell'Oratorio.
Egli si trovava in grossi guai per i debiti lasciati dal suo antecessore.
Subito dopo la nomina a quell'ufficio era stato dal Santo perchè
gli dicesse come doveva regolarsi per ben esercitarlo, e n'aveva avuto
i tre consigli ch'ei soleva dare in casi simili: aver cura dei fanciulli,
degl'infermi e dei vecchi. Allora il Santo gli domandò se li
avesse praticati. Don Muriana gli rispose di sì e che n'era contentissimo,
vedendosi circondato dall'affetto della popolazione. - Ebbene, riguardo
ai debiti, ripigliò Don Bosco, c'è un rimedio facilissimo.
- Quale sarà mai questo rimedio?
- Giuoca al lotto.
- Ma vincerò?
- Vincerai sicuramente.
- Se è così, compia l'opera e mi dia i numeri.
- Eccoli. Sono tre; ma ascolta e intendi. Fede, Speranza, Carità.
Non fare però come ha fatto qualcuno che, strappatemi le tre
parole, andò da un cabalista a farsi dare i numeri relativi.
(I) Don Ronchail fece a Don Lemoyne relazione del discorso di Marsiglia.
261
- Sono poi usciti quei numeri?
- Neppur uno! Tu giuoca bene queste tre virtù e pagherai tutti
i tuoi debiti.
Il giovane parroco nel 1891, raccontando il colloquio al pranzo dell'Oratorio
per la festa dell'Immacolata, disse che in tempo relativamente breve
aveva pagato tutti i suoi debiti. Nessuno più di Don Bosco avrebbe
potuto dare simile consiglio, avendone fatta in tutta la sua vita una
sì lunga e felice esperienza.
La sua fede infatti non otteneva miracoli? Alle tante grazie straordinarie
narrate fin qui aggiungiamo queste due, attribuite alle sue preghiere.
La comunità delle Orsoline addette al loro collegio di Piacenza,
trovandosi in una gravissima angustia, avevano invocato le preghiere
e la benedizione del Santo. Egli rispose loro: “ Il Signore accorderà
la grazia, ma nella maniera che sarà più proficua alle
anime ”. Iddio lo esaudì al disopra delle speranze (I).
L'altra grazia fu concessa al francese Girolamo Suttil, che da più
anni dimorava nell'Oratorio, occupandosi di cose librarie. Da vari mesi
soffriva tanto ad una gamba, che dovette essere trasferito all'ospedale;
un'infezione causata dallo scambio di una medicina per un'altra, sembrava
esigere l'amputazione. Un mattino con sorpresa sua e dei medici la gamba
fu trovata in ottimo stato. Quando l'infermo almanaccava per indovinare
il perchè di così subito mutamento, ecco giungere a lui
il chierico Festa per annunziargli da parte di Don Bosco la salute.
Il miglioramento erasi verificato fra le sette e mezzo e le otto, nel
tempo cioè che il Santo celebrava la Messa. La guarigione venne
completa (2).
A proposito di miracoli è da ricordare un episodio occorso a
Don Trione. Il zelantissimo salesiano, allora catechista degli studenti
nell'Oratorio, di ritorno da una breve missione, riferì a Don
Bosco i frutti mirabili delle sue prediche. Il
(I) App., Doc. 58.
(2) App., Doc. 59.
262
Santo gli disse sorridendo: - Ti voglio ottenere da Dio il dono dei
miracoli. - Ed egli intrepido come sempre nella sua semplicità:
- Niente di meglio! Così potrò più facilmente convertire
i peccatori. - Allora Don Bosco si fece serio in volto e riprese con
gravità: - Se tu avessi questo dono, ben presto, piangendo, pregheresti
Dio che te lo togliesse. - il Servo di Dio dovette pensare in quel momento
alla tremenda responsabilità che ha dinanzi al Signore chi riceve
da lui doni sì straordinari.
Tra i miracoli di Don Bosco bisognerà mettere anche l'eroica
fortezza, con cui sostenne lunghe e fiere contraddizioni e la sua pazienza
invitta nel sopportare diuturne e penose infermità.
Quante e quali vicende per ottenere la comunicazione dei privilegi!
A cose fatte, commise a Don Berto di riunire e ordinare tutti i privilegi
ottenuti, lavoro lungo e difficile, che i nostri archivi custodiscono
in un incartamento assai voluminoso. Allorchè la compilazione
era quasi al termine, il compilatore ne diede notizia a Don Bosco, dicendogli
che s'aveva motivo di andar lieti della comunicazione, che toglieva
di mezzo per l'avvenire molte difficoltà. Il Santo con profondo
sentimento gli rispose: - Ma per giungere a questo punto, abbiamo dovuto
passare il mar Rosso.
Del suo stato di salute in quei due ultimi anni Don Cerruti depose nel,
processo informativo (I): “ Quando e il mal di capo e il petto
affranto e gli occhi semispenti non gli permettevano più affatto
di occuparsi, era doloroso e confortante spettacolo vederlo passare
le lunghe ore seduto nel suo povero sofà, in luogo talvolta semioscuro,
perchè i suoi occhi non pativano il lume, pure sempre tranquillo
e sorridente con la sua corona in mano, le labbra che articolavano giaculatorie
e le mani che si alzavano di tratto in tratto a manifestare nel loro
muto linguaggio quella unione e intiera conformità alla
(I) Summarium, num. X, § 39.
263
volontà di Dio, che per troppa stanchezza non poteva più
esternare con parole. Quanto a me sono intimamente persuaso che la sua
vita negli ultimi anni soprattutto fu una preghiera continua a Dio.
Così opinano anche gli altri. Tanto è vero che entrati
in sua camera per vederlo e parlargli, lo trovavamo sempre come uno
che attende alla più profonda meditazione, pur senza darne segno
esteriore, chè il suo volto era sempre lieto, sereno e tranquillo,
com'erano di pace, di carità e di fede le parole che gli uscivano
di bocca ”.
Così Don Cerruti. Una sera di quell'autunno Don Berto, andato
da Don Bosco verso le cinque, lo trovò che passeggiava nella
sua galleria strascinandosi con grande stento. Il Santo vedendolo gli
disse ripetutamente: Iam delibor, iam delibor (I). Poi, fissandolo in
volto, aggiunse mesto e commosso: Tempus resolittionis meae instal.
Cursum consummavi (2). Allora il segretario ripigliando: - Ma S. Paolo
dice pure: Bonum certamen certavi, fidem servavi. In reliquo reposita
est mihi corona iustiliae, quam reddet mihi Dominus in ila die iustus
iudex (3). Il Servo di Dio cambiò discorso.
Abbiamo menzionato Don Cerruti. A lui come Consigliere scolastico della
Congregazione Don. Bosco indicò un compito importante e urgente,
dicendo in Capitolo il 19 novembre: - Bisogna l'anno venturo pensare
al modo di avere maestri patentati e fare iscrivere una decina dei nostri
chierici a qualche Università. È vero che si è
stabilito di mandare i soli preti alle Università, per il guasto
che queste scuole producono nelle anime inesperte, e per le defezioni
che cagionano; ma se fra questi chierici vi fosse qualche sacerdote
(I) S. PAOLO, II Tim., IV, 6. L'Apostolo vuol dire che sente imminente
la sua fine. Riguardando la sua morte come immolazione e alludendo alla
libazione con vino poco prima dei sacrifizi, dice: Il mio sangue sarà
Presto versato come libazione. Letteralmente: Io sono già offerto
in libazione.
(2) Ivi, 5 e 6: L'ora del mio risolvimento è imminente Ho terminata
la corsa. Cioè, la mia carriera è compiuta. Immagine della
corsa nello stadio.
(3) Ivi, 7 e 8: Ho combattuto il buon combattimento (immagine della
lotta nei ludi greci), ho mantenuto la fede (la fedeltà nelle
prove dell'aringo). Nel resto mi sta serbata la giusta corona, la quale
mi attribuirà in quel giorno il Signore, giusto giudice.
264
serio, si potrebbe sperare che servirebbe di antidoto e di guardia.
Si studierà il modo, ma bisogna assolutamente darci d'attorno
e provvedere insegnanti legali. Oggi bisogna combattere il nemico più
con lo scudo che con le armi. A questa incalzante spinta di Don Bosco
la parola incitatrice di Don Cerruti fece sì che numerosi Confratelli,
anche quando era già trascorso per essi il tempo più confacente,
si dedicassero a laboriosi studi per mettersi in grado di conseguire
i titoli legali indispensabili a poter impartire l'insegnamento negli
istituti privati.
Torna a sua vera e grande lode l'aver sistemato gli studi e le scuole
della nostra Società. Non già che prima non si fosse fatto
nulla questo riguardo. “ S'era fatto molto, moltissimo, scrive
Don Luchelli, buon testimonio di quel periodo anteriore (I), e il nome
di Don Celestino Durando resterà scritto a caratteri d'oro nei
nostri annali. Ma era quello ancora il periodo a dir così eroico
della nostra storia. La Pia nostra Società contava pochi anni
di vita. Vasto, sconfinato era il campo che si apriva all'azione: esiguo,
ristrettissimo, impari affatto al bisogno, il numero degli operai. Il
tempo dunque a mala pena bastava al lavoro della giornata, obbligato
ciascuno a moltiplicare se stesso, compiendo da solo gli uffici di parecchi.
E intanto Dio arrideva benedicendo agli animosi che pieni di buona volontà,
infiammati dallo zelo che attingevano al contatto di Don Bosco, affrontavano
le fatiche dell'apostolato coi santi ardimenti con cui il pastorello
Davide, armato di fionda, aveva affrontato il gigante Golia; nè
mai forse vi fu lavoro più fecondo di frutti ”. Non si
poteva però durarla sempre così; si facevano anzi voti
per una regolare formazione dei maestri e degli educatori salesiani.
Alla nobile impresa Don Cerruti dedicò tutta la sua energia (2).
(I) Sac. A. LUCHELLI, Don Francesco Cerruti. Elogio funebre, Torino,
Tip. SAID “ Buona Stampa ” 1917
(2) Quanta e quale fosse la serietà de' suoi intendimenti si
vide prima ancora che una votazione plebiscitaria lo confermasse nel
posto assegnatogli pochi mesi avanti da Don Bosco. Nel 1886 ricorreva
il XV centenario
265
Don Cerruti fu uno di quegli uomini provvidenziali, che Don Bosco,
cresciutili fin da piccoli nell'Oratorio, si trovò ai fianchi
nell'ora opportuna, allorchè in sul declinare egli abbisognava
per la sua opera di potenti ausiliari, che la reggessero con mano ferma,
la organizzassero saldamente e provvedessero alla sua espansione. Dotato
di spirito metodico, di forte volontà e di senno pratico, portò
nel disimpegno del trentennale suo ufficio somma prudenza, calma e costanza.
Il quale ufficio si estendeva pure all'Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice e alla direzione della stampa salesiana. In ogni suo campo
egli fu un suscitatore di energie, possedendo in alto grado l'arte d'inanimire
all'azione. In tutto poi il suo operare nulla ebbe più a cuore
che tener vivo tra i Confratelli lo spirito del Fondatore. Festeggiandosi
il venticinquesimo anniversario della sua elezione a Direttore generale
degli studi, scrisse in un pubblico ringraziamento ai Soci: “
Ogni giorno che passa mi persuade ognor più della necessità,
che per noi è dovere, di stare attaccatissimi agli insegnamenti
di Don Bosco anche in fatto di istruzione e di educazione, e da questi
insegnamenti non dipartirci mai, neppur d'un punto. Lungi da noi i novatori!
”.
Una bella giornata si trascorse intorno a Don Bosco il 30 novembre nel
collegio di Valsalice. Vi si festeggiava la distribuzione dei premi
ai nobili convittori. Il cardinale Alimonda e il teologo Margotti passarono
alcune ore del mattino e della sera con il Santo. Al saggio Sua Eminenza
fece sul valore e sull'efficacia della disciplina una delle sue affascinanti
improvvisazioni. Verso le diciotto Don Bosco ritornò all'Oratorio
(I). La sera di quel giorno il Cardinale scrisse a monsignor Cagliero:
“ Oggi ho passato quasi tutta la giornata al Collegio di Valsalice:
era la distribuzione dei premi,
della conversione di S. Agostino. Ora egli ideò di commemorare
l'avvenimento con un'accademia che si tenne a S. Giovanni Evangelista
il 10 giugno. Il programma rivela la mentalità dell'uomo. La
lettera d'invito, recante la firma di Don Bosco, dev'essere stata scritta
da lui (App., Doc. 6o).
(I) Cfr. Unità Cattolica, 2 dicembre 1886,
266
e riuscì bella, interessante come tutte le feste salesiane.
Ma nulla ci interessa quanto il carissimo Don Bosco il quale era con
noi, sempre gioviale, sempre sereno e contento, non peggiorato di salute,
benchè soggetto ai soliti incomodi. Il Signore vorrà riservarlo
a molte belle imprese ancora, tra cui non è a trascurare la partenza
di un bel drappello di missionari stabilita per posdomani. Non voglio
privarmi della consolazione di assistervi e di pregare sull'eletta schiera
tutte le benedizioni del Cielo ” (I). Ben a ragione Don Cerruti
aveva scritto a Monsignore (2): “ Il Cardinale Alimonda è
sempre il nostro affettuosissimo protettore e certo uno dei più
grandi conforti e sostegni all'amatissimo Don Bosco ”.
Sul principio dell'anno Don Bosco aveva fatto litografare i ricordi
confidenziali scritti da lui e mandati ai Direttori delle case nel 1871,
ponendovi con la firma la data seguente: “ Torino, 1886. Festa
dell'Immacolata Concezione di Maria SS. 450 anniversario della fondazione
dell'Oratorio ”. Ne inviò copia a tutti i Direttori, premettendovi
per intestazione: “ Strenna natalizia ” (3).
Due salesiani, da lui mandati a predicare una missione nella parrocchia
di S. Antonio a Bra, dov'era Vicario il suo ex - allievo Don Luigi Pautasso,
tornarono narrando mirabilia di quei buoni cristiani. Il Santo, ciò
udito, scrisse al Vicario questa letterina.
Carissimo Sig. Vicario,
Con somma consolazione ricevo la notizia del buon successo ottenuto
dagli Esercizi che i nostri Sacerdoti hanno dettato in questa tua Parrocchia.
Dio sia sempre benedetto in tutte le cose, e Maria A. ci aiuti e sempre
ci protegga per conservare il frutto. Di tutto buon
(I) App., Doc. 61.
(2) Torino, 12 ottobre 1886.
(3) Erano i ricordi che si leggono in LEMOYNE, M. B., vol. VII, pag.
524 sgg. Don Rua in una sua del 29 novembre a monsignor Cagliero: “
D. Lasagna porta ai Direttori una strenna consistente in una Collana
di ricordi confidenziali che il sig. D. Bosco, colla lunga sua esperienza,
per loro raccolse. Sappiano tutti trarne il maggior profitto ”.
267
cuore benedico te, tutti i tuoi parocchiani, e la misericordia divina
ci assista sempre a vivere e morire tutti nella sua santa grazia.
Pregate anche per me che sarò sempre in G. C.
Torino, 19 dicembre 1886.
Aff.mo amico
Sac. Giov. Bosco.
Il 20 dicembre cessò di vivere a Torino il venerando barone
Manuel in età molto avanzata, Gentiluomo assai benefico avrebbe
voluto da vecchio ritirarsi dalla Società di S. Vincenzo de'
Paoli e da altre Opere pie; prima però di far questo, pensò
di prendere consiglio da Don Bosco. - Continui, gli rispose il Santo.
Lavoriamo fino all'ultimo della vita a fare tutto il bene possibile.
- “ E così ho deciso di fare ” , lasciò egli
scritto nelle sue memorie.
Quel giorno vi fu adunanza capitolare, nella quale Don Bosco prese più
volte la parola, dicendo cose interessanti e utili, che trarremo alla
luce dai verbali della seduta. Assisteva anche Don Albera, perchè
si doveva trattare di vari cambiamenti del personale nelle case di Francia;
fra gli altri, Don Cartier, direttore a S. Margherita, sarebbe dovuto
passare come vicedirettore in quella di Nizza, per poi occuparvi il
posto del direttore Don Ronchail, destinato per l'anno seguente a Parigi.
Ma si affacciò una difficoltà. - Nizza Marittima, osservò
taluno, è centro di Cooperatori non solo della Francia, ma dell'Europa
intiera e dell'America, perchè in questa città convengono
forestieri da ogni parte del mondo, e qui appunto si fanno ascrivere,
qui si stringono con essi relazioni, qui si procura che facciano poi
proseliti nelle loro patrie. Ora non sembra che il naturale di Don Cartier
e la sua poca attitudine a questuare sia quello che potrà maggiormente
giovare alla nostra Pia Società.
Don Bosco rispose: - Perchè il naturale concentrato di Don Cartier
non sia di ostacolo alle relazioni con i Cooperatori, Don Ronchail lo
accompagni e lo presenti a tutte le case dei benefattori. Certo è
che il saper questuare non è
268
un dono che abbiano tutti. Ci vuole franchezza, umiltà prontezza
nell'assoggettarsi a sacrifizi, saper parlare accaparrandosi gli animi
ed essere misurati nelle parole per non offendere le suscettibilità.
Per far conoscere il nuovo direttore servirsi del Bollettino che ne
dia l'annunzio (I). Pubblicare una lettera circolare, in cui si dica:
“ Le convenienze hanno chiamato Don Ronchail a direttore della
casa di Parigi. I Superiori han giudicato che io, Don Cartier, venissi
a fare le sue veci. Mentre ho l'onore di annunciarle la mia scelta,
mi raccomando alla loro carità e ai loro consigli ecc. ecc. ”.
Lo stesso Ronchail, giunto a Parigi, scriva una circolare somigliante
ai Cooperatori di quella metropoli. - Oggi, quanti conoscono Don Cartier,
sanno che egli è diventato a Nizza un questuante insuperabile;
per questo negli ultimi anni di crisi economica generale è riuscito
a innalzare in breve tempo una chiesa a Maria Ausiliatrice, spendendovi
parecchi milioni. A proposito di Parigi, Don Rua disse che Don Bellamy,
girando tutto un giorno per la città, non aveva raccolto che
sette franchi. Don Bosco replicò: - In questi casi di bisogno
il Direttore faccia litografare un centinaio di lettere che dicano:
“ La casa di Ménilmontant si trova in grave bisogno; manca
della tale e tal altra cosa. Nel tal giorno passerò per ricevere
l'obolo della sua carità ecc. ecc. ”. In questo modo si
raccoglierà qualche somma; altrimenti, se si va a fare una visita
inaspettati, all'improvviso, non conosciuti senza dimostrare il proprio
titolo e autorizzazione, non si fa nulla. Potrebbe anche farsi un biglietto
di visita, facendovi stampare sotto il proprio nome questa riga: Raccomando
al Signor (il nome in bianco per poi scriverlo a penna) i poveri giovani
della casa tale di cui sono Direttore, pregandolo che voglia tenermi
a memoria nella sua carità. Questi biglietti di visita
(I) Il Bollettino francese di giugno 1887 prese occasione dall'annunzio
della morte di madame Levrot per fare il nome di Don Cartier come direttore
della casa di Nizza, e nel numero seguente pubblicò un suo cenno
necrologico sulla pia Cooperatrice.
269
potrebbero stamparsi per tutti i Direttori di quelle case che vivono
di beneficenza. Vi si potrebbe anche mettere il motto: Chi dà
ai poveri sarà largamente ricompensato dal Signore.
Don Albera chiese di poter comprare un terreno che rinquadrava il cortile
della casa di S. Leone; si sarebbero dovuti pagare ventimila franchi
in rogito. Il Capitolo approvò, e Don Bosco disse: - Anche in
questo caso si potrebbe scrivere una circolare dopo fatto il compromesso
col proprietario e formularla così: “ Abbiamo in casa tanti
giovani: ci sarebbe necessità di nuove costruzioni e allora ritireremo
tanti altri fanciulli di più (50, 80 100 ecc.). Ci vorrebbe la
tale somma. La Signoria Vostra è pregata di firmarsi per quella
somma di danaro che crederà, acciocchè noi possiamo sapere
su quali capitali ci sia dato di contare ” . E si va oggi da un
benefattore, domani da un altro con un quaderno nel quale raccogliere
le firme.
Il Capitolo rise nel vedere con quanta facilità Don Bosco escogitava
mezzi pratici per avere elemosine. Ed egli riprese a dire: - Una volta
poteva io lavorare andando attorno in cerca di soccorsi; ma ora mi limito
a lavorare di continuo con la mente. Formato un progetto, esamino il
pro e il contro, lo determino, lo stabilisco... Ora si tratta della
compera di quel terreno. Ebbene Don Albera mi mandi la nota dei principali
signori della città di Marsiglia; io scriverò loro. Qualche
grazia di Maria Ausiliatrice farà il resto.
Altra volta si era già trattata la compera di una tipografia,
che il signor Mingardon marsigliese voleva cedere a condizioni favorevolissime;
ma non si era concluso nulla. Don Albera rinnovò la proposta.
Don Bosco disse: - Ci vorrà un'amministrazione, perchè
si possa da noi ricavare vantaggio con simile contratto; ma ciò
che ha anche solamente ombra di commercio fu sempre fatale agli Ordini
religiosi.
A Natale fu inaugurato il nuovo refettorio del Capitolo Superiore al
secondo piano, attiguo alla biblioteca e vicinissimo all'appartamento
di Don Bosco, che così vi si sarebbe
270
potuto recare senza difficoltà (I). Nella medesima circostanza
venne festeggiata la prima Messa di Don Viglietti.
Dopo Natale accadde nell'Oratorio una novità. Nel giorno di S.
Giovanni Evangelista per la prima volta tutti gli artigiani si accordarono
per celebrare il vero onomastico di Don Bosco; quindi ogni laboratorio
gli mandò il suo indirizzo firmato dai singoli giovani, non che
dai rispettivi capi e assistenti. Ognuno prometteva comunioni, visite
a Gesù Sacramentato e a Maria Ausiliatrice e preghiere (2).
Pregavano per Don Bosco anche tanti Vescovi d'Italia, come ci tenevano
ad assicurarlo rispondendo al suo appello di ottobre. Uno di essi che
da quando era canonico a Vercelli aveva pei lunghi anni sempre teneramente
venerato e aiutato il Santo, monsignor Degaudenzi; vescovo di Vigevano,
scriveva a Don Rua il 4 gennaio 1887: “ Unisco a questa mia una
tenuissima offerta per le missioni dei Salesiani di Don Bosco (3). Quanto
sono spiacente di non potere di più! Faccio questa piccolissima
offerta anche per ottenere che ci conservi il Signore codesto uomo di
Dio che è il Sig. Don Bosco. Gli faccia animo per parte mia.
L'assicuri che qui si prega, si prega al Seminario, alle case religiose
per la sua salute. E nel triduo che nei due ultimi giorni dell'anno
precedente e nel primo del corrente si fece in tutte le chiese della
Diocesi pel Santo Padre in onore del SS. Cuore di Gesù, io alla
Benedizione del SS. che diedi in Duomo, feci pregare pubblicamente pel
caro e venerato Don Bosco. Benedico all'ammirabile uomo che scorre la
sua vita beneficando ” .
La menzione fatta pocanzi degli artigiani ci porta a ricordare un fatto
che li riguarda. Nel 1886, per poter esaudire maggior numero di domande,
Don Bosco aveva fatto costruire tre vasti ambienti lunghi circa venticinque
metri e
(I) Non molto dopo la morte di Don Bosco il suo successore tornò
nel refettorio comune.
(2) App., Doc. 62 ABCDEF
(3) Mandava lire 40
271
larghi sette nell'angolo del primo cortile, dove sorge presentemente
la casa capitolare. Il nuovo locale non era ancora bene asciutto, quando
i superiori dell'Oratorio vi misero una cinquantina di alunni. Il catechista
Don Ghione, che li visitava mattino e sera nell'ora della levata e del
riposo, vedeva i loro letti pieni di umidità gocciolata dalle
travi del soffitto; perciò, temendo che si ammalassero tutti,
espose a Don Bosco il caso. Il buon Padre gli domandò, se fosse
possibile trasportare i letti altrove; Don Ghione gli rispose che si
era pensato, ma senza poter trovare dove. Allora egli si raccolse un
istante in silenzio, poi disse - Eh!... lasciali dove sono.
- Ma quest'inverno ammaleranno tutti, replicò il catechista;
anzi le dirò che l'assistente è già ammalato, da
tre giorni.
- Sta' tranquillo, ripigliò il Santo; neppure un ammalerà.
Infatti, neppur uno in tutto l'inverno cadde ammalato; anzi l'assistente
in breve guarì (I).
Frattanto s'era giunti all'ultimo dell'anno. Che Don Bosco fosse per
discendere in Maria Ausiliatrice dopo le orazioni della sera, nessuno
osava pensarlo. Che si fece dunque? Tutti, artigiani, studenti e Confratelli
si radunarono poco prima del tramonto sotto le sue finestre e là
cantarono in coro con entusiastico slancio la nota canzoncina:
Andiamo, compagni,
Don Bosco ci aspetta:
La gioia perfetta
Si desta nel cuor.
Il Santo Vegliardo, sorretto da due sacerdoti, si affacciò commosso,
si appoggiò alla ringhiera del ballatoio e sporgendosi quanto
poteva, ringraziò e augurò a tutti buona fine e buon principio
con la benedizione del Signore e della Madonna.
(I) Relazione di Don Ghione, Bollettino salesiano, ottobre 1925.
CAPO XI
Vita di ritiramento.
L’INVERNO, e inverno piemontese, grave per tutti i vecchi, aggiungeva
per Don Bosco incomodi a incomodi, forzandolo ad una vita interamente
chiusa nel suo modesto appartamento; cosicchè i giovani non lo
vedevano più all'infuori dei fortunati della quarta ginnasiale,
che di quando in quando erano ammessi a visitarlo e a confessarsi da
lui. Si ricordi che era cominciata nel 1886 la soppressione della quinta.
Il 22 gennaio li confessò per oltre due ore. Vi passarono tutti,
meno uno, che non si fece vedere; ma la sua assenza non fu notata, perchè
da qualche tempo molti di essi o per aver scelto un altro confessore
o per essere impediti in quell'ora dallo studio o per altri motivi non
andavano più o andavano di rado a confessarsi da Don Bosco.
Quella volta però il Santo se ne addiede; infatti la sera appresso
mandò a chiamare quel tale. Fattolo sedere accanto a sè,
dopo aver discorso di varie cose, gli domandò: - Perchè
da parecchi mesi non vai più ai sacramenti? - Il giovane, abbassato
il capo, non gli rispondeva. Allora Don Bosco, rotto il silenzio, lo
interrogò:
- Vuoi che te lo dica io il perchè?
- Sì, me lo dica, rispose.
- Ecco, è per questo e per questo. - E in così dire gli
svelò con tono paterno i peccati, per i quali il poverino si
vergognava di andarsi a confessare. Quegli sbalordito lo
273
guardava senza più sapere come raccapezzare le idee, finchè
cadde in ginocchio e si confessò. Uscito dalla stanza e incontrato
Don Viglietti, gli disse con la confidenza che i giovani avevano con
lui: - Don Bosco mi ha detto così e così e ha indovinato
tutti i miei peccati.
In altra occasione, parlandosi delle grazie che la Madonna faceva all'Oratorio,
Don Bosco disse al medesimo segretario: - Maria ci vuole troppo bene.
È inutile che i nostri giovani tentino di nascondere quello che
hanno in cuore; io lo vedo e lo rivelo.
Le udienze degli esterni continuavano, ma assai meno di prima, perchè
i segretari avevano ordine dai medici e dai superiori di limitarne il
numero e la durata. Il 2 gennaio venne a visitarlo il cardinale Alimonda,
intrattenendosi con lui per lo spazio di un'ora. Venne il giorno 5 monsignor
Ordonez, vescovo di Quito, per chiedergli in nome del Presidente della
Repubblica equatoriana almeno quattro Salesiani; andato quindi a Roma,
ripassò nel ritorno e ottenne formali promesse. Ma già
il 10 gennaio Don Bosco aveva detto a Don Viglietti, che lo riferisce
nella sua cronaca: - Adesso ho il grillo di provvedere quanto più
presto ad una partenza di Missionari per Quito e la Repubblica dell'Equatore.
Là è un centro di Missione, dove si possono trovare anche
vocazioni.
Venne fra gli altri anche Don Guanella. Dopo essersi nel 1878 allontanato
dall'Oratorio, egli non aveva più ardito ricomparirvi; Solo il
22 gennaio del 1887 si fece animo e visitò Don Bosco. Dopo la
morte del Santo, scrivendo di quella visita, esprimeva così l'impressione
prodottagli da Don Bosco: “ Mi parve trasformato. Nel diafano
di quel volto mi pareva scorgere un raggio della divina grazia. Benedisse
di gran cuore a me genuflesso ai suoi piedi, e alle minime opere mie
”.
Venne da Nizza Mare il giovane sacerdote Don Raimondo Jara, più
tardi Vescovo di Ancud nel Cile. Egli viaggiava per la Francia in cerca
di mezzi per fondare un'Università cat -
274
tolica a Santiago. Presentò a Don Bosco da benedire medaglie,
immagini e fra queste il ritratto di mamma Margherita. Il Santo, veduto
questo, ne fu scosso, lo contemplò qualche istante e poi mostrandolo
al visitatore: - Amatela! - gli disse. Traversando con Don Bosco il
corridoio davanti agli uffici e vedendolo così stretto, disse
rispettosamente: - Se non è baldanza la mia, vorrei chiederle
una spiegazione.
- Parli pure.
- Se ci fosse nella sua Congregazione un padre un po' corpulento, come
farebbe a passare in questo corridoio? Perchè l'ha fatto così
stretto?
- Perchè... perchè... per combattere le tentazioni.
Don Jara capì. Ritornato nel Cile, costrusse un grande edifizio
diviso in tanti appartamentini per accogliervi in pensione cento ottanta
studenti universitari della provincia, e durante i lavori, rammentando
le parole di Don Bosco, vi fece corridoi strettissimi con la porta molto
bassa. Orbene nel 1891 durante la guerra civile provocata dal Presidente
Balmaceda la casa fu sequestrata e messa all'incanto. Situata com'era
nel punto più centrale della città, fece venire a parecchi
la voglia di acquistarla; ma quei corridoi, quelle porte spoetizzavano
chiunque la vedeva e mandavano via la tentazione, sicchè essa
tornò all'uso primitivo con soddisfazione dei professori che
ne sperimentavano la necessità.
Nella quiete della sua stanzetta dedicava gran tempo al disbrigo della
corrispondenza. All'Oratorio arrivavano quotidianamente in quantità'
incredibile lettere per affari, per grazie di Maria Ausiliatrice, per
le Letture Cattoliche, per il Bollettino, per riscontro a circolari,
provenendo dall'Italia, dalla Francia, dalla Svizzera, dal Belgio, dalla
Polonia, dalla Russia, dall'Asia Minore, dalle Indie, dalle Americhe.
Di queste lettere moltissime erano indirizzate a Don Bosco. Terminatone
lo spoglio, il Santo si' faceva leggere da persone fidate quelle che
lo riguardavano personalmente; allora, non potendo più rispondere
sempre egli stesso, il più
275
sovente incaricava altri della risposta. Prendiamo conoscenza di qualche
scambio epistolare, di cui ci è rimasta copia.
Due lettere sui generis giuntegli dalla Francia si aggiungono alle tante
prove della straordinaria opinione di santità, in cui vi era
universalmente tenuto Don Bosco. Un tale, che già più
volte l'aveva consultato intorno a cose di coscienza e specialmente
circa un suo partito di matrimonio, alla vigilia del fidanzamento lo
supplicava di dirgli se, da buon cristiano, faceva bene a sposare una
certa signorina. Il Santo gli rispose: “ Ella può con tutta
tranquillità sposare quella persona, che formerà la felicità
sua, se entrambi frequenteranno la santa comunione. Raccomando alla
sua carità i miei orfanelli. Preghi per me e Dio la benedica
e la Santa Vergine sia sempre la sua guida ”. Un altro non conosceva
affatto Don Bosco; ma, inteso da chi l'aveva visto a Parigi essere egli
uomo di gran fede, si faceva ad esporgli il proprio caso. Da alcuni
anni pensava di sposare una tale; ma questioni d'interesse avevano portato
a rompere le trattative.
Nondimeno egli avrebbe voluto riannodare le relazioni; perciò
lo pregava di esaminare la cosa davanti a Dio e di comunicargli poi
il risultato della sua pia e caritatevole meditazione. “ Troverò
io, domandava, nella vagheggiata unione gli elementi della felicità
terrena e celeste? Il crollo delle mie speranze non sarebbe indizio
che il Signore mi chiama per altra via? ”. Ecco la risposta di
Don Bosco: “ Senta il parere del suo direttore spirituale. Se
sarà affermativo, procuri solamente che la persona di cui mi
scrive, frequenti la santa comunione. Per il resto stia tranquillo.
Io prego per Lei e la raccomando a' miei orfanelli. Dio la ricompensi
largamente della sua carità”. Quel signore aveva accluso
nella sua lettera una caritatevole offerta (I).
Letterine o biglietti di ringraziamento per oblazioni ricevute dovevano
essere assai frequenti.
(I) App., Doc. 63.
276
Per il capo d'anno il principe Augusto Czartoryski gli aveva spedito
un'offerta, manifestandogli insieme quanto i Cooperatori Polacchi fossero
sempre affezionati al fondatore dei Salesiani. Ringraziandolo della
carità e della buona notizia, egli non toccò della vocazione,
certo per riguardo al padre, ma si contentò di scrivere: “
In ogni caso creda pure che noi non cesseremo di pregare Dio per Lei
e per tutti i suoi interessi ” (I).
Alla Contessa Alessandra di Camburzano scriveva:
Benemerita Signora Contessa,
Mi rincresce assai che Ella sia sofferente. Pregherò e farò
eziandio pregare per la sua sanità. Comprendo benissimo che Ella
ha delle croci: ma ne abbiamo tutti qualcheduna, ad eccezione di Don
Bosco, che non ne ha alcuna.
Le cose di questo mondo pare che si avvicinino alla crisi: ma Dio è
Padre infinitamente buono, ma infinitamente potente, perciò lasciamolo
fare.
La ringrazio per la strenna che mandami pei nostri orfanelli. Dimani
essi faranno la santa Comunione per Lei ed io coll'aiuto di Dio celebrerò
la santa Messa. Maria sia nostra guida al cielo.
9 - 1887, Torino.
Obbl.mo Servitore
Sac. G. Bosco.
Alla baronessa Azeglia Ricci, nata De Maistre e da lui conosciuta piccina,
mandò nel giorno di S. Francesco di Sales un'immagine con queste
righe: “ Signora Baronessa Ricci. Dio vi benedica e ricompensi
largamente della vostra carità. I nostri preti, missionari, orfanelli
si uniscono a me a pregare ogni giorno per voi ” (2).
Ricorrenze, nomine, eventi lieti di personaggi, a cui lo
(I) App., Doc. 64.
(2) Alla medesima per il capo d'anno il Santo aveva scritto sopra un
biglietto di visita: “ L'abbè JEAN Bosco vous présente
ses respectueux hommages, il prie et fait prier ses orphelins pour vous
et à toutes vos intentions, il appelle sur vous et les vòtres
les meilleures bénédictions du. ciel. 1 - 1887 ”.
277
legavano vincoli di sudditanza o di gratitudine, non lo lasciavano
mai indifferente.
Nel 1887 il mondo cattolico celebrava il giubileo sacerdotale di Leone
XIII. In suo onore sul principio dell'anno a Bassano Vicentino si preparava
un Numero Unico intitolato Exultemus, per il quale i compilatori chiedevano
agli uomini più ragguardevoli del campo cattolico scritti adatti
all'occasione. Non potevano dimenticare Don Bosco. Egli il 18 gennaio,
dicendosi nell'impossibilità di fare un articolo, formulò
la seguente dichiarazione: “ Quello che tuttavia posso compiere
si è di confessare, come confesso altamente, che fo miei tutti
i sentimenti di fede, di stima, di rispetto, di venerazione, di amore
inalterabile di S. Francesco di Sales verso il Sommo Pontefice. Ammetto
con giubilo tutti i gloriosi titoli che egli raccolse dai Santi Padri
e dai Concili, e dei quali, formata come una corona di preziosissime
gemme, adornò il capo del Papa, quali sono tra gli altri: di
Abele pel Primato, di Abramo pel Patriarcato, di Melchisedecco per l'ordine,
di Aronne per la dignità, di Mosè per l'autorità,
di Samuele per la giudicatura, di Pietro per la Potestà, di Cristo
per l'unzione, di pastore di tutti i pastori, e più di quaranta
altri non meno splendidi ed appropriati. Intendo che gli alunni dell'umile
Congregazione di S. Francesco di Sales non si discostino mai dai sentimenti
di questo gran Santo, nostro Patrono, verso la Sede Apostolica; che
accolgano prontamente, rispettosamente e con semplicità di mente
e di cuore, non solo le decisioni del Papa circa il dogma e la disciplina,
ma che nelle cose stesse disputabili abbraccino sempre la sentenza di
lui anche come dottore privato, piuttosto che l'opinione di qualunque
teologo o dottore del mondo. Ritengo inoltre che questo si debba fare
non solo dai Salesiani e dai loro Cooperatori, ma da tutti i fedeli,
specialmente dal Clero; perchè oltre il dovere che hanno i figli
di rispettare il Padre, oltre i doveri che hanno i cristiani di venerare
il Vicario di Gesù Cristo, il Papa merita ancora ogni deferenza,
278
perchè scelto di mezzo agli uomini più illuminati per
dottrina, più accorti per prudenza, più cospicui per virtù,
e perchè nel governo della Chiesa è in modo particolare
assistito dallo Spirito Santo ”.
Il Cardinale Di Canossa, vescovo di Verona, gli aveva scritto il 26
dicembre raccomandandogli il suo fratello Ottavio e dicendogli: “
Ella benedica lui, me e tutta la nostra famiglia. Mi raccomando di nuovo
alle sue fervide orazioni, specialmente per un affare, che sto da tempo
chiedendo al Signore. Mi comandi se valgo ”. Infine gli professava
la sua “ illimitata stima e devozione ”. Don Bosco tre settimane
dopo gli rispose:
Eminenza Reverendissima,
Ho ricevuta colla massima consolazione i saluti e la benedizione di
V. E. R.ma ed ho avuto il piacere di ossequiare il Sig. suo fratello
C.te Canossa. Al presente tutte le nostre preghiere sono dirette alla
Santa V. A. affinchè conservi ancora ad multos multos iubilares
dies la E. V. a gloria della Chiesa, a sostegno dei bisognosi, specialmente
dei poveri Salesiani che umilmente, ma caldamente si raccomandano alla
carità delle preghiere di V. E.
Ci benedica tutti e si degni considerarci suoi poveri, ma affezionatissimi
figli e servitori.
Torino, 14, 1887.
Per tutti
Sac. Gio. Bosco.
Compatisca questo scritto cattivo.
A giro di posta il Cardinale gli manifestò per queste righe la
sua vivissima gioia. Questo scritto è un documento prezioso che
fa vedere in quale alto concetto un sì grande luminare della
Chiesa avesse Don Bosco e la sua Opera. Verona si preparava a festeggiare
prossimamente il giubileo d'argento episcopale del suo Vescovo. Leone
XIII ne aveva preceduto i diocesani con una lettera gratulatoria, a
cui qui si fa allusione.
279
Ven.mo e Car.mo Don Bosco
Dopo la stupenda lettera del nostro Santo Padre Leone XIII, nessun'altra
delle ricevute in questi giorni, mi ha recato tanta gioia e consolazione,
quanto la affettuosissima sua ricevuta stamane! Mille e mille grazie!
Fra tante occupazioni sante. Ella ricordarsi della umile persona mia
non solo, ma prendersi il disagio di scrivermi Ella stessa di propria
mano? Gliene sono tenuto di cuore; ed altro non potendo, pregherò
vieppiù del solito il Signore a benedire Lei e le salutifere
di Lei imprese. Dissi vieppiù giacchè li stimo e li amo,
sì, i suoi Salesiani, e sebbene indegnamente nella Santa Messa
ogni mattina fo un memento per le Missioni, ed in ispecie per l'Africa,
per la Patagonia e per la Cina, ove le Canossiane fanno gran bene.
Povera Africa! Oh faccia Ella la carità di pregare prima per
me (che ne ho sì grande il bisogno; il so io), e poi per quella
sventurata Missione! Sappia che un dì io dissi ai Superiori di
questo piccolo Seminario per l'Africa centrale: - Se ci accetta, passiamo
tutti sotto Don Bosco con armi e bagagli e andiamo in America che è
altro paese. Ma ad essi parve di dover rispettare la memoria e l'opera
del lacrimato Mons. Comboni e di dover aspettare se piaccia al Signore
di riaprire la via fra i negri. Ed io non volli insistere.
Frattanto la ringrazio cordialmente di tutto e con Lei ringrazio assai
gli ottimi suoi Salesiani, dei quali Ella mi promette la maggiore delle
grazie per me, le loro preghiere. E la prego a benedirmi; ed a credermi
sempre di tutto il cuore
Di Lei
Il 15 del 1887
Dev.mo obbl.mo aff.mo
L. Card. di Canossa Vescovo.
Il Servo di Dio, commosso, accusò ricevuta con la cordiale semplicità
dei Santi, inviandogli un'immagine di Maria Ausiliatrice, a tergo della
quale aveva scritto una tenera invocazione: “ Eminentissimo Card.
Canossa. O Maria, guidate questo vostro caro e zelante figlio in tutte
le sue imprese costantemente per la via del cielo. - 23 gennaio 1887.
Sac. Gio. Bosco ” .
Se Verona aveva per Vescovo un Porporato, ne doveva saper grado a Don
Bosco. Trasferito da Leone XIII a Bologna, il pio e umile Prelato andò
a scongiurare il Pontefice di lasciarlo a Verona. Caso volle che a Roma
s'in -
280
contrasse con Don Bosco, al quale con le lacrime agli occhi si raccomandò
che dicesse una parola in suo favore. Il Santo nell'udienza condusse
il discorso sull'argomento e quando comprese che il Pontefice non era
alieno dal far pago il desiderio del Vescovo, trovò modo di manifestargli
un'idea. Giacchè Bologna era sede cardinalizia, non si sarebbe
potuto accettare la rinunzia all'Arcivescovado, ma riserbare al rinunziante
il Cardinalato? La proposta arrise al Santo Padre; onde Don Bosco, rivedendo
Monsignore, gli disse:
- Arcivescovo no, ma Cardinale sì!
Da un altro alto Prelato gli giunsero benevoli significazioni. Sui primi
di febbraio era stato preconizzato alla Porpora monsignor Camillo Siciliano
di Rende, arcivescovo di Benevento e Nunzio Apostolico a Parigi. Nella
metropoli francese Don Bosco l'aveva incontrato quattro anni prima,
ricevendo da lui e da sua madre manifestazioni di profonda riverenza.
Stimò pertanto suo dovere congratularsi subito con lui della
nuova dignità; in pari tempo gli raccomandava la recente fondazione
di Mènilmontant. Il Cardinale aspettò, come di regola,
il Concistoro e poi gli rispose da Parigi il 24 marzo: “ Le sono
gratissimo per le affettuose felicitazioni che la S. V. ha voluto con
tanta gentilezza offrirmi per la mia elevazione alla porpora romana.
Io ne la ringrazio di tutto cuore e spero che Ella con le sue orazioni
vorrà dal cielo ottenermi gli aiuti necessari a compire i doveri
che la nuova dignità m'impone. Non conosco la casa dei Salesiani
qui esistente, ma posso assicurarla che mi reputerò fortunatissimo
di poter rendere qualunque servizio alla sua Congregazione ”.
Un altro neocardinale era il Nunzio Apostolico di Madrid, che aveva
avuto relazioni epistolari con Don Bosco allorchè si trattava
della fondazione madrilena (I). Anche a lui Don Bosco fece le sue congratulazioni,
alle quali il Rampolla
(I) Cfr. vol. XVII, pag. 600 sgg.
281
rispose con vivi ringraziamenti e con queste particolari espressioni
(I): “ Mi è grato in questa occasione confermarle il mio
speciale affetto alla Congregazione Salesiana, rallegrandomi con Lei
del molto bene che fanno i suoi figli nelle diocesi della Spagna dove
sono stabiliti; non è guari che ne ho inteso fare ampi elogi
da insigni prelati. Piacesse al Signore che potessero moltiplicarsi
anche più in questa Nazione, oggi tanto bisognosa di chi la preservi
dagli inganni dei tristi ” .
Nel mese di marzo, essendo stato eletto sindaco di Torino l'avvocato
Melchior Voli, Don Bosco gl'inviò una sua lettera gratulatoria.
Rendendogliene vive grazie e pregandolo di gradire i suoi riverenti
omaggi, il primo magistrato cittadino diceva di ricordare con piacere
i giorni della sua prima gioventù, quando aveva avuto “
la fortuna di conoscere il Rev. Benemeritissimo Don Bosco in casa Roasenda
”. Presso questa nobile famiglia il signor Voli aveva aiutato
Don Bosco nel copiare la sua Storia d'Italia.
Conversazioni propriamente dette Don Bosco non era in grado di tenerne;
ma si compiaceva assai a sentir parlare delle Missioni e gioiva al sommo
quando gli si leggevano lettere de' suoi Missionari. Il suo parlare
consisteva per lo più in brevi motti, talora conditi di arguzia.
Osservando l'effigie di Napoleone III sopra una moneta, esclamò:
- Sic transit gloria mundi. Più nessuno parla di lui. - quando
non se ne parli male. - Interrogato dal signor Olive se, scrivendo alla
sua signora, dovesse dirle che Don Bosco stava bene, rispose: - Dica
che Don Bosco è colto da pigrizia. - Rise quegli, protestando
essere tutto il contrario. Ma Don Bosco soggiunse: - È la bontà
di monsieur Olive che mette in dubbio la verità detta da Don
Bosco. - Un giorno ricevette dalla lionese signora Quisard un'immagine
recante queste parole in francese: “ Sii con Dio come l'uccello
che sente tremare il ramo e continua a cantare, sapendo di aver le ali
”. Egli
(I) Madrid, 11 aprile 1887.
282
lesse attentamente, poi disse di portarla a Don Berto, osservando:
- Chi sa che cosa si penserà Don Berto al ricevere questa immagine!
- Don Berto pensò il vero. Comprese essere un paterno avvertimento
per quando fra non molto Don Bosco, suo unico sostegno al mondo, gli
fosse venuto a mancare. A tavola rompeva di rado il silenzio, ma sembrava
in continua meditazione. Un giorno, mescendo acqua con vino, disse:
- Anche Gesù in croce volle che il suo sangue fosse mescolato
con acqua.
Al suo grande confidente Don Lemoyne, che nelle ore della sera gli sedeva
vicino per alleviargli la solitudine forzatamente inoperosa perchè
la luce artificiale gli offendeva la vista, una volta fece una predizione.
Di botto, senza che prima si fosse parlato di cosa riferentesi a tale
argomento, uscì in queste parole: - Tu arriverai a un'età
molto avanzata. - Un'altra sera, mentre Don Lemoyne lo seguiva silenzioso
su per la scala, Don Bosco si fermò all'improvviso e nell'atto
di chi svela un segreto, gli mormorò sottovoce: - Ti aspetta
un avvenire molto glorioso. - Quindi dopo breve reticenza ripigliò:
- Quello che hai sofferto è nulla in confronto
di quello che devi soffrire. Ma fatti coraggio, tutto passa a questo
mondo... e poi... e poi il paradiso. - Don Lemoyne campò settantasette
anni. La sua memoria vive e vivrà benedetta nella Congregazione
e il suo nome risuona anche fuori sulle labbra di molti massime per
quello che scrisse su Don Bosco. L'ultimo periodo della sua vita fu
realmente travagliato da incomodi fisici, ma più ancora da paterni
d'animo, che a lui, dotato di vivida immaginazione e di cuore sensibilissimo,
provennero da varie cause. È probabile che gemesse sotto il peso
di afflizioni spirituali allorchè una volta, imbattutosi in un
giovane sacerdote salesiano, proferì questi accenti: - Un tempo
nell'Oratorio si mangiava polenta, ma c'era Don Bosco!
Certe volte ai più giovani segretari che abitualmente gli stavano
attorno, raccontava sogni fatti nella notte; sogni
283
che, ad eccezione di due, fra cui quello riguardante il chierico Olive
già da noi riferito, non avevano niente di straordinario. Per
altro la sera del 13 febbraio disse a Don Viglietti, che ne prese nota
nella sua cronaca: - Voglio scrivere molte cose importanti che mi furono
rivelate in sogno sul principio dell'anno. Propongo sempre di farlo,
e poi mi dimentico. Vedi tu di ricordarmelo; io te le consegnerò,
perchè le registri. Ma forse per risparmiargli la troppo gravosa
fatica dello scrivere Don Viglietti non si diè pensiero di richiamarglielo
alla mente.
Non di rado sognando emetteva alte grida, che svegliavano e spaventavano
Don Viglietti, facendolo accorrere dalla camera vicina. Così
accadde nella notte dal 2 al 3 marzo. Il segretario gli domandò
la mattina dopo che cosa avesse sognato. Rispose che era un pasticcio
qualsiasi, a cui non dava nessuna importanza e del quale una sola particolarità
ricordava. Gli sembrava di aggirarsi per un terreno incolto e che una
persona gli dicesse: - Tu ti affanni a coltivare terreni sulle rive
del Rio Negro, mentre hai qui campi incoltissimi.
- Oh, rispose Don Bosco, io lascerò crescere in questi l'erba,
riducendoli a prati, che serviranno per dar da mangiare alle bestie.
Intanto vedeva un bel ciliegio carico di frutti e sollecitava l'agricoltore
a coglierne. Quegli obbedì; ma nello staccarle quelle ciliegie
apparivano appassite e guaste.
Un'altra notte, sul 24 marzo, sognò di trovarsi in mezzo ad una
vigna, nella quale si vendemmiava. - Come mai? diceva Don Bosco. Siamo
in primavera e già si vendemmia? Eppure che abbondanza di grappoli!
Com'è bella quest'uva! Oh! quest'anno avremo un gran raccolto.
- Sì, sì, gli rispondevano suo fratello Giuseppe e Buzzetti,
che si trovavano fra i vignaiuoli. Bisogna raccogliere molto, mentre
ce n'è, perchè a questo anno di abbondanza succederanno
anni di carestia.
284
- Perchè avremo carestia? chiese Don Bosco.
- Perchè il Signore vuol punire gli uomini dell'abuso che si
fa del vino.
- Bisogna dunque, esclamò Don Bosco, fare larghe provviste per
i nostri giovani.
Anche a questo sogno egli raccontandolo mostrò di non dare importanza,
ma concluse sorridendo: - È un sogno!
La mattina del 3 aprile disse a Don Viglietti che nella notte precedente
non aveva potuto prendere riposo, ripensando a un sogno spaventoso fatto
nella notte del 2. Tutto questo aveva prodotto in lui un vero esaurimento
di forze. - Se i giovani, gli diceva, udissero il racconto di quello
che vidi, o si darebbero a una vita santa o fuggirebbero spaventati
per non ascoltare sino alla fine. Del resto mi è impossibile
descrivere ogni cosa, come sarebbe difficile rappresentare nella loro
realtà i castighi riserbati ai peccatori nell'altra vita.
Egli aveva veduto le pene dell'inferno. Sentì prima un gran rumore
come di terremoto. Lì per lì non vi fece gran caso; ma
il rumore andava gradatamente crescendo, finchè udì un
rombo prolungatissimo, terrificante, misto a grida di orrore e di spasimo,
voci umane inarticolate che confuse col fragore generale producevano
un fracasso pieno di spavento. Sbigottito osservò intorno a sè
qual potesse essere la causa di quel finimondo, ma non iscorse nulla.
Il rumore ognor più assordante si avvicinava, nè più
si poteva con gli occhi o con le orecchie distinguere ciò che
avvenisse. Don Bosco continuò così a descrivere: - Vidi
dapprima come una massa, un volume informe che man mano prese la figura
di una formidabile botte di favolose dimensioni: di là uscivano
le grida di dolore. Domandai spaventato che cosa fosse, che cosa significasse
quanto io vedeva. Allora le grida, fino a quel punto inarticolate, si
fecero più forti e più distinte, sicchè percepii
queste parole: Multi gloriantur in terris et cremantur in igne. Poi
vidi per entro a quella specie di botte
285
persone d'indescrivibile deformità. Gli occhi uscivano dalle
orbite; le orecchie quasi staccate dal capo pendevano all'ingiù;
le braccia e le gambe erano slogate in modo raccapricciante. Ai gemiti
umani si univano sguaiati miagolìi di gatti, rabbiosi abbaiamenti
di cani, ruggiti di leoni, urli di lupi, voci di tigri, di orsi e di
altri animali. Osservai meglio e fra quegli sventurati ne riconobbi
alcuni. Allora sempre più esterrefatto domandai nuovamente che
cosa volesse significare si straordinario spettacolo. Mi fu risposto:
Gentitibus inenarrabilibus famem Palientur ut canes.
Intanto col crescere del rumore cresceva innanzi a lui più viva
e più distinta la vista delle cose; meglio conosceva quegli infelici,
più chiare gli giungevano le loro strida, più opprimente
si faceva il suo terrore. Interrogò gridando: Ma non vi potrà
dunque essere rimedio nè scampo a tanta sventura? È proprio
per noi tanto apparato di orrore, sì tremenda punizione? Che
cose debbo fare io?
- Sì, gli rispose una voce, vi è un rimedio, un rimedio
solo. Affrettarsi a pagare i propri debiti con oro e argento.
- Ma queste sono cose materiali.
- No; aurum et thus. Con la preghiera incessante e con la frequente
comunione si potrà rimediare a tanto male.
Durante questo dialogo più strazianti si facevano udire le grida,
più mostruosi comparivano dinanzi a lui gli aspetti di coloro
che le emettevano, sicchè, preso da mortale terrore, si svegliò.
Erano le tre del mattino, nè gli fu più possibile chiudere
occhio. Nel corso del suo racconto un tremito gli agitava le membra
aveva il respiro affannoso e lacrimava.
Don Bosco non lasciava di presiedere le adunanze capitolari. Queste
si tenevano di consueto nella sua camera. Durante il tempo di cui discorriamo
ve ne furono solamente quattro. Spigoleremo nei verbali per trarne quanto
possa riferirsi al Servo di Dio.
Nella prima seduta che è del 14 febbraio, si trattò di
un argomento importante, in qual modo cioè fossero da rego -
286
larsi le relazioni fra l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice
e la Pia Società Salesiana. La questione era già stata
oggetto di studio in altra seduta lontana, ma senza che si addivenisse
a una conclusione per l'assenza di alcuni capitolari. Urgeva intanto
risolvere, affinchè le Suore sapessero a chi rivolgersi nelle
varie circostanze, nè avesse a soffrire danno l'Istituto e la
regolare osservanza. Perciò Don Bosco aveva dato incarico a Don
Lemoyne di esaminare la cosa a fondo per poi riferire. Don Lemoyne studiò,
interrogò e il 14 febbraio lesse la sua relazione. In questa
egli esponeva partitamente le opinioni manifestate al riguardo in diversi
tempi da singoli membri del Capitolo Superiore. Tre cose basterà
conoscere per la nostra storia: il fondamento della questione, un'opinione
radicale sulla maniera di risolverla, e la deliberazione presa da Don
Bosco, assenziente il Capitolo.
Superiore dell'Istituto era allora il Rettor Maggiore e per conseguenza
il suo Vicario; infatti le Regole, scritte da Don Bosco e stampate,
nel titolo II, articolo I dicevano: “ L'Istituto è sotto
l'alta ed immediata dipendenza del Superiore generale della Società
di S. Francesco di Sales, cui danno il nome di Superior Maggiore. In
ciascuna casa egli potrà farsi rappresentare da un Sacerdote
col titolo di Direttore delle suore. Direttore generale sarà
un membro del Capitolo Superiore della Congregazione Salesiana ”.
Perciò qui non era questione di Superiorità autonoma dell'Istituto,
ma della Direzione generale dipendente dal Rettor Maggiore e dal suo
Vicario. Questa direzione fu esercitata in principio da Don Domenico
Pestarino, indi da Don Costamagna direttore a Mornese. Quando l'Istituto
pigliò maggiore sviluppo, si credette bene di lasciare la direzione
particolare al Direttore locale della casa madre prima in Mornese, poi
in Nizza Monferrato; ma contemporaneamente cominciò per incarico
avutone da Don Bosco ad esercitare la cura e sorveglianza generale Don
Cagliero, catechista generale dei Salesiani che la tenne fino al 1884,
allorchè andò Vicario Apostolico nella Patagonia. Dopo
la sua par -
287
tenza la direzione generale delle Suore passò a Don Giovanni
Bonetti, consigliere del Capitolo Superiore. Essendo egli stato nel
Capitolo generale del 1886 eletto Catechista, nacque la questione, chi
dovesse in seguito esercitare la direzione delle Suore. Ecco perchè
si era trattato già di questo, come dicevamo, in un capitolo
tenuto a Valsalice, ma senza nulla risolvere. Ora a Don Bosco premeva
che si giungesse a una soluzione.
Il miglior partito non sarebbe stato di fare in modo che le Suore si
abituassero a fare da sè, non obbligando più il Superiore
a intervenire nelle deliberazioni ordinarie, nella direzione e nell'amministrazione?
Questo avrebbe recato senza dubbio una semplificazione grandissima alle
occupazioni di chi fosse incaricato di dirigerle. Tale fu la quinta
opinione raccolta, presentata e discussa dal relatore (I), che la confutò
al pari delle precedenti. Riportiamo il suo ragionamento. “ La
donna, diss'egli, ha bisogno di continuo appoggio anche in tante cose
che sembrano di poca importanza, e bisogna che senta col fatto la necessità
di questo appoggio. Se la si lascia indipendente, cercherà l'appoggio
in persone estranee, ed il confessore locale, interessato ad accondiscendere
alle loro confidenze, impronterà in esse il suo spirito particolare.
La donna poi in Congregazione tende ad esimersi talora da una sudditanza
che il volere del Superiore le impone, quando questo volere fosse contrario
alle viste di una Superiora influente. La storia ecclesiastica ce ne
dà esempi molteplici. Le nostre Suore non mancano di risorse
materiali, ed è naturale che antepongano le loro Superiore ai
Superiori Salesiani, e quindi il bisogno di avvicinarle con visite,
conferenze, corrispondenze, e per ogni singola casa.
(I) Le altre quattro erano: I° Affidare la direzione delle Suore
a uno dei tre Consiglieri dei Capitolo Superiore dei Salesiani. 2°
Affidarla al Direttore locale della casa di Nizza. 3° Sotto la dipendenza
sempre del Rettor Maggiore e del suo Vicario, la direzione generale
fosse esercitata d al Capitolo Superiore salesiano, vale a dire da ciascun
membro del Capitolo per quella parte che spettava già a ognuno
verso i Salesiani. 4° Si ritenesse detta direzione dal Catechista
generale.
288
La donna trascurata, o che si creda trascurata, saprà sempre
trovar modi di rivendicare il proprio posto o si abbandona ad uno scoraggiamento
fatale. Chi fu in mezzo a loro per sei anni, sa per prova che non la
Regola, ma l'affetto e la confidenza lega le Suore alla nostra Congregazione.
Non è senza senso quel proverbio: un sol gallo nel pollaio. Don
Chicco prima di lasciare la direzione di Nizza, Don Cagliero prima di
partire per l'America, Suor Maria Mazzarello prima di morire insistettero
su questo punto di stringere sempre più le relazioni e la direzione.
Basta l'aver toccata questa quinta opinione perchè sia dimostrata
completamente erronea ”.
Scartate dunque tutt'e cinque le opinioni, il relatore formulò
nei seguenti termini il suo modo di vedere: “ Sia affidata la
direzione generale dell'Istituto delle suore al Vicario e al Catechista
in modo che al primo sia devoluta di preferenza la parte materiale e
finanziaria e al secondo la parte morale e spirituale ”. Questa
opinione si appoggiava ai seguenti riflessi: I° Maggior facilità
d'intendersi per conservare l'unità di direzione. 2° Possibilità
di aiutarsi a vicenda, essendo tra due, nell'esercizio della direzione,
senza scapito del proprio ufficio verso i Salesiani. 3° L'essere
ambidue Superiori darebbe maggior peso alle proprie disposizioni, concilierebbe
loro maggior autorità e rispetto e nel tempo stesso permetterebbe
all'uno e all'altro di farsi aiutare in più casi sia dagli altri
membri del Capitolo sia dal Direttore locale di Nizza. 4° Sarebbesi
pure osservata la Regola prescrivente che la decisione dovesse dipendere
dal Vicario, essendo il decidere nel caso prerogativa del Superiore.
Allora Don Rua nominò Don Bonetti, catechista della Congregazione,
Direttore generale insieme con lui. Così dunque rimase stabilito.
Per un mese, fino al 14 marzo, non si tenne altra adunanza. Vi si trattò
specialmente della destinazione da darsi alla casa di Valsalice, sul
qual tema si tornò nella quarta del 19 aprile; ne parleremo più
avanti. Nella terza del 28 marzo Don Bosco assiste, ascolta, intercala
qualche sua parola, ma senza dire
289
nulla di rilevante, se non fosse l'augurio che si presentassero circostanze
favorevoli per l'apertura di una casa salesiana nella città di
Cuneo.
Nonostante gl'incomodi che sconsigliavano le uscite, volle andar fuori
parecchie volte nel mese di febbraio. Il 3 si recò alla chiesa
di S. Giovanni Evangelista, dove si fece ai Cooperatori la conferenza
di S. Francesco. In una corrispondenza a un giornale di Venezia (I)
si leggeva: “ Si sperava che il sant'uomo parlasse, come già
un tempo avveniva, ma gli anni, le fatiche, le prove durissime hanno
stremata quella fibra gagliarda. Don Bosco oggidì non si regge
più sulle gambe, soffre d'oppressione di petto che gl'impedisce
di favellare in pubblico e sente il peso d'una vita maravigliosamente
operosa. Serba tuttavia lucida come ne' suoi trent'anni la mente, serba
sempre in cuore gli entusiasmi giovanili per le opere di Dio ed ha per
i giovani più che affetto una specie di culto, perchè
in essi vede e cerca le speranze religiose dell'avvenire ”. Parlò
invece il rettore della Chiesa Don Giovanni Marenco. Dopo la funzione
i cooperatori attorniarono Don Bosco, bramosi, come sempre, di vederlo
da vicino, di salutarlo e di udirne una buona parola.
Pochi giorni dopo si occupò di Don Bosco anche un settimanale
milanese diretto da Don Albertario (2). In prima pagina, attorno a un
suo ritratto somigliatissimo, si svolgeva un lungo articolo riboccante
di ammirazione. “ Il nome di Don Bosco, vi si diceva, riassume
una vera epopea cristiana. A nessuno in Italia è sconosciuto,
e milioni di bocche lo ripetono con accento di commozione, di venerazione,
di fiducia, di riconoscenza ”. Fatto quindi un garbato profilo
di questo “ uomo - miracolo ”, di questo “ vero eroe
del sacerdozio ”, si terminava così: “ Egli è
una vera potenza, sebbene umilissimo e affabilissimo; egli è
un gigante di carità e di zelo, ed ogni encomio è inferiore
al suo merito ”.
(I) La Difesa, lunedì - martedì 7 - 8 febbraio 18
(2) Leonardo da Vinci, 13 febbraio 1887.
290
Era gravemente inferma una pia matrona, assai benemerita delle opere
salesiane, la signora Maria Pelissero. Don Bosco, spinto dalla gratitudine,
volle farle una visita. Ve lo accompagnò Don Viglietti il 12
febbraio. Tutta la numerosa famiglia gli venne incontro piangendo e
scongiurandolo di conservar loro la cara ammalata. Una nipote della
signora, che gli presentava i parenti: - Veda questa giovane, gli disse.
Era corpo morto dalle reni in giù. Ella l'ha benedetta vari anni
sono ed ora eccola sanissima. Quest'altra piccolina era cieca del tutto
ed ora vede ottimamente. Oh ci guarisca anche la zia! - Don Bosco, fermatosi
alquanto con loro, parlò di paradiso e di rassegnazione alla
volontà divina; poi li benedisse e distribuì a tutti una
medaglia di Maria Ausiliatrice. Entrò finalmente nella camera
dell'inferma. Doveva essere proprio una santa donna, tanto bene parlava
del paradiso e della rassegnazione cristiana. Ricevette con vero trasporto
la benedizione di Don Bosco, il quale le disse che, se andasse in paradiso,
facesse le commissioni sue alla Vergine Santissima, mentre intanto egli
ed i suoi giovani pregherebbero Iddio affinchè si facesse il
meglio per l'anima sua. Non andò guari che la signora chiuse
con una santa morte la sua lunga e virtuosa esistenza.
Cessò di vivere l'8 aprile una di quelle benefattrici che si
stimavano fortunate di sentirsi chiamare da Don Bosco mamme sue e de'
suoi giovanetti, la contessa Gabriella Corsi. Il Santo l'aveva visitata
nei primi giorni della sua infermità e le aveva detto: - Ah,
signora Contessa! Lei mi manca di parola! Mi aveva promesso di regalare
ai giovani dell'Oratorio due vitelli, perchè potessero star allegri
nel giorno del mio giubileo sacerdotale, Lei manca di parola e mancherò
anch'io. - Poi, per S. Gabriele, suo onomastico, le aveva mandato un'immagine
con questa invocazione alla Madonna, scritta di suo pugno: “ Contessa
Corsi Gabriela. O Maria, portate un felice onomastico alla vostra Figlia,
proteggetela in tutti i pericoli. Guidate Lei e tutta la sua famiglia
per la strada
291
del paradiso, e fate che tutti dopo una santa vita vadano tutti seco
a tenerci compagnia eternamente in cielo. Amen ”.
Un'altra mamma che egli avrebbe desiderato tanto di visitare e di benedire,
si era spenta il 13 febbraio a Genova, la nobile signora Ghiglini, da
noi più volte menzionata, la sua carità multiforme la
fa annoverare fra le più benemerite cooperatrici salesiane; questa
sua carità fu sperimentata specialmente dalla casa di Sampierdarena.
Le dipartite di queste anime buone, che tanta parte avevano avuto nelle
opere del Santo, sembravano preludere alla sua prossima fine.
CAPO XII
Nel terremoto del febbraio 1887.
IL 22 febbraio, ultimo giorno di carnevale, Don Bosco volle ancora
assistere dal suo ballatoio ai divertimenti che, secondo il consueto,
si facevano dai giovani nel cortile; anzi prima di ritirarsi in camera
prese a lanciare manate di nocciuole, che i ragazzi, dimentichi dei
loro giuochi, corsero a raccogliere con molta avidità, perchè
eran nocciuole di Don Bosco. Più tardi, radunati gli alunni della
quarta ginnasiale, fece loro una distribuzione di medaglie, che ebbe
del misterioso per il modo come raccomandò che le tenessero care,
dicendo loro che ne sarebbero preservati da qualsiasi disastro. E un
disastro accadde subito la mattina seguente: un terremoto spaventevole
che colpì fieramente la Liguria, ripercotendosi forte anche nel
Piemonte. Don Bosco aveva parlato a caso o presagiva qualche cosa? Don
Viglietti scrive essergli stato detto da lui il 4 marzo che aveva dato
le medaglie per il disastro del terremoto, ben sapendo quello che doveva
accadere la dimane. A queste sue parole si credette di poterne connettere
altre dette il 5 gennaio. Interrogato perchè al principiare del
nuovo anno avesse taciuto di futuri avvenimenti per il 1887, aveva risposto:
- È meglio che io taccia, perchè sarebbe un allarmare
troppo gli animi. Si spaventerebbero tutti e vivrebbero inquieti.
A Torino la scossa fu violenta. I giovani dell'Oratorio,
293
che si erano alzati da appena un quarto d'ora, fuggirono a precipizio
dalle camerate nel cortile. Coloro che stavano in chiesa, scapparono
fuori. Nel gran panico si tendevano le braccia verso la statua di Maria
Ausiliatrice ritta sulla cupola. In quel momento Don Viglietti entrava
nella camera di Don Bosco. Lo trovò che rideva e diceva: - È
un ballo involontario. Ero qui per alzarmi; ma, aspettando che l'ondulazione
finisse, mi sentii freddo alle spalle e mi sono di nuovo coricato.
Scene di terrore si ebbero nei collegi della riviera, dove le scosse
si ripetevano a intervalli più o meno lunghi. Per alcune notti
i giovani dormirono attendati all'aperto. Il Direttore del collegio
di Varazze dopo alcuni giorni domandò a Don Bosco che cosa si
dovesse fare, se fosse cioè da rientrare in casa o no. Il Santo
fece rispondere: - Ritiratevi in casa. Il terremoto non vi recherà
danno. - E così fu.
Il centro della massima attività era stato nel golfo di Genova,
lungo la linea che da Savona si protende a Mentone. Le vittime ascesero
a parecchie migliaia. Dappertutto case diroccate o pericolanti; alcune
chiese crollate; in tutta la regione immensi disastri. Tanta sventura
commosse i cuori italiani. Le sottoscrizioni aperte dai giornali dimostrano
che quella catastrofe era considerata come calamità nazionale.
Don Bosco, resosi conto dell'entità dei danni, fece scrivere
ai Direttori delle case salesiane liguri che si prestassero al soccorso
con ogni aiuto possibile, materiale, personale e morale. Poi per suo
incarico Don Cerruti scrisse ai Vescovi di Savona, Albenga e Ventimiglia
(I): “ Il mio amatissimo superiore Don Bosco, profondamente commosso
del disastro che desolò tanta parte di questa Diocesi, desidererebbe
venire anch'egli in aiuto per alleviare in qualche modo le conseguenze
terribili del terremoto. Mentre pertanto ha raccomandato al Direttore
della Casa salesiana di Varazze di prestarsi con
(I) Torino 28 febbraio 1887.
294
tutti i mezzi possibili a sollievo degli infelici, m'incarica pure
di partecipare all'Eccellenza Vostra che egli riceverà volentieri
gratuitamente qui a Torino ed, occorrendo, a Sampierdarena, quattro
giovanetti tra i più miserabili rimasti abbandonati in causa
del terremoto ”. Erano dunque dodici giovanetti che Don Bosco
si proponeva di educare e mantenere.
Parve grazia singolare della Madonna che i Salesiani e i loro alunni
fossero andati esenti da disgrazie personali, non essendosi avuti nè
morti nè feriti nè contusi; ma i danni materiali furono
rilevanti. In Piemonte gli edifizi soffersero lesioni facilmente riparabili;
non così nella Liguria, dove alcune delle nostre case restarono
molto malconce, più di tutte quella di Vallecrosia, che bisognò
sgombrare interamente; quindi chiuse le scuole esterne, inviate alle
loro famiglie le educande, trasferite a Nizza Monferrato le rimaste
orfane di genitori o prive di abitazione.
Ricevute le relazioni dei singoli Direttori, Don Bosco diramò
tosto due circolari. Con una ingiunse ai Salesiani di destinare in ogni
casa un giorno, nel quale innalzare a Dio preghiere di suffragio per
le vittime e celebrare una funzione di ringraziamento per l'incolumità
concessa a tutti gli abitatori delle case salesiane; inoltre per poter
sopperire agl'imprevisti bisogni raccomandava di non mettere mano durante
un anno a fabbriche, a riparazioni, a lavori, ad acquisti non richiesti
dalla necessità e di sopportare volentieri sacrifizi e privazioni
voluti dalla circostanza. Con l'altra circolare informava i Cooperatori
dei danni patiti e delle conseguenti spese, domandando loro umilmente
la carità (I).
Di tutte le case lesionate quella di Vallecrosia preoccupava maggiormente
Don Bosco, non solo perchè essa aveva patito più d'ogni
altra, ma anche perchè la forzata sospensione dell'attività
salesiana andava troppo a vantaggio dei protestanti. Subitamente quindi
mandò sul posto l'impresario
(I) App., Doc. 65 A - B.
295
Giosuè Buzzetti, affinchè vedesse il da farsi e la spesa
occorrente. Questi dopo diligente esame scrisse che per rendere l'edifizio
provvisoriamente abitabile bastava una somma di circa seimila lire,
mentre per eseguire gli altri lavori indispensabili ci voleva assai
più. La lettera fu letta a Don Bosco durante il pranzo. Egli
disse: - Il Signore ci penserà, stiamo tranquilli. E presa la
lettera, se la pose accanto al piatto. Sul finire del pranzo entrò
il conte Eugenio De Maistre, che, fatti i convenevoli, chiese a Don
Bosco: - Caro Don Bosco, ha bisogno di danaro?
- È domanda da farsi questa a Don Bosco? rispose. Pensi un po':
ho da finire la chiesa del Sacro Cuore a Roma, ho tanti giovani da mantenere
e tante altre spese a cui fare fronte.
- Bene, ripigliò il Conte; sappia che una mia vecchia zia voleva
lasciarle qualche somma per testamento; ma poi, sapendo essere meglio
un lume davanti che due di dietro, mi ha incaricato di portarle senz'altro
questo piego.
Così dicendo, lo rimise a Don Bosco, pregandolo di osservare
il contenuto. Doli Bosco lo passò a Don Rua, invitandolo a guardare.
Don Rua estrasse e contò sei biglietti da mille.
Il fatto fu narrato da Don Rua stesso a Don Lemoyne, che ne prese nota
e il suo appunto si conserva nei nostri archivi. Dall'insieme non risulta
che Don Bosco dicesse al Conte quale uso avrebbe fatto di quel danaro;
è anzi cosa da escludere, come si fa manifesto dalla seguente
lettera, destinata a servire di ricevuta nei riguardi dell'oblatrice.
Carissimo Sig. Conte Eugenio,
Nel suo passaggio a Torino si compiacque di venirci a fare una visita,
visita veramente di carità.
Noi ci trovavamo con una scadenza di 6 mila franchi ricevuta alcuni
minuti prima ed era appunto uno dei debiti lasciatimi dai nostri Missionari
nel partire per la Patagonia; ieri alle 10 del mattino fu saldato quel
debito con un'ammirazione del creditore e con meraviglia di me stesso
che non credeva poter ancora fare quel pagamento,
296
Dio benedica Lei, caro Sig. Eugenio, che ne fu benemerito portatore
e benedetta la caritatevole zia che ne fu la generosa donatrice
Tutti i nostri missionari, tutti i nostri duecentocinquanta mila orfanelli
pregheranno che largamente si degni Iddio di compensarli tutti nel tempo
e nella eternità.
In questa medesima occasione debbo compiere un mio dovere quale si è
di ringraziarla delli benefizi che fece a tutta la Congregazione Salesiana
e ai loro allievi in più circostanze. Noi sentiamo in questo
momento la grandezza dei suoi favori per le strettezze in cui versiamo
e per la moltitudine di orfanelli che da ogni parte ed incessantemente
dimandano salvezza.
Dio la benedica, sig. Conte Eugenio, e con Lei la Vergine protegga tutta
la sua famiglia, li guidi tutti costantemente pel cammino della virtù,
fino al Paradiso, ma con Lei e con questo povero scrivente insieme
È un tempo notabile che non ho più scritto lettere, perciò
mi compatisca la mala scrittura ed i pensieri poco ordinati; ciò
mi servì d grato trattenimento con chi grandemente amo nel Signore
ed ogni giorno faccio un memento particolare nella Santa Messa.
Sempre contenti quando possiamo vederla o poterla in qualche cosa servire
ho l'onore ed il piacere di potermi professare.
Di V. S. Car.ma
Torino, 6 Marzo 1887.
Umilis.mo Servitore
Sac. Giov. Bosco.
L'offerta riuscì dunque doppiamente provvidenziale, perchè
servì a saldare un debito urgente che ammontava per l'appunto
a seimila lire e rese quindi possibile disporre a suo tempo di egual
somma per i primi lavori di Vallecrosia.
In un frangente di tal natura non poteva Don Bosco non sollecitare la
carità delle persone più atte a comprenderlo e più
disposte ad aiutarlo. Ecco infatti alcune delle lettere da lui indirizzate
allora a benefattrici e a benefattori. Scrisse alla marchesa Enrichetta
Nerli fiorentina, una anch'essa delle mamme.
Ill.ma Sig.a Marchesa e Car.ma come Madre,
Ho ricevuto in buono stato la importante e grossa cassa di bottiglie
di rarissimo ed eccellente vino. Sono un po' mortificato perchè,
suo figlio affezionato, come lo voglio essere, dovrei io medesimo offerirlo
alla caritatevole madre mia. È di ottimo gusto e di ottima qualità.
297
La vita che questo liquore prezioso mi prolunga è senza dubbio
fra gli altri doni che mi fa. Dio sia in ogni cosa benedetto, e benedetta
la sua grande carità, specialmente in questi calamitosi momenti,
che certamente non avrei osato a farne spesa. Le case di Liguria, parecchie
orfanelle ed orfanelli colle nostre suore disperse, mi riducono in istrettezze
tali che finora non ho mai provato. Ma Dio ci ha sempre sostenuti, Maria
ci ha sempre protetti e la nostra fiducia non verrà mai meno.
Ella però ci voglia aiutare colle sue sante preghiere; e così
le professiamo in tutte le cose la più sincera gratitudine, e
nella speranza di poterla ossequiare personalmente reputo a prezioso
momento potermi dire ora e sempre suo
Torino, 3 marzo 1887.
Umil.mo figlio
Sac. Gio. Bosco.
In risposta la Marchesa gli mandò cinquecento lire. Il Santo,
accusandone ricevuta, la ammonì di far presto a stendere il suo
testamento: non tardasse di un sol giorno, perchè altrimenti
sarebbe rimasta come Giobbe e morrebbe abbandonata da tutti senza poter
più disporre di nulla. La signora non prese alla lettera il consiglio;
perciò avvenne che, caduta inferma verso la fine di marzo, i
servi e il medico la isolarono da ogni genere di persone. Anche al Direttore
della casa di Firenze, che voleva visitarla, fu vietato l'accesso. Morta
che fu, l'abbandonarono interamente, sicchè dovette Don Febbraro
fare la guardia al cadavere. Di valori nulla si trovò o meglio
nulla si seppe; la pingue eredità, della quale essa intendeva
che beneficiassero opere pie, andò a finire nelle mani di parenti
remotissimi.
Benefattore costante e generoso era sempre il genovese Oneto Dufour.
Anche a lui scrisse con la sua consueta semplicità:
Stimat.mo Sig. Oneto Dufour,
Non le cagioni meraviglia se questo povero prete fa eziandio ricorso
alla sua carità che mi è assai conosciuta. Io mi trovo
di averne grande bisogno. Le nostre case furono in Liguria tutte più
o meno danneggiate dal disastro del terremoto: ma l'istituto delle orfanelle,
le scuole, la casa e la chiesa di Valle Crosia presso Ventimiglia furono
298
rovinate e dimandano di essere riparate e rifatte prontamente. In questo
momento io sono privo di mezzi pecuniarii, e se Ella può venirmi
in aiuto, mi raccomando per amor di Dio. Certamente Maria la ricompenserà
con grazie speciali che spanderà copiose sovra di tutta la sua
figliuolanza e sovra il resto di sua famiglia.
Dio la benedica e la conservi in buona salute, mentre ho l'onore di
professarmi con gratitudine.
Di V. S. Stimat.ma
[Senza data].
Obb.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
PS. Sono vecchio e semi - cieco, perciò compatisca la cattiva
scrittura.
A Genova era pure il signor Raffaele Cataldi, ricco banchiere e caritatevole
cristiano. Teatro del disastro essendo stata la Liguria, il Santo vide
in questa particolarità un motivo di più per invocarne
il soccorso (I).
Car.mo Sig. Raffaele Cataldi Banchiere,
È già passato buon tratto di tempo senza che avessi l'onore
di poterla riverire personalmente, ma non ho mai dimenticato di pregare
ogni giorno per lei e per tutta la sua famiglia. Ora un motivo assai
grave mi fa ricordare Lei e la sua carità. Il testè avvenuto
disastro del terremoto ha più o meno danneggiato tutte le nostre
case di Liguria; ma il nostro Ospizio, Chiesa, scuole di Valle Crosia
presso Ventimiglia furono rovinate. Esse dimandano pronta riparazione
e nuove costruzioni. Io non posso provvedere a questi bisogni in questo
momento di tante miserie. Ella, potrebbe venirmi in aiuto? lo mi raccomando
per amor di Dio che certamente la ricompenserà largamente.
Io sono divenuto vecchio e semi - cieco, perciò compatisca questa
mia mala scrittura,
Io ricordo la sua famiglia e il santo di Lei genitore. Pregherò
ben di cuore la Santa Vergine, affinchè tutti li protegga e li
guidi sempre per la via del Cielo. Amen.
Con somma gratitudine le sarò sempre in G.
[Senza data].
Obb.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
(I) Cfr. voi. XVII, pag. 886.
299
Don Varettoni, prevosto di Rio S. Martino nel circondario di Mirano,
provincia di Venezia, gli aveva spedito spontaneamente una buona offerta;
onde così lo ringraziava.
Car.mo Sig. Prevosto,
Io non posso ammirarne abbastanza la sua carità ed il distacco
con cui la fa.
Nei bisogni gravi ed urgenti in cui mi trovo la sua offerta sarà
in modo speciale ricompensata. Il suo nome è già registrato
fra gli insigni benefattori dei nostri orfanelli. Io benedico Lei e
la sua carità: ma lodo altamente il suo coraggio, perchè
Ella stessa fa le opere, senza aspettare che altri le faccia dopo di
Lei come fanno taluni, che per lo più restano ingannati.
Noi pregheremo tanto per Lei ed Ella mi ami in Gesù e Maria.
Non avremo la consolazione di vederla almeno una volta fra noi?
Maria ci guidi tutti al Cielo.
[Senza data].
Obb.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
Ad una marchesa Taliacarne, Figlia della Carità, nell'ospedale
torinese di S. Giovanni, fece umile istanza di qualche soccorso. Dal
contesto si vede che essa aveva la possibilità e la buona volontà
di largheggiare in beneficenza.
(Senza intestazione),
Permetterà, o Signora Marchesa, che anche questo povero prete
faccia ricorso alla sua carità in favore de' suoi orfanelli.
Le case nostre furono tutte o più o meno danneggiate dal disastro
testè avvenuto pel terremoto; ma quelle di Valle Crosia presso
Ventimiglia furono rovinate. Chiusa la chiesa, sospese le scuole, disperse
le orfanelle dell'ospizio e le nostre suore inviate in altri paesi.
Si richiede o pronta riparazione o nuova costruzione. In questo [momento]
sono privo affatto di mezzi pecuniari. Potrebbe colla sua grande bontà
venirmi in aiuto per amor di Dio? Io pregherò di cuore per Lei
e farò eziandio pregare questi miei orfanelli affinchè
sia largamente ricompensata e Maria SS.ma la guidi sicura per la strada
del Cielo.
Con somma gratitudine ho l'onore di potermi professare
Di V. S. Ill.ma
Torino, 30 marzo 87.
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
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La religiosa gl'inviò qualche giorno dopo un'offerta di cento
lire. Don Bosco le rispose con questa lettera di ringraziamento.
Ill.ma e Ben.ta Sig.a Marchesa,
Ho ricevuta con vera gratitudine la generosa offerta di L. 100 che
V. S. nella sua grande carità degnossi di fare pei nostri orfanelli.
Io le sarò ognora riconoscentissimo e pregherò sempre
il Signore per Lei e secondo tutte le pie sue intenzioni. Intanto i
nostri orfanelli da V. S. soccorsi in questi critici momenti hanno subito
cominciato preghiere speciali e fervorose comunioni nel Santuario di
Maria Ausiliatrice secondo il di Lei desiderio. Ed io ho piena fiducia
che saremo esauditi. Dio la benedica, benemerita Sig.ra Marchesa, e
la ricompensi largamente di quanto fa pei nostri orfanelli.
Mi raccomando ancora alla carità delle sue sante preghiere, mentre
con la più viva riconoscenza mi professo
Di Lei
Addì 4 aprile 1887.
Obbl.mo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
Dopo un cataclisma così vicino le oblazioni ordinarie diminuirono
necessariamente di molto all'Oratorio. Dalla Liguria non veniva più
nulla; dalle altre parti della penisola veniva poco, essendo la carità
pubblica rivolta a lenire le sofferenze dei danneggiati. Don Bosco,
meditando sul come trovare i mezzi per sostenere le sue opere, fece
conoscere a tutti i superiori della casa il suo desiderio che ognuno
s'ingegnasse di ottenerne da amici, benefattori e conoscenti, rappresentando
loro in quali angustie versasse Don Bosco. Questo però non gli
aveva impedito, come dicevamo, di aprire le sue case a una dozzina di
poveri ragazzi abbandonati. Anche allora si ammirarono tratti speciali
della Provvidenza. Il 4 marzo egli disse a Don Viglietti: - Stamane
occorrevano duemila lire, ed ecco arrivare da persona ignota un vaglia
di mille; le altre mille prima di notte arriveranno. - Arrivarono difatti
verso sera.
Quel giorno il savonese signor Martinengo, prete della Missione, si
presentò a lui per domandargli se potesse re -
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carsi senza pericolo presso la sua famiglia. Don Bosco gli rispose
che andasse pure tranquillamente, purchè portasse con sè
medaglie di Maria Ausiliatrice da distribuire fra i parenti con la raccomandazione
che frequentassero i sacramenti; a questa condizione nessun danno avrebbero
più ricevuto dal terremoto. La medesima cosa fece raccomandare
ai collegi della Liguria.
Con tante preoccupazioni non c'è da stupire che l'addolcirsi
della stagione, anzichè lenirgli le sofferenze, sembrasse da
prima acuirgliele. La sera del 5 aprile stette assai male. Rimase affatto
senza parola, respirava affannosamente, non poteva muovere le membra.
Fu subito svestito e messo in letto come un bambino. La mattina seguente
non potè celebrare. Alzatosi tardi, prese un tantino di ristoro;
ma non lo ritenne. Verso mezzogiorno ripigliò alquanto le forze,
sicchè, facendosi coraggio e dicendo di sentirsi meglio, andò
a tavola con gli altri; ma poi fu costretto a coricarsi molto per tempo.
Il 7, giovedì santo, celebrò nella sua cappella privata,
dove, comunicati i segretari, conservò sacre specie, perchè
voleva fare il dì appresso la santa comunione.
Alla metà di aprile si trovava a Torino il principe Augusto Czartoryski.
Accortosi che la salute di Don Bosco andava sempre più declinando,
aveva stabilito di fare sotto la sua direzione un ritiro spirituale
per poter decidere definitivamente sul proprio avvenire. Nei numerosi
abboccamenti avuti con lui moltiplicò le insistenze per essere
accettato subito fra i Salesiani. Don Bosco, sempre lodando il suo proposito
di abbandonare il mondo per abbracciare la vita religiosa, lo invitava
a considerare se non gli convenisse meglio entrare nella Compagnia di
Gesù o nell'Ordine del Carmelo; ma il giovane signore, che aveva
visitato molte comunità religiose, diceva che in nessun luogo
fuorchè nella Congregazione Salesiana gli sembrava di poter trovare
la pace da gran tempo sospirata. - La Congregazione Salesiana non è
fatta per lei gli veniva ripetendo il Santo. Era l'ultima prova,
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alla quale Dio sottoponeva quell'anima eletta. Fedele alla grazia e
sostenuto da una fiducia incrollabile nel divino aiuto, egli in ogni
colloquio tornava sempre al medesimo punto. Finalmente, imploratane
la benedizione, partì per Roma, precedendovi di alcuni giorni
l'arrivo del Servo di Dio, presso il quale noi lo ritroveremo; poichè
Don Bosco era ormai risoluto di affrontare quel viaggio per assistere
alla consacrazione della chiesa del Sacro Cuore.
CAPO XIII
Ultimo viaggio del Santo a Roma.
Non è punto inverosimile che Don Bosco, tanto malandato in salute,
pensasse di poter confidare sicuramente in uno speciale aiuto della
Provvidenza Divina, esponendosi ai disagi di sì lungo viaggio;
ci conferma in questa ipotesi il vedere com'egli non intendesse di compiere
il percorso nel più breve tempo, ma divisasse di moltiplicare
le fermate per profittarne secondo i bisogni della sua Opera. Infatti
ancor prima di partire da Torino indisse ai Cooperatori Liguri una conferenza
in Sampierdarena, invitandoli colà mediante una circolare che
fu spedita dall'Oratorio il 18 aprile (I).
La partenza avvenne la mattina del 20. “ Partì da casa,
scrisse Don Lazzero (I), che pareva non potesse resistere al viaggio
nemmeno sino a Moncalieri ”. Accompagnato da Don Rua e da Don
Viglietti, si lasciò adagiare in una carrozza di prima classe.
Il capostazione di Torino fece ancora di più, conducendolo in
uno scompartimento riservato e ingiungendo al personale viaggiante di
usargli ogni riguardo. Tanta cortesia era dovuta al commendatore Stanzani,
direttore generale delle ferrovie, che gliene aveva fatta calda raccomandazione.
A Sampierdarena giunse felicemente. I giovani dell'ospizio, che lo aspettavano
ansiosi, lo accolsero con filiali dimostrazioni di affetto. Il buon
Padre non solo non si mostrava
(I) App., Doc. 66.
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stanco delle tre ore e mezza di viaggio, ma sembrava rinvigorito, a
segno che passò in mezzo agli alunni lieto e sorridente e, condotto
nel refettorio, pranzò con buon appetito, mostrandosi di ottimo
umore. Fu una vera gioia per tutti.
Ma il giorno dopo le cose cambiarono alquanto, come si vide durante
la celebrazione della Messa, che gli costò molta fatica; tuttavia
diede udienza finchè potè alle persone che riempivano
la casa. Nel pomeriggio una superba carrozza a due cavalli mandatagli
dal signor De Amicis, cooperatore salesiano, lo portò a Genova.
Gran moltitudine di gente stava affollata sul suo passaggio lungo la
via che scende alla chiesa di S. Siro, scelta anche questa volta per
la riunione. Il vasto tempio divenne angusto a contenere i tanti che
fecero a gara per conquistarvi un posto.
Quando il Servo di Dio apparve nel presbiterio fra uno stuolo di ragguardevoli
personaggi, un lieve mormorio corse per le navate e tutti gli sguardi
erano fissi là dov'egli si assise ad ascoltare il discorso. Passarono
pochi minuti, ed ecco arrivare l'Arcivescovo con le primarie notabilità
del clero diocesano. L'incontro dei due venerandi uomini sollevò
negli astanti un'onda di commozione.
Tosto ebbe principio la cerimonia. Un alunno dell'ospizio di Sampierdarena
lesse un tratto della vita di S. Francesco di Sales, poi salì
sul pulpito monsignor Omodei Zorini, uno dei più eloquenti oratori
sacri di quel tempo. Egli che amava teneramente Don Bosco, spiegò
tutta la sua facondia a descriverne e magnificarne l'opera. Non poteva
non parlare del recente disastro che aveva colpito la Liguria e danneggiato
cotanto gl'istituti salesiani della riviera. La questua fatta dai giovani
cattolici del Circolo Beato Carlo Spinola fruttò milletrecento
lire, oltre alle somme raccolte alla porta della chiesa prima della
conferenza o recate in seguito da pie persone a Don Bosco stesso. Finita
la cerimonia, egli impiegò
(I) Lett. a Don Riccardi, Torino 3o aprile 1887.
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quasi un'ora per raggiungere la sacrestia, tanta era intorno a lui
la ressa dei devoti. “ Quel caro Don Bosco, scriveva l’Eco
d'Italia del 22 aprile, con quel suo volto bonario, con quel suo riso
di santo, chi, chi non andò ieri a vederlo? Egli è vecchio,
è affranto nel corpo e non cammina più se non sorretto,
ma quanta giovinezza in quella sua mente che pare preoccupata di dover
pensare a tante cose, di dover stare alto alto per poter guardare quanto
più può lontano! [...]. Tutti volevano sentire una sua
parola, tutti baciargli la mano o per lo meno la veste, ed egli abbadava
a contentar tutti leggermente sorridendo e tranquillo. - Egli è
un santo - si diceva da tutti ” .
Prolungò ancora di un giorno e mezzo la sua dimora a Sampierdarena,
nel qual tempo le udienze si succedettero per ore e ore. “ Poverino!
esclama Don Viglietti nel diario sotto il 22. È stanco! Vi furono
dei momenti nei quali rimase quasi senza respiro ”. Due volte
la moltitudine impaziente, aperta la porta della sua camera, irruppe
su di lui, gettandosi poi in ginocchio. Si assalivano qua e là
nelle scale e nei corridoi le persone di casa per ottenere di essere
ammessi a vederlo.
L'entusiasmo popolare veniva alimentato da voci che riferivano straordinarie
grazie temporali e spirituali. Un'ammalata, ricevuta la benedizione,
si riebbe d'un tratto, dicendosi guarita. Un tal Pittaluga fu Giuseppe
di Sampierdarena non si accostava più da trent'anni ai sacramenti.
Benchè allora fosse in punto di morte, non dava segno di resipiscenza.
I suoi familiari lo raccomandarono a Don Bosco, che promise di pregare
secondo la loro intenzione. Ebbene l’infermo, deposta la sua ostinatezza,
si confessò e ricevette la santa comunione. Don Viglietti aveva
visto l'anno precedente portare a Don Bosco un ragazzo in pessime condizioni
di salute; lo rivide allora venire da sè a ringraziarlo, in ottimo
stato. Una signora gli presentò un suo figlio, dicendo che era
un gran discolo e che formava la disperazione della famiglia, nè
voleva sapere di sacramenti o pratiche religiose. Don Bosco lo be -
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nedisse. Oh mirabile effetto! Il giovane, uscito di là come
un agnellino, la dimane tornò sereno in volto e pieno di contentezza
dopo essersi confessato e comunicato. La madre chiese per lui una seconda
benedizione, che gli ottenesse il dono della perseveranza.
Porremo qui il racconto di una curiosa profezia, della quale non abbiamo
potuto accertare la data, ma riferentesi a Sampierdarena. Una cognata
del salesiano Don Borio in un suo incontro con Don Bosco erasi sentita
dire da lui: - Voi, quando sarete vecchia, verrete ad abitare nella
nostra casa di Sampierdarena, dove avrete per compagna una Capra...
Non mica, veh, di quelle che mangiano l'erba, ma una Capra con due gambe...
Vi farete compagnia anche in morte. - La signora, essendo stata sempre
benefattrice dei Salesiani, allorchè in vecchiaia restò
sola al mondo, ottenne facilmente di ritirarsi colà presso le
Figlie di Maria Ausiliatrice, con le quali visse gli ultimi dieci anni.
Una suor Olimpia era la sua compagna prediletta; chiamandola sempre
suor Olimpia, non sentì mai il bisogno di conoscerne il cognome
fin verso il termine de' suoi giorni. Orbene suora e signora ammalarono
entrambe ai primi di gennaio del corrente anno 1936, entrambe peggiorarono
in un batter d'occhio, si spensero entrambe a sole quattro ore di distanza
nel dì dell'Epifania. Suor Olimpia aveva cognome Capra.
Nel pomeriggio del 22, salito in carrozza con Don Belmonte e Don Viglietti,
andò a Sestri Ponente per fare visita alla benefattrice Luigia
Cataldi. Sul punto di congedarsi la signora gli domandò: - Mi
dica, Don Bosco, che cosa debbo fare io per assicurarmi la salvezza
eterna? - È molto probabile che ella si aspettasse qualche consiglio
spirituale di vita ascetica o fors'anche una parola rassicuratrice;
ma Don Bosco, con aspetto sostenuto, le rispose: - Lei per salvarsi
dovrà diventare povera come Giobbe. - Sotto forma iperbolica
egli ripeteva il suo noto concetto sulla misura dell'elemosina che i
ricchi sono tenuti di fare, se non vogliono venir
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meno alla missione sociale affidata loro dalla Provvidenza. La buona
signora a quell'uscita rimase sconcertata, sicchè lì per
lì non sapeva più che fare nè che dire. Quando
furono fuori del palazzo, Don Belmonte che era stato nell'antisala e
all'aprirsi della porta aveva afferrato le ultime parole di Don Bosco,
gli chiese come mai gli fosse bastato l'animo di tenere un simile linguaggio
con una persona che pure faceva tanta elemosina. - Vedi, gli rispose
Don Bosco, ai signori non c'è nessuno che osi dire la verità.
A ribadire e a chiarire sempre meglio il pensiero di Don Bosco in tema
di elemosina, non sarà fuori di proposito prendere nota qui di
una sua manifestazione ricordata recentemente a Marsiglia. In un discorso
tenuto ivi per la distribuzione dei premi agli alunni dell'oratorio
di S. Leone, il signor Abeille, presidente della Società marsigliese
per la tutela del commercio, narrò un episodio, del quale era
stato testimonio da giovinetto. Una delle volte che Don Bosco, visitando
la casa della Navarra, si recò alla vicina Hyères, godette
dell'ospitalità offertagli dall'Abeille padre. Questi la sera
a tavola si mostrava meravigliato della pesca miracolosa fatta dal Santo
nella chiesa parrocchiale dopo un suo sermoncino ai fedeli; poichè,
mentr'egli si aggirava fra l'uditorio con il vassoio in mano, i signori
vi vuotavano dentro i portafogli e tante signore, non avendo altro da
dare, vi deponevano ornamenti preziosi. Don Bosco, non che condividere
quelle meraviglie, trovava la cosa naturalissima, dovendo il superfluo
andare tutto in carità. Anzi giunse a dire: - Veda, signor Abeille,
quando Ella abbia messo da parte cento franchi al mese, e cento franchi
al mese sono molto, il resto lo deve dare a Dio.
- Con milleduecento franchi all'anno di risparmio, rispose quegli, non
si tira avanti, quando ci sono otto
figli da allevare.
- Io ne ho migliaia da allevare, soggiunse Don Bosco.
- Oh, a questo modo, replicò l'altro, il Papa ne ha molti più
di lei: non a migliaia li conta, ma a milioni.
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- È vero, confermò Don Bosco, ma il Papa non li mantiene
(I).
A taluno potrà sembrare dura la dottrina del Santo in materia
di ricchezze (2); ma c'è in proposito una dottrina evangelica,
la quale non dà ansa a facili accomodamenti. Dice il Signore
(3): In verità vi dico, che un ricco malagevolmente entrerà
nel regno dei cieli. E da capo vi dico: E più facile che un camello
passi per la cruna di un ago di quello che un ricco entri nel regno
dei cieli. Commenta il Curci, seguendo S. Giovanni Crisostomo: “
Qui Gesù ha voluto rivelare ai suoi il tremendo, insormontabile
ostacolo, che frappongono alla salute le ricchezze per loro medesime,
di loro natura, senza alcun riguardo alle peculiari disposizioni di
coloro, che le posseggono ”. Don Bosco che mirava in tutto e soprattutto
alla salvezza delle anime, ricambiava santamente i benefizi, aiutando
i suoi benefattori ricchi a sormontare il tremendo ostacolo.
Lasciava Sampierdarena verso il tocco del 23, senza che per l'opprimente
stanchezza potesse confortare di qualche alimento lo stomaco. Attraversò
il cortile pieno di forestieri, che s'inginocchiarono coi giovani per
ricevere la sua benedizione; altri molti lo attendevano alla ferrovia.
Anche qui, grazie alle premure, di cui gli si mostravano larghi gl'impiegati,
potè godere con i suoi due compagni di uno scompartimento riservato
nella prima classe.
Era diretto alla Spezia. Ivi giunto, benchè fosse ancora digiuno,
si prestò con la inalterabile sua amabilità alle cortesi
manifestazioni di cittadini venutigli incontro e poi alle festose accoglienze
dei giovani. Fu visitato la sera stessa dal comandante dell'arsenale
marittimo. Il dì appresso visitò il Vescovo di Sarzana,
monsignor Rossi dei Predicatori. Dopo si succedettero senza interruzione
a porgergli il loro saluto sacerdoti
(I) Le petit Nouvelliste de l'Oratoire Saint - Léon. Bulletin
triméstral, Nov. 1935
(2) Cfr. vol. XV, pag. 526 - 28.
(3) MATT., XIX, 23 - 4.
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e laici, fra i quali ultimi si videro numerosi ufficiali. Il Direttore
diede un solenne pranzo, a cui parteciparono autorità di ogni
categoria, ecclesiastiche, civili, militari. “ Fu veramente una
bella giornata, scrisse Don Viglietti. Tutte le autorità della
Spezia vennero a ossequiare Don Bosco e pranzarono con lui. Erano proprio
tutti entusiasmati di lui, ne parlavano con venerazione e amore [...]
e partirono tardi a malincuore, proferendoglisi umili servi in tutto
che fossero capaci. Ritornarono la più parte a fargli visita
”. A mensa egli aveva parlato stupendamente, lasciando ammiratissimi
i convitati, che lo proclamarono uomo veramente grande. La mattina del
25 fu dedicata ai Cooperatori, che però non accorsero soli a
udire la parola di Don Rua, ma in compagnia di altri distinti signori
e di graduati della marina militare. Terminata la conferenza, Don Bosco
impartì la benedizione di Maria Ausiliatrice; indi si sedette
là per contentare la gente che voleva accostarsi a lui, baciargli
la mano e dirgli una parola. Gli si avvicinarono ivi fra gli altri il
commendatore Polino, comandante generale dell'arsenale, e i colonnelli
Castellaro e Scapparo; cosa affatto inaudita a quei tempi in Italia,
che alti ufficiali e impiegati rendessero così pubblicamente
onore a un prete.
Verso le sedici si partì per Pisa. L'Arcivescovo monsignor Capponi
mandò alla stazione il segretario perchè lo conducesse
direttamente nell'episcopio, dove lo voleva suo ospite; ma Don Bosco
si scusò a motivo della premura che aveva di trovarsi in giornata
a Firenze. Erano là anche i confratelli di Lucca, che poterono
scambiare con lui appena qualche parola. Sul nuovo treno incontrò
il Vescovo di Arezzo, monsignor Giuseppe Giusti, che gli si accompagnò
sino a Firenze, dove, prima di proseguire, gli strappò la promessa
di una fermata nella sua città alla ripresa del viaggio per Roma.
A Firenze i Salesiani pensavano di portarlo senz'altro nella loro casa;
ma dovettero fare i conti con la mamma fiorentina, la contessa Uguccioni,
che, impedita di muoversi,
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aveva mandato alla stazione alcuni parenti con l'ordine di condurlo
al suo palazzo in via degli Avelli. Paralizzata alle gambe, essa non
poteva più fare un passo; tormentata inoltre da angustie di spirito,
riceveva sempre intimo conforto dalle lettere di Don Bosco, ma assai
più dalla sua viva voce.
Nei tre giorni passati presso di lei celebrò ogni mattina nella
sua cappella privata. A servirgli la Messa venivano dal collegio due
ragazzi accompagnati da Don Filippa, che quindi si trovava presente
quando le due venerande persone s'incontravano e si davano il buon giorno
dinanzi alla soglia del santuarietto domestico, l'uno sorretto da Don
Viglietti e l'altra spinta su d'una carrozzella. La prima volta la Contessa
sembrava un'anima in pena; le si leggeva la malinconia sul volto.
- Buon giorno a lei, signora Contessa, le disse festevolmente Don Bosco.
S'ha a fare un balletto?
- Oh Don Bosco! rispose ella. Come lei vede!... Poverina me!...
- Bene, bene, riprese il Santo, non si sgomenti, signora Contessa...
Si farà poi in paradiso...
Fortunatamente le giornate fiorentine di Don Bosco non furono disturbate
da straordinari incomodi, il che permise udienze in buon numero. Il
Direttore aveva disposto benino le cose, scrivendo lettere d'annunzio
alle primarie famiglie della città; perciò o nella dimora
opistale o nell'istituto di via Fra Angelico era un continuo giungere
di carrozze, che conducevano signori e signore dell'aristocrazia e ragguardevoli
prelati. Anche l'Arcivescovo monsignor Cecconi ebbe la grande bontà
di prevenirlo, recandosi sollecitamente da lui nel collegio. Monsignor
Velluti - Zati, duca di S. Clemente e vescovo titolare di Orope, mise
a sua disposizione il proprio cocchio per tutto il tempo che egli stette
a Firenze.
L'ultimo giorno, 28 aprile, Don Bosco non pranzò, come di solito,
nella casa dell'Immacolata, ma dalla Contessa, per essere più
vicino alla stazione. A tavola essa ricordò con tutti
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i particolari ai commensali il fatto del figlioccio richiamatole in
vita da Don Bosco venti anni prima. Mentr'ella parlava, Don Bosco stette
sempre a fronte bassa, arrossendo e tacendo. La caritatevole signora,
persuasa che non l'avrebbe mai più riveduto, fece tutto il possibile
per trattenerlo ancora a Firenze, promettendogli financo mille lire
per ogni giorno di ulteriore dimora. - Ella conosce la mia povertà,
le disse egli, e i molti bisogni de' miei giovanetti. La ringrazio di
sì buone disposizioni del suo cuore caritatevole. Il povero Don
Bosco non può in questo momento fare come vorrebbe. Ha un impegno
che non ammette dilazione, la consacrazione della nostra chiesa a Roma;
devo necessariamente trovarmi là qualche giorno prima. - Generosa
come sempre, la Contessa fece un grande atto di rassegnazione, rendendolo
ancor più meritorio con una bella offerta (I).
L'invito del Vescovo di Arezzo offriva a Don Bosco un doppio vantaggio.
Primieramente gli dava modo di non fare tutto d'un fiato il resto del
viaggio, il che l'avrebbe stancato di soverchio; poi, non essendo guari
conosciuto in quella città, sperava di prendersi qualche riposo
prima di arrivare a Roma, dove prevedeva di non poter più avere
una giornata di libertà. Per tali motivi fece assai volentieri
quella fermata.
Alla stazione di Arezzo egli ebbe un commovente incontro. Il capostazione,
appena lo vide e lo riconobbe, corse verso di lui, lo abbracciò,
poi piangendo dalla gioia disse agli astanti: - Io era un ragazzaccio
a Torino per le strade senza babbo e senza mamma. Questo santo prete
mi raccolse, mi educò, m'istruì in modo che io ho potuto
raggiungere il posto che presentemente occupo e dopo Dio devo a lui
solo, se ora mangio un pane onorato. - Quanti udirono le sue parole,
ne rimasero così tocchi, che vollero tutti baciare la mano del
Santo (2).
(I) Cfr. Sac. LUIGI MORI, Don Bosco a Firenze. Firenze, Libreria Salesiana
editrice 1930, pag. 138 - 40.
(2) Rassegna Nazionale, I° febbraio 1915, pag. 366.
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Il Vescovo, uomo tutto di Dio e morto povero sebbene avesse una mensa
largamente provvista, colmò Don Bosco d'onori e di riguardi.
Lo mandò a prendere con un superbo cocchio, favoritogli da una
nobile famiglia cittadina. Nel palazzo vescovile radunò tutto
il seminario per dargli il benvenuto. Cenò con lui e con i suoi
compagni e verso la mezzanotte lo condusse egli stesso nella camera
detta di Pio VII e tenuta sempre chiusa, dopochè il grande Pontefice
nel suo trionfale ritorno alla città eterna vi aveva passato
la notte. Un giovane prete, sorpreso per tale trattamento, disse a Monsignore:
- Perchè tanti onori? Se fosse vescovo o cardinale,
transeat; ma un semplice prete...
- È più che un vescovo, più che un cardinale, gli
rispose; è un santo.
Quel prete, che si chiamava Angelo Zipoli, non poteva allora immaginare
che quindici anni dopo, sospinto dalla memoria dell'antico santo ospite
del suo Vescovo, avrebbe rinunziato a onorifiche mansioni per venire
a far parte della sua famiglia religiosa.
Ad Arezzo Don Bosco trascorse in perfetta quiete tutto il 29 aprile;
una passeggiata fatta nelle ore vespertine col Vescovo per le ridenti
campagne circostanti, un po' camminando a piedi, un po' andando in carrozza,
gli recò notevole sollievo. Rientrato che fu, il suo pensiero
lo richiamò all'Oratorio. Essendo imminente il mese di maggio,
volle che Don Viglietti scrivesse a Don Lemoyne, esprimendogli il suo
desiderio che radunasse a conferenza i giovani della quarta ginnasiale
e dicesse loro che Don Bosco pensava ad essi, che li salutava, che li
esortava a far bene il mese di Maria, e aggiungesse quanto altro di
buono quel sì fedele interprete del cuore di Don Bosco sapesse
escogitare.
Quattro rappresentanti del clero diocesano vennero a rendergli omaggio.
Don Bosco, uditi i loro complimenti, li invitò a iscriversi fra
i Cooperatori, della quale istituzione essi ignoravano l'esistenza.
Egli, spiegato che cosa fossero, chiamò
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Don Rua e gli dettò i nomi dei presenti (I). Uno di loro, presa
confidenza, gli domandò perchè mai egli, così sofferente
come appariva, si fosse azzardato a fare un viaggio tanto lungo. Rispose:
- Che volete? È un comando del Papa, e al Papa non si può
dire di no. Fra pochi giorni avremo la consacrazione della chiesa del
Sacro Cuore al Castro Pretorio. Il Papa, saputo ciò, disse al
nostro superiore locale. - "È Don Bosco viene alla consacrazione?
". Avendogli quegli risposto che le mie condizioni dì salute
non me lo avrebbero permesso: "No, disse il Papa. Voglio che venga.
Scrivetegli che se non viene, non gli firmo il passaporto pel paradiso
". Vedete bene che è anche mio interesse andar a prendere
un documento così prezioso, di cui avrò bisogno certamente
e fra non molto. L'Arciprete di Capannole, che ci descrive questa visita,
afferma che le parole di Don Bosco sono da lui riferite “ testualmente
”. Dunque, cosa che non avremmo saputo da altra fonte, il penoso
viaggio fu in sostanza per Don Bosco un atto di obbedienza al Papa.
Partì per Roma la mattina del 30, giungendo alla stazione di
Termini poco dopo le 15. Mentre sorretto moveva a stento i passi verso
l'uscita, dispensava buone e talora lepide parole a tutti quelli che
gli erano venuti incontro. Gli si presentarono pure due sorelle ch'ei
riconobbe, e gli dissero che, se permetteva, sarebbero andate a visitarlo.
Don Bosco sorridendo rispose: - Per far visita a Don Bosco in Roma ci
vogliono da dieci a dodici mila lite. - Ma tosto ripigliò: -
A loro tuttavia darò udienza anche gratuitamente.
Entrò in casa da via Magenta. La porta era adorna di festoni,
le colonne dell'atrio vestite di fiori, e dalla parete esterna dell'abside
pendeva un'epigrafe che diceva: Roma si allieta e si esalta nell'accogliere
tra le sue mura il nuovo Filippo,
(I) Erano Don Angelo Zipoli, rettore del seminario, professore di scienze
e più tardi canonico; Don Giuseppe Clacchi, proposto di Bibbiena;
Don Domenico Pallotti, insegnante nel seminario; il diacono Angelo Rossi
insegnante nel collegio Piano. A quest'ultimo, oggi arciprete di Capannole,
dobbiamo parecchie di queste notizie.
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Don Giovanni Bosco. Sotto il porticato lo aspettavano i giovani e i
superiori. Egli, seduto sopra un'umile scranna, permise a tutti di baciargli
la mano; quindi ascoltò amorevolmente canti e letture. Alla fine
del trattenimento, mentre saliva i primi gradini per avviarsi al piano
superiore, disse in tono faceto a quelli che lo attorniavano: - Mi avete
lette delle composizioni parlandomi di tante cose, ma del pranzo non
mi avete detto ancora nulla. - Tutti risero e gli si rispose che il
pranzo era apparecchiato. Si misero a mensa con lui alcuni signori,
fra i quali spiccava l'alta figura del principe Augusto Czartoryski.
Don Dalmazzo gli presentò anche un ex - allievo dell'oratorio
festivo di Torino per nome D'Archino, che, fattosi più tardi
coadiutore, morì novantenne nell'ospizio del Sacro Cuore. Il
presentato gli disse: - Sono diciotto anni che non ho avuto più
la fortuna di vederla. L'ultima volta fu il 28 dicembre 1869, festa
di S. Giovanni Evangelista; allora mi confessai da lei nella chiesa
di Maria Ausiliatrice.
- E dopo d'allora, gli chiese subito Don Bosco, non ti sei più
confessato?
- Sissignore, e più volte, ma non più da lei, perchè
stavo troppo lontano.
Qui, a proposito di confessione, Don Bosco narrò una cosa che
noi già conosciamo (I), ma che fu messa in dubbio da taluno e
da altri negata come inverosimile. Conviene pertanto che noi riferiamo
le sue parole nella forma in cui le udivamo ripetere dal D'Archino,
e quali le raccolse dalle sue labbra e le scrisse anche Don Lemoyne.
Disse adunque Don Bosco: - La stessa domanda, vedi, l'ho fatta a Sua
Eccellenza il Ministro Crispi. Un giorno, dovendo per alcuni affari
conferire con lui, andai a trovarlo e appena giunto nell'anticamera,
gli uscieri, chiestomi il nome, gli portarono l'imbasciata. Il Ministro,
appena udì il mio nome, venne sulla porta del gabi -
(I) Cfr. volumi IV, pag. 419, e XIII, pag. 483.
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netto, dicendo: "Venga, o caro signor Don Bosco, venga pure avanti;
per lei non c'è anticamera ". E appena fui nel gabinetto,
continuò: " Non si ricorda quando io in Torino veniva a
trovarla in quel bugigattolo e a confessarmi? Oh, lei non mi faceva
mai fare anticamera ". Ed io: " Scusi, Eccellenza, dopo di
allora non si è più confessato? ". - Don Bosco naturalmente
non riferì in quel momento la risposta datagli dal Ministro.
Parve inverosimile che il Crispi avesse detto “ a confessarmi
” e si volle che la sua frase fosse invece “ a confidarmi
”, non potendosi credere che il celebre esule politico pensasse
allora a confessarsi; ma la testimonianza che abbiamo riferita, non
si può ragionevolmente infirmare.
Umanamente parlando, vi era da temere che questa volta Don Bosco a Roma
dovesse starsene fra quattro pareti, senza fare nè ricevere visite,
confortando i suoi con la pura e semplice presenza, ma la Provvidenza
dispose diversamente. Sembrò che gl'incomodi di Don Bosco fossero
passati in Don Rua, il cui stato destava inquietudini, perchè
colto da fiera lombaggine e travagliato da altri inali. “ Chi
sta meglio di noi tutti, scriveva Don Viglietti (I), è Don Bosco,
che è in faccende per i suoi figli. Scrive lettere, dà
udienze ed è pieno di vita ”. Mettiamo pure che in questo
ottimismo del segretario ci sia dell'esagerazione; ma certo è
che potè subito nei primi giorni ricevere illustri visitatori,
come il suo grande amico l'arcivescovo Kirby, l'arcivescovo Dusmet di
Catania, la marchesa Vitelleschi, il conte Antonelli, il nipote del
Papa conte Pecci, i cardinali Ricci Parracciani, Mazzella, Aloisi Masella,
Rampolla, Bartolini, Laurenzi, Verga. Il futuro cardinale monsignor
Cagiano de Azevedo gli portò tremila lire per l'altare di Maria
Ausiliatrice da erigersi nella chiesa del Sacro Cuore. Tutti questi
personaggi non si limitavano a spiccie visite di convenienza; ma, accolti
con molta cordialità, godevano d'intrattenersi con lui talvolta
anche più di
(I) Lett. a Don Lemoyne, I° maggio 1887.
316
un'ora. Più tardi affluirono camerate di seminaristi e gruppi
di religiosi.
Assiduo presso Don Bosco era il Czartoryski, il quale sperava di trovare
a Roma la via per raggiungere il suo ideale di vita religiosa. Partito
da Torino senz'aver ottenuta una parola decisiva e fermo nel proposito
di non lasciare l'Italia senza conchiudere l'affare, pensava di mettere
la sua sorte nelle mani del Papa. Con questo intendimento non gli parve
troppo lungo l'attendere per un buon mese l'opportunità e l'onore
di un'udienza pontificia. Non fu ricevuto se non dopo la consacrazione
della chiesa, allorchè Don Bosco era già a Valdocco. Anche
Leone XIII, avuto riguardo alla sua alta condizione, gl'insinuò
di preferire la Compagnia di Gesù, come più adatta; ma,
udito che nessun ordine appagava i suoi desideri quanto la Società
Salesiana, non solo non insistette, ma approvò il suo disegno.
Sentendo poi che Don Bosco esitava ad accettarlo, riflettuto un momento,
gli disse: - Ritornate a Torino, presentatevi a Don Bosco, portategli
la benedizione del Papa e gli direte essere desiderio del Papa che vi
accetti fra i Salesiani. Siate perseverante e pregate. Avendo il Principe
accennato anche a difficoltà provenienti dalla famiglia, il Papa
tagliò corto dicendo: - Prima di tutto si faccia la volontà
di Dio. - Confortato dalla parola del Vicario di Gesù Cristo,
volò a Torino, rivide Don Bosco, il quale più che altro
aveva inteso di mettere alla prova la sua vocazione, e tostamente partì
per Parigi, dove lo aspettava prova ben più difficile da parte
del padre.
Prima di por termine alla narrazione del viaggio e dell'arrivo di Don
Bosco a Roma, un'improvvisa e dolorosa perdita ci richiama momentaneamente
a Torino. Mancavano pochi giorni a questo viaggio, quando, presagendo
che l'assenza di Don Bosco non sarebbe stata breve, era venuto a fargli
visita di saluto e di augurio il teologo Margotti, che dopo un lungo
e familiarissimo colloquio gli aveva rimessa un'offerta per la chiesa
del Sacro Cuore. Chi avrebbe mai
317
detto che non si sarebbero più riveduti su questa terra? Un
malore fulmineo condusse il Margotti alla tomba il 6 maggio fra il compianto
dei molti amici e il rispettoso omaggio dei non pochi avversari. Di
un così sincero amico e costante benefattore del nostro Santo
è giusto e doveroso affidare a queste Memorie un cenno, che ne
tramandi il ricordo ai Salesiani delle età venture; tanto più
che un oblio generale si è addensato intorno al suo nome, sicchè
i giovani di oggi o lo ignorano o lo conoscono male.
Il Margotti era un ligure di S. Remo. Giornalista nato, fondò
a Torino nel 1848 con altri ecclesiastici e laici l'Armonia, dalla quale
si separò nel 1863 per creare quell'Unità Cattolica che
sotto la sua direzione tenne lungamente il campo nella lotta per la
difesa della Chiesa e del Papa conto i liberali di varia tinta, tutti
più o meno ostili all'una e all'altro. Con una biblioteca ben
fornita e ordinata, con schedari, indici e rubriche, e, quel che più
valeva, con una memoria formidabile, con inesorabile copia di fatti
e di argomenti che colpivano come frecce, la sua polemica non conosceva
esitazioni o mezzi termini, ma vibrava colpi spietati dovunque si annidava
un'insidia e contro chiunque movesse attacchi alla fede e alla morale
cristiana o alla gerarchia cattolica. In quello scrivere d'impeto oggi
si può ben trovare qualche volta da ridire; ma per giudicare
equamente bisogna riportarsi a' suoi tempi. In un periodo storico, in
cui generose aspirazioni venivano furiosamente o subdolamente attraversate
o travisate e l'anticlericalismo settario sembrava etichetta indispensabile
del patriottismo, lo sbandamento dei cattolici sarebbe stato assai più
disastroso senza l'opera energica di una stampa quotidiana che senza
paura e senza compromessi levasse in alto l'idea papale, stringendo
intorno ad essa manipoli di coraggiosi pronti a tutto per la tutela
della libertà religiosa. È naturale quindi che egli fosse
carissimo ai Pontefici Pio IX e Leone XIII e che l'Episcopato italiano
lo riguardasse come il suo miglior paladino.
318
I suoi antagonisti amarono rappresentarlo come acerrimo nemico del
risorgimento italiano e i loro epigoni o altri male informati ripetono
ancora di tratto in tratto una così sommaria condanna; ma quali
fossero i suoi genuini sentimenti, traspare da tre periodi d'una lettera
da lui scritta a un amico banchiere il 12 aprile 1876 e posseduta dal
senatore Alfredo Baccelli (I): “ Sette secoli fa i nostri Padri
inalberavano la Croce sul carroccio, epperò erano grandi e vittoriosi.
Oggidì si combatte in nome dell'Italia e della libertà
lo stesso Gesù Cristo ed il suo Vicario. Noi veri italiani, sorgiamo
in difesa dell'uno e dell'altro, continuando le antiche tradizioni ”.
Indubbiamente, se fosse vissuto fino al 1929, vedendo riconosciuta dall'Italia
ufficiale la sovranità del Pontefice nella forma più adatta
ai tempi nuovi, avrebbe benedetto le lotte sostenute per mantener viva
nella coscienza dei cattolici l'idea di questa sovranità, nella
cui rinascita egli avrebbe salutato l'auspicio del vero risorgimento
italiano. Il suo ultimo articolo era appunto intitolato La conversione
di Sant'Agostino e la Conciliazione.
Il forte atleta, quando sentì che la sua fine si avvicinava,
fece a Dio l'offerta della vita con una fede e pietà che commossero
quanti ne furono testimoni, e con la serena semplicità con cui
a Dio aveva consacrati i talenti, le forze e il riposo fino da' suoi
anni giovanili. Don Durando telegrafò in questi termini a Don
Bosco la luttuosa notizia: “ Teologo Margotti morto ore quattro
e un quarto. Fui presente. Che santa morte! Quale perdita! ”.
La perdita fu grave anche per Don Bosco. Ordinò subito a Roma
e a Torino particolari preghiere. Poi con parola commossa egli manifestò
pubblicamente due volte, come vedremo nel capo seguente, il suo cordoglio.
Infine il 18 giugno fece
(I) Il Senatore ne pubblicò un brano nella Stampa della sera
(11 dicembre 1935) e ci comunicò che il destinatario era “
il cavaliere Resapieri, banchiere e amministratore, in relazione con
elementi vaticani ed ecclesiastici, in quel tempo ”.
319
celebrare in Maria Ausiliatrice un solenne funerale in suffragio dell'anima
sua, pontificando monsignor Leto con l'assistenza di monsignor Manacorda,
che ne disse l'elogio funebre (I). Nella lettera d'invito egli diceva:
“ Colla morte del Teol. G. Margotti il giornalismo cattolico ha
perduto il suo più valoroso campione, il clero un sacerdote esemplare;
ma il nostro Oratorio ha perduto inoltre un consigliere, un amico, un
benefattore ”.
Ne' suoi quarant'anni di vita giornalistica il Margotti guardò
a Don Bosco con crescente stima e venerazione, aiutandolo quanto poteva
col suo giornale e col suo danaro; anche nelle disposizioni testamentarie
si ricordò di lui, destinandogli un legato di dodicimila lire.
Era una delizia per il gagliardo lottatore godere della sua amabile
compagnia; quindi tutte le volte che credeva di fargli piacere, veniva
a visitarlo. Ne gradiva poi sommamente gl'inviti a mensa, stimandosi
a sua volta felice quando potesse averlo seco nelle sue domestiche allegrezze.
Nel febbraio del 1886 il Santo, partecipando a una festa intima dell'amico,
sedeva al posto d'onore fra gl'invitati e durante il banchetto aveva
introdotto a più riprese il discorso del paradiso. A un certo
punto gli disse: - Ah! signor teologo, quando saremo là! - Il
commensale Don Reffo, futuro Superiore Generale dei Giuseppini, ricordando
quella circostanza, soleva dire che dinanzi a tanta insistenza di Don
Bosco nel tornare su tale argomento egli aveva pensato fra sè
e sè che il Santo prevedesse essere l'ultima volta che si faceva
quella festa di famiglia; anzi eragli rimasta nell'animo l'impressione
che i giorni del Margotti fossero contati (2).
Contati sentiva pure Don Bosco nel 1887 di avere dinanzi a sè
i suoi giorni. Egli aveva stabilito che la consacrazione della chiesa
si compiesse in aprile; ma rimaneva ancora tanto
(I) Cfr. Bollettino di luglio 1887
(2) Cfr. Unità Cattolica, I° febbraio 1888. Facendosi i funerali
di Don Margotti nella chiesa di S. Secondo a Torino, si leggeva sulla
porta princi -
320
da fare che altri sei mesi non sarebbero bastati a terminare i lavori.
Perciò si cercava di persuaderlo che conveniva rimandare a dicembre;
se non che non voleva sentir ragioni: bisognava assolutamente non oltrepassare
la metà di maggio.
- Va' a Roma, disse un giorno all'economo Don Sala, e procura che per
il 14 maggio tutto sia all'ordine. Assolda operai, pagali quanto domandano,
raddoppia anche loro la
pale questa scultoria iscrizione, dettata dal celebre letterato padre
Mauro Ricci:
A GIACOMO MARGOTTI
CONTRO LE OCCULTE INSIDIE E LE APERTE BATTAGLIE
CON LA PAROLA ELOQUENTE E LA ELETTA DOTTRINA
DIFENSORE MAGNANIMO
DELLA CHIESA E DEL ROMANO PONTIFICATO
AL SACERDOTE INCORROTTO
SEGNACOLO PER QUARANT'ANNI
ALLE IRRISIONI DEI DISSENZIENTI
AL RIMPROVERO DEI FALSAMENTE PRUDENTI
AUGURATE PERPETUA NEL CIELO
LA TROPPO BREVE PACE GODUTA IN TERRA
DA LUI NON PIEGATOSI MAI
DINANZI A NESSUN TRIONFO DI NESSUNA MENZOGNA
Dopo il 1870 la sua famosa formola Nè eletti nè elettori
suscitò per molti anni molte polemiche in Italia. Parlandone
con il direttore del Cittadino di Genova (Citt., 10 maggio 1887), egli
disse: “ Io sono soldato della Chiesa, non ho mai fatto nulla
di mio capo. Quando da chi poteva gerarchicamente comandarmi mi si disse
di parlare in quel modo, parlai; quando mi si disse di ritirare le mie
parole, le ritirai; quando mi si ordinò nuovamente che nulla
doveva essere innovato e di ritornare all'antico programma, vi ritornai.
Che importa a me, soldato, se sul mio capo cade poi l'odio od il plauso?
So che faccio il mio dovere in faccia a Dio, e questo basta alla mia
coscienza ”.
Fra gli autografi di Don Bosco (num. 664) vi è una sua minuta
per un Album d'onore, in cui si legge: “ Pei vincoli di amicizia
che da più lustri mi legano al T. Margotti; in ossequio ai saldi
cattolici principi da Lui intrepidamente propugnati; in unione a tanti
pii, dotti personaggi che lo applaudono; in segno di umile ma profonda,
incancellabile gratitudine pei benefizi compartiti a me, alle case dalla
divina provvidenza a me affidate, ed ai fanciulli nelle medesime raccolti;
auguro al T. M. lunghi anni di vita felice nel tempo, e la mercede dei
forti nella beata eternità. Amen ”.
Fra le lettere preparate da Don Bosco perchè fossero spedite
dopo la sua morte, vi era la seguente: “ Carissimo Signor Teol.
Margotti, Io vi ringrazio della carità che avete fatto ai nostri
orfanelli e dei sostegno e protezione data alle nostre opere. Dio vi
ricompensi largamente. Io vi raccomando di continuare a portarci il
vostro aiuto dopo la mia morte. O Maria, proteggete il vostro servo
e guidatelo al Cielo.
Aff.mo amico
Sac. Gio. Bosco ”.
Questa lettera fu pubblicata nell'Unità Cattolica del 2 febbraio
1888 (2° edizione).
321
paga ordinaria, purchè la chiesa per quella data si possa aprire
al culto.
- Ma dove trovare i mezzi? obiettò Don Sala.
- Non badare a questo, spendi quanto occorre. E se i dipinti non saranno
finiti?
- Non importa; restino come saranno.
- E se l'altar maggiore non sarà a posto? Se ne farà uno
provvisorio di legno.
Don Sala obbedì. In Roma sembrò a tutti che si volesse
l'impossibile. All'arrivo di Don Bosco si lavorò ancor più
febbrilmente. Nei dodici giorni seguenti era un andirivieni continuo
di operai d'ogni specie. Chi atterrava le intravature dei ponti e portava
via gli attrezzi, chi compieva il pavimento marmoreo, chi allestiva
altari, chi finiva gli zoccoli, chi ornava di tappezzerie il presbiterio,
dove del grande altar maggiore erasi potuta mettere a posto soltanto
la mensa con i gradini; non bastando, il giorno, s'impiegarono anche
le notti negli ultimi preparativi. Se si fosse aspettato a dicembre,
Don Bosco certamente non sarebbe più potuto andare a Roma, com'egli
aveva pur detto a chiare note.
CAPO XIV
Consacrazione della chiesa dei Sacro Cuore.
UN periodico di Roma chiudeva così un articolo, nel quale si
annunziava prossima la consacrazione della chiesa del Sacro Cuore (I):
“ In quel giorno quei preti saranno soddisfatti d'aver tirato
su un monumento come quello: quel giorno sarà più che
una festa religiosa, una vera festa dell'arte ”. È una
maniera di esprimersi che fa abbastanza comprendere come il foglio fosse
di marca tutt'altro che cattolica. Noi Post factum possiamo a buon diritto
rettificare dicendo che quel 14 maggio fu insieme festa della religione
e festa dell'arte.
E per cominciare subito dalla festa dell'arte, si vide quanto gli organizzatori
ci tenessero a far sì che la musica vi avesse un posto d'onore.
Si era ventilata a Torino l'idea di mandare a Roma la schola cantorum
dell'Oratorio. Questa massa di cantori sotto la direzione del maestro
Dogliani eseguiva in modo inappuntabile le produzioni più difficili,
sicchè non aveva da temere confronti; sembrava inoltre cosa bella
che la chiesa venisse inaugurata con il canto dei fanciulli cari a Don
Bosco. Alle considerazioni ideali si aggiungeva il lato economico, perchè
ci sarebbe voluta una grossa somma a scritturare per i cinque giorni
di solennità un corpo ragguardevole di buoni cantori romani.
Don Bosco però esitava di -
(I) Il Cicerone, 8 maggio 1887. Si pubblicava il giovedì e la
domenica.
323
nanzi al pensiero della spesa richiesta dal viaggio di andata e ritorno
per non meno di ottanta persone. Ma la Provvidenza lo aiutò in
forma inattesa e in misura più che sufficiente.
I Genovesi per i primi di maggio si apprestavano a celebrare con magnificenza
il terzo cinquantenario della canonizzazione dì Santa Caterina
Fieschi Adorno. La commissione ordinatrice dei festeggiamenti, intendendo
dare alle sacre funzioni della cattedrale il maggior lustro possibile,
voleva che le accompagnasse musica sceltissima; portò quindi
la sua attenzione sui giovani cantori di Valdocco e si rivolse a Don
Bosco, obbligandosi naturalmente a sborsare il dovuto compenso. Era
quanto di più opportuno si potesse desiderare, nè sorsero
difficoltà a intralciar l'affare.
La numerosa schiera partì in pieno assetto da Torino il 5 maggio,
accompagnata da parecchi superiori e guidata dal Dogliani. La componevano
trenta soprani, ventidue contralti, nove tenori e sette bassi; la scortavano
tre maestri insigni: il Petrali di Bergamo, il Galli di Milano e il
Bersano di Torino. A Genova le prove destarono una straordinaria aspettazione.
Il Cittadino dell'8 scriveva: “ Coloro i quali assistettero ieri
alle prove della messa, che sarà eseguita oggi, rimasero addirittura
incantati ”. Le feste durarono tre giorni, in cui i cantori dell'Oratorio
furono fatti segno all'ammirazione della cittadinanza e dei forestieri
non solo per la loro valentia, ma anche per il contegno costantemente
da essi tenuto in chiesa e fuori (I).
(I) Il Cittadino del 9 diceva: e Destò vera meraviglia l'udire
quelle voci infantili, intonate, vellutate, limpidissime ed acute così
che a Genova si voleva credere non potersi trovare. Da molti si voleva
sostenere che si fossero permesse questa volta le voci femminili e non
erano che quelle degli allievi salesiani che echeggiavano per le ampie
volte di San Lorenzo. Il maestro Dogliani, anch'egli del Collegio di
Don Bosco, dirigeva l'esecuzione e aveva istruiti i cori; a lui è
quindi dovuta la massima parte del merito. Chi potè assistere
da vicino all'esecuzione, restò meravigliato dell'ordine, del
contegno, dell'attenzione che regnava in tanta moltitudine di cantori,
che tanto bene influiva anche sui professori d'orchestra, e come ognuno
facesse con vera coscienza la sua parte, senza sforzo, senza smorfie,
senza quella così detta espressione teatrale che in altre circostanze
potè considerarsi un pregio, ma che nella casa d'orazione è
al tutto fuor di luogo. Quelle
324
C'era l'inconveniente di dover andare dopo la Messa a Sampierdarena
per il pranzo e tornare quindi in città per i vespri. Un ricco
fabbricante di pianoforti, il signor Giovanni Ferrari, che aveva anni
addietro messo un figlio in educazione a Valsalice, imbandì per
i tre giorni le mense all'intera brigata nel suo giardino con una lautezza
sontuosa; anzi nel terzo giorno la sua signora consegnò a Don
Lazzero una busta, pregandolo di rimetterla a Don Bosco: quando venne
aperta, si vide che conteneva la somma necessaria al viaggio di andata
e di ritorno per tutta la carovana.
Il trionfo genovese fu magnifico preludio alle feste romane. Partirono
la mattina dell'11 per l'alma città, dove noi li lasceremo andare,
tornando a ritrovare Don Bosco presso la chiesa del Sacro Cuore.
La domenica 8 maggio vi fu dato in suo onore un ricevimento con inviti
di signori e monsignori italiani e stranieri, che si assisero con lui
a mensa in una vera festa di famiglia. Premeva a Don Bosco dare alle
imminenti feste un carattere, diciamo così, internazionale, sia
per far comprendere che la sua Congregazione doveva abbracciare tutto
il mondo, sia perchè tutto il mondo aveva contribuito all'erezione
della nuova chiesa. Verso la fine del banchetto egli prese la parola
vocine ingenue, fini, delicate, non mai nasali o gutturali come siamo
soliti a udire purtroppo nei giovanetti cantori, vennero dette da un
tale senza carattere, perchè non di donne, non di ragazzi. Sono
voci di angeli, gli rispose un altro, e noi meno poetici diciamo: sono
voci di buoni garzoncelli bene istruiti ed educati al sacro canto di
chiesa, come sanno istruirli ed educarli i Salesiani ”. E nel
numero dell'11: “ Noi siamo lieti che Genova abbia potuto finalmente
sentire che cosa si voglia quando si dice: educhiamo i ragazzi a cantare
la musica sacra, e siamo lietissimi che l'esempio ce lo abbia fornito
quell'esemplare di ogni opera buona, mandato dalla Provvidenza Divina
a far rifiorire in ogni sua parte lo spirito della Chiesa di Dio che
è il venerando Don Bosco ”. Ripigliando l'argomento nel
numero del 23, giudicava così l'esecuzione delle Messe: “
Tutte e tre le messe incontrarono il gradimento universale; quella forse
che piacque di più al popolo fu quella di Haydn. Piacquero specialmente
i soprani e i contralti, i quali sorpresero per l'estensione delle loro
voci, la loro intonazione, la dolcezza, l'esattezza delle entrate, l'impasto
e l'equilibrio delle voci, in una parola pel loro metodo di canto. Si
riuscì a udire finalmente un'esecuzione artistica in chiesa,
e in cui la piramide musicale apparve in tutta la sua pienezza dalla
base al vertice ”.
325
quasi solo per commemorare il Margotti. Dopo di lui parlarono parecchi
in italiano, spagnuolo, francese, tedesco, inglese. Appresso vi fu chi
ebbe curiosità di sapere quale fosse la lingua che maggiormente
gli piaceva. Egli sorridendo rispose: - La lingua che più mi
piace è quella che m'insegnò mia madre, perchè
mi costò poca fatica l'impararla e provo con essa maggior facilità
a esprimere le mie idee, e poi non la dimentico tanto facilmente, come
le altre lingue. - L'ilarità generale e un applauso accolsero
la sua risposta (I).
Ora qui si noti la finezza di Don Bosco. L'8 maggio era la festa dell'Apparizione
di S. Michele Arcangelo, onomastico di Don Rua. Il Santo aveva voluto
che quell'occasione servisse a presentare nell'ambiente romano il suo
Vicario, che perciò nei vari brindisi ricevette complimenti ed
elogi. Non basta. A un certo punto, spalancatesi le porte della sala,
entrarono giovani cantori della casa, che inneggiarono a Don Rua con
una composizione appositamente preparata. Don Rua ringraziò con
un'affettuosa semplicità di linguaggio che piacque a tutti i
commensali, terminando con chiedere licenza di poter distribuire un
confetto a ciascuno dei cantori.
La processione delle visite continuava senza posa. La mattina dell'11
Don Bosco ricevette il comitato delle dame cooperatrici, i più
bei nomi dell'aristocrazia romana. Prima ascoltarono la sua Messa, indi
lo accompagnarono nel refettorio, dove fu servito il caffè. Dopo
breve conversazione le benedisse e diede loro alcune medaglie d'argento.
Don Viglietti, fatta menzione di questo ricevimento e registrati i nomi
delle intervenute, scrisse nel diario: “ Don Bosco è stanchissimo,
prostrato di forze e dice di non attendere che il felice istante di
rivolare a Torino fra i suoi giovani, dove spera di andare il giorno
17 facendo una sola fermata a Pisa ” . Ma troppo gli rimaneva
ancora da faticare.
(I) Bisogna mettere qui la particolarità narrata nel vol. XIV,
pag. 575, n. 2.
326
Al rito della consacrazione precedette il collaudo dell'organo. L'organo
del Sacro Cuore veniva dopo centoventi altri costruiti dal Bernasconi
di Varese, la cui riputazione in questo genere di lavori aveva varcato
le frontiere d'Italia e d'Europa. Collaudatori furono il Petrali, già
direttore del liceo musicale di Pesaro, il Renzi, primo organista della
Basilica Vaticana, e il Bersano, ex - allievo di Don Bosco e organista
della Metropolitana di Torino. Aderirono all'invito di parteciparvi
anche il Capocci, organista di S. Giovanni in Laterano, il Moriconi,
direttore dell'orchestra di Santa Maria Maggiore, e altri rinomati maestri.
Gli esperimenti si ripeterono mattino e sera nei giorni 12 e 13 con
l'esecuzione delle più svariate e difficili melodie sinfoniche.
Il pubblico vi accedeva mediante biglietto d'invito personale, che recava
in calce: “ Si prega di un'elemosina nell'ingresso per le spese
di questo organo ”. Il concorso durò numerosissimo dal
principio alla fine.
Allorchè tutto fu terminato, i tre collaudatori esposero così
nella loro relazione il proprio giudizio: “ È opera al
tutto degna del distinto artefice [...]. Il ripieno è grave e
maestoso; la sua forza ben calcolata è proporzionata al bellissimo
tempio; congiunta con una batteria di 27 pedali cromatici, produce quell'effetto
misterioso ed imponente che costituisce il vero carattere di questo
sovrano fra gli strumenti. Ottima è l'imitazione dei registri
di concerto estesi a tutta la tastiera, perfettamente corrispondente
agli strumenti di cui portano il nome. Semplice, solido ed esatto il
meccanismo, perfetto l'accordo ed il temperamento dei suoni, prontissima
l'esecuzione. L'opera insomma è riuscita in ogni singola e minuta
sua parte e fornisce una novella prova dei progressi fatti in questi
ultimi anni dall'egregio fabbricatore, il quale, più che al guadagno
badando alla perfetta riuscita dei suoi lavori, non risparmia fatiche
e sacrifizi, pur di riuscire nell'intento e far sempre nuovi passi nel
cammino del progresso; nel che dà prova di un vero e ben inteso
patriottismo, serbandosi
327
fedele alla tradizione e alla scuola italiana, e accettando nel tempo
stesso le utili innovazioni moderne da qualunque parte vengano ”
.
Alle prove assistette più volte anche Don Bosco in compagnia
di Don Rua e di una gran dama francese, ma da luogo appartato, cioè
dalla finta orchestra che fa riscontro alla vera ai lati del presbitero.
In ultimo, complimentando il costruttore, lo invitò alle feste
per la sua Messa d'oro nel 1891 e gli soggiunse: - Poi, finite le feste,
ci troveremo insieme per il 1892 in paradiso. - Il Bernasconi, tornato
a Varese, raccontò agli operai le lodi meritate loro dall'organo;
ma disse anche dà doppio invito, mostrandosi contrariato dal
secondo, nel quale sospettò l'indicazione precisa dell'anno in
cui sarebbe morto. Morì infatti nel gennaio del 1892. Non è
fantastica ipotesi supporre che il primo invito, puramente immaginario,
servisse a Don Bosco per aprirsi la via alla predizione di quella dura
realtà, la cui tempestiva notizia è all'uomo cristiano
voce amica del cielo. L'artefice era stato largo con lui nella lista
delle spese; egli lo rimunerava a modo suo spiritualmente col fargli
del bene all'anima, perpetuandogli nella coscienza il salutare ripercuotersi
dell'estote parati.
Due grazie segnalate furono attribuite alla benedizione di Don Bosco.
Alle tre pomeridiane del giorno 12, mentre si faceva la seconda prova
sull'organo, due distinte persone, marito e moglie, si presentarono
alla sua porta chiedendo di essere introdotte. Il segretario disse che
in quel momento egli riposava. Ma essi con le lacrime agli occhi lo
supplicavano di annunziarli, perchè venivano da molto lontano
e avevano bisogno di parlargli subito. Don Viglietti allora s'indusse
a fare l'ambasciata. Il Servo di Dio condiscese a riceverli. Appena
gli furono dinanzi, si posero in ginocchio e la signora gli domandò
la guarigione di un braccio da gran tempo paralizzato. Don Bosco rispose
che se la intendesse col Sacro Cuore, facendo un'elemosina per la sua
chiesa. - Marito mio, chiese la donna, quanto abbiamo ancora qui di
danaro?
328
- Un biglietto da cinquecento lire, rispose. Basterà questa
somma, signor Don Bosco?
- Io non mercanteggio la elemosina, disse il Santo, ma dico solo che
facciano un'offerta proporzionata alle loro forze.
Il signore depose allora sul tavolo una carta da cinquecento. Don Bosco,
fatta breve preghiera, benedisse l'inferma, che si sentì immediatamente
guarita, mosse il braccio in tutti i sensi e non capiva in sè
dalla gioia (I).
Erano da poco usciti quei due, che giunse una camerata di chierici del
seminario Pio, i quali venivano per ringraziare Don Bosco di un grande
favore. Il giorno 10 gli avevano condotto un loro compagno da due anni
sordo, affinchè lo benedicesse. Don Bosco si era secondo il solito
raccolto un po' in preghiera, poi l'aveva benedetto e gli aveva susurrato
all'orecchio qualche giaculatoria. Lì per lì non si vide
alcuna novità, tant'è vero che tosto i chierici si erano
licenziati; ma, quando si trovarono fuori, avvertirono che il sordo
udiva benissimo tutto quello che essi dicevano, egli anzi ripetè
le giaculatorie suggeritegli pochi minuti avanti da Don Bosco. Il loro
primo pensiero fu di correre a casa per portare a tutti la strepitosa
notizia; i Superiori li mandarono poi a dir grazie.
Un giovedì lo visitò una camerata di alunni del Seminario
Lombardo, fra i quali vi era colui che oggi è Arcivescovo di
Perugia, monsignor Giovanni Battista Rosa. “ Ci prostrammo, scrive
monsignor Rosa, dinanzi a lui che sedeva curvo, affaticato sopra un
modesto divano in un più modesto salottino ”.
- Che cosa desiderate? chiese loro.
- Don Bosco, desideravamo vederla.
- Già, soggiunse, vedermi! Certo per quello che di me dicono
gli uomini. Ma di me che cosa dirà Iddio?
(I) Un altro signore sembra che non la intendesse a quel modo. Visitando
ivi Don Bosco, gli promise centomila lire, se gli otteneva una grazia
dalla Madonna.
- Mi contenterei di una tazza di caffè, gli rispose il Santo.
- Perchè mai?
- Perchè è meglio una tazza di caffè oggi, che
centomila lire domani.
329
Nel proferire queste parole alzò gli occhi al cielo, rivolgendoli
tosto sopra i seminaristi con tenerezza e lacrime.
- Don Bosco, insistettero quelli, ci dica una parola di ricordo che
ci guidi nella futura vita sacerdotale; Don Bosco, ci benedica.
Il Santo alzò la mano tremante e li benedisse. Quindi, fisso
sempre nel pensiero del giudizio di Dio, diede loro questo ammonimento:
- Curate sempre quello che di voi potrà dire il Signore, non
quello che di voi, o in bene o in male, diranno gli uomini.
Monsignore osserva (I): “ Nessuna delle tante opere prodigiose
del grande Santo mi ha da quel momento meravigliato. Erano chiaramente
spiegate da quella loro granitica origine: il giudizio che ne avrebbe
fatto Iddio ”.
Il desiderio e il bisogno di abbreviare al possibile il suo soggiorno
a Roma consigliavano a Don Bosco di sollecitare l'udienza pontificia,
ed ecco che la sera dell'11 lo stesso maestro di camera monsignor Della
Volpe, accompagnato da monsignor Volpini, segretario delle lettere latine,
gli recava il biglietto. Don Bosco ebbe molto piacere di conoscere il
primo e di rivedere il secondo, perchè voleva raccomandar loro
che ottenessero dal Santo Padre un'udienza per i giovani cantori dell'Oratorio.
La sua udienza era fissata per la vigilia della consacrazione alle ore
diciotto. - La sera, io ricevo i miei amici disse una volta Pio XI a
un prelato francese, volendo evidentemente dargli una prova di benevolenza.
Ma anche i suoi ultimi predecessori avevano la stessa consuetudine di
ricevere a tarda ora persone di confidenza.
Nel giorno e all'ora stabilita Don Bosco attendeva nell'anticamera del
Papa. Mentre se ne stava silenzioso e raccolto, si sentì un lieve
fruscìo sul pavimento della sala vicina, ed ecco avanzarsi con
sovrana dignità e passare oltre Leone XIII
(I) Sagre Cuneesi a Don Bosco Santo. Gros Monti, Torino 1935. Pag.
2.
330
che, accompagnato dal suo seguito, ritornava dalla passeggiata nei
giardini vaticani ed entrava nella sua biblioteca particolare. Di lì
a pochi minuti Don Bosco venne introdotto.
Il Papa lo accolse festevolmente, nè permise che s'inginocchiasse
al bacio del piede, ma comandò a monsignor Della Volpe di avvicinargli
una poltroncina. Essendo stata questa collocata a una certa distanza,
il Papa se la tirò da presso, vi fece sedere Don Bosco, lo prese
per la destra e, stringendola caramente fra le sue mani, gli ripeteva:
- Oh caro Don Bosco, come state?... Come state?... - Poi si alzò
e soggiunse: - Don Bosco, forse avete freddo, non è vero? - Così
dicendo, andò a prendere una larga pelliccia e tornando a lui
gli disse in tono di grande confidenza: - Vedete questa bella pelliccia
di ermellino che mi è stata regalata oggi per il mio giubileo
sacerdotale? Voglio che siate voi il primo a usarne. - E glie l'accomodò
sulle ginocchia. Quindi, sedutosi di nuovo, lo riprese per la mano e
premurosamente gli domandò sue notizie.
Don Bosco, muto fino allora e commosso all'estremo per quei tratti di
paterna degnazione da parte del Vicario di Gesù Cristo, gli rispose:
- Sono vecchio, Padre Santo, ho settantadue anni; è questo il
mio ultimo viaggio e la conclusione di tutte le cose mie. Prima di morire
volevo vedere ancora una volta la Santità Vostra e ricevere una
vostra benedizione. Sono stato esaudito. Ora non mi rimane altro da
fare se non cantare: Nunc dimittis servum tuum, Domine, secundum verbum
tuum, in pace, quia viderunt oculi mei salutare tuum: LUMEN ad revelationem
gentium et GLORIAM plebis tuae Israél. - Accentuò intenzionalmente
le parole lumen e gloriam, accomodandole a Leone XIII, che soleva venir
salutato con il lumen in caelo della pseudoprofezia di S. Malachia.
Il Santo Padre gli fece osservare che l'età di lui era meno avanzata
della propria; avere egli settantotto anni e nutrire tuttavia speranza
di rivedere il suo caro Don Bosco. - Fate conto di vivere ancora, gli
disse. Finchè non udirete che Leone XIII è morto, state
tranquillo.
331
- Santo Padre, ripigliò Don Bosco, la vostra parola è
in certi casi infallibile ed io vorrei bene accettare l'augurio; ma
creda, io sono alla fine de' miei giorni.
Il Santo Padre chiese quindi nuove de' suoi giovani, delle sue case,
interessandosi molto delle Missioni; gli domandò pure se di nulla
abbisognasse. Don Bosco gli parlò di tutto, specialmente della
chiesa del Sacro Cuore che la dimane si doveva consacrare. Infine gli
raccomandò i giovani cantori venuti da Torino, che molto desideravano
di vederlo e di essere da lui benedetti.
Il Papa espresse la sua alta soddisfazione su quanto aveva udito, disse
che certamente voleva vedere i giovanetti di Don Bosco e parlare ad
essi e insistette vivamente nel raccomandare che si procurasse di conservare
le spirito di lui in tutta la Congregazione. - Raccomandate ai Salesiani
specialmente l'ubbidienza e dite loro che conservino le vostre massime
e le tradizioni che voi lascerete. So che avete ottenuto ottimi risultati
con la frequente confessione e comunione fra i vostri giovani. Continuate,
e fate che i Salesiani alla loro volta continuino e raccomandino ai
giovani loro affidati questa pratica salutare. A voi e al vostro Vicario
mi preme di raccomandare che siate solleciti tanto del numero dei Salesiani
quanto della santità di quelli che già avete. Non è
il numero che aumenta la gloria di Dio, ma la virtù, la santità
dei soci. Perciò siate molto cauti e rigorosi nell'accettare
nuovi membri nella Congregazione; badate anzitutto che siano di moralità
provata.
Quindi, prendendo ancora Don Bosco per mano, gli domandò che
in confidenza gli dicesse che cosa egli pensasse intorno ai futuri avvenimenti
nella Chiesa. Don Bosco si schermiva, dicendo che il Santo Padre conosceva
meglio di lui l'andamento delle cose pubbliche. Ma il Papa ribadì:
Non vi domando del presente, chè questo lo so anch'io; vi domando
dell'avvenire.
- Ma io non sono profeta, rispose Don Bosco sorridendo.
332
- Tuttavia, com'egli disse riferendo a Don Lemoyne il colloquio, dovette
cedere, manifestando le sue opinioni e quanto conosceva. Che cosa egli
intendesse con questo quanto conosceva, non lo svelò ad alcuno.
Il Santo Padre l'avrebbe forse voluto intrattenere più a lungo,
se non avesse visto il suo stato di sofferenza. Don Bosco, accortosi
che egli stava per licenziarlo, gli disse che aveva seco il suo Vicario
e il suo segretario e che, se Sua Santità si degnasse di esaudirli,
desideravano ricevere la sua benedizione. Il Papa acconsentì,
fece squillare il campanello e i due furono introdotti. Don Bosco presentò
Don Rua. - Ah voi siete Don Rua, disse il Papa, siete il Vicario della
Congregazione. Bene, bene! Sento che fin da ragazzo siete stato allevato
da Don Bosco. Continuate, continuate nell'opera incominciata e mantenete
in voi lo spirito del vostro fondatore.
- Oh sì, Santo Padre, rispose Don Rua, noi speriamo con la vostra
benedizione di poter spendere fin l'ultimo respiro per quell'opera,
alla quale fin da fanciulli ci siamo consacrati.
Don Bosco presentò quindi, Don Viglietti come suo segretario.
- Che cosa avete fatto, interrogò il Papa, di quel segretario
che vi accompagnò l'ultima volta?
- Santo Padre, rispose Don Bosco, è rimasto a Torino per sbrigare
lavori che gli ho dati. C'è molto da fare, ma non ho bisogno
di raccomandare tanto ai miei figli il lavoro. Piuttosto è da
raccomandare la moderazione. Ve ne sono molti che si logorano la salute,
nè sono contenti di lavorare durante il giorno, anche di notte
si affaticano.
- Oh sì, riprese il Santo Padre, in tutto ci vuole moderazione;
il corpo esige il debito riposo per poterlo adoperare nelle opere che
sono della maggior gloria di Dio.
- Padre Santo, disse allora Don Rua, noi siamo disposti ad obbedirla;
ma in queste cose chi ci ha dato lo scandalo, è stato Don Bosco
stesso.
Si sorrise un tantino; poi Don Rua chiese e ottenne di poter domandare
una grazia. Spiegò al Santo Padre come tor -
333
nasse di grave impaccio allo sviluppo della nostra Pia Società
il decreto della Sacra Congregazione dei Riti prescrivente un esame
di due o tre commissioni per gli aspiranti alla Società Salesiana,
mentre sarebbe di grande facilità, secondo le concessioni di
Pio IX, il rimettere tale esame ai capitoli particolari di ciascuna
casa, che poi trasmettessero il loro voto al Capitolo Superiore per
il definitivo giudizio. Il Papa gli rispose che apprezzava molto le
ragioni esposte, si presentasse la domanda per iscritto, e per la via
più sicura, cioè a mezzo di monsignor Della Volpe, la
si facesse pervenire a lui stesso; con piacere egli avrebbe fatto il
rimanente. La dispensa dall'osservanza dei decreti per le accettazioni
ed ammissioni ai voti venne poi accordata per cinque anni (I).
Data infine una larga benedizione, congedò Don Bosco con grande
amorevolezza, facendolo accompagnare fino allo scalone. Al suo passaggio
le guardie svizzere si misero sull'attenti. Don Bosco ridendo disse
loro: - Non sono mica un re io! Sono un povero prete tutto gobbo e che
non valgo nulla. State pure tranquilli. - Quei militi si accostarono
a lui, baciandogli riverentemente le mani.
Qualche giorno prima dell'udienza, essendosi presentato al Santo Padre
il proprio nipote conte Pecci per essere benedetto insieme con la sua
famiglia, il Papa gli aveva detto che andasse da Don Bosco a chiedere
la benedizione; il che quegli fece la mattina del 13 (2). Poco tempo
dopo, trovandosi la Madre Daghero, Superiora Generale delle Figlie di
Maria Ausiliatrice, alla presenza di Sua Santità, disse il Pontefice:
Oh ecco una suora di Don Bosco. - Voltosi quindi ai prelati e Cardinali
che lo circondavano aggiunse: - Questa è una delle figlie fortunate
del santo Don Bosco (3).
Mentre Don Bosco stava in Vaticano, erano giunte dal
(I) Verbali del Cap. Sup., 12 settembre 1887.
(2) Summ. sup. virt. De fama sanctitatis, num. XIX, § 6 (teste
Don Dalmazzo).
(3) Questo seppe il Cagliero dal cardinale Guarino, arcivescovo di Messina,
e dalla stessa Madre Superiora, e l'attestò nei processi (Ivi,
§ IO).
334
Vicariato alla chiesa del Sacro Cuore le reliquie che si dovevano collocare
nel sepolcreto dell'altare maggiore. La teca ermeticamente chiusa e
suggellata conteneva una particella della culla di Gesù Bambino,
e reliquie dei santi Apostoli Pietro e Paolo, dell'Apostolo S. Giacomo,
del Martire San Lorenzo e del Patrono S. Francesco di Sales. Collocatele
in un'urna dorata ed esposte nella cappella antica, si cantò
alle ore ventuna l'inno dei Martiri, proseguendosi poi l'officiatura
di rito durante il silenzio della notte.
Don Bosco aveva fatto chiedere alla sacra Congregazione dei Riti alcuni
favori spirituali, come di poter celebrare la Messa del Sacro Cuore
nei primi tre giorni dopo la consacrazione e l'indulgenza plenaria dal
14 al 19 nelle forme consuete, oltre all'indulgenza di sette anni e
sette quarantene ogni volta che almeno con cuore contrito si facesse
soltanto una visita alla chiesa (I).
Un Avviso Sacro del Cardinale Vicario con la data del 2 maggio notificava
ai fedeli la prossima consacrazione e dava l'orario delle sacre funzioni
dei giorni successivi: Vi si diceva essere quello un “ Santuario
universale ” avendovi concorso “ con le sue offerte tutto
l'orbe cattolico ”. Donde s'inferiva: “ Deve essere quindi
motivo di santo giubilo per tutti i cattolici, e pei Romani in ispecie,
il vedere che dopo dieci anni di lavoro, di stenti e di difficoltà
grandi, sia finalmente compiuto questo grande edifizio, voto di tante
anime pie e di questo Cuore adorabile divotissime. Restano, è
vero, a compiersi parecchi altari e varie decorazioni, ma la popolazione
sempre crescente dei nuovi quartieri in questa regione esigeva che,
rotto ogni indugio, si sospendesse ogni lavoro, che al sacro tempio
può accrescere lustro e splendore, ma che non è assolutamente
necessario, per dare, in chiesa più ampia, comodità ai
fedeli di attendere ai loro doveri religiosi. E se parecchi lavori resteranno
a compiersi, i buoni Romani
(I) App., Doc. 67.
335
e quanti zelano la gloria di Dio troveranno nel loro fervore un nuovo
incentivo ad accorrere colle loro elemosine, perchè presto sia
il sacro tempio dì ogni cosa necessaria al culto provveduto,
e sia esso meno indegno di quel Dio che sta per venire ad abitarvi colla
sua amorosa presenza ”.
Nel parlare di stenti il documento del Vicariato diceva una grande verità.
Furono in realtà sette anni di stenti inauditi, eroici, se s'intenda,
com'è doveroso, riferirli a Don Bosco; chè quelli eventualmente
toccati ad altri prima che egli si addossasse l'impresa, furono al confronto
fuscelli di paglia. I lettori lo sanno. Nè la sospirata aurora
del 14 maggio venne a porvi termine; anzi misero a prova la sua pazienza
fin sul letto di morte per passare quindi in eredità al suo successore
(I).
Ogni cosa era ben allestita sia per la cerimonia della consacrazione
che per le solenni funzioni dei giorni seguenti. Verso le sette giunse
il consacrante, cardinale Lucido Maria Parocchi, Vicario di Sua Santità
e protettore della Congregazione salesiana, accompagnato dalla sua anticamera,
come nelle maggiori occasioni, e ricevuto dai Superiori, da numeroso
clero, da buon numero di Salesiani d'altre case, dai giovani di Valdocco
e dai loro fratelli dell'ospizio. Il rito, secondo il cerimoniale, si
svolse a porte chiuse. Quando le porte si spalancarono ai fedeli, erano
passate ben cinque ore. Don Bosco vi assistette in santo raccoglimento;
vi assistettero con lui vari illustri personaggi. Alla fine monsignor
Domenico Jacobini, arcivescovo di Tiro e segretario di Propaganda, accostatosi
al Servo di Dio, gli porse il braccio e lo accompagnò piano piano
in camera, compiacendosi poscia d'avergli prestato quel servigio.
A mezzogiorno celebrò per primo Don Dalmazzo, mentre il nuovo
organo riempiva il tempio delle sue armonie. Divoti e curiosi erano
entrati a centinaia. La voce generale proclamò
(I) Cfr. vol. XVII, pag. 525.
336
la chiesa degna di Roma e delle buone tradizioni dell'arte cristiana.
Abbiamo però dovuto rilevare che consacrazione e chiesa non ebbero
in complesso a Roma quella che si dice una buona stampa. L'allora massonica
Tribuna del 10 maggio, preannunziando la cerimonia, richiamò
le origini del tempio, del quale disse lo stile, l'architettura e l'ornamentazione,
il tutto in un articoletto assai garbato. Il già citato Cicerone,
benchè giornale di cattivo spirito, nel numero dell'8 aveva fatto
una descrizione un po' più particolareggiata del tempio, presentando
Don Bosco come “ uno dei preti più infaticabili, irrequieti
e lavoratori ”, L'articolista continuava: “ Sono stato a
vedere questa chiesa che a conti fatti costerà la bellezza di
tre milioni. Gli si può perdonare a D. Bosco questa spesa, perchè
ha fatto veramente un monumento degno di Roma ”. Il liberalissimo
Fanfulla del 15, accennato di volo alle difficoltà e vicende
anteriori e alle ingenti spese, proseguiva: “ Ma è passato
là entro il soffio animatore di Don Bosco, il Vittorino da Feltre
del secolo decimonono, e già annesso alla chiesa sorge un ospizio
capace di cinquanta orfani, sorgono scuole popolari dove trecento ragazzi
sono educati alla morale, al lavoro, all'onestà, all'istruzione
elementare. Il grande illuminato spirito di S. Francesco di Sales deve
aver gioito oggi per quest'opera, germogliata nel terreno che il suo
spirito e l'inesauribile carità d'un'anima pietosissima dissodarono
” (I). L'Osservatore Romano del 15 uscì con un articolo
di poche righe e molto freddo, sbagliando financo la data della consacrazione.
E questo è tutto.
Non possiamo tacere della Civiltà Cattolica che, venuta necessariamente
in ritardo (2), nella cronaca delle Cose Romane vi dedicò in
giugno una mezza pagina, segnalando
(I) Don Dalmazzo pubblicò per l'occasione un opuscoletto intitolato:
Il Santuario dei Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio in Roma,
monumento di riconoscenza alla memoria del Pontefice Pio IX, Roma, Tip.
Sal., 1887.
(2) Fascic. I° di giugno, pag. 620.
337
la grande importanza religiosa del fatto. “ Questa consacrazione,
diceva, è un avvenimento. Conveniva infatti che in mezzo al fango
della nuova Roma e dove l'eresia è venuta a piantare le sue baracche,
sorgesse a purificarne l'ambiente il Cuore Sacratissimo di Colui che
morì sulla Croce per purificare col suo adorabile e preziosissimo
Sangue il mondo [ .... ] Lo zelo instancabile di Don Bosco e de' suoi
benemeriti cooperatori, siamo sicuri che renderanno il tempio al Castro
Pretorio un focolare di fede e di amore verso il Cuore amantissimo di
Gesù ”.
Buon inizio a questa auspicata azione salutare fu il programma dei festeggiamenti
che coronarono la solenne consacrazione, come diremo.
Più tardi ancora vide la luce a Brescia un articolo della celebre
Contessa Lara, pseudonimo della poetessa Evelina Cattermole Mancini
(I). Quello scritto le fu ispirato dall'armonioso suono delle campane
della nuova chiesa; essa lo udiva da casa sua, poichè abitava
là vicino Dopo un poetico esordio e una succinta descrizione
del tempio, viene a parlare di Don Bosco, dicendo fra l'altro: “
Cotesta chiesa, un po' troppo smagliante è adesso di colori e
di dorature, poichè tutta chiara, fresca e allegra, desta in
chi entra a pregarvi una profonda emozione, quando si pensa ch'essa
è un nuovo miracolo di un uomo che rappresenta il Francesco di
Sales del nostro secolo. A quest'umile e pur tanto potente servo di
Dio ogni cosa riesce: poichè le opere da lui intraprese son benedette
dal cielo [ ... ]. Don Bosco è uno di quegli esseri privilegiati
che dal nulla fanno sorgere tutto; le difficoltà maggiori non
solo s'appianano, ma addirittura dileguano come ostacoli di nebbia dinanzi
alla sua ferma volontà fatta di fede e di preghiera; sì
che fin d'ora è da prevedersi che un giorno, sa Dio quando, quella
bella testa dalla regolarità classica, la quale fa pensare al
profilo del primo Napoleone, avrà nelle
(I) Il Cittadino di Brescia, giovedì - venerdì 11 - 12
agosto 1887. 1, 'articolo era intitolato: Le opere di Don Bosco.
338
memori effigi, una luminosa fascia d'oro intorno alla fronte: l'aureola
de' santi ”.
Il cardinale Vicario, riposatosi alcun poco dalla faticosa cerimonia,
salì da Don Bosco, lo abbracciò con effusione di affetto,
e poi si fermò con lui a pranzo fra numerosi e illustri invitati.
Al levare delle mense il Santo ringraziò pubblicamente il Cardinale
di quanto aveva già fatto come Protettore dei Salesiani, parlando
della sua persona con venerazione e riconoscenza. Quindi: - Abbiamo
cominciato bene, Eminenza proseguì, e narrò con la massima
semplicità la guarigione istantanea del giorno innanzi. Poi disse
che in qualunque caso gli si presentassero persone desiderose di grazie,
egli aveva tenuto sempre lo stesso metodo, d'indurre cioè i supplicanti
a fare un'elemosina in onore di Gesù, della Madonna o di qualche
Santo come mezzo per ottenere favori da Dio; nella chiesa di Maria Ausiliatrice
e di S. Giovanni Evangelista non esserci mattone che non fosse segnato
da qualche grazia.
Il Cardinale si alzò egli pure a parlare. Si congratulò
con Don Bosco, perchè anche a lavori non terminati avesse aperta
la chiesa, mostrando così di volerla dare prima al Sacro Cuore
di Gesù che alle frange e ai gingilli degli artisti. Disse molto
bene della Congregazione Salesiana; non avergli essa dato fino allora
che consolazioni nè mai alcun disturbo, pena o fatica; perciò
di simili protettorati essere disposto ad accettarne uno al giorno.
Don Bosco sorridendo gli rispose: Aspetti, aspetti, Eminenza; il tempo
dei fastidi a causa nostra nascerà anche per lei.
- Ebbene, riprese il Cardinale, qui nella vostra chiesa del Sacro Cuore
ci avete una cappella che volete dedicare a S. Francesco di Sales, vostro
patrono, non è vero?
- Precisamente, Eminenza.
- Bene: io voglio pagare la spesa di quell'altare e spero dal Protettore
della Congregazione che avete in cielo, gli aiuti necessari nelle pene
e fastidi riserbati al protettore terreno di questa pia Società.
339
La geniale e generosa uscita fu salutata da vivi applausi. I giovani
dell'Oratorio diedero quella sera il primo saggio della loro bravura,
eseguendo il vespro appositamente composto dal maestro Galli. Pontificò
monsignor Giulio Lenti, arcivescovo di Side e vicegerente di Roma. Nel
frattempo Don Bosco riceveva molte illustri visite di Vescovi e Cardinali.
Le feste propriamente dette durarono cinque giorni con un crescendo
continuo di concorso e di vera pietà da parte dei fedeli. Ogni
mattino messa letta celebrata da un Cardinale e messa solenne pontificale;
ogni pomeriggio conferenza salesiana in una lingua sempre diversa, vespri
in musica e predica.
Solennissimo fu il primo giorno, domenica. Alle sette celebrò
il cardinale Melchers tedesco; alle dieci pontificò monsignor
Jacobini con l'assistenza di un Vescovo degli Stati Uniti. I giovani
di Torino eseguirono insuperabilmente la messa del Cherubini, detta
dell'Incoronazione. Don Bosco intanto dava continue udienze; lo visitarono
anche tre Vescovi e il cardinale di Canossa.
Al pranzo egli aveva alla sua destra monsignor Kirby e alla sinistra
il principe Czartoryski, che passava la maggior parte del tempo in casa;
molti altri personaggi prendevano parte all'agape familiare. A suo tempo
Don Rua lo pregò di dire qualche parola. Egli, alzatosi faticosamente
e appoggiandosi con le mani alla tavola, disse con voce stentata: -
Bevo alla cara memoria del nostro grande amico, teologo Margotti, testè
defunto, al difensore dei sacri diritti della Chiesa, a colui che ci
amò sempre e che prima che noi partissimo per Roma ci vide così
volentieri, mettendo il suo accreditato giornale a nostra disposizione
per narrare le feste che ora noi facciamo. Bevo con la ferma fiducia
che i miei zelanti Cooperatori e Cooperatrici si degneranno di aiutarci
a compiere questo ospizio del Sacro Cuore, affinchè possiamo
dare albergo, educazione e istruzione a cinquecento ragazzi del popolo,
allevandoli nel santo timor di Dio; sicchè portino poi frutti
di buone opere
340
per loro stessi e per la società. Bevo in onore di monsignor
Kirby, col quale sono stretto da imperitura amicizia. - Monsignor Kirby
rispose a nome di tutti i Cooperatori e Cooperatrici, dicendo che egli
ed i suoi amici tenevano conto delle sue parole come di un testamento,
e assicurandolo che egli ed i suoi amici avrebbero fatto quanto era
in loro potere per eseguire fedelmente la sua inspirata volontà
e che l'ospizio sarebbe condotto a termine, com'egli desiderava.
Alle tre e mezzo tenne conferenza in francese monsignor Carlo Murrey
di Lione, uditore di Rota per la Francia. Egli mostrò quanto
fosse opportuna l'opera di Don Bosco a vantaggio della gioventù
povera e abbandonata e quanto consolanti i risultati già ottenuti
(a). Alle cinque, predica sul Sacro Cuore, fatta dall'eloquente monsignor
Omodei Zorini, missionario apostolico. Dopo i cantori di Valdocco eseguirono
i vespri dell'Aldega. Sul tardi facciata, campanile, chiesa, ospizio
illuminati a giorno, secondo disegno tracciato con buon gusto da un
chierico salesiano, richiamarono per alcune ore gran gente anche da
punti remoti della città.
Il cardinale Placido Schiaffino, degli Olivetani, disse nel secondo
giorno la Messa della comunione generale. Quella mattina Don Bosco volle
scendere in chiesa per celebrare all'altare di Maria Ausiliatrice. Non
meno di quindici volte durante il divin sacrifizio si arrestò,
preso da forte commozione e versando lacrime. Don Viglietti che lo assisteva,
dovette di quando in quando distrarlo, affinchè potesse andare
avanti. Mentre poi si allontanava dall'altare, la folla intenerita gli
si strinse intorno, baciandogli i paramenti e le mani libere dal calice
e seguendolo in sacrestia. Qui gli si domandò a una voce la benedizione.
- Sì, sì, - rispose. E saliti i tre gradini della porta
che mette in comunicazione la prima sacrestia con la seconda, si volse
indietro, alzò la destra, ma
(I) La conferenza è riassunta largamente nel Bollettino francese
del luglio 1887. Le notizie intorno alla dimora di Don Bosco al Sacro
Cuore ci provengono dal coadiutore D'Archino nelle parti, in cui egli
fu testimonio oculare.
341
subito ruppe in pianto e coprendosi con ambe le palme il volto: - Benedico...
benedico - ripeteva con voce soffocata senza poter finire la frase.
Fu necessario prenderlo dolcemente per le braccia e condurlo via. Gli
astanti impressionati si movevano per tenergli dietro, ma fu chiusa
la porta.
Chi non avrebbe desiderato saper quale fosse stata la causa di tanta
emozione? Don Viglietti, quando lo vide ritornato nella sua calma abituale,
glielo domandò. Rispose: - Avevo dinanzi agli occhi viva la scena
dì quando sui dieci anni sognai della Congregazione. Vedevo proprio
e udivo la mamma e i fratelli questionare sul sogno... - Allora la Madonna
gli aveva detto: - A suo tempo tutto comprenderai. Trascorsi ormai da
quel giorno sessantadue anni di fatiche, di sacrifizi, di lotte, ecco
che un lampo improvviso gli aveva rivelato nell'erezione della chiesa
del Sacro Cuore a Roma il coronamento della missione adombratagli misteriosamente
sull'esordire della vita. Dai Becchi di Castelnuovo alla Sede del Vicario
di Gesù Cristo com'era stato lungo e arduo il cammino! Sentì
in quel punto che l'opera sua personale volgeva al termine, benedisse
con le lacrime agli occhi la divina Provvidenza e levò lo sguardo
fiducioso al soggiorno dell'eterna pace in seno a Dio.
All'ora del dì innanzi la Messa solenne fu celebrata pontificalmente
da monsignor Cassetta, vescovo di Amiata e presidente delle scuole notturne
di religione (I). I giovani cantarono la Messa di Haydn. Nel dopo mezzogiorno,
conferenza del cileno mons. Jara in lingua spagnuola; predica di mons.
Gottardo Scotton sulla divozione del Sacro Cuore, vespri pontificati
da monsignor Kirby con canto orchestrale dei salmi di vari autori. Il
cardinale Vicario, sapendo che Don Bosco stava per lasciar Roma, gli
rinnovò per iscritto
(I) Quando morì Don Bosco, era Elemosiniere Apostolico. Scrisse
allora nel suo diario: “ Con D. Bosco è passato all'eternità
un vero uomo di Dio, un apostolo quale era richiesto dai bisogni delle
anime in questi nostri tempi ” (Mons. VESTALLI, Il Card. Francesco
di Paola Cassetta, pag. 467. Bergamo, Soc. Ed. S. Alessandro, 1933)
342
“ rallegramenti e auguri, questi pel felice viaggio, quelli per
l'opera fauste, feliciter condotta a fine ”. Nei tre giorni seguenti
si succedettero per la Messa letta i cardinali Mazzella della Compagnia
di Gesù, Aloisi - Masella e Zigliara dei Predicatori; per quella
pontificale nei giorni 17 e 18 i monsignori Sallua domenicano, arcivescovo
di Calcedonia, e Grasselli, arcivescovo di Colossi; per la conferenza
ai Cooperatori monsignor Meurin, gesuita, vescovo di Ascalona, già
vicario apostolico di Bombay, in tedesco; monsignor Fortina, delegato
apostolico per l'Australia, in inglese: monsignor Omodei - Zorini, in
italiano; per la predica i monsignori Andrea e Jacopo Scotton nei giorni
17 e 18. I vespri furono ogni sera solenni. Nel quinto giorno, l'Ascensione
del Signore, facendosi la chiusura delle feste, si ebbero alcune novità.
Alle ore dieci pontificò nomine Pontificis il Cardinale Vicario
con imponente assistenza di clero. Dopo il Vangelo l'Eminentissimo pronunziò
l'omelia finale, in cui salutò il “ Genio operoso dell'umile
sacerdote ”, al quale “ liberalmente sorrise la grandezza
di due Pontefici ”, e auspicò che “ riflesso dal
magnifico aspetto del tempio ” sarebbe brillato “ il trionfo
del divin Cuore ” (I). Per i vespri tornò il cardinale
Aloisi - Masella, che dopo intonò il Te Deum di ringraziamento
cantato a piena orchestra e diede la benedizione col Santissimo.
Ancora una volta i cantori dell'Oratorio fecero udire le loro voci nel
solenne funerale celebratosi il 20 per i defunti benefattori della chiesa.
Nel pomeriggio vennero fotografati in gruppo, affinchè, fatti
grandi, potessero riconoscersi e riandare i tanti cari ricordi del loro
soggiorno romano.
Terminate le grandi feste, i tre fratelli Scotton intrapresero a predicare
al popolo della parrocchia una missione, che durò fino alla Pentecoste.
I giovani non dovevano dire, ritornati a Torino, che erano andati a
Roma senza vedere il Papa. Lo videro infatti nelle
(I) App., Doc.. 68.
343
ore pomeridiane del 20. Quando furono nella sala degli arazzi, che
ansietà, che batticuore per quei ragazzi, che quasi non osavano
fiatare! Il Santo Padre fece il suo ingresso con maestà fra un
corteggio imponente. I giovani inginocchiati stavano da prima timidamente
a capo chino.
- Sono questi i figli di Don Bosco? domandò con affabilità
il Papa al Procuratore dei Salesiani, che faceva le presentazioni.
- Sì, Santità, rispose. Sono i giovani cantori venuti
da Torino per le feste della consacrazione della nuova chiesa intitolata
al Sacro Cuore di Gesù, feste che riuscirono con grande soddisfazione
di tutti.
- Con grande soddisfazione di tutti?
- Sì, Beatissimo Padre, e con molto concorso.
- Bene, siane benedetto Iddio. Il Bosco è già partito
per Torino. Molto ci consolò la sua visita. Ma l'abbiamo trovato
molto affranto di salute. Abbiamo bisogno che Dio ce lo conservi ancora
per il bene della società, della Chiesa, massime in questi tempi
difficili che corrono. Ci parlò anche di questi buoni giovanetti.
Essi sono immediatamente sotto la sua direzione nell'istituto di Torino?
- Sì, Padre Santo. Ora sono qui per avere una vostra benedizione
e baciarvi il sacro piede.
- Con piacere daremo a tutti la benedizione, a loro e agli oggetti divoti,
di cui li vediamo largamente provveduti.
Fattosi quindi nel mezzo della sala, proferì il Sii nomen Domini
benedictum e invocato su tutti l'aiuto del Signore, li benedisse. Che
istante di commozione! Poi tornò a parlare, chiedendo notizie
di Don' Bosco, mentre il suo sguardo si volgeva intorno sui ragazzi,
le cui facce arditelle e vispe lo fecero esclamare: - Come stanno bene!
Come sono allegri!... Sono tutti' cantori?
- Sì, Santità, rispose Don Dalmazzo. Sono quelli che per
migliore condotta e bravura nel canto si sono meritato il favore di
venire a Roma.
344
- Fra le cose che sommamente, ci consolarono, ripigliò il Papa,
fu il sentire dalla bocca del Bosco, che egli fa pregare sovente i suoi
giovani per i bisogni del Santo Padre.
Perchè tutti quindi potessero baciargli il piede, si degnò
fare il giro, cominciando da vari signori che si erano uniti ai giovani.
Il Procuratore seguendolo gli diceva i meriti e le qualità di
ciascuno e rispondeva premurosamente alle sue interrogazioni; gli presentò
così i maestri Galli e Bersano e il cavaliere Bernasconi. - L'organo,
disse il Papa a quest'ultimo, è un ornamento della chiesa. Le
chiese senza le melodie dell'organo sono come corpi senz'anima. - Il
Dogliani gli parve giovanissimo; saputane la provetta abilità,
lo encomiò largamente. Vedendo vari preti, ne domandò
la condizione; parole benevole ebbe per Don Grosso e per altri.
Ritrovatosi nuovamente fra i giovani, li accarezzava con paterna bontà,
indirizzando or all'uno or all'altro parole graziose e anche facete.
Il più piccolo, rimasto dietro ai compagni, aveva tentato invano
di giungere a baciare il piede del Papa. Il Santo Padre, che era già
passato oltre, come se ne accorse, tornò a lui. - Sono allegri
questi cari bambini, riprese a dire. Hanno visitato Roma? Bisogna farla
visitar loro tutta quanta. Visitino le chiese, i monumenti sacri, le
catacombe, perchè conoscano questa città e ne raccontino
poi le bellezze.
Compiuto il giro, li benedisse con il semplice gesto della mano e salutandoli
con le parole: - Il Signore sia sempre con voi, si tolse ai loro sguardi,
che immobili ne contemplarono la figura, fino a che scomparve. Rimasti
mutoli un istante, si manifestarono a vicenda la gioia che inondava
i loro cuori e con un passerio insolito in quella casa del silenzio,
uscirono dal Vaticano per avviarsi in fretta al Sacro Cuore, dove giunsero
in tempo a cantare i vespri e l'inno del ringraziamento.
Partirono da Roma la mattina del sabato 21. Con i giovani dell'ospizio
avevano familiarizzato allegramente per una settimana, sicchè
alla separazione vi furono da ambe le parti
345
ingenue dimostrazioni di affetto. Dagli uni e dagli altri si lessero
indirizzi per dirsi la gioia di essersi conosciuti, il rincrescimento
di doversi dividere così presto, gli auguri di buon viaggio e
di buona permanenza, la speranza di rivedersi. Salutandosi fraternamente,
al grido di Viva Don Bosco si separarono.
I partiti avevano a Pisa una fermata di due ore. Persone del seminario
li ricevettero alla stazione e li condussero a pranzo, secondochè
dall'Arcivescovo era stato disposto. Rettore, preti, professori, chierici,
convittori, fecero agli alunni di Don Bosco gentilissime accoglienze.
A mensa tutti gareggiavano a servirli, manifestando la loro contentezza
d'aver veduto pochi giorni prima Don Bosco. Finalmente comparve inaspettato
l'Arcivescovo. - Ieri l'altro, disse, avevo la consolazione di ospitare
il padre e oggi quella di vedere i figli. -
Si congratulò con essi per le funzioni di Genova e di Roma, si
raccomandò alle loro preghiere presso Maria Ausiliatrice, li
esortò a essere sempre più docili agl'insegnamenti del
loro caro padre Don Bosco che chiamò uomo santo, e li benedisse.
Entusiasticamente salutati, andarono quasi di corsa, a visitare il duomo
ed i monumenti più vicini, poi volarono alla ferrovia. Dopo,
una seconda fermata a La Spezia e una terza a Sampierdarena, la sera
del 22 domenica rientrarono trionfalmente nell'oratorio.
CAPO XV
Descrizione della chiesa e partenza di Don Bosco da Roma.
ORA noi dobbiamo ritornare a Roma, dove ci restano ancora parecchie
cose da far conoscere ai nostri lettori. Chi più di tutti aveva
largheggiato in denaro per l'erezione della chiesa del Sacro Cuore,
era, come già si disse, il conte Colle; si disse pure (I) di
tre epigrafi che Don Bosco stesso aveva composte in latino per le tre
campane maggiori, dedicate una al Conte, l'altra alla Contessa e la
terza alla memoria del figlio. Venuto il tempo della fusione, il Santo
passò le sue epigrafi a Don Francesia, affinchè vi desse
la forma definitiva, ordinandogli insieme di comporne altre due per
la quarta e quinta campana a ricordo di due prime comunioni amministrate
da lui in due delle primarie famiglie barcellonesi, che delle dette
campane eransi recato ad onore di sostenere le spese (2).
La torre campanaria, dalla quale questi sacri bronzi fanno udire le
loro note gravi e profonde o chiare e acute, è di travertino
e supera in bellezza tutte le altre di Roma. Rimasta per più
di cinquant'anni priva della guglia, che la doveva coronare, ha ricevuto
da ultimo il miglior compimento che
(I) Vol. XV, pag. 123.
(2) Famiglie di Don Emanuele Pascual e di Donna Dorotea. App., Doc.
69.
347
si potesse desiderare nell'aurea statua gigantesca del Sacro Cuore,
visibile financo dalla piazza di S. Pietro.
La chiesa del Sacro Cuore costò troppo caro, e in ogni senso,
a Don Bosco, perchè noi possiamo passarvi accanto senza soffermarci
per darvi almeno uno sguardo. L'uomo dalle larghe vedute si rivelò
fin da principio, quando, povero di mezzi e con tante altre opere da
ultimare o da sostenere, si sobbarcò a questa per obbedire al
volere di Leone XIII. Nel disegno primitivo la chiesa avrebbe misurato
metri quaranta di lunghezza; egli ne aggiunse ventotto, imponendosi
all'architetto che riluttava (I). In larghezza ne misura trenta. Ha
forma di croce latina. La classica eleganza e maestà dello stile
bramantesco ne fa un sacro edificio degno di figurare là dove
l'architettura sacra ha creato nei secoli miracoli d'arte.
La facciata è in puro travertino di Tivoli. La adornano quattro
statue marmoree di buona fattura: S. Francesco di Sales, S.Agostino
e due Angeli adoranti la Croce, che stende le braccia dall'alto e domina
sovrana. In basso si aprono tre porte, pregevole lavoro degli artigianelli
dell'Oratorio. Nel centro tre splendidi mosaici rappresentano il Sacro
Cuore, S. Giuseppe e il Salesio. Colonne di granito nero della Balma
e lavori d'intaglio finissimo ne compiono la decorazione.
L'interno è a tre navate, divise da colonne di granito levigate
e da saldi pilastri. Tutto il gran vaso si presenta in un insieme così
armonico, che rapisce subito l'occhio del visitatore e ne raccoglie
lo spirito, elevandone la mente a Dio.
Omettiamo di parlare delle decorazioni minori, intagli, mensole, cornici,
innestati all'architettura con correttezza e grazia; accenneremo soltanto
alla decorazione pittorica. Si tratta di ben centocinquanta quadri fra
grandi e piccoli,
(I) Si deve a questo prolungamento l'ampio coro, voluto da Don Bosco,
affinchè se con l'andare del tempo la forza delle cose avesse
privato della parrocchia i Salesiani, quella parte si potesse isolare
in modo da farne una cappella interna. Il che sarebbe sempre possibile,
perchè è un corpo di fabbrica eretto su suolo appartenente
alla Congregazione.
348
oltre la cupola. Questa è opera del delicato pennello di Virginio
Monti, che dipinse pure i maestosi quadri del soffitto, i quattro Evangelisti
negli archi della navata trasversale e i novanta quadri minori che decorano
le due navatelle laterali. Ma il suo capolavoro è la cupola,
dove rappresentò la glorificazione del Sacro Cuore. Il Salvatore,
bellissima figura per finezza, per atteggiamento e per verità
di movenze, mostra il suo Cuore infiammato alle due sante Vergini Margherita
Alacoque e Catterina da Racconigi, le quali vi figgono gli occhi estatiche.
Circondano il gruppo numerosi Angeli, recanti altri gli emblemi della
Passione, altri i gigli della purezza, altri chini in atto di adorazione,
e Serafini ineggianti al Sacro Cuore con musicali strumenti. Torno torno,
assorti in contemplazione, si veggono S. Francesco di Sales, a cui alcuni
Angeli presentano le opere da lui scritte; S. Teresa tutta fiamme nel
volto; S. Bernardo, che porge l'uffizio del Sacro Cuore da cui composto;
S. Bernardino da Siena, recante la tavola col nome di Gesù; S.
Agostino, S. Francesco d'Assisi, S. Luigi Gonzaga. Da tutta la rappresentazione
spira un'aura di paradiso, che muove a divozione.
Data la vastità del lavoro e la ristrettezza del tempo il Monti
dovette associarsi due bravi artisti, ai quali furono affidate altre
parti., Il Caroselli dipinse i quattro pennacchi della cupola e parecchi
quadri delle due navate principali, affrescandovi i quattro Profeti
maggiori, i dodici minori, i dodici Apostoli, le Sibille Eritrea e Cumana.
Un allievo del Seitz, il Zuffoli, fece il Gesù coi fanciulli,
il Gesù buon Pastore e il Gesù che istituisce l'Eucarestia;
è pure l'autore dei disegni per i tre mosaici della facciata.
Il soffitto delle due navate maggiori è basilicale, cioè
a cassettoni ricchi di dorature e formanti lo sfondo a vaghi dipinti.
Vari e scelti marmi, connessi secondo un disegno ben ideato, formano
un pavimento assai decoroso.
Vi sono sei altari laterali. Quattro di minori proporzioni stanno nelle
navatelle: in quella a sinistra di chi entra, gli altari
349
del Crocifisso e di S. Anna; nell'altra quei di S. Michele Arcangelo
e di S. Francesco di Sales. Due più grandi si fronteggiano ai
capi della navata trasversale, uno in cornu evangelii dedicato a Maria
Ausiliatrice (I) col quadro del Rollini, e l'altro in cornu epistolae
dedicato a Sali Giuseppe con un dipinto pure del Rollini (2). Le pareti
e le volte di queste sei cappelle sono adorne di quadri riferentisi
ai singoli patroni. Nei quattro intercolumni che separano gli altari
sono allogati altrettanti confessionali circondati da affreschi simboleggianti
il sacramento della penitenza. In fondo alla chiesa i due vani fra gli
ultimi pilastri e la parete della facciata contengono a sinistra di
chi entra il Battistero con quattordici quadretti illustranti il mistero
della rigenerazione, il tutto eseguito a spese della città di
Trento, e a destra una maestosa statua di Pio IX, del quale la chiesa
è monumento perenne. La scolpì il lombardo Confalonieri.
Il Papa, pontificalmente vestito, leva una mano in atto di benedire,
mentre con l'altra porge il decreto di approvazione della pia Società
Salesiana.
Lo sguardo di chi varca la soglia del tempio è condotto subito
alla grande ancona dell'altare maggiore, che rappresenta il Sacro Cuore
in una gloria di Cherubini e di Serafini; la dipinse il professore Francesco
de Rodhen. Vi fa da cornice una costruzione monumentale alta sedici
metri, con sei colonne di alabastro alte sei. Ricchi ornati e pietre
rare abbelliscono da ogni parte la mensa del divin sacrifizio e la dimora
di Gesù Sacramentato.
Questo abbozzo di descrizione offre un'idea della chiesa quale si ammirò
a lavori compiuti; giacchè nel maggio del 1887 troppe cose rimanevano
da fare. Lo possiamo arguire anche' dalla lettera di commiato che Don
Bosco scrisse a Leone XIII nella vigilia della sua partenza da Roma.
(I) Dono del principe Torlonia, che lo fece trasportare da una chiesa
esistente già presso il suo parco in via Nomentana.
(2) Fu sostituito a un altro del marchese Vitelleschi.
350
Beatissimo Padre,
Io parto da Roma altamente soddisfatto per la caritatevole e veramente
patema accoglienza fattami dalla Vostra Santità. La chiesa e
le scuole del Sacro Cuore sono attivate, gli abitanti di questo popolatissimo
quartiere possono comodamente compiere i religiosi loro doveri. Devesi
ancora compiere l'ospizio pei poveri orfanelli e se Dio dà vita
speriamo di ultimarlo. Abbiamo eziandio da saldare la spesa della facciata
della Chiesa. Se Vostra Santità potesse in tutto o in parte venirci
in aiuto pel residuo di L 51.000 le nostre finanze sarebbero regolate
(I).
Tutti i nostri orfanelli in numero di 250.000 pregano ogni giorno per
la conservazione in buona sanità della Santità Vostra,
per cui tutti lavoriamo di cuore.
Compatisca questa mala scrittura; umilmente prostrato domando per tutti
i Salesiani la benedizione della Santità Vostra.
Roma, 17 maggio 1887.
Obbl.mo figlio
Sac. Giov. BOSCO, Rettore.
Le spese per il Sacro Cuore continuarono a gravare lungamente sulla
Congregazione. In giugno il Prefetto Generale, pressato con richieste
di soccorsi dai Missionari, scriveva (2): “ Quello che ora ci
opprime sono le enormi spese per la Chiesa del S. Cuore in Roma; quando
tutti quei debiti saranno pagati potremo respirare ”. Don Sala,
mandato a Roma per esaminare da vicino la situazione, riferì
il 28 aprile in Capitolo, presente Don Bosco, che aveva sospeso tutti
i lavori della chiesa, tranne quelli per l'altar maggiore e l'altare
del car -
(I) Il Papa aveva approvato la seguente iscrizione da incidersi sulla
facciata:
TEMPLUM SACROSANCTI CORDIS IESU
A PIO IX PONT. MAX.
SOLO EMPTO INCHOATUM
SODALES SALESIANI
CULTORUM EIUSDEM SS. CORDIS
STUDIO ET CONLATIONE
ERIGENDUM
MUNIFICENTIA LEONIS XIII
ET NOVIS PIORUM SUBSIDIIS
FRONTE ADSTRUCTA CULTUQUE ADDITO
PERFICIENDUM CURARUNT
ANNO CH. MDCCCLXXXVII
(2) Lett. di Don Durando a Don Riccardi, Turino 30 giugno 1887.
351
dinale Vicario; avervi trovato debiti sopra debiti per un ammontare
di circa trecentocinquantamila lire; proporre che per tirare innanzi
si contraesse un mutuo. Non sì volle mutuo, ma si decise la vendita
di certi stabili ereditati dalla Congregazione. In novembre Don Bosco
stesso s'indusse a supplicare così mons. Della Volpe, segretario
particolare di Leone XIII:
Eccellenza Reverendissima e Carissima,
L'ultima volta che ebbi il grande onore di ossequiare a Roma il Santo
Padre, Esso ebbe la degnazione di dirmi che nei gravi casi avessi fatto
capo a V. E. per essere più speditamente sbrigata la mia pratica.
M trovo in questa occasione a compimento delle spese che dovetti sostenere
nella costruzione della facciata del Sacro Cuore di Gesù. Avvi
ancora la somma di 51 mila franchi, che la carità del Santo Padre
fece sperare di pagare Egli stesso. Io mi trovo in grandi strettezze,
perciò se l'inesauribile carità del medesimo può
venirmi in aiuto il tempo non può essere più opportuno.
Il nostro Economo va a Roma per regolare appunto le spese di questa
costruzione: egli passerà presso la E. V. per quella migliore
risposta che potrà avere.
I nostri orfanelli, oltre a trecento mila, pregano ogni giorno per Sua
Santità, ma non si dimenticano della Benemerita E. V. R.ma.
Compatisca questa mia povera brutta scrittura. Non posso più
scrivere. Mi dia la sua benedizione e mi creda in G. C.
Torino, 6 novembre 1887.
Obbl.mo servitore
Sac. Gio. Bosco.
Di una lettera inviata dal Santo al Duca di Norfolk sullo stesso argomento
due settimane prima della morte, abbiamo detto in altra occasione (I).
Fra quante e quali difficoltà si navigasse per andare avanti
(2), lo lasciava chiaramente intendere anche un foglio autografo rimesso
da Don Bosco a Don Dalmazzo poco prima di partire da Roma. Diceva così:
“ Manca controllore delle
(I) Cfr. vol. XVII, pag. 525.
(2) Dai verbali del Comitato femminile di Marsiglia, 20 maggio 1887:
“ L'Eglise terminée a été consacrée
il y a quelques jours, et cette merveille de la puissance de Don Bosco
remplit de confiance en ses ceuvres, quand on pense aux difficultés
que l'on rencontre à Rome, où les dons arrivent mais où
l'on n'en regoit pas: aussi Don Bosco dit - il, que cette église
a été construite d'aere Gallico ”.
352
provviste che entrano o no. - Vegliare sui prezzi. - Chi veglia sui
materiali portandi altrove? - Si lavora poco.
Si ruba in casa e fuori. Si sciupano materiali, specialmente tavole.
- Fare e disfare ponti sulle volte. - Si può provvedere o mettendo
Leone (I) ad assistere e sostituirlo con un altro in cucina o mettendo
un pratico ad assistere ”.
Nel medesimo promemoria discende pure ai bisogni dei confratelli, raccomandando
al Direttore di fare le necessarie “ provviste pei Salesiani in
abiti e biancheria ”. Intenerisce di più questa sollecitudine
paterna per i suoi figli, quando si sa che egli per conto suo era così
delicato da temere di causare disturbi in casa per i doverosi riguardi
che si vedeva usati negli apprestamenti di tavola e nei servizi di camera.
Infatti un giorno disse a Don Dalmazzo: - Povero Don Dalmazzo! Devi
spendere per Don Bosco! Ma spero che verrà qualcuno e mi farà
elemosina e pagherò tutto (2).
Egli trovò realmente chi gli fece elemosina..
Un giorno, per esempio, comparve un buon uomo assai umilmente vestito,
che non palesò il suo nome. Voleva vedere Don Bosco. Don Rua
avrebbe voluto che dicesse a lui di che si trattava; ma l'altro gli
rispose che l'avrebbe detto solamente a Don Bosco. Quegli nella sua
carità andò a pregare il Santo di ascoltare il poveretto.
Dopo l'udienza Don Bosco disse: - Quel buon uomo mi ha portato un'offerta
quale da nessun principe romano ho finora ricevuta.
La sera del 17, venute alcune persone a visitarlo, espose con il solito
suo fare grazioso le proprie necessità, mostrandosi però
fiducioso nella Provvidenza che l'avrebbe aiutato. La mattina seguente
due signori, senza sapere uno dell'altro e senza incontrarsi, gli portarono
la somma occorrente per il viaggio. Quando poi s'incamminava per recarsi
alla stazione, ecco che, via facendo, un terzo gli si accosta e gli
consegna una busta di-
(I) Il coadiutore Leone Lidovani.
(2) Summ. sup. virt. num. XI, De fortitudine, § 119 (teste Don
Dalmazzo).
353
cendogli: - Sono i danari per il viaggio. - Erano cento lire, come
cento gliene avevano portate gli altri due.
Gli piovve così nelle mani il bisognevole per sè e per
i suoi due compagni.
Quale sarà stato il filo delle sue idee, allorchè il fischio
della locomotiva lo avvertì che il treno lo portava lungi da
Roma, e soprattutto quando il ritmo accelerato della corsa gli fece
intenderle che si era fuori delle mura aureliane e che si avanzava nell'immensa
solitudine dell'agro, assai più solitario allora che non al presente?
Venti volte egli era venuto a Roma. È quasi impossibile venir
via da Roma senza ripromettersi o almeno augurarsi un ritorno; ma questa
volta il pensiero del ritorno non si affacciava più alla sua
mente. Nell'accomiatarsi dalle persone di sua confidenza aveva preso
congedo definitivo, dando loro l'appuntamento in paradiso. Gli si rispondeva
bene che c'era ancora speranza di rivederlo; ma egli badava a ripetere:
- Sì, lo spero, ci rivedremo in paradiso (I).
Che viaggio memorabile la prima volta nel 1858! L’Italia era ancora
“ in pillole ” nè esisteva ferrovia da Genova a Roma.
Gli bisognò munirsi di passaporto, dettare il suo testamento
dinanzi a notaio e testimoni, prendere posto sopra un battello e navigare
fino a Civitavecchia. Che tortura quel mal di mare! Balzando dalla diligenza,
toccò il suolo della città santa con la commozione degli
antichi romei Quella fu l'unica volta che visitò l'urbe. Scese
nelle catacombe di S. Callisto recentemente esplorate; salì financo
sulla cupola di S. Pietro. Il conte De Maistre, che gli dava ospitalità,
lo fece conoscere a quanti potè in case patrizie e in palazzi
cardinalizi. Pio IX lo ricevette due volte al Quirinale e una in Vaticano;
in quelle udienze gli diede suggerimenti per gettare buone basi alla
Pia Società, postillò di propria mano l'abbozzo delle
regole e gli disse di scrivere i suoi sogni. Il giovane chierico che
allora seguiva come, l'ombra il Servo di Dio, ora gli sedeva a fianco
suo Vicario.
Dalla prima andata alla seconda trascorsero circa nove
(I) L. c., num. XIX, De pyetioso obilu, § 161 (teste Don Rua).
354
anni. Partì da Torino nel gennaio del 1867 con Don Francesia,
che dopo narrò di quel viaggio in un grosso volume. Per due mesi
vi esercitò un vero apostolato dal pulpito, dal confessionale,
al letto degli infermi, in visite fatte e ricevute; ma era là
per comporre gravi divergenze sulla nomina dei Vescovi. Quasi tutta
l'Italia era unificata sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II; il
Governo risiedeva a Firenze. Non si trovava una via d'intesa per provvedere
a tante sedi vescovili vacanti nelle terre annesse al Piemonte; Don
Bosco ci venne a capo con la sua politica del Pater Noster. Avviò
le pratiche per l'approvazione della Società Salesiana. I nobili
romani se lo disputavano per la celebrazione della Messa nei loro domestici
oratorii, tanta opinione si andava diffondendo della sua santità.
Con la libertà dei Santi disse dure verità all'ex - re
di Napoli.
Tornò a Roma nel 1869. Quanto dovette destreggiarsi per ottenere
che si facesse buon viso alla sua nuova Società! Ma ci vollero
i miracoli di Maria Ausiliatrice: un moribondo guarito, una podagra
vinta, una polmonite arrestata. Il Papa non poteva mostrarglisi maggiormente
padre. Quando partì, portava seco la sospirata approvazione.
Il Concilio Vaticano lo richiamò a Roma nel 1870. Alla vigilia
dell'Epifania “ la voce del cielo ” si fece udire per suo
mezzo “ al pastore dei pastori ”. Non poco influì
sull'animo di autorevoli Padri in favore della dogmatica definizione
dell'infallibilità pontificia. Il Papa lo chiamò a sè
e gli disse: Gli oppositori vostri sono anche oppositori miei.
Dopo l'occupazione di Roma i quattro primi viaggi, voluti dal Papa e
dal Governo, ebbero per iscopo di appianare le difficoltà circa
la provvista di numerose diocesi vedovate di pastori. Contemporaneamente
spingeva avanti le pratiche laboriose per istrappare l'approvazione
delle Regole. Nel quarto di questi ultimi soggiorni l'intento pareva
raggiunto; ma nella Commissione cardinalizia mancò un voto. La
sera del 3 aprile 1874, venerdì santo, il Papa disse al relatore:
Il voto che manca lo metto io. - Così fu steso il decreto.
355
Dal 1875 al 1882 le sue peregrinazioni a Roma si ripeterono dieci
volte principalmente per affari della Congregazione, che alla sua partenza
da questo mondo egli voleva lasciare stabilmente consolidata. Nel 1876
accondiscese a leggere il discorso consueto del venerdì santo
dinanzi all'accademia dell'Arcadia; nel 1877 accompagnò ad limina
monsignor Aneyros, arcivescovo di Buenos Aires; nel 1878 rese delicati
e importanti servigi alla Chiesa durante il Conclave e predisse la tiara
al cardinale Pecci; nel 1880 Leone XIII gli affidò la costruzione
della chiesa del Sacro Cuore al Castro Pretorio.
La persuasione che Don Bosco fosse un santo si era fatta strada ogni
anno più in tutti gli ambienti romani.
La penultima volta che si rimise in cammino alla volta di Roma, nel
1884, si mosse per andar a smantellare le estreme resistenze che si
opponevano alla concessione dei privilegi. Li implorava già da
dieci anni. Finalmente l'intervento diretto di Leone XIII gli diede
causa vinta. - La vostra vita appartiene alla Chiesa, gli disse quella
volta il Papa.
Tutto questo corteo di memorie dovette passare e ripassare - dinanzi
alla mente di Don Bosco, man mano che in quel 18 maggio 1887 si allontanava
da Roma con la certezza di non potervi mai più fare ritorno.
Affranto nel corpo, ma confortato nello spirito, cursum consummavi,
avrà ripetuto a se stesso, disponendo l'animo al supremo viaggio
verso i fastigi
Di quella Roma onde Cristo è Romano (I).
(I) Purg., XXXII, 102 Dante vuol dire la Roma celeste, di cui Cristo
è cittadino, e quindi il paradiso.
CAPO XVI
L'ultima festa di M. A. celebrata con Don Bosco. Due settimane a Valsalice.
L'ultimo onomastico.
DON Bosco aveva premura di tornarsene all'Oratorio per la gran ragione
che s'approssimava la festa di Maria Ausiliatrice. Non gli sarebbero
tuttavia bastate le forze a fare d'un fiato i seicento sessantasette
chilometri che separano Roma da Torino; erasi perciò predisposta
una discreta fermata a Pisa presso l'amabilissimo monsignor Capponi.
Nulla tralasciò l'Arcivescovo per dimostrare quanto si sentisse
onorato e felice di possedere un tale ospite. Gli assegnò la
camera dove aveva dormito Pio VII. Un giorno intero e due notti in quella
pacifica dimora gli furono di vero sollievo. Monsignore la mattina del
20, dolente di perderlo così presto, volle essere da lui benedetto;
poi gli prese e baciò, intenerito, le mani. Don Bosco, umile
e commosso, gli manifestò, come sapeva fare lui, la sua riconoscenza
per tutte le bontà da lui usategli.
Era già il sesto giorno della novena. I nostri viaggiatori giunsero
all'Oratorio mentre l'intera comunità stava radunata ai piedi
di Maria Ausiliatrice per la funzione della sera. Don Rua arrivò
proprio in tempo per dare la benedizione, che Don Bosco andò
a ricevere dal coro; ma dopo si avviò tosto verso la sua camera,
volendo evitare l'assalto che quei
357
della casa gli avrebbero dato alla loro uscita. Li salutò dall'alto
del ballatoio, affollati e plaudenti nel cortile. Sul tardi le sue finestre
illuminate attiravano gli sguardi e rallegravano i cuori, facendo sentire
nuovamente la presenza del Padre.
Mancavano ancora i priori della festa, quando comparve il barcellonese
Don Manuel Pascual Bofarull con la sua consorte e i suoi tre figli.
Don Bosco pregò senz'altro i due coniugi di accettare quell'ufficio;
del che essi lo ringraziarono come di un segnalato favore. Alla loro
volta pregarono Don Bosco di amministrare a una loro bambina la prima
comunione.
Nell'ultimo giorno della novena tenne Don Rua la solita conferenza ai
Cooperatori. Don Bosco lo ascoltò dal presbiterio, accanto a
monsignor Leto. La folla, che non aveva mai cessato di rimirarlo, si
riversò dopo nelle sacrestie serrandolo così strettamente,
che egli impiegò più di mezz'ora per attraversarle e non
meno di un'ora per arrivare di là alla scala. Si mostrava di
buon umore parlando, sorridendo, salutando con la sua abituale amabilità;
pure non poteva nascondere un generale accasciamento, che si rivelava
dall'andatura stanca e dal volto languido, e una tal vista produceva
nei riguardanti quel senso di segreta tristezza che si prova dinanzi
a persona cara, i cui giorni appaiono contati.
Mai negli anni precedenti non si era mostrata così piccola la
chiesa di Maria Ausiliatrice; fu veramente straordinaria la ressa dei
cittadini e dei forestieri, venuti questi ultimi anche da luoghi molto
lontani. Il fervore religioso della moltitudine andò crescendo
di mano in mano che si udivano o si vedevano grazie prodigiose concesse
dalla Madonna. Alla vigilia, quando il Servo di Dio nella prima sacrestia
stava attorniato dai fedeli, gli fu presentata una piccina che aveva
già i segni della morte sul volto. A istanza dei genitori egli
la benedisse, esortandoli a confidare in Maria Ausiliatrice. Giunto
che fu sulla soglia della seconda sacrestia, ecco quei due fortunati
spingersi fra la calca verso di lui raggianti di gioia, perchè
la loro
358
bambina, aperti gli occhi, riprendeva vita. Al mattino della festa
un giovanotto, entrato in chiesa con le grucce, ne uscì palleggiando
quegli arnesi con le mani.
Un'altra benedizione di Don Bosco fu seguita da un vero prodigio. A
Torino nel mese di gennaio una giovane di quindici anni aveva avuto
un grande spavento, perchè suo padre in una pubblica adunanza
era stato disonorato e maltrattato per affari di commercio. Per sì
gravi insulti la povera figliuola rimase talmente sconcertata, che corse
rischio di perdere la vita. Cinque mesi di cure mediche non giovarono
a nulla: essa teneva sempre il letto, non riconoscendo talora suo padre
e sua madre. I genitori dopo diverse preghiere fecero un voto a Maria
Ausiliatrice e finita una novena condussero la figlia alla presenza
di Don Bosco, perchè le desse la sua benedizione. Don Bosco la
benedisse e l'inferma ricuperò in breve la perfetta salute. Chiunque
l'aveva vista prima, non poteva non proclamare il miracolo (I).
Anche nella camera di Don Bosco accadde un fatto singolare. Entrarono
nell'Oratorio tre donne, conducendo una povera giovinetta inferma, che
a grande stento si reggeva sulle grucce. Desiderose di farla benedire
da Don Bosco, l'aiutarono a salire sul ballatoio del secondo piano fino
alla porta dell'anticamera. Il segretario Don Viglietti, che narra la
cosa nel suo diario, dovette passare più volte davanti a loro,
ma sordo sempre alle suppliche rivoltegli, perchè le lasciasse
andare da Don Bosco; il Santo era trattenuto da molti illustri forestieri
e non sembrava possibile per quel giorno avvicinarlo. Stanco finalmente
e commosso da tante preghiere, le introdusse, rimanendo egli fuori ad
aspettare che uscissero per far entrare altri dei personaggi che aspettavano.
Passati pochi minuti, la giovinetta riapparve sorreggendosi tuttavia
sulle stampelle. Don Viglietti, e non seppe mai spiegarsi come gli fosse
balzata in capo quell'idea, le mosse incontro, dicen -
(I) Relazione del padre, signor Maggiorino Giorcelli fabbricante. Torino,
25 agosto 1887.
359
dole con un certo suo tono familiare, che avrebbe voluto essere burbero:
- Come? Che fede è questa? Andar a prendere la benedizione di
Don Bosco proprio nel giorno di Maria Ausiliatrice e andarvene tal quale
siete arrivata! Via quelle grucce, camminate senza e andate ad appenderle
nella sacrestia. Don Bosco non dà mica per niente le sue benedizioni.
La giovane lì per lì rimase come stordita; poi consegnò
le stampelle a sua madre e discese con istento in chiesa, dove si trovò
perfettamente guarita.
Sedici giorni appresso, questo fatto ebbe un seguito. Un tal canonico
di Torrione Canavese, villaggio nativo dì quella giovane, venne
il 9 giugno all'Oratorio, accompagnato dal canonico Forcheri, segretario
arcivescovile, ed entrambi narrarono a Don Bosco che il paese era tutto
sottosopra. Che cosa era mai accaduto? La giovane era stata condannata
dai medici ad un'amputazione per cancrena; ma, presentatisi nel giorno
stabilito per operare, l'avevano trovata con loro immensa meraviglia
senza traccia di male. I due sacerdoti erano poi oltremodo curiosi di
conoscere quel certo pretino che nell'anticamera di Don Bosco aveva
fatto all'inferma una predica così efficace, ripetuta da lei
a tutti i suoi compaesani. Ne chiesero a Don Bosco, il quale rispose
non poter essere altri che Don Viglietti. Questi che non sapeva nulla,
entrato dopo cena nel refettorio del Capitolo per accompagnare Don Bosco
al riposo, si vide accolto da una ilarità generale. Don Bosco
che aveva raccontato la cosa ai Superiori, gli disse allora sorridendo:
- Io ho indovinato subito che eri stato tu, perchè non conoscevo
altri fuori di te che potesse avere una faccia d'tola (I) come tu hai
e fosse un craqueur [un contafandonie] del tuo stampo. Un poco alla
volta tu prendi la mano a Don Bosco, e io... altro che le mie pentole!
- Allusione questa all'episodio di casa Olive, già da noi riferito
(2).
(I) Propriamente, di latta. Frase in piemontese, equivalente a faccia
di bronzo, detta di chi non si vergogna di nulla.
(2) Vol. XVII, pgg. 55 - 6.
360
Di simili favori celesti e di altri, per noi non ben precisati i pellegrini
divulgarono la notizia in ogni parte, dilatando così la divozione
popolare verso la Madonna di Don Bosco, come si prese a designare Maria
Ausiliatrice. Ormai il culto della Vergine sotto questo titolo era così
universalmente polarizzato verso il santuario di Valdocco che, scomparendo
anche il suo apostolo, la pietà dei fedeli non avrebbe diminuito
nè di numero nè d'intensità le pubbliche e private
manifestazioni.
Dalla festa di Maria Ausiliatrice a quella di S. Giovanni Don Bosco
trascorse le sue giornate senz'altra notevole variazione che un suo
trasferimento a Valsalice per la durata di circa due settimane. Riguardo
alla sua salute, il fatto più preoccupante era la cresciuta enfiagione
alle gambe, che gli rendeva sempre più difficile e penoso il
camminare. Gli si suggerì come buon rimedio di lasciarsele ungere
con un certo olio estratto da erbe. Egli da prima non volle. - Il mio
stato, diceva, è quale lo vuole il Signore. - Via poichè
i suoi figli si
mostravano fiduciosi di vederlo con questo nuovamente muoversi spedito
e senza incomodi, si arrese ai loro desideri più per compiacerli
che per la speranza di sensibili risultati. - Così noi, disse
a Don Viglietti, eserciteremo ambidue la pazienza, tu a pelare e io
a essere pelato. Da questo punto ti nomino mio dottore. - Ma il medicamento
lasciava il tempo che aveva trovato, servendo davvero soltanto a farlo
maggiormente patire. I medici saputolo gli consigliarono di smettere
la dolorosa cura. Per fortuna, se stava male di gambe, stava sempre
bene di testa; onde aveva ragione il corrispondente parmense di un giornale
liberale torinese scrivendo in un articolo intitolato Don Bosco cammina
(I): “ Già da molti anni intesi a dire che don Bosco è
affetto da grosse varici alle gambe e cammina molto stentatamente. Se
Domineddio non lo favorì nelle gambe, l'ha compensato grandemente
col dar -
(I) Gazzetta di Torino, 14 luglio 1887.
361
gli una volontà tenace che non si arresta davanti agli ostacoli,
ma cammina imperterrita per raggiungere le mète ”. Con
questo esordio, si veniva a parlare delle nuove pratiche per l'apertura
di un collegio a Parma.
Sul principio di giugno egli raccontò un sogno. Da più
anni andava rinnovando le sue insistenze, perchè si scrivesse
un libretto sull'impiego che i ricchi debbono fare del danaro. Già
parecchie volte ci è occorso di rilevare quanto fosse di manica
stretta in questa materia. Agli stessi Salesiani pareva troppo ardito
il linguaggio da lui tenuto in certi casi a persone facoltose; aveva
tutta l'aria di voler scartate le opinioni benigne dei teologi intorno
al modo d'intendere il superfluo delle ricchezze. Vedendosi contraddetto
in queste sue idee, cessò in ultimo di ripicchiare sulla necessità
di quella pubblicazione; ma il pensiero gli stava fitto in capo nè
mai lo abbandonava. Narrò dunque il 4 giugno: - Sognai alcune
notti fa di vedere la Madonna, che mi rimproverava del mio silenzio
sull'obbligo dell'elemosina Mi disse che molti sacerdoti andavano alla
perdizione, perchè mancavano ai doveri imposti dal sesto e dal
settimo comandamento, ma insistette specialmente sul cattivo uso delle
ricchezze. Sì superfluum daretur orphanis, diceva, maior esset
nuvterus electorum; sed multi venenose conservant ecc. E si lamentava
che il sacerdote dal pulpito tema di spiegarsi sul dovere di dare il
superfluo ai poveri, e così il ricco accumula l'oro nel suo scrigno.
Don Lemoyne, testimonio così autorevole, ci rappresenta a questo
modo Don Bosco solo in camera durante le ore della sera: “ Don
Bosco alla sera quando era solo in camera sì abbandonava nei
suoi pensieri e progetti e in questi passava immobile, le lunghe ore.
Prevedendo difficoltà nelle svariate sue intraprese, trovava
il modo di scioglierle. Egli visitava ad una ad una tutte le case e
pensava al bene ed al miglioramento di tutte. Si rappresentava i suoi
Salesiani in qualunque parte del mondo si trovassero, si intratteneva
con essi, perchè l'amore era il suo movente in ogni cosa ”.
A conferma di ciò
362
il medesimo Don Lemoyne riporta una lettera dettatagli dal Santo il
30 giugno, da lui firmata e indirizzata al chierico Giorgio Tomatis,
che si trovava nel collegio di Randazzo e che molto probabilmente gli
aveva scritto per l'onomastico, manifestandogli il timore di essere
da lui dimenticato.
Carissimo Tomatis,
Tu pensi a me, t'immagini di parlarmi e di ricevere la benedizione.
Mio caro figliuolo, ti dirò anch'io che penso a te? Vedi, quando
io son solo, nella quiete e nel silenzio della sera, io vi vedo tutti,
miei diletti figliuoli, uno ad uno vi passo in rassegna, penso ai vostri
bisogni, al modo di provvedervi il meglio che sia possibile secondo
il temperamento e il carattere d'ognuno di voi e poi vi benedico.
Oh se poteste conoscere tutto l'affetto che ho per voi tutti, miei cari
figli, credo che perfino ne soffrireste. Pensa dunque, caro Tomatis,
se non prego per te! Sta pur tranquillo che Don Bosco finchè
avrà vita non lascierà passare un sol giorno senza aver
pregato fervidamente per voi, senza avervi benedetto.
Son lieto di saperti contento: continua con santa energia, lotta con
coraggio nelle battaglie del Signore contro l'eterno nemico suo e nostro,
raccomandati a Maria Ausiliatrice, sii molto divoto del Sacro Cuore
di Gesù e non temer nulla.
Avanti dunque, sempre avanti nella perfezione, fa che ogni dì
tu abbia fatto un bel gradino della grande scala della santità.
Iddio ti benedica in un con tutti codesti miei cari figli di Randazzo,
continua a pregare per me e credimi sempre in G. e M.
Torino, 30 giugno 87.
Tuo aff.mo
Sac. Gio. Bosco.
Quindi Don Lemoyne ripiglia: “ Siamo agli ultimi giorni della
vita di Don Bosco. Ormai teatro delle sue sante azioni sarà quell'umile
cameretta nella quale tante centinaia di migliaia di persone vennero
a ricevere grazie, consolazioni e consigli: in quella camera ove giunsero
milioni di lettere da ogni parte del mondo e da ogni città e
direi quasi villaggio d'Europa esponendo ogni sorta di miserie, dolori,
angoscie, nobili proponimenti, voci di duolo, di speranza, di gioia,
di carità e alle quali Don Bosco instancabilmente rispondeva
o faceva rispondere dai suoi più fidati figliuoli: ove somme
363
enormi passavano per le sue mani, mandate dalla divina Provvidenza
in sostegno delle sue opere, che strappavano dal suo cuore un inno continuo
di ringraziamento: ove tante imprese furono ideate per la gloria di
Dio: ove tante virtù naturali e sovrannaturali furono coperte
dal velo dell'umiltà e donde le preghiere del Santo salivano
a Dio ed a Maria Ausiliatrice e grazie infinite impetravano ”.
Fra giugno e luglio a Calliano presso Penango un ragazzo fu morso da
un cane. I parenti, temendo che quel cane fosse arrabbiato, condussero
il ragazzo da un suo zio a Torino per la cura antirabbica. Qui il dottore,
esaminato il fanciullo, ritenne che si dovesse prima verificare, se
il cane fosse idrofobo; ma non si riuscì più a rintracciarlo.
Allora il giovane venne presentato a Don Bosco. Udito come stessero
le cose, il Santo disse: - Si cominci una novena; intanto il ragazzo
faccia la confessione e la comunione nella chiesa di Maria Ausiliatrice.
Non lo rimettano in mano ai medici; il cane ritornerà. - Infatti,
nel momento stesso che egli proferiva queste parole, il cane ritornò
e si constatò che arrabbiato non era. Il medico di Calliano meravigliato
diede tanta pubblicità al fatto, che molti anni dopo in paese
ancora se ne parlava.
Certe giornate precocemente torride lo spossavano oltremodo, sicchè
si lasciò condurre il 4 luglio a Valsalice. Mentre scendeva le
scale per andare alla carrozza che lo aspettava nel cortile, si fermò
alla porta dell'infermeria. Vi giaceva gravemente infermo di polmoni
il coadiutore Carlo Fontana. Andrò io a visitarlo - aveva detto
sentendo che era agli estremi; ma poi non era andato. Non aveva però
dimenticato la promessa. Non entrò tuttavia, ma gli fece riferire
queste sue parole: - Don Bosco non è venuto per non chiuderti
gli occhi. Ti aspetto a Valsalice; vieni là a trovarmi. - Infatti
Fontana guarì così presto, che potè ancora visitarlo
a Valsalice, e guarì così bene che potè ancora
campare fino al 1912.
A Valsalice Don Bosco sperimentò subito un sensibile refrigerio,
come appariva anche dall'allegria che manifestava
364
nelle conversazioni, alle quali partecipava ascoltando più che
non parlando. Gioiva specialmente nell'udir ricordare le vicende antiche
dell'Oratorio. Vedendo che in questo pigliava tanto gusto, i suoi figli
più anziani gliene venivano rammentando chi una e chi un'altra.
Una sera a cena Don Garino lo esilarò molto raccontando come,
al tempo delle perquisizioni della polizia nell'Oratorio, si vendeva
per la strada un foglio al grido: - Don Bosco in prigione! un soldo
alla copia! e che Don Bosco, andando quel giorno con lui per le vie
della città, gli diede un soldo perchè acquistasse il
foglio. Era un anno di furori piazzaioli contro i preti. Un giorno Don
Bosco, passando col medesimo Don Garino per piazza Savoia, s'imbattè
in due donnacce che dissero: - Questi preti bisognerebbe impiccarli
tutti. - E Don Bosco pronto a rispondere:
- Quando abbiano i vostri meriti.
Un'altra volta Don Bosco stesso prese a dire della facilità con
cui da giovane riteneva tutto il contenuto di un libro dopo una sola
lettura, affidando così alla memoria opere di vario genere, il
che costituì per lui in seguito un capitale ben prezioso. Ma
poi a un tratto s'interruppe esclamando: - Oh come avrebbe fatto meglio
Don Bosco a leggere e imparare un solo capitolo dell'Imitazione di Cristo
e metterlo bene in pratica! - Erano ad ascoltarlo molti preti, fra i
quali Don Tallandini di Faenza, venuto a Torino per l'onomastico di
lui.
A Valsalice ricevette dal principe Czartoryski relazione sull'andamento
delle cose sue (I). Il padre, fattosi più arrendevole dopo il
ritorno di Augusto da Roma, non voleva lasciarlo partire, se prima egli
non espletasse le pratiche per la formazione del maggiorasco, cominciate
già da tre anni. Fino allora erano stati intestati al figlio
i tenimenti e gl'immobili paterni; si trattava ancora di aggiungervi
nuovi capitali e infine di ottenere la necessaria autorizzazione dell'Imperatore
d'Austria. Naturalmente il giovane signore si sarebbe riser -
(I) App., Doc. 70.
365
bato un patrimonio personale da potersi rivendicare, quando, facendosi
religioso, rinunziasse al maggiorasco in favore del fratello. Egli scriveva
da Parigi, ma stava sulle mosse per recarsi col padre a Vienna e di
là a Cracovia, dove per la fine del mese i Czartoryski dovevano
ricevere la visita del principe imperiale. “ Sarò forse
esposto a tante distrazioni, scriveva il Principe a Don Bosco. Le do
comunicazione di tutti questi disturbi come a mio direttore spirituale.
Io sono sempre risoluto a fare la volontà del Signore, seguendo
la mia vocazione. Voglio ritornare a Torino, appena mi sia possibile.
Mi raccomando, Padre mio, alle sue preghiere ” . Don Bosco immediatamente
gli rispose:
Mio caro principe Augusto,
La vostra vocazione trovasi ora a qualche prova, ma io trovo che ciò
è un bene; e benedico il Signore che vi continui questa buona
volontà che è tutta secondo il parere del Santo Padre.
Io sono costantemente dello stesso pensiero e perciò dello stesso
modo di vedere. La Congregazione Salesiana vi è sempre aperta
ogni volta, come mi dite, vorreste venire per passare un tempo qualunque
più o meno lungo.
Intanto io prego e pregate anche voi con me, affinchè Dio ci
tenga tutti fermi per questa strada che ci assicura viemeglio il Paradiso.
Ricevete i saluti cordiali dei vostri amici Salesiani e che la Santa
Vergine ci sia di guida al cielo. Così sia.
Omaggio all'augusto vostro Genitore e a tutta la vostra famiglia.
Torino, il 15 giugno 1887.
Vostro aff.mo buon amico
Sac. Gio. Bosco.
Da Valsalice venne via la sera del 23 giugno per essere presente alle
due accademie dell'onomastico. In entrambi i trattenimenti, canti e
suoni, versi e prose con doni svariati fecero palese dinanzi a numeroso
pubblico l'affetto dei figli verso il loro buon Padre (I). Il teologo
Piano, ex - allievo della prima ora e parroco della Gran Madre di Dio,
in un suo di -
(I) Don Fasani, prefetto nella casa di Nizza Mare, portò con
un nobile indirizzo l'omaggio degli amici e dei beneficati di Francia
(App., Doc. 71).
366
scorsetto (I) rendeva questa testimonianza: “ Quante volte nelle
difficoltà del nostro ministero il solo ricordo della vostra
parola ci serve di stimolo! Quante volte nel vederci circondati da numeroso
stuolo di fanciulli, ci si presenta alla mente l'amabile vostro volto,
il vostro sguardo penetrante, i vostri paterni, consigli, e facciamo
quanto possiamo per riprodurli! Quante volte io stesso sentii con infinito
gaudio a dire dei vostri figli: Ah si conosce che questi sono stati
educati da D. Bosco! [ ... ] Sebbene lontani da questo caro Oratorio,
noi lo consideriamo sempre come la nostra casa. Il pensiero si porta
quivi frequentemente, e subito ci si presenta la vostra persona, o Padre.
Quando poi possiamo ritornare e parlarvi, allora ci pare più
lieta la vita, più facile la pratica del bene e più sicuro
l'aiuto del buon Dio ”. Ricordato quindi il reciproco amore che
un tempo legava il padre ai figli e i figli al padre, chiudeva con la
seguente dichiarazione: “ L'amore che avevamo allora verso di
voi, ancora l'abbiamo. Ed è questo nostro amore che ci fa considerare
come nostre le vostre glorie e che ci porta ad accrescere il numero
dei vostri figli e cooperatori. È la riconoscenza pei benefizi
ricevuti che c'impone l'amore. Non è qui all'Oratorio che i più
di noi ebbimo pane e vesti di cui eravamo privi? All'Oratorio i più
debbono quella posizione che occupano nella società. All'Oratorio
quei buoni principii, quelle sante massime, quella sana educazione per
cui possiamo mantenerci costanti nel bene. Tutto dobbiamo a voi, e volete
che vi dimentichiamo? Ah! cesserà di muoversi questa lingua,
prima che cessi di dire le vostre lodi; cesserà di battere questo
cuore, prima che cessi di amarvi. Amare voi, noi lo teniamo come segno
dell'amor di Dio ”.
Incombeva su tutti il triste presentimento che quella fosse l'ultima
festa di Don Bosco. L'inno composto da Don Lemoyne e musicato dal Dogliani,
congiungendo un primissimo
(I) Nella fausta ricorrenza dell'onomastico dell'ottimo fra i padri
BOSCO D. GIOVANNI gli antichi suoi figli in attestato di riconoscenza.
Torino, Tip. sal. 1887.
367
canto con quello che doveva essere l'estremo, gettava nell'animo dei
più anziani una nostalgica commozione, condivisa pure da Don
Bosco; poichè, ogni quattro strofe eseguite da un primo coro,
un secondo coro ripeteva a mo' di ritornello le due strofe cantate la
prima volta che i giovani dell'Oratorio ne festeggiarono l'onomastico:
Andiamo, compagni, Il tempo è gradito,
Don Bosco ci aspetta; C'invita a goder;
La gioia perfetta Corriamo all'invito
Si desta nel cuor. Di festa e Piacer.
Si chiudeva così tutto un cielo di soavi manifestazioni, alle
quali specialmente i giovani partecipavano con vera esultanza e il cui
ricordo durava nei loro animi salutarmente incancellabile per tutta
la vita, com'è ancora possibile vedere nei pochi vecchi superstiti.
“ La festa di quest'anno, scrive il nostro diarista, fu splendida,
cara, cordiale ”.
CAPO XVII
Un mese a Lanzo. Ultimo compleanno. Ultima dimora a Valsalice.
Dopo le feste, Don Bosco per mezzo di Gastini invitò secondo
il consueto gli ex - allievi sacerdoti per l'11 agosto e quelli secolari
per il 14; ma egli non potè trovarsi con loro, perchè
era a Lanzo nè le sue condizioni di salute gli permettevano di
scendere a Torino. Telegrafò di lassù ai primi: “
Spiacente assenza, auguro cordialissima convivenza e allegria ”.
E ai secondi: “ Cari figli, mi rallegro, auguro appetito, felicità,
santità, timore di Dio ”. Tutt'e due le volte l'aveva sostituito
Don Rua. Fu per altro inviata a Lanzo una commissione mista di ecclesiastici
e di laici, perchè gli portassero auguri a nome di tutti. Don
Bosco li accolse non in casa, ma nel prato attiguo al collegio. Scrive
nella sua relazione il capo della brigata, Don Griva, parroco di Cunico
d'Asti (I): “ Don Bosco fu così commosso, che sulle prime
non potè articolar parola. Ci guardò con quel suo sguardo
benigno e sagace con cui ci ha guardati tante volte. L'occhio è
sempre il suo, ma all'aspetto ahi! quanto ci parve sofferente ”.
Egli ricordò loro che come riceveva essi in quel prato, così
aveva fatto nei prati di Valdocco a' suoi giovanetti. Si parlò
della Patagonia e della Messa d'oro, per la quale voleva che venisse
a Torino un coro di duemila Patagoni. Trascorsa così in mezzo
a loro un'oretta
(I) Bollettino Salesiano, ottobre 1887.
369
di vera letizia, li benedisse e disse loro: - Pregate per me, affinchè
io possa salvare l'anima mia. - Infine raccomandò loro di dire
all'Oratorio che non si prendessero inquietudini per la sua salute.
A Lanzo Don Bosco si trovava già dal 4 luglio. Medici e superiori,
per sottrarlo ai pericolosi effetti del caldo di Torino, l'avevano persuaso
a recarsi colà per respirare meglio in quell'aria così
fresca e ossigenata. Non c'era stato più dalla festa di S. Luigi
del 1884. Aveva sempre amato tanto quel collegio!
Il collegio sorge parte sul fianco e parte in vetta di una collina interamente
sgombra da altri edifizi con un'alta ed estesa ripa erbosa a levante,
coronata sulla sommità da una comoda strada, che va a finire
sotto una pergola. In fondo alla valle rumoreggia la Stura, dalla cui
riva opposta si elevano le prealpi, e a sinistra di chi le guarda si
stende una vasta e amena pianura: in fondo all'orizzonte emerge Torino.
Ogni sera Don Bosco faceva lassù la sua passeggiata, fermandosi
alquanto in un punto così pittoresco. Rare volte e per non lungo
tratto andava a piedi. Una sedia con le ruote a mo' di carrozzella gli
offriva da sedere; la sospingevano per lo più Don Viglietti o
altri della casa e talora anche visitatori di confidenza. Alla comitiva
degli ex - allievi disse, mentre vi si assideva: - Io che sfidava i
più snelli a fare salti, ora debbo camminare in carrozza con
le gambe altrui. -
Sotto la pergola sovente teneva circolo con pochi intimi. Una volta,
essendovi il solo coadiutore Enria, guardava pensieroso verso Torino;
poi sospirando esclamò: - Là sono i miei giovani. Un'altra
volta gli domandò se ricordasse ancora un vecchio Tantum ergo
da lui composto, indi prese a cantarlo con voce flebile e con vivo sentimento.
Certe sere Don Viglietti scendeva al fiume, passava il classico ponte
romano a un solo arditissimo arco, si arrampicava su per gli opposti
dirupi e da qualche cima lo salutava, sventolando il fazzoletto, ed
egli tutto contento rispondeva allo stesso modo. Insomma
370
si faceva il possibile per ricrearlo e ridonargli un po' di benessere.
Tutte le autorità costituite di Lanzo si diedero premura di recarsi
a ossequiarlo. Vi andò pure il deputato Palberti. Signori e signore
villeggianti, mossi specialmente dal desiderio di vedere lui, assistettero
in gran numero il 7 agosto alla distribuzione dei premi.
Sono del mese di luglio quattro sue lettere, delle quali si conserva
copia nei nostri archivi. La prima è indirizzata alla tanto benemerita
signora Magliano.
Benemerita Sig. Magliano,
Domenica ultima, mi pensava che ci fosse rimasto un po' di tempo per
discorrere di noi e della maggior gloria di Dio, ma non si potè.
Se mai non fosse troppo fare una passeggiata fin qui la cosa sarebbe
opportuna. Ci sono più corse al giorno: potremmo discorrere tranquillamente,
il tempo libero Ella potrebbe passarlo colle nostre Suore, dove avrebbe
refezione con quanto sarà necessario. Che ne dice? Il clima è
stupendo; io conto di passare il mese. Dio ci benedica e Maria ci guidi
al Cielo.
Lanzo, il 6 di luglio 1887.
Umile Servitore
Sac. Gio. Bosco.
Con la seconda lettera Don Bosco esaudisce la domanda di un adulto,
che vorrebbe essere coadiutore salesiano. Questi professò dopo
la morte del Santo e uscì di vita nel 1893.
Caris. Sig. Gian Giacomo Dalmasso,
Con grande soddisfazione dei cuor mio ho ricevuto la vostra lettera
piena di affetto figliale a mio riguardo. Dio sia benedetto. Avrò
un Salesiano di più che lavorerà meco per guadagnare anime
al Cielo ed assicurare ognor più la vostra e la mia.
In quanto alle vostre occupazioni tratteremo di presenza; i nostri sforzi
pecuniarii sono tutti rivolti in questo momento ad aiutare i nostri
Missionari d'America.
Essi danno la vita per le anime, e noi daremo volentieri la borsa in
loro aiuto.
371
Non posso scrivere di più. Maria ci guidi tutti per la strada
del cielo. Amen.
Lanzo, il 18 luglio 1887.
Aff.mo amico in G. C.
Sac. Giov. BOSCO.
PS. Venite pure con noi a vostro piacimento. Vi attendiamo a braccia
aperte.
La terza la lettera andava alla baronessa Azelia Fassa in Ricci des
Ferres.
Benemerita Sig. Azelia,
Dio ci vuole in cielo, ma per mezzo delle tribulazioni. Noi eravamo
pieni di contentezza pel miglioramento del figlio del Sig. Conte Francesco
De Maistre ed ecco nuova catastrofe, ossia nuovo merito da acquistare
davanti a Dio. Ma speriamo e preghiamo. Le spine pungeranno, ma saranno
di certo cangiate in rose per la beata eternità. Io pregherò,
i nostri orfanelli faranno comunioni per questo nuovo bisogno; ella
poi ci venga in aiuto col solito suo fervore.
E la mamma Sig. Marchesa come sta? Noi la raccomandiamo ogni giorno
al Signore o per un motivo o per un altro. Ella deve andare con Lei
al paradiso, ben inteso col Sig. Carlo in nostra compagnia.
Io sono qui a Lanzo mezzo cieco e mezzo e quasi interamente zoppo e
quasi muto. Ma ciò mi sta bene in penitenza del troppo mio parlare
fuori di tempo.
La mano non serve più a scrivere. Maria ci guidi e Dio ci benedica
in tutte le cose. Amen.
Lanzo il 24 luglio 1887.
OBB.MO SERVITORE
Sac. Gio. Bosco.
PS. In questo momento ricevo notizia che il Conte Colle di Tolone nostro
insigne benefattore è gravemente ammalato. Lo raccomando caldamente
alla carità delle sante sue preghiere.
Il figlio del conte Francesco De Maistre continuò a peggiorare
fino all'autunno, quando il padre, perduta ogni speranza di salvarlo,
telegrafò a Don Bosco dalla Savoia: “ Mio primogenito Andrea
pericolosamente ammalato; dimando benedizione ”. Era sopravvenuta
la polmonite. La febbre molto alta, la tosse ostinata, l'auscultazione
più volte ripetuta mostravano che un polmone specialmente era
ingor -
372
gato e minacciava la vita del povero fanciullo. Intesa dal dottore
curante la dichiarazione che non poteva assumere più oltre da
solo la responsabilità della malattia, il padre aveva preparato
un telegramma da spedire a uno specialista di Parigi; ma prima di spedirlo,
volle implorare le preghiere di Don Bosco. Il Santo rispose telegraficamente,
benedicendo, promettendo di pregare con i suoi giovani Maria Ausiliatrice
e raccomandando di stare tranquilli. Tale risposta fu spedita a tarda
sera. Si seppe tosto che il fanciullo aveva passato bene quella notte
e che al mattino fu trovato affatto libero: non più febbre, cessata
la tosse; fatta l'auscultazione, non si poteva più distinguere
qual fosse stato il polmone infermo. Il medico parigino constatò
soltanto con maggior certezza la perfetta e subitanea guarigione. Passato
l'inverno, il padre condusse Andrea a visitare la tomba del suo benefattore,
e perchè più profondamente gli rimanesse impresso il debito
di riconoscenza verso il Servo di Dio, fece da lui rimettere a Don Rua
un piego, contenente due biglietti da mille franchi. Il giovane continuò
a conservarsi sano e robusto (I).
La quarta lettera richiede alcune spiegazioni. La signora Teodolinda
Pilati, vedova Donini, di Bologna, già nota ai lettori come generosa
cooperatrice, aveva in giugno comunicato a Don Bosco l'intenzione d'impiegare
in opere di beneficenza il patrimonio lasciatole dal marito. Don Bosco
le aveva risposto manifestandole anzitutto il suo pensiero non esservi
necessità più urgente nei nuovi tempi che aiutare la povera
gioventù maschile abbandonata per educarla cristianamente, formarne
buoni cittadini, operai e capi di famiglia, e preparare buoni sacerdoti
e religiosi mediante la cura delle vocazioni, come appunto si faceva
negli istituti salesiani d'Europa e d'America. Ritenendo poi che la
signora avesse in animo di beneficare anche le opere salesiane, le consigliava
di vendere la parte degli stabili, dei quali poteva disfarsi, e di consegnare
(I) Summ. sup. virt. Num. XVII, De donis supernis et miraculis in vita,
28 (teste Don Rua).
373
a lui od a' suoi rappresentanti il danaro ricavato. Ma essa gli spiegò
quali ragioni si opponessero all'esecuzione di questo disegno, dicendogli
però che avrebbe passato a lui i suoi crediti. Don Bosco, che
ignorava tali circostanze, trovò giustissime le sue osservazioni
(I). La benefattrice non indugiò a dar prova del suo buon volere;
poichè in luglio gli spedì la somma di quindici mila lire,
del che il Santo la ringraziò con questa lettera.
Lanzo, 26 luglio 1887.
Ricevo in questo momento la sua generosa offerta pei nostri orfanelli
e pei nostri Missionari che spendono per essi la loro vita. Erano quattro
giorni da che io doveva cominciare la spedizione di Quito e del Chili
e attendeva come la manna dal Cielo una speciale beneficenza che fu
la sua. Dio la benedica. Le anime che con essa si salveranno lo sa solamente
Iddio, e quelle anime che per questa grande carità andranno a
godere la gloria del Paradiso pregheranno tanto specialmente per V.
S. e pei suoi parenti vivi e defunti.
Sia benedetto Iddio che ispira Lei a fare le buone opere in sua vita:
è certa di trovarle assicurate.
Dispongo che tutti i nostri orfanelli facciano almeno una santa comunione
secondo la pia di lei intenzione. Il numero oggi oltrepassa li trecento
mila.
Io stento a scrivere; li miei giorni volgono veloci al loro fine; desidero
una sua visita ai nostri cari della casa di Torino o di altra casa;
ma spero di essere assolutamente sicuro di vederla gloriosa un giorno
nella beata eternità.
Dio ci benedica, Maria sia nostra guida al Cielo. Amen.
Torino, 26 luglio 1887.
Obl.mo Servitore
Sac. G. Bosco.
Nel 1888, verso la metà di gennaio, avendo appreso che la salute
di Don Bosco migliorava, scrisse a Don Rua: “ Che il Signore sia
benedetto mille e mille volte per aver conservata, speriamo anche per
molto tempo, una così preziosa esistenza! Per me Don Bosco è
come un secondo padre e facil -
(I) App., Doc. 72 A - B. Sono due lettere solamente firmate da Don
Bosco
374
mente può figurarsi come trepidava all'arrivo del giornale:
il cuore mi batteva forte nel cercare le notizie del caro infermo. Maria
Ausiliatrice ha ascoltato tante preghiere a Lei indirizzate e sia benedetta
in eterno
Don Bosco per S. Gaetano aveva scritto al cardinale Alimonda, esprimendogli
auguri e promettendo preghiere in nome suo e di tutta la Congregazione.
L'Arcivescovo, sempre tanto buono con lui, gli diceva nella sua risposta
(I): “ Accetti per tanta bontà i miei affettuosissimi ringraziamenti,
e creda pure che il mio povero cuore mantiene sempre gli stessi sentimenti
di stima, di ammirazione, di gratitudine, a Lei ed ai zelanti membri
della sua Congregazione, i di cui progressi amerei poter vedere lunghi
anni sotto la direzione santa del suo fondatore ”. A piè
della lettera gli si professava “ aff.mo come fratello in G. C.
”.
Di lì a poco il compleanno non fu guari lieto. Don Bosco soffriva
di certi incomodi che lo prostravano assai. “ Fa pena il vederlo,
leggiamo nel diario sotto il 15 agosto; non parla e respira affannato
”. Giunsero da Torino per festeggiarlo alcuni superiori e parecchi
giovani in rappresentanza di tutto l'Oratorio. Piovvero telegrammi da
case salesiane e da cooperatori. La predetta signora Pilati gl'inviò
per l'occasione una seconda offerta di ventimila lire. Egli le rispose
così:
Benemerita Signora,
Sia benedetta e ringraziata la Santa V. Maria che per mano della sua
caritatevole persona mi pagò generosamente la festa della Sua
Assunzione al Cielo e della povera mia nascita.
Dio le tenga preparato un posto presso di Lui ben degno di Lei sua figlia
e di Maria sua protettrice.
Dio ci benedica e mi compatisca la mala scrittura.
Torino, 15 ag. 1887.
Ob.mo Servitore
Sac. Giov. Bosco.
(I) Torino, 10 agosto 1887.
375
Al pranzo si lessero varie cose, ascoltate da lui con quella bontà
che gli era propria in simili circostanze. Anche Don Guidazio tentò
la sua musa latina, facendo udire una forbita elegia. Piacque molto
l'indirizzo di Don Ghivarello, direttore a Mathi, che, offrendogli alcuni
bei grappoli d'uva, primizia di quell'orto, commosse tutti con una rievocazione
e una simbolica fantasia. “ Noi, disse, osservando quest'uva,
risaliamo col pensiero ai feraci colli del Monferrato, a quei beati
giorni in cui Tu, pieno di gioia, correvi dall'una all'altra collina,
specialmente nei giorni sacri a Maria Santissima Assunta in cielo, e
staccando dalle viti i primi grappoli maturi, gustavi le prime dolcezze
della vita. Noi, osservando quest'uva, risaliamo col pensiero a quei
colli, sui quali settantadue anni a quest'oggi, la mistica vigna di
Francesco e Margherita Bosco, auspice la Vergine Assunta in cielo, produceva
quel meraviglioso grappolo d'uva, che doveva addolcire la vita di tanti
milioni d'anime; il quale grappolo sei Tu, e tra quei milioni d'anime
addolcite in questo settantaduesimo Tuo giorno natalizio siamo noi,
i quali in questo scoglio, che può chiamarsi la mistica vigna
salesiana, direi il torchio ove Tu nei più begli anni della tua
vigoria, quasi spremesti nei santi giorni d'esercizi e nei primi Capitoli
il sugo e la vita dalla tua mistica vigna salesiana, godiamo di poterti
ossequiare con tutto il rispetto ed affetto, di cui è capace
il cuore di figli, e di figli che in Te contemplano un raggio della
benignità della loro e Tua Madre Assunta in cielo, raggio che
emanò 1770 anni dopo la sua Ascensione al cielo, vale a dire
nel 1815, e che ancor oggi emanò in questo scoglio ed emanerà,
speriamo, per molti anni ancora ”. Il periodo è lungo,
ma contiene un lirismo, che in un uomo come Don Ghivarello tutto dedito
alle scienze esatte risponde a un prepotente bisogno del cuore e rivela
sempre più quanta fosse l'affezione di quei primi figli per il
loro grande Padre.
Nel pomeriggio all'Oratorio si fece la solenne distribuzione dei premi
con il consueto saggio finale. Presiedeva Don Rua,
376
ma il pensiero di Don Bosco e del suo compleanno fu la nota dominante
in tutto il trattenimento.
La giornata purtroppo non doveva passare senza una spina crudele. Una
lettera del Cardinale Vicario ingiungeva a nome del Sommo Pontefice
il richiamo di Don Dalmazzo, procuratore generale della Congregazione
presso la Santa Sede e parroco del Sacro Cuore. Don Bosco fece partire
all'istante per Roma Don Cerruti nella speranza di parare il colpo;
ma questi trovò il Santo Padre inflessibile nella presa decisione
e che si attendeva di vedere pronta all'obbedienza la Congregazione
Salesiana (I). Allora senza il menomo indugio Don Dalmazzo fu esonerato
del suo duplice ufficio; con egual sollecitudine si procedette alla
nomina di Don Cesare Cagliero a procuratore e di Don Cagnòli
a parroco. Quale la causa di quel fulmine a ciel sereno? Una rete d'intrighi
muliebri orditagli intorno al confessionale aveva sollevato contro Don
Dalmazzo accuse che spinsero l'Autorità Ecclesiastica al grave
provvedimento. Noi potremmo forse figurarci Don Bosco afflitto da grave
malinconia per un caso tanto più doloroso quanto più inaspettato.
Invece nella passeggiata serale il coadiutore Enria, vedendolo giulivo
più che non fosse stato precedentemente, gli disse con la confidenza
ispiratagli dalla grande bontà di lui: - Oggi Don Bosco è
più allegro del solito. - Al che egli rispose: - Eppure oggi
ho ricevuto il più forte dispiacere che abbia avuto in vita mia
(2).
Questa testimonianza resa, come le precedenti, dal coadiutore nel Processo
ordinario (3), è confermata da Don Barberis, il quale attestò
dinanzi al medesimo tribunale (4): “ Don Bosco disse con me, che
quella era una delle afflizioni più gravi della sua vita ”.
Egli pure ammirò la sua rassegnazione tranquilla di fronte a
sì forte dolore.
(I) Verbali del Capitolo Superiore, 29 agosto 1887.
(2) Summ. sup. virt. Num. XI, § 36 (teste Don Piscetta).
(3) Summ. Cfr. anche Summ. del processo apostolico, pag. 790 (teste
Don Piscetta).
(4) Num. XIV, De heroica fortitudine, pag. 664.
377
Dall'alto gli veniva la calma serena che non lo abbandonava mai in
mezzo alle sue pene fisiche e morali. Si aperse a Lanzo uno spiraglio
che lasciò scorgere la sovrumana sorgente della mistica sua pace.
Suor Felicina Torretta, Figlia di Maria Ausiliatrice, destinata direttrice
dell'asilo del Lingotto a Torino, prima di raggiungere la sua residenza,
si recò a Lanzo per ricevere la benedizione del Servo di Dio.
Era un pomeriggio d'agosto, verso le ore quattordici, quando salì
nell'anticamera per essere introdotta. Non vi trovò Don Viglietti;
quindi si diresse difilato alla stanza di Don Bosco.
La porta stava spalancata, e che vide mai! Don Bosco in estasi, atteggiato
come persona che ascolta. La fisionomia intenta, il sorriso soave e
tranquillo, le braccia aperte all'insù, il ripetuto affermare
del capo dicevano chiaramente che avveniva un colloquio fra lui e un
essere soprannaturale. Sembrava più alto del solito. A tal vista
la suora si avvicina e arrivata a due passi da lui, dice: - Viva Gesù!
Padre, è permesso? - Nessuna
risposta. Ripete più volte le stesse parole, alzando la voce;
ma egli non se ne dà per inteso. Allora essa si sofferma, contemplandolo
per circa dieci minuti, finchè gli vide fare il segno di croce
con un inchino così riverente del capo da non potersi descrivere.
Posate quindi con espressione di gioia le mani sul tavolo, s'accorse
della suora, ebbe come un soprassalto e disse: - Oh, suor Felicina,
mi avete spaventato! - Eh, Padre, rispose,
ho chiesto permesso più volte, ma ella non mi ha sentita. - Giustamente
la suora osserva nella sua relazione che in quel tempo Don Bosco non
poteva reggersi in piedi, se non sorretto da altri; eppure durante quel
colloquio celeste stava ritto senza sforzo.
Don Lemoyne, ascoltando dalla suora dopo la morte di Don Bosco la narrazione
del fatto, dimostrava una sempre più viva compiacenza, e alla
fine esclamò: “ Sapete, suor Felicina, che mi contate una
cosa tale quale io pure vidi nella casa di Foglizzo? La stessa posa
delle braccia sollevate in alto, il volto sorridente, celestiale, raggiante
di luce bianca,
378
in atto di chi ascolta, affermando tratto tratto con cenni del capo,
come appunto voi dite, e poi congedarsi con riverente inchino e segno
di croce. Siamo i due fortunati! ”.
La suora in una lettera scritta a noi il 18 luglio 1930 soggiungeva
che Don Lemoyne le disse pure l'anno e la circostanza; ma essa non se
ne ricordava più. È probabile, per non dir certo, che
questo avvenisse il 20 ottobre seguente.
Gravi parole profetiche gli uscirono un giorno dalle labbra durante
un colloquio con Don Filippo Rinaldi, allora direttore a S. Giovanni
Evangelista. Quand'egli entrò nella sua camera, il Santo stava
osservando una carta geografica. Puntando il dito sopra l'Australia,
disse che anche là sarebbero andati i Salesiani. - Ma ci vorrà
del tempo! rispose Don Rinaldi. - Andranno, andranno di certo replicò
Don Bosco. Poi, indicando la Spagna, ripigliò. - Qui sarà
il tuo campo d'azione. - Questo si avverò due anni dopo; ma non
si avverò finora, [marzo 1936] sebbene i fatti ne inducano il
timore, tutto quello che dopo alcuni istanti di pausa soggiunse. Parlò
egli di tre sconvolgimenti molto paurosi, di cui sarebbe stata teatro
e vittima quella cattolica nazione, specificando che nell'ultimo si
sarebbe versato molto sangue, anche salesiano (I).
Un'attestazione di profonda stima e di sincera venerazione gli fu resa
da un uomo che onorava la scienza e che era molto onorato in Italia
e all'estero, sebbene vestisse l'abito religioso: vogliamo dire il padre
Denza, del quale si parlò a proposito degli impianti di osservatori
meteorologici in America. Forse per le frequenti lettere che allora
riceveva dai Missionari, Don Bosco desiderò di avere seco a Lanzo
il dotto barnabita. Gliene scrisse il Direttore del Collegio invitandolo;
n'ebbe il 17 agosto la seguente risposta da Montaldo Torinese: “
L'affetto e la venerazione che io porto all'amatissimo Don Bosco
(I) Questo disse Don Rinaldi a una persona torinese ragguardevole e
seria, alla quale egli soleva parlare con la confidenza di un padre;
poichè la dirigeva nello spirito.
379
è grandissimo e Dio sa con quanto piacere verrei costà
per stare alcuni giorni con Lui. Ma ora io mi trovo qui in campagna,
dove grazie a Dio la mia salute va migliorando sensibilmente; e d'altra
parte molto facilmente verso la fine del mese dovrò allontanarmi
di qua per qualche giorno, a fine di prendere parte alla riunione che
la nostra società meteorologica terrà in Aquila. Per queste
ragioni mi è impossibile potermi per ora recare a Lanzo. Più
tardi invece la cosa sarebbe più facile, ma io non so quanto
tempo si fermerà Don Bosco costà. Lo ringrazi intanto
assai assai da parte mia e gli dica che anche io non mi dimentico mai
di Lui; e spero di poterlo vedere presto con l'aiuto di Dio. Gli dica
pure che ho ricevuto notizie molto consolanti da Montevideo e pare che
lo stesso Governo prenda a cuore quell'osservatorio ”.
Don Bosco si fermò a Lanzo fino al 19 agosto. Cominciandosi a
Valsalice gli esercizi spirituali per gli aspiranti, egli ci volle essere.
Partì dunque alle sedici, proseguendo poi direttamente per quel
collegio. Al suo arrivo lo attendeva una spiacevole notizia: un telegramma
da Alassio annunziava che Don Vignola era agli estremi. Don Bosco pregò
per lui insieme col direttore Don Rocca e gl'inviò la sua benedizione.
Queste preghiere si facevano alle diciannove e mezzo; or ecco un secondo
telegramma consegnato alle venti, che diceva essere stata superata la
crisi e verificarsi un notevole miglioramento. Ma ciò valse solo
a ritardare di quindici giorni la fine, permettendo al malato di ricuperare
la perduta conoscenza per prepararsi al gran passo. Rese l'anima a Dio
il 3 settembre.
Don Alessandro Vignola aveva fatto tutto il ginnasio nell'Oratorio,
confessandosi abitualmente da Don Bosco. Sul punto di decidere del suo
avvenire, consultò il Salito, che gli disse: - Sta' tranquillo.
Dio ti vuole salesiano. - A quelle parole, com'egli soleva ripetere,
si sentì nel cuore una grande consolazione, unita con un forte
proposito di ubbidirlo. Fu uno di quei salesiani umili e laboriosi,
che passano la vita pressochè ignorati, mentre sono il sostegno
delle case dove si
380
trovano. Assistente per molti anni ad Alassio, prima nel ginnasio,
poi nel liceo, e insegnante di greco nel ginnasio superiore, provava
quasi il bisogno di essere sempre fra i giovani per tenerli allegri,
animandone le ricreazioni. Notevole era la sua spontaneità in
offrirsi ai superiori, quando li vedeva imbarazzati. Faccio io! diceva
allora senz'altro. Per questo taluno lo chiamava Don faccio io.
Nessuna occasione Don Bosco si lasciava sfuggire per testimoniare il
suo attaccamento alla Santa Sede. Avvicinandosi la festa di S. Gioachino,
che allora cadeva il 21 agosto, mandò da Valsalice a Leone XIII
riverenti auguri di felice onomastico. Ricevette questa risposta telegrafica
dal cardinale Rampolla, nuovo Segretario di Stato: “ Santo Padre
ringraziando Salesiani per voti espressigli benedice di cuore; prega
il Signore raffermare con speciali grazie propositi concepiti spirituali
esercizi ”.
Anche di suoi preti, chierici o giovani Don Bosco ricordava talora paternamente
l'onomastico, facendo tenere un suo biglietto o un'immaginetta recante
un suo motto autografo. In quel 21 agosto, per esempio, mandò
a Don Berto un'immagine del quadro di S. Giuseppe venerato in Maria
Ausiliatrice, scrivendo sulla busta: “ Viva Don Berto, Viva S.
Gioachino 1887 ”; e sul rovescio dell'immagine: “ Caro Don
Berto Gioachino Maria sia tua guida al Cielo. Sac. Gio. Bosco ”.
Dopo il 25 maggio non aveva più presieduto le adunanze del Capitolo
Superiore, rimettendone il carico al suo Vicario. Presiedette a Valsalice
la seduta pomeridiana del 12 settembre, nella quale si formava il personale
dirigente per l'Oratorio. Vi fece le quattro seguenti dichiarazioni:
“ I° Nell'Oratorio festivo, intendo abolite le passeggiate.
- 2° Il vino ai suonatori sotto ai portici si dia solo nelle feste
solennissime, nelle quali così porta l'antica tradizione. - 3°
Non caffè e latte e caramelle ai musici tutte le volte che devono
cantare. - 4° Il prefetto interno della casa non faccia nessuna
compra o vendita senza espressa volontà del Direttore, al quale
solo
381
spetta questo diritto ”. Comandò quindi al segretario
di scrivere queste sue volontà negli atti del Capitolo ad perpetuam
observantiam et rei memoriam.
Prolungò la sua dimora a Valsalice, finchè non furono
terminati i corsi di esercizi spirituali. Ma nell'ultima decade di settembre
la salute gli andava male. Lo assaliva spesso il mal di capo con febbre;
in una settimana ben tre volte non potè avere la consolazione
di celebrare la Messa. “ Eppure, nota Don Viglietti nel diario,
è sempre allegro, lavora, scrive, dà udienza e mentre
abbisognerebbe egli di consolazione, va confortando gli altri ”.
Di queste udienze date a Valsalice Don Viglietti ci fa sapere poco o
nulla. Menziona soltanto la venuta di due Vescovi degli Stati Uniti
senza nominarli e l'arrivo della famiglia barcellonese di Don Luis Marty
Codolar. Sappiamo qualche cosa d'altro da altre fonti.
Il Direttore della casa di Faenza per premiare i tre migliori alunni
li condusse in settembre all'Oratorio, donde salì a Valsalice
per presentarli a Don Bosco. Il Santo li salutò benevolmente,
dando loro la mano a baciare; ma al più piccolo, un ragazzo di
dodici anni che faceva la seconda ginnasiale, la ritrasse, lo fissò
in volto e serio serio gli disse: - Noi non siamo amici! - Il poverino
venne via col cuore spezzato. Appena fuori, scoppiò in pianto.
Ebbe un bel dire Don Rinaldi che si trattava di uno scherzo: egli non
si dava pace. Pregò, fece comunioni, finchè gli parve
che una voce interna gli suggerisse di rompere una certa promessa.
Bisogna sapere che la sua madre, vedova da parecchi anni, , aveva sulle
prime ricusato di permettere al figlio quel viaggio, perchè temeva
che Don Bosco lo invogliasse a farsi salesiano; quando però il
giovanetto la rassicurò dicendole che non si sarebbe lasciato
prendere nella rete, gli diè licenza di partire.
Tocco adunque da quella interna ispirazione, ritrattò il primitivo
proposito, disponendosi a fare in tutto la volontà di Dio. Riammesso
in seguito alla presenza di Don Bosco,
382
questi sorridendo gli disse: - Adesso siamo amici! - Quindi, posatagli
la destra sulla spalla, soggiunse: - E tu non andrai mai via da Don
Bosco. - Prese poi tre medaglie e dandogliene una alla volta, proseguì:
- Questa è
per tua madre, questa è per tua sorella e questa è per
te. - Com'egli sapesse lo stato della sua famiglia, fu un mistero per
il giovanetto, tanto più che fece il medesimo con gli altri due.
Tornato a Faenza, finì il ginnasio, vinse alcune difficoltà
e nell'ottobre del 1891 entrò nel noviziato a Foglizzo. Questa
è in breve la storia della vocazione di Don Enea Tozzi, oggi
[1936] ispettore delle case salesiane in Inghilterra.
Singolare fu quello che passò con Don Tamietti, direttore del
collegio di Este. Al termine degli esercizi spirituali, prima di staccarsi
dal Santo, gli domandò se avesse qualche cosa da dirgli. Passeggiavano
nel corridoio del primo piano ed egli lo sorreggeva. Don Bosco gli rispose:
- Sì, vieni in mia camera. - Quando furono dentro, Don Tamietti
gli chiese che cosa volesse dirgli. - Più cose; ma... - E fermatosi
alquanto sopra pensiero, esclamò: - Ah! - Poi il respiro gli
si fece affannoso, divenne rosso in faccia e non poteva articolar parola,
ma ripetè più volte sospirando: - Ah! ah! ab! - Ciò
vedendo, Don Tamietti lo pregò di non darsi pena, chè
gli avrebbe detto tutto in un altro momento.
Questo accadeva alle ore sedici; sul tardi, congedandosi da lui nel
medesimo corridoio: - Domani parto, gli disse; se ha qualche cosa da
dirmi, sono qui a' suoi ordini. - Don Bosco lo tirò nuovamente
in camera, si sedette come chi è oppresso da grande tristezza,
lo fissò affettuosamente in volto: voleva parlare, ma non potè.
Non gli uscì altro che un: Ah! ah!... Non posso. - E Don Tamietti:
- Non si affatichi, signor Don Bosco. Mi parlerà un'altra volta
oppure mi scriverà. Intanto mi benedica.
Immaginiamoci com'egli partisse soprapensiero. Capì che Don Bosco
aveva qualche cosa di grave da comunicargli; gli rincresceva solo di
non sapere, se fosse cosa che riguardasse
383
la propria persona o il proprio collegio, nel presente o nel futuro.
Saputolo ammalato, venne a Torino per le feste natalizie. Appena egli
fu al suo capezzale, Don Bosco gli disse:
- Oh caro Tamietti, ti ringrazio che sia venuto a vedermi.
- Indi lo prese per mano e lo fissò a lungo senza parlare, lasciando
trasparire una segreta tenerezza, ma nemmeno allora sì riuscì
a capire di che si trattasse.
C'era veramente del mistero in tutto questo voler parlare senza mai
venire al punto. Non sembra improbabile che l'arcano di quei silenzi
debba mettersi in relazione con una predizione e con il relativo avveramento.
Un giorno Don Bosco aveva detto a Don Tamietti: - Lavorerai fino ai
cinquant'anni e arriverai fino ai settantadue. - Nato nel 1848, Don
Tamietti fu colpito nel 1898 da violenta febbre tifoidea, dalla quale
si liberò, ma riportando una profonda lesione nelle facoltà
mentali. Visse così inabile a qualsiasi occupazione, fino al
1920. Il tutto esattamente secondochè Don Bosco aveva predetto.
Nei colloqui specialmente con Superiori gli tornavano frequenti le allusioni
alla sua prossima fine. Una sera di settembre, facendo in camera la
sua cena, s'intratteneva da solo a solo con Don Veronesi, direttore
della colonia agricola di Mogliano Veneto. A lui, competente in cose
economiche, disse: - Io ho ancora poco tempo da vivere. I Superiori
della Congregazione non se ne persuadono, ma credono che Don Bosco debba
vivere ancora lungo tempo. A me non rincresce di morire; ciò
che mi pena sono i debiti del Sacro Cuore. Don Dalmazzo è buono,
ma non è amministratore. Pensare che si sono raccolti tanti danari!...
Che cosa diranno i miei figli trovando tanti pesi?... Prega per l'anima
mia; l'anno venturo agli esercizi non ci sarò più (I).
Passando poi ad altro, Don Veronesi gli ricordò come al-
(I) Riguardo ai debiti del Sacro Cuore, l'economo Don Sala, mandato
a Roma per esaminare da vicino la situazione, scoprì che ammontavano
a trecentocinquanta mila lire (Verb. del Cap. Sup., 26 ottobre 1887).
384
cuni anni addietro gli avesse detto l'età, alla quale sarebbe
giunto, purchè fosse buono; ora tale condizione lo teneva in
angustia. - Ebbene, leviamo la condizione, disse Don Bosco. Io vado
presto in paradiso a prepararti un posto; tu ci verrai accompagnato
da molti altri. - Don Mosè Veronesi, nato nel 1851, chiuse la
sua mortale carriera nella veneranda età di settantanove anni.
Anche Don Albera, ispettore delle case di Francia, ebbe con Don Bosco
un ultimo abboccamento pieno di emozione. Essendosi presentato a lui
per congedarsi, il Santo lo fece sedere vicino a sè, gli rivolse
molte domande sulla sua casa di Marsiglia e sui confratelli e soggiunse
che avrebbe voluto dargli un po' di danaro per il noviziato francese,
ma che la Provvidenza non gliene aveva mandato. - Però, disse,
voglio almeno pagarti il viaggio. Eccoti cinquanta lire in oro; è
tutto quello che ho. - Poi lo guardò con molto affetto e gli
disse: -
Anche tu sei per partire. Mi abbandonano tutti. So che Don Bonetti partirà
stasera. Don Rua se ne andrà anche lui. Mi lasciano qui solo.
- Nel pronunziare queste parole aveva le lacrime agli occhi. Si commosse
ancor più dicendo: - Don Bosco ha ancora tante cose da dire ai
suoi figli e non avrà più il tempo di dirle. - Siccome
Don Albera s'era messo anche lui a piangere, Don Bosco si fece un po'
di violenza e disse: - Non ti faccio rimprovero; tu fai il tuo dovere
partendo. Dio ti accompagni; pregherò per te. Ti benedico di
tutto cuore.
Interessante al sommo fu la conversazione avuta con Don Barberis il
13 settembre (I). Erasi deliberato di cambiare destinazione al collegio
di Valsalice, sostituendo ai nobili convittori i chierici studenti di
filosofia. Tolta la seduta capitolare, Don Barberis, rimasto solo con
lui, gli domandò con tutta confidenza come mai, dopo essere stato
sempre contrario a quel mutamento, avesse poi cambiato parere. Rispose:
(I) Summ. sup. virt. Num. XVIII, De pretioso obitu (teste Don Barberis).
385
- D'ora in avanti starò io qui alla custodia di questa casa.
- Così dicendo teneva sempre gli occhi rivolti allo scalone,
che mette dal giardinetto superiore al porticato del grande cortile
inferiore. Dopo un istante soggiunse: - Fa' preparare il disegno. -
Poichè il collegio non era interamente costruito, Don Barberis
credette che volesse far terminare l'edifizio; quindi gli rispose: -
Bene, lo farò preparare; quest'inverno glielo presenterò.
- Ma egli:
- Non quest'inverno, ma la prossima primavera; non a me, ma al Capitolo
presenterai il disegno. - Continuava intanto a guardare verso lo scalone.
Solo cinque mesi dopo Don Barberis cominciò a comprendere il
pensiero del Santo, quando cioè lo vide sepolto a Valsalice e
precisamente nel punto centrale di quello scalone; lo comprese finalmente
del tutto quando, preparato il progetto del monumento da erigersi sulla
sua tomba, fu nella primavera presentato senza che egli avesse mai ancora
detto nulla della conversazione di settembre.
Ridiscese all'Oratorio la sera del 2 ottobre. Prese posto nella carrozza
anche Don Luis. Come si giunse dinanzi al cancello del parco che circonda
l'educandato diretto dalle Dame del Sacro Cuore, fece fermare, chè
voleva visitare ancora una volta quelle religiose. I particolari della
visita si possono leggere altrove (I). Nell'Oratorio i giovani lo aspettavano.
Un'onda di entusiasmo lo salutò al suo entrare; quando poi, salite
le scale, si affacciò dal ballatoio, ecco un coro universale
cantare l'inno antico: Venite, compagni, - Don Bosco ci aspetta. Erano
più centinaia di giovani che tenevano, cantando, gli occhi fissi
sopra di lui. Tale spettacolo commosse fino alle lacrime la famiglia
di Don Luis: dissero di non aver mai assistito a scena più commovente.
Ascoltando il canto, egli moveva lentamente il passo verso la cameretta,
nella quale per breve tempo purtroppo avrebbe potuto ancora dispensare
consigli e conforti tanto a' suoi figli che agli estranei.
(I) Vol. XV, pag. 666.
CAPO XVIII
La Prefettura Apostolica di mons. Fagnano.
NELL'AMERICA salesiana durante questo biennio il fatto più rilevante
è l'ingresso dei figli di Don Bosco nella Terra del Fuoco. Don
Bosco spronava il Prefetto Apostolico a far presto; ma difficoltà
di varia natura si opposero alla pronta andata, sicchè solamente
nel 1887 l'intrepido monsignor Fagnano potè piantare la sua residenza
nel punto centrale della Missione affidatagli da Leone XIII.
Chi osserva sulla carta geografica la punta estrema dell'America meridionale,
ha l'impressione che un'immensa lastra di ghiaccio galleggiante si sia
sgretolata in cento punti e direzioni, continuando così franta
a darci l'idea della sua forma primitiva (I). Quel bizzarro arcipelago,
composto d'infinite isole di ogni dimensione, compatto in origine e
congiunto con il resto del continente, è la Terra del Fuoco.
La battezzò con questo nome nel 1520 il portoghese Fernando de
Magalhaes o più comunemente Magellano, perchè durante
la sua navigazione scorgeva levarsi da molti punti colonne di fumo,
indizio di fuochi accesi dagli indigeni nelle loro foreste per ripararsi
dal freddo australe. La temperatura non vi è però così
rigida come nelle terre del polo artico; poichè la latitu -
(I) A ben comprendere le cose che qui si dicono, nulla giova più
della bellissima carta della Terra del Fuoco disegnata dal nostro Don
De Agostini per la Società Editrice Internazionale.
387
dine delle terre fueghine corrisponde press'a poco a quella dei Paesi
Bassi e della Danimarca.
Queste terre si possono dividere in tre zone. Campeggia anzitutto l'Isola
Grande, che è la Terra del Fuoco propriamente detta, con una
superficie di 48.000 chilometri quadrati. Vengono poi a sud - ovest
le isole che costellano il mare dal canale Beagle al capo Horn; principali
fra esse Londonderry, Gordon, Hoste e Navarino. Da ultimo s'incontra
a nord - ovest un terzo gruppo formato da un cordone di isole prolungantesi
dal capo Pilar alla penisola Breknock; le più notevoli sono Desolación
all'imboccatura occidentale dello stretto magellanico, S. Ines, Clarence,
Dawson. Fra le mentovate isole maggiori, che costituiscono come l'ossatura
dell'arcipelago fueghino, stanno sparpagliate innumerevoli minori e
minime, separate fra loro da una rete complicatissima, un vero labirinto,
di tortuosi canali.
L'intero territorio misura circa 72.000 chilometri quadrati di superficie.
Politicamente fu per lungo tempo considerato res nullius; al che contribuirono
i falliti tentativi di popolare lo stretto magellanico, i racconti terrificanti
di naufraghi e i preconcetti sulla improduttività del suolo e
sulla rigidezza del clima. Quando però lo stretto di Magellano
assunse importanza come via marittima dall'Atlantico al Pacifico e capitalisti
intelligenti presero a svilupparvi l'industria pastorizia, allora i
due Stati limitrofi, Cile e Argentina, cominciarono a preoccuparsi di
assicurare al proprio potere quelle terre lontane. Le reciproche gare
ebbero termine nel 1881, anno in cui sotto l'arbitrato del re inglese
si stipulò il trattato dei Limiti mediante una linea divisoria
da nord a sud dell'Isola Grande, cioè dal capo Spirito Santo
presso l'entrata orientale dello stretto magellanico fino al canale
Beagle. Cosi 50.000 chilometri quadrati a ovest si trovarono sotto il
dominio cileno e 22.000 a est sotto quello argentino. All'Argentina
restò aggiudicata pure l'Isola degli Stati, che fronteggia il
capo S. Diego.
388
Gl'indigeni abitatori dell'arcipelago appartengono a tre stirpi differenti,
designate coi nomi di Alakalùf, Yagàn e Ona. Le prime
due vivono nelle isole occidentali e australi, estendendosi gli Alakalùf
dalla penisola Breknock ai canali occidentali della Patagonia, a nord
dello stretto di Magellano, e occupando i Yagàn il canale Beagle
e le tante isole disseminate a sud del medesimo. Gli Ona han tutti sede
nell'Isola Grande. Gli esploratori che per circa tre secoli navigarono
attraverso l'arcipelago fueghino si accordano nel rappresentare miserevolissimo
lo stato di questi selvaggi; sfuggì per altro a tutti la condizione
degli Ona residenti nella parte orientale dell'Isola Grande, fisicamente
superiori agli altri e somigliantissimi agli Indi Patagoni. Il celebre
naturalista Darwin, che visitò gran parte delle coste subfueghine,
incorse nell'errore di crederne gli abitanti antropofagi e senza idea
nè di Dio nè d'immortalità.
Il numero dei Fueghini non è stato sempre facile a determinarsi.
I Yagàn nel 1884 dopo un censimento esatto del missionario protestante
inglese Bridges risultarono 945. Il medesimo Bridges nel 1880 aveva
fatto risalire gli Alakaluf a 3000. Il nucleo maggiore era quello degli
Ona, che nel 1880 secondo i calcoli del Bridges si facevano ascendere
a 3600.
Ecco dunque terre e genti, a cui Don Bosco, mosso da impulso superno,
dedicò l'operoso pensiero fin da quando pochissimi al mondo ne
facevano qualche caso e rarissimamente se ne udiva parlare in Europa
con almeno superficiale conoscenza.
Il motivo impellente per cui Don Bosco sollecitava monsignor Fagnano
a rompere gli indugi era il sapere che già da tempo brigavano
laggiù i ministri dell'errore (I). Dal 1863 la missione evangelica
inglese manteneva sul canale Beagle a sud dell'Isola Grande, tre missionari,
che avevano a loro disposizione un vaporino e un veliero. Essi corsero
tutta la
(I) Nostra fonte principale è qui la corrispondenza dei Missionari
salesiani.
389
costa dell'isola senza lasciare angolo nè punta che non visitassero
da nord a sud, da est a ovest, dando prova di molta accortezza e di
non minore buon gusto nella scelta delle loro residenze. La società
biblica londinese non risparmiava danaro nè altro mezzo che fosse
utile all'uopo. Ogni mese il loro vapore faceva infallantemente il tragitto
di andata e ritorno alle isole Malvine, dove risiedeva un vescovo anglicano
e donde si provvedeva alle ordinarie relazioni con la madre patria.
Con tutto questo il risultato religioso della missione era ben meschino;
basti dire che dopo circa quattro lustri non contavano che un centinaio
di cristiani. E in che stato li tenevano! Il nostro Don Beauvoir che
li vide, così li descrive (I):
Oh povere creature, le nove o dieci, che vedemmo nell'orfanotrofio!
Che pena ci fecero! A dodici gradi sotto il zero di freddo, con un mezzo
metro di neve tutto intorno coperta la superficie, e le poverine (ragazze
da 8 a 15 anni) scalze nei piedi, non ostante che due o tre di esse
fossero rachitiche o malaticcie. E, noti, che ben dovevan esser messe
nel meglio che avessero, poichè gli avevamo avvertiti, che, s'era
loro a grado, noi li avremmo visitati. Ragazzi maschi, quasi non ne
abbiamo visti, chissà dove li tengono! Di uomini e di giovani
dai 15 anni in su, ne vedemmo soltanto alcuni pochi, e questi ancora,
oh come infelici! in tali cenci di abiti, che i nostri mendicanti si
avrebbero compassione. Ei li fanno ben lavorare per quel poco vitto,
stracci e insegnamenti che loro dànno, s'è vero che gliene
dànno. Oltre all'orfanotrofio visitammo pure la chiesa, ch'è
nient'altro, che un gran salone, con due soli banchi per parte, un tavolino,
una specie di cattedra, ed una stufa nel mezzo. Sulle pareti vi aveva
cartelloni portanti in lettere grandi varie iscrizioni, e fra le altre:
W. the Queen! (viva la regina!), W. the Repubblica! Ci dissero che serve
anche a uso di scuola per gli Indi. Visitammo di più due case
di famiglie indigene. Ah! ne schianta il cuore al ripensarvi, Alcune
donne cenciose all'intorno di una stufa, negli angoli una specie di
letti di pali e di frasche, alcuni pochi e sudici cenci penzoloni alle
pareti, qualche stoviglia di latta e alcuna bottiglia, formava tutto
il suppellettile ed il corredo di quelle famiglie, le une su le altre
ammonticchiate in quelle malsane catapecchie. E sàllo Dio quanto
loro avrà costato quel poco tetto e quei mali arnesi! Ma non
creda che sia così pure per il Rev.do missionario, sua metà
e
(I) Lettera a Don Rua 23 e 24 agosto 1887.
390
famiglia. Ah no! vivono essi in un ben comodo chàlet, provvisto
di tutto punto di quanto può far piacevole la vita non dico in
un deserto al 55° e più di lat. Sud, ma in Buenos Ayres stesso:
è un bel palazzotto riccamente ammobigliato, tappezzato, con
finestre a doppie invetriate, con imposte e persiane dentro e fuori.
Di cibi e liquori, di conserve, di dolci, di salse di ogni genere e
sorta, che i Luculli inglesi hanno saputo inventare, non ne parliamo,
che il miglior gastronomo n'avrebbe a confondersi. Che dire posso io
ignorante e profano in tale scienza? Se avessi a descrivere i lunchs
e banchetti dati ai comandanti dei bastimenti argentini dall'ex - missionario
Bridges ora ricco negoziante e proprietario, mi troverei ben imbrogliato
in trovar termini adeguati e sufficienti. Bastile che, oltre il detto,
di polli ne ha sempre in quantità, di uova a bizzeffe, di cacciagione
e pesca non ne parliamo; gl'Indiani son buoni cacciatori e pescatori
a un tempo, glie ne somministrano quanto ne desidera; di latte fresco
e conservato in iscatolette, e di latticini non ne ha da invidiar nessuno.
Tiene in varii punti dell'isola varie mandre di vacche (che qualche
volta vende a 5 scudi, 25 franchi la rubba di carne) (I).
Veramente il capitano Bove, che nel 1882 guidò una spedizione
alla Terra del Fuoco, fece del reverendo Bridges, da noi testè
menzionato, i più lusinghieri elogi; ma è facile indovinare
il perchè. Da prima il Bridges lo vide con ritrosia; ma in seguito
lo trattò splendidamente per vari giorni, prestandogli anche,
i suoi due bastimenti dopo il noto naufragio; per questo e perchè
desiderava ritornare da quelle parti l'esploratore italiano ne parlò
con tanta lode nelle sue relazioni. È ben strano però
che i missionari inglesi al tempo di monsignor Fagnano, sebbene vivessero
in terra argentina, non conoscessero lo spagnuolo e ai loro convertiti
non insegnassero che a bestemmiare l'inglese. Don Beauvoir, quando fu
con lui e con altri ministri protestanti, ebbe sempre bisogno d'interprete,
non conoscendo la loro lingua.
Di mano in mano che il Governo argentino dava maggiore importanza alla
Terra del Fuoco, l'influenza di questi eretici minacciava di farsi più
imbarazzante. In vista di tale pericolo Don Rua il 29 maggio 1886 aveva
mandato a monsignor
(I) Il detto di lunchs e banchetti l'ho saputo per varie relazioni
con comandanti di bastimenti (nota di Don Beauvoir).
391
Cagliero copia di una lettera scritta a Don Bosco da monsignor Poyet,
protonotario apostolico a Gerusalemme, il quale, essendo assai bene
informato delle cose di laggiù, gli diceva fra l'altro: “
È una vera disgrazia che ministri protestanti siano penetrati
colà prima dei Missionari Cattolici; ma questa disgrazia sarà
ben più grande se si lasciassero profittare della presenza del
Governatore Generale, là fissato, per far vedere all'indigeno
quanto sia grande la protezione che ad essi accorda il Governo Argentino
”.
Il Governo Argentino non era così cieco da non vedere tutto l'interesse
nazionale di favorire il nuovo Prefetto Apostolico, che di quei poveri
selvaggi avrebbe formato utili sudditi della Repubblica, riducendoli
a vita fissa e insegnando loro con la vera religione anche l'agricoltura
e i mestieri della vita civile; tanto più che una legge disponeva
che i selvaggi convertendosi fossero avviati al Cattolicismo. Ma disgraziatamente
le sorti dello Stato erano allora nelle mani della Massoneria, dal che
seppe trarre suo pro il signor Bridges. Poichè, appena sentì
parlare della Prefettura Apostolica, volò a Buenos Aires, dove,
aiutato da suoi correligionari e da massoni, presentò al Congresso
Argentino una petizione per ottenere otto leghe quadrate (I) di terra
in proprietà della sua missione, come ricompensa dei servigi
da lui resi alla civiltà e alla Repubblica in quelle remotissime
plaghe. Tre ragioni vi opposero i deputati cattolici: la Costituzione
vigente che prescriveva l'incivilimento degli Indi col procurarne la
conversione al Cattolicismo e non al protestantesimo; il carattere di
speculazione che mal si celava nell'attività del missionario
anglicano, tutto intento ad arricchire sè e la famiglia; il lavorìo
del medesimo per consolidare colà l'influenza inglese (2). Queste
ed altre ragioni furono messe in luce special-
(I) Una lega corrisponde a metri 5.154.
(2) Tanto per non dare nell'occhio, egli innalzava sulla sua residenza
la bandiera argentina, quando passavano di là bastimenti argentini;
innalzava bandiera cilena, quando vi passavano bastimenti cileni; ma
fuori di questi casi manteneva inalberata la bandiera inglese. Allorchè
il Governo
392
mente dai due Deputati cattolici Estrada e Goyena; ma la stampa settaria
montò talmente l'opinione pubblica, che le otto leghe vennero
concesse.
Quale differenza di trattamento verso le Missioni cattoliche della Patagonia!
In soli sei anni i poveri figli di Don Bosco vi avevano eretto due belle
chiese, aperto quattro collegi fra maschili e femminili, fondato varie
pie associazioni, percorso più volte in cerca di Indi i deserti
patagonici da un lato fino al Rio Colorado, dall'altro fino all'allora
misterioso lago Nahuel - Huapí e alla cima delle Ande, il che
vuol dire un tratto della lunghezza di mille cinquecento chilometri
da Carmen de Patagones; eppure le autorità locali sembravano
ignorarli, quando pure non li vessavano, come fecero spesso, imprigionando
per esempio nel 1887 Don Milanesio, reo di nient'altro che di vero zelo
apostolico.
Tuttavia sullo scorcio del 1886, cambiato il Presidente della Repubblica,
un uomo di buon senso, il signor Dosse, era stato sostituito nel Ministero
del Culto al nefasto Wilde, che avrebbe voluto farla finita con ogni
vestigio di religione; quindi scriveva allora monsignor Cagliero (I):
“ Albeggia per noi una speranza di miglior avvenire e per le nostre
Missioni ”. Infatti il nuovo Ministro sembrava disposto a dargli
settemila scudi per la chiesa che stava erigendo; a Patagones. L'ispettore
Don Costamagna per aver modo di confermarlo ne' suoi buoni propositi
gli fece il 27 novembre una visita di cortesia, motivata dal desiderio
di presentargli doverosi omaggi da parte dei Salesiani e del loro padre
Don Bosco. Orbene in tale circostanza il Ministro senza essere interpellato,
ma spontaneamente gli disse che in cima a tutti i suoi pensieri aveva
la Missione della Terra del Fuoco e che si sarebbe adoperato a tutt'uomo
per aiutare Don Fagnano e per costituire là i Sa-
argentino stabilì nella Terra del Fuoco un Governatore del territorio,
questi, facendo a bella posta una sorpresa al missionario, lo colse
col vessillo issato della Gran Bretagna, che gl'intimò di ammainare.
(I) Lett. a Don Bosco, Patagones, 12 novembre 1886.
393
lesiani in piena libertà con sufficienti sussidi. L'Ispettore,
vedendolo così animato da buoni sentimenti, gli osservò
che egli veniva a essere un braccio della divina Provvidenza, la quale
aveva fino allora suscitato il pensiero della Missione nel Sommo Pontefice
e in Don Bosco; mancandovi però un braccio per dare un efficace
movimento, volere Iddio che quel braccio fosse il signor ministro Dosse
(I).
Quando avveniva questo colloquio, monsignor Fagnano andava già
esplorando la parte argentina della Terra del Fuoco. Il Governo, risoluto
di sistemare ivi l'amministrazione civile, non ne sarebbe mai venuto
a capo senza una sufficiente notizia del paese. Diede quindi incarico
al signor Ramon Lista d'intraprendere nel novembre del 1886 un viaggio
di esplorazione sulla costa orientale dell'Isola Grande. La spedizione,
guidata dal suddetto signore, ufficiale superiore al Ministero della
Guerra, si componeva del dottor Polidoro Segers, chirurgo dell'esercito,
e di venticinque soldati sotto il comando di un capitano. Il Prefetto
Apostolico, profittando della favorevole occasione, ottenne di esservi
aggregato in qualità di cappellano.
Imbarcatisi a Buenos Aires il 31 ottobre sul Villarino, giunsero il
3 novembre a Patagones, dove si fermarono otto giorni per fare gli ultimi
preparativi. La partenza s'inaugurò con un banchetto all'aperto,
al quale fu invitato anche monsignor Cagliero, che dopo scrisse a Don
Lemoyne (2): “ Come vedi, anche le missioni si inaugurano coi
pranzi e sotto il bel padiglione di quattro grossi noci, la cui ombra
è qui per nulla nociva, e col zefiro placido della nostra primavera
” . Vicario e Prefetto apostolico riguardavano quella missione
governativa come l'inizio della nuova missione salesiana.
Si levò l'ancora il 12 novembre. Nella rotta toccarono Santa
Cruz, dove monsignor Fagnano potè vedere i due con -
(I) Lett. di Don Costamagna a Don Bosco, Buenos Aires 29 novembre 1886.
(2) Patagones, 12 novembre 1886.
394
fratelli Don Savio e Don Beanvoir, che, come abbiamo narrato, lavoravano
già da un anno entro i confini della sua giurisdizione. Il 21
approdarono felicemente nella Baia di San Sebastiano, che si apre larga
e profonda a nord - est dell'isola, méta della loro navigazione.
Le operazioni di sbarco richiesero tempo e fatica: bisognava mandare
a terra quaranta mule destinate al trasporto delle persone e dei bagagli,
cinquanta pecore e generi alimentari disseccati e in conserva, bastevoli
per sei mesi. Finalmente verso le dieci del 24 tutti i membri della
spedizione si trovarono riuniti in una vallicella a sud - est della
Baia, ai piedi di un'amena collinetta, sul margine di un limpido ruscello,
che scaturiva a circa cento metri di distanza e divideva il breve piano,
irrigando il suolo coperto di esuberante vegetazione. Là fu eretto
l'accampamento. Il sito era stato scelto con cura sia perchè
fosse al riparo dai venti, sia perchè offrisse modo di difesa
in un eventuale attacco da parte degli indigeni. Monsignore, quando
vide ogni cosa in ordine, compose l'altare portatile, sul quale celebrò
la Messa, implorando la benedizione del Cielo sulla sua incipiente Missione.
Ben presto purtroppo accadde un tragico episodio. Sull'imbrunire un
gran fuoco verso la sponda nord segnalò la presenza degli Indi.
All'alba del 25 il capo della spedizione, scortato da quindici soldati,
volle fare una ricognizione. Verso mezzogiorno incontrò una tribù
di Ona, i quali, scorto il drappello, abbandonarono le loro misere capanne,
dandosi a precipitosa fuga. I soldati li inseguirono, tagliarono loro
la ritirata, li accerchiarono e stettero in attesa di ordini. Il signor
Lista con mimica amichevole cercò d'invitarli alla resa; ma quelli,
che nulla comprendevano, vedendo l'atteggiamento ostile dei soldati,
scagliarono per risposta alcune frecce contro di essi, senza però
ferirne alcuno. Tornati vani tutti i tentativi di farsi intendere, il
capo ordinò prima il fuoco e poi una carica alla sciabola. In
quel mentre il capitano che guidava l'assalto, venne colpito alla tempia
sinistra da una
395
freccia lignea e cadde al suolo privo di sensi, versando sangue dalla
ferita. Allora i suoi uomini, diventati furiosi, si gettarono rabbiosamente
sopra gli avversari, uccidendo quanti opponessero resistenza. Ventotto
rimasero cadaveri. Ne furono presi prigionieri tredici, fra cui due
bambini lattanti con le loro madri, una ragazzina decenne ferita che
morì poco dopo, e alcuni fanciulli e fanciulle; due soli uomini,
sebbene feriti e inseguiti a fucilate, poterono scampare fuggendo (I).
L'inutile barbarie soldatesca fu tenuta nascosta a Don Bosco. Quale
afflizione il fattaccio avrebbe cagionato al suo cuore di apostolo,
noi lo possiamo arguire dall'effetto prodotto in lui da una relazione
di monsignor Fagnano, che gli narrava vicende posteriori, fra le altre
la cattura di parecchi Indi, perchè servissero di guida e aiutassero
a portare i bagagli; nella lotta un Indio aveva perduto la vita. Don
Bosco all'udirne la lettura prese a deplorare amaramente che i Salesiani
dovessero accompagnarsi a soldatesche, le quali uccidevano gli Indi.
- Voglio, esclamò, che i Missionari vadano soli senza scorta
di armati! Altrimenti sarà senza frutto la loro predicazione.
Era meglio non andare che andare in questa maniera.
Ognuno può capire di leggieri come restasse all'apprendere tale
scempio un uomo tutto ardore e ardimento, quale monsignor Fagnano. Il
nostro Don Carbajal riferisce il racconto fattogliene da un ragguardevole
comandante, appartenuto già allo stato maggiore del Villarino
(2). “ Eravamo, disse egli, nella Terra del Fuoco in una esplorazione
scientifico - militare, essendo capo della spedizione il signor Lista.
Questi, uomo di indole dura e violenta, aveva comandato di far fuoco
sopra un gruppo di poveri Indi, alcuni dei quali caddero per non più
rialzarsi. Il sacerdote Fagnano, che era il cappellano della spedizione,
all'udire gli spari, corse sul luogo. Là
(I) RAMON LISTA, Viaje al Pais de los Onas, pag. 74.
(2) L. CARBAJAL, Le Missioni Salesiane, 8. Benigno Canavese 1900, pag.
III.
396
trovò il capo, venticinque soldati e alcuni indigeni selvaggi
feriti, che alzavano grida e lamenti. Allora il sacerdote Fagnano si
convertì in eroe. Avvicinò con coraggio il capo della
spedizione e con franche parole gli fece conoscere il suo delitto. Noi
temevamo per la sua vita, perchè il capo ora si accendeva di
collera, ora impallidiva dinanzi all'uomo di Dio che, in mezzo a quelle
solitudini, levavasi come un profeta per condannare la crudeltà
del soldato. Erano pronti venticinque fucili, che ad un minimo cenno
si sarebbero scaricati sopra quel petto di valoroso. Dopo di allora
ho capito che monsignor Fagnano è un vero eroe degno di ammirazione
”.
Anche il medico nel curare i feriti dava in impeti di sdegno per quel
modo di procedere contro creature inermi e seminude, che fuggivano senz'aver
tentato nulla contro la spedizione. L'incidente ci appare tanto più
rivoltante, perchè gli Indi Ona si rivelarono dappoi di carattere
dolce e mansueto. In successivi incontri i naturali dell'isola, non
che molestare i bianchi, correvano subito via intimoriti.
Nel pomeriggio del 20, levate le tende, la spedizione si mise in marcia
verso il sud. Dopo molte peripezie il 24 dicembre raggiunsero la Baia
Thetis sull'estremità meridionale dell'isola, all'imboccatura
dello stretto Lemaire. Si era percorsa l'isola in tutta la sua lunghezza.
Accampatisi in sito acconcio, vi godettero alcuni giorni di riposo,
dei quali profittò Monsignore per stendere e spedire a Don Bosco
una minuta relazione redatta su giornalieri appunti (I). Ivi battezzò
solennemente alquanti indigeni che avevano con loro ed erano destinati
a venir distribuiti a famiglie cristiane di Buenos Aires, dove avrebbero
potuto completare l'istruzione religiosa da lui sommariamente impartita.
Egli s'interessò pure di una numerosa tribù, che tornava
ogni giorno all'accampamento. Due volte al giorno riuniva nella sua
tenda ragazzi e ragazze
(I) Questa relazione porta la data del 2 gennaio. Comparve in tre puntate
sul Bollettino di novembre e dicembre 1887 e di febbraio 1888.
397
per insegnar loro a pregare. In una seconda relazione al medesimo Don
Bosco (I) scriveva degli Ona: “ Con quanta facilità potrebbe
il Governo nazionale civilizzare quei poveri selvaggi, passando loro
qualche razione di viveri ed erigendo fra essi una scuola pei maschi
ed un'altra per le femmine come centro della Missione! In due o tre
anni quei miseri potrebbero, a mio parere, essere utilizzati nell'agricoltura
come giornalieri e come marinai; e costituirebbero sempre una speranza
ed un rifugio per i naufraghi della Terra del Fuoco ”. I naufragi
per quei mari battuti da venti formidabili si ripetevano con frequenza;
Don Beauvoir vi rischiò due volte la vita, navigando su piroscafi
sommersi dalle tempeste. L'impresa qui accennata sarà dopo la
morte di Don Bosco affrontata in tutta la sua ampiezza dall'intrepido
Missionario e con mezzi audaci condotta a buon punto.
Il 16 gennaio dovette con rincrescimento abbandonare quelle povere anime,
perchè la spedizione riprendeva la via del ritorno; sbarcò
il 25 a Patagones, sua residenza. Fu miracolo, se durante il tragitto
la nave in una tremenda burrasca non venne inghiottita dai flutti. Tre
vantaggi principali egli aveva ritratto dalla sua esplorazione: una
discreta conoscenza dei luoghi, un'idea approssimativa sulle condizioni
degli Indi e la constatazione importante che conveniva collocare la
sede della Missione a Puntarenas, oggi Magallanes, essendo questo il
punto più centrale di comunicazione con il Cile, la Terra del
Fuoco e le Isole Malvine; poichè la sua Prefettura si estendeva
anche alla parte cilena dell'arcipelago fueghino e alle isole anzidette,
oltrechè alla Patagonia meridionale, cioè alla Governazione
di Santa Cruz, dove lavoravano già Don Savio e Don Beauvoir.
Da Patagones verso la fine di febbraio si recò a Buenos Aires
col proposito di muovere cielo e terra per procacciarsi protezione,
sussidi e personale, con cui dare serio comincia-
(I) Patagones, 26 gennaio 1887. Fu pubblicata nel Bollettino di febbraio
1888.
398
mento all'impresa. Intanto consolava Don Bosco scrivendogli il 1°
marzo: “Si rallegri, Don Bosco, chè uno de' suoi figli
si è spinto sino al grado 55° di latitudine meridionale,
dove il giorno (24 dicembre) comincia alle due antimeridiane e finisce
alle dieci e mezzo e ha potuto vestire duecento selvaggi, predicare
la religione cattolica e battezzarne già alcuni”.
Nelle isole Malvine, dette Falkland dagli Inglesi che ne sono padroni
(I), c'era stato un missionario cattolico, certo padre Giacomo Foran
irlandese, solito a passarvi i mesi della buona stagione e a ritornare
in patria col sopraggiungere dei freddi. Affidata che fu ai Salesiani
quella Missione, si ritirò, essendo ormai vecchio e infermiccio;
ma vi aveva loro preparato una chiesa e spianato la via, raccomandandoli
alle locali autorità britanniche. Sul cadere del 1886, come risulta
da una lettera di Don Tomatis a Don Bosco (2), egli, rimpatriando, aveva
in animo di passare per Torino, visitare l'Oratorio e perorarvi la causa
dei cattolici delle Malvine; ma sembra che tirasse diritto, come ce
ne dà indizio una sua lettera latina indirizzata a Don Bosco
dall'Inghilterra il 14 novembre 1887. Descritto ivi il bisogno e il
desiderio di quei cattolici, vuole che i Salesiani vi provvedano quanto
prima o rinunzino a occuparsene (3). Anche monsignor Fagnano aveva scritto
(4): “ Mi si mandi un sacerdote che sappia bene l'inglese per
collocarlo nelle Malvine. Poveri cattolici delle Malvine! Sono due anni
che non vedono un sacerdote e sono fatti segno agli scherni dei protestanti
”. Commovente è un'altra lettera latina di un cappellano
militare inglese, scritta a Don Bosco il 15 ottobre dello stesso anno
sul medesimo argomento; poichè una buona signora gli aveva fatto
pervenire i lamenti accorati di quei correligionari, privi di assistenza
religiosa (5).
(I) Il Governo Argentino solleva periodicamente pubblica protesta per
questa occupazione di un territorio che esso considera appartenente
alla Repubblica.
(2) S. Nicolas de los Arroyos, 12 ottobre 1886.
(3) App., Doc. 73.
(4) Puntarenas, 7 agosto 1887.
(5) App., Doc. 74.
399
Quei lamenti pervennero anche al cardinale Simeoni, prefetto di Propaganda,
il quale in dicembre chiese a Don Bosco spiegazione del ritardo dei
Salesiani a recarsi colà. Gli rispose Don Rua il 3 gennaio (I).
Mancava un sacerdote salesiano che parlasse inglese; ma nelle tempora
di dicembre era stato ordinato a Buenos Aires e inviato alle Malvine
l'irlandese Don Patrizio Diamond (2).
Monsignor Fagnano non trovò a Viedma monsignor Cagliero; l'avrebbe
riveduto alcuni mesi dopo, ma dove e come non se lo sarebbe mai immaginato,
quantunque la vita missionaria sia esposta a tutte le sorprese. Il Vicario
Apostolico stava conducendo innanzi una missione di lunga portata e
durata. Assistito da Don Milanesio, da Don Panaro e da un coadiutore,
saliva la valle del Rio Negro con la intenzione di arrivare alle Cordigliere,
di valicarle e di scendere nel Cile fino a Concepción: un percorso
di circa millecinquecento chilometri. È una pagina storica delle
Missioni salesiane in Patagonia la relazione ch'egli inviò a
Don Bosco da Roca il 17 gennaio: la riportiamo per intero nell'Appendice
del volume (3). Ma a quell'esordio consolante rispose un epilogo ben
doloroso.
Pur fra disagi e privazioni d'ogni maniera, tutto era proceduto senza
gravi inconvenienti per circa milletrecento chilometri fin nel cuore
delle Ande. Battezzati 997 Indi quasi tutti adulti e 75 bambini nati
da padri cristiani; benedette 101 unioni matrimoniali; ridotte centinaia
di peccatori a penitenza; distribuita la santa eucarestia a 815 persone,
fra le quali 600 indigeni; amministrata la cresima a 1513 individui
nei deserti patagonici e a 1500 in territorio cileno. Ma poi avvenne
l'imprevisto. Era il mattino del 3 marzo. Lasciato Malbarco sulle rive
del Neuquèn, si cavalcava su per i dirupi
(I) App., Doc. 75.
(2) Era nato a Kibea, diocesi di Derry. Aveva fatto il noviziato a San
Benigno nel 1882 - 83. Con lui andarono il sacerdote Don Del Turco e
il coadiutore Tarable.
(3) App., Doc. 76.
400
andini, quando, in una località denominata Aguas Callentes e
sopra una giogaia detta Mala Cohuello, ecco il cavallo del Vescovo impennarsi,
spiccar salti e sprangar calci, gettare la sella a traverso e, presa
la mano al cavaliere, darsi a pazza fuga per uno stretto sentiero in
pendìo e fiancheggiato da grossi macigni, sull'orlo di un precipizio
senza fondo. Furono momenti di agonia per quelli del seguito, che non
potevano assolutamente far nulla per recare aiuto. Monsignore, conservando
la sua presenza di spirito, liberati i piedi dalle staffe, come adocchiò
un punto meno accidentato, vi si gettò giù. Senza quella
mossa fulminea e ardita egli sarebbe andato a sfracellarsi nell'abisso,
dove un sordo tonfo indicò pochi istanti dopo essersi slanciata
la bestia in furia.
I compagni volarono sul caduto, lo alzarono dal suolo, gli domandarono
costernati che cosa si sentisse; ma egli non parlava, respirava appena.
Riavutosi alquanto e visti i suoi piangenti: - Non fate come i bambini!
disse loro. Di tante costole che ho, credo di averne due sole rotte.
Sia fatta la volontà di Dio. Passerà anche questa.
Non c'era acqua, non c'era nemmeno ombra: lo ristorarono con alcuni
sorsi del vino da Messa. Quindi, non potendosi restare là in
mezzo ai monti, lo sedettero sopra un cavallo e sostenendolo con ogni
riguardo, presero a ridiscendere verso il Neuquèn. Dopo alcune
ore di cammino, ore di martirio per il paziente, lo ripararono dal sole
in una capanna abbandonata, perchè vi si riposasse un tantino.
Rimessisi in cammino, oltremodo difficile e pericoloso si presentava
il guado dei fiumi per gli alvei pietrosi: ogni passo dell'animale era
allora uno spasimo. Finalmente al chiarore della luna giunsero presso
l'abitazione del signor Lucas Becerra, che all'alba di quel mattino,
dopo aver dato ospitalità a Monsignore durante quattro giorni
di missione, l'aveva accomiatato con i segni della più squisita
e cristiana cortesia. Al rivederlo in sì lacrimevole stato gli
si mise attorno prodigandogli tutte le cure possibili, e componendo
subito e applican -
401
dogli con intelligenza rimedi di casa che produssero buon effetto;
contemporaneamente mandò per medicine dai Francescani di Chillàn
nel Cile.
Un attento esame rivelò che gli si erano staccate due costole
dal lato sinistro con rotture muscolari e lesioni polmonari. Aveva pure
contuso il femore sinistro dall'anca al ginocchio. Il volto e le braccia
presentavano ammaccature causate dalle molte pietruzze nel luogo della
caduta. Per quattro giorni lo travagliò una febbre altissima,
accompagnata da acuti dolori polmonari; in seguito le cose pigliarono
una piega migliore. I buoni cristiani di Malbarco venivano a schiere,
portandogli uova, galline, frutta, verdura con una cordialità
che commoveva; ma più di tutti si meritarono riconoscenza imperitura
il signor Lucas e la sua consorte, che per venticinque giorni lo circondarono
delle attenzioni più premurose e delicate.
Il 12 marzo l'infermo si alzò la prima volta da letto; ma soltanto
il 25, festa dell'Annunziazione, potè celebrare la Messa. I Francescani
di Chillàn avevano avvertito immediatamente i Salesiani di Concepción,
donde accorse il direttore Don Evasio Rabagliati (I). La mattina del
28 Monsignore, scortato da uomini vigorosi che aveva messi a sua disposizione
il signor Lucas, partì da quella casa e da quella popolazione,
che non cessavano di dargli prove d'affetto. Si diressero a Concepción,
dove arrivarono il 3 aprile, domenica delle Palme. Sopraggiunse colà
monsignor Fagnano, lanciatosi sulle tracce dei Missionari subito dopo
aver udito del fatale accidente.
Il Governo Argentino, appena avuto sentore della disgrazia, nè
conoscendo bene la località dov'era accaduta, aveva telegrafato
a tutte le autorità dei confini che gli prestassero ogni possibile
assistenza unitamente alla sua co -
(I) Aveva preso con sè un medico - chirurgo; ma questi, giunto
a Chillan, in ferrovia, non si sentì in forze per intraprendere
il disastroso viaggio delle Cordigliere.
402
mitiva (I); ma ignoriamo quali siano stati gli effetti di quel cortese
intervento.
Allorchè il fatto si riseppe in Italia, Don Bosco si trovava
a Roma. I particolari furono resi noti dal Bollettino che pubblicavasi
a Buenos Aires (2). Don Costamagna, spedendo in anticipo a Torino il
numero di aprile, scriveva a Don Rua il 29 marzo: “ Tre giorni
sono le mandai il Bollettino di aprile, perchè si informasse
della terribile caduta da cavallo del carissimo nostro Monsignore. Suppongo
che a Don Bosco indoreranno la pillola, perchè non si spaventi
e si ammali ”. Da Roma Don Rua a Don Durando, che gli aveva girato
il periodico, rispose il 4 maggio: “ Vidi nel Bollettino d'America
il racconto della disgrazia di Mons. Cagliero e procuriamo di notificare
il tutto a Don Bosco in modo da non allarmarlo ”. La notizia però
aveva preceduto il Bollettino, infatti due giorni innanzi Don Rua aveva
scritto al medesimo Don Durando: “ Favorisci dire a Don Lemoyne
che ho dato a Don Bosco la notizia della caduta di Mons. Cagliero, in
modo però che non mi parve essersi allarmato ”. Ma altro
è non allarmarsi, altro non sentir pena. Don Bosco non perdeva
la sua calma per qualsiasi infortunio, contrarietà o minaccia,
ma le sofferenze de' suoi figli si ripercotevano nel suo cuore paterno.
Lo dimostrano queste altre parole scritte da Don Rua a Monsignore stesso
il 28 maggio: “ Ah caro Monsignore! Abbiamo ben cercato di indorare
la pillola della tua caduta al Papà; tuttavia rimase in ansietà
penosa finchè non giunse la nuova del tuo ristabilimento ”.
A Concepción Monsignore si ristabilì abbastanza bene,
tanto che per più d'un mese girò in lungo e in largo per
la Repubblica, applicandosi con la sua buona e forte volontà
alle opere del sacro ministero, accompagnato quasi sempre
(I) Corrispondenza da Buenos Aires, 8 luglio 1887, nel Corriere di
Torino dell'8 agosto.
(2) Dall'ottobre 1886 il Bollettino spagnuolo si stampava nell'Oratorio.
Il “ bonariense ”, ridotto da prima a più modeste
proporzioni, cessò di uscire nel settembre 1887.
403
da monsignor Fagnano (I). Questi nondimeno sospirava il momento dì
riprendere la propria libertà d'azione per poter tornare stabilmente
in mezzo a' suoi Fueghini. Frattanto il 19 aprile fece una corsa ad
Ancud per intendersi col Vescovo, monsignor Giovanni Agostino Lucero,
da cui dipendeva Puntarenas con la parte cilena della Terra del Fuoco.
Seppe ispirargli tanta fiducia, che ne ottenne senza difficoltà
commendatizie per quelle autorità civili.
Venuto il giorno della partenza, la Provvidenza dispose che Vicario
e Prefetto compissero il viaggio insieme e con itinerario impensato.
Per amore di povertà religiosa monsignor Cagliero aveva in animo
d'incamminarsi per la via di terra verso Buenos Aires, attraversando
le Cordigliere nella direzione di Mendoza. Questo suo divisamento sollevò
forti opposizioni da parte degli amici e benefattori cileni; un Vescovo
non doveva, secondo loro, esporsi a un viaggio così lungo e disagiato,
per altissime montagne già coperte di neve, tanto più
dopo quello che era accaduto nel venire. - Se sono Vescovo, rispose
egli, sono anche salesiano; debbo quindi cercare la strada più
economica. - Un signore, udite queste parole, andò a procuragli
due biglietti di prima classe sopra un piroscafo che navigava da Valparaiso
a Montevideo; così i due Monsignori salparono il 16 maggio per
la capitale dell'Uruguay, passando per lo stretto magellanico e perciò
dinanzi a Puntarenas.
Quando si entrò nella Baia di Puntarenas, era il 24 maggio. In
giorno per loro così solenne avrebbero desiderato scendere a
terra, celebrare e vedere la futura residenza; ma il mal tempo non permise
di gettare le ancore, sicchè essi dovettero contentarsi di prendere
possesso della Missione benedicendola da lungi, e ponendola sotto la
protezione di Maria Ausiliatrice. Monsignor Cagliero datò allora
da Puntarenas
(I) Don Lemoyne pubblicò in forma di “ racconto ameno
ed edificante ” Le avventure dei Missionari Salesiani in un viaggio
al Chilì (Torino, Tip. sal., 1887).
404
una lettera per Don Bosco, nella quale cominciava a questo modo: “
La mia ultima lettera che le scrissi portava la data di gennaio e partiva
dal mezzo del deserto patagonico (I). Dopo di allora non ho più
potuto scriverle, perchè mi mancarono le forze ed il tempo! Ma
altri le hanno scritto per me, ed io ancora soffro per quello che il
suo cuore paterno avrà dovuto soffrire per causa mia, cioè
per la disgrazia succedutami nelle Cordigliere. La mia salute continua
ad essere buona e quasi non sento più le conseguenze della caduta,
quantunque il mantice sinistro alle volte non soffii come soleva prima.
I medici però consultati mi assicurano non esservi stata lesione
alcuna al polmone ”. Detto quindi del viaggio fatto e da fare,
proseguiva: “ E perchè non ci sorprenda il ritardo o la
mancanza di tempo per augurarle buona festa onomastica pel giorno di
S. Giovanni, qui io lo faccio, desiderando alla Paternità Vostra
ogni benedizione del cielo e tutte le consolazioni della terra. E queste
aumentino, crescano per Lei, per noi e per la Congregazione sino alla
fine dei secoli. Ci ami e ci benedica sempre ed ogni giorno, perchè
possiamo compiere santamente la nostra missione in questi ultimi confini
della terra e perchè possiamo salvare la povera anima nostra
”.
Arrivarono il 4 giugno a Montevideo, donde proseguirono poi per Buenos
Aires. Qui Monsignor Cagliero presiedette una conferenza ispettoriale
da lui stesso convocata e resa più notevole dalla fortuita e
fortunata presenza di tutti i sette salesiani superstiti della prima
spedizione, quella di dodici anni addietro (2).
Monsignor Fagnano ardeva di dare principio una buona volta alla evangelizzazione
de' suoi poveri selvaggi fueghini. Se il danaro è il nerbo della
guerra, senza danaro non si fondano neppure nè si mantengono
le Missioni cattoliche. Il nostro Prefetto nulla osava aspettare dai
confratelli argentini,
(I) È la lettera pubblicata in App., Doc. 76.
(2) I monsignori Cagliero e Fagnano, Don Costamagna, i sacerdoti Cassini,
Allavena, Tomatis, e il coadiutore Belmonte.
405
onerati di debiti. S'ingegnò dunque come potè, aguzzando
quel suo ingegno che in faccende finanziarie egli aveva oltremodo sagace
e financo azzardoso. Finalmente ottenuti dall'Ispettore bonarense un
sacerdote, un chierico e un coadiutore (I), si abbandonò nelle
mani della Provvidenza.
I Missionari presero terra a Puntarenas il 21 luglio. Presentemente
Puntarenas è una città di trentamila abitanti (2). Ripete
le origini da una colonia di deportati, stabilita in quei paraggi dal
Governo cileno nel 1843 e dovette i primi incrementi della sua importanza
e popolazione ai progressi della navigazione a vapore, alla quale offriva
un buon pulito di approdo. Le fece perdere molto del commercio di transito
l'apertura del canale di Panamà si avvantaggiò per altro
con lo sviluppo preso più tardi dall'industria pastorizia. Oggi
porge comoda uscita a quasi tutti i prodotti della Patagonia australe
e della Terra del Fuoco ed è luogo di approvvigionamento, I coloni
europei ne han fatto una piccola città cosmopolita, elegante
e moderna. Due chiese salesiane ed i collegi annessi sono fra i più
notevoli edifizi cittadini. Nel tempo di cui parliamo era ancora un
meschino mucchio di casupole nè presentava attrattiva di sorta;
basti dire che fino al 1890 gli abitanti non superarono mai il migliaio.
I Salesiani si allogarono da prima in un alberguccio, sborsando sessanta
franchi al giorno, somma che per le loro finanze significava il fallimento.
Da Torino vennero aiuti. Fortunatamente monsignor Fagnano a Santiago
e a Valparaiso aveva saputo suscitare un vivo interessamento per la
sua Missione, tanto che quegli amici, conosciute le sue necessità,
raccolsero per lui alcune migliaia di scudi. Potè così
fare acquisto di una casa con nove fra stanze e stanzette, circondata
da giardino e da area fabbricabile. Il 7 agosto scriveva a Don Lemoyne
“ Ci troviamo a cinquantadue gradi e mezzo di
(I) Don Antonio Ferrero, chierico Fortunato Griffa e coadiutore Giuseppe
Audisio.
(2) Dal 1928 Si chiama Magallanes.
406
latitudine sud; siamo i figli più lontani dal caro Don Bosco,
ma forse i più vicini a lui per la tenerezza colla quale pensa
a noi ”.
Non vi furono soltanto difficoltà economiche e climatiche da
superare. Il Governatore, uomo ostile alla religione e aizzato da malevoli,
la cantò chiara a monsignor Fagnano: gli dichiarò senza
complimenti che egli, non essendo cileno, non poteva rimanere a Puntarenas;
la legge a chi non fosse del Cile non permettere di esercitare nel territorio
della Repubblica qualsiasi giurisdizione ecclesiastica; Roma non aver
nulla da vedere a Puntarenas: chi comandava là, essere il Vescovo
di Ancud. Questo che voleva essere il colpo di grazia, si convertì
in arma di difesa; poichè il Prefetto Apostolico era in perfetta
regola con l'Ordinario del luogo. Egli produsse inoltre al focoso rappresentante
del Governo un'autorizzazione scritta del Presidente della Repubblica
e commendatizie di cospicui personaggi cileni. Ma tutto ciò non
sarebbe bastato tanto presto, se non si fosse intromessa la moglie del
Governatore, la quale in fin dei conti cavò il marito dall'imbarazzo
in cui s'era messo, procurandogli una decorosa ritirata. Questi finì
con mostrarsi così ragionevole, che in agosto accettò
di assistere personalmente alla solenne benedizione di una cappella
in legno improvvisata da Monsignore.
L'attività salesiana e missionaria non si fece aspettare. L'oratorio
festivo e le scuole cominciarono tosto ad accogliere figli degli immigrati.
Già sul principio di ottobre Monsignore distribuì la prima
comunione agli alunni. Alla funzione ottenne che intervenissero anche
i loro parenti, il che fu una prima scossa all'indifferenza religiosa
generale, attirando alla chiesa chi non vi andava più da gran
tempo. A Puntarenas poi si avvicinavano con frequenza gli Indi della
Patagonia meridionale, accorrendovi per i loro scambi; la qual cosa
offriva ai Missionari buone occasioni di apostolato. Il 5 novembre Monsignore
poteva scrivere a Don Bosco: “ In ottobre venne una tribù
e fermossi una settimana e partendo promi -
407
sero di tornar presto e con molti altri compagni. Fui a visitarli,
insegnai un poco di catechismo e loro inculcai caldamente di non darsi
troppo all'ubbriachezza, poichè ciò è cosa brutta
e cattiva davanti a Dio ed agli uomini, e non imitassero punto i cattivi
cristiani. Vidi con piacere che mi ascoltarono, e nei pochi giorni passati
fra noi non vi fu alcun disordine. Anzi mi promisero al loro ritorno
di istruirsi tutti per essere battezzati ”.
Ma al grande Missionario premeva la Missione dei Fueghini. “ Io,
scrisse l'8 ottobre a Don Lazzero, non posso star tranquillo finchè
non abbia ottenuto i mezzi per redimerli dalla schiavitù dell'ignoranza,
della miseria e specialmente del demonio ”. Uno dei mezzi indispensabili
per intraprendere attivamente quella Missione sarebbe stato un vaporino,
col quale correre isole e canali in cerca di selvaggi. Mancandogli allora
la possibilità di farne acquisto, noleggiò la goletta
Vittoria, capace di quaranta tonnellate; con essa verso la fine del
1887 visitò l'isola Dawson, punto centrale per gli Indi Yagàn
e Alakalùf, che vi approdavano con le loro canoe; perlustrò
quindi la parte cilena dell'Isola Grande. Nell'uno e nell'altro luogo
incontrò molti selvaggi, s'intrattenne con loro, li invitò
a Puntarenas, li regalò di vestiari e di viveri ed ebbe la consolazione
di sentirsi ripetere: - Tu sei un capitano buono. E Capitano buono divenne
poi il termine usuale, col quale quei poveri perseguitati designavano
il loro provvidenziale apostolo.
Poco prima di chiudere gli occhi alla luce di questo mondo, il nostro
buon Padre fu consolato dalla vista di un primo fiore di quelle lontane
e barbare terre, oggetto de' suoi sogni e delle sue sollecitudini. Monsignor
Fagnano nella sua prima esplorazione aveva raccolto un'orfanella Ona
di circa otto anni, alla quale erano stati poc'anzi uccisi i genitori.
Condottala seco a Patagones, voleva raccomandarla al signor Lista, perchè
la mettesse in qualche istituto di educazione a Buenos Aires. Ma la
piccina, quando si fu sul punto di separarsi, si afferrò all'abito
di Monsignore piangendo disperatamente e
408
supplicandolo di non abbandonarla nelle mani di quegli uomini cattivi,
uccisori di suo padre e di sua madre. Il Capo della spedizione lo pregò
allora di tenerla presso di sè. Egli la consegnò alle
Figlie di Maria Ausiliatrice, che la prepararono al battesimo. Orbene
monsignor Cagliero, venendo in Italia nel dicembre del 1887, la menò
a Torino con due suore per presentarla a Don Bosco.
La fanciulla, convenientemente predisposta, sapeva abbastanza chi fosse
Don Bosco e comprendeva la sua grande fortuna. Il Vescovo, presentandola
al Servo di Dio, gli disse: Ecco, carissimo Don Bosco, una primizia
che le offrono i suoi figli Missionari ex ultimis finibus terrae. -
La piccola india, inginocchiata dinanzi a lui, gli rivolse col suo accento
ancora semibarbaro queste parole: - Vi ringrazio, carissimo Padre, di
aver mandato i vostri Missionari a salvare me e i miei fratelli. Essi
ci hanno aperte le porte del cielo. - È indescrivibile la commozione
di Don Bosco a quella vista e a quelle espressioni. Ritornata in America,
la giovinetta non dimenticò più l'impressione lasciatale
dal Santo; ma non tardò molto a volare in paradiso.
Non è nostro compito tessere qui la storia della Missione di
monsignor Fagnano. Allorchè egli, affranto dagli anni, dalle
fatiche e dalle sofferenze morali, scese nella tomba, tutta una rete
di opere missionarie avvolgeva la sua vasta Prefettura, opere ideate
dalla sua mente feconda, attuate dalla sua energia sovrumana, mantenute
a prezzo di sacrifizi eroici. I resti mortali del magnanimo apostolo
riposano oggi nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù, da lui edificata
a Puntarenas; ma il suo spirito aleggia da Santa Cruz a Ushuaya e la
sua memoria vive e vivrà nel cuore dei Salesiani di tutto il
mondo. Ecco gli uomini che Don Bosco formò e fece strumenti delle
sue molteplici e grandiose concezioni. O meglio diremo: ecco gli uomini,
dei quali la Provvidenza, chiamando l'umile Don Bosco a una missione
mondiale, circondò il suo Servo, come di validi ausiliari per
eseguirne i disegni.
409
In fondo all'Isola Grande un magnifico lago porta il nome del Missionario.
Lago Fagnano lo denominarono i due scopritori, ufficiali argentini pieni
di stima e dì devozione verso l'incomparabile figlio di Don Bosco.
Un illustre geografo ed esploratore, lo svedese Otto Nordenskjold, dice
opportuno “ conservare questo nome dato dai primi scopritori in
onore di una persona che tanto ha fatto per migliorare le condizioni
degli indigeni ” (I). E il nostro Don De Agostini crede di dover
specificare un altro suo titolo di benemerenza, quello d'aver promosso
lo sviluppo industriale e commerciale della Terra del Fuoco (2). Nell'opera
monumentale del De Agostini basta scorrere le illustrazioni che ne adornano
l'ultimo capo sulle stirpi fueghine per rendersi conto della trasformazione
materiale raggiunta da quelle povere creature mercè la solerzia
dei Missionari Salesiani, sotto la direzione e l'impulso del loro grande
Capo. Non furono certamente questi, come ognuno può pensare,
gl'ideali per cui egli tanto fece e patì; ma è nella natura
delle cose che la fiaccola del Vangelo, dovunque arrivi a splendere,
irradi intorno a sè luce di civiltà e di progresso.
(I)Actas de la Sociedad Cientifica de Chile, tomo VII, pag. 158 in
nota.
(2) I miei viaggi nella Terra del Fuoco, pag. 9 in nota. S.E.I.
CAPO XIX
Cinque Repubbliche d'America domandano a Don Bosco i Salesiani.
UN fatto che grandemente colpì Leone XIII nei riguardi della
Congregazione salesiana fu il vedere dalle relazioni dei Rappresentanti
della Santa Sede nell'America latina quanto quelle democraticissime
Repubbliche apprezzassero sempre più l'Opera di Don Bosco. Gli
stessi Governi facevano di tutto per ottenere da Don Bosco che trapiantasse
anche laggiù le sue istituzioni; anzi perfino i Presidenti di
quegli Stati si rivolgevano al Papa pregandolo di usare della sua autorità
affinchè fossero appagati i loro desideri. Per Don Bosco erano
cose che aveva prevedute chiaramente ne' suoi sogni missionari e che
aveva prenunziate con eguale chiarezza ai figli attoniti. È vero
che le sue predizioni non si fermavano a un avvenire tanto vicino; tuttavia
la Provvidenza dispose che egli non partisse da questo mondo senza scorgere
almeno un principio di avveramento. Infatti durante l'ultimo biennio
della sua vita pervennero a Don Bosco formali richieste dal Cile, dal
Venezuela, dal Perù, dalla Colombia e dall'Equatore, paesi tutti
che con altri gli furono mostrati in quelle profetiche manifestazioni.
Così toccò ancora a lui aver mano nel porre ivi le prime
cellule, da cui presero rapido e largo sviluppo le fiorenti organizzazioni
salesiane locali.
Qui poi non si può non ammirare un tratto veramente provvidenziale.
Si stava allora tagliando l'istmo di Panamà,
411
che congiungeva le due Americhe: impresa gigantesca, la quale, mettendo
in diretta comunicazione l'Oceano Atlantico con l'Oceano Pacifico, avrebbe
facilitato di molto l'immigrazione nelle circostanti Repubbliche. Ora
si sa quanto sia stato il contingente degli Italiani andati a stabilirsi
in quei ricchi paesi. Ebbene non fu senza un disegno di Dio che si trovassero
già sul luogo sacerdoti, i quali fossero in grado di provvedere
ai bisogni morali e spirituali delle genti colà riversatesi.
L'assistenza degli emigrati entrò, com'è noto, fin da
principio nel programma missionario del nostro santo Fondatore.
Sopra quegli esordi dell'attività salesiana noi abbiamo raccolto
diligentemente le notizie più sicure circa la parte avutavi da
Don Bosco e le verremo esponendo con ordine nel presente capo.
CILE.
Un zelantissimo cooperatore salesiano, Don Domenico Benigno Cruz, vicario
generale di Concepciòn nel Cile, addolorato alla vista dell'abbandono
in cui vivacchiava tanta povera gioventù delle classi meno abbienti,
non iscorgeva altra via di salvezza, fuorchè nella venuta dei
Salesiani. Nè egli era solo a pensarla così; poichè
già parecchi Vescovi cileni avevano manifestata la medesima convinzione.
Incoraggiato da questi consensi, aperse e mantenne un'attiva corrispondenza
epistolare con monsignor Cagliero, descrivendogli i bisogni e invocandone
l'aiuto.
Mentre egli scriveva, altri per di lui impulso operava. Il suo segretario,
Don Spiridione Herrera, sacerdote di ottimo spirito, e buon cooperatore
salesiano, teneva a disposizione dei desiderati Salesiani un terreno
di centoventicinque metri per ognuno dei quattro lati e un edifizio
in via di costruzione, una parte del quale però già serviva
ad albergare una dozzina di poveri ragazzi, che sotto la direzione di
lui stesso imparavano alla meglio un mestiere. Avendo letto nel Bollettino
i principii dell'Oratorio, aveva raccolto e veniva educando
412
quei fanciulli secondo il sistema di Don Bosco, sebbene le occupazioni
dell'ufficio e del sacro ministero lo distogliessero da una cura continuata.
Ivi dunque si sarebbe potuto istituire una scuola professionale, la
cui urgenza s'imponeva, dopochè una scuola professionale avevano
fondata i massoni con grave danno e sempre maggior pericolo della gioventù
popolana.
Don Cruz accarezzava pure un altro disegno. Dipendeva dalla diocesi
di Concepción il vasto territorio dell'Araucania, disseminato
di piccole tribù indiane: Questi selvaggi abitatori, per la massima
parte ancora senza battesimo, erano vissuti sempre in stato di guerra
con le popolazioni civili; ma finalmente nel 1884 il Governo cileno
li aveva ridotti in soggezione e sottomessi alle leggi dello Stato,
attirando nelle loro terre incolte migliaia di coloni italiani, svizzeri
e tedeschi, sicchè vi si venne a formare una grande accozzaglia
di cattolici, protestanti e infedeli. Bisognava dunque provvedere alle
imperiose necessità spirituali di tanta gente. La straordinaria
scarsità del clero diocesano non permetteva d'inviarvi neppure
un sacerdote. Or ecco che il buon Vicario anche per siffatta missione
invocava e sperava soccorso dai Salesiani. Il Governo avrebbe somministrato
casa, chiesa e trattamento. Una o più residenze nell'Araucania
avrebbero procurato un prezioso vantaggio alle Missioni della Patagonia,
massime per rifornire i Missionari quando si trovavano presso le falde
delle Ande; poichè in tre o quattro giorni si sarebbero potuti
recare dal lago Naheèl - Huapì a una residenza di loro
confratelli senza più dover ricorrere a Buenos Aires o a Patagones,
due punti tanto lontani.
Non passavano quindici giorni, che Don Cruz non riscrivesse a monsignor
Cagliero per istrappargli una consolante risposta. Non è a credere
che Monsignore tendesse a guardare con indifferenza le proposte del
Vicario; anzi egli divisava, in una sua prossima escursione, di valicare
le Ande per portarsi a Concepción. Inoltre a Don Milanesio che
con Don Panaro doveva in una lunga missione spingersi fino a Malbarco
413
appiè della Cordigliera, diede incarico di andar oltre e visitare
detta città cilena. Don Milanesio era là sul principio
del 1886. Fu ben grande la sua sorpresa all'udire gli elogi che vi si
facevano di Don Bosco e dei Salesiani. Lo stesso Presidente della Repubblica,
quantunque di tendenze laiciste, non nascondeva le sue simpatie per
la novella Congregazione. Un giorno, avendogli le Suore della Provvidenza
offerto un libro, in cui si parlava dello scopo dei Salesiani, n'era
rimasto impressionato e poichè le religiose insistevano che chiamasse
una Congregazione a prendersi cura dei ragazzi da loro dimessi quando
raggiungevano una certa età, egli disse: - Io chiamerò
i Salesiani.
Per il Vicario Generale fu una festa l'arrivo di Don Milanesio, che
abbracciò dicendo: - Mi permetta di abbracciare un figlio di
Don Bosco, che è il primo a entrare nelle nostre terre. - Don
Milanesio lo trovò informatissimo delle cose salesiane, perchè
lettore assiduo del Bollettino. Di questa sua visita il missionario
riferì ampiamente a Don Lazzero il 16 marzo, affinchè
questi a sua volta ne informasse Don Bosco.
Col I° maggio il Vicario scrisse direttamente a Don Bosco una lunga
lettera, nella quale esponeva i suoi due disegni, chiedendo almeno sei
preti e alcuni non preti e obbligandosi a sostenere per tutti le spese
del viaggio. Don Bosco indicò a Don Viglietti i termini della
risposta, che questi redasse in castigliano ed egli sottoscrisse. Non
sei, ma cinquanta Missionari il Servo di Dio avrebbe voluto mandare
nella diocesi di Concepción, se avesse saputo dove prenderli;
anzi, benchè vecchio e infermo, sentir desiderio egli stesso
di volare là, dove si lamentava sì estrema penuria di
sacerdoti. Una buona speranza tuttavia gli faceva balenare, promettendo
che in settembre, tenendosi il Capitolo Generale, si sarebbe studiato
il modo di raccapezzare il personale occorrente. Pazientasse dunque
fino al prossimo ottobre: allora gli avrebbe dato una più categorica
risposta (I).
(I) App., Doc. 77.
414
Che cosa gli scrivesse in ottobre, noi non sappiamo: sappiamo invece
che in quel mese scrisse al Presidente Balmarceda (I). Intorno all'andamento
di questa pratica i nostri archivi tacciono fino al febbraio del seguente
1887. È una spiacevole lacuna, perchè in tale spazio di
tempo s'arrivò alla conclusione del negozio. Infatti il 21 febbraio
si svolgeva ad Almagro una commovente cerimonia. Nella chiesa delle
Suore, dinanzi al primo altare eretto a Maria Ausiliatrice in terra
americana, sì riproduceva in miniatura la funzione dell'addio
solita a compiersi nel santuario di Valdocco per le partenze dei Missionari.
Sei salesiani, sotto la scorta del giovane sacerdote Don Evasio Rabagliati
(2), lasciavano le sponde dell'Atlantico per raggiungere attraverso
la catena andina le coste del Pacifico. Erano presenti tutti i direttori
dell'Ispettoria. L'ispettore Don Costamagna fece un sermoncino, nel
quale rievocò la figura di Don Bosco in modo così vivo,
che pareva a tutti di vederlo presente. Cinque giorni dopo, dandone
relazione al Santo, cominciava con queste parole: “ Oggetto di
questa mia si è di darle una grande notizia: la fondazione della
prima Casa Salesiana in Concepción del Chilì! ”.
Il viaggio fu lungo e pieno di pericoli (3). Si deve anche ammirare
il coraggio dei viaggiatori, nessuno dei quali era, non diciamo allenato,
ma neppure sufficientemente informato delle difficoltà a cui
si sarebbe andati incontro dopo Mendoza nel valicare montagne così
impervie. Toccarono la sospirata mèta il 6 marzo. Una folla di
gente li attendeva alla stazione. Si presentarono in compagnia del Vicario
Generale, di Don Herrera e del giovane avvocato Michele Prieto, rappresentante
della gioventù cattolica, recatisi a incontrarli a tre ore di
ferrovia da Concepción. Tutti gli ordini della cittadinanza erano
là convenuti. Vari personaggi del clero e del laicato li seguirono
fin presso le Suore della Provvidenza, dalle quali
(I)Lettera di Don Rabagliati a Don Bosco, Concepción 22 maggio
1887.
(2) Gli altri cinque erano i sacerdoti Don Scavini e Don Daniele, i
chierici Amerio e Burzio e un coadiutore.
(3) La descrizione si può leggere nel Bollettino di luglio 1887.
415
dovevano prendere provvisoriamente alloggio. Un'onda di popolo riempì
l'attigua chiesa a cantare con essi a Dio l'inno del ringraziamento.
Trascorsi alcuni giorni in quella tranquilla dimora passarono a prendere
possesso dell'accennato collegio, posto sotto la protezione di S. Giuseppe.
Allora fu una gara nella cittadinanza per somministrare tutto quello,
di che vi si pativa difetto per la cappella, per la mobilia, per la
biancheria ed anche per la cucina. La povertà regnava sovrana,
ma scriveva il Direttore (I): “ Per me, che ho visto la casa di
Buenos Aires nascere tra mille difficoltà, in mezzo alle privazioni,
sempre povera, sempre carica di debiti, eppure progredire ogni anno
più, fino ad avere un edifizio che contiene più di trecento
alunni interni, che la Provvidenza raduna sotto la bandiera salesiana,
per me dico francamente che ho buoni pronostici per la casa della Concezione
del Chilì ”. I fatti gli diedero pienamente ragione. Dove
si era entrati con nulla, dopo breve tempo sì ebbe tutto. Si
ebbero anche presto e in gran numero i ragazzi all'Oratorio festivo,
inaugurato la prima domenica dopo l'ingresso. Scuole e laboratori sorsero
a poco a poco, ma in non lungo lasso dì tempo.
Secondo intelligenze prese per lettera, monsignor Cagliero avrebbe dovuto
di poco precederli o seguirli a Concepción per inaugurare con
solennità la casa; ma l'uomo propone e Dio dispone; l'incidente
della caduta, come abbiamo visto, mandò a monte i loro bei piani.
Non ogni male però viene per nuocere; la disgrazia lo rese noto
in tutta la Repubblica, accendendo una venerazione universale per la
sua persona e facendogli incontrare trionfali ricevimenti dovunque andò
durante il suo soggiorno nel Cile.
Si era infatti ansiosi di vedere il grande figlio di Don Bosco a Linares,
a Valparaiso, a Los Angeles, a Talca, a Santiago, capitale dello Stato,
nei quali centri si agiva seriamente per
(I) Lett. a Don Bosco, 25 marzo 1887.
416
avere i Salesiani. La personale conoscenza raddoppiò l'ardore
di questa aspettazione. Don Rabagliati scrisse il 14 maggio a Torino:
“ I giornali cattolici pubblicavano ogni giorno ciò che
faceva, ciò che diceva, dove andava il Vescovo Salesiano. In
un mese e mezzo passato nel Chilì, egli non ebbe un giorno solo
per poter respirare alquanto. Si confortava però e si calmava,
pensando a Don Bosco nelle sue escursioni in Francia ”.
Largheggiò egli alquanto nelle promesse; l'impazienza poi fece
dare alle sue parole ancor più larga portata che non avessero.
Nondimeno, venuto in dicembre a Torino, perorò eloquentemente
ed abbastanza efficacemente la causa del Cile dinanzi al Capitolo Superiore;
ma l'effetto si potè vedere solo dopo la morte di Don Bosco.
Alla casa di Concepción seguì allora quella di Talca.
Appena partito Monsignore, un sacerdote aveva compiuto in nome di lui
e pagato con danaro proprio un vasto ed elegante edifizio, destinandolo
a scuola professionale. L'apertura si fece entro il 1888. Poi nel 1891
venne la volta della casa del Carmine a Santiago, della quale correvano
già trattative nel 1886, e da parte del Governo. Tutto il rimanente
non appartiene più alla storia di Don Bosco.
Il nome di Don Bosco risonava ormai da un capo all'altro del Cile, riscotendovi
generale ammirazione. Appena vi arrivarono i Salesiani, telegrammi piovvero
loro da librai di Santiago e di Valparaiso, che chiedevano quante più
copie fosse possibile avere della sua biografia, in qualunque lingua
fosse scritta. Un mese prima della loro venuta, una copia di Don Bosco
y su Obra del Vescovo di Milo, messa in circolazione a Santiago dalle
Suore della Provvidenza, era andata a ruba fra i più cospicui
personaggi del clero e del laicato, compresi i Ministri. Fu forse il
libro voluto vedere dal Presidente della Repubblica, come dicevamo pocanzi.
Per soddisfare alle incessanti richieste bisognò mettere mano
a un'edizione cilena di quell'operetta (I).
(I) Lett. di Don Rabagliati, 22 maggio 1887.
417
Pare che la nuova fondazione facesse notevoli progressi, se in agosto
il segretario di monsignor Cagliero poteva scrivere: “ La casa
di Concezione va sempre avanti, cresce il numero dei ragazzi, e la frequenza
ai santi Sacramenti ”. E qui gli correva alla penna un desolante
confronto. A Patagones queste consolazioni non si conoscevano: quell'ambiente
continuava ostinatamente nella sua indifferenza religiosa, di cui dicemmo
altrove. Onde proseguiva Don Riccardi: “ Qualche volta che dimentichiamo
momentaneamente le ultime parole di Don Bosco, siamo sopraffatti ed
accasciati dallo scoraggiamento pel poco o nulla che si ottiene in questo
paese, ed oh! come ci soccorre in buon punto allora il ricordo di lui:
- Andate; voi seminerete, altri raccoglieranno ” (I). - Dovunque
i Salesiani lavorassero, c'era sempre con loro Don Bosco a infondere
coraggio, speranza e consolazione.
Non abbiamo ancora detto tutto quello che interessa noi riguardo al
Cile, vivente Don Bosco. Il Vicario Generale di Concepción in
una sua lettera del 15 ottobre 1887 a monsignor Cagliero gli annunziava
la partenza di tre signori per Torino, che navigavano sul piroscafo
atteso da lui per imbarcarsi alla volta dell'Italia. “ Nel presente
vapore, scriveva egli, viaggiano tre avvocati cattolici di questa città,
i signori Barros, Cox e Mendez. Io li raccomando grandemente a V. S.
Ill.ma e specialmente il primo che è il redattore della Libertad
Catolica e illustre atleta della Chiesa; anche gli altri due sono molto
buoni e di distinta capacità ”.
Questi signori erano tre cugini, che desideravano studiare sul posto
l'Opera di Don Bosco. Giunsero a Torino il 7 dicembre. Presentati da
Monsignore, ricevettero cordiale ospitalità nell'Oratorio; dal
medesimo furono accompagnati nella camera di Don Bosco. Uno di essi
descrive così l'incontro (2):
(I) Lett. a Don Lazzero, Patagones, 19 agosto 1887.
(2) Articolo del signor Mendez in un numero di gennaio della Libertad
Catolica. Egli scrisse pure il diario del viaggio; una sua parente nel
Diario Ilustrado del 10 giugno 1930 pubblicò la parte che si
riferisce al 7 dicembre.
418
“ Don Bosco stava seduto in un modesto sofà; aveva chino
il capo, pieni di lacrime gli occhi e il sembiante illuminato da un
sorriso celestiale. Non può più nè abbigliarsi
nè camminare da solo. Noi tre cademmo in ginocchio dinanzi a
lui. Gli baciammo la mano con rispettosa venerazione. Egli ci strinse
fortemente le nostre per alcuni istanti, fissandoci un dopo l'altro
con uno sguardo che non è umano e che produce un vero godimento
”.
Fattili quindi sedere intorno a sè, prese a dire con voce bassa
e stentata: - Quelli che non mi conoscono, mi cercano; ma quelli che
mi conoscono, mi disprezzano. Non è molto che in Francia una
persona, vedendomi per via, m'indicò ad un'altra dicendo: "Guarda
là Don Bosco! Ma quella, dandomi un'occhiata di meraviglia, rispose:
Come? Possibile che colui sia Don Bosco? Pf!. " E mi voltò
sdegnosamente le spalle ... Loro tre sono avvocati? Ebbene sono avvocato
anch'io ... contro il demonio. Abbiamo battagliato molto insieme giorno
per giorno. Io gli ho dato buoni colpi, ma anche lui mi ha bastonato
forte. Osservino in che misero stato son ridotto.
L'autore dell'articolo commentava: “ Don Bosco diceva tutto questo
con tale una espressione di candore, di semplicità, di grazia
e di santità, che a noi sembrava di parlare con un angelo disceso
dal cielo. Egli tiene generalmente gli occhi bassi, stando in un atteggiamento
pensoso e meditabondo; ma quando alza gli occhi, il suo sguardo è
sovrumanamente dolce e insieme sovrumanamente penetrante [ ... ]. Io
non posso parlare di quest'uomo se non con venerazione, nè pensare
a lui senza pensare nello stesso tempo alla virtù di Dio ”.
I visitatori, non osando prolungare la conversazione per tema di stancarlo,
si alzarono, e, presente Don Rua, gli dissero: - Vediamo che lei è
stanco e non può parlare. Noi andiamo a Roma. Diremo al Santo
Padre che preghi per lei, così necessario alla sua Congregazione
e alla Chiesa; la preghiera del Papa sarà onnipotente.
419
- No, miei signori, rispose Don Bosco, non si preghi affinchè
io possa guarire. Si domandi la grazia che io possa fare una buona morte,
perchè così andrò in Paradiso e di là potrò
aiutare molto meglio i miei figliuoli e lavorare alla maggior gloria
di Dio e alla salute delle anime.
Uno dei tre, il giornalista Barros, era tormentato da un'artritide dolorosa
che lo martoriava specialmente alle mani, sicchè, scritta una
cartella, doveva sospendere il lavoro, restandogli come paralizzati
le dita e il braccio. Veniva con la speranza che Don Bosco lo guarisse.
Il Santo, presegli le mani, le tenne strette a lungo fra le proprie.
Finalmente gli disse: - Lei è guarito, ma sentirà sempre
qualche doloretto, perchè non si dimentichi della grazia fattale
dalla Madonna. - Quegli, ritiratosi in camera, volle subito mettere
alla prova la sua mano, scrivendo alla moglie, e tirò giù
di seguito un letterone di ventiquattro facciate. D'allora in poi non
gli accadde mai più di avere inservibile la mano.
I nostri Cileni cascarono dalle nuvole incontrando, novizio salesiano,
un loro connazionale assai conosciuto in tutto il Cile per le sue pubblicazioni
d'argomento religioso, per l'importanza della sua famiglia e per il
suo zelo sacerdotale: vogliamo dire Don Camillo Ortúzar di Santiago.
Venuto in Europa con la risoluzione di entrare nel noviziato dei Gesuiti
e parlatone con sua madre, che dimorava a Parigi, ascoltò il
suo consiglio di andar prima a consultare Don Bosco. Il Santo, com'ebbe
udite le sue prime parole, gli troncò il discorso domandandogli
a bruciapelo: - E perchè non si farebbe salesiano?
- A questo veramente non ho mai pensato, rispose.
- Ella desidera di lavorare, non è vero? Ebbene, qui troverà
pane, lavoro e paradiso.
In quel momento la campana di Maria Ausiliatrice sonava il mezzogiorno.
Don Bosco disse l'Angelus con lui, quindi lo invitò a pranzo.
A mensa se lo fece sedere accanto. Don Ortúzar, che non aveva
dato importanza alle parole udite
420
poco avanti, ritornava di quando in quando sull'argomento dei Gesuiti
e del noviziato; ma Don Bosco gli susurrava sempre lo stesso ritornello:
- Pane, lavoro e paradiso: ecco tre cose che le posso offrire io in
nome del Signore. - Quegli cominciò a riflettere, finchè
rispose che accettava. Allora il Servo di Dio gli disse: - Don Bosco
se ne dovrà andare fra poco; ma c'è già qui Don
Rua al suo posto. Egli s'incarica di dare a lei il pane; lavoro non
gliene mancherà di certo; Don Bosco spera di arrivare al cielo
per darle da parte di Dio il paradiso.
Primo pensiero di Don Camillo fu naturalmente di tornare a Parigi per
spiegare alla madre il mutamento avvenuto e prendere il suo corredo
personale, avendo portato con sè soltanto gli abiti che indossava.
Ma: - Stia tranquillo, gli disse Don Bosco, la sua signora madre approverà
volentieri la sua risoluzione. Vada pure senz'altro dove lo chiamano
i suoi nuovi doveri e ritenga per certo che non avrà mai a pentirsi
d'aver obbedito da buon soldato del Signore. Quella sera medesima, accompagnato
da Don Barberis, egli s'incamminò a Valsalice, per darvi principio
al suo noviziato.
Da parte della madre non sorse la menoma difficoltà. Erano già
passati due mesi da quel giorno, quando i suoi compatrioti se lo videro
comparire dinanzi nell'Oratorio. Scrive il signor Mendez nel citato
articolo: “ Non c'è uomo più felice di lui. Trabocca
di contentezza. Parla continuamente di Don Bosco. Ha in Don Bosco una
fede cieca e assoluta; lo considera come un oracolo del cielo ”.
Possiamo confermare che era veramente così. Don Rabagliati attestava
a Don Rua (I): “ È un bell'acquisto. È stimatissimo
nel Chilì”.
Don Camillo Ortúzar visse fra noi in sì umile e schietta
semplicità, che nessuno, vedendolo e praticandolo, avrebbe potuto
mai sospettare nè degli alti uffici da lui sostenuti in patria
nè tanto meno del vero motivo che l'aveva indotto ad
(I) Lett. Concepción 24 dicembre 1887.
421
abbandonare la città nativa ed era la ferma volontà di
sottrarsi definitivamente al più volte incorso pericolo dell'episcopato
(I).
VENEZUELA, PERÙ, COLOMBIA.
Nel Venezuela fu fondata per prima la casa di Caracas, capitale della
Repubblica, sette anni dopo la morte di Don Bosco; ma le si andava preparando
il terreno fin dal 1886. In quell'anno infatti il Vescovo monsignor
Crispolo Uzcátegui visitò Don Bosco all'Oratorio, facendogli
presenti i bisogni della sua desolata diocesi. Anima di tutto era il
sacerdote Riccardo Arteaga, che cominciò a moltiplicare i Cooperatori
Salesiani e poi, morto il Santo, perseveravit pulsans, finchè
il successore non esaudì i suoi ardenti voti. Abbiamo copia di
tre lettere del 1887, a lui indirizzate e firmate da Don Bosco. In esse
l'argomento capitale è l'organizzazione dei Cooperatori locali,
di cui Don Bosco lo nominò Direttore (2). Il zelante sacerdote,
instancabile nell'accrescerne il numero, riuscì a inscriverne
più di seicento. Questa preparazione spiega l'incremento grande
preso in breve dall'Opera Salesiana nel Venezuela, dove oggi la Congregazione
regge pure la Missione dell'Alto Orinoco.
Nel Perù l'Opera Salesiana cominciò quand'erano trascorsi
tre anni dalla morte del Fondatore, - la capitale Lima ebbe allora le
Scuole di Santa Rosa. Ma già il 23 giugno 1886 Don Bosco aveva
ricevuto la visita del Presidente della Repubblica, accompagnato dal
figlio. Egli si mostrava abbastanza al corrente delle cose nostre, manifestandone
calda simpatia. Don Viglietti gli fece fare un rapido giro per l'Oratorio,
perchè il tempo stringeva. Partendo, espresse il desiderio di
ritornare in altra occasione. Nel colloquio con Don Bosco l'aveva affettuosamente
pregato di aprire una casa nella sua capitale.
(I) Nel 1903 uscì a Sarrià una bella vitina (DIEGO DE
CASTRO, Biografia de Don Camillo Ortúzar, P.bro de la Ma Societad
de San Francisco da Sales).
(2) App., DOC. 78 A - B - C.
422
È cosa di non poco interesse lo scoprire come la pia Unione
dei Cooperatori attecchisse così presto in contrade tanto remote
dai centri di attività salesiana. Il merito della iniziale diffusione
va attribuito in gran parte al Bollettino spagnuolo (I). La propaganda
veniva poi alimentata e accresciuta dalla corrispondenza con Torino,
donde con i diplomi e dopo s'inviavano opuscoli, immagini, medaglie
e comunicazioni varie, atte a far conoscere l'opera. Per Lima abbiamo
due lettere del 1887 a un signor Giuseppe Yimenez, recanti, come noi
abbiamo potuto verificare, la firma autentica di Don Bosco e rivelanti
un accentuato movimento di cooperazione (2).
La fama del Servo di Dio riempiva allora la Repubblica per un fatto,
che era stato considerato prodigioso e prima del quale nulla si sapeva
colà nè della sua persona nè delle sue opere. Il
Provinciale dei Francescani di Lima, attraversando l'Oceano, scacciava
la noia leggicchiando un libro che narrava la vita di Don Bosco; possiamo
ritenere che fosse il Don Bosco y su Obra. Don Bosco era per lui una
personaggio sconosciuto. Or ecco scatenarsi il vento, divenir furioso
e sollevare una grossa burrasca; la nave in balìa delle onde
n'era così squassata, che il naufragio sembrava imminente: il
capitano stesso dichiarò in seguito che aveva ormai perduta ogni
speranza. Il buon religioso in mezzo al turbine si rizzò fra
i passeggeri, li invitò a inginocchiarsi come potevano e pregò
Maria Santissima, che in riguardo al suo servo Don Bosco li salvasse
dalla catastrofe: prometteva con voto che, giunto a salvamento, avrebbe
fatto stampare quel libro a migliaia di copie e l'avrebbe diffuso largamente
nel suo popolo. Formulato il voto, la tempesta cessò d'infierire,
tornò la bonaccia, e la nave proseguì felicemente fino
al porto. Il Francescano non dimenticò la sua promessa, ma, ordinata
un'edizione economica del libro, ne distribuì le copie in tutto
il Perù a Vescovi, a preti, a ricchi e a poveri, a chi lo voleva
e a chi non lo vo -
(I) Cfr. sopra, pag. 402, n. 2.
(2) App., Doc. 79 A - B.
423
leva, di modo che la vita di Don Bosco formò il tema delle conversazioni
generali, facendo nascere in più luoghi il desiderio di veder
estesi al Perù i benefizi delle sue istituzioni. Lo stesso Provinciale
nel 1890 raccontò il fatto a Don Rabagliati, ospite nel suo convento.
Qualche cosa di simile accadde per la Colombia. La signora di Bogotà
che nel 1883 aveva visto a Parigi il miracolo del giovanetto moribondo
invitato da Don Bosco a servirgli la Messa (I), non finiva di scrivere
a parenti e conoscenti colombiani, magnificando la santità del
taumaturgo prete italiano e le sue grandi benemerenze nell'educazione
della gioventù. A poco a poco se ne interessarono anche uomini
del Governo. Più d'ogni altra cosa richiamavano la loro attenzione
quelle sue scuole d'arti e mestieri, di cui là si sentiva il
bisogno, ma che non si sapeva come mettere in piedi. Dal dire si venne
al fare. Don Bosco ricevette da Roma il I° novembre 1886 una lettera
del signor Gioachino Velez, ministro di Colombia presso la Santa Sede,
il quale gli diceva: “ La meritatissima rinomanza dell'istituzione
di laboratori, scuole e ospizi per i fanciulli poveri, dovuta alla di
lei carità, è giunta fino a noi e quanti si prendono pensiero
degl'infelici, fanno ardenti voti che il popolo colombiano sia messo
a parte dei benefizi dalla S. V. procacciati alla società moderna
”. Quindi in nome del suo Governo chiedeva fosse speditamente
stipulato un contratto per l'invio di alcuni Salesiani nella capitale
della Repubblica. Il Capitolo Superiore rispose ringraziando della fiducia,
ma scusandosi che, data l'insufficienza del personale di fronte alla
moltiplicità degli impegni non si potesse subito accogliere la
domanda. Chiedeva quindi una dilazione, suggerendo frattanto al Ministro
di trattare con il procuratore generale Don Dalmazzo o meglio ancora
di mettersi in relazione con monsignor Cagliero, direttore generale
delle Missioni Salesiane.
(I) Cfr. vol. XVI, pgg. 224 - 25.
424
Circa tre mesi dopo, il 21 gennaio 1887, fu la volta dell'Arcivescovo
di Bogotà, monsignor Giuseppe Telesforo Paul, della Compagnia
di Gesù, il quale chiedeva a Don Bosco non una, ma due opere,
cioè una scuola professionale per la gioventù povera della
sua città e una missione per i selvaggi dei dintorni. Don Bosco
non potè che far dare una risposta analoga alla precedente.
Il Ministro presso la Santa Sede non aveva esitato punto a conferire
con Don Dalmazzo, dal quale dopo ripetuti incontri credette d'aver ricevuto
buone speranze; onde ne informò sollecitamente il suo Governo.
Il Presidente della Repubblica che non aspettava altro, gli telegrafò
autorizzandolo ad aprire trattative con Don Bosco. Quegli ne scrisse
a Torino l'11 luglio. Il 18 ottobre l'Arcivescovo rinnovò le
sue istanze per il duplice oggetto.
Si lavorava anche dietro le quinte; infatti l'11 novembre arrivò
a Don Bosco dal cardinale Rampolla, Segretario di Stato, una lettera,
in cui si diceva: “ Il Governo di Colombia ha fatto conoscere
alla Santa Sede che desidererebbe veder fondata e diretta dai PP. Salesiani
una scuola di arti e mestieri nella città di Bogotà. Il
Santo Padre vedrebbe anch'esso con piacere che questo desiderio potesse
realizzarsi al più presto, perchè non dubita che l'opera
dei degni figli di San Francesco di Sales sarebbe feconda di ottimi
risultati a vantaggio della gioventù di quella capitale. Mi rivolgo
perciò fiducioso alla Paternità Vostra Rev.ma e La invito
a voler accogliere favorevolmente l'accennata istanza del Governo Colombiano,
notificandole che il Rappresentante di Colombia presso la Santa Sede
è fornito delle opportune istruzioni per mettersi d'accordo colla
P. V. sul numero di Salesiani necessari all'indicato scopo e su tutti
i punti che dovrebbero regolarsi per assicurare la stabilità
che deve avere la fondazione in discorso. La benemerita Congregazione,
di cui Ella è degnissimo Superiore, vede così aprirsi
un nuovo campo alle sue fatiche, ed io faccio voti che ne possa raccogliere
abbondante messe di frutti ”.
425
Il difetto di personale non era un pretesto, ma una realtà;
d'altro lato pressioni si autorevoli consigliavano di cercare almeno
una via di mezzo, non fra il sì e il no, ma fra presto e tardi.
Questo è che dovette suggerire lo spediente di rispondere che
si sarebbe dato a monsignor Cagliero l'incarico di trattare e possibilmente
di accondiscendere. Proprio in quei giorni monsignor Cagliero viaggiava
alla volta di Torino, donde avrebbe potuto condurre la pratica; poi
sopravvenne la morte di Don Bosco. Tutto questo portò via del
tempo. Trascorsi tre mesi da quel beato transito, il cardinale Rampolla,
nuovamente sollecitato dal Rappresentante cileno presso la Santa Sede,
ripetè a Don Rua l'invito. Scriveva infatti il 24 aprile: “
Nel Novembre passato io mi dirigeva al compianto D. Bosco eccitandolo
ad accogliere favorevolmente le premure fatte dal Governo di Colombia
per la fondazione di una scuola di arti e mestieri nella città
di Bogotà, e quel degnissimo Superiore, la cui perdita lamenta
a sì giusto titolo la Congregazione Salesiana, mi rispondeva
sotto la data del 30 del citato Novembre che avrebbe procurato "
di accondiscendere nel più breve tempo possibile al desiderio
del Governo Colombiano ". Ora peraltro, dietro nuove istanze del
Rappresentante di quella Repubblica, mi occorre invitare la P. V. Rev.ma
a non voler troppo differire l'esecuzione delle buone disposizioni manifestate
dal compianto di Lei predecessore, facendole conoscere che i Salesiani,
ai quali si vorrebbe affidare la direzione della suddetta scuola di
arti e mestieri, dovrebbero trovarsi in Bogotà, almeno al principio
del 1890”.
Alla buon'ora! C'eran di mezzo un anno e otto mesi prima di quella data,
spazio abbastanza largo per venire a qualche cosa di concreto. Si potè
infatti aprire nel 1890 a Bogotà il collegio Leone XIII con scuole
professionali, chiesa pubblica e assistenza degli emigrati. Nella Colombia
echeggiò ben presto un nome glorioso, il nome di Don Unia, l'apostolo
dei lebbrosi, tuttora ripetuto con sincera ammirazione da cittadini
d'ogni classe e d'ogni colore.
426
EQUATORE.
Nella Repubblica dell'Equatore, per quanto si sappia, non vi furono
pubbliche manifestazioni in favore di Don Bosco e della sua Opera prima
del 1885, allorchè il signor Tobar, sottosegretario alla Pubblica
Istruzione, espose alle due Camere la convenienza di chiamare i Salesiani.
Egli li aveva conosciuti stando nel Cile, dove gli erano capitati sott'occhio
giornali argentini, che contenevano articoli su di loro. Ritornato a
Quito, si fece dare dal Superiore dei Gesuiti il Don Bosco y su Obra
del Vescovo di Milo, nella qual lettura si formò un giusto concetto
della Congregazione e del suo Fondatore. Ecco un punto del suo discorso
dinanzi alle Camere. Parlato della necessità d'istituire buone
scuole professionali e mostrato come non ci fossero nel paese maestri
adatti, si domandava: “ Sarà possibile avere dall'estero
insegnanti che posseggano le qualità indicate? ”. E rispondeva:
“ Sembra di sì, se teniamo conto di un ordine religioso
nuovo, che si va miracolosamente estendendo nel mondo. L'ordine salesiano
è, per così dire, il risultato della fusione fra gli scopi
del Cattolicismo e le tendenze di questo secolo del vapore e dell'elettricità.
Provano l'importanza dei fini propostisi la rapidità del suo
sviluppo e la prontezza con cui si riempiono di allievi i suoi istituti
”. Ne tracciava quindi la storia, attingendo alla fonte che dicevamo.
La sua proposta incontrò sì favorevole accoglienza, che
il signor Giuseppe Caamano, Presidente della Repubblica, accordatosi
con l'Arcivescovo di Quito, monsignor Giuseppe Ordonez, decise di domandare
a Don Bosco che mandasse i suoi figli nella capitale equatoriana. Non
trattò personalmente, ma diede ordine al signor Ballen, console
generale dell'Equatore a Parigi, d'intendersi con Don Bosco; il che
quegli eseguì con lettera del 7 agosto 1885.
La risposta fu quale noi possiamo facilmente immaginare. Cortesi ringraziamenti,
espressione di buon volere, preghiera
427
di attendere alcuni anni per mancanza di personale. Non sì replicò.
Dovendosi l'Arcivescovo trovare a Roma sul principio del 1887, il Presidente
non stimò grande iattura pazientare un anno e mezzo, riserbandosi
di dare al Prelato piena facoltà di trattare e di conchiudere.
Ai primi di gennaio del 1887 Monsignore sbarcava in Francia, donde il
5 arrivò a Torino. Il suo colloquio con Don Bosco durò
a lungo; egli diceva di non voler partire fino a tanto che non gli si
promettessero almeno quattro Salesiani. Don Bosco, vinto dalle sue preghiere,
finì con dichiararsi pronto ad accordarglieli, ma a patto che
la Santa Sede non sollevasse difficoltà per l'invio di così
piccol numero.
Contento di questo primo risultato, l'Arcivescovo riprese il suo viaggio
per Roma. Quivi rappresentò a Leone XIII l'estrema necessità
in cui versava la sua diocesi di avere sacerdoti salesiani. Il Papa
non solo approvò, ma gli disse di scrivere a Don Bosco essere
suo desiderio che inviasse Salesiani a Quito.
Quando c'entrava il Papa, Don Bosco non faceva distinzioni fra desiderio
e comando; pensò dunque senz'altro a obbedire. Prima ancora di
ricevere tale comunicazione, Don Bosco, presagendo già come la
sarebbe andata a finire, aveva detto il 18 gennaio in tono faceto, secondochè
scrive Don Lemoyne: - Adesso ho il grillo di provvedere quanto più
presto sia possibile ad una partenza di Missionari per la Repubblica
dell'Equatore. Là è centro di Missione e si possono ottenere
anche vocazioni.
La voce di questa sua intenzione si era ben tosto diffusa in città;
infatti nei giorni dell'anno nuovo, nei quali le persone caritatevoli
sogliono mettere mano alla borsa, un sacerdote assai benemerito dell'istruzione
e dell'educazione popolare e autore di molte operette pregevolissime
per le scuole primarie, il professor Giovanni Scavia (I), scriveva affettuosamente
(I) Viveva a Torino, ma era di Castellazzo Bormida. Morì nel
1897. Godettero grande popolarità, fra gli altri suoi libri,
I mesi dell'anno, L'uomo e l'universo, Cento racconti di Storia Sacra.
428
al “ venerato e caro Don Bosco ”, a cui lo legava cordiale
amicizia: “ Il Signore benedica e fecondi i benéfici disegni
di Lei anche a benefizio della Repubblica dell'Equatore. Se io fossi
ancora giovane mi unirei di buon grado alla Missione; ma alla mia età
non mi rimane che di potervi concorrere colla preghiera e con qualche
offerta. Mi duole di non poter largheggiare, come sarebbe desiderio
di Lei e mio. Il mio patrimonio è già assegnato per testamento
all'esecuzione di legati alla diocesi d'Alessandria e a trentadue nipoti
e pronipoti che mi fanno onore. Posso tuttavia disporre dell'annua rendita,
e dal fondo destinato alla Beneficenza caverò lire mille che
pongo di buon grado a disposizione di Lei per la Missione dell'Equatore.
Sarà l'obolo della vedova nel grande salvadanaio della cristiana
carità ”.
Sbrigati a Roma i propri affari, Monsignore ritornò a Valdocco
il 12 febbraio. Qui vennero fissati gli articoli di una convenzione,
sottoscritta da lui e da Don Bosco sotto la data del 14. È questo
l'ultimo documento di tal genere, che porti la firma del nostro Santo(I).
Subito dopo il Presule proseguì per Parigi, dove senza indugio
presentò il testo firmato della convenzione al signor Flores,
Ministro Plenipotenziario dell'Equatore in Francia, affinchè
vedesse, approvasse in nome del Governo e spedisse a Quito per la pubblicazione
ufficiale. Il Ministro non trovò nulla a ridire: controfirmò
e spedì. Il 7 marzo Don Bosco volle scrivere al Presidente della
Repubblica, il quale con molta amabilità gli rispose (2).
Restava che Don Bosco si mettesse in relazione col summentovato Console
Generale a Parigi, incaricato di somministrare l'occorrente per i passaggi
(3). Un contrattempo obbligò a rinviare la partenza oltre il
termine convenuto, che era il
(I) App., Doc. 80.
(2) App., Doc. 8 1.
(3) Lettere dell'Arcivescovo a Don Bosco, Roma 20 e 26 gennaio, e Parigi
16, 17, 25 febbraio 1887.
429
10 settembre: al momento della richiesta non rimanevano più
posti disponibili sul piroscafo francese che doveva salpare in quel
giorno per l'Equatore.
La prima pubblica notizia della nuova impresa di Don Bosco fu data dall'Unità
Cattolica del 12 agosto. Il Capitolo Superiore stabilì il personale
destinatovi nella seduta vespertina del 18. Otto Salesiani avrebbero
formato la spedizione, condotta dal valoroso Don Luigi Calcagno (I),
reduce dall'Uruguay, dov'era approdato con la spedizione del 1878, ancora
semplice chierico.
I preparativi per questa partenza imponevano nuovi sacrifizi. Al tragitto
non si doveva pensare; ma per tutto il resto ci voleva non poco danaro.
La necessità di trovarlo fece sentire vieppiù la molteplicità
dei bisogni che stringevano da ogni parte, massime da Roma per la chiesa
del Sacro Cuore e dall'America per la Missione della Terra del Fuoco.
Preoccupato delle crescenti angustie finanziarie, Don Rua il 10 ottobre
prospettò al Capitolo l'opportunità di prendere occasione
dall'opera di Quito per chiedere soccorsi. Don Bosco dispose che Don
Bonetti insieme con Don Lemoyne minutasse due circolari, una più
comprensiva che abbracciasse tutte le Missioni, e l'altra più
ristretta che limitasse l'appello a favore della Patagonia e della Terra
del Fuoco. In entrambe le circolari si credette conveniente tacere sulle
condizioni della chiesa del Sacro Cuore. La prima ha la data del 4 novembre,
la seconda del 20 dicembre. Quella andò come supplemento al Bollettino.
Don Pozzan, direttore del Bollettino, gli domandò entro quale
spazio di tempo avrebbe dovuto condurre a termine la spedizione delle
lettere. - Hai tempo tre mesi rispose. Risposta insolita che destò
qualche meraviglia, perchè altre volte in casi simili rispondeva
di fare al più presto possibile. Tre mesi dopo avvenne la sua
morte. Tutt'e due vennero tradotte in francese, spagnuolo e tedesco.
Sono
(I) Oltre al Direttore, i sacerdoti Don Fusarini, Don Santinelli e
Don Mattana, due chierici e due coadiutori.
430
gli ultimi documenti di tal fatta che uscirono con la firma di Don
Bosco (I).
Nella chiesa di Maria Ausiliatrice si compiè con la consueta
solennità la cerimonia dell'addio il 6 dicembre. I partenti si
erano radunati prima intorno a Don Bosco nella sua camera a riceverne
gli ultimi ricordi. Egli disse loro fra l'altro: - Siate amanti della
povertà e della carità fraterna. Leggete spesso le Regole
e ubbiditele sempre - (2). Benchè estenuato di forze, volle poi
scendere nel santuario. Entrò nel presbiterio sostenuto dai segretari.
Don Bonetti predicò; ma, scrive Don Viglietti nel suo diario,
“ la predica più bella e più efficace la fece il
povero Don Bosco, così strascinantesi sulla sua persona ”.
Aveva spedito al Papa per il tramite di monsignor Della Volpe il seguente
telegramma: “ Prosternato spirito imploro benedizione Santo Padre
missionari salesiani destinati Equatore ”. Ai Missionari diede
due lettere di presentazione scritte da lui, una per il Presidente della
Repubblica e l'altra per l'Arcivescovo di Quito. La seconda era del
tenore seguente (3).
Eccellenza Reverendissima,
Ho il piacere di presentarle gli otto poveri Salesiani destinati allo
stabilimento di una casa Salesiana in Quito sotto gli auspizi dell'E.
V. Rev.ma e delle altre autorità di codesta Onor.ma Repubblica.
Io consegno tali miei figli carissimi in G. C. nelle mani di V. E. come
in quelle di un amoroso Padre che vorrà favorirli in ogni occorrenza
degli opportuni consigli ed aiuti spirituali e temporali. Essi vengono
con tutta la buona volontà di corrispondere all'aspettazione
dell'E. V. lavorando con tutte le loro forze alla cristiana educazione
ed istruzione specialmente della gioventù povera ed abbandonata;
e quando saranno in maggior numero, ben volentieri si consacreranno
al bene spirituale e morale di quelle tribù che forse abbisognassero
dell'opera loro per conoscere e battere la via del Cielo.
Persuaso pertanto che confido i miei figli in buone mani, che essi
(I) App., Doc. 82.
(2) Questo particolare si legge in una biografia di Don Calcagno manoscritta,
controllata dal suo compagno di viaggio Don Fusarini e conservata nei
nostri archivi.
(3) L'originale è nell'archivio arcivescovile di Quito.
431
avranno sempre in V. E. un Padre ed un Protettore in ogni bisogno,
ne ringrazio fin d'ora sinceramente la sua bontà, ed implorando
la sua pastorale benedizione sopra di essi e di me, mi confermo con
venerazione
Di V. F. Rev.ma
Torino, il 6 Obre 1887.
obbl.mo servitore
Sac. Gio. Bosco.
PS. I nostri missionarii sono pure muniti d'una lettera per il Presidente
della Repubblica in cui sono anche raccomandati alla di Lui protezione
e carità, aggiungendo che noi siamo disposti a rimborsare tutte
le spese che fossero al di là dei limiti fissati dalla sua carità.
Se V. F. lo crede, può prendere visione della lettera stessa,
per sua norma.
I figli e le figlie di Don Bosco, quando nell'Equatore furono in sufficiente
numero, si dedicarono realmente anche alle Missioni vere e proprie nel
Vicariato Apostolico di Mendez e Gualaquiza, creato per loro nel 1893.
L'Arcivescovo, vivamente commosso al leggere l'umile raccomandazione
di Don Bosco, gli rispose: “ Io spero che [i Salesiani] con le
loro fatiche saranno il riflesso della carità di V. R. e che
in tal modo mi daranno sode consolazioni fra le pene che vanno unite
alla mia carica ” (I). Ma gli occhi mortali del Santo non lessero
più queste righe. I Missionari dopo cinquantatrè giorni
di viaggio giungevano a Quito il 28 gennaio 1888, vigilia di S. Francesco
di Sales. Don Calcagno telegrafò a Don Bosco il felice arrivo.
Il telegramma gli fu letto la mattina del 30. Egli capì e benedisse:
fu l'ultima benedizione da lui inviata a' suoi figli di là dai
mari.
(I) App., Doc. 83.
CAPO XX
In quattro nazioni d'Europa.
ALLORCHÈ Don Bosco era sulle soglie dell'eternità, l'Italia
aumentava di due il numero delle case salesiane e di un'altra vedeva
la notevole trasformazione; Francia e Spagna davano vigoroso incremento
alle già esistenti l'Inghilterra accoglieva i primi Salesiani;
il Belgio stava in procinto di aprir loro le porte; il Portogallo continuava
a chiedere; in altri paesi d'Europa la stampa si veniva sempre più
occupando della Congregazione e del suo Fondatore. Durante l'ultima
malattia e dopo la morte di Don Bosco affluirono all'Oratorio da ogni
parte centinaia e centinaia di lettere; fu un immenso plebiscito, dal
quale è dato rilevare quanto sia stata vasta l'irradiazione della
santità di lui nel mondo d'allora. Le pagine di questo capo,
mentre rifletteranno gli ultimi bagliori della sua operosità;
offriranno anche un saggio della sua riconoscenza; vi si farà
luogo pure a una digressione su quello che si scriveva e si diceva del
Santo italiano in un paese chiuso entro lo scacchiere etnico dell'Impero
Austro - ungarico.
ITALIA.
La fondazione di Parma, voluta da monsignor Villa nel 1879, aveva urtato
in difficoltà insormontabili. Il Vescovo, venuto a morte nel
1882, aveva legato a Don Bosco l'ex-
433
convento di S. Benedetto, sua proprietà, con l'obbligo di aprirvi
l'ospizio entro tre anni, trascorsi i quali lo stabile passasse al seminario.
Ma per difetto di forma il legato non potè avere esecuzione,
nè il seminario potè entrare in possesso, perchè
divenuto incapace di possedere in forza della legge di conversione dell'asse
ecclesiastico. Vi subentrò dunque il Demanio dello Stato (I).
A Parma però non si depose ogni speranza. Monsignor Tescari,
che da canonico della cattedrale aveva avuto tanta parte nella pratica
antecedente, creato Vescovo di Borgo S. Donnino, non perdette di vista
l'affare; anche il nuovo Vescovo di Parma monsignor Miotti fece proprio
il divisamento del suo predecessore. S'arrivò così fra
una snervante sequela di pratiche burocratiche al 1887, quando una buona
volta per il 9 luglio furono dal regio Demanio messi alla pubblica asta
l'edifizio e l'orto di S. Benedetto. “ Finalmente, aveva scritto
il Vescovo (2), l'eterno dramma dell'orfanotrofio tanto sospirato è
giunto all'ultimo atto ”.
Don Bosco designò un suo fiduciario, che si presentasse al mercato
e facesse la sua offerta per persona da nominare. Lo stabile gli fu
aggiudicato per il prezzo complessivo di trentaquattromila lire. Tuttavia
l'Amministrazione del Demanio non ne diede il possesso se non nella
settimana precedente il Natale. Ma c'era dell'altro ancora. Bisognava
sloggiare una turba d'inquilini, dando di spugna sulle pigioni, per
riscuotere le quali ci sarebbero volute noie e spese senza fine. Tutto
questo trascinò le cose tanto in lungo che Don Bosco non ne vide
il termine. Possiamo nondimeno asserire che la casa di Parma fu l'ultima
aperta da Don Bosco in Italia.
All'inaugurazione non si procedette se non nel novembre 1888 con la
cura della parrocchia e di un oratorio festivo. L'opera si completò
rapidamente, anzi si dilatò in città con
(I) Cfr. vol. XV, pag. 302.
(2) Lett. a Don Durando, Parma 6 giugno 1887.
434
l'avvento delle Figlie di Maria Ausiliatrice. La marchesa Zambeccari
il 6 maggio 1889 poteva già scrivere da Bologna a Don Rua: “
Ho passato una settimana in Parma, consolatissima di conoscere la soddisfazione
e stima che riscuotono ivi i Salesiani ” (I).
Cade nel 1887 l'apertura dell'orfanotrofio di Trento. Abbiamo già
detto quanto basta sulle pratiche prima intercorse (2). Non appena Principe
Vescovo, Podestà e Congregazione di carità si accordarono
con Don Bosco in base alla convenzione da lui proposta (3), i Salesiani
partirono da Torino. Giunsero a Trento il 15 ottobre, ricevuti alla
stazione da distinti cooperatori. Quei nostri amici però si auguravano
che l'orfanotrofio fosse soltanto una prima tappa dei Salesiani per
arrivare in seguito a fondare ivi anche una casa loro, dove anzichè
far rifiorire un'opera decaduta, sviluppassero un'istituzione educativa
propria, secondo i metodi di Don Bosco.
Per volere di Don Bosco e sotto gli occhi suoi, durante i suoi ultimi
mesi di vita, subì una radicale trasformazione il collegio di
Valsalice. L'idea d'instaurarvi un nuovo ordine di cose fece capolino
in un'adunanza capitolare del 14 marzo. Don Rua propose allora di eseguire
a Valsalice diverse riparazioni richieste parte per le lesioni causate
dal terremoto, parte per le ingiurie del tempo; propose pure di edificare
una nuova cappella su disegno già preparato. Don Bosco disse
che prima di por mano a lavori si esaminasse bene lo stato di quel collegio
e qual numero avesse di allievi. Rispostogli che di allievi ve n'erano
solo cinquanta e che sembrava non potersene sperare di più, lanciò
questa proposizione: - Bi -
(I) Abbiamo rinvenuto fra gli autografi di Don Bosco (arch., num. 966)
una minuta di una convenzione completa fra lui e la Marchesa per la
fondazione di un orfanotrofio in Parma. Non c'è traccia di data;
ma deve risalire al 1876. Sebbene la cosa non abbia avuto effetto, tuttavia
essendo il documento scritto da Don Bosco e da lui tempestato di correzioni,
giudichiamo utile pubblicarlo nell'App. (Doc. 84).
(2) Cfr. vol. XVII, pag. 583.
(3) Ivi, pag. 825.
435
sognerebbe vedere se non sia conveniente dare a quel collegio qualche
altra destinazione.
A rincalzo di tale idea Don Bonetti ricordò come il collegio
di Valsalice fosse stato accettato da Don Bosco unicamente per aderire
al desiderio e quasi al comando dell'arcivescovo Gastaldi, nonostante
l'unanime voto contrario dei confratelli; fece inoltre osservare quanto
il personale vi si trovasse a disagio, data la disparità di condizione
sociale fra superiori e alunni. Don Barberis pregò di tener presente
che l'anno appresso non sarebbe più bastata la casa di S. Benigno
a contenere tutti i chierici che dopo il noviziato avrebbero dovuto
lasciare Foglizzo. Don Cerruti suggerì di vedere se non fosse
il caso di stabilire a Valsalice una cinquantina di chierici. Ma questa
proposta di dividere i chierici studenti non garbava a Don Barberis,
perchè ne avrebbe scapitato l'unità di spirito e di direzione.
Don Bosco ascoltò, ma non disse nulla. L'ulteriore esame della
questione fu rimesso a quindici giorni dopo Pasqua.
Il 19 aprile l'ordine del giorno riportava la discussione sul medesimo
argomento. La conclusione fu allora di abolire a Valsalice il liceo;
quanto poi al da farsi in conseguenza di tale provvedimento, si rimandò
la deliberazione ad altro tempo. Il Capitolo tuttavia ci tenne a dichiarare
che in ogni caso Don Bosco rimaneva arbitro assoluto circa la decisione
da prendere.
Nella seduta del 27 giugno Don Rua presentò il preventivo per
la costruzione di una lavanderia in servizio del collegio di Valsalice;
la spesa prevista sarebbe ammontata a settemila e cento lire. Riguardo
all'essenziale della questione, i pareri erano divisi; in una cosa sola
furono tutti d'accordo nel voler sospesi per allora quei lavori. Alla
fine Don Bosco lasciò cadere un'altra sua parola. - A Valsalice,
disse, si potrebbe mettere lo studentato dei nostri chierici. - I Capitolari
udirono, ma nessuno interloquì.
La discussione sul collegio di Valsalice tornò in campo il
436
18 agosto sotto la presidenza di Don Rua; ma non si venne a capo di
nulla. Nella seduta pomeridiana del 23 agosto i più opinavano
che la riforma si riducesse all'adozione di due rette, una di trentacinque
e l'altra di quarantacinque lire mensili; questo avrebbe dato nuova
vita al collegio, aprendone le porte a maggior numero di convittori
mediante l'ammissione di giovani del medio ceto. Don Bosco non disse
nulla in contrario. Ma nei giorni successivi dovette aver spiegato a
Don Rua quale fosse veramente il suo pensiero; questi infatti il 13
settembre, passando sopra a tutti i dispareri, propose senz'altro un
radicale cambiamento di destinazione per il collegio di Valsalice, stabilendovi
lo studentato dei chierici. Si ragionò ancora se insieme con
i chierici fossero da tenersi anche dei giovani; ma vinsero quelli che
non vedevano bene siffatta mescolanza, giudicandola sconveniente. Messa
ai voti la proposta di trasportare a Valsalice l'intero studentato dei
chierici, il Capitolo approvò a pieni voti.
Seduta stante, fu fatta la scelta del personale necessario; Don Barberis
venne nominato direttore. Nel corso del mese i chierici studenti di
S. Benigno, che trascorrevano le vacanze a Lanzo, e quelli che avevano
finito il noviziato a Foglizzo, confluirono nella nuova sede, la quale
in breve tempo era stata posta in condizione di albergare comodamente
la nuova popolazione. Affinchè poi da nessuna parte avessero
a sorgere dubbi, sospetti o malintesi, D. Bosco intitolò la casa
SEMINARIO DELLE MISSIONI ESTERE, e così fece scrivere a grandi
caratteri sulla porta d'ingresso. Sotto questa denominazione presentò
il rinnovellato istituto alle autorità ecclesiastiche e civili.
Così per Valsalice cominciava un'era nuova, ricca di varie e
gloriose vicende.
BELGIO.
La prima fondazione salesiana nel Belgio porta il suggello di un intervento
speciale del Cielo. Quanto aveva fatto nel triennio precedente monsignor
Doutreloux, vescovo di Liegi,
437
perchè Don Bosco si decidesse ad aprire una scuola professionale
nella sua città! Ne aveva parlato anche a Leone XIII. Di fronte
all'impossibilità di vedersi esaudito con la prontezza da lui
desiderata, non aveva disperato, ma si era rifugiato nella preghiera
(I).
Le notizie che nel 1887 circolavano sulla salute di Don Bosco lo misero
in grande apprensione. Sentendo poi che egli andava di male in peggio,
risolse di venire a Torino. Prima di assentarsi dalla diocesi ordinò
preghiere in tutti i monasteri per riuscire nello scopo del suo viaggio.
Giunse la sera del 7 dicembre, vigilia dell'Immacolata Concezione, e,
preso posto in un albergo (2), venne all'Oratorio. Sembra che non abbia
potuto subito parlare con Don Bosco; conferì invece con Don Durando,
che continuava a dirigere le pratiche per le nuove fondazioni. Fu da
Don Bosco la mattina appresso con monsignor Cagliero e Don Durando.
La sera innanzi Don Bosco, informato di tutto, si era mostrato d'accordo
con gli altri Superiori che convenisse ancora prendere tempo. Allora
al contrario con isbalordimento di Don Durando rispose senz'altro di
sì alla domanda del Vescovo, come se non esistesse più
difficoltà alcuna di quelle prospettate il giorno prima. A mezzodì
Don Bosco invitò a pranzo Monsignore, che gli offerse il braccio,
sorreggendolo fino al refettorio. Qui il Santo gli rese le dovute grazie
dell'atto pietoso, usando cordiali espressioni. Alla fine il buon Vescovo
fece per ripetere la medesima cortesia; ma Don Bosco con umili modi
se ne scusò. Scrive Don Viglietti nel diario: “ Commosse
tutti la tenerezza di questo esimio Prelato che pareva cresciuto all'affezione
verso Don Bosco come uno dei nostri; così pure ci edificò
l'umiltà con cui Don Bosco se ne seppe schermire ”.
(I) Cfr. vol. XVII, pag. - 348.
(2) Fu stampato che egli accettò l'ospitalità nell'Oratorio;
ma quest'asserzione è inconciliabile con quello che scrisse il
25 marzo 1888 a Don Rua. Dovendosi recare a Roma, lo pregava d'indicargli
un buon albergo in Torino, perchè nell'altro viaggio non era
rimasto contento di quello scelto.
438
Fra i ricordi di quell'incontro Monsignore non dimenticò mai
l'impressione prodottagli da un gesto e da una frase del Santo. Sul
punto di avviarsi per andare a pranzo il grecista monsignor Pechenino,
il vecchio e fedele amico monsignor Pechenino, che era fra gl'invitati,
incoraggiava Don Bosco a sperare in una pronta guarigione; ma Don Bosco,
così andando, gli sorrise e gli accennò con gli occhi
e col capo al teschio di morto collocato sul suo canterano. Fu una mossa
rapidissima, a cui il Pechenino non badò, ma vi badò il
Vescovo, che ritornato nell'aprile del 1888 a Torino narrò il
fatto ai Superiori del Capitolo.
Dopo la mensa il discorso era caduto su l'importanza e l'efficacia della
comunione frequente per l'emendamento della vita, massime nei giovani,
e per il loro avviamento alla perfezione. Don Bosco, rivolto al Vescovo,
esclamò d'un tratto: - Sta lì il gran secreto! - Il che
proferì con voce fievole, ma con tale accento di fede e di amore,
che lo commosse vivamente, com'egli raccontò anche a Don Rua.
Egli si allontanò dall'Oratorio recando in cuore la consolante
certezza che le tante preghiere non erano state vane; ma per altro ignorava,
come in un primo tempo l'ignorarono anche i Superiori, perchè
Don Bosco avesse così da sera a mattino cambiato sentimento.
Il solo Don Viglietti e poi monsignor Cagliero erano a parte del segreto.
Don Viglietti la mattina dell'Immacolata, andato da Don Bosco per leggergli
qualche cosa dall'Unità Cattolica, erasi sentito dire: - Prendi
penna, calamaio e carta e scrivi quello che ti detto. E dettò:
“ Parole letterali che la Vergine Immacolata, apparsami questa
notte, mi disse: “Piace a Dio ed alla Beata Vergine Maria che
i figli di S. Francesco di Sales vadano ad aprire una casa a Liegi in
onore del Santissimo Sacramento. Qui incominciarono le glorie di Gesù
pubblicamente, e qui essi dovranno dilatare le medesime sue glorie in
tutte le loro famiglie e segnatamente tra i molti giovanetti che nelle
varie parti del mondo sono o saranno affidati alle loro cure”.
Il
439
giorno dell'Immacolato Concepimento di Maria 1887 ”. Qui fece
punto. Dettando piangeva e singhiozzava; la commozione lo scosse anche
dopo. Quando lo vide calmo, Don Viglietti riprese il giornale; ma, cominciato
a leggergli un articolo sui Missionari partiti per l'Equatore, non potè
continuare, perchè, parlandosi ivi di Maria Ausiliatrice che
proteggeva i Salesiani, il pianto fece nodo a Don Bosco e lui pure soffocavano
le lacrime. Nel diario osserva: “ Son momenti solenni, straordinari...
Bisogna provare per poterne avere idea, quando è Dio che parla
”.
In quella ecco entrare monsignor Cagliero. Don Bosco invitò Don
Viglietti a leggergli le parole del Cielo. Monsignore trasecolato tacque
alcuni istanti; poi disse: - Anch'io ero di parere contrario; ma adesso
è venuto il decreto. Non c'è che fare. - Si stabilì
intanto di non dirne nulla al Vescovo di Liegi, ma di dargli semplicemente
il consenso e solo più tardi, a cose incamminate, fargli sapere
il motivo che aveva spinto Don Bosco a quella conclusione. Allora fu
che Don Bosco pronunziò la nota sentenza: - Finora abbiamo camminato
sul certo. Non possiamo errare; è Maria che ci guida.
I fatti non tardarono a dimostrare che davvero la Madonna voleva quella
casa nella città del Corpus Domini; il Vescovo, come narrò
a monsignor Cagliero suo ospite verso la fine del 1888, ne ebbe una
luminosa prova. Ritornato alla sua diocesi, monsignor Doutreloux si
diede d'attorno per tirar su l'edifizio. Il terreno adatto c'era, ma
costava l'osso del collo. Monsignore chiamò a sè il proprietario
per indurlo a esigenze più oneste. Colui, saputo che si trattava
dell'opera di Don Bosco, consentì di cederlo per cinquantamila
franchi, ma in rogito. - Se conviene in questo, continuò, facciamo
venire il notaio e stipuliamo anche subito il contratto. - Il Vescovo,
era ben contento della somma richiesta; ma, non avendo i cinquantamila
franchi, pregò di aspettare fino a sera. Licenziato quel signore,
si chiuse in preghiera dinanzi al Santissimo Sacramento. Al tramonto
ecco giungergli in palazzo un
440
parroco della sua diocesi e dirgli che è venuto per portargli
una somma da parte di una persona che non vuol essere nominata, ma desidera
che egli la impieghi in un'opera di beneficenza a lui nota.
- Oh, ne abbiamo tante in diocesi! rispose. C'è quella dei poveri,
c'è quella...
- No, no, Monsignore, interruppe l'altro. Quella persona desidera che
il suo danaro vada in un'opera speciale che Vostra Eccellenza abbia
tra mano. Badi che la somma è rilevante,
- Quant'è? Sentiamo.
- Cinquantamila franchi.
- Oh, date, date qui. E, il Signore che vi ha mandato.
Prese, andò egli stesso dal proprietario del terreno e un'ora
dopo il contratto era fatto e sborsato il pagamento.
Molto a Liegi si parlava della prossima fondazione, moltissimo di Don
Bosco. Dopo il ritorno del Vescovo un industriale di Liegi durante un
suo viaggio in Italia volle visitare l'Oratorio. Le sue impressioni
si leggono in una corrispondenza del 23 dicembre da Firenze alla Gazette
de Liège (I). Egli ebbe la fortuna di poter vedere Don Bosco
prima che egli si mettesse in letto per non più rialzarsi. Lo
presentò Don Durando. “ Vidi, scriveva, vidi con commozione
un venerando vegliardo seduto sopra un logoro sofà, curvo sotto
il peso degli anni e delle fatiche d'un lungo apostolato. L'esaurimento
delle forze non gli permetteva più di reggersi in piedi; ma sollevò
il capo che teneva chino e io potei vedere i suoi occhi alquanto velati,
ma pieni ancora d'intelligente bontà. Parla bene il francese.
Aveva lenta la voce e mostrava un certo sforzo; pure esprimeva con notevole
limpidezza il suo pensiero. Mi accolse con cristiana semplicità,
dignitosa insieme e cordiale. Mi sentii profondamente commosso al vedere
come un vecchio quasi moribondo e assediato sempre da visitatori, ab
-
(I) App., Doc. 8 5.
441
bia per quanti lo avvicinano un interessamento così amorevole
e sincero ”. Il Santo gli parlò con ammirazione di monsignor
Doutreloux, encomiandone lo zelo per la classe operaia.
Monsignore trepidava per la vita di Don Bosco. Essendosi nel corso della
malattia diffusa la notizia di un improvviso miglioramento, scrisse
a Don Rua (I): “ Sia lodato Dio e mille volte ringraziata la Madonna
Ausiliatrice! I giornali parigini ci hanno portato oggi il benedetto
di Lei telegramma con l'annunzio che il nostro santo e amatissimo Don
Bosco è fuori di pericolo! Io ne godo come se si trattasse di
mio Padre. Di questo, nessuna meraviglia, perchè da lungo tempo,
ma soprattutto dopo il mio viaggio a Torino io mi sento più vivamente
che non saprei esprimere, della famiglia salesiana. Don Bosco stesso
mi diede il diploma di adozione con termini di una carità che
non dimenticherò giammai. Gli dica tutta la mia contentezza e
gli porga i miei rallegramenti e voti ”.
Il 21 gennaio mandò a Torino l'architetto Hellepute, professore
nell'Università cattolica di Lovanio, al quale pensava di commettere
la costruzione del progettato edifizio, affinchè visitasse case
e opere salesiane per formarsi una giusta idea del suo cómpito.
Raccomandandolo a Don Rua, gli diceva (2): “ Oso chiedere per
questo modello di cristiano il favore di essere ammesso alla presenza
di Don Bosco per riceverne la benedizione ”. Ma al suo giungere
le condizioni di Don Bosco si erano fatte oltremodo gravi.
Morto Don Bosco, monsignor Doutreloux concentrò in Don Rua la
devota affezione professata verso il Santo. Dovendo andare a Roma, gli
annunziò una fermata a Torino per vederlo, aggiungendo (3): “
Ho intenzione di fare una visita alla tomba del nostro tanto amato e
compianto Don Bosco ” .
(I) Liegi, 2 gennaio 1888.
(2) Liegi, 21 gennaio 1888.
(3) Liegi, 25 marzo 1888.
442
Nulla faceva per l'erigendo istituto senza consultarlo. Ritenne sempre
per fermo che l'opera di Liegi avrebbe avuto un magnifico avvenire (I).
Nel maggio del 1890 Don Rua si recò a Liegi. Si vide allora pienamente
in qual concetto Monsignore avesse il Successore di Don Bosco; poichè
scrisse a Don Durando (2): “ Debbo dirle quanto egli ci abbia
edificati con le sue belle maniere unite alle virtù interne?
Le sue parole così piene di unzione e di pietà e la sua
fisionomia così soave gli guadagnavano i cuori di tutti. Io non
saprei benedire abbastanza la Provvidenza che ci abbia procurato la
presenza di lui alla benedizione della prima pietra dell'Orfanotrofio
S. Giovanni Berchmans ”.
Con i figli di Don Bosco mandati a Liegi e poi con i loro artigianelli
ebbe sempre tenerezze paterne. A ricordo del giorno in cui Don Bosco
aveva accolta la sua domanda, festeggiava con essi ogni anno l'Immacolata
Concezione. Per essi riserbava una preghiera speciale nel ringraziamento
della Messa e nelle orazioni della sera. Ritornando da viaggi, la sua
prima visita era all'orfanotrofio; ricevendo persone ragguardevoli,
le conduceva a vederlo. Il noviziato di Hechtel, aperto nel 1896, dovrebbe
tener vivo il ricordo della carità di sì esimio Prelato,
mostrata specialmente nei primi tempi che furono i più duri.
Volle accompagnarvi in persona i primi novizi e ben quattro volte li
visitò in cinque anni; poichè morì nell'agosto
del 1901. Era Hechtel un modesto villaggio, che ab immemorabili non
aveva visto Vescovi. Una volta scrisse al direttore Don Tomasetti espressamente
per raccomandargli di non accostare ai muri ancor freschi i letti degli
ascritti. Si compiaceva di ripetere: - Don Bosco mi ha promesso che
i Salesiani, sei anni dopo il loro arrivo a Liegi, si sarebbero triplicati
nel Belgio. - I Salesiani vi andarono nel 1891; nel 1897 le loro case
erano tre, essendosi aggiunte alla casa di Liegi quella di Tournai e
la menzionata di Hechtel.
(I) Lett. a Don Rua, Liegi 8 aprile 1889.
(2) Liegi, 15 maggio 1890
443
CECOSLOVACCHIA.
Non abbiamo fondazioni da registrare per la Cecoslovacchia; soltanto
intendiamo utilizzare alcune informazioni per segnalare quali furono
i primi germi, da cui sbocciò l'odierna fioritura di opere salesiane
nella giovane Repubblica. Questi germi caddero primamente, e lentamente
si schiusero, nella Boemia durante la vita di Don Bosco.
La Boemia, che faceva parte dell'Impero Austroungarico, vanta una lingua,
una letteratura e una storia sua propria. Dopo il 1880 cominciò
a venir funestata dal dilagare del naturalismo nell'educazione della
gioventù. I buoni non istettero inoperosi, ma reagirono con tutti
i mezzi legali. Per questo è notevole il fatto degli scrittori
cattolici, che, raggruppati intorno alla Rivista Vlast (La Patria),
combattevano strenuamente gli errori pedagogici dei loro avversari.
Vi comparivano con frequenza articoli di educatori, preoccupati di cercare
efficaci rimedi ai mali della propaganda anticristiana, massime tra
i figli del popolo. Per un ambiente così predisposto le prime
notizie di Don Bosco giunsero in buon punto.
La prodigiosa attività del santo educatore italiano richiamava
sempre più l'attenzione delle persone colte. È del 1882
un primo opuscolo su la vita e le opere di Don Bosco; ne era autrice
una maestra di scuola a Smichov, sobborgo di Praga (I). Nel 1885 essa
rimaneggiò il lavoro, ne fece un'edizione di miglior formato
e vi premise il ritratto del Servo di Dio inginocchiato dinanzi a una
statuetta di Maria Ausiliatrice con facsimile autografico dell'invocazione:
Maria, Auxilium Christianorum, ora Pro nobis. Dedicò il libro
a Maria Riegrová, presidentessa d'un comitato di signore che
si prendevano cura degli ospizi e giardini d'infanzia a Praga (2).
(I) BARBARA PAZDERNÍKOVÁ, Krestanskè (L'opera
della carità cristiana). Praga, 1882.
(2) Il titolo è identico al precedente. Il volumetto ha dieci
pagine in più.
444
Il Vlast, che scrisse poi sovente di Don Bosco, recensì con
simpatia la prima edizione (I). Anche altri periodici ne diedero lusinghieri
giudizi.
In questo modo la conoscenza di Don Bosco si diffuse così largamente
non solo a Praga, ma anche in altri centri della Boemia, che, avvenuta
la morte di lui, alcuni giornali (2) ne parlarono come di un avvenimento
d'interesse mondiale. Nel 1889 il maestro Giuseppe Flekàcet pubblicò
la biografia di Don Bosco scritta in francese dal Du Boys e da lui tradotta
in boemo (3). Dalla Francia erano venute le prime informazioni su Don
Bosco, non dalla prossima Austria; poichè ideologicamente la
nazione boema si sentiva molto più vicina alla francese. A fonti
francesi attingevano dunque i sullodati scrittori, nei quali tutti predominava
la tendenza a mettere in valore soprattutto le scuole professionali,
come le aveva organizzate Don Bosco.
Questa letteratura, diremo così, salesiana, influì a produrre
contatti diretti di cittadini boemi con Don Bosco; notevole soprattutto
fu la visita del sacerdote Giuseppe Kousal. Egli nell'estate del 1887
venne a Torino, mandatovi dal Governo di Rieger per studiare da presso
il sistema salesiano. Veramente non ci sembra che quegli fosse il più
indicato per tale missione, poichè, come cappellano di un riformatorio,
avrebbe cercato piuttosto un metodo educativo atto a riabilitare poveri
giovani traviati. Infatti, presentatosi a Don Bosco nel collegio di
Lanzo ed espostogli lo scopo della sua venuta, vide che il Santo lo
guardò in atto di meraviglia e poi si sentì dire: - Lei
è stato male informato. Noi abbiamo giovani poveri e abbandonati,
non giovani delinquenti. Per questi c'è uno stabilimento statale,
detto la Generala. Vada là, se crede.
Queste parole non lo distolsero dal visitare l'Oratorio; ma
(I) An. I, num. 9 (1884).
(2) Prarskè veceruí noviuy (Il giornale della sera), 25
gennaio e 8 febbraio 1888; Lidové lisky (Il Foglio popolare)
del I° aprile.
(3) Uscì a puntate nel Vlast, ann. 1888 - 9.
445
non ne comprese menomamente lo spirito. Per un funzionario avvezzo
al burocratismo austriaco ci sarebbe voluto altro che un'occhiata fugace
per formarsi un'idea dell'Oratorio ossia della pedagogia di Don Bosco,
fatta di filiale confidenza e di santa libertà! L'Oratorio, a
quanto sembra, gli parve il colmo dell'utopia; tanti ragazzi insieme
non potevano, secondo lui, essere sufficientemente curati e tenuti in
disciplina. Nella sua relazione però c'era questo di buono, che,
facendovi un confronto fra l'Oratorio e la Generala, egli dichiarava
regnare nella casa di Don Bosco la carità, mentre nella casa
del Governo non si vedeva se non “ umanità massonica ”
. Aggiungeremo qui a onor del vero che il Kousal più tardi, meglio
informato, portò ben altro giudizio; anzi nel 1934 scrisse del
novello Santo con maggior comprensione e con alte lodi.
Un altro cecoslovacco avvicinò Don Bosco; ma è un fondatore
di Congregazione religiosa. Intendiamo parlare del Padre Clemente Petr,
nativo di Sušici. Ordinato sacerdote nel 1880, lo tormentava il
dubbio se dovesse o no abbracciare la vita religiosa. Per quanto pregasse,
non si faceva luce nel suo spirito. Chiese dunque a Dio la grazia d’incontrare
un uomo di consiglio che gli rischiarasse la mente. Nel 1886 un pellegrinaggio
di preti boemi si dirigeva alla Città Eterna. Si unì ad
essi. A Roma ottenne udienza privata da Leone XIII, che, uditolo: -
Andate, figlio mio, gli disse, educate alunni al santuario. - Egli che
era vicerettore del seminario grande, intese nella parola del Vicario
di Gesù Cristo la voce di Dio. Visitò nel ritorno Don
Bosco e osservò minutamente i suoi istituti torinesi, donde gli
nacque l'idea di fondare qualche cosa di simile nella sua patria a favore
della gioventù e per l'educazione del clero. Gli parve che questo
volesse Dio da lui. Nonostante l'opposizione di conoscenti e di amici,
rinunziò all'ufficio che teneva, prese con sè alcuni giovanotti
e gettò le basi della Congregazione denominata dei Fratelli del
Santissimo Sacramento, volendo che i suoi membri santificassero se stessi
e gli altri anzitutto con una fede grande e
446
un vero amore all'Eucarestia. Anche il padre Petr sperimentò
quanto costi fondare una Congregazione; ma in mezzo alle lotte e alle
pene gli giunse confortatrice la parola di Don Bosco. Verso la fine
del 1887 uno studente di teologia, mandato da lui a Don Bosco per chiedergli
consiglio sulla fondazione di detta Congregazione, ne riportò
la seguente risposta: - Egli cominci; Maria Ausiliatrice farà
il resto. - Infatti, superati felicemente gli ostacoli, ebbe la consolazione
di veder stabilita sopra solide basi la sua religiosa famiglia (I).
Anche un sacerdote slovacco, Giovanni Boll, dell'archidiocesi di Ostrihon
(città oggi annessa all'Ungheria col nome di Esztergom) comunicò
con Don Bosco. Ricevuto il presbiterato nel gennaio del 1883, temeva
di essere ben presto messo fuori di combattimento, abbandonando il ministero
pastorale per motivi di salute. Non era mai stato bene durante gli anni
di seminario; ma allora si sentiva molto peggio. Travagliato da sì
tristi pensieri, lesse le meraviglie che si scrivevano di Don Bosco
nel suo viaggio a Parigi. Questa lettura gli fece viva impressione,
tanto che pensò di raccomandarsi alle sue preghiere. Gli scrisse
dunque in giugno, esponendogli le sue penose condizioni e implorandone
l'aiuto. Don Bosco per tutta risposta gli mandò un'immagine di
Maria Ausiliatrice con questo suo autografo: Maria sit tibi auxilium
in vita, levamen in periculis, solamen in morte, gaudium in coelo. Mariam
cogita, Mariam invoca. Ieiunium et oratio valde tibi proderunt. Taurini,
23 iunii 1883. Ioh. Bosco sacerdos. Ricevere, leggere e non patir più
i soliti incomodi fu una cosa sola. Fece da parroco in diversi luoghi
della Slovacchia, da ultimo a Závod presso Bratislava, dove morì
il 24 dicembre 1934 in età di 75 anni. Tenne carissima l'inviatagli
immagine, che custodì sempre nel Breviario, considerando le parole
del Santo come un programma di vita.
(I) Cesley lidumil a apostol mládeze P. Klement Petr (Un czeco
filantropo ed apostolo della gioventù K. P.). Nella collezione
Tivotem (Attraverso la vita).
447
INGHILTERRA.
La prima casa salesiana in terra inglese fu aperta nel 1887; ma il
primo desiderio di possederne una risale al 1876. La contessa Irene
Dzierzkrai Moracoska del Granducato di Posen, andata sposa a Carlo de
la Barre Bodenham della Contea di Hereford, aveva il marito gravemente
infermo. Nella speranza di ottenerne la guarigione scrisse a Don Bosco.
Il tenore della sua lettera rivela com'essa lo conoscesse più
che superficialmente (I) Gli chiedeva dunque preghiere, manifestandogli
l'intenzione di promuovere a Londra l'apertura di una casa salesiana,
se venisse esaudita. “ La sua opera ci sta sempre e più
che mai a cuore, diceva, e noi speriamo di vederla stabilita a Londra
prima di morire; forse siamo già in via di riuscirvi, se otterremo
la grazia, per cui la supplico di aiutarci ”. Ma il marito le
morì nel 1880 (2). I tempi non erano ancora maturi.
Un'altra mossa venne dalla Conferenza londinese di S. Vincenzo de' Paoli.
Come a Buenos Aires, a Parigi e altrove, così anche a Londra
la Società Vincenziana, sempre a contatto con le miserie sociali,
sperò il concorso di Don Bosco in favore della gioventù
povera e abbandonata. Gliene fu scritto a nome del Consiglio Generale
dal segretario Gualtiero Hussey Walsh il 21 gennaio 1884. Questi conosceva
Don Bosco dal 1877, nel qual anno con il conte e la contessa di Denbigh,
col signor Lane Fox e con la signorina Fitz Gerald l'aveva visitato
a Torino (3). Il 13 marzo del 1878 parlò di lui e della sua istituzione
in un'adunanza che si teneva alla presenza del cardinale Manning. Nel
gennaio poi del 1884 Lady Herbert of Lea pubblicò sul medesimo
argomento un articolo
(I) App., Doc. 86.
(2) La Contessa non ebbe prole. Il titolo di Bodenham e le terre passarono
al conte Lubienski, grande ammiratore di Don Bosco e buon cooperatore.
(3) Cfr. vol. XVII, pag. 179.
448
nel Month, terminando con l'affermare che Don Bosco le aveva espresso
il desiderio di fondare una sua casa a Londra. Nello stesso mese il
sullodato Segretario richiamò su quell'articolo l'attenzione
del Consiglio e ne scrisse anche all'infermo assistente ecclesiastico
padre Lord Douglas Hope, il quale gli rispose dicendosi contentissimo,
se Don Bosco fosse andato a Londra. Non basta. Il signor Dudley Leathley,
membro onorario del Consiglio, tornato pochi giorni innanzi dall'Italia,
dove con un amico aveva visitato Don Bosco, riferiva aver questi pronunziato
parole incoraggianti per una fondazione a Londra. Ecco dunque le circostanze
che avevano consigliato d'indirizzare a Don Bosco l'accennata lettera.
Tutte quelle circostanze animavano a sperare una buona risposta. C'era
tanto bisogno di chi aiutasse a soccorrere la gioventù povera
di Londra! “ Al presente, scriveva il signor Walsh, noi ci troviamo
con un solo asilo per la gioventù operaia in questa città
di quattro milioni d'anime, perchè soltanto Lord Douglas raduna
gli operai cattolici. Esisteva un nostro Patronage diretto dai Fratelli
della Carità di Gand; ma questi religiosi se ne sono andati e
la casa è chiusa ” . La costoro partenza era stata determinata
da mancanza di mezzi per vivere e da intrighi d'influenze occulte. Don
Bosco scrisse in capo alla lettera: “ Don Durando ne parli ”
. Intendeva dire in Capitolo; ma i verbali tacciono.
Si riparlò della cosa nel 1886 davanti al Consiglio della Società
Vincenziana e nel resoconto a stampa del medesimo anno tre fitte pagine
riassumono la storia della vita e delle opere di Don Bosco, chiudendosi
con l'asserzione che quel sistema si sarebbe potuto utilmente introdurre
nella Gran Bretagna e nell'Irlanda. L'esperienza confermò il
giudizio per entrambe queste due parti del Regno Unito, ma bisognò
dar tempo al tempo.
Ci piace che vi sia motivo di non trascurare del Regno Unito neppure
la terza parte. Dalla Scozia l'anno stesso in
449
cui s'andò a Londra, partì un invito. L'Arcivescovo di
Glasgow, monsignor Eyre, essendovi molti Italiani nella sua città,
avrebbe voluto un prete salesiano che se ne prendesse cura, tanto più
che i loro figli venivano insidiati nella religione dai protestanti.
Scrivendone a Don Bosco, ricordava con piacere d'essersi già
incontrato con lui a Roma e che un signor Monteith di Carstairs sperava
sempre di potergli introdurre nell'archidiocesi la pia Società
Salesiana. Don Bosco, fattasi fare la traduzione della lettera, vi scrisse
sopra: “ Don Rua ne parli seriamente ”. Voleva dunque che
se ne facesse un serio esame in Capitolo. Don Rua diede lettura della
domanda nella seduta del 30 novembre; ma si dovette rispondere negativamente,
non permettendo le Regole di lasciare Salesiani così isolati.
Si promise però all'Arcivescovo che gli si sarebbe cercato un
buono e zelante sacerdote secolare; sperarsi intanto di aver presto
personale di lingua inglese per aprire un orfanotrofio anche a Glasgow
o in altra città dell'archidiocesi (I).
Quando all'accettazione della casa di Londra mancavano appena alcune
formalità, un consiglio autorevole avrebbe avuto forza di sconvolgere
i piani, se Don Bosco, prudente nel deliberare, non fosse stato anche
fermo nell'eseguire. Monsignor Giovanni Butt, vescovo di Southwark,
da cui doveva dipendere la futura casa, compieva la visita ad limina
nel maggio del 1887. Sentito che Don Bosco trovavasi a Roma per la consacrazione
della chiesa del Sacro Cuore e che egli stava per accettare una casa
nel distretto di Battersea (2), si recò da lui per rimuoverlo
da quel disegno, allegando la povertà del luogo e l'impossibilità
di mantenervi anche un solo sacerdote. Al suo ritorno in diocesi uno
de' suoi preti, andato a riverirlo, si congratulò con lui che
avesse potuto trattare con un santo.
(I) La lettera, redatta in inglese da Don Redahan e firmata da Don
Bosco, si conserva negli archivi del collegio S. Pietro, Bearsden, Glasgow.
App., Doc. 87 A - B.
(2) Pron. Báttersi.
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- Con un santo?... E chi mai? gli chiese.
- Con Don Giovanni Bosco di Torino.
- Un santo quello? Sarà un santo, ma a modo suo, un uomo tenace
delle proprie idee. Sapete chi mi ha lasciato l'impressione di santo?
Il suo Vicario, Don Michele Rua. È un vero asceta. Mi ascoltò,
prese nota delle mie ragioni e mi assicurò che le avrebbe fatte
presenti al Capitolo. Ma quando mi accomiatai, Don Bosco, il quale appena
poteva reggersi in piedi, mi disse: “Monsignore, i Salesiani verranno
a Battersea. Lì avremo una chiesa grandiosa e vasti cortili.
Quella diverrà una delle grandi case della Congregazione".
Ma dove potrà Don Bosco trovare spazio per tutto questo? A meno
che vada nel giardino pubblico di Battersea!
Il sacerdote medesimo, al quale Monsignore faceva tali confidenze, Guglielmo
Cunnhigham, ne diede notizia all'ispettore salesiano Don Tozzi, visitando
i nostri confratelli di Battersea per congratularsi con loro della canonizzazione
di Don Bosco. Noi possiamo completare qui il suo racconto trascrivendo
alcuni periodi da un biglietto indirizzato da Don Rua a Don Durando
il 4 maggio 1887: “ L'affare della casa di Londra, scriveva egli,
è tanto avanzato che sarà difficile ritirarsi' senza fare
trista figura. Guarderemo tuttavia di ritardare quanto si può,
se non potremo far altro. Avvi qui il Vescovo da cui avremo da dipendere
colà e ieri dovetti fargli visita. Forse verrà egli pure
a visitare Don Bosco ”.
A onore di monsignor Butt aggiungiamo subito che, nonostante tutto,
quando vide arrivare i Salesiani, li accolse con paterna cordialità;
osservandoli poi all'opera, depose interamente le sue contrarie prevenzioni.
Un altro monsignor Butt, suo nipote e oggi Ausiliare di Westminster,
ha ereditato dallo zio un vivo affetto per i figli di Don Bosco.
Gioverà che diamo un'idea sommaria del luogo e dell'ambiente.
Il Tamigi divide la sterminata metropoli inglese in due parti; nella
sinistra è la sede arcivescovile di Westminster, nella destra
la vescovile di Soutwark. Appartiene a questa
451
il quartiere popolare di Battersea. Qui era stata eretta ai tempi di
Pio IX una parrocchia dedicata al Sacro Cuore di Gesù; ma dopo
breve tempo il parroco aveva abbandonato il posto senza che vi fosse
la possibilità di sostituirlo, sicchè la popolazione cattolica,
composta in gran maggioranza di operai irlandesi, rimase quasi priva
di assistenza religiosa. Per ricevere i Sacramenti doveva fare un lungo
cammino fino alla parrocchia viciniore; non parliamo poi della gioventù
e degli infermi. Ecco dove la Provvidenza chiamava i Salesiani.
Colei che più d'ogni altro si adoperò a farveli andare,
fu la contessa di Stackpool, già da noi menzionata più
volte e dimorante in Roma a Villa Lante. Anche quel grande amico di
Don Bosco che era l'arcivescovo Kirby, rettore del seminario irlandese
a Roma, caldeggiava con fervore la fondazione; con i suoi 85 anni si
recò tre volte a trovare Don Bosco nel 1887, instando perchè
rompesse gl'indugi. Il 12 maggio, avendo una buona notizia da dargli
e non potendo uscire, gli scrisse: “ Ieri ebbi l'onore di un'udienza
del Santo Padre, nella quale si degnò esternarmi la sua grande
soddisfazione e contentezza dell'aver V. S. accettata la cura della
chiesa di Londra della Sig.a Contessa di Stackpool. Io intendeva ciò
significarle oggi stesso a voce, ma un raffreddore che mi trattiene
a letto, mi priva di tal piacere, come ancora di assistere alla collaudazione
dell'organo ”. Già nel 1885 la Duchessa di Norfolk aveva
espresso a Don Bosco quanto le sarebbe piaciuto di vedere a Londra un
ospizio simile a quello che aveva dinanzi agli occhi; ma allora i confratelli
adatti attendevano ancora a ultimare la loro formazione.
La Contessa dunque, che aveva a tutte sue spese fatto erigere la cessata
parrocchia di Battersea, volendo ora ritogliere dall'abbandono quei
cattolici, non seppe escogitare di meglio che ricorrere a Don Bosco.
L'aveva veduto la prima volta nel 1881, rimanendo così colpita
che scriveva di lui (I):
(I) Londra, 29 novembre 1881., Non sappiamo bene se a Don Rua o al
conte Cays, mancando qualsiasi indicazione.
452
“ Ho ancora fresco in mente il suono della sua voce, le sue parole,
i suoi sguardi e la sua benedizione ”. Aveva compreso anche bene
la natura della sua opera; perciò riteneva che la presenza dei
salesiani in quell'estremità di, Londra, “ nido di miseria
e di vizi ”, fosse una vera benedizione per tanta povera gioventù
che viveva vagabondando pei prati.
Ma per ritornare le cose in pristinum si richiedevano più condizioni,
come il trasferimento della proprietà che era passata all'Ordinario,
la restituzione di molti arredi sacri e varie formalità canoniche
e legali. Per isbarazzarsi la strada, essa credette bene di umiliare
una supplica a Leone XIII. Stesone l'abbozzo, lo portò a Torino
in settembre, affinchè Don Bosco lo vedesse e gli facesse dare
buona forma italiana. Avuta nelle mani la nuova redazione, Don Rua la
ritoccò, rendendola definitiva (I). Sembra che Leone XIII abbia
agito per mezzo del cardinale Simeoni, prefetto di Propaganda.
Don Bosco, prima che partissero i Salesiani destinati a Londra, mandò
sul posto Don Dalmazzo, perchè s'informasse de visu sullo stato
delle cose. L'aspettazione di questo suo inviato generò una confusione,
quasi che stesse per arrivare Don Bosco in persona; la qual voce suscitava
una sì crescente attesa, che bisognò opporvi una pubblica
smentita (2). Don Dalmazzo il 9 ottobre era a Londra, ospite dell'abate
Galeran, francese di origine, ma naturalizzato inglese e rettore di
una chiesa nelle vicinanze di Battersea, cioè a Wandsworth. Questi
in una lettera del 15 ottobre a Don Bosco gli descriveva così
l'ambiente, dov'erano aspettati i suoi figli: “ Questa nobile
terra inglese vedrà più tardi la grazia grande fattale
da Maria Ausiliatrice. È incalcolabile il numero dei fanciulli
poveri, vagabondi e abbandonati negli angoli di questa immensa Babilonia.
Lo zelo del clero inglese non ha l'e -
(I) App., Doc. 88. Il documento è importante perchè contiene
la storia dei precedenti. Le aggiunte e modificazioni di Don Rua sono
da noi stampate in corsivo.
(2) In Catholic Press del 29 settembre.
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guale; ma gran parte della messe va perduta per mancanza di operai.
Le anime si perdono, perchè i pastori non possono bastare a tanto
lavoro. Padre mio, le anime che son costate tanto al nostro Salvatore,
gridano a lei e l'aspettano. Io non conosco a Londra un quartiere più
bisognoso di Lei che Battersea. Sono anche cappellano di un grande carcere,
nel quale molti passano sotto i miei occhi. Quante volte in cuor mio
ho invocato Don Bosco e i suoi figli! Ella, venerato Padre, non tarderà
a rallegrarsi d'avere in nome di Gesù Cristo preso possesso di
questa capitale, dove si commettono tanti peccati, dove tante anime
vivono nell'ignoranza e si perdono. Benedetti i piedi degli uomini che
vengono a noi nel nome di Colui che amava tanto i fanciulli! ”.
I Salesiani avrebbero ricevuto subito l'amministrazione parrocchiale
per il territorio che aveva antecedentemente costituita la parrocchia
del Sacro Cuore. Il Vescovo, conoscendo la volontà del Papa,
non solo non sollevò eccezioni, ma scrisse e parlò egli
stesso al parroco limitrofo, dalla cui giurisdizione si doveva staccare
nuovamente la zona anzidetta, invitandolo a cedere di buon grado ogni
cosa ai Salesiani, appena si presentassero. La chiesa, fatta costruire
dalla Contessa, era all'esterno di ferro e all'interno di legno. Sebbene
ve ne fossero altre simili, quella tuttavia nell'intenzione di lei sarebbe
stata provvisoria. Presso la chiesa sorgevano le scuole, queste in muratura,
belle, grandi e alte e frequentate da un duecento cinquanta fra bambini
e bambine. Un terreno circostante, munito di cinta, misurava 2500 metri
quadrati, area non piccola in Londra; vi si poteva fabbricare benissimo
col tempo una chiesa di grandi dimensioni con casa annessa e due cortili,
uno per interni e l'altro per esterni. Tutte cose che vollero degli
anni, ma che oggi vi sono. La massa della popolazione si componeva di
poveri operai; non mancavano però cattolici benestanti, disposti
ad aiutare i nuovi venuti. Una particolarità pur degna di nota
è che in quei paraggi aveva avuto i suoi giardini S. Tommaso
Moro, il quale
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dalla sua abitazione posta sull'altra riva del Tamigi, ogni mattina
d'estate dopo aver servito la Messa passava il fiume sopra una barchetta
propria e andava là in campagna a fare la colazione ed a ricreare
alquanto lo spirito (I).
Tre Salesiani destinati a Battersea partirono da Torino il 14 novembre.
Erano i sacerdoti Don Mac Kiernan, irlandese, parroco e direttore, e
Don Macey (2), inglese, viceparroco e catechista, e il coadiutore triennale
Rossaro. L'abate Galeran ne descriveva così l'arrivo (traduciamo,
come sopra, dal francese): “ Sono arrivati in piena foltissima
nebbia per portare la luce a Battersea. Al loro arrivo ci voleva un
grande spirito interiore per poter dire: Come sono belli i loro piedi!
Erano infangati sino alle spalle. Infine però trovarono con viva
sorpresa una casetta ben preparata e aggiustata. Il caro Rossaro attende
il sole; io gli ho promesso che fra qualche giorno lo vedrà.
Egli ha la fede, ma ha perduto la speranza ” (3).
Don Bosco aveva consegnato loro parecchie lettere di presentazione e
di raccomandazione. Una certamente non dovette mancare per il Vescovo,
benchè non ne abbiamo trovato menzione. Un'altra era per il Duca
di Norfolk e i lettori la possono vedere nel volume precedente (4).
Una terza per l'abate Galeran viene ricordata dal destinatario in una
a Don Rua (5), dove dice: “ Scrivo a Lei in risposta alla lettera
che il veneratissimo Don Bosco ebbe la degnazione di inviarmi ”.
Una quarta finalmente per il Console italiano in Londra era del tenore
seguente.
Ill.mo Sig. Console,
Mi permetto di presentare alla S. V. Ill.ma due miei allievi, uno irlandese
ed inglese l'altro: i loro nomi sono Edoardo Mac Kiernan e Carlo Macey:
istruiti in Italia e fatti sacerdoti, essi sono ora da me in -
(I)Lettere di Don Dalmazzo a Don Bosco, Londra 15 e 21 ottobre 1887.
(2) Pron. Mési con la s aspra come in sì.
(3) Lett. a Don Rua, Londra 22 novembre 1887.
(4) Vol. XVII, pag. 524.
(5) Londra, 22 novembre 1887.
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viati a Londra per reggere la parrocchia di Battersea che Si volle
affidare alla cura della Società Salesiana e vedranno di occuparsi
anche a procurare il benessere morale della gioventù inglese
e specialmente della povera gioventù italiana domiciliata in
detta parrocchia e nelle altre parti di Londra. Io perciò li
raccomando vivamente alla protezione della S. V. Ill.ma onde possano
compiere in pace e con molto frutto la loro missione.
In tale fiducia le presento fin d'ora i miei cordiali ringraziamenti
ed i più rispettosi miei ossequi, mentre mi onoro professarmi
con alta considerazione
di V. S. Ill.ma
Torino, 14 novembre 1887.
Obbl.mo Servitore
(firmato) Sac. GIO. BOSCO.
Si può arguire da quanto abbiamo visto qui sopra, di quanto
aiuto fosse l'abate Galeran ai nostri confratelli in quei duri inizi.
La domenica 20 novembre essi lo pregarono di venirli a presentare alla
popolazione in nome di Don Bosco. Egli, sebbene avesse già predicato
quattro volte nella giornata, non seppe dire di no, ma predicò
una quinta volta a tarda sera con fraterno affetto. Due giorni dopo,
scrivendo a Don Rua, esclamava: “ Ecco dunque i Salesiani navigare
a gonfie vele! Li lascino fare! ”.
Don Dalmazzo aveva preso commiato dall'ospite il mattino avanti. “
La mia casa, scriveva l'abate (I), non è più quella. È
divenuta un deserto dopo la sua partenza, perchè io lo considerava
come un amico dì lunga data, in compagnia del quale mi tornava
più dolce il lavorare alla maggior gloria di Dio. Infatti la
mia canonica era casa salesiana con la perfetta unione dei cuori, ma
imperfettissima di lingua. Non abbiamo mai capito meglio che cosa fosse
la confusione di Babele. Don Dalmazzo faceva del suo meglio per parlare
inglese, condannato al silenzio nonostante il suo ardire. I miei viceparroci
ignoravano affatto il francese e peggio ancora l'italiano. Io poi son
divenuto talmente inglese, che le mie orecchie non afferrano più
il suono di una lingua che inglese
(I) Lett. cit.
456
non sia. Però con l'aiuto di Dio abbiamo passato giorni felici
col Procuratore Generale, vero figlio di Don Bosco ”.
Nei primi mesi quei nostri confratelli navigarono, sì, ma non
proprio a gonfie vele, come diceva l'abate Galeran. Venti contrari e
scogli pericolosi misero in pericolo la loro fragile navicella. Buon
per essi che non si perdettero d'animo. A dispetto delle contrarietà,
del bene se ne faceva. Sentiamo ancora una volta il nostro buon testimonio
(I). “ Oggi sono venuti tutt'e tre a pranzo da noi. Li abbiamo
trattati puramente all'inglese. I principi di Battersea hanno le loro
difficoltà e i loro scoraggiamenti. C'è sempre l'orto
degli ulivi, poi la crocifissione e dopo la risurrezione. Ma certe difficoltà
bisogna lasciare che si appianino da sè come possono: il tempo
mette le cose a posto, e il tempo è nelle mani di Dio. In fin
dei conti i due sacerdoti hanno fatto già un gran bene. La vigilia
di Natale stettero in confessionale fino alle undici e mezzo di notte.
Il giorno di Natale alle sei Messe la loro chiesa era piena. Le comunioni,
specialmente di uomini, sono state assai numerose. Il popolo vuol bene
ai Salesiani e la loro predicazione gli piace ”.
Mentre questo volume sarà in macchina, si festeggerà dai
nostri Confratelli inglesi il cinquantesimo anniversario dell'andata
dei Salesiani a Londra. Quella prima casa, da cui si diramarono le molteplici
opere salesiane nel Regno Unito, ha avverato pienamente in sè
l'allegoria evangelica del granellino di senapa germogliato e cresciuto
in grande albero.
(I) Lettera a Don Rua, Londra 27 dicembre 1887.
CAPO XXI
Estremi bagliori crepuscolari.
SIAMO agli ultimi quattro mesi della tormentata esistenza di Don Bosco.
L'ottobre, il novembre e due terzi del dicembre li passò fuori
di letto. Ci voleva però tutta la sua forza d'animo per reggersi
così e occuparsi. Continuò a celebrare ogni giorno, finchè
potè, la santa Messa nella sua cappelletta privata, assistito
sempre da qualche sacerdote. Durante la giornata dava udienze, non levandosi
mai da sedere; e alla sera confessava due volte per settimana i giovani
delle classi superiori e quotidianamente i confratelli della casa che
andassero da lui per questo scopo. Una volta, discorrendo con Don Berto
di cose che riguardavano il bene dei giovani dell'Oratorio, gli disse:
- Fino a tanto che mi rimarrà un filo di vita, tutta la consacrerò
al loro belle e vantaggio spirituale e temporale. - Il medesimo Don
Berto, solito a confessarsi da lui, quando lo vide più abbattuto
e col respiro molto difficile, gli manifestò l'intenzione di
non andarci più per non cagionargli troppa fatica, lieto di prolungargli
così anche di un solo istante la vita. Don Bosco gli rispose:
- No, no, vieni pure; ho bisogno di parlarti. L'ultima parola che potrò
dire, la dirò per te.
Stentava sempre più a parlare e a respirare; tuttavia riceveva
ogni qualità di persone con la sua calma e serenità abituale.
Certe volte, non sentendosi in grado di secondare la conversazione,
distraeva i visitatori con scherzevoli inter -
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rogazioni. - Saprebbe indicarmi, diceva, una fabbrica di mantici? -
Quelli maravigliati chiedevano se avesse da far riparare qualche organo
o armonio. - Sì, rispondeva, ho l'organo qui del petto che non
vuol più funzionare; avrei bisogno di cambiarvi i mantici. Voglia
scusarmi se non posso parlare così forte e liberamente come dovrei.
- In questo modo senza dir parole di lamento lasciava comprendere il
suo stato e il perchè del suo misurato parlare.
Di tratto in tratto venivano Francesi a visitarlo. L'11 ottobre gli
fu presentato un signore di quella nazione soggetto ad alienazioni mentali,
che per altro gli lasciavano intervalli di tranquilla lucidità,
nei quali aveva piena coscienza del proprio stato. Il Santo consigliò
di farlo tornare per assistere alla sua Messa, nella quale egli avrebbe
pregato per lui. Tornò, udì la Messa e potè anche
fare la comunione. Uscendo colui disse che gli pareva di essere completamente
guarito; anche Don Bosco alla signora sua parente che glie l'aveva condotto,
assicurò che la grazia era fatta.
Il giorno 13 comparve monsignor Grolleau, vescovo di Evreux, venuto
espressamente all'Oratorio per ottenere da Don Bosco l'apertura di una
casa salesiana nella sua diocesi. Se ne trattava già fin dal
1882. Monsignore avrebbe voluto cedergli un collegio con scuole secondarie,
costruito e amministrato da due fratelli preti a Neabourg, cambiandogli
però destinazione col sostituirvi scuole professionali ed agricole.
Il conte Carlo De Maistre, suo diocesano, l'amicissimo di Don Bosco,
aveva fatto da intermediario. La mancanza di personale non permise di
accogliere la domanda; ma il Vescovo, tocco della cortesia con cui si
era risposto al Conte, volle ringraziare direttamente Don Bosco, pregandolo
che non perdesse di vista la cosa. “ Da molto tempo, gli scriveva
(I), io conosco il suo venerato nome e le grandi opere che Dio le ha
concesso di compiere, e godo di potere al presente atte -
(I) Evreux, 7 giugno 1882.
459
starle la mia rispettosa simpatia ”. Un anno dopo tornò
a scrivergli per mezzo del Conte. Egli aveva parlato col Santo a Parigi,
rimanendo d'accordo che si sarebbe aspettata l'ora della Provvidenza.
L'ora dunque gli sembrava scoccata. Il collegio non poteva più
tirare avanti; il Governo si mostrava disposto a farne acquisto per
istabilirvi una sua scuola professionale e agricola. Con lo Spirito
che predominava si prevedeva che tale istituto sarebbe diventato focolare
d'irreligione nel cuore della diocesi. Don Bosco scrisse sulla lettera
semplicemente: “ Don Durando conservi ”. Il che dimostra
com'egli non vedesse ancora la possibilità di accettare; infatti
dalle parole del Vescovo si argomenta che la situazione finanziaria
dell'ente era imbrogliata (I). Nè Monsignore stesso dovette,
essere di contrario avviso, poichè la corrispondenza si arrestò
fino all'ottobre del 1887 dopo la visita fatta a Don Bosco nell'Oratorio.
Rientrato in sede, il buon Prelato mandava un'offerta di cinquecento
franchi nella sua nuova qualità di cooperatore salesiano e per
ringraziamento dell'ospitalità ricevuta. Diceva: “ Godo
d'averla veduta, godo d'aver veduto le sue opere, godo della sua benedizione.
Che cosa sarà dei nostri disegni, io non so ma certamente, se
si manifesterà il divino volere, io con l'aiuto della sua grazia
e delle di Lei preghiere farò quanto dipenderà da me per
attuarli ”. Le lettere del Vescovo rivelano un cuor d'oro e uno
zelo veramente pastorale; ma egli dovette convenire che nelle condizioni
prospettate l'opera non offriva probabilità di riuscita.
In quel medesimo giorno Torino vide giungere dal Nord della Francia
un pellegrinaggio di Associazioni Operaie Cattoliche, guidato dal celebre
Leone Harmel e diretto a Roma per il giubileo sacerdotale di Leone XIII.
Si componeva di 953 persone, fra cui una cinquantina di preti. La divota
falange viaggiava su due treni. Il primo entrò nella stazione
di Porta Nuova alle ore diciassette e mezzo, nè tardò
molto
(I) Evreux, 4 giugno 1883.
460
a seguirlo il secondo. Don Bosco mandò alcuni Salesiani francesi
a salutare il capo della spedizione e a dirgli quanto gli rincrescesse
di non poter dare ai suoi pellegrini un'ospitalità che sarebbe
stata per lui un onore e una consolazione; ma essi erano tanti e l'Oratorio
non aveva locali sufficienti. Desiderando tuttavia mostrare quanto gli
fossero cari, si sarebbe recato da loro per congratularsi con essi della
pietà filiale che li conduceva ai piedi del Romano Pontefice
e per augurare buon viaggio. L'Harmel gradì la proposta e indicò
l'ora più conveniente.
I pellegrini si radunarono tutti per il pranzo nel ristorante Sogno,
che sorgeva nel magnifico parco del Valentino. Verso le 19 giunse ivi
Don Bosco, accompagnato da Don Rua. I Francesi lo circondarono subito
con un interessamento che lo commosse. Leone Harmel e l'assistente ecclesiastico
della Società di S. Vincenzo gli si posero ai fianchi, aiutandolo
a camminare. Egli si fermò dinanzi alla porta dell'albergo e
si sedette. Quando tutti gli operai, dentro e fuori, si trovarono riuniti
intorno a lui, li benedisse. Avrebbe voluto anche dire qualche cosa;
ma non aveva voce per farsi udire nemmeno dai più vicini. Invitò
quindi Don Rua a parlare in suo nome, Don Rua fu molto felice nel suo
breve discorso (I). Terminata l'allocuzione, ogni pellegrino, passando
davanti a Don Bosco e baciandogli la mano, ne riceveva in ginocchio
una medaglia di Maria Ausiliatrice e talora anche una parolina. Ai laici
ripeteva di quando in quando: - Maria Ausiliatrice vi protegga e vi
guidi fino al Paradiso. - Ai sacerdoti, di mano in mano che i loro piccoli
gruppi si rinnovavano, diceva: - Il Signore vi faccia la grazia di dargli
molte anime. - Un prete di Chartres gli disse che conosceva Don Bellamy.
Egli, trattenendolo un istante, gli rispose: - Ma allora, se Don Bellamy
è vostro amico, voi siete amico mio, perchè Don Bellamy
è mio grande amico. - I più gli deponevano
(I) Cfr. Bollettino francese di novembre 1887.
461
nella mano monete d'argento, ch'ei consegnava a Don Rua. Tanta venerazione
per Don Bosco da parte di quei cattolici francesi edificò profondamente
i torinesi che poterono esserne testimoni.
La dimostrazione però diede sui nervi ai così detti democratici,
che sfogarono il proprio malumore in un articolo intitolato: Furbo Don
Bosco! (I). Una vera sconcezza! Vi s'insultava il Papa, vi s'ingiuriavano
gli operai pellegrini, vi si vomitavano villanie contro “ il famigerato
taumaturgo di Valdocco ”. Mai le autorità avrebbero dovuto
lasciar impunita tanta inverecondia, che in fin dei conti disonorava
l'Italia di fronte allo straniero; ma tali erano i tempi, Don Bonetti
indignatissimo presentò una vibrata protesta alla Procura Generale
del Re; ma fece un buco nell'acqua.
Scrivendo di questo pellegrinaggio, un giornale francese (2) parlò
pure dell'incontro con Don Bosco. Rammentato come, un Vescovo di là
avesse chiamato poco prima Don Bosco Aquila della carità proseguiva:
“ Era ben naturale che fosse vivo negli operai francesi il desiderio
di vedere il grande e venerato amico dei figli dell'operaio stendere
per un istante le mani su di loro. Rispose a tale desiderio Don Bosco,
recandosi dov'erano gli operai della Francia, che, profondamente commossi
dinanzi al santo prete, ne ricevettero la benedizione e un ricordo ”.
Fino al 20 dicembre Don Bosco, quantunque si sentisse venir meno di
giorno in giorno le forze e soffrisse a stare in piedi, pure non permise
di essere servito in camera per le sue parche refezioni; quindi, aiutato
dal segretario, andava nel refettorio comune, ben sapendo quanto la
sua semplice presenza rallegrasse i Superiori. Più gaio del solito
si mostrava quando c'erano a mensa persone estranee, come non di rado
avveniva. Il 16 ottobre pranzarono con lui il barcellonese signor Marty
con tutta la sua famiglia, di cui dicemmo al -
(I) La Gazzetta Operaia, 15 ottobre 1887.
(2) L'Union Maluine et Dinannaise di St - Malo - Dinan, 23 ottobre 1887.
462
trove (I), e monsignor Sogaro con un suo sacerdote negro. L'apostolo
della Nigrizia dovendo partire per Roma, si alzò prima degli
altri da tavola, si prostrò col compagno ai piedi di Don Bosco
e ne volle la benedizione (2). Gli Spagnuoli partirono nella serata.
Per il 20 ottobre nella casa di Foglizzo si preparava la solenne vestizione
dei novelli ascritti. Quello che nessuno avrebbe osato domandare nè
sperare, Don Bosco lo fece con animo superiore a tutti i suoi incomodi
fisici: andò a compiere la cerimonia, accompagnato da Don Rua
e da Don Viglietti. Due ore e mezza fra treno e carrozza non furono
certo per lui un ricreamento. In collegio molti parroci e signori si
stimarono fortunatissimi di sedere alla sua mensa e di assistere alla
funzione. I giovani a cui diede l'abito, furon novantaquattro. Il mattino
seguente, invece di tornare senz'altro a T'orino, volle girare per S.
Benigno. Ve lo chiamava la gratitudine. Quel venerando parroco Don Benone,
vecchio di 93 anni, gli aveva sempre portato grande affetto e l'aveva
in più circostanze grandemente aiutato; intendeva quindi vederlo
ancora una volta prima di partire per l'eternità. La quale partenza
egli sentiva così prossima, che, allontanandosi da Foglizzo,
disse a Don Rua: - Un altr'anno io non verrò più; verrai
tu a fare questa funzione.
Nella pianura da percorrere, a mezza via fra Foglizzo e S. Benigno,
s'incontra il fiume Orco dal letto assai largo e petroso. Allora non
esisteva ponte, ma si traghettava in barca, se l'acqua era alta; altrimenti
bisognava guadare a piedi o in carrozza. Don Bosco dovette servirsi
della carrozza, che con i suoi trabalzi gli diede assai da soffrire.
L'intenzione era di scambiare solo poche parole con il parroco e quindi
continuare il viaggio; ma si dovettero fare i conti con lui, che nonostante
l'età possedeva ancora abbastanza energia da imporre i suoi voleri.
Lo tenne dunque seco a
(I) Cfr. sopra, pag. 381.
(2) Cfr. vol. - XVII, pag. 508.
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pranzo; al commiato si diedero appuntamento in Paradiso. Il Servo di
Dio giunse a Torino assai prostrato di forze. Fu l'ultimo suo viaggio
per ferrovia.
In una delle notti seguenti, com'egli narrò il 24 ottobre, vide
in sogno Don Cafasso, col quale visitò tutte le case della Congregazione,
comprese quelle d'America; vide le condizioni d'ognuna e lo stato d'ogni
individuo. Disgraziatamente gli mancarono le forze per raccontare i
particolari di quanto aveva veduto.
Era tornato momentaneamente da Roma Don Sala, mandato colà, come
dicemmo, per esaminare bene la situazione finanziaria. Don Bosco aspettava
di conoscere l'esito e le conseguenze di quella verifica. L'una e l'altra
cosa leggiamo riferita nei verbali di una seduta capitolare del 28 ottobre:
trecentocinquanta mila lire di debito; sospesi i lavori, tranne quelli
di due altari; proposta di contrarre un mutuo. Qualche sera dopo, nel
ritirarsi dal refettorio, sentendo menzionare quei debiti, si fermò
in capo alla tavola ed esclamò: - Oh questo è la mia morte!
I presentimenti della morte vicina non cessavano di affiorare nelle
sue brevi conversazioni. Da tempo Don Sala trattava per l'acquisto di
un terreno nel camposanto, dove dar sepoltura ai Salesiani che morissero
a Torino, ma non ne veniva mai a capo. Don Bosco lo stimolava a far
presto. Aggiústati, gli disse un giorno; se alla mia morte il
posto al cimitero non sarà preparato, mi farò portare
nella tua camera, e allora con questo arnese sotto gli occhi ti sbrigherai
a trovarlo. - Proferì queste ultime parole in tono così
piacevole che, nonostante la tristezza dell'argomento, fece sorridere
gli astanti. Don Rinaldi raccontava che un'altra volta, ribadendo la
medesima raccomandazione, si era espresso così: - Se non mi preparerai
un posto, mi avrai in camera tua per sei giorni. - Non proprio nella
camera di Don Sala, ma esattamente sei giorni la sua salma rimase sopra
terra e affidata a Don Sala nell'attesa dell'autorizzazione a tumularla
dove fu tumulata.
Una misteriosa parola disse pure, visitando il salesiano
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Don Luigi Deppert, gravemente infermo e munito già degli estremi
sacramenti. Andato a confortarlo, gli disse: - Fatti coraggio. Non tocca
a te questa volta; vi è un altro che deve prendere il tuo posto.
- Checchè egli abbia voluto significare con quest'ultima frase,
il fatto è che non solo Don Deppert si riebbe e Don Bosco fu
il primo a morire nell'Oratorio, ma, quando teneva il letto, essendo
troppo incomodo il suo per il servizio degli infermieri, venne adagiato
proprio nel letto che era già servito per il confratello risanato.
Coloro che più lo avvicinavano, non potevano non essere impensieriti
al vederlo così deperire e pel timore della sua non lontana scomparsa.
Egli che se n'accorgeva, si studiava da buon padre di confortarli, rassicurandoli
che la Congregazione non avrebbe a soffrire per la sua morte, che anzi
riceverebbe straordinario incremento. Per questo, quando non poteva
prendere le sue refezioni con gli altri, si faceva accompagnare egualmente
nel refettorio, dove scherzando cercava di tener allegri i suoi figli;
ma intanto li veniva preparando insensibilmente alla grande sventura.
Talvolta, sentendosi peggio del solito, vi si faceva spingere su d'una
seggiola a ruote e in mezzo a loro ascoltava, dava disposizioni, animava
tutti a confidare nella Provvidenza.
Il dì d'Ognissanti non potè discendere, come aveva sempre
fatto, in chiesa a recitare con i giovani il rosario per i defunti;
soddisfece però alla pia usanza recitandolo intero con i segretari
e con alcuni coadiutori radunatisi nella sua cappella. Tuttavia poche
sere dopo uscì a passeggio in carrozza con Don Viglietti. Questi
gli raccontava ridendo che un confratello soleva levare a cielo tutte
le altre Congregazioni religiose, tacendo sempre della salesiana o parlandone
con nessuna riverenza.. Don Bosco gli disse che, udendolo ancora venir
fuori con simili discorsi, gli rispondesse: Tamquam fera se ipsum devorans.
Anche il 15 novembre uscì, ma per andar a visitare uno dei medici
dell'Oratorio, il dottor Vignolo, che da più giorni era obbligato
al letto.
465
Verso la fine di novembre, una sera Don Lemoyne, andato a visitarlo,
gli discorreva della disciplina tra i giovani e domandava qual fosse
il modo migliore per rendere fruttuose le confessioni. Egli che parlava
a stento e con respiro affannato gli disse: - La notte scorsa ho fatto
un sogno.
- Vorrà dire che ha avuto una visione.
- Chiamala come vuoi, ma queste cose fanno crescere in modo spaventoso
la responsabilità di Don Bosco in faccia a Dio. È vero
però che Dio è così buono! - Così dicendo,
piangeva.
- Che cosa ha veduto in quel sogno? chiese Don Lemoyne.
- Ho veduto il modo di avvisare i giovani studenti e il modo di avvisare
gli artigiani; i mezzi per conservare la virtù della castità;
i danni che toccano a chi viola questa virtù. Stanno bene, e
a un tratto muoiono. Ah morire per il vizio! Fu un sogno di una sola
idea, ma come splendida e come grande! Io però, adesso non posso
fare un lungo discorso, non ho le forze per esprimere questa idea...
- Ebbene, riprese Don Lemoyne, non si stanchi. Prenderò nota
di quello che mi ha detto e altre volte le ricorderò a poco a
poco i punti accennati e mi spiegherà come crede il suo sogno.
- Fa' pure così. L'argomento è troppo importante e quello
che ho visto potrà servire di norma in tante circostanze.
Sventura volle che Don Lemoyne, non credendo vicina la sua morte e trovandolo
sempre stanco o assorbito da qualche lavoro, indugiasse a fargli le
interrogazioni che si era proposte, e così il buon Padre partì
per l'eternità senza dirgli più nulla.
Sull'andamento generale dell'Oratorio conferì con Don Cerruti
la sera del 4 dicembre, avendolo mandato a chiamare espressamente verso
le diciotto e mezzo. Appena Don Cerruti fu nella sua camera, Don Bosco
gli disse: - Non ho nulla di grave; solo desidero che discorriamo un
poco e che tu
466
m'informi interamente sulle cose della casa. - Queste parole colpirono
Don Cerruti, tanto più essendo la prima volta che dopo il suo
trasferimento a Torino Don Bosco interpellava lui direttamente su tale
oggetto. Il colloquio durò a lungo; le interrogazioni seguivano
alle interrogazioni e l'interrogato gli rese conto di tutto. Fra le
altre cose il Santo gli confidò un suo dubbio. Sempre egli ci
aveva tenuto a che si concentrasse nelle mani di uno solo l'amministrazione
finanziaria dell'Oratorio, unificandosi in un medesimo ufficio le varie
casse di riscossioni e pagamenti. Orbene gli sembrava che Don Rua fosse
di opinione contraria. Don Cerruti potè disingannarlo, dimostrandogli
come il suo Vicario la pensasse identicamente e si sforzasse, benchè
ancora senza effetto, di rassettare in tal modo le cose.
Poi gli fece una raccomandazione. Abbiamo già accennato che Don
Belmonte, eletto Prefetto della Congregazione nel Capitolo generale
del 1886, in realtà era direttore dell'Oratorio, mentre continuava
Don Durando ad esercitare quell'ufficio. Un tal modo di procedere, finchè
viveva Don Bosco, poteva andare; ma egli sentiva che, scomparso lui,
ne sarebbero derivati inconvenienti. Insistette quindi perchè
al più presto si entrasse nella regolarità.
Finalmente gli chiese come stesse di salute; ma lo fece con un affetto
quasi più paterno del consueto. - Abbiti riguardo, gli disse
poi. Sono io Don Bosco che te lo dico, anzi che te lo comando. Fa' per
te quello che faresti per Don Bosco. - A tali parole Don Cerruti non
potè frenare la commozione. Egli allora lo pigliò per
mano dicendogli: - Coraggio, caro Don Cerruti!... In paradiso voglio
che stiamo allegri. La gracile fibra del Consigliere scolastico generale
giustificava queste apprensioni; le benemerenze straordinarie da lui
acquistatesi poi nel periodo di assestamento della Congregazione ci
spiegano abbastanza le paterne premure di Don Bosco.
Il fatto più notevole del mese di novembre fu una singolare
467
vestizione chiericale, in cui ricevettero da Don Bosco l'abito un polacco,
Vittore Grabelski, insignito di parecchie lauree; un ex - ufficiale
francese, Natale Noguier de Malijay; un giovanotto inglese che poi non
perseverò, e, dominante su tutti per statura fisica e posizione
sociale, il principe Augusto Czartoryski. Questi, strappato finalmente
il consenso del padre e venuto a Torino il 30 giugno, era dall'8 luglio
aspirante. I parenti s'illudevano che una velleità passeggiera
l'avesse spinto alla Congregazione e che quindi i primi disagi di una
vita così diversa dalla sua gli avrebbero fatto riprendere la
via del ritorno. È facile pertanto immaginare come restassero
al ricevere l'invito a una funzione che rappresentava un distacco, se
non definitivo, certo abbastanza profondo dal passato. Gli scrissero
chi pro chi contro. Il padre, a cui Augusto aveva parlato di una prova
che sarebbe durata diciotto mesi, trovò che era troppo presto
vestire l'abito ecclesiastico prima che ne fossero trascorsi neppure
sei; nondimeno da ultimo decise di venire a Torino. Ci venne con la
consorte, matrigna di Augusto, con i due fratellastri, una zia e il
medico di famiglia.
Perdurava in tutti la fiducia di ritrarlo dal suo divisamento; onde
per aver tempo di mettere in opera qualche tentativo, arrivarono alcuni
giorni prima della cerimonia, fissata al 24. Sommamente irritata si
mostrava quella zia a motivo del sospetto che pressioni si fossero esercitate
sul Principe malaticcio per fini interessati. Egli, accortosi delle
loro intenzioni, avrebbe voluto privarsi del piacere d'intrattenersi
con essi; ma si rimise al consiglio dei Superiori, che gli dissero di
trattare i suoi con tutto l'affetto. Quelli tirarono in campo ragioni
di cuore e ragioni d'interesse; in tali colloqui si ebbero momenti di
vera tragicità. Augusto però con dolcezza inalterabile,
ma con pari energia seppe difendere dal principio alla fine la propria
vocazione, sicchè i parenti terminarono con fare di necessità
virtù assistendo alla cerimonia.
Si svolse questa nella chiesa di Maria Ausiliatrice dinanzi
468
a gran folla attratta dalla notizia di sì interessante novità.
L'avrebbe compiuta volentieri il cardinale Alimonda, se non ne fosse
stato impedito. Don Bosco si avanzò lentamente nel presbiterio
con i quattro aspiranti. Dopo il canto del Veni Creator li invitò
con le parole del rituale a svestirsi dell'uomo vecchio per rivestirsi
dell'uomo nuovo e porse a ognuno le sacre divise da lui benedette. Poi
Don Rua, montato in pulpito e scelto per testo il versetto d'Isaia Filii
tui de longe venient, parlò come non avrebbe potuto meglio Don
Bosco stesso. La funzione si chiuse con il solenne Te Deum e la benedizione
eucaristica. I signori polacchi risalirono poi alle camere del Santo,
acclamati da tutti i giovani dell'Oratorio. Quando si accomiatarono
da Don Augusto, come dopo quel giorno venne chiamato fra noi il novello
chierico, lo fecero con signorile correttezza. Le nubi per altro non
erano punto dileguate. Il padre ritornò in seguito all'assalto,
ricorrendo perfino alla Santa Sede perchè si vietasse al figlio
di legarsi in perpetuo alla Congregazione; ma dello scuoterne la fermezza
non fu nulla (I).
Quella sera per lui sì lieta, prima di ritornare a Valsalice,
luogo del suo noviziato, Don Augusto andò a ringraziare il Santo,
il quale, benedicendolo, gli disse: - Oggi abbiamo riportato una bella
vittoria. Verrà giorno che lei sarà sacerdote e per volontà
di Dio farà molto bene alla Polonia.
L'ingresso di Don Augusto nella Congregazione determinò un moto
incessante e crescente di gioventù polacca verso la casa di Don
Bosco. Per munificenza del Principe s'ingrandì Valsalice con
un appartamento completo per accogliere quanti venivano, finchè
fu fondato a Lombriasco un collegio esclusivamente per loro. Si preparavano
così gli elementi che dovevano servire alla fondazione di collegi
e scuole professionali nella Polonia, dove oggi le opere salesiane grandeggiano
(I) Diamo in Appendice (Doc. 89) una nota importante di Don Lemoyne
sopra alcune vicende occorse in seguito a Don Augusto con la sua famiglia.
469
per numero e fioriscono per qualità in un modo che ha del prodigioso
(I). Quei confratelli vantano dei loro un Cardinale salesiano, l'eminentissimo
Augusto Hlond arcivescovo di Gniezno e Poznan, primate di Polonia.
Era sempre una festa per Don Bosco il rivedere suoi ex - allievi; ma
non minor gioia provavano questi riavvicinandolo. Il giorno dopo la
descritta vestizione ne venne uno affezionatissimo al suo Padre, il
signor Vincenzo Tasso, prete della Missione, che dal 1908 fu vescovo
di Aosta. Don Bosco l'ascoltò per circa mezz'ora; poi nel licenziarlo,
stringendogli la mano con tutto l'affetto del suo cuore, gli ripetè
tre volte quelle parole dell'Apostolo: Iam delibor, iam delibor, iam
delibor (l'ora del sacrifizio è vicina) (2).
Molto lo consolò quindici giorni dopo la visita di un altro ex
- allievo; pareva che ringiovanisse richiamando alla memoria i compagni
di lui, le avventure di quei tempi e specialmente la manifesta protezione
divina sulle opere allora appena incominciate. Quegli era stato l'anima
delle antiche passeggiate; è il fossanese Carlo Tomatis, del
quale Don Lemoyne parla più volte nei volumi terzo e quarto.
Giunto dinanzi a Don Bosco, erasi gettato in ginocchio, esclamando con
tenerezza: - Oh Don Bosco! oh Don Bosco! - Nè sul momento aveva
potuto dire altro. Il Santo lo invitò a ritornare con suo figlio
per passare nell'Oratorio la festa di Natale. Lo rivedremo verso quel
tempo.
Tornando dalla sua ultima passeggiata il 20 dicembre, mentre si faceva
per discendere dal corso Regina Margherita verso la chiesa di Maria
Ausiliatrice, uno sconosciuto fermò la carrozza. Era un buon
signore di Pinerolo, allievo dell'Oratorio nei primi tempi. Non è
a dire quanto il Servo di Dio lo incontrasse volentieri. Venuto a Torino
per affari, non
(I) Con quanta simpatia si guardasse già ai Salesiani da importanti
ambienti polacchi, si scorge da una lettera del gesuita Ladislao Czencz,
redattore della Pedakcya Missyi Katolikich di Cracovia, il quale prometteva
a Don Bosco di fare propaganda delle opere salesiane (App., Doc. 90).
(2) Lett. a Don Rua. Torino 4 febbraio 1888.
470
voleva andar via senza vedere Don Bosco, e sapendo che egli sarebbe
passato di là, lo aspettava in mezzo alla strada.
- Mio caro, gli chiese Don Bosco, come vanno le tue cose?
- Così così, rispose quegli; preghi per me.
- E dell'anima come stai?
- Procuro di essere sempre degno allievo di Don Bosco. Bravo, bravo!
Dio ti ricompenserà. Prega anche per me.
Ciò detto, lo benedisse; ma nel congedarlo aggiunse ancora: -
Ti raccomando la salvezza dell'anima. Vivi sempre da buon cristiano.
Molte lettere gli arrivavano ogni giorno dall'Italia e dall'estero,
massimamente dalla Francia, in risposta alla sua circolare del 4 novembre.
Quasi sempre contenevano offerte. I segretari tagliavano le buste, ne
estraevano il contenuto, ve lo sovrapponevano e poi gli presentavano
il tutto; così egli poteva con facilità prenderne visione
e indicare il tenore delle risposte. Alla signora Broquier, l'ottima
cooperatrice marsigliese, che gl'inviava una rilevante somma, volle
rispondere di proprio pugno.
Alla caritatevole nostra buona Madre Signora Broquier,
Ho ricevuto la caritatevole somma di fr. 500 pei nostri poveri missionari.
Dio vi ricompensi largamente. Eglino vanno volentieri a dar la vita
in mezzo ai selvaggi d'America, ma voi date la borsa; tanto gli uni
quanto gli altri servono al Signore, lavorano per guadagnare anime al
Cielo; ma chi lavora per salvare anime salva la sua propria.
Più ancora: chi fa limosina per salvare anime sarà ricompensato
con molta sanità e lunga vita. Ma diamo molto se vogliamo ottener
molto.
Col massimo piacere attendo Lei, suo marito, suo genero e figlia a fare
una visita a Torino nella prossima primavera. Faremo una bella festa.
Dio li benedica e li guidi fin qui.
Io non posso più nè camminare, nè scrivere, se
non malamente. L'unica cosa che posso ancor fare e che assai volentieri
faccio per Lei,
471
e per tutti i suoi vivi e defunti, si è di pregare ogni giorno
per loro affinchè le ricchezze, che sono spine, siano cangiate
in opere buone, ossia in fiori con cui gli angeli tessano una corona
che loro cingerà la fronte per tutta l'eternità. Così
sia.
Preghino anche per questo povero ma sempre loro
Torino, 27 nov. 1887.
Affezionatissimo amico
Sac. GIO. BOSCO (I).
Alle offerte si accompagnavano il più delle volte richieste
di preghiere per ottener grazie spirituali o temporali, quando già
non si ringraziava per favori ottenuti da Maria Ausiliatrice. Quanto
fosse la fiducia riposta nell'efficacia della sua mediazione, si può
ben rilevare da queste parole scrittegli da una Visitandina di Friburgo
il I° dicembre: “ Non è vero che al Signore è
facilissimo il far miracoli e a Lei l'ottenerli? ”. Una letterina
litografata sopra un suo autografo serviva ordinariamente per accusare
ricevuta; ma talvolta egli postillava perchè rispondessero i
segretari. L'ultima lettera postillata a questo modo reca la data del
30 novembre e proveniva da una signora Vittorina Roux, cooperatrice
di St. Gervais les Bains nell'Alta Savoia. Diceva: “ Divisavo
di mandarle per la fine dell'anno in nome mio e di altri membri della
mia famiglia (marito e due figli) l'offerta da noi dovuta alla sua Opera
e così renderci degni di partecipare alle molte e dispendiose
sue imprese sociali e religiose; ma dinanzi al suo appello del 4 novembre
ricevuto oggi, senz'aspettare più il tempo prefissomi, le spedisco
la mia offerta. La prego di benedire me e tutta la mia famiglia ”.
Don Bosco vi scrisse sopra per il chierico Festa, suo secondo segretario:
“ Festa veda e dica ”. Dicesse cioè a chi di ragione
per una risposta in francese (2).
(I) La signora Broquier lo ringraziò il 20 dicembre nell'invio
degli auguri natalizi: “ Merci, mon Père, de quelques lignes
affectueuses que vous avez eu la bonté de m'écrire ce
mois dernier. Je vous en suis bien reconnaissante, sachant combien vous
étes affaibli et combien votre temps est précieux ”.
(2) La Contessa di Camburzano gli scrisse una lettera che documenta
l'affettuoso interessamento della buona nobiltà torinese verso
la sua persona (App., Doc. 91).
472
Una suora del Cuor di Maria gli trasmetteva da Blon presso Vitre, dipartimento
del Calvados, cento franchi, dicendo dell'oblatrice: “ Ha fatto
cinque leghe a piedi per portarmi questo biglietto da cento ed ha ottantadue
anni ” (I). Se qui non c'è esagerazione, cinque leghe fanno
venti chilometri.
Un parroco di Fiumicello in diocesi di Gorizia aveva ottantasei anni:
la mano tremante non poteva scrivere, ma poteva cavare dal borsellino
qualche moneta. Si rivolse al suo collega di Scodovacca, perchè
scrivesse a Don Bosco e gli mandasse per le Missioni l'ultimo napoleone
d'oro che possedeva (2).
Questo poco è a titolo di saggio; chè se si volesse pescare
nel maremagno di tale corrispondenza, s'andrebbe all'infinito.
La circolare missionaria diede occasione a una proposta sui generis.
Un signor Ettore Chiaramello, amministratore delegato della Banca Industria
e Commercio a Torino, gli chiese che lo assistesse per collocare “
mercè la santa sua cooperazione ” in “ mani pie ”
qualche migliaio di azioni, a patto che queste pie persone si contentassero
d'impiegare il loro capitale all'interesse del cinque per cento, cedendo
il di più alle Missioni Salesiane. Con questa operazione egli
assicurava a Don Bosco una rendita annua superiore alle cinquantamila
lire. Il nostro Santo, contrario sempre a combinazioni bancarie, agricole,
coloniali, che potessero aver aspetto di commercio, nonostante qualsiasi
promessa di lauti guadagni, ordinò di rispondere negativamente.
In tutta la sua vita egli non deviò mai un pollice dalla propria
linea di condotta, che era di vivere affidato alle cure della divina
Provvidenza senza troppo preoccuparsi dell'avvenire.
La suddetta circolare, caduta nelle mani d'un pastore protestante abbastanza
noto sotto il nome di Deodati e residente
(I) Lett. 5 dicembre 18, 87. (2) App., Doc. 92.
473
a Castrogiovanni, ora Enna, in Sicilia, gli fece venire la tentazione
di dare a Don Bosco un saggio della sua cultura biblica. Gli scrisse
dunque una lunga lettera, cominciando col protestare contro di lui,
perchè, invece di condurre i selvaggi giacenti nel paganesimo
al puro e santo Vangelo portato da Gesù Cristo, li togliesse
al paganesimo loro per gettarli nel paganesimo romano, ossia nell'anticristianesimo.
Poi con un gran lusso di citazioni scritturali degno di miglior causa
denunzia e deplora tutte le funeste conseguenze che derivano da siffatto
programma di azione missionaria. A un certo punto gli confessa un suo
dispiacere. “ Mi dispiace, scrive, che forse nella sua buona fede
Lei verrà a secondare un Ignazio di Loyola: questi credendo fare
opera degna per espiare i suoi peccati, fondò quella velenosa
Congregazione dei Gesuiti, Congregazione dannifera anche per la stessa
Chiesa Romana. È probabile che Lei lascerà il medesimo
nome ”. Pronunziata più innanzi una minaccia apocalittica,
conchiude con questo comico augurio: “ Io vorrei che Lei si ravvedesse,
come l'Apostolo Paolo che zelante per la religione israelitica perseguitava
la Chiesa; ma Dio lo chiamò. Così Dio voglia chiamar Lei,
e le opere che crede bene fare per la Romana Chiesa le farà per
Cristo solo ”. Anche sull'estremo della vita l'idra protestante
gli lanciò il suo sibilo; ma questa volta egli si sarà
contentato di pregare per la conversione di quell'infelice.
Alle altre pene se ne aggiunse una nuova per Don Bosco: il timore di
dover presto omettere la celebrazione della Messa. Soffriva visibilmente
nel celebrare e proferiva le parole con isforzo e con un filo di voce,
interrotto spesso da soverchiante commozione. Le forze gli mancavano
talmente, che non si voltava più nel dire il Dominus vobiscum,
- durante poi la comunione dei fedeli che assistevano, si sedeva, mentre
un altro prete distribuiva l'Ostia santa. Da un altro pure venivano
recitate le tre Ave Maria e le altre preci finali, accompagnando egli
con la mente. Or ecco che il 3 dicembre dopo, una notte assai cattiva
non potè celebrare, ma assistette alla
474
Messa del segretario e fece la comunione. All'Ecce Agnus Dei ruppe
in lacrime. Celebrò ancora il 4 e il 6; volle ritentare la celebrazione
la domenica seguente 11, ma arrivò con istenti penosi alla fine
(I).
Qualche sera tuttavia, permettendolo il tempo, usciva ancora in vettura
per ordine del medico. Fuori di città faceva, sostenuto, alcuni
tratti di cammino a piedi. Il 16 dicembre in una simile gita accaddero
due cose notevoli. Durante l'andata recitava a Don Rua e a Don Viglietti
brani di poeti latini e italiani, mettendone in rilievo il valore morale
e religioso, non che la bellezza dell'espressione. Don Rua riteneva
per fermo che egli non li aveva più riletti dopo terminato il
suo ginnasio a Chieri. Al ritorno poi, risalendo il corso Vittorio Emanuele,
fu scorto sotto i portici il cardinale Alimonda che passeggiava col
segretario. Fece tosto scendere Don Viglietti per andare a dirgli che
desiderava parlargli, ma che non poteva recarsi fino a lui. Anche Don
Rua era balzato a terra. L'Eminentissimo come di scatto si mosse a quella
volta, tendendo le braccia ed esclamando - Oh Don Giovanni, Don Giovanni!
- Montò in vettura, lo abbracciò e baciò con effusione.
I passanti si fermavano a contemplare la magnifica scena. Proseguirono
lentamente essi due soli in vettura fino alla via Cernaia, dove si separarono,
e con Don Bosco tornarono a sedere Don Rua e Don Viglietti, dirigendosi
all'Oratorio. Quivi giunto, fece le scale con immensa fatica, sicchè,
quando pose piede sull'ultimo gradino, si rivolse a Don Rua e gli disse:
- Non potrò più fare altra volta queste scale. - Infatti,
allorchè la sera del 20 volle uscire ancora una volta, bisognò
trasportarlo a basso in seggiolone.
Subito dopo la partenza dei Missionari per la Repubblica dell'Equatore
la Provvidenza procurava a Don Bosco una grande consolazione con l'arrivo
di monsignor Cagliero. Le
(I) Circolare di Don Rua alle case, 26 dicembre 1887.
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notizie sempre più allarmanti sulla salute del Padre gli aveva
fatto comprendere chiaramente che la catastrofe non poteva più
essere lontana; urgeva dunque accorrere per raccoglierne con l'ultimo
respiro l'estrema benedizione. A Buenos Aires i confratelli che l'accompagnarono
all'imbarco si dicevano l'un l'altro con dolore: - Egli va ad assistere
agli ultimi momenti del nostro caro Don Bosco! - Viaggiò, come
vedemmo, con i tre avvocati cileni sul Matteo Bruzzo della Veloce. La
Direzione di questa Società con delicato pensiero telegrafò
il 29 novembre a Don Bosco da Genova che il piroscafo, levata l'ancora
il 28 da Las Palmas, sarebbe approdato a Genova il 4 dicembre. Don Bosco
che da tempo sapeva della sua venuta, ne fu tanto lieto che mandò
a Genova Don Lemoyne, perchè in nome suo e del Capitolo Superiore
gli desse a bordo il primo benvenuto. Vi fu per altro un ritardo di
oltre due giorni causato da forte burrasca.
Monsignore fece il suo ingresso nell'Oratorio la sera del 7, passando
attraverso le più festose dimostrazioni, ma con l'occhio fisso
lassù a quelle chiuse finestre, dietro le quali il Padre lo attendeva.
Entrò seguìto dai Cileni, da Don Riccardi e da Don Cassini.
Il Santo stava seduto nel suo modesto sofà. - Monsignore cadde
in ginocchio dinanzi a lui, che lo abbracciò, se lo strinse al
cuore e poi, appoggiandogli la fronte sulla spalla, gli baciava l'anello
lacrimando. I cinque compagni del Vescovo si erano pure inginocchiati
all'intorno, mentre i maggiorenti dell'Oratorio si tenevano, muti e
commossi, a rispettosa distanza.
Ruppe Don Bosco per primo il silenzio. Gli si era risvegliato più
vivo che mai il ricordo della violenta caduta. Di salute come stai?
gli chiese adunque. Alla sua risposta rassicurante benedisse il Signore.
Succedettero le presentazioni, durante le quali Monsignore squadrava
con afflizione il Servo di Dio. Dopo tre anni come lo trovava invecchiato!
La presenza del Vescovo di Liegi impedì gli intimi colloqui fin
dopo la festa dell'Immacolata; ma d'allora in poi
476
Monsignore profittava di ogni occasione per sedere accanto a lui, narrandogli
tante cose che sapeva recargli consolazione. Vide come, nonostante lo
spossamento generale, ascoltasse ancora le confessioni di chiunque si
presentasse per quello scopo. Ne volle profittare anche lui, temendo
che all'improvviso gli divenisse impossibile aprirgli ancora una volta
il cuore. Depose nei processi: “ Mi diede allora tali consigli
che non li dimenticai più, perchè erano pari alla sua
esperienza consumata, alla mia età e alla dignità della
quale mi trovavo investito come Vescovo e Vicario Apostolico ”.
Un'altra cosa importantissima attestò Monsignore dinanzi ai giudici
della causa. Si sa abbastanza, e lo sapeva come pochi il Cagliero, quanto
la paternità di Don Bosco verso i giovani avesse del celestiale.
Ora il buon Padre nelle affettuose confidenze di quei giorni gli disse
una volta: - Sono contento del tuo ritorno. Vedi, Don Bosco è
vecchio e non può più lavorare: sono agli ultimi della
mia vita. Lavorate voi altri, salvate la povera gioventù. Ti
manifesto adesso un timore. - Qui i suoi occhi s'inumidirono, e proseguì:
- Temo che qualcuno dei nostri abbia ad interpretare male l'affezione
che Don Bosco ha avuto per i giovani e che dal mio modo di confessarli
vicino vicino si lasci trasportare da troppa sensibilità verso
di loro, e pretenda poi giustificarsi con dire che Don Bosco faceva
lo stesso sia quando loro parlava in segreto sia quando li confessava.
So che qualcuno si lascia guadagnare il cuore e ne temo pericoli e danni
spirituali. - Monsignore lo rassicurò che nessuno aveva mai interpretato
male il suo modo di trattare i giovani. - Stia tranquillo, gli disse,
lasci a me questo timore: staremo attenti. È una raccomandazione
che Lei fece tante volte a noi e noi la faremo agli altri.
Del Cagliero abbiamo rinvenuto un autografo, nel quale egli per suo
ricordo prese nota di alcune cose dettegli da Don Bosco durante il mese
di dicembre. Ecco questo suo promemoria.
477
Aiuta la Congregazione e le Missioni. Bisogna estenderle alle coste
dell'Africa ed in Oriente.
Al S. Padre dirai che sino ad ora fu tenuto come segreto, ma che la
Congregazione ed i Salesiani hanno per iscopo speciale il sostenere
l'autorità della Santa Sede, dovunque si trovino e dovunque lavorino.
Desidero che in questa circostanza ti fermi in Italia fino a tanto che
saranno sistemate tutte le cose dopo la mia morte.
Prendi a cuore la Congregazione e le Missioni; aiuta gli altri Superiori
in tutto quello che potrai.
Quelli che desiderano grazie da Maria Ausiliatrice aiutino le nostre
Missioni e saranno sicuri di ottenerle.
Non temete di nulla; il Signore vi aiuterà. Fidem habete, abbiate
fede.
Domando una sola cosa al Signore, che possa salvare la povera anima
mia (piangendo).
Raccomando che dica a tutti i Salesiani che lavorino con zelo ed ardore:
lavoro, lavoro.
Adoperatevi sempre ed indefessamente a salvare le anime.
Benedico tutte le case delle Figlie di Maria Ausiliatrice; benedico
la Superiora Generale e tutte le sue sorelle; procurino di salvare molte
anime.
Aggiustate tutti i vostri affari. Vogliatevi tutti bene come fratelli;
amatevi, aiutatevi e sopportatevi.
Benedico le case di America; Don Costamagna, Don Lasagna, Don Fagnano,
Don Rabagliati e quelli del Brasile; Mons. Aneyros di Buenos Aires e
Mons. Espinoza; Quito, Londra e Trento.
Alter alterius onera portate; exemplum bonorum operum.
Propagate la divozione di Maria Ausiliatrice nella Terra del Fuoco.
Oh quante anime salverà la Madonna per mezzo dei Salesiani.
Per le prove [nelle case di prova i Superiori] pratichino l'obbedienza
e la facciano praticare. Strenna: divozione a Maria e frequente Comunione.
Due volte raccomandò per i Salesiani il lavoro, ripetendo: lavoro,
lavoro!
Con lui erano tornate in Italia suor Angela Vallese dalla Patagonia
e suor Teresa Mazzarello dall'Uruguay, che conducevano seco la piccola
fueghina affidata loro da monsignor Fagnano. Egli ne fece la presentazione
a Don Bosco il 9 dicembre nella maniera già da noi descritta.
“ Che sacrificio fu per Don Bosco il non poter dir Messa ”
nel giorno dell'Immacolata! scrive Don Viglietti nel diario. Ma ormai
non aveva più speranza di poter ascendere l'altare.
478
Nascondeva però questa come le altre sue pene fisiche e morali
sotto un esteriore abitualmente tranquillo e sereno, talora anche allegro,
scherzando sopra i suoi malanni. Riguardo alla sua schiena, per esempio,
che lo faceva andare così curvo, ripeteva due comunissimi versi
di una canzone piemontese:
Oh schina, povra schina,
T’as fini d’porté bas - cina.
(Oh schiena, povera schiena, hai finito di portare pesi). Una sera
ai due sacerdoti che mesti e premurosi lo aiutavano dopo cena a recarsi
nella sua camera, recitò questa strofa da lui composta per compassionare
le sue gambe:
Oh gambe, povre gambe,
Che sie drite che sie strambe,
Seve sempre ‘1 mè confort
Fin a tant ch’i sia nen mort.
(Oh gambe, povere gambe - siate dritte, siate strambe - sarete sempre
il mio conforto - finchè io non sia morto).
Non voleva tuttavia che i Superiori sul conto suo s'illudessero al punto
da trasandare le precauzioni suggerite dalla prudenza per l'eventuale
sua dipartita, come si vide la sera dell'Immacolata. Andato a cena con
loro, ma alzatosi pochi minuti dopo per ritornare nella camera: - Si
faccia coraggio, gli disse qualcuno.. Abbiamo da vedere la sua Messa
d'oro. - A tali parole si fermò sulla porta, volse il capo là
donde la voce era partita, fissò chi aveva parlato e: - Sì,
sì, vedremo! esclamò. La Messa d'oro!... Son cose gravi,
son cose gravi!
Nell'Oratorio l'ultima manifestazione di gioia, vivente Don Bosco fu
un'accademia dell'11 dicembre in onore di monsignor Cagliero. Alla fine
il festeggiato rievocò la giovinezza sua e quella di Don Bosco
e rappresentò al vivo l'amore che il Santo aveva sempre portato
ai giovani. Egli rapì l'uditorio con il suo linguaggio ardente
e pittoresco; ma là entro
479
dominava una nota di tristezza che tutti sentivano senza bisogno che
alcun segno esterno la traducesse in forma sensibile. Tuttavia nessuno
avrebbe creduto che la morte di Don Bosco fosse tanto vicina.
Una cara e molto intima festicciuola fu la tradizionale vendemmia del
pergolato davanti alle sue finestre. Per uno di quei delicati pensieri
a lui familiari Don Bosco l'aveva differita così a lungo, perchè
vi potesse partecipare monsignor Cagliero. Egli, seduto nella loggetta,
si dilettava di vedere i suoi figli con alla testa il Vescovo spiccare
i grappoli, ripulirli e mangiarne allegramente. Quella simpatica ricreazione
venne pure onorata dalla presenza di un altro Vescovo e di un Provinciale
dei Fratelli delle Scuole Cristiane, accompagnato da un religioso del
medesimo Istituto.
Non volle nemmeno quella volta derogare alla consuetudine di far parte
della sua vendemmia a famiglie amiche. Infatti il conte Cravosio il
26 dicembre lo ringraziava del gentile pensiero e dell'ottima uva inviatagli
a casa, soggiungendo: “ Spiacemi solo che Ella se ne sia voluta
privare per regalarla a noi! Ciò mi prova d'altra parte come
io abbia un posto sicuro nella memoria di V. S. alla quale mi lega da
anni tanta simpatia con vera affezione. Le mie preghiere non possono
sperare di essere accette a Dio, perchè io sono uso a peccare
settanta volte sette al giorno; ma in questo caso, per la salute di
Don Bosco, mi lusingo che il buon Dio vorrà accoglierle, perchè
gli si rivolgono proprio con tutto il cuore dall'affezionatissimo di
Lei servo ”.
Il venerdì 16 dicembre lo visitò e stette a pranzo con
lui il giovane sacerdote bolognese Don Bersani, che predicava l'Avvento
nella chiesa di S. Giovanni Evangelista. Don Bosco a tavola gli parlò
segretamente all'orecchio e poi gli strinse la mano così forte
che lo fece gridare: - Ma lei mi fa male! - Il Santo lo guardò
sorridendo; quindi gli domandò: - Quando tornerà a pranzare
con me?
- Non saprei, rispose. Ho tanti buoni amici a Torino e
480
per vederli tutti ora vo dall'uno ora dall'altro in sul mezzogiorno.
- Sta bene; ma torni presto a visitarmi.
- Vedrò di venire verso la fine della settimana prossima.
- Venga al principio, altrimenti non ci sarà più tempo.
Don Bersani tornò alla metà della settimana; ma Don Bosco
era già coricato da martedì, nè più lo vide.
L'abbandono totale delle forze cominciò ad annunziarsi il 17
dicembre. Era sabato, giorno in cui verso le diciotto soleva confessare
i giovani delle classi superiori. Quella sera pertanto una trentina
di essi scalpicciava dinanzi alla porta, aspettando che il segretario
li facesse entrare. Il chierico Festa si affacciò per dir loro
non sembrargli opportuno che lo stancassero, perchè stava troppo
male. I giovani però non si movevano. Ciò vedendo, il
chierico, riflettuto un momento, andò a dirlo a Don Bosco, il
quale a tutta prima gli rispose che non si sentiva di sostenere quella
fatica; ma poi dopo un istante di silenzio ripigliò: - Eppure
è l'ultima volta che potrò confessarli! - L'altro, non
badando nè alle parole nè all'accento di esse, prese a
sconsigliamelo. - Ha la febbre, gli diceva, e stenta troppo a respirare.
- Ma egli, quasi intenerito, ripetè: - Eppure è l'ultima
volta! Di pure che vengano. - Entrarono, e li confessò tutti.
Furono proprio quelle le ultime confessioni dei giovani da lui ascoltate.
Diciamo dei giovani, perchè il 19 udì ancora Don Berto,
al quale diede per penitenza di recitare sovente la giaculatoria - 0
Maria, siate la salvezza mia.
Le gambe non gli servivano più nemmeno per fare un passo; quindi
veniva condotto da un luogo all'altro nel seggiolone a ruote. Nondimeno
desiderava sempre assistere alla mensa comune.
Don Durando il 16 dicembre aveva scritto al nuovo Procuratore Generale
Don Cesare Cagliero (I): “ Don Bosco di -
(I) Questa lettera è nell'archivio ispettoriale a Roma.
481
magrisce visibilmente tutti i giorni e le forze gli mancano a segno
da non essere più in grado di trasportarsi dalla camera al refettorio:
lo si deve condurre in seggiola. Povero Don Bosco! Se il Signore non
opera un miracolo continuo, la sua esistenza non può più
fisicamente sussistere ”.
Gradiva di trovare a mensa benefattori e amici. Il 18 ne aveva fatti
invitare parecchi, affinchè visitassero una mostra di oggetti
della Patagonia portati da monsignor Cagliero e destinati all'esposizione
vaticana. Da più d'un anno i Missionari avevano ricevuto da Don
Bosco l'ordine di radunare armi, lavori e curiosità dei selvaggi,
perchè figurassero in quell'esposizione, che tanto contribuì
nel 1888 a onorare Leone XIII durante i festeggiamenti per il suo giubileo
sacerdotale. Dopo pranzo si trattenne con gl'invitati, dando a ognuno
segni di particolare affetto. Rientrato nella sua camera, disse a Don
Eugenio Reffo dei Giuseppini, che l'aveva voluto accompagnare fin là:
- Caro mio, sempre ti ho amato e sempre ti amerò. Sono al termine
de' miei giorni; prega per me, io pregherò sempre per te.
Alla sera, nel tempo della cena, non più un lampo di vivacità;
anzi Don Lemoyne, avvicinatosi a lui, si avvide che aveva gli occhi
vitrei nè dava segno di udire chi gli parlava. Durò solo
qualche minuto in tale stato; ma era un sintomo ben triste!
Il mattino appresso Don Viglietti lo trovò tanto sollevato che
lo pregò di scrivere poche parole su alcune immagini che voleva
mandare a certi Cooperatori salesiani. - Volentieri - gli rispose Don
Bosco. E si accinse a scrivere. Quando ebbe scritto su due, gli disse:
- Ma sai che non so proprio più scrivere? Sono stanco, sai. -
Allora Don Viglietti gli osservò prontamente che bastavano quelle
due. Dietro la prima aveva scritto: “ O Maria, otteneteci da Gesù
la sanità del corpo, se essa è bene per l'anima, ma assicurateci
la salvezza eterna ”. E dietro la seconda: “ Fate presto
opere buone, perchè può mancarvi il tempo e così
restare ingannati ”.
482
Non volle però smettere, perchè: - Questa è l'ultima
volta che scrivo! - disse. Continuò dunque: “ Beati coloro
che si danno a Dio per sempre nella gioventù. - Quanti volevano
darsi a Dio e restarono ingannati, perchè loro mancò il
tempo! - Chi ritarda di darsi a Dio, è in gran pericolo di perdere
l'anima. - Figliuoli miei, conservate il tempo e il tempo conserverà
voi in eterno. - Chi semina opere buone, raccoglie buon frutto. - Se
facciamo bene, troveremo bene in questa vita e nell'altra. - In fine
della vita si raccoglie il frutto delle buone opere ”.
A questo punto Don Viglietti lo interruppe e gli prese la mano dicendo:
- Ma, Don Bosco, scriva qualche cosa di più allegro!... Queste
cose fanno pena. - Allora fissò intenerito i suoi occhi in quelli
del segretario e vistolo piangere, gli disse con un sorriso indescrivibile:
- Povero Carluccio! Ma che ragazzo sei!... Non piangere... Te l'ho già
detto che sono le ultime immagini su cui scrivo. - Quindi per compiacerlo
cambiò tema, continuando: “ Dio ci benedica e ci scampi
da ogni male. - O Maria, proteggete la Francia e tutti i Francesi. -
Date molto ai poveri, se volete divenir ricchi. - Date et dabitur vobis.
- Che Dio ci benedica e la Santa Vergine sia nostra guida in tutti i
pericoli della vita. - I giovanetti sono la delizia di Gesù e
di Maria. - Dio benedica e compensi largamente tutti i nostri benefattori.
Sacro Cuore del mio Gesù, fate che io vi ami sempre più.
Il più gran nemico di Dio è il peccato. - O Maria, siate
la salvezza mia ”. Qui ritornò ai pensieri che tanto affliggevano
Don Viglietti: “ In fine della vita si raccoglie il frutto delle
opere buone. - Chi salva l'anima, salva tutto; chi perde l'anima, perde
tutto. - Chi protegge i poveri, sarà largamente ricompensato
al divin Tribunale. - Chi protegge gli orfanelli, sarà benedetto
da Dio nei pericoli della vita e protetto da Maria in morte. - Che grande
ricompensa avremo di tutto il bene che facciamo in vita! - Chi fa bene
in vita, trova bene in morte. Qualis vita, finis ita. - Io prego ogni
giorno
483
per voi e voi pregate per la salvezza dell'anima mia. - 0 Vergine Pia,
l'aiuto tuo forte dà all'anima mia in punto di morte. - In Paradiso
si godono tutti i beni in eterno ”. Qui depose la penna; aveva
la mano molto stanca.
Tutte le occupazioni che avevano formato sua consuetudine, volgevano
una dopo l'altra al loro termine fatale. Quella mattina diede le ultime
udienze. Da quarant'anni consacrava tutte le mattine a consigliare,
a benedire, a consolare, a soccorrere, a rallegrare quanti desideravano
di avvicinarlo. Fu questa senza dubbio una delle più laboriose
fatiche della sua vita. Allora si sentiva talmente estenuato, che sembrava
dovergli mancare il respiro. La serie infinita delle visite si chiuse
per sempre con quella della contessa Soranzo Mocenigo. Erano le dodici
e mezzo del giorno 20 dicembre.
Alla sera, ultima passeggiata in vettura. Permise per la prima volta
a' suoi figli, che ne lo supplicavano, di trasportarlo giù a
braccia in seggiolone. Lo accompagnavano Don Bonetti e Don Viglietti,
che presero a dire dei Confratelli, tutti bramosi di porgergli aiuto
e sollievo. Egli taceva, finchè a un tratto uscì in queste
parole: - Viglietti, appena giunto a casa, ricórdati di scrivere
a nome mio queste parole per tutti i Salesiani: I Superiori Salesiani
abbiano sempre una grande benevolenza verso i loro inferiori e specialmente
trattino bene e con carità le persone di servizio.
Parve lì per lì che l'aria libera gli avesse fatto bene.
Ritornato a casa e portato in camera, disse amorevolmente al capo dei
portatori: - Fa' lista, sai. Ti pagherò tutto in una volta. -
Poco dopo giunse il medico curante, dottore Albertotti, il quale lo
visitò e lo trovò aggravatissimo; quindi lo fece porre
a letto. Al chierico Festa, che gli aveva domandato come si sentisse,
aveva risposto: - Ora non mi resta che fare una buona conclusione, che
termini bene il tutto. - Com'è costume in tali casi, gli si osservò
che con un po' di riposo si sarebbe riavuto; ma egli con la mano fe'
cenno di no e ripetè accentuando le parole: - Non resta che fare
484
una buona conclusione. - Prima della passeggiata aveva scritto sopra
un'immagine: Maria, tu nos ab hoste protege et mortis hora suscipe.
E sopra un'altra: “ Maria, l'aiuto tuo forte dà in punto
di morte all'anima mia ”. Presi pochi cucchiai di minestrina,
si appressò a quel letto, dal quale non doveva più alzarsi.
Sul tavolino c'era la pars aestiva del Breviario. Don Lemoyne che lo
sfogliò, vi rinvenne tanti segnacoli cartacei che portavano scritte
varie belle sentenze, tratte - dalla Sacra Scrittura, dai Santi Padri
e financo da poeti italiani. Quei richiami gli erano passati sotto gli
occhi per lo spazio di nove lustri (I).
Sul medesimo tavolino cominciavano ad accumularsi lettere con gli auguri
natalizi. Ne arrivavano da ogni parte; molte venivano dalla Francia.
Quell'anima santa della signorina Louvet (2), confortando gli auguri
con un biglietto da cinquecento, esprimeva un nobile pensiero. Scriveva:
“ Mi valgo della circostanza per porgerle anche i miei auguri
di buono e felice anno. Ma per Lei gli anni son tutti buoni, o Reverendo
Padre, perchè tutti i suoi giorni sono pieni e meritorii per
il Cielo; il che purtroppo non è per me ”. Aveva ragione
la pia benefattrice, dies pleni e veramente ricchi di meriti furono
quelli di Don Bosco; ma essa non immaginava quanto fosse vicino il momento,
in cui tanti meriti stavano per ricevere nel Cielo l'adeguata corona.
(I) App., Doc. 93.
(2) Cfr. vol. XV, capo XIX. Il 28 dicembre l'abate Engrand scrisse al
segretario di Don Rua: “ Mademoiselle Louvet d'Aire me charge
de faire parvenir à Dom Rua l'expression de sa profonde douleux
dans les circonstances présentes. Dom Bosco la traitait en privilégiée
et che est affligée comme une enfant qui perd son Père
”.
CAPO XXII
I primi undici giorni di malattia.
IL nostro caro infermo tenne il letto per quarantadue giorni continui
con tre fasi ben distinte nel procedimento della malattia. Dal 20 al
31 dicembre si andò di male in peggio; dal 10 gennaio al 20 fu
un rifiorire di speranze; ma da questo punto le cose volsero a irreparabile
e rapida fine. Volendo prima d'intraprenderne la particolareggiata narrazione
dare uno sguardo generale all'atteggiamento del Servo di Dio durante
sì lungo e doloroso periodo, non potremmo farlo meglio che con
le parole di un testimonio ottimamente informato. Il coadiutore Enria,
che tutte le notti vegliò al suo capezzale, ne ritrasse con molta
semplicità nel processo ordinario (I) il modo abituale di comportarsi
dicendo: “ La sua rassegnazione era grandissima; metteva in pratica
il suo motto: Fare, patire, tacere, che mi ripeteva sovente quando stava
bene. Allora, non potendo più fare, pativa e taceva ”.
Taceva naturalmente del suo patire, chè della parola fino all'ultimo
si servì quanto potè a vario scopo di bene.
Il medico gettò lo sgomento nei Superiori, quando il 21 dicembre
disse loro che, se l'infermo continuava in quello stato, non avrebbe
potuto avere più che quattro o cinque giorni di vita. Infatti
non appetiva nulla; lo travagliavano
(I) Summ. Pag. 907.
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frequenti conati di vomito; non si sapeva proprio che cosa dargli da
mangiare. Respirava poi molto affannosamente e aveva febbre. Tuttavia
la sua tranquillità di spirito si rifletteva in certe bonarie
piacevolezze che usava con chi lo serviva. Il segretario, somministrandogli
un po' di minestrina, fece per reggergli la scodella, perchè
gli fosse più comodo recare alla bocca. - Già! diss'egli.
Me la vuoi mangiare tu, eh? - Sul tardi, riavutosi alquanto, ascoltò
la lettura del giornale nella parte contenente notizie del, giubileo
di Leone XIII e scorse le lettere raccomandate o assicurate. Verso le
venti e mezzo disse: - Oggi alle quattro pensavo che più nulla
mi mancasse a morire. Non avevo più cognizione di niente. Ora
mi sento molto meglio. - Quindi, preso un tantino di ristoro, disse
al segretario: - Viglietti, dammi un po' di caffè ghiacciato...
ma che sia caldo. - E rideva.
Le minacciose parole del medico indussero i Superiori a escogitare in
tempo i provvedimenti atti ad assicurare materialmente lo stato dell'Oratorio,
quand'egli non fosse più. Quindi il Capitolo, radunatosi in quel
pomeriggio sotto la presidenza di Don Rua per deliberare su diversi
affari d'ordinaria amministrazione, si occupò anche di tale argomento.
Studiata la questione, si stabilì di far riconoscere a Don Bosco
un debito verso i principali della casa per servizi prestati e non retribuiti,
e un'obbligazione di pagamento da parte dell'erede per versamenti effettuati
in sua mano di capitali a titolo di deposito. Gl'interessati avrebbero
fatto registrare legalmente i documenti, prendendo ipoteca sul designato
erede. Così pure si sarebbe fatto dichiarare da Don Bosco con
sottoscrizione legale i depositi ricevuti da persone private e contrarre
un prestito con una Banca sicura per centomila lire ammortizzabile in
cinquant'anni col solo pagamento del frutto. Fu deciso anche di telegrafare,
subito a Villa Colon nell'Uruguay e di scrivere a Nizza Mare che si
vendessero immediatamente quei due collegi a Società tontinarie.
Intanto amici e benefattori, non sospettando lontana -
487
mente che Don Bosco versasse in così gravi condizioni, gl'inviavano
cordiali auguri per le prossime feste natalizie. Da Nizza Mare, per
esempio, il barone Héraud gli scriveva in questo senso una lettera
tutta scoppiettante di arguzie, conforme al caratteristico buon umore
che in lui abbiamo avuto altre volte occasione di far notare (I). Anche
dall'Oratorio, come se nulla vi fosse di nuovo, partiva una circolarina
con la firma di Don Bosco, invitante alla Messa di mezzanotte nella
chiesa di Maria Ausiliatrice e augurante buone feste natalizie e buon
capo d'anno.
La dimane il dottor Vignolo allargò i cuori, escludendo l'imminenza
del pericolo, prospettato il giorno prima dal medico curante Albertotti.
Poichè l'importante era che Don Bosco si nutrisse, gli preparò
egli stesso una tazza di brodo ricavato da estratti di carne. Sottopose
quindi l'infermo a minuto esame, impiegandovi un'ora intera. È
incredibile quanta abilità possedesse quel bravo sanitario a
confortare i suoi clienti. Benchè fosse ammalato anche lui, si
era levato dal letto per visitare Don Bosco, - il che continuò
a fare in giorni seguenti, portandogli tutte quelle cure che una madre
suole prodigare a un suo bambino. Don Bosco più e più
volte gli espresse con le lacrime agli occhi la sua profonda riconoscenza.
Tutti nella casa partecipavano all'ansia che angustiava i Superiori.
In chiesa dinanzi al Santissimo Sacramento i giovani da mane a sera,
divisi per classi e per laboratori, sì davano il cambio ogni
mezz'ora per implorare la guarigione di Don Bosco. Quanto a sè,
egli diceva ai confratelli più anziani e ai Superiori: - Pregate
tutti per me. Dite a tutti i Salesiani che preghino per me, affinchè
muoia in grazia di Dio. Non desidero altro.
Le alternative di meglio e di peggio si succedevano a intervalli più
o meno lunghi. Il 23 verso le dodici, sentendosi
(I) App., Doc. 94.
488
assai male e non ritenendo nulla, disse al segretario: - Fa' di non
essere qui solo tu prete. Ho bisogno che qualcuno sia qui pronto per
l'Olio Santo.
- Don Bosco, gli rispose quegli, Don Rua è sempre nella camera
qui presso. Del resto ella non è così grave da dover discorrere
in questa maniera.
- Si sa, domandò, si sa qui in casa che io sto così male?
- Sì, Don Bosco, non solo qui si sa, ma in tutte le altre case
e ormai in tutto il mondo, e tutti pregano.
- Perchè io guarisca?... Me ne vado all'eternità!
A quanti gli si accostavano, dava ricordi come se stesse per abbandonarli.
A Don Bonetti, catechista generale, disse stringendogli la mano: - Sii
sempre il sostegno forte di Don Rua. - Più tardi al segretario:
- Fa' che sia tutto pronto per il Santo Viatico. Siamo cristiani e si
fa volentieri a Dio l'offerta della propria esistenza.
Arrivarono tre signori belgi, desiderosi di vederlo. Permise che entrassero,
purchè promettessero di pregare per lui. Li benedisse e: - Promettetemi,
disse, di pregare per me, per i Salesiani e specialmente per i Missionari.
Dopo eccitato fortemente al vomito, domandò a Don Viglietti se
non gli desse fastidio il vedere tante sue miserie. - Nulla mi fa pena,
rispose egli, caro Don Bosco, se non il vederla soffrire e non sapere
in che modo sollevarla. - Don Bosco riprese: - Di' poi a tua madre che
la saluto, che cerchi di far crescere cristianamente la famiglia e che
preghi anche per te, affinchè sii sempre un buon prete e salvi
molte anime.
Ritornato Don Bonetti, egli lo salutò con un cenno della mano
e gli parlò alquanto, insistendo che si apprestasse l'occorrente
per l'Olio Santo. Si rivolse poi a Don Rua sopraggiunto allora e gli
disse, additando Don Viglietti: - È vero che c'è quell'arnese
lì.... ma è meglio essere qui in più.
Alcune ore prima aveva dettato a Don Viglietti una letterina per Don
Luis di Barcellona. Nel pomeriggio tornò
489
a raccomandargli di salutarlo da parte sua e di dirgli che si ricordasse
dei nostri Missionari, e che egli si sarebbe sempre ricordato di lui
e della sua famiglia e che li aspettava tutti un giorno in Paradiso.
Venne monsignor Cagliero, al quale disse: - Hai bene a mente la ragione
per cui il Santo Padre deve proteggere le nostre Missioni? Dirai al
Santo Padre ciò che finora fu tenuto come un segreto. La Congregazione
ed i Salesiani hanno per iscopo speciale di sostenere l'autorità
della Santa Sede, dovunque si trovino, dovunque lavorino... Voi andrete,
protetti dal Papa, nell'Africa... L'attraverserete... Andrete nell'Asia,
nella Tartaria e altrove. Abbiate fede.
I primari della casa, Don Belmonte, Don Lazzero, Don Berto, Rossi Giuseppe,
Buzzetti e altri si succedevano a passare qualche tempo nella sua camera.
Sebbene parlasse a stento, tuttavia faceva loro le più care accoglienze.
Ora scherzando li salutava militarmente col portare la mano alla fronte,
ora con l'alzare e abbassare le mano, ora con l'indicare il sopravvenuto
a chi gli stava già al fianco, dicendo: - Lo vedi? È lui!
- Talvolta nel porgere la destra e stringere la mano a chi gli baciava
la sua, diceva: - Oh il mio caro! Sei sempre il mio caro.
Sedutosi presso di lui il missionario Don Cassini, dopo il primo saluto
gli sussurrò all'orecchio: - So che tua madre è in strettezze.
Parlami liberamente, e solo a me, senza che nessuno venga a conoscere
i tuoi segreti. Ti darò io stesso, senza che nessuno lo sappia,
quanto credi necessario.
A tutti chiedeva con interessamento notizie della loro salute, se fossero
abbastanza riparati dal freddo, se abbisognassero di qualche cosa. Domandava,
e questo anche a Monsignore, come si fosse passata la giornata, quali
fossero le occupazioni di ciascuno, qual lavoro speciale si avesse tra
mano. Con quelli che lo vegliavano e servivano, manifestava il timore
che la privazione di riposo e di ricreazione potesse nuocere alla loro
salute. Ma gl'infermieri erano instancabili.
490
Il coadiutore Enria nel citato Processo depose: “ Nell'ultima
infermità io lo assistetti tutte le notti finchè visse.
Mi disse fin dalla prima notte: - Povero Pietro! Abbi pazienza! Ti toccherà
passare molte notti! - Io quasi offeso gli risposi che avrei dato la
mia vita per la sua guarigione, come erano pronti a farlo tanti miei
compagni ” .
Troppo era l'amore che i suoi figli nutrivano per lui, perchè
non si sentissero disposti a qualsiasi sacrifizio in servirlo; ma a
lui pure ardeva il cuore di vero affetto paterno per loro. Don Lemoyne
ricorda a questo proposito aver egli detto parecchi anni prima: - L'unico
distacco che io proverò in punto di morte sarà quello
di dovermi separare da voi. Questa sua carità lo spingeva a distrarre
la mente di chi vedeva soffrire accanto al suo letto. Perfino a Don
Cerruti, che lo visitò la sera del 23 nell'ora in cui i ragazzi
facevano la merenda e che mal poteva nascondere la sua commozione: -
Hai già fatto merenda? domandò fra il grave e il faceto.
Domanda un po' anche qui a Don Viglietti se l'ha già fatta. -
Ma c'era una cosa più unica che rara in questa sua affezione:
amava tutti in modo che ognuno si pensava di essere un suo prediletto.
Non sono ancora terminate le vicende di quel giorno 23. Vi fu anche
un lungo consulto fra il medico curante Albertotti e i due consulenti
Fissore e Vignolo. Trasportarono il letto in mezzo alla camera. Non
riscontrarono nulla di guasto nell'organismo e dichiararono che per
il momento non vi era nessun pericolo prossimo. Il dottor Vignolo, volendo
provare la forza dell'infermo, gli disse di stringergli la mano quanto
più fortemente potesse. - Badi che le farò male, dottore,
lo avvertì ridendo Don Bosco. Vedrà che le farò
male. - Ma l'altro, pigliando la cosa in scherzo, gli ripeteva: - Forte...
forte! - A un certo punto il dottore, ritirando in fretta la mano, esclamò
quasi spaventato: - Oh non pensi a morire! Con tanta forza in corpo
lei potrebbe ancora sfidarmi alla lotta.
491
Partiti i medici, ecco affacciarsi la maestosa figura del cardinale
Alimonda, che, appressatosi, lo abbracciò e baciò teneramente.
Don Bosco si tolse il berrettino da notte e disse: - Eminenza, le raccomando
che preghi, perchè possa salvare l'anima mia. - Poi soggiunse:
- Le raccomando la mia Congregazione. Sia il protettore dei Salesiani.
Sua Eminenza, vedendolo piangere, gli faceva coraggio, gli parlava dell'uniformità
alla volontà di Dio e gli ricordò che aveva lavorato molto
per il Signore. Quindi, accortosi che teneva il berettino in mano, glielo
ripose in capo. Don Bosco estremamente commosso gli disse: - Ho fatto
sempre quello che ho potuto. Sia di me la santa volontà di Dio.
- Pochi, osservò allora il Cardinale, possono dire come lei al
punto di morte.
- Tempi difficili, Eminenza! lo interruppe Don Bosco. Ho passato tempi
difficili.. Ma l'autorità del Papa... l'autorità del Papa...
L'ho detto qui a monsignor Cagliero che lo dica al Santo Padre che i
Salesiani sono per la difesa dell'autorità del Papa, dovunque
lavorino, dovunque si trovino. Si ricordi di dirlo al Santo Padre, Eminenza.
- Sì, caro Don Bosco, rispose monsignor Cagliero, ritto ai piedi
del letto. Lo ricordo. Stia tranquillo che farò la sua commissione
al Santo Padre.
- Ma lei, Don Giovanni, riprese il Cardinale cambiando argomento, non
deve temere la morte. Ha raccomandato tante volte agli altri di star
preparati!
- Ce ne parlò tante volte! confermò Monsignore. Era anzi
il suo tema principale.
- L'ho detto agli altri, soggiunse tutto umile Don Bosco. Ora ho bisogno
che gli altri lo dicano a me.
Egli volle quindi la benedizione del Cardinale, che nel congedarsi lo
riabbracciò e ribaciò con profonda commozione.
Pochi istanti dopo entrò il suo confessore e condiscepolo Don
Giacomelli. Rimasero soli alcuni minuti. Nel frattempo vari Superiori
che si erano ritirati nella stanza attigua, ri -
492
cordavano le profetiche parole del 1885, allorchè a Don Giacomelli
gravemente ammalato Don Bosco aveva detto: Sta' allegro, non temere.
Non sai che toccherà a te assistere Don Bosco ne' suoi ultimi
momenti? (I).
Il desiderio del Viatico era stato espresso in termini così risoluti,
che nessuno volle assumersi la responsabilità di procrastinare;
perciò la mattina del 24 si fecero i preparativi per amministrarglielo.
Appena avvertito, egli disse a Don Viglietti e a Don Bonetti: - Aiutatemi,
aiutatemi voi altri a ricevere Gesù... lo sono confuso... In
manus tuas, Domine, commendo spiritum meum.
La processione, formata da tutto il piccolo clero, e da quanti sacerdoti
e chierici poterono prendervi parte, era uscita dalla porta grande della
chiesa ed entrata nell'Oratorio per il portone. Don Bosco s'intenerì
udendo i canti; ma al veder comparire il Santissimo Sacramento recato
da monsignor Cagliero scoppiò in lacrime. Rivestito della stola,
sembrava un angelo. Al momento solenne tutti piangevano, molti diedero
in singhiozzi. Da quel punto parve prodursi un notevole miglioramento.
Non più vomiti, non più affanno; anzi dormì alcune
ore, cosa che da parecchio non aveva più fatto.
Prima di mezzogiorno disse a Don Durando: - T'incarico di ringraziare
a nome mio i medici per tutte le cure che con tanta carità mi
usarono.
Verso le diciotto era di nuovo molto agitato; pure, più che a
sè, pensava agli altri. Disse al segretario: - Viglietti, non
sapevi ancora che cosa fosse vegliare ammalati! - Ogni tanto ripeteva
in piemontese: - Non so più nè che dire nè che
fare. - Chiamò Don Rua e gli disse: - Vorrei con Don Viglietti
un altro prete presso di me questa notte. Temo di non arrivare a domani.
Dopo le venti disse a Don Viglietti: - Guarda sul mio tavolino: c'è
un libretto di memorie... Tu sai di quale parlo.
(I) Cfr. vol. XVII, pag. 651.
493
Procura di prenderlo e darlo poi a Don Bonetti, perchè non vada
in mani qualunque. - Era una specie di taccuino, formato con foglietti
d'un registro di conti che egli aveva fatto tagliare a macchina, ridurre
a quelle proporzioni e legare fortemente. Porta questa intestazione
autografa: Memorie dal 1841 al 1884 - 5 - 6 pel Sac. Gio. Bosco a' suoi
figliuoli salesiani. Contiene le norme pratiche di condotta da trasmettere
al suo successore; noi le abbiamo pubblicate nel capo decimo del volume
precedente. Fu scritto nel 1884, allorchè Don Bosco pensava di
essere al termine de' suoi giorni; nei due anni successivi fece alcune
piccole aggiunte.
Disse ancora a Don Viglietti: - Fammi anche il piacere di osservare
nelle tasche de' miei abiti; vi sono il portafoglio e il portamonete.
Credo che non vi sia più niente; ma caso mai vi fosse danaro,
consegnalo a Don Rua. Voglio morire in modo che si dica: Don Bosco è
morto senza un soldo in tasca.
Tutte queste manifestazioni impressionarono talmente i Superiori, che
monsignor Cagliero volle amministrargli l'Estrema Unzione. Prima però
Don Bosco domandò che si chiedesse per lui la benedizione dal
Santo Padre; il che fu immediatamente eseguito. Dopo ricevuto quell'ultimo
sacramento l'infermo non parlò che di eternità, intercalando
qualche avviso. A Monsignore, che stava per scendere a celebrare pontificalmente
la Messa di mezzanotte nella chiesa di Maria Ausiliatrice, disse: -
Domando una cosa sola al Signore, che possa salvare la povera anima
mia. Raccomando di dire a tutti i Salesiani che lavorino con zelo e
ardore. Lavoro, lavoro! Adoperatevi sempre indefessamente a salvare
le anime. - Quindi prese sonno.
I giornali cominciarono ad annunziare la sua malattia. L'Unità
Cattolica del 24 fu la prima a lanciare la notizia con questo semplice
trafiletto: “ Col dolore e trepidazione che i nostri lettori possono
immaginare, annunziamo che da qualche giorno l'incomparabile nostro
Don Giovanni Bosco si è
494
aggravato nella sua malattia, e fortemente ne temiamo l'irreparabile
perdita. Lo raccomandiamo alle preghiere dei cattolici, perchè
ormai le speranze di un miglioramento sono riposte in Dio solo ”.
Lette queste righe, la già menzionata contessa di Camburzano
scrisse a Don Rua un'accorata lettera, in cui diceva tra l'altro: “
Se il Signore onnipotente volesse gradire il sacrifizio della mia inutile
vita per l'esistenza sì cara, sì preziosa, sì necessaria
di Don Bosco, io ce la offro di gran cuore da questo momento, sicura
che pregherebbe per me e mi otterrebbe le misericordie del Signore ”.
A Parigi la voce che Don Bosco fosse moribondo riempiva di dolore molti
cuori. Nella libreria dell'editore Josse era un viavai continuo di signore
per avere notizie, supponendosi che egli dovesse essere informato di
tutto. Ne scrisse tosto a Don Rua “ le coeur tout boulversé
”, supplicandolo “ avec une véritable anxiété
” di rispondergli presto. La risposta giunse pronta, ma egli non
ne potè prender visione. In quella vigilia del Natale tornava
da confessarsi per fare la comunione alla Messa di mezzanotte, quando,
colto da paralisi cardiaca, si spense in un attimo. Egli amava tanto
Don Bosco che i familiari mettevano quella causa prossima della sua
morte in relazione con il dispiacere causatogli dalla ferale notizia
(I).
Il Gaulois del 23 aveva per primo allarmato gli amici parigini con un
articolo intitolato: L'agonie de Don Bosco. La De Combaud, che gli aveva
dato sì generosa ospitalità nel 1883, scrisse immediatamente
a Don Rua: “ Non le posso esprimere la pena che provo. Tutti gl'innumerevoli
amici di questo beato Padre sono in preghiera ”. Gli domandava
quindi “ in grazia ” che volesse conservarle un oggetto
personale di Don Bosco da custodire come reliquia. La medesima
(I) Rispondendo a una lettera di condoglianza scrittale da Don Rua,
la figlia del sig. Josse diceva (2 5 gennaio 1888): “ Vous nous
demandez, mon Révérend Père, si nous continnerons
à nous occuper de votre belle (Euvre. C'est pour nous un devoir
et un véritable bonheur. Nous serons heureuses et fières
de continuer la douce tâche que s'était imposée
mon Père et de prouver à Dom Bosco notre filiale affection
en recueillant pour ses chers orphelins le plus qu'il nous sera possible
”.
495
richiesta si veniva ripetendo anche da altre persone. Sotto il titolo
accennato sopra il Nouvelliste di Lilla propagò la notizia nel
nord della Francia. Tosto nella stampa dei vari paesi la malattia di
Don Bosco passò all'ordine del giorno; onde telegrammi e lettere
fioccavano senza posa, chiedenti informazioni. Molti torinesi si recavano
nella sacrestia per sapere qualche cosa di preciso; un registro posto
al pian terreno si copriva di firme delle personalità più
ragguardevoli. Spuntò il Natale assai meno lieto del solito.
L'infermo lo festeggiò nella sua cameretta, ascoltando la Messa
dell'alba e ricevendo la santa comunione: due cose che faceva ogni mattina.
A mezzogiorno venne a vederlo il canonico Bossi, superiore della Piccola
Casa e secondo successore del Cottolengo. Don Bosco, abbastanza sollevato,
gli richiamò alla memoria come l'avesse incontrato la prima volta
a Castelnuovo ancora giovanetto. Poi, mentre dal cortile saliva il vocio
dei ragazzi durante la ricreazione, disse a Don Viglietti: - Caro Viglietti,
se andassi anche tu a fare un po' di ricreazione? Non vorrei che ti
ammalassi per me. - E poco dopo scherzando: - Viglietti, ingégnati
un po' a far mandare tutti i miei mali fra le pietre della Stura. -
Era una reminiscenza delle ore passate quotidianamente nell'estate a
Lanzo sulle rive di quel fiume.
Monsignor Cagliero aveva implorato per l'infermo la bramata benedizione
del Santo Padre con un telegramma al cardinale Rampolla. Il Segretario
di Stato rispose: “ Santo Padre dolente infermità Don Bosco
prega per lui e invia implorata benedizione ”. Don Bosco ne rimase
assai consolato.
Tre Vescovi erano già accorsi a visitarlo, cioè i monsignori
Pulciano da Casale, Manacorda da Fossano e Valfrè di Bonzo da
Cuneo; la sera del Natale vennero i due residenti a Torino, monsignor
Bertagna e monsignor Leto.
In quei giorni la piccola fueghina dava prova di una sensibilità
che sarebbe bastata a sfatare i giudizi avventati di qualche scienziato
sull'assoluta inferiorità degl'indigeni della
496
Terra del Fuoco. La poverina non sapeva darsi pace che Don Bosco fosse
così ammalato e correva spesso dalla Direttrice per domandarle
com'egli stesse. Chiunque incontrasse, esclamava con infantile ingenuità:
- Don Bosco è ammalato! Ogni tanto entrava in cappella a pregare
davanti a Gesù Sacramentato per la sua guarigione.
Ma quell'effimero miglioramento cessò di botto la notte sul 26;
il che allarmò per alcune ore gli assistenti. Udita quindi la
Messa e fatta la comunione, si mise a disposizione dei medici, radunatisi
per un nuovo consulto. Disse a Don Viglietti: Videamus, quantum valeat
scientia ac peritia trium medicorum. Il risultato fu più rassicurante
che non si fosse temuto.
Ricordino i lettori quel tal Tomatis ex - allievo, invitato da Don Bosco
all'Oratorio col figlio per le feste di Natale. Era venuto difatti,
menando anche il fanciullo. Dopo il consulto potè entrare dall'infermo
per prendere congedo. Gettatosi in ginocchio vicino al letto, il vecchio
discepolo, quasi estatico, non fu capace di dire altro che: - Oh Don
Bosco! oh Don Bosco! - Ma nell'accento si sentiva tutta l'anima. Il
Santo, alzata la mano, benedisse padre e figlio; poi sollevò
lo sguardo in alto, facendo intendere che andava ad aspettarli nel cielo.
Usciti che furono, chiamò a sè Don Rua e gli disse con
un filo di voce: - Sai che è di scarsa fortuna. Paga loro il
viaggio a mio nome.
Il cardinale Alimonda doveva recarsi prossimamente a Roma per il giubileo
papale; ma non ebbe cuore di allontanarsi da Torino senza rivedere Don
Bosco. I medici, avendo prescritto all'infermo il perfetto silenzio,
avevano pure ordinato che non si permettessero visite nemmeno di persone
della casa; per questo il Cardinale, essendo tornato una seconda volta,
si era rassegnato al doloroso sacrifizio di non più vederlo e
parlargli, limitandosi a chiedere notizie senz'ascendere le scale. Ma
allora infranse la consegna. Appena scorse sul suo viso gli effetti
del male, non potè frenare il pianto. Lo abbracciò e baciò
due volte e infine lo benedisse.
497
Di li a poco venne introdotta la Superiora Generale delle Figlie di
Maria Ausiliatrice, giunta da Nizza con una delle assistenti per vederlo.
Don Bosco diede loro la benedizione, indicando che la estendeva a tutte
le case e a tutte le consorelle. - Salvate molte anime, - disse salutandole.
Con la data del 26 Don Rua fece ai Salesiani la prima comunicazione
ufficiale sulla salute di Don Bosco. La sua breve circolare si chiudeva
con queste parole: “ Le nostre speranze sono riposte in Dio ed
in Maria SS. Ausiliatrice. Nell'Oratorio, come in molte altre case,
si fa a tal uopo adorazione continua del SS. Sacramento. Preghiamo!...
Preghiamo!... Preghiamo!!... ”.
La festa di S. Giovanni Evangelista venne ad aggiungere sofferenze a
sofferenze. Erasi reso necessario, secondo la frase del diarista, “
operare attorno a lui ”, certo per rigovernarne la persona. L'organismo
logoro e disfatto mal si prestava ai movimenti richiesti dall'operazione.
Assistevano col medico solamente Don Bonetti e Don Viglietti. Il paziente
teneva la testa appoggiata al petto di quest'ultimo. Lo voltolarono
e rivoltolarono tanto, che alla fine non ne poteva proprio più.
Ma non era tutto terminato il suo travaglio. Si trattava ancora di fargli
mutare letto. Furono chiamati Don Rua, Don Belmonte e Don Leveratto.
Mentr'essi ragionavano col dottore Albertotti sul modo di trasportarlo
con minore suo disagio, egli disse a Don Belmonte in tono faceto: -
Bisogna fare così: attaccarmi una corda al collo e tirarmi dall'uno
all'altro letto. - Che faccenda quel trasporto! Don Rua cadde sul nuovo
letto proprio sotto Don Bosco. Don Viglietti sostenne Don Bosco, perchè
Don Rua si togliesse di là. Il povero sofferente, sempre eroicamente
tranquillo, rideva. Quando si trovò a posto, chiese chi fossero
coloro che l'avevano trasportato, e li ringraziò un per uno.
Saputo poi che il nuovo letto, in cui l'avevano messo, era quello di
Don Viglietti, solito a dormire in una camera attigua, s'impensierì
subito per lui dicendogli: - E tu, Viglietti, dove dormirai stanotte?
498
Esigenze igieniche obbligarono poi a ripetere quasi quotidianamente
il movimento di quel trasporto. Egli soffriva già tanto allorchè
gli si accomodavano i guanciali o gli si tirava un po' più su
la persona; figuriamoci per simili spostamenti! Egli per altro non lasciava
di scherzare. Interrogato una volta se gli si fosse fatto male: - Oh
certo, rispose, non mi fai bene.
Ci voleva un letto più comodo del suo, che mal si prestava a
trarnelo fuori e a rimettervelo. Don Rua ne mandò a comperare
uno nel mercato di Porta Palazzo, dove se ne trovavano sempre esposti
in vendita; ma quella volta non ce n'era nessuno. Allora fu che gli
si sostituì quello che in una camera poco distante era servito
a Don Deppert e sul quale il Servo di Dio, secondochè sembrava
aver predetto, doveva morire (I).
Verso sera gli fece visita il nuovo direttore dell'Unità Cattolica,
Don Domenico Tinetti, al quale egli con voce fioca e formando a stento
le parole, disse: - Come in passato, le raccomando la Congregazione
Salesiana e le nostre Missioni. Noi saremo sempre amici fino al Paradiso.
- Il degno successore del Margotti nel numero del 29 descrive così
l'infermo: “ Il suo viso, che nulla ha perduto della calma e serenità
abituale; il suo sguardo, al solito, dolce, vivace e pieno di soave
espressione; il colore perfettamente lo stesso di prima; l'intelligenza
piena, perfetta e, diremmo, sfavillante, fanno singolare contrasto colla
debolezza in che lo si vede prostrato e col filo di voce che debole
e a stento esce dalle sue labbra ”.
Spicchiamo alcuni periodi da una delle lettere indirizzate a Don Bosco
o ad altri dell'Oratorio con la data del 27 dicembre. È una signora
Natalia Cornet che scrive al Santo da Montluçon: “ In grazia
sua, Reverendo Padre, io ho potuto superare tutti i miei infortuni e
fra difficoltà d'ogni maniera ho potuto allevare i miei sette
figli nel timore di Dio
(I) Cfr. sopra, pag. 464.
499
e nell'amore del prossimo. Molto di frequente ho levato lo sguardo
sul suo ritratto che tengo nel mio oratorio, e nei momenti disperati
mi pareva di sentire Lei a dirmi: - Coraggio, cara figliuola, il Signore
affligge coloro che lo amano. - Sì, Reverendo Padre, Ella mi
ha insegnato ad amare Maria Ausiliatrice, la grande Consolatrice della
sua santa vita, e ne la ringrazio, Reverendo Padre, Ella mi ha insegnato
a essere forte nella prova ”.
Reiteratamente or l'uno or l'altro dei Superiori invitavano Don Bosco
a pregare per ottenere la guarigione; ma egli non acconsentì
mai. La sua risposta era sempre la stessa: - Sia di me la santa volontà
di Dio. - Anzi, mentre ripeteva giaculatorie suggeritegli, quando taluno
tentò di fargli dire: Maria Ausiliatrice, fatemi guarire, egli
si tacque.
Il bollettino sanitario di Don Bosco compariva regolarmente in molti
giornali italiani e stranieri, talora accompagnato da articoli intorno
alla sua persona e alle sue opere. I corrispondenti si mescolavano con
la folla che in certe ore assediava la casa per aver notizie. Dai più
remoti paesi - si annunziavano straordinarie preghiere pubbliche e private;
specialmente le comunità religiose facevano violenza al Cielo
per istrappare la grazia. In tante famiglie di Cooperatori si piangeva
e si pregava. La mattina del 28 accadde un bell'episodio. La contessa
Salino, entrata in porteria, domandò le ultime particolarità.
Le si diede a leggere l'Unità Cattolica del giorno avanti, la
quale accennava a un leggerissimo miglioramento. Fuori di sè
dalla contentezza, la nobile signora trasse di tasca il portamonete
e lo mise nelle mani del portiere, pregandolo di dire a Don Bosco che
guarisse presto e accettasse l'offerta di quei pochi soldi. Ne furono
cavati venti marenghi d'oro.
Il conte Prospero Balbo e suo figlio Cesare ottennero di vedere l'infermo
con la contessa Callori. Questa, appressatasi al letto, s'inginocchiò,
chiese la benedizione e poi uscì subito, perchè non poteva
più reggere dalla commozione. Donna forte,
500
benefattrice antica, costante e generosa, ha il suo nome ben raccomandato
ai Salesiani in molti dei volumi, di che si compongono le Memorie biografiche
di S. Giovanni Bosco.
Il Servo di Dio insisteva ogni tanto presso i medici perchè gli
dicessero chiaramente la verità sul suo stato, e per incoraggiarli
a parlare soggiungeva: - Sappiano che non temo nulla. Sono tranquillo
e disposto. - Del resto egli non s'illudeva punto. Don Albera, arrivato
da Marsiglia, gli aveva detto: - È la terza volta, o Don Bosco,
che giunge alle porte dell'eternità, e poi ritorna indietro per
le preghiere de' suoi figli. Sono certo che così accadrà
anche questa volta. - Rispose: - Questa volta non' ritorno più.
Si presentò a Don Durando un corrispondente del Figaro, il signor
Saint - Genest, manifestandogli il desiderio di vedere Don Bosco. Accolto
con affabilità, venne da lui accompagnato nell'anticamera, dove
si trovavano i dottori Albertotti e Fissore. Quest'ultimo a un'interrogazione
del giornalista rispose: Don Bosco è spedito nè abbiamo
più speranza di salvarlo. È affetto da malattia cardiopolmonare;
ha lesioni al fegato con complicazioni al midollo spinale, il che genera
paralisi negli arti inferiori. Non può parlare. Reni e polmoni
funzionano male. - Interrogato a che si dovesse attribuire la malattia,
spiegò: - A nessuna causa diretta. È il risultato di una
debolezza generale, di una vita logorata da lavoro incessante, non scevro
di continue inquietudini. Don Bosco si è consumato per troppo
lavoro. Non muore di malattia, ma è un lucignolo che si spegne
per mancanza d'olio. - Ciò detto, entrò col suo collega
dall'infermo, seguendo Don Durando, che lasciò la porta semiaperta,
perchè il forestiero potesse vedere.
Terminata la visita dei sanitari, Don Durando venne a dirgli che Don
Bosco, udito che vi era il rappresentante del giornale parigino, desiderava
ringraziarlo della benevolenza sempre dimostrata per le sue opere. Allora
il dottor Fissore lo fece entrare, ma ingiungendogli di non far parlare
l'amma -
501
lato. Nella sua relazione al giornale lo scrittore terminava così:
“ Don Bosco stava disteso in un modesto letticciuolo di ferro
e in una camera che può dirsi cella monacale. Il suo viso dolce
e angelico si sforzava di sorridere, i suoi occhi mi fissavano con tenerezza;
mi stese con pena e lentamente la mano e strinse la mia. Le sue labbra
si muovevano come se volesse dirigermi la parola. Io mi chinai, applicai
l'orecchio alla sua bocca e intesi come un soffio che diceva: - Grazie
della vostra visita. Pregate per me. - Oh il sant'uomo! Nella sua umiltà
egli mi diceva di pregare per lui! Sa bene che non ha più nulla
da sperare; pure è sempre amorevole e rassegnato e attende la
morte con la massima tranquillità ”.
I medici segnalarono maggior intermittenza di polso, maggior debolezza
di voce e scopersero anche maggior quantità di albumina, indizio
non fallace di celere deperimento delle forze vitali; aggiunsero tuttavia
che tali effetti potevano anche in tutto o in parte scemare, lasciando
luogo a migliore pronostico (I). Rinnovarono la rigorosa proibizione
di ammettere chicchessia a fargli visita, eccetto coloro che gli erano
frequentemente vicini e non potevano perciò cagionargli impressione
di novità (2).
In giornata Don Rua diramò alle case un laconico e piuttosto
blando comunicato, esortando a pregare con viva fede.
Sbigottimento, cordoglio, fiducia in Dio e nella Vergine Ausiliatrice
sono i tre sentimenti che si alternavano in lettere sempre più
numerose, man mano che i giornali diffondevano la notizia del grave
stato di Don Bosco. Il Corriere Nazionale di Torino del 28 scriveva:
“ Non poche anime innocenti e di grande virtù fanno voti
così ardenti da offrire a Dio chi parte e chi tutta la propria
vita per ottenerne alcun poco di più all'amico sincero, al padre
tenerissimo della gioventù, per il cui benessere si è
tutto consumato ”. E il Cittadino di Genova dello stesso giorno:
“ Difficilmente si hanno
(I) Unità Cattolica, 29 dicembre 1887.
(2) Circolare di Don Rua, 30 dicembre 1887.
502
casi di malattia che suscitino tanta trepidazione, e giustamente, giacchè
Don Bosco colle virtù seppe guadagnarsi la stima e l'affetto
di tutti e gode una fama mondiale ”.
Passò il 29 in un assopimento quasi continuo, interrotto però
di tratto in tratto da alcuni minuti di risveglio. In uno di tali intervalli
Don Bonetti gli chiese un ricordo per le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Rispose: - Ubbidienza. Praticarla e farla praticare.
Di altri istanti simili si profittò per proporgli due questioni.
Si aveva per comunicazione con i Cappuccini il privilegio, chiamiamolo
così, che un socio non potesse confessarsi se non da un altro
socio. Desiderandosi conoscere il suo parere, egli fece capire che preferiva
rifiutarlo. In secondo luogo si voleva sapere se il Rettor Maggiore
dovesse ingerirsi nell'elezione della Superiora Generale delle Suore;
sembrò che egli fosse per il sì.
Sull'imbrunire fece chiamare Don Rua e monsignor Cagliero e raccogliendo
le poche forze che aveva disse per loro e per tutti i Salesiani: - Aggiustate
tutti i vostri affari. Vogliatevi tutti bene come fratelli; amatevi,
aiutatevi e sopportatevi a vicenda come fratelli. L'aiuto di Dio e di
Maria Ausiliatrice non vi mancherà. Raccomandate a tutti la mia
salvezza eterna e pregate. Alter alterius onera portate... Exemplum
bonorum operum... Benedico le case d'America, Don Costamagna, Don Lasagna,
Don Fagnano, Don Tomatis, Don Rabagliati, monsignor Lacerda e quelli
del Brasile; monsignor Arcivescovo di Buenos Aires e monsignor Espinosa;
Quito, Londra e Trento. Benedico S. Nicolas e tutti i nostri buoni Cooperatori
italiani e le loro famiglie; mi ricorderò sempre del bene che
hanno fatto alle nostre Missioni. - Infine ripetè ancora: - Promettetemi
di amarvi come fratelli... Raccomandate la frequente comunione e la
divozione a Maria Santissima Ausiliatrice.
Riguardo a queste ultime parole Don Rua scrisse nella sua terza circolare
del 30: “ Ieri sera in un momento in cui poteva parlare con minor
difficoltà, mentre eravamo attorno al
503
suo letto Mons. Cagliero, Don Bonetti ed io, disse fra l'altre cose:
Raccomando ai Salesiani la divozione a Maria Ausiliatrice e la frequente
Comunione. Io soggiunsi allora: - Questa potrebbe servir per strenna
del nuovo anno da mandarsi a tutte le nostre Case. - Egli riprese: -
Questo sia per tutta la vita... - Poi acconsentì che servisse
anche di strenna ”.
Verso le venti del 29 monsignor Cagliero gl'impartì la benedizione
papale; ma prima egli aveva voluto che Monsignore recitasse ad alta
voce l'atto di contrizione, accompagnato da lui con la mente. Poi gli
disse: - Propagate la divozione a Maria Santissima nella Terra del Fuoco.
Se sapeste quante anime Maria Ausiliatrice vuol guadagnare al Cielo
per mezzo dei Salesiani!
Continuava l'assopimento. A notte avanzata si svegliò molto più
tranquillo e sereno. Domandò da bere, che gli si dovette negare
per i troppo frequenti vomiti. Allora disse: - Aquam nostram pretio
bibimus. Bisogna imparare a vivere e a morire; l'una cosa e l'altra.
La mattina del 30 Don Cerruti, visitandolo, gli disse che la baronessa
Cataldi, una delle maggiori benefattrici genovesi, era stata all'ospizio
di Sampierdarena per portare l'offerta di quattrocento lire e raccomandare
che si pregasse, si pregasse per la guarigione di Don Bosco. Soggiunse
averla egli ringraziata a suo nome, partecipandole la benedizione che
le mandava dal suo letto. - Sì, la benedico, rispose commosso.
L'economo generale Don Sala, che era tornato a Roma, fu richiamato telegraficamente
e giunse a tarda sera. Don Bosco, appena lo seppe, chiese a Don Lemoyne
con ansietà che notizie portasse. Le notizie non erano belle.
Don Lemoyne, imbarazzato, aggiustò la risposta in modo che Don
Bosco si dispose ad aspettare che Don Sala stesso gliele comunicasse.
Il caro Don Bosco aveva sperato sempre e ripetuto più volte che
non avrebbe lasciato debiti a' suoi figli; invece le passività
per la chiesa del Sacro Cuore duravano
504
schiaccianti. È pur sempre un'umiliazione per l'amor proprio
il lasciare debiti, quando si parte da un luogo o addirittura dal mondo.
Dio permise che il suo servo avesse anche quella croce.
Di una buona notizia almeno era latore Don Sala. Al conte Vespignani,
architetto della chiesa, secondo i patti del cinque per cento, si sarebbero
dovute sborsare centocinquantamila lire. Somma enorme per la Congregazione,
massime in quelle strettezze! Don Sala quindi lo pregò di non
voler stare rigidamente al suo diritto. Il Conte rimise a lui la determinazione
della somma per il suo onorario. L'economo gli lasciò capire
che la sua proposta sarebbe stata troppo inferiore al debito. - Dica
e vedremo, - rispose quegli. Don Sala propose che, messi a scomputo
gli acconti già versati, accettasse soltanto ventimila lire.
- Per Don Bosco, accetto, replicò generosamente il nobile uomo.
Don Bosco riconobbe subito Don Sala, appena lo vide, sebbene la camera
fosse sommersa in una penombra. Sembra per altro che non si parlasse
d'affari, perchè Don Viglietti nel diario scrive semplicemente
che Don Bosco lo prese per mano e gli domandò sue notizie. Don
Sala fu pronto a dirgli che i suoi figli di Roma pregavano per lui e
che il cardinale Parocchi, molto dolente della malattia, gli mandava
la sua benedizione. Don Bosco lo ringraziò e a intervalli e con
istento gli disse: - Guarda di provvedere tutto per seppellirmi, sai;
altrimenti aggiústati, mi farò portare nella tua camera.
Per quanto riguarda l'ordine materiale della casa di Roma, procura di
tener bene informato Don Rua.
- Lo farò. Ed ora sono qui tutto a sua disposizione e se potrò
esserle utile in qualche servizio, sarà per me una fortuna.
- Si, mi farai piacere, massime quando ho bisogno di essere trasportato
di letto, anche per sollevare chi mi assiste; da quando mi posi in letto,
volle sempre essermi accanto tutti i giorni e venire di tempo in tempo
a vedermi anche di notte.
505
Da quel momento fino al decesso Don Sala, dì e notte, andava
ogni tanto da lui ora per trasportarlo, ora per assisterlo. Alto e nerboruto,
lo faceva soffrire meno di prima nel tramutarlo da un letto all'altro.
Egli diede ai confratelli notizie di Roma. Principi romani, Vescovi
e Cardinali andavano continuamente a chiedere notizie di Don Bosco.
Lo stesso Santo Padre mandava ogni giorno a domandare. Del medesimo
interessamento scrivevano i confratelli da varie case. A Barcellona
per contentare tutti quelli che volevano nuove, si erano dovuti fissare
tre centri d'informazioni; a Parigi la malattia di Don Bosco fece conoscere
più largamente la casa di Ménilmontant.
Don Rua a certe persone di maggior confidenza mandava le circolari scritte
per i Salesiani, come, per esempio, al padre Picard, superiore degli
Assunzionisti e proprietario della Croix. Questo vero amico di Don Bosco
gli rispondeva il 30 dicembre: “ Noi partecipiamo alle loro angosce
e preghiamo con loro nelle attuali dolorose circostanze. Il loro venerato
e santo Fondatore deve guardar con amore al termine delle sue fatiche.
Io spero tuttavia che il Signore esaudirà le preghiere d'innumerevoli
anime, a cui egli ha fatto del bene e che tutte gridano al Cielo per
ottenerne la guarigione. Grazie, carissimo padre, d'avermi voluto trattare
da amico, inviandomi le particolari informazioni da Lei indirizzate
ai membri della loro cara Congregazione. Le sarò molto grato,
se continuerà a farlo, perchè sa bene che noi siamo loro
uniti da lunga data e tutto quello che interessa Don Bosco, interessa
noi. Tutta la nostra Congregazione prega con la loro e confida nelle
preghiere del nostro caro e venerato Don Bosco ”.
Il timore che Don Bosco venisse presto a morire, indusse i Superiori
a preparargli senza indugio il sepolcro nel sotterraneo sotto l'altare
di Maria Ausiliatrice; poichè, qualora fosse accordata la licenza
di ivi tumularlo, sarebbe stato impossibile costruire il loculo nel
breve spazio di tempo fra il decesso e il termine stabilito dalla legge
per il seppellimento.
506
Don Bosco aveva già espresso il suo desiderio in questo senso.
Don Sala dunque fece eseguire subito il lavoro. Intanto il Procuratore
Generale, conforme a ordini ricevuti dall'Oratorio, si presentò
al senatore Correnti, segretario dell'Ordine Mauriziano, pregandolo
di intercedere presso Crispi, presidente del Consiglio, per ottenere
quest'autorizzazione. Il Correnti all'udire che Don Bosco stava tanto
male, si mise a piangere, poichè lo amava molto (I); promise
ogni suo appoggio; disse che l'Oratorio si rivolgesse pure a lui in
qualsiasi circostanza; ma esortò a non far nulla che avesse parvenza
di venerazione come ad un santo nell'atto della sepoltura, potendo questo
recare pregiudizio, perchè nelle sfere governative e liberali
si sarebbe interpretato quello come una manovra del partito clericale.
Le cose poi presero un'altra piega, come vedremo.
Il consiglio del Correnti era segno dei tempi; la politica inveleniva
e incanagliava gli uomini di partito. I giornali liberali non risparmiavano
neppure il grande infermo. “ Il mondo nero torinese è tutto
sottosopra, temendo una imminente catastrofe ” , si leggeva in
una corrispondenza del 28 da Torino sul Secolo XIX di Genova; al che
seguiva un'insinuazione ributtante sulla causa del male. Anche la crispina
Riforma ne annunziava la prossima fine con una frase delle più
volgari.
Durante i funerei preparativi che abbiamo detto, ecco brillare all'improvviso
un raggio di sole che aperse gli animi alla speranza. L'ultimo dell'anno
parve proprio che le preghiere innalzate al Cielo da tante migliaia
di cuori avessero piegato la bontà di Dio; infatti i medici riscontrarono
un notevole miglioramento senza più verun sintomo che giustificasse
il timore di un prossimo pericolo. “ Sia benedetto Iddio, scrisse
l'Unità Cattolica del I° gennaio, che ci favori questa consolazione
allo spirare dell'anno 1887 e al nascere del 1888 ”.
(I) Cfr. vol. XV, pag. 308 - 316.
CAPO XXIII
Venti giorni di benigna tregua.
IL 1888 si apriva con l'inizio dei feggiamenti in onore di Leone XIII
per il suo giubileo sacerdotale, festeggiamenti a' cui partecipava il
mondo intero con un trasporto di fede e di amore forse unico fino allora
nella storia del Papato. In mezzo a sì generale e santa letizia
la bontà di Dio aveva mandato un capo d'anno ben dolce ai Salesiani,
alle Figlie di Maria Ausiliatrice e ai Cooperatori, allontanando la
falce della morte che sembrava sul punto di recidere la preziosa esistenza
del loro amato Padre. Alle manifestazioni di dolore dei giorni precedenti
sottentrarono espressioni di gioia con auguri che il miglioramento avesse
a durare e con promesse di continuate preghiere. Una signora scriveva
dal Principato di Monaco protestandosi disposta a dare per questo scopo
la propria vita. E Don Rigoli: “ Se Dio vuole anche la mia vita
per quella di Don Bosco, gliela offro con tutta l'umiltà del
cuore ”.
La fiducia poi nell'efficacia delle sue orazioni non aveva limiti. Chi
chiedeva a Don Rua cose di Don Bosco come reliquie, chi lo supplicava
di far toccare all'infermo lettere contenenti particolari intenzioni
o almeno di posargliele alquanto sul letto, chi riferiva di grazie attribuite
alla sua intercessione. Una nobile Cooperatrice francese gli scrisse
il 4 gennaio: “ Proprio dal fondo della Francia, nel mio oscuro
508
villaggio, i fogli pubblici mi recarono nel giorno di Natale la notizia
della sua malattia. Tale notizia mi offuscò la bellezza della
festa. L'altro giorno stavo come in vedetta per sapere se Maria Ausiliatrice
non intervenisse in favore del suo servo, e ieri, grazie a Dio, ho appreso
che ogni pericolo era scomparso e la mia anima ne provò vivissima
gioia. Non avevo osato scrivere io meschina e rassegnata, pensando che
la mia lettera sarebbe passata inosservata in cotesto grandioso ambiente
che prega e supplica per il Padre. Ma oggi non mi so più trattenere
e domando una parola, una paroletta sola che mi rassicuri interamente
il cuore e mi alimenti la speranza che colui il quale ha avuto tanta
pietà di me con le sue preghiere, continui a vivere per il bene
di tutti. Non ardisco dire che ho pregato per lui ogni giorno, essendo
sì poca cosa le mie preghiere, che è gran superbia il
parlarne; ma l'ho fatto e lo fo ancora. Dio conservi questo buon Padre
e io possa dire a me stessa nella mia straordinaria tribolazione: -
Don Bosco lo sa e prega per te. - Certo è egoistico il sentimento
che per mezzo delle preghiere sembra ritardare a Lei l'ora della ricompensa;
ma perchè Ella è così sensibile alle nostre miserie?
perchè le vuole consolare tutte? La mia sofferenza materiale
che non cessa, anzi cresce, mi torna sempre più sopportabile,
sapendo che Ella vi prende parte ”. Tutti scrivendo usavano a
suo riguardo i termini della più squisita delicatezza. Fu insomma
un plebiscito mondiale di affetto e di venerazione che per un semplice
prete possiamo ben dire senza esempio.
Intanto il Bollettino Salesiano di gennaio pubblicava la solita lettera
ai Cooperatori con il resoconto delle opere compiute nel 1887 e con
l'esposizione di quelle ideate per il 1888. Di Don Bosco vi erano solamente
oltre alla firma quattro pensieri da lui stesso dettati e distinti da
tutto il resto con il carattere corsivo. Alla lettera seguivano sommarie
e precise informazioni sulla salute del Santo. I pensieri anzidetti
sono questi.
509
I° Se vogliamo far prosperare i nostri interessi spirituali e materiali,
procuriamo anzitutto di far prosperare gl'interessi di Dio, e promoviamo
il bene spirituale e morale del nostro prossimo col mezzo della limosina.
2° Se volete ottenere più facilmente qualche grazia, fate
voi la grazia, ossia la limosina, agli altri, prima che Dio o la Vergine
la facciano a voi.
3° Colle Opere di carità ci chiudiamo le porte dell'inferno
e ci apriamo il Paradiso.
4° Raccomando alla vostra carità tutte le opere che Iddio
si è degnato affidarmi nel corso di quasi cinquant'anni; vi raccomando
la cristiana educazione della gioventù, le vocazioni allo stato
ecclesiastico e le missioni estere; ma in modo affatto particolare vi
raccomando la cura dei giovani poveri ed abbandonati, che furono sempre
la porzione più cara al mio cuore in terra e che pei meriti di
Nostro Signore Gesù Cristo spero saranno la mia corona e il mio
gaudio in cielo.
Fulminea giunse nel capo d'anno la notizia che il conte Colle era
passato all'eternità; il mal di cuore che più del solito
lo travagliava fin dall'estate, l'aveva sopraffatto e spento. Molta
cautela ci volle per parlarne all'infermo, che tanto lo amava. Gliene
parlò al momento opportuno Don Rua, che spesso in quei giorni
Don Bosco chiamava a sè, trattenendolo da solo a solo in confidenziali
colloqui. L'impareggiabile benefattore si era fatto presente ancora
una volta il 18 dicembre. Avendo promesso da tempo di contribuire all'acquisto
delle campane per la chiesa del Sacro Cuore, come seppe delle iscrizioni'
apposte, e lo seppe con grande ritardo, non rammentava più la
somma, convenuta; onde lo pregava di ridirgliela (I).
In occasione dei funerali capitò un casetto alquanto strano.
Un giornale di Tolone annunziò insieme con la morte del Conte
Colle anche la morte di Don Bosco. L'ispettore francese Don Albera,
che si trovava in quella città, dolorosamente colpito dall'inaspettata
notizia, volò a chiedere spiegazioni. Il redattore gli rispose:
- Tutti sanno che il Conte e Don Bosco erano amicissimi. Nei giorni
passati Don Bosco
(I) App., Doc. 95.
510
era agli estremi. Sembrò a me bella idea e felice spunto per
un bell'articolo l'annunziare che erano morti insieme.
Il 3 gennaio, visto che il miglioramento principiato il 31 dicembre
progrediva, monsignor Cagliero chiese a Don Bosco licenza di recarsi
a Nizza Monferrato per una cerimonia di vestizioni religiose presso
le Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Bosco sorridendo rispose: - Va'
pure, e benedici da parte mia quella comunità. Ma ritornerai?
- Voleva dire se sarebbe ritornato dopo la funzione, senza recarsi altrove.
Dei primari Superiori sentiva molto la lontananza anche momentanea dall'Oratorio.
Il senso dell'isolamento suol essere assai penoso nei malati, specialmente
se già innanzi negli anni.
Che Don Bosco sperasse di scamparla, non si può neppure lontanamente
supporre. Infatti quella sera, dopo che fu tramutato di letto, disse
al segretario: - Sei Don Viglietti?
- Sì, rispose, sono Don Viglietti.
- Ebbene, caro Viglietti, sai perchè quando, vari anni fa, partiva
monsignor Cagliero per l'America, io non voleva lasciarti andare con
lui?
- Sì, adesso lo intendo.
- Bene, l'intendi e lo vedi... Te lo dissi, lo ricordi? Sei tu che devi
chiudermi gli occhi.
Neanche Don Rua si abbandonava all'ottimismo di altri; ce lo fa argomentare
il canto linguaggio da lui usato in questo bollettino redatto il 2 gennaio
per i Salesiani, le Suore ed i Cooperatori “ La grave infermità
dell'amatissimo nostro Padre non va peggiorando, ma il miglioramento
è tuttavia assai lento. Il pericolo prossimo di morte pare scongiurato.
Egli augura e prega da Dio a tutti per l'anno testè incominciato
salute spirituale e corporale, per poter progredire nella virtù,
cui si deve attendere. Infine, non temendosi più per ora cose
allarmanti sull'infermità del nostro caro Don Bosco, mi riserbo
a scrivervi il suo bollettino sanitario solo in quei giorni, in cui
avrò novità rilevanti. Non cessate di pregare ”.
In una particolare circostanza parve che il Signore ascol -
511
tasse la preghiera del suo servo. Furono raccomandati a Don Bosco dal
collegio di Alassio un giovane pressochè moribondo e un chierico
malato di pleurite. A chi gli recò l'ambasciata egli rispose:
- Mah! Sono io che adesso ho bisogno delle preghiere degli altri. -
Non era nè la prima nè la seconda volta che in casi simili
dava simile risposta. Però giovane e chierico guarirono.
La qualità di ex - allievo era sempre un titolo di prim'ordine
alla sua particolare amorevolezza. Il dottor Bestenti, già alunno
dell'Oratorio e allora impiegato nell'ufficio d'Igiene presso il Municipio
di Torino, per l'affetto che portava al caro Padre, prendeva parte molto
volentieri a consulti medici tenuti per lui. Trovatosi una volta solo
nella sua camera, Don Bosco lo interrogò: - Ebbene, dimmi, il
tuo ufficio di medico al Municipio ti dà da vivere?
- Sì, abbastanza, rispose.
- E ora che cosa pensi?
- Vado cercando una compagna.
- Ed io pregherò per te, conchiuse Don Bosco, che gli dimostrò
ogni volta la più grande affezione.
In certi momenti le facoltà mentali gli si annebbiavano. Così
il 6 gennaio disse a Don Viglietti: - Sarà bene che tu dica a
Don Rua che mi stia attento. Mi sento un po' meglio, ma la mia testa
non sa più nulla. Non ricordo se sia mattino o sera, che anno
o che giorno sia, se sia festa o dì feriale... Non so orizzontarmi...
Non so dove mi trovi. Appena conosco le persone... Non ricordo le circostanze...
Mi pare di pregare sempre, ma non lo so di certo... Aiutatemi voi.
Era opinione generale che il suo miglioramento fosse dovuto a grazia
speciale per le infinite preghiere che si facevano. I suoi assistenti
non credevano ai propri occhi il 7 gennaio, vedendolo prendere pan trito,
un uovo e poi il caffè. Prima del cibo si tolse il berrettino,
si segnò e disse la preghiera piangendo. Si temeva forte che
quella roba potesse fargli male; invece ritenne tutto. Quindi con sorprendente
vivacità prese
512
a domandare nuove di mille cose. Volle sapere notizie di Roma, del
Papa, delle feste giubilari, della politica di Bismark e di Crispi;
poi chiese novelle dell'Oratorio e volle parlare con alcuni chierici,
fra cui Vesta e Dones. Da un pezzo non si era trovato più così
bene.
Verso le diciotto mandò a Don Lemoyne un messaggio dicendo: -
Viglietti, procura di farti spiegare questo da Don Lemoyne. Come si
può spiegare che una persona, dopo ventun giorni di letto (I),
quasi senza mangiare, colla mente indebolita all'estremo, ad un tratto
sia ritornato in sè, percepisca ogni cosa e si senta in forze
e quasi capace di alzarsi, scrivere, lavorare? Sì, mi sento sano
in questi momenti, come se non fossi mai stato ammalato. Il resto te
lo dirò poi io. È un abisso che neppur io so comprendere.
A chi domandasse il come, gli si può rispondere così:
Quod Deus imperio, tu prece, Virgo, potes... E questi segreti restano
segreti fino alla tomba.
Don Viglietti lo stringeva a svelargli il mistero ripetendo: - A noi
almeno lo dirà.
- Ma no, gli rispose. Qui bisogna fermarci; del resto svanisce il pensiero
del soprannaturale. Ciò che importa è l'intervento di
Dio nelle cose; il modo puoi lasciarlo. Carlo, questo non è ancora
il mio momento. Potrebbe essere fra poco; ora no.
Checchè se ne voglia pensare, è indubitato che quella
sosta insperata della malattia gli diè la possibilità
di sistemare molti affari, d'impartire istruzioni per l'ordinamento
materiale dell'Oratorio, di prendere decisioni sul personale di qualche
casa. Talora, scuotendosi dallo stato di sopore, segnalava pratiche
da iniziare, provvedimenti da prendere, disposizioni legali cadute di
memoria a chi doveva eseguire. I medici stessi non nascondevano la loro
meraviglia al vedere come conservasse tanta attività e lucidità
di mente.
Da Roma il cardinale Alimonda, che già gli aveva ottenuto
(I) Veramente i giorni erano diciotto. Ma prima del 21 dicembre sì
alzava tardi e si coricava presto.
513
dal Santo Padre una seconda benedizione dopo quella di monsignor Cagliero,
non capendo più in sè della gioia al sentirlo cotanto
migliorato, gli scrisse:
Carissimo Don Bosco,
Le mando i miei vivi rallegramenti per lo stato della sua salute che
volge in meglio. Umili e fervorose preghiere vennero da tutte le parti,
massimamente dai suoi figli Salesiani, innalzate al Signore per ottenere
tal grazia; ed ora ci troviamo contenti che Dio e la Beata Vergine Ausiliatrice
ci hanno esauditi.
Non può immaginare, venerat.mo Don Giovanni, quale e quanta parte
prenda Roma Cattolica a riguardo di V. S. molto Reverenda. Cardinali,
Arcivescovi, Signori e Signore, tutti, posso dire, mi domandano ansiosamente
le notizie di Lei; sanno che io venni da Torino, mi suppongono perfettamente
informato di tutto, e vogliono che io gli ragguagli di Don Bosco. Lo
stesso Santo Padre nell'atto solenne del ricevimento dei pellegrini,
in quel momento in che io gli presentai l'obolo dell'Arcidiocesi, la
parola che mi rivolse con gran premura fu questa: Don Bosco come sta?
E s'intende che le rinnova un'altra volta l'apostolica benedizione.
Sia ringraziato Dio che non lascia star negletti i suoi servi, ma li
vuole in tutta la Chiesa amati, riveriti e benedetti.
Feci già una visita alla chiesa del Sacro Cuore che mi piacque
molto; ma vi tornerò con più comodo ed esaminerò
ogni cosa meglio.
Mi raccomando alle fervorose preghiere di Lei, Don Giovanni Carissimo,
e dei suoi benemeriti figli di Torino. E nella fiducia di riabbracciarla
guarita e con belle forze ricuperate, me le professo
Roma, 7 gennaio 1888.
Servo e Amico in Gesù Cristo
GAETANO Card. ALIMONDA, Arciv.
Abbiamo detto altrove della vista fattagli dal Duca di Norfolk l'8
gennaio nel recarsi a Roma come inviato speciale, della Regina Vittoria
per complimentare il Papa nel suo giubileo. Quel grande gentiluomo e
grandissimo cristiano stette circa mezz'ora inginocchiato presso il
suo letto. Accettò commissioni per il Santo Padre, discorse della
nuova casa di Londra, insistette perchè la si modellasse sull'Oratorio
di Torino, parlò di cose concernenti la sua patria e delle Missioni
in Cina. Don Bosco disse una parola in favore del-
514
l'Irlanda. Finalmente il Duca lo pregò di benedirlo e partì.
Cinque giorni dopo Don Bosco gli fece scrivere oppure gli scrisse a
Roma, raccomandandogli la chiesa del Sacro Cuore (I). La stessa raccomandazione
rivolse a Don Augusto Czartoryski, sceso da Valsalice a visitarlo. Che
cosa abbia fatto il primo, non si è finora potuto sapere; sappiamo
invece che l'altro, ossequente al desiderio del Santo, potè procurarsi
nell'anno duecento mila lire per quello scopo (2).
Profittando della presenza del cardinale Alimonda a Roma, incaricò
Don Rua di stendere una supplica al Santo Padre per un sussidio e di
umiliargliela a mezzo di Sua Eminenza. Ma il Cardinale consigliò
di farla passare per le mani dell'Eminentissimo Parocchi, il quale l'avrebbe
presentata con doppia veste e di protettore della Congregazione e di
Vicario del Papa. “ Con questo, continuava l'Alimonda (3), io
non ricuso di dare il mio povero appoggio al ricorso, e appena potrò
avere un'udienza particolare dal S. Padre, non mancherò di parlare
della chiesa del S. Cuore, de' suoi bisogni, dell'impegno e dei sacrifizi
dei Salesiani con cordiale interessamento ”.
A Don Rua il Santo proibì di far conoscere al pubblico dopo la
sua morte la gravità dei debiti insoluti per li fabbrica della
chiesa del Sacro Cuore. Nei protessi Don Rua dice che Don Bosco gli
fece tale proibizione “ per vari motivi ”, ma non specifica
quali fossero. Il principale non può non essere
(I) Cfr. vol. XVII, pag. 525.
(2) Anche per la vestizione dei chierici di Foglizzo Don Augusto aveva
aiutato a sostenere le spese. Al panno si era provveduto con cinque
mila franchi del conte Colle (cfr. vol. XVI, pag. 723, lett. 76); Don
Augusto pensò alla manifattura, come appare da questa letterina
scritta da lui due giorni prima di mettersi a letto.
Car.mo D. Barberis,
Eccoti qua la nota che il nostro provveditore Rossi Giuseppe mi ha
presentato, delle spese sostenute per la vestizione dei nostri Chierici.
Tu la rimetterai al Sig. Principe Augusto Czartoryski, che salderà
ciò che la carità del suo cuore gli inspira.
Torino, Oratorio 15 - 12 - 87.
Tuo aff.mo in G. C.
Sac. GIO. BOSCO
(3) Lett. a Don Rua, Roma 23 gennaio 1888.
515
stato che la maggior causa del dissesto era dipesa dalla cattiva amministrazione,
come accennammo altra volta con le parole stesse di Don Bosco. Però
nell'ingiungergli il silenzio lo assicurò che la divina Provvidenza
non sarebbe mancata. Infatti, e lo attesta il medesimo Don Rua nei processi,
l'effetto diede tutte le ragioni alla sua illimitata confidenza in Dio;
giacchè dopo la sua morte, senza che si facesse neppure un cenno
delle strettezze finanziarie, arrivarono tanti soccorsi da potere non
solo fronteggiare i bisogni generali della casa, ma anche somministrare
in media mille lire al giorno per pagare i debiti della chiesa, e questo
durò per tutto l'anno. Infatti nel corso del 1888 furono mandate
a Roma più di trecentoquaranta mila lire. E il più ammirabile
si fu che gli aiuti arrivarono da fonti sovente sconosciute, come ad
esempio pio un chèque di sessanta mila franchi da persona che
non volle manifestare il suo nome.
La sua mente sembrava che non sapesse staccarsi dal pensiero delle necessità
domestiche. La sera dell'8 dettò al segretario un secondo messaggio
per Don Lemoyne, che vi si sarebbe dovuto ispirare scrivendo sul Bollettino.
- Mi rincresce che non posso aiutarvi, come faceva una volta, coll'andare
m persona in cerca della carità. Ho speso fino all'ultimo soldo
prima della malattia, ed ora tuttavia sono senza mezzi, mentre i nostri
giovanetti continuano a dimandar pane. E come faremo? Bisogna far sapere
che chi vuol fare la carità a Don Bosco ed ai suoi orfanelli,
la faccia senz'altro, perchè Don Bosco non potrà più
nè andare nè venire.
Una parola del dottor Fissore, pronunziata fuori e riportata nell'Oratorio,
, ingenerò molta tristezza. Trovandosi nell'ospedale del Cottolengo,
egli aveva detto che a Don Bosco non rimanevano che due mesi di vita.
Mentre quasi tutti si cullavano nella dolce speranza della sua guarigione,
quella fu veramente una doccia fredda, che però non estinse ogni
fiducia.
Giungevano dalla Polonia notizie interessanti. Per soddi -
516
sfare alla pietà di tante persone si erano mandati colà
molti crocifissi benedetti da Don Bosco. Orbene si venne a sapere che
si operavano veri prodigi, parecchi dei quali raccontò a Don
Marenco la Superiora della Retraite di Torino, nobilissima polacca e
un tempo quasi fidanzata del principe Czartoryski padre. Fra l'altro
narrò di un moribondo che non si confessava più da vent'anni
nè si mostrava disposto a confessarsi, ma che, visto uno di quei
crocifissi, pianse, se lo strinse al seno e a tale contatto guarì.
L'arrivo di lettere indirizzate a Don Bosco o a Don Rua era incessante;
basterebbero da sole a documentare in quale altissimo concetto fosse
tenuto Don Bosco non solo nell'Italia, ma anche nei paesi esteri. Buon
numero di queste lettere ci è stato conservato, ed ora noi ci
proponiamo di spigolarvi entro con qualche larghezza, ma con tre restrizioni.
Ci limiteremo a questi primi venti giorni di gennaio, tenendo conto
unicamente della corrispondenza straniera e attingendo solo dove appaia
alcun che di notevole. Seguiremo l'ordine cronologico, non il topografico.
Da Grenoble, certe suore: “ Di tutte le care lettere ricevute
in questi giorni quella che ci ha procurato maggiore contentezza è
senza contestazione la lettera che ci dava buone nuove del nostro caro
e santo Padre ”. Un signore da Liegi: “ Ho letto or ora
nei giornali che il Cielo si è lasciato piegare dalle ferventi
suppliche innalzate per ottenere la sua guarigione. Ne ho provato tanta
gioia che non posso indugiare a presentarle i miei rallegramenti. Ho
la grande presunzione di credere d'avere contribuito anch'io con le
mie preghiere al suo ristabilimento ”. Una nobildonna belga: “
Ecco, dicevo a me stessa, un altro protettore che mi sfugge quaggiù,
un consolatore che scompare! Ma pregando dinanzi al Tabernacolo per
implorare da Dio che ci lasciasse ancora sulla terra questo buon Padre,
un pensiero di fede e di fiducia venne a consolarmi; una voce interiore
mi disse che la protezione di Don Bosco mi sarebbe stata più
efficace nel Cielo. Da quel
517
momento, non sapendo se egli sia tuttora in vita o se sia già
morto, prego Dio di assisterlo nel suo estremo passaggio o prego lui
fin d'adesso, se è già lassù nel Cielo ”.
Dall'Alsazia una signora: “ Non mi sarebbe mai possibile sdebitarmi
con Lei, amatissimo Padre. Non contento di avermi ottenuta la liberazione
dal mio male, Ella mi ha inoltre liberata l'anima da pene opprimenti,
massime nel momento della confessione. Alla paura che avevo di Dio è
sottentrata la confidenza. Il mio cuore è tutto cambiato e il
cambiamento è effetto delle preghiere del caro Padre Don Bosco
”.
Il signor Blanchon di Lione che desiderava fondare una casa salesiana
nella sua città, scriveva a Don Rua: “ La quantità
delle nostre preghiere potrà mai compensarne lo scarso valore
e aiutare le loro per ottenere che cotesto santo e buon Padre Don Bosco
sia conservato a' suoi eminenti figli anziani, a' suoi più giovani,
a' suoi più fortunati fanciulli, a tutti coloro che hanno bisogno
di lui? ”. A Don Rua una gentildonna di Lilla: “ Com'Ella
ha una giusta idea di noi, se comprende quanto Don Bosco è amato
qui! E come non sarebbe amato dove sia conosciuto?”. Al medesimo
da Parigi la di Combaud: “ Deo gratias! Ricevo ora il suo telegramma
che mi riempie di gioia. I figli di Don Bosco han fatto violenza al
Cielo e Dio nella sua misericordia li ha esauditi: sia Egli sempre benedetto.
Il mio pensiero e il mio cuore sono continuamente nel loro caro Oratorio
di via Cottolengo; mi sembra di assistere al tripudio dei figli di Don
Bosco. Come sarà bello il Te Deum nella loro grande chiesa, cantato
da tutti cotesti cuori commossi e riconoscenti! ”. Una signora
da Lione: “ Passando per Lione, Lei fu così buono, così
incoraggiante, che noi ne abbiamo conservato il ricordo. Io confido
nelle sue preghiere e spero soccorso ”. Una madre di famiglia
da Moulins: “ Inginocchiati in ispirito accanto al suo letto di
dolore, mio marito, i miei figli e io La preghiamo che si degni darci
la sua benedizione ”. Da Amiens un'altra madre di famiglia a Don
Rua: “ Mille grazie delle notizie di cotesto buono e amatis -
518
simo Padre Don Bosco. Noi preghiamo ogni giorno il Signore che lo guarisca
presto presto e lo restituisca ai suoi figli, conservandolo ancora a
lungo fra loro, sicchè per molti anni continui a essere la consolazione
di tutta la cara famiglia che lo circonda e di questa pure che, quantunque
lontana, lo ama con non minore tenerezza, sentendoci felici di considerarci
come figli di Don Bosco ”. Ancora una madre di famiglia da Bruges
nel Belgio: “ Veniamo a sapere con rincrescimento che la sua salute
è rovinata. Mio marito e io facciamo voti al Signore eh e voglia
conservarla ancora, sulla terra per essere la consolazione degli afflitti.
Sarei ben fortunata insieme con il mio caro sposo e i miei figli, se
ricevessi la sua santa benedizione ”.
Una povera donna parigina priva d'impiego e ridotta a fare la giornalaia,
sperando che Don Bosco le ottenesse da Maria Ausiliatrice la grazia
del pane quotidiano, gli scriveva: “ Padre! Sono molto contenta
di sapere che sta bene e con tutto il cuore ne ringrazio e benedico
Iddio. Che sarebbe di me, se Ella non fosse più al mondo? Mille
e mille grazie a quello de' suoi figli che ha avuto la bontà,
la carità di darmi sue notizie ”. Essa aveva mandato un'offerta
e le si era spedito il diploma di Cooperatrice salesiana.
Da Bordeaux a Don Rua una signora, chiedendo preghiere per la sua famiglia
tribolata: “ Non ho bisogno di dirle quanto io comprenda e divida
le loro inquietudini e la loro tristezza per la salute tanto preziosa
del buon Don Bosco. Io prego ogni giorno per questo buon servo del Signore
e della sua santa Madre ”. Da Nantes la contessa di Maillé
a Don Rua: “ Dacchè appresi il cattivo stato di salute
del loro santo direttore, io viveva in uno stato d'angosciosa inquietudine
facile a comprendersi, avendo avuto la bella sorte di vederlo e di apprezzarne
la bontà e le eminenti virtù. Quindi sono stata ben lieta
di ricevere stamane un bollettino sanitario dei 31 dicembre, annunziante
un notevole miglioramento. Unisco di cuore le mie deboli preghiere alle
loro per
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ringraziarne Dio ”. A Don Bosco da Saint - Etienne una signora,
manifestandogli il suo vivissimo dolore per la notizia della grave malattia,
continuava: “ Unitamente alle signore di mia conoscenza io La
prego di domandare alla Santa Vergine, che a Lei non rifiuta nulla,
di ascoltare le nostre preghiere, di esaudire i nostri voti, accordandole
lunghi anni per fare tanto bene a ogni sorta di poveri infelici. Io
stessa, disperata, non ebbi più fiducia se non dal momento che
credetti di aver parte alle sue orazioni ”.
Da Düren nella Prussia Renana a Don Bosco una signora, espresso
il suo dolore e promesse preghiere insieme con la sua famiglia, conchiudeva
dicendo: “ Voglia essere sempre nostro intercessore presso Dio
e la Santa Vergine ”. Da Bollendorf nell'archidiocesi di Treveri:
“ Prego Dio di tutto cuore per Lei. Sono incaricata da tutte le
mie conoscenze, che hanno avuto la fortuna di ricevere conforto dalle
sue sante preghiere, di significarle quanto ci affligga il saper Lei
ammalato. Tutti per Lei pregano, buon Padre, e tutti noi ci raccomandiamo
pure a Lei, tanto amato da Dio! a Lei, sì grande e fedele operaio
nella vigna del Signore! ”. Dall'Inghilterra: “ Oh mio reverendo
Padre, prego Dio che affligga me della sua malattia e conservi Lei per
il bene della sua Chiesa e delle anime. Io non sono nulla, non fo niente
di bene nel mondo, solo offendo la Divina Maestà ogni ora del
giorno. L'infermità e la sofferenza mi sarebbe un bene per riparare
le mie colpe e diminuire la pena nell'altro mondo ”. Una religiosa
di Bruxelles a Don Rua: “ Gli dica, ne la supplico, una parolina
per me. Gli dica che se la Santa Vergine lo chiama con sè, io
continuerò a fare di buona voglia per i suoi figli quel poco
che è in mio potere, ma a condizione che non mi dimentichi presso
la Santa Vergine, quando godrà della sua presenza. Cotesto buono
e venerato padre si degni di benedirmi ” .
Da Jemmapes nel Belgio il signor Cornelio di Thier, dottore in diritto
e avvocato, scrive a Don Rua in latino pregandolo di un favore. Gli
spedirà una corona del Rosario affinchè
520
egli la faccia benedire a sancto, illustri ac eminentissimo patre Dom
Bosco o almeno la ponga un istante nelle sue mani santissime o, se fosse
già morto, ne tocchi almeno con essa la salma. Da Malines nel
Belgio due signore: “ La sua grave indisposizione ci ha grandemente
addolorate. Benchè non La conosciamo se non per affinità
spirituale, dividiamo i devoti sentimenti che nutrono per Lei quanti
hanno il bene di avvicinarla. Alle loro preghiere noi abbiamo subito
unite le nostre ”. Da Béziers in Francia una fanciulla
di dodici anni che da due anni ha fatto la prima comunione gli scrive:
“ lo ho un padre che, quantunque buono, sta lontano dai sacramenti.
Avendo saputo che Ella ottiene molte grazie dal Signore, Le domando
che voglia occuparsi di questa che io chieggo fervorosamente a Dio.
Spero che Ella ascolterà la preghiera di una figliuoletta desolata
di vedere il suo caro papà lontano dal Signore ” .
Da Rinningen nel Baden una Maria di Hornstein, très indigne coopératrice,
gli dice: “ Voglia, di grazia, risparmiarsi; noi siamo tanto fortunati
di godere delle sue preghiere, de' suoi consigli, della sua benedizione!
Benedica i nostri sette figli, dei quali io posso dirle di cuore come
i loro buoni coloni di S Nicolas nell'Argentina: - Sono tutti suoi,
se li vuole prendere (I). - Nè mio marito nè io formiamo
voti più cari. Le bacio le mani con la tenerezza e la venerazione
più profonda ”. Da Lalaire in Francia una di Clok gli descrive
la sua vita passata, la trascuranza di alcuni suoi doveri, l'incertezza
sullo stato presente della sua anima, il terrore del futuro nell'eternità
e conclude scongiurandolo di dirle una parola, una sola parola che le
renda la pace. Dio ha consolato altre anime
(I) Nel Bollettino italiano e francese del dicembre 1887 si leggeva
la relazione di una visita fatta da monsignor Cagliero al collegio di
S. Nicolas e alla colonia italiana dei dintorni. La lettera allude a
un passo di quella relazione. Monsignore, vedendo colà una turba
di ragazzi, ragazze e bimbi domandava ai genitori se potesse sperare
che almeno qualcuno di quegli angioletti sarebbe poi regalato a Don
Bosco. - Che dice mai, Monsignore? rispondevano quei buoni cristiani.
- Non alcuni, ma tutti; e se il Signore ce ne desse il doppio, tutti
vogliamo offrirli a Don Bosco e a Maria Ausiliatrice,
521
col suo ministero; oh, gli domandi di farle per mezzo suo la medesima
grazia! Da Valletta nell'isola di Malta, congratulazioni per la ricuperata
salute e auguri che Dio lo conservi all'amore de' suoi cari e al belle
dell'umanità. Da Mons nel Belgio il signor Giulio Honorez, che
aveva veduto Doli Bosco a Parigi in casa della di Combaud, chiede a
Don Rua una copia della sua biografia per mandarla alla moglie di Sadi
Carnot, Presidente della Repubblica francese, e lo prega di raccomandarlo
alle sue preghiere.
L'illusione sull'entità del suo miglioramento faceva dire all'ottimo
monsignor Guigou di Nizza Mare: “ Lei sa che tutti La aspettano
a Cannes per la Quaresima. Non manchi di venire ”. Il signor Hosg
da Haarlem lo felicitava in olandese della ricuperata sanità.
Perfino Don Viglietti si abbandonava a sì rosee speranze. Infatti
il 15 gennaio in una lettera al Leonardo da Vinci di Milano, pubblicata
nel numero del 18 - 19 dall'Osservatore Cattolico, usciva in queste
affermazioni: “ Scomparso ogni pericolo, altro non rimane a Don
Bosco che ricuperare le necessarie forze per restituirsi in mezzo ai
suoi numerosi figli ansiosi di rivedere le sue venerate sembianze di
padre ”. Il cuore faceva vedere avverato quello che desiderava.
Più importanti per noi, a chiusa di questa recensione, sono le
righe dov'egli diceva: “ L'interessamento che in tal pericolo
tutto il mondo, direi quasi, si è preso di Don Bosco è
cosa commovente e difficile a descrivere ”.
Il settimanale lionese Eclair del 14 gennaio si domanda perchè
mai Don Bosco goda tanta popolarità. Ecco la risposta: “
Perchè gli raggia dalla fronte l'aureola della santità.
E tale è questa riputazione di santità che si ricorre
a lui per fargli ottenere miracoli. Ma ciò che ne prova la vera
santità è il suo obliare di essere certamente un favorito
da Dio. Egli consiglia la preghiera per ottenere i favori divini, nè
sono i favori temporali quelli che gli ispirano preghiere per sè
o per chi ricorre al suo intervento. Don Bosco vede lontano e di là
dallo spazio ”.
522
Il Santo Padre aveva presente al pensiero lo stato di Don Bosco. L'II
gennaio ricevette in udienza il pellegrinaggio piemontese, del quale
faceva parte il missionario Don Cassini. Quando nel far il giro della
sala passò dinanzi a lui, il cardinale Alimonda glielo presentò.
- Oh bene! disse il Papa. Che notizie ci date di Don Bosco? Abbiamo
saputo che è stato molto male, ma che ora sta un po' meglio.
- Sì, Santo Padre, rispose Don Cassini, le ultime notizie ricevute
sono buone. Don Bosco va migliorando.
- Sia ringraziato Iddio! esclamò il Pontefice. Pregate per la
sua conservazione. Ditegli che il Santo Padre si ricorda di lui e che
gli manda la sua apostolica benedizione. La vita di Don Bosco è
preziosa e la sua morte in questi giorni avrebbe funestato le nostre
feste di Roma.
Don Cassini partecipò anche all'udienza degli Argentini il 30
gennaio. Monsignor Ichaque, canonico della cattedrale di Buenos Aires,
lo presentò come membro del Comitato e rappresentante delle case
salesiane d'America. Il Papa, udendo dal canonico il bene che i Salesiani
facevano in quelle lontane regioni, teneva stretto per le mani Don Cassini
e gli domandava quante case salesiane vi fossero nell'America del Sud,
se fosse molto il bene che vi si poteva fare, se i Salesiani incontrassero
contraddizioni, se la popolazione li amasse. Sono amati molto, rispose
Monsignore a quest'ultima domanda, perchè lavorano molto. - Allora
il Papa raccomandò a Monsignore che le case e le Missioni salesiane
fossero protette e consigliate. Infine benedisse nuovamente Don Bosco.
Dal 12 gennaio passarono all'Oratorio molti pellegrini francesi, belgi,
svizzeri, inglesi, tedeschi, provenienti da Roma e desiderosi di vedere
Don Bosco e di riceverne la benedizione. Don Bosco, per quanto potè,
li accolse cordialmente, raccomandando alla loro carità i suoi
figli e alle loro preghiere se stesso. Qualche volta, sentendo che alcuni
per gli ordini del medico non erano stati introdotti, ne mostrava rincrescimento.
523
Dei generale interessamento per la sua malattia e dell'affluenza di
personaggi nella porteria dell'Oratorio Don Rua parlò all'infermo
il 13 gennaio; gli osservò pure come non solo i giornali cattolici,
ma anche gli altri che lo avevano avversato, scrivessero di lui con
rispetto e simpatia. Don Bosco gli rispose: - Facciamo sempre del bene
a tutti, del male a nessuno.
Accadde in quei giorni un fatterello singolare. In ora di nessun concorso
nella chiesa di Maria Ausiliatrice un bimbo sconosciuto dei quartieri
vicini, dall'età apparente di tre o quattro anni, entrò
nel santuario e staccata una delle candele accese dai fedeli, si mise
a camminare in su e in giù lentamente e con aria composta, tenendo
in mano la candela accesa e balbettando parole non intelligibili a modo
di chi recita salmi. Interrogato da Don Pesce, prefetto di sacrestia,
che cosa facesse, rispose senza fermarsi che faceva il funerale a Don
Bosco. Tale comparsa si ripetè due volte, nel che qualcuno volle
vedere un avviso che Don Bosco sarebbe morto presto.
Ma nell'Oratorio regnava la più tranquilla fiducia che egli sarebbe
guarito. Infatti cessarono le preghiere continue dei giovani dinanzi
all'altare di Maria Ausiliatrice; non ci pensarono più nè
i Superiori della casa, nè i Capitolari, nè vi badò
lo stesso Don Rua, tutto assorto in molteplici affari. Vedendo poi sottentrata
tanta quiete alle ansietà precedenti, la solita Gazzetta ebbe
la ripugnante inverecondia di stampare non essere vera la malattia di
Don Bosco, ma essersi ricorso a quel ripiego per aver modo di far danaro.
Il buon umore non abbandonava il Servo di Dio. La mattina del 15, dopo
udita la Messa e fatta la comunione, scherzava sulla sua difficoltà
di respiro e ripetè agli astanti quella facezia dei mantici.
- Se poteste trovarmi, disse, un fabbricante di mantici che venisse
ad accomodare i miei, mi fareste un buon servizio. - Mentre così
parlava, un soave sorriso confortatore gl'illuminava il volto, ravvivando
le speranze.
524
Nella giornata, sebbene da parecchio non avesse più visto il
calendario, disse all'improvviso: - Domani è S. Marcello. Mandate
a Marcello un canestrino di quell'uva che ci hanno regalata. - Marcello
era il figlio del dottor Vignolo, convalescente da una grave malattia.
Ad agevolargli la respirazione i medici ordinarono di provvedere un
seggiolone adatto per quando, si sarebbe potuto alzare da letto. Ma
egli, discorrendo con Don Durando, disse chiaramente che era inutile.
Quasi ogni giorno, mentre pigliava qualche alimento, gli sì stendeva
sul petto un tovagliolo nuovo. Quando se n'accorse, chiese: - Che cosa
è questa roba?
- Il ritiro del Buon Pastore, rispose Don Sala, ne ha mandate alcune
dozzine in regalo a Don Bosco.
- Ebbene, ricórdati di fare a mio nome tanti ringraziamenti.
La sera del 17 gennaio, dovendosi rialzarlo di peso, si prestò
all'opera pietosa anche Don Francesia. - Oli! disse Don Bosco, non occorreva
per questo disturbare le celebrità. Bastavi tu solo, Don Sala.
Questa operazione riusciva sempre dolorosa al povero infermo', a motivo
specialmente delle piaghe causate dal decubito. Perciò Don Sala
gli disse: - Povero Don Bosco! quanto lo faccio soffrire!
- No, rispose, di' piuttosto: Povero Don Sala, che ha dovuto fare tanta
fatica! Ma lascia fare a me: questo servizio te lo restituirò
a tempo opportuno.
Un'altra volta Don Sala, vedendolo molto disturbato dal male, gli domandò
che cosa potesse fare per dargli qualche sollievo. - Mi pare, gli rispose,
che la mia persona sia troppo infossata nel materasso. - Allora Don
Sala gli mise un braccio sotto le cosce e l'altro sotto la schiena e
robusto com'era, lo sollevò di peso, mentre Don Viglietti gli
sottoponeva un coltroncino imbottito. Per lasciargli tempo di fare questo,
Don Sala dovette sostenere Don Bosco alcuni minuti. Ada -
525
giato poi e accomodato in modo da stare quasi seduto, pigliò
da Don Viglietti alcuni cucchiai di pan trito; indi guardò Don
Sala, come se avesse qualche cosa da dirgli. Prontamente Don Sala gli
domandò in che cosa potesse servirlo. Ed egli ridendo: - Avrei
bisogno di mangiare un salame, e allora le cose andrebbero meglio, non
è vero? Ma per ora cerchiamo di riposare.
Una visita importante ricevette il 18: la visita di monsignor Goossens,
arcivescovo di Malines nel Belgio, accompagnato dal suo Vicario Generale
e da altri distinti ecclesiastici. Poche parole furono scambiate, i
visitatori si ritirarono profondamente commossi.
Poco dopo a monsignor Cagliero che gli stava a fianco, disse: - Prendi
a cuore la Congregazione Salesiana, ` aiuta gli altri superiori in tutto
quello che potrai. - Taciuto alcuni istanti, riprese: - Quelli che desiderano
grazie da Maria Ausiliatrice, aiutino le nostre Missioni e saranno sicuri
di ottenerle.
Una sera appariva disturbatissimo per il male, specialmente per la sofferenza
cagionatagli dal decubito, e di tratto in tratto si moveva, come se
cercasse un qualche sollievo. All'improvviso fe' segno a Don Sala di
volergli parlare. Don Sala gli avvicinò l'orecchio alla bocca
e Don Bosco gli disse con volto ilare: - Di' al medico che si farebbe
un onore immortale, se trovasse il modo di cambiarmi la parte posteriore
tutte le volte che mi fa male. - Don Sala, venuto il medico, gli ripetè
senz'altro quelle parole, mentre Don Bosco sorrideva amabilmente. Era
sempre la sua cura di tener allegri coloro che ne circondavano il letto.
Ma una cosa rapiva d'ammirazione quanti lo servivano: il suo angelico
riserbo. Era un'agonia per lui dover essere sollevato e pulito per certe
necessità. Ora il suo contegno era compostissimo, tanto che lo
paragonavano ai corpi dei santi adagiati sotto gli altari. Istintivamente
si copriva e ricopriva collo e spalle con uno scialle
526
che stava sul capezzale, e questo perfino quando sembrava fuori dei
sensi.
Il giorno 20 ebbe la visita di monsignor Francesco Philippe, vescovo
titolare di Lari, della Congregazione Salesiana di Annecy, coadiutore
di monsignor Tissot della stessa Congregazione e vescovo di Vizagapatan
nell’Indostan.
Don Viglietti con mano sicura scriveva nel diario: “ Sebbene adagio,
Don Bosco va sempre migliorando. Si può ormai dire che non gli
rimane che acquistar forze per lasciare il letto ”. Mai pronostico
fu più fallace di quello.
CAPO XXIV
Ultimi smantellamenti della carne.
L’ORGANISMO di Don Bosco oppose al dissolvimento finale una resistenza
delle più tenaci; si direbbe che la morte glielo dovette smantellare
fibra a fibra, prolungandogli lo spasimo di un lento martirio. Soprattutto
lavorava la miolite, causa prima del dissesto generale. Sott'altro aspetto
si può asserire che la malattia fu crogiuolo, nel quale si vide
quanto fosse puro l'oro della sua virtù. Una tranquillità
inalterabile, una carità delicata, una rassegnazione perfetta
alla volontà di Dio sono le tre cose che maggiormente si ammirarono
in lui per lo spazio dei quaranta giorni passati nel letto de' suoi
dolori.
Monsignor Cagliero non aveva ancora posto mente ai primi sintomi di
regresso, quando il 21 gennaio disse all'infermo: - Caro Don Bosco,
sembra che il pericolo che noi temevamo sia scongiurato. Mi chiamano
a Lu per la festa di S. Valerio, patrono di quel paese da Lei molto
amato e che diede un numeroso contingente di persone per le Missioni
e specialmente di Suore.
- Va', sono contento, rispose Don Bosco. Ma starai fuori poco tempo,
non è vero?
- Passata la festa, andrò a fare una breve visita ai nostri giovani
di Borgo S. Martino, e ritornerò.
- Sia pure; ma fa' presto.
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Monsignore partì; ma quel “ fa' presto ” gli risonò
all'orecchio per tutto il tempo che rimase fuori, tenendolo in apprensione.
Il peggioramento si accentuò alquanto la mattina del 22; egli
potè nondimeno ascoltare la santa Messa e fare la sua comunione.
Dopo i medici stimarono necessario procedere a un'operazione chirurgica.
Da parecchi anni gli si era formata sull'osso sacro un'escrescenza di
carne viva, grossa come una noce, che gli rendeva assai penoso lo star
seduto e coricato; per un senso tutto suo di dignitoso e virtuoso riserbo
aveva preferito soffrire quel grave incomodo senza mai farne parola
neppure al dottore curante (I). Questi se n'era avveduto da poco e comprendeva
quanto dovesse riuscirgli tormentoso il decubito; gli propose perciò
il taglio. Don Bosco docile come un bambino vi si sottomise. Erano presenti
anche gli altri due medici. Il dottor Vignolo gli fece l'amputazione
di colpo e per sorpresa, perchè gli aveva lasciato intendere
che la cosa si sarebbe potuta eseguire l'indomani. Don Bosco a quel
dolore improvviso mandò un grido. L'operazione era riuscita ottimamente.
Il Santo riconoscentissimo strinse la mano al dottore. Disse in seguito
che si sentiva perfettamente libero. Don Sala, entrato pochi minuti
dopo nella stanza, gli domandò come stesse.
- Mi hanno fatto un taglio da maestro, rispose.
- Povero Don Bosco, avrà sentito molto male.
- Credo che quel pezzetto di carne che staccarono non abbia sentito
nulla.
C'era un'altra grande penitenza per lui. Data l'impossibilità
di muoversi da sè, accadeva non di rado che il suo povero letto
fosse malconcio; perciò disse una volta a Don Sala: - Tu sai
quanto io fossi esatto per la pulizia; ed ora non posso più ottenerla,
Mi trovo sempre nell'immondizia.
Verso le dieci vennero a visitarlo i monsignori Krementz,
(I) Proc. ap., Summ., pag. 490 e 493.
529
arcivescovo di Colonia, e Korum, vescovo di Treveri, accompagnati dal
loro seguito. Parlando a stento, raccomandò loro i poveri giovani
e li pregò di chiedere per lui la benedizione del Santo Padre.
La mattina del 24 vi fu la visita di un altro altissimo Prelato, monsignor
Richard, arcivescovo di Parigi. Don Bosco volle essere da lui benedetto.
Monsignore lo accontentò; ma poi, messosi in ginocchio, pregò
Don Bosco di benedirlo a sua volta. - Sì, rispose Don Bosco,
benedico lei e benedico Parigi. - Al che l'Arcivescovo: - Ed io parlerò
di Don Bosco alla mia città e annunzierò a Parigi che
porto la benedizione di Don Bosco (I).
Nel pomeriggio stava tanto male, che i medici dichiararono essere egli
ritornato nelle condizioni di un mese addietro. Partiti i medici, mandò
a chiamare il giovane sagrestano Palestrina, del quale aveva molta stima,
e gli fece dire dal segretario che rimanesse a pregare Gesù e
Maria per tutto il tempo libero, affinchè in quegli ultimi suoi
momenti, mentre aspettava l'ora sua, potesse avere viva fede. Dopo il
giovane medesimo venne introdotto presso Don Bosco, il quale gli ripetè
la stessa cosa tutto commosso e poi lo benedisse. Verso sera, contrariamente
a quanto succede negl'infermi, egli si sentiva più sollevato
e ciò, come disse a Don Lemoyne, in grazia delle preghiere di
quel buon giovane.
Il 24 nuovo aggravamento. Chiese che gli si suggerissero giaculatorie
divote. La difficoltà del parlare andava crescendo, sicchè
a chi l'ascoltava si stringeva il cuore. A Don Sala che gli aveva presentata
una bibita, disse: - Studiate il come io possa riposare. - Tosto lo
assettarono nel miglior modo possibile. Quindi sembrò che realmente
fosse per addormen -
(I) Durante quest'ultima settimana venne a Torino dal Belgio per consultare
Don Bosco sulla Comunione frequente l'abate Temmerman, che non gli potè
parlare, ma intese da Don Rua quali fossero le idee di lui sull'argomento.
L'abate, durante il Congresso Eucaristico di Anversa nell'agosto 1890,
dinanzi un'assemblea di sacerdoti, il giorno 20 riferì l'esito
di quel colloquio, come si legge nella sua conferenza pubblicata negli
Atti. Sono pagine interessanti (App., Doc. 96).
530
tarsi; ma a un tratto si scosse, battè palma a palma le mani
e gridò: - Accorrete, accorrete presto a salvare quei giovani!...
Maria Santissima, aiutateli... Madre, Madre!
Don Sala, avvicinatosi subito al letto, gli domandò che cosa
comandasse. - Dove siamo in questo momento? chiese.
- Siamo nell'Oratorio di Torino.
- E i giovani che cosa fanno?
- Sono in chiesa alla benedizione e pregano per lei
Non c'era mai nè acqua nè ghiaccio che valesse a spegnere
l'ardente sete che lo crucciava nelle ultime settimane; perciò
si provvide acqua di seltz, che infatti sembrava arrecargli qualche
sollievo. Ma, credendo che quella fosse una bevanda costosa, si rifiutò
assolutamente di giovarsene. Se si volle che si acquietasse, bisognò
che i coadiutori Buzzetti e Rossi gli dimostrassero che costava soltanto
sette centesimi alla bottiglia.
Monsignor Cagliero, ritornato il 26, andò subito al letto di
Don Bosco, che passava un'ora di grande travaglio. Quando lo vide, gli
mormorò con fatica queste sole parole: - Salvate molte anime
nelle Missioni.
Il giorno dopo Monsignore, ancora propenso a sperare, volle fare un
tentativo per sapere se il buon Padre sarebbe guarito o no. A questo
scopo lo interrogò, se gli permettesse di andare a Roma; chè
senza il suo consenso non si sarebbe mosso.
- Andrai, ma dopo, gli rispose con un grande sforzo.
- Ma, Don Bosco, mi dica se, andando dopo S. Francesco, posso stare
tranquillo. Devo anche andare in Sicilia...
- Sì, replicò, andrai, farai molto bene, ma aspetta dopo.
Si capì quale fosse il “ dopo ”, a cui alludeva.
Ripigliato che ebbe un tantino di forza, gli disse ancora: - La tua
venuta è molto opportuna e vantaggiosa per la Congregazione in
questi momenti.
In mezzo a' suoi dolori non poteva nemmeno procurarsi il sollievo di
cambiare posizione. Chi lo assisteva, lo esortò a
531
ricordarsi di Gesù, che sulla croce soffriva tanto senza potersi
muovere nè da una parte nè dall'altra. Egli rispose: -
Sì, è quello che faccio sempre. - Nel trasportarlo di
letto Don Bonetti gli disse: - Le facciamo male, povero Don Bosco! Noi
siamo inetti. Pensi alla passione di Gesù Cristo. - Egli fe'
segno di sì.
Verso sera lo visitò Don Dalmazzo. Egli lo guardò intenerito,
gli strinse la mano e gli disse: - Ti raccomando la Congregazione! Sostienla,
difendila in ogni tempo. - Disse quindi a Monsignore: - La Congregazione
non ha nulla a temere. Ha uomini formati.
Avvenne che sul tardi Don Sala si trovasse solo nella camera. Colto
il momento in cui egli sembrava avere più libero il respiro:
- Don Bosco, gli chiese, si sente molto male, è vero?
- Eh sì! rispose. Ma tutto passa e passerà anche questo.
- Che cosa potrei fare per sollevarla un poco?
- Prega!
Ciò detto, congiunse le mani e si mise a pregare. Lasciatolo
riposare alcuni minuti, Don Sala ripigliò: - Don Bosco, ora si
troverà contento, pensando che dopo una vita di tanti stenti
e fatiche è riuscito a fondare case in varie parti del mondo
e stabilire saldamente la Congregazione Salesiana ...
- Sì, rispose. Ciò che ho fatto, l'ho fatto per il Signore
... Si sarebbe potuto fare di più... Ma faranno i miei figli...
La nostra Congregazione è condotta da Dio e protetta da Maria
Ausiliatrice.
Alle ore venti stentava assai a farsi intendere e a dar segno di capire.
Intorno al suo letto vi erano monsignor Cagliero, Don Rua e altri. Vi
si parlava dell'iscrizione da scolpirsi sulla tomba del conte Colle.
Don Rua proponeva: Orphano tu eris adiutor. Monsignore invece: Beatus
qui intelligit super egenum et, pauperem. A un tratto Don Bosco, che
non sembrava affatto badare alla loro conversazione, aperse gli occhi
e sforzandosi riuscì a proferire con voce abbastanza
532
intelligibile: - Scolpirete: Pater meus et mater mea dereliquerant
me, Dominus autem assumpsit me.
Ormai la fausta notizia che Don Bosco s'avvicinava alla guarigione,
aveva riempito il mondo, procurando lettere gratulatorie da ogni parte,
anche da paesi assai remoti, perfino da Grodno o Gardinas nella Lituania.
Si può ben immaginare con che cuore nell'Oratorio si leggesse,
per esempio, la speranza della contessa d'Oncieu di rivedere presto
Don Bosco a Milano; o queste altre parole della mamma di Don Lemoyne
al figlio: “ È un uomo che interessa tutti; a Genova non
si parla che della sua malattia e della speranza della sua guarigione
”. E che fiducia nelle sue preghiere! La signora Susanna Poptovska
dalla Podolia nell'Ucraina gli scriveva: “ Le sue preghiere, buon
Padre, attirano tante grazie quasi miracolose dal cielo a tutti coloro
che vi ricorrono, anche nelle nostre lontane contrade, che io ho la
massima fiducia che le grazie domandate da me saranno pure concesse
per sua intercessione. Ella, buon Padre, non me la rifiuterà,
non è vero? ”.
Don Bosco aveva un nipote che ne disonorava la famiglia: il secondogenito
di Giuseppe, per nome Luigi. Educato nell'Oratorio, aveva ripreso, dopo
un'interruzione, gli studi, riuscendo cancelliere di pretura. Allora
da più anni conviveva a Gravellona Lomellina con una donna separata
dal marito. Il santo zio, che lo amava molto, non gli aveva risparmiato
ammonimenti e rimproveri; ma poichè era come dire al muro, non
lo volle più vedere; soltanto gli concesse un breve colloquio
pochi mesi prima di morire, perchè si trattava di dividere le
proprietà sue come salesiano da quelle della famiglia, rimaste
sempre indivise dopo la morte del fratello Giuseppe. Orbene quel disgraziato
protestava che a suo tempo avrebbe mossa lite per rivendicare quanto
possedeva Don Bosco. La cosa avrebbe causato gravi inconvenienti. Ma
Iddio lo aspettava proprio in quel torno di tempo. Dagli ultimi di gennaio
fu tra la vita e la morte fino al 6 febbraio, quando passò all'eternità.
533
Le condizioni dell'infermo si aggravavano sempre più. Durante
il 27 e nella notte e al mattino seguente vaneggiava con frequenza.
Ascoltò tuttavia la santa Messa e ricevette la comunione. Durante
il divino sacrifizio era sorpreso ad intervalli da assopimento, cessato
il quale, gli si faceva più affannoso il respiro. Quando si fu
all'Agnus Dei, Don Lazzero che lo assisteva, lo interrogò: -
Don Bosco, fa la comunione stamattina? - E Don Bosco fra sè:
- È tosto la fine... - Poi, voltosi a Don Lazzero, disse ad alta
voce: Conto di fare la santa comunione. - Così dicendo, si tolse
il berrettino e giunse le mani. Nel fare quest'atto il suo volto prendeva
sempre un aspetto tale di profondo raccoglimento, che nei riguardanti
destava sensi di viva fede.
Spesso fu udito ripetere: - Sono imbrogliati. - E poi: - Coraggio! Avanti!...
Sempre avanti! - Talora chiamava per nome qualcuno. Quella mattina avrà
ripetuto una ventina di volte: - Madre - Madre! - Alla sera con le mani
giunte invocava: - Oh Maria! Oh Maria! Oh Maria! - Don Berto lo interrogò,
se permetteva che gl'indossasse l'abitino della Madonna del Carmine.
Egli annuì e lo ricevette con viva compiacenza.
A quanti si avvicinavano al suo letto, dava gli ultimi ricordi, dicendo
per lo più: - Arrivederci in Paradiso!... Fate pregare per me...
I giovani facciano per me la santa comunione. - Disse pure a Don Bonetti:
- Di' ai giovani che io li attendo tutti in Paradiso! - E poco dopo:
- Quando parlerai o predicherai, insisti sulla frequente comunione e
sulla divozione a Maria Santissima.
Don Berto gli aveva messo nelle mani uno di quei crocifissi, baciando
i quali si acquista ogni volta l’indulgenza plenaria. Egli lo
recava sovente alle labbra. Essendogli stata presentata da Don Bonetti
un'immagine di Maria Ausiliatrice, la guardò ed esclamò:
- Ho sempre avuta tutta la fiducia in Maria Ausiliatrice! - Di nuovo
a Don Bonetti: - Ascolta. Dirai alle Suore che, se osserveranno le regole,
la loro salvezza è assicurata.
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I medici lo trovarono gravissimo, nè vedevano la menoma speranza
di salvarlo. Il dottor Fissore gli disse: - Don Bosco, si faccia coraggio...
Vi è speranza che domani la cosa vada meglio. È già
accaduto altre volte... Oggi il cattivo tempo influisce... - Don Bosco,
rimasto fino allora immobile, sorrise e col dito minacciando scherzevolmente
il buon dottore, disse a stento: - Dottore, che vuol far risorgere i
morti! Domani?... Domani?... Farò un viaggio più lungo!
I medici tennero consulto. Dopo egli si sentiva molto spossato; soffriva
assai più del solito. - Aiutatemi! disse a Don Lazzero e a Don
Viglietti là vicini. Aiutatemi tutti.
- Sì, Don Bosco, ben volentieri. In che cosa desidera che l'aiutiamo?
- Aiutatemi a respirare, rispose quasi scherzando.
Nell'ora del pranzo e della cena, fino al 28, mandò abitualmente
Don Viglietti nel refettorio dei Capitolari ad augurar loro da sua parte
buon appetito.
Nella prima ora di notte gridò: - Paolino, Paolino, dove sei?
Perchè non vieni? - Tutti i presenti ritennero che chiamasse
Don Paolo Albera, ispettore delle case di Francia.
Dopo un po' ripetè: - Sono imbrogliati! - Allora monsignor Cagliero
con voce forte gli disse: - Stia tranquillo, Don Bosco, faremo tutto,
tutto quello che desidera. - In quella parve fare uno sforzo, alzò
un momento il capo e disse con voce ferma: - Sì, vogliono fare
e poi non fanno. - Indi ricadde sul cuscino.
Una volta domandò: - Chi c'è là? Chi è quel
ragazzo?
- Non c'è nessun ragazzo. È l'attaccapanni, rispose Enria.
- Là, pazienza!
Faceva però dei segni come se avesse qualcuno vicino, finchè
all'improvviso battè le mani, come soleva fare quando in sogno
gli si presentavano oggetti spaventosi. - C'è nessuno? c'è
nessuno? - gridava. - Ci siamo noi, rispose Don Sala, portandosi al
suo fianco. - Batteva i denti, come
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se lo assalissero i brividi febbrili. La notte fu molto agitata. Spuntò
l'alba della festa di S. Francesco di Sales. Bisognò scampanare,
cantare, pontificare; ma nei cuori regnava la mestizia. Perfino il sacro
rito sembrò annunziare l'imminente lutto. Nell'epistola San Paolo
diceva a Timoteo: L’ora del mio risolvimento è Prossima.
Ho combattuto il buon combattimento, ho compiuta la carriera, ho mantenuta
la fede. Nel resto mi sta serbata la giusta corona, la quale mi attribuirà
in quel giorno il Signore, il giudice giusto; nè a me solo, ma
a quanti avranno amato l’apparimento di lui. Mentre il suddiacono
cantava, molte fronti si abbassarono, molte guance erano rigate di lacrime;
parve che la voce del Signore dicesse: - Il pellegrinaggio di Don Bosco
è finito.
Quella mattina alcuni pensavano che non si dovesse dare la comunione
all'infermo, perchè sembrava fuori dei sensi; ma il segretario
si oppose, sperando che al momento buono il Signore gli avrebbe ridonata
la conoscenza. Celebrò adunque Don Viglietti. La porta che dalla
stanza metteva nella cappella, era aperta. Passata l'elevazione, Don
Bosco si volse a Don Sala che lo assisteva e gli disse: - E se dopo
la comunione mi sorprendessero impeti di vomito? - Don Sala lo assicurò
non esservi pericolo di tale inconveniente. Quando il sacerdote gli
si accostò con l'ostia santa, Don Bosco era assopito. Don Sala
pochi minuti prima l'aveva avvisato che presto sarebbe venuto il Signore
a confortarlo e gli mise la stola e gli stese sul petto un candido lino.
Egli però non si mosse. Ma appena Don Viglietti disse a voce
alta: Corpus Domini nostri Jesu Christi, l'infermo si scosse, aprì
gli occhi, fissò l'ostia, giunse le mani e, fatta la comunione,
stette raccolto, ripetendo le parole di ringraziamento suggeritegli
da Don Sala. Questa fu l'ultima comunione di Don Bosco.
Ritornarono poi i soliti vaneggiamenti. Un indizio lasciava quasi diritto
a supporre che egli avesse un mese prima previsto o presentito o comunque
preannunziato questo suo
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indebolimento mentale per quella data. Infatti a Don Rua che nel secondo
giorno di letto gli aveva chiesto, come a direttore e confessore, di
rinnovargli la dispensa dal breviario, aveva risposto: - Te la dò
fino al giorno di S. Francesco di Sales. Dopo, se ne avrai bisogno,
andrai a fartela rinnovare da Don Lemoyne.
Abbiamo usato la parola “ vaneggiamenti ”; ma il mancamento
di forze non gli tolse del tutto la lucidità dell'intelletto.
Infatti verso le dieci con pienezza di cognizione interrogò Don
Durando che ora fosse, che cosa si facesse in chiesa, quale festa si
celebrasse, e, richiamatogli alla memoria che era la festa di S. Francesco
di Sales, ne provò soddisfazione. Entrati quindi i medici, rivolse
loro poche parole, ma senza vaneggiare.
I dottori che con la partecipazione del Bestenti avevano tenuto consulto
quasi ogni giorno, dichiararono che l'infermo non poteva più
riaversi. Quand'essi si furono ritirati, l'infermo rimase alcuni minuti
assopito; poi, ridestatosi, interrogò Don Durando: - Chi erano
quei signori che sono usciti adesso?
- Non li ha conosciuti? Erano i dottori.
- Oh sì! Di' dunque che oggi si fermino qui con noi... Voleva
terminare la frase aggiungendo “ a pranzo ”, ma non gli
riuscì.
Quella sera potè ancora riconoscere e benedire il conte Incisa,
priore della festa di S. Francesco di Sales, e monsignor Rosaz, vescovo
di Susa, che aveva fatto il panegirico del Santo. Monsignor Rosaz, morto
in concetto di santità, fu amico intimo di Don Bosco, dal quale
amava prendere consiglio in affari difficili, massime riguardo a una
Congregazione di Suore da lui fondata.
Lungo il giorno aveva detto al segretario: - Quando non potrò
più parlare e qualcuno verrà per chiedere la benedizione,
tu alzerai la mia mano, formerai con essa il segno di croce e pronuncerai
la formula. Io metterò l'intenzione.
Nel suo assopimento continuo nulla più intendeva, eccetto
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che gli si parlasse del Paradiso e di cose dell'anima. In questi casi
faceva cenno di sì col capo, e se gli si suggeriva qualche giaculatoria,
egli col muovere delle labbra la compieva. Avendogli Don Bonetti suggerito:
Maria, mater gratiae, tu nos ab hoste protege, egli continuò:
Et mortis hora suscipe. Anche in quel giorno aveva ripetuto sovente:
- Madre! Madre! - aggiungendo qualche volta: - Domani! Domani! - Verso
le diciotto bisbigliò fra sè: - Gesù... Gesù...
Maria... Maria! Gesù e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia...
In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum... Oh Madre... Madre...
apritemi le porte del Paradiso. - Poi andava ripetendo testi scritturali,
di quelli che l'avevano guidato in tutta la sua vita e gli erano stati
regola nelle sue opere: Diligite... diligite inimicos vestros... Benefacite
his, qui vos persequuntur... Quaerite regnum Dei... Et a Peccato meo...
Peccato meo... munda... munda me.
Al suono dell'Avemaria Don Bonetti lo invitò a salutare la Madonna,
dicendo: Viva Maria. Con voce sensibile e divota egli ripetè:
Viva Maria.
Una delle ultime parole dette da Don Bosco a Don Rua fu questa: Fatti
amare.
CAPO XXV
La fine.
QUELLE persone che sono molto amate, sembra che non debbano mai morire.
Le menti e i cuori, avvezzi da tempo a trovare in esse la luce e il
conforto della vita, stentano a persuadersi che un tanto bene possa
venir loro a mancare. Questo stato d'animo durò nell'Oratorio
fino agli ultimi giorni di gennaio; in taluni anzi si protrasse oltre
il credibile. La ragione è che si sperava in un miracoloso intervento
del cielo.
Nella notte sul 30 volse un pochino il capo verso Enria, suo perpetuo
assistente notturno, e gli disse: - Dì... ma... ma... ti saluto!
Poi adagio adagio recitò l'atto di contrizione. Qualche volta
esclamò: Miserere nostri, Domine. Nel cuore della notte, alzando
di tratto in tratto le braccia al cielo e giungendo le mani, ripeteva:
- Sia fatta la vostra santa volontà! - Appresso, paralizzataglisi
a poco a poco tutta la parte destra, il braccio destro posava abbandonato
e immobile sul letto; ma egli non cessava di alzare il sinistro, ripetendo
ancora qualche volta: - Sia fatta la vostra santa volontà! -
In seguito non parlava più; ma tutto il resto del giorno 30 e
la notte dopo continuò ad alzare la mano sinistra nello stesso
modo, indicando con ogni probabilità la rinnovata offerta a Dio
della propria esistenza.
In casa tutti sapevano quanto Don Bosco fosse aggravato. Pure, nella
festa di S. Francesco, alcuni giovani scrissero sopra un foglio: “
O Gesù Sacramentato, Maria SS. Ausiliatrice dei
539
Cristiani, S. Francesco di Sales nostro Patrono, i poveri sottoscritti
I° Dondina Pietro - 2. Orione Luigi - 3. Martinasso Giovanni - 4.
Rossi Giuseppe di I° ginn. inferiore - 5° Aimerito Gabriele
- 6. Bertazzoni Augusto - 7. Sac. Gioachino Berto - al fine di ottenere
la conservazione del loro amatissimo Padre e Superiore Don Bosco offrono
in cambio la propria vita. Deh, vi supplichiamo, degnatevi di gradire
l'offerta ed esaudirci ”. Questa supplica venne posta sotto il
corporale durante una Messa celebrata per Don Bosco all'altare di S.
Anna da Don Berto e servita dal giovane Luigi Orione. Altri sei giovani
sottoscrissero poi la medesima carta e fecero per lo stesso fine la
comunione (I). Il Signore non avrà mancato di benedire la santa
e generosa intenzione dì quei dodici buoni figliuoli.
Tutte le speranze si erano purtroppo dileguate; la scienza dovette ritirarsi
impotente a rianimare quel corpo sfatto da mezzo secolo di lotte e di
fatiche. Il nuovo peggioramento della malattia, verificatosi il 20 gennaio,
primo giorno della novena di S. Francesco di Sales, era continuato lento
lento fino alla festa del Santo Protettore, nella quale il venerato
infermo fu sopraffatto dalla paralisi e perdette l'uso della favella.
Dacchè non parlò più, sembrava affatto fuori dì
sè. Alle dieci monsignor Cagliero gli recitò le Litaniae
pro agonizantibus; quindi gl'impartì la benedizione del Carmine,
standogli d'intorno alcuni direttori. Gli si suggerivano giaculatorie.
Don Viglietti gl'inumidiva continuamente le labbra con vino. Don Berto,
per molti anni suo primo segretario e suo braccio forte nelle più
critiche circostanze (2), volle per sè una parte di quel pietoso
uffizio. Don Sala gli stese sulle spalle una camicia del santo Pontefice
Pio IX, la quale Don Bosco aveva tenuta gelosamente custodita.
(I) Erano: I. Cerri Bernardo. - 2. Olivazzo Pietro. - 3. Bressan Gioachino.
- 4. Magrinelli Fiorenzo. - S. Orsi Pietro. - 6. Pacchioni Giovanni.
(2) Don Berto nei giorni precedenti aveva avuto la consolazione di sentirsi
dire dalle sue labbra: - Tu sarai sempre il mio caro D. Berto.
540
I medici dissero che a sera o prima che sorgesse il sole del giorno
seguente, Don Bosco non sarebbe stato più in vita. La notizia
si diffuse in un baleno per l'Oratorio, straziando i cuori. I confratelli
chiedevano di vederlo ancora una volta. Don Rua permise che tutti gli
andassero a baciare la mano. Silenziosi si radunavano a piccoli gruppi
nella cappella, donde sfilavano uno a uno presso l'agonizzante. Egli
era là disteso sul suo letticciuolo; aveva il capo alquanto rialzato,
chino un po' sull'omero destro e appoggiato a tre guanciali. Calmo il
viso non scarno; gli occhi socchiusi; la mano destra distesa sulla coltre.
Aveva sul petto un crocifisso, un altro ne stringeva con la sinistra,
e a pie' del letto pendeva la stola violacea, insegna del sacerdozio.
I figli lacrimanti si accostavano in punta di piedi, gli s'inginocchiavano
a lato e imprimevano l'ultimo bacio su quella sacra mano che tante volte
si era alzata su di loro soccorritrice. Vi accorsero anche quelli che
avevano stanza nei collegi vicini di S. Giovanni, di Valsalice e di
S. Benigno. Con questi si alternavano i giovani delle classi superiori
e gli artigiani più grandicelli. Tutto il giorno continuò
la mesta e tenerissima processione. I più portavano a toccare
medaglie, crocifissi, rosari, immagini da conservarsi poi quali care
e benedette memorie.
Dalla Repubblica dell'Equatore giunse un telegramma che annunziava l'arrivo
dei nostri a Guaiaquil. Don Rua glielo disse, parlando come si fa con
chi è duro d'orecchi. Sembrò a taluno di vedere ch'egli
aprisse gli occhi e rivolgesse le pupille al cielo.
Alle dodici e tre quarti, essendo per un istante soli vicino al letto
il segretario e Giuseppe Buzzetti, spalancò gli occhi, guardò
a lungo per due volte Don Viglietti e alzata la mano sinistra che aveva
libera, gliela posò sul capo. Buzzetti a quell'atto scoppiò
in pianto e: - Sono gli ultimi addii, esclamò. Ritornò
poscia nell'immobilità di prima. Il segretario gli veniva ripetendo
giaculatorie. Si alternarono
541
quindi in questo pio ufficio monsignor Cagliero e monsignor Leto. Don
Dalmazzo gli diede la benedizione dell'agonia e gli recitò le
preghiere annesse.
Verso le sedici venne a vederlo il conte Radicati, grande benefattore
dell'Oratorio. Il padre Eugenio Francesco, già compagno di Don
Bosco a Chieri, stette per un'ora piangendo in un angolo della stanza.
Alle diciotto comparve Don Giacomelli, si mise la stola e lesse alcune
preci del rituale. Ad ora tarda, non sembrando vicina la morte, alcuni
dei Superiori si ritirarono, ma Don Rua e altri non si mossero. L'agonizzante
respirava immobile e con affanno; la durò così tutta la
notte. Nell'archidiocesi di Torino ricorreva l'ufficio dell'Orazione
di Gesù nell'Orto, quando il Redentore, con tre discepoli da
presso, agonizzava e sudava sangue. Don Bosco, circondato dai primi
e principali suoi allievi, versava in penosa agonia, e il sudore della
morte gli bagnava la fronte.
In agonia era all'una e tre quarti. Don Rua, quando vide che le cose
precipitavano, si mise la stola e ripigliò le preghiere degli
agonizzanti, già da lui cominciate due ore innanzi. Furono chiamati
in fretta gli altri Superiori; una trentina fra sacerdoti, chierici
e laici riempivano la camera. Inginocchiati pregavano.
Sopraggiunto monsignor Cagliero, Don Rua gli cedette la stola, passò
alla destra di Don Bosco e chinatosi all'orecchio del caro Padre: -
Don Bosco, gli disse con voce soffocata dal dolore, siamo qui noi, i
suoi figli. Le domandiamo perdono di tutti i dispiaceri che per causa
nostra ha dovuto soffrire, e per segno di perdono e di paterna benevolenza
ci dia ancora una volta la sua benedizione. Io le condurrò la
mano e pronuncerò la formula della benedizione. - Tutte le fronti
si curvarono a terra. Don Rua, facendo forza all'animo, ne alzò
la destra paralizzata e disse le parole di benedizione sui Salesiani
presenti e assenti e in particolare sui più lontani.
Alle tre arrivò un telegramma del cardinale Rampolla con la benedizione
apostolica. Monsignore aveva già letto il
542
Proficiscere. Alle quattro e mezzo la campana di Maria Ausiliatrice
suonava l'Avemaria; tutti recitarono sommessamente l'Angelus. Don Bonetti
susurrò all'orecchio di Don Bosco il Viva Maria dei giorni innanzi.
Il rantolo che si faceva udire da circa un'ora e mezza, cessò.
Il respiro divenne libero e tranquillo; ma fu cosa di pochi istanti:
poi mancò. - Don Bosco muore! - esclamò Don Belmonte.
Coloro che stanchi si erano seduti, balzarono in piedi e si fecero vicino
al letto... Emise, tre respiri a breve intervallo... Don Bosco realmente
moriva. Monsignor Cagliero, fissando in lui gli occhi, diceva: - Gesù,
Giuseppe, Maria, vi dono il mio cuore e l'anima mia... Gesù,
Giuseppe, Maria, assistetemi nell'ultima agonia... Gesù, Giuseppe,
Maria, spiri in pace con voi l'anima mia.
Don Rua e gli altri, formando corona intorno, agonizzavano anch'essi
di dolore col. Padre... Don Bosco era morto!... Monsignor Cagliero intonò
sospirando il Subvenite, Sancti Dei; occurrite, Angeli Domini... suscipientes
animam eius... Suscipiat te Christus, qui vocavit te... E, benedettone
il sacro cadavere, gli pregò da Dio l'eterna requie. Quindi,
la sua stola fu messa al collo del venerato estinto e nelle mani congiunte
si pose il crocifisso da lui tante volte baciato. Erano le quattro e
quarantacinque. Aveva settantadue anni, più cinque mesi e mezzo,
d'età.
Tutti si prostrarono a recitare il De profundis, rotto da sospiri, gemiti
e singhiozzi. Dinanzi a quella spoglia, esanime, se alcuno doveva parlare,
la parola era a Don Rua, e Don Rua parlò e disse: - Siamo doppiamente
orfani. Ma consoliamoci. Se abbiamo perduto un padre sulla terra, un
protettore abbiamo acquistato in cielo. E noi dimostriamoci degni di
lui, seguendone i santi esempi (I).
(I) Don Viglietti, più morto che vivo, ebbe allora ordine di
ritirarsi. Andò a riposare presso i parenti, anche per essere
curato dal dottor Vignolo, suo zio. Don Rua incaricò Don Bonetti
di continuare il diario, raccogliendo almeno le memorie più importanti.
Don Lemoyne narra una cosa ben singolare. L'orologio sul campanile della
chiesa interna di S. Francesco si era fermato fin dal 1865 e le lance
stettero ferme per più anni sulle quattro e
543
La camera fino alle dieci fu piena di Salesiani, che pregavano sciogliendosi
in lacrime. Nel vano della finestra che a sinistra del letto si apriva
sulla loggia coperta, venne posta una croce fra quattro candele accese.
I giovani alla Messa della comunità dissero il rosario da morto
e tutte le Messe furono celebrate in suffragio dell'anima di Don Bosco.
Alle dieci si cantò solennemente la Messa funebre. La desolazione
si vedeva scolpita su tutte le fronti.
In quell'ora gl'infermieri, assistiti, diretti e coadiuvati dai medici
Albertotti e Bonelli, che vollero fino all'ultimo testificare il loro
amore vivissimo per l'amico estinto, lavarono il corpo, lo vestirono
e, rasagli la barba da Enria, lo collocarono sopra un seggiolone a bracciuoli.
Il fotografo Deasti e il pittore Rollini ne presero così la fotografia.
L'avevano già ritrattato quando giaceva ancora sul letto nella
posizione in cui era spirato. Dai superiori non si era creduto bene
di acconsentire che fosse presa la maschera, ripugnando loro dover vedere
intonacata di gesso la faccia dell'amatissimo Padre. Per lo stesso rispetto
non ne permisero l'imbalsamazione. Il dottor Fissore medesimo aveva
detto: - Conosco Don Bosco da molti anni. Ho tanto rispetto al suo corpo
che non mi sentirei di profanarlo con l'imbalsamazione. - Il medesimo
dottore, quando udì le perfide insinuazioni del Secolo XIX, protestò
dinanzi a tutto il Capitolo Superiore, dicendo che l'arte medica non
poteva neppur venire in sospetto che la malattia non fosse originata
dall'unica causa dell'enorme lavoro.
Nelle prime ore del, pomeriggio la dolorosa notizia, diffusasi largamente
in città, produsse generale e profonda impressione. Molte botteghe
e negozi stavano chiusi con la scritta:
venti. Don Lemoyne aveva preso nota dell'ora, pensandosi che potesse
avere rapporto con l'ora, in cui l'attività di Don Bosco sarebbe
stata arrestata dalla morte. Parecchi anni dopo le sfere si mossero,
perchè i giovani esterni, salendo sul campanile, avevano fatto
girare le ruote per divertimento. Don Lemoyne però con quell'idea
fissa in testa il mattino della morte di Don Bosco andò a osservare
l'orologio. Con suo grande stupore vide che dopo tanti rivolgimenti
le lance erano ritornate sulle quattro e venti.
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Chiuso per la morte di Don Bosco. La gente si affollava in porteria,
domandando di vedere la salma. Essendo troppo ristretto lo spazio, si
concedette l'accesso unicamente alle persone più conosciute.
Agli altri si diceva che l'avrebbero veduta il giorno dopo nella chiesa
di S. Francesco, la quale intanto si veniva riducendo a cappella ardente.
Il cadavere era assiso sulla poltrona nella galleria retrostante alla
cappella privata. Indossava i paramenti da Messa violacei. Aveva il
crocifisso nelle mani e scoperto il capo; la sua berretta stava là
alla sua destra sopra un inginocchiatoio, sul quale si ergeva un crocifisso
fra due ceri. Il defunto volgeva il viso a oriente. I lineamenti apparivano
inalterati. Se non fosse stato il pallore di morte che contrastava col
paonazzo della pianeta, si sarebbe detto che Don Bosco placidamente
dormiva. I figli suoi si succedevano pregando a baciargli la mano. Stuoli
di sacerdoti, patrizi in gran numero, pie matrone stimavano sommo favore
l'essere ammessi a vederlo. Camminavano a passi lenti e in punta di
piedi, quasi temessero di svegliarlo dal sonno. Nessuno provava ribrezzo
a posare le labbra su quelle mani d'alabastro. Nella stanza regnava
un raccoglimento riverente e devoto. Sul crepuscolo venne una schiera
di Figlie di Maria Ausiliatrice per baciare la mano del santo loro Fondatore
e Padre anche a nome delle consorelle lontane. Finchè non fu
spenta la luce del giorno, il mesto pellegrinaggio continuò senza
interruzione.
Per le vie di Torino andavano a ruba i giornali. Il Corriere Nazionale
dovette fare tre edizioni, esaurite in brevissimo tempo. Il nome di
Don Bosco passava di bocca in bocca fra segni di viva commozione.
Bisognava pensare presto alla sepoltura. Il Capitolo Superiore, radunatosi
alle ore venti, promise a Maria Ausiliatrice che se per grazia sua l'autorità
civile concedesse di seppellire Don Bosco sotto la chiesa di lei o almeno
nella casa di Valsalice, si sarebbe prontamente posto mano ai lavori
per la decorazione del suo santuario, opera che stava già a
545
cuore al Servo di Dio. Mentre però si domandava l'aiuto del
cielo, non si trascuravano le opportune diligenze sulla terra, come
vedremo nel capo seguente. “ Oh sera! oh notte! - scriveva in
quella trepida ora Don Bonetti. - La prima che noi passiamo con Don
Bosco morto! Oh, sera, oh notte sopraggiunta troppo presto! O Don Bosco,
o Padre! Presiedi dal cielo al nostro sonno, presiedi e sorridi dal
cielo alle nostre veglie ”.
Don Rua, il solerte Vicario di Don Bosco, assoggettando all'idea del
dovere i sentimenti del cuore, aveva già dato per telegramma
il mesto annunzio al Santo Padre, al cardinale Alimonda, alle case salesiane
e a un certo numero di benefattori (I). Egli aveva pure steso e fatto
stampare la lettera circolare seguente, della quale furono spedite trentaduemila
copie. Tredicimila copie andarono nella traduzione francese e ottomila
in quella spagnuola.
Ai Salesiani, alle Figlie di Maria Ausiliatrice, ai Cooperatori e alle
Cooperatrici Salesiane,
Coll'angoscia nel cuore, cogli occhi gonfi di pianto, con mano tremante
vi do l'annunzio più doloroso, che io abbia mai dato, e possa
ancor dare in vita mia; vi annunzio che il nostro carissimo Padre in
Gesù Cristo, il nostro fondatore, l'amico, il consigliere, la
guida della nostra vita, è morto. Ahi! parola che trapassa l'anima,
che trafigge il cuore da parte a parte, che apre la vena ad un profluvio
di lagrime! (2).
Le private e pubbliche preghiere innalzate al Cielo per la sua conservazione
hanno ritardato al nostro cuore questo colpo, questa ferita, questa
piaga amarissima; ma non valsero a risparmiarcela, come avevamo sperato.
Nulla ci conforta in questi istanti fuorchè il pensiero che così
volle Iddio, il quale infinitamente buono nulla fa che non sia giusto,
sapiente e santo. Quindi rassegnati chiniamo riverenti la fronte e adoriamo
i suoi alti consigli.
Per ora non occorre che io vi dica come Don Bosco ha fatto la morte
del giusto, calma e serena, munito per tempo di tutti i conforti
(I) I Salesiani d'America vissero per un mese in dolorosa incertezza.
Il telegramma era stato spedito all'Arcivescovo di Buenos Aires. Diceva:
“ Bosco morto, Rua successore. Cagliero ”. Costò
circa centoventi lire; ma non giunse a destinazione. L'agenzia Havas
lo comunicò sotto suo nome ai giornali. Si dubitò che
ci fosse stata frode. Potè anche darsi che l'Arcivescovo fosse
assente e che i segretari, non pensando all'importanza di trasmetterglielo
subito, se ne dimenticassero poi e quello andasse smarrito.
(2) Quest'ultimo periodo venne soppresso nella traduzione francese.
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della religione, benedetto più volte dal Vicario di Gesù
Cristo, visitato con insigne pietà da prelati ed incliti personaggi
ecclesiastici e laici, nostrani ed esteri, assistito con amore figliale
dai suoi alunni, curato con affetto e perizia singolare da celebri dottori.
Neppure vi dirò qui delle sue virtù e delle opere sue,
chè il tempo stringe e il cuore non regge.
Pel momento vi notifico solo che, ancor pochi giorni sono, Don Bosco
disse, che l'opera sua non avrebbe sofferto per la sua morte, perchè
protetta dalla valida intercessione di Maria Ausiliatrice, perchè
sostenuta dalla carità dei Cooperatori e Cooperatrici, che avrebbero
continuato a favorirla.
Dal canto nostro possiamo aggiungere ancora che abbiamo la più
grande fiducia che sarà così, perchè Don Bosco
dal Cielo, ove fondatamente lo speriamo già accolto in gloria,
ci farà ora più che mai da amorosissimo padre, e presso
il trono di Gesù Cristo e della Divina sua Madre eserciterà
più efficacemente la sua carità verso di noi, e più
abbondanti ci farà piovere le celesti benedizioni.
Incaricato di tenerne le veci, farò del mio meglio per corrispondere
alla comune aspettazione. Coadiuvato dall'opera e dai consigli dei miei
confratelli, son certo che la Pia Società di San Francesco di
Sales, sostenuta dal braccio di Dio, assistita dalla protezione di Maria
Ausiliatrice, confortata dalla carità dei benemeriti Cooperatori
Salesiani e delle benemerite Cooperatrici, continuerà le opere
dal suo esimio e compianto Fondatore iniziate, specialmente per la coltura
della gioventù povera ed abbandonata e le estere missioni.
Ancora un pensiero. Ad esempio del glorioso nostro Patrono San Francesco
di Sales, più volte Don Bosco, udendo o leggendo certe espressioni,
che le persone benevoli usavano inverso di lui, ebbe a manifestare il
timore che dopo sua morte, creduto non bisognevole di suffragi, lo si
lasciasse in purgatorio. Pertanto, giusta il suo desiderio, e per debito
di figliale affetto, raccomando a tutti che vogliano tosto far calde
preghiere in suffragio dell'anima sua, ben conoscendo che il Signore
saprà a chi applicarne l'efficacia.
Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, Cooperatori e Cooperatrici,
giovanetti e giovanette alla nostra cura affidati, noi non abbiamo più
il nostro buon padre in terra: ma lo rivedremo in Cielo, se faremo tesoro
dei suoi consigli e ne seguiremo fedelmente le virtuose pedate.
Torino, li 31 gennaio 1888.
Vostro aff.mo Confratello ed Amico
Sac. MICHELE RUA.
NB. - il Venerando Don Bosco morì il giorno 31 gennaio alle
ore 4 e tre quarti antimeridiane. La sepoltura avrà luogo giovedì
2 febbraio, alle ore 3 pom., e la Messa funebre alle ore 9 ½
del mattino nella Chiesa di Maria Ausiliatrice.
547
Un sacerdote di Moncrivello, Don Perotti, scrivendo il 2 febbraio a
Don Bonetti, espresse felicemente l'impressione generalmente provata
da quanti lessero questa lettera. Diceva: “ Mi piacquero assai
le calme ed assicuranti parole di Don Rua nella sua circolare. Essa
ha tenuta e quasi rialzata la confidenza pubblica nella continuazione
delle opere di Don Bosco ”.
Dopo i Superiori e gli appartenenti alla famiglia salesiana, nessuno
poteva sentire maggiormente la perdita di Don Bosco che i suoi primi
figli dell'Oratorio. Perciò il loro comitato diramò subito
una propria circolare agli antichi allievi (I).
Al plebiscito di preghiere per la sua guarigione e a quello dei rallegramenti
per il suo migliorare succedette il terzo immenso plebiscito delle condoglianze.
I vicini vennero in persona. Il primo a confortare Don Rua fu il celebre
gesuita padre Secondo Franco, il quale passato a vedere Don Durando,
gli disse: - Vengo a congratularmi con voi, perchè avete un santo
in Paradiso. - Molti scrissero i propri nomi nell'apposito registro
(2). Telegrammi e lettere arrivavano a fasci, anche da remote contrade.
Non potendone rendere conto, faremo una sola eccezione per colui che
fu a Don Bosco angelo consolatore negli ultimi quattro anni della sua
vita. Il cardinale Alimonda, giunto a Genova il 31 gennaio, aveva telegrafato
per chiedere se, ripartendo subito, poteva sperare di trovare Don Bosco
ancora in vita. Saputane la morte, scrisse a Don Rua: “ È
inutile che io le dica quanto amara mi sia riuscita la notizia recatami
dal suo telegramma! Il venerato e caro mio Don Giovanni non ha voluto
aspet -
(I) App., Doc. 97
(2) Quel tal Giustina, del quale dovemmo più volte rintuzzare
ingiurie e calunnie vi scrisse “ E. A. Giustina direttore Cronaca
dei tribunali, memore di essere stato discepolo di un uomo che ha sempre
profondamente e sinceramente rispettato ”. Parole che non risponderebbero
al vero, se non le s’intendessero nel senso di doverosa ritrattazione.
Scrisse un curioso articolo nel suo periodico (4 febbraio). Dobbiamo
anche aggiungere che da qualche anno non solo aveva smesso i suoi attacchi,
ma aveva fatto conoscere a Don Bosco stesso il rincrescimento del suo
prossimo passato. Il poverino si era venduto agli Ebrei.
548
tarmi, perchè una volta ancora baciassi la sacra sua mano e
mi raccomandassi alla sua intercessione appresso Dio! Uniformiamoci
alla volontà del Signore! ”. In queste lettere di condoglianza
il tema, diciamo così, obbligato era che Don Bosco non aveva
più bisogno di preghiere, ma che piuttosto doveva essere pregato,
Chi in un modo chi in un altro tutti lo proclamavano santo. Non pochi
domandavano per sommo favore qualche oggetto da lui usato o un pizzico
de' suoi capelli (I).
La stampa d'ogni colore e d'ogni nazione tessè le lodi del defunto,
fatta eccezione della torinese Gazzetta del Popolo; forse perchè
non ne poteva dir male, preferì tacere, o, peggio ancora, ne
annunziò la morte nell'ordinario elenco necrologico della città,
trasmesso quotidianamente dal Municipio. Ma perfino un periodico umoristico
di Torino, scritto in dialetto piemontese, benchè fosse anticlericale,
ebbe la franchezza di applicare al direttore di quel giornale il proverbio
subalpino, dicendogli che con quell'atto egli aveva dimostrato esser
vero che, venendo vecchio, si perde il meglio (2).
Nelle prime ore del I° febbraio il benedetto corpo venne religiosamente
trasportato nella chiesa di S. Francesco. Poco prima del trasporto sembra
che una vera grazia fosse ac -
(I) Lo storico Cesare Cantù scrisse a Don Rua:
Rev. Signore,
Dopo aver per 40 anni ammirato in D. Giovanni Bosco l'inesauribile
carità, il retto senso evangelico, l'inalterabile pazienza, non
mi resta che pregarlo, perchè in cielo mi impetri di morire con
altrettanta fede e speranza.
Il giorno della Purificazione 1888. Milano.
CESARE CANTU'
È utile riportare in Appendice almeno un saggio delle lettere
di condoglianza (Doc. 98 A - Z). Chi l'aveva incontrato o veduto, amava
farne menzione come di una grande fortuna. È una documentazione
preziosa per la piena conoscenza del nostro Santo (App., Doc. 99).
(2) '1 Falabràch, 5 febbraio 1888: “ Me car Botero, l'è
propi vera che vnisend yei ass perd 'l mei e stavolta per fè
trop zelo l'evi propi sbagliala ”. Bene l'Unità Cattolica
del 3 febbraio: “ Gli uomini onesti hanno per massima di tacere
di quelle persone, di cui non si può parlar bene; i veri massoni
preferiscono di serbare il silenzio su quelle persone, di cui non possono
dir male. ”.
549
cordata al coadiutore Bona, che teneva il secchiello dell'acqua santa.
Da più d'un mese lo tormentavano dolori a una gamba; quella stessa
mattina faticava assai a salire e scendere le scale. Si raccomandò
dunque mentalmente al buon Padre e nell'atto che Don Bonetti ne asperse
il cadavere, si sentì completamente libero dal male (I).
La chiesa era tutta vestita di ampie gramaglie. Il corpo del Santo non
fu adagiato sul letto funebre, come si suole, ma assiso sul seggiolone,
che un palco rilevava da terra. Ardevano intorno molti ceri. Tosto i
giovani sfilarono dinanzi rimirando con occhi lacrimosi il loro Padre,
che era là nella sua posa di dormiente, con la testa leggermente
inclinata dal lato sinistro, col sembiante calmo, composto e quasi sorridente,
con gli occhi semichiusi e fissi nell'immagine di Gesù crocifisso,
che stringeva fra le mani giunte.
La chiesetta fu aperta al pubblico verso le otto. Il flusso e riflusso
dei visitatori durò dal mattino alla sera così numeroso
che dovettero intervenire le guardie per regolarlo, disponendo che l'uscita
fosse diversa dall'entrata. Chi vide allora i viali di Valdocco, provò
l'impressione che l'intera Torino si riversasse nell'Oratorio. Nell'interno
della casa si faceva un gran pregare.
Una voce si udiva continuamente, ripetuta, quasi parola d'ordine: Era
un santo! Moltissimi davano a un sacerdote medaglie, immagini, corone,
fazzoletti, libri di pietà, perchè li accostasse alle
venerate spoglie o li deponesse per un istante su quelle sacre mani.
Quanta commozione! quante lacrime! Nel pomeriggio il concorso crebbe
a dismisura, sicchè si dovette sospendere il far toccare oggetti
alla salma. Anche la chiesa di Maria Ausiliatrice fu tutto il giorno
stipata di popolo. Alle venti si chiusero tutte le entrate; ma più
tardi bisognò riaprire per contentare numerosi visitatori giunti
allora da diversi paesi del Piemonte.
(I) Lett. di Bona a Don Rua, 2 febbraio 1888.
550
Il momento più commovente della giornata fu quando a tarda sera
i figli di Don Bosco diedero l'addio alla salma del loro Padre. Alle
ventuna tutti i giovani dell'Oratorio, portatisi nella chiesina e prostrati
a terra, recitarono le loro preghiere; poi in mezzo a solenne silenzio
si alzò Don Francesia e a quelle centinaia di giovani inginocchiati
diede la consueta "buona notte". - Vedete qui, disse, il nostro
caro Padre, con quella calma, quella tranquillità, quel sorriso
che gli sfiora il labbro? Pare ch'ei voglia parlarvi, e voi quasi attendete
che si alzi e vi rivolga la parola. Ma egli purtroppo non può
ripetervi quei dolci santi ammaestramenti che tante tante volte ci ha
dati: egli non può più parlarci. I Superiori perciò
hanno mandato me a fare le sue veci. Ma che cosa vi dirò io da
questo luogo, ove Don Bosco tanto fece per voi? Non farò altro
che ripetervi l'ultima parola da lui lasciatavi. Interrogato quale ricordo
volesse lasciare ai suoi giovani, rispose: Dite ai giovani che io li
attendo tutti in Paradiso. Il raccoglimento generale era così
intimo e assoluto, che pareva di sentire l'alito affannoso degli ascoltatori.
E Don Bosco nella calma serenità della morte sembrava benedire
i suoi amati figliuoli, che non sapevano staccarsi da lui. Dato l'avviso
di muoversi per andare ogni classe al proprio dormitorio, tutti, come
se non avessero udito, stavano là fermi e lacrimanti a contemplare
per l'ultima volta quelle amabili sembianze. Avviandosi finalmente per
uscire, tenevano fino alla porta la faccia rivolta indietro.
Per tutta la notte i Salesiani vegliarono la salma pregando. Don Rua
vi restò genuflesso accanto per lungo tempo; era assorto in profonda
meditazione.
Prima delle otto del giovedì 2 febbraio il cadavere fu rimosso
e deposto in triplice cassa, rivestito com'era dei paramenti sacri.
In quel punto fu condotta presso la bara una Figlia di Maria Ausiliatrice,
invocante la grazia della vista. Si chiamava Adele Marchese. Dal settembre
del 1887 medici specialisti l'avevano dichiarata affetta da gutta serena,
malattia
551
ribelle ad ogni cura. Arrivata appena in tempo vicino alla salma, ne
prese la mano e se la accostò agli occhi. Allora: - Io lo vedo,
- disse. Riaccostata agli occhi la mano, esclamò più forte:
- Io vedo tutto, io vedo bene. - La superiora le mise un fazzoletto
alla bocca per impedirle di gridare e Don Bonetti la fece tosto menar
via. Aveva realmente riacquistato il vedere. Don Lemoyne scrive: “
lo non la conosceva. Chiamato una notte ad assistere una suora morente,
vidi una fra le inferme, il cui sguardo brillava in modo singolare nella
penombra di un lumicino che rischiarava la stanza. Mi venne un'idea.
- Voi, le dissi, siete quella, a cui Don Bosco ha ridonata la vista?
- Sissignore, mi rispose ”. Testimonio oculare della prodigiosa
guarigione fu quel cileno Barros, venuto a Torino con monsignor Cagliero
in compagnia di due suoi cugini e ritornato qui con essi il giorno della
morte. Rimpatriato, ne parlò e ne scrisse con entusiasmo.
Per la porta laterale la bara venne portata nella chiesa di Maria Ausiliatrice
e posata sul catafalco eretto sotto la cupola. Facevano ala al suo passaggio
attraverso il cortile, fra gli altri, molti pellegrini francesi, svizzeri
e irlandesi diretti a Roma. Nell'interno del tempio lo spazio riservato
al pubblico era già occupato da parecchie ore. Da fuori saliva
il mormorio dell'ingente moltitudine affollata sulla piazza e rimescolantesi
nei corsi che fanno ventaglio sul rondò. Pontificò monsignor
Cagliero, del quale i cantori eseguirono la Messa composta nel 1862.
La chiesa presentava l'aspetto di una grandiosa cappella ardente, illuminata
da numerosi doppieri e lampade.
Il feretro si sarebbe dovuto chiudere e sigillare prima che fosse recato
nel santuario; ma si ottenne dal Municipio di poter sospendere, perchè
avessero la consolazione di vedere il volto del Padre tanti confratelli
che stavano per giungere da lontano.
La chiusura ufficiale della bara fu fatta alle ore quattordici, presenti
i membri del Capitolo Superiore e un centinaio fra
552
Salesiani ed estranei. Don Bonetti aveva composto e il calligrafo Don
Ernesto Vespignani copiato il verbale, che con le firme dei Superiori
e di alcune personalità venne deposto ai piedi della salma, ermeticamente
chiuso entro un tubo di vetro (I): Saldata sul feretro la lastra di
piombo, vi si sovrappose e assicurò con viti il coperchio di
noce. “ Addio, sante spoglie di Don Bosco, scrisse un giornale
torinese, esprimendo assai bene i sentimenti che agitavano l'animo di
tutti in quel momento (2). Voi scomparite per sempre. Con Voi scompare
l'astro della beneficenza, l'apostolo dei giovani, il padre del popolo.
Con voi si seppellisce quello sguardo dolcissimo che convertiva, quella
voce armoniosa che favellando evangelizzava, quella mano che alzandosi
benediceva, quel piede che camminando portava benefizi. Addio, spoglie
venerate. Voi scendete sotterra, ma a noi rimane la grand'anima di Lui
aleggiante ne' suoi istituti e viva e parlante ne' suoi esempi ”.
(I)App., Doc. 100
(2) Il Corriere Nazionale del 3 febbraio.
CAPO XXVI
Pratiche per il seppellimento e onoranze funebri.
NON fu impresa delle più facili l'ottenere che Don Bosco avesse
una degna sepoltura. Non solo a' suoi figli, ma a' suoi ammiratori ripugnava
assolutamente il pensiero di vederne le spoglie abbandonate nel cimitero
comune. I Superiori, come dicevamo, speravano di tumularle sotto la
chiesa di Maria Ausiliatrice; fallendo tale disegno, volevano trasportarle
a Valsalice. Le pratiche di legge, cominciate presso la regia Prefettura
di Torino, proseguirono a Roma presso il Ministero degl'Interni. Si
profilarono subito gravi difficoltà per il primo disegno; onde
si ricorse al Re, alla Regina, alla Duchessa della Somaglia, all'onorevole
Bonghi, al Correnti. Buone promesse vennero da ogni parte, e l'interessamento
in realtà vi fu; se non che il Crispi, presidente del Consiglio,
ne dissuase Sua Maestà, allegando il pericolo che altri ne profittasse
per dimostrazioni clericali. A quei tempi i così detti clericali,
pubblicamente disprezzati, in fondo in fondo mettevano paura al Governo
anche solo con la loro ombra.
Tuttavia i Superiori non si perdettero di coraggio; anzi Don Sala ebbe
una felice idea. Si presentò al Prefetto e al Sindaco della città
e dichiarò a entrambi che, piuttostochè portare la salma
di Don Bosco al cimitero comune, avrebbe preso le opportune disposizioni
per mandarla a Parigi o a Barcellona, dove certamente sarebbe stata
accolta come un
554
tesoro. La minaccia produsse un certo effetto; poichè si comprese
benissimo quale disdoro ne sarebbe derivato alle autorità torinesi
e qual disgusto universale si sarebbe sollevato, se la cosa si fosse
eseguita.
- Ma perchè, domandava il Prefetto, tutta questa difficoltà
a seppellire Don Bosco nel cimitero comune?
- Perchè, rispose Don Sala, Don Bosco manifestò il desiderio
di stare con i suoi figli dopo morte, e io non permetterò mai
a qualsiasi costo che egli vada al camposanto.
- Pensi bene che per mandare il feretro fuori d'Italia ci vorranno pratiche
abbastanza lunghe.
- In quanto a questo le autorità di qui non potranno negarmi
quello che non si nega a qualunque cittadino, il quale domandi simile
permesso. A Barcellona poi basterà un nostro telegramma per avere
subitamente una risposta affermativa.
- Il Municipio potrebbe concedere un posto distinto...
- Il Municipio ha trattato male quando io chiesi un posto per Don Bosco
e per i suoi figli nel camposanto.
Qui Don Sala narrò al Prefetto come il Municipio avesse risposto
sempre negativamente alla preghiera di poter pagare a rate la somma
di diciannove mila lire richieste per l'acquisto di un'area nel cimitero
e come infine per conclusione avesse scritto all'Oratorio una lettera
insolente. Il Prefetto ignorava che fra il Municipio e i Salesiani esistessero
anche quei motivi di dissenso. Sul momento dunque si sospese ogni decisione,
essendo vietato ai Prefetti del regno fare raccomandazioni al Ministero
per seppellimenti in città.
Contemporaneamente si agiva a Roma. Il procuratore Don Cagliero e con
lui Don Notario chiesero udienza al Crispi. Gli annunziarono anzitutto
la morte di Don Bosco. Il Ministro fu cortesissimo e rispose: - Conobbi
Don Bosco prima di loro. Ricordo il bene che mi fece quand'ero a Torino
emigrato. - Con quel tatto che lo distingueva, Don Cagliero prese dalle
sue stesse parole la mossa a pregarlo che volesse permettere la tumulazione
di Don Bosco nei sotterranei della
555
chiesa di Maria Ausiliatrice; ma il Ministro mise in mezzo l'ostacolo
delle leggi.
- Appunto per questo, replicò il Procuratore, noi ci presentiamo
a Vostra Eccellenza, affinchè abbia la bontà di accordare
un'eccezione a favore di Don Bosco.
- È un'eccezione che farebbe gridare troppo... Si creerebbe un
pericoloso precedente... Non potrebbero seppellirlo in qualcuno dei
loro collegi? Questo sarebbe facile a ottenersi e così Don Bosco
resterebbe in mezzo a loro. Del resto, parlino col mio segretario Pagliano;
ogni cosa si potrà accomodare. Vedano se egli è ancora
in ufficio. Forse sarà andato a pranzo. Facciano la prova.
Quando videro Pagliano, s'accorsero che il Ministro aveva già
parlato con lui. Furono trattati con ogni riguardo. Egli lesse loro
gli articoli della legge sanitaria che proibivano i seppellimenti in
città. Per fare un'eccezione occorreva una legge del Parlamento,
e a quei lumi di luna chi sa quale putiferio sarebbe successo alla Camera!...
Domandò quindi anche lui se non avessero qualche collegio nelle
vicinanze di Torino. Udito di Valsalice: - Bene, ripigliò, facciano
la tumulazione in quel collegio. Avranno così due vantaggi: il
loro desiderio di ritenersi Don Bosco sarà soddisfatto e noi
saremo al riparo dalle pubbliche dicerie, risparmiandoci anche il rincrescimento
di dover dare una negativa.,
Ritornati da Crispi, questi approvò il partito; ma egli pure,
come già il Correnti, raccomandò che i funerali non assumessero
il carattere di una dimostrazione clericale. Ciò detto, si profuse
in elogi alla memoria del defunto. Anzi la Lega Lombarda di Milano pubblicò
una lettera di “ un illustre Cooperatore Salesiano ”, il
quale asseriva di sapere aver anche detto il Crispi che nel 1852 D.
Bosco lo accoglieva sovente alla sua mensa e che da Don Bosco egli si
era pure confessato, riportandone l'impressione che il suo spirito era
veramente quello del Vangelo. La notizia fece in quei giorni il giro
di parecchi giornali senza che venisse mai smentita.
556
Era ospite al Sacro Cuore monsignor Manacorda, vescovo di Fossano,
uno dei più sinceri, costanti e generosi amici di Don Bosco.
Egli aspettava con ansia il ritorno dei due Salesiani per conoscere
l'esito del colloquio. Magnifica idea! esclamò quando li intese.
Il collegio di Valsalice è il vero luogo per la sepoltura di
Don Bosco. Egli riposerà in mezzo ai giovani chierici e infonderà
loro il suo spirito. Andando a Torino, persuadano i Superiori ad accettare
questa idea. Dirò anzi che, quando pure venisse il permesso di
seppellirlo nell'Oratorio, non se ne valgano. A Valsalice è il
posto. - Don Notario partì immediatamente per Torino, latore
di questo progetto.
Prevedendosi che lo svolgersi di dette pratiche avrebbe obbligato a
chiedere per il seppellimento una dilazione oltre il termine consentito
dalla legge, conveniva levar di mezzo ogni pretesto a un rifiuto, come
sarebbero state eventuali emanazioni del cadavere. Perciò i dottori
Bestenti e Albertotti nella chiesa di Maria Ausiliatrice, prima che
si chiudesse la cassa mortuaria, vi versarono sublimato corrosivo negli
angoli e sull'imbottitura laterale; mercè tale provvedimento
si poteva far fede che il cadavere non avrebbe esalato cattivi odori
neppure se si fosse conservato un mese sopra terra. Nell'eseguire questa
operazione il Bestenti diede una prova straordinaria del suo affetto
per Don Bosco. Poichè il tempo stringeva e mancava una mestola,
egli, fatta la miscela di sublimato e di acqua in un secchio, impregnò
del liquido l'interno della cassa mediante una spugna, che inzuppava
e spremeva con le stesse sue mani. Don Durando lo avvertì che
si sarebbe bruciata la pelle; ma l'altro rispose che, com'essi avevano
fatto la parte loro, così lasciassero fare a lui la sua: essere
ben contento di rendere quell'ultimo servizio di buon figliuolo al padre.
Ne riportò difatti un malessere, che lo costrinse al letto per
dieci giorni, tanto le mani gli erano rimaste malconce fino a produrgli
febbre.
Ormai tutto era pronto per il trasporto funebre. Verso le
557
ore quindici del 2 febbraio Torino alla periferia appariva quasi deserta;
formicolavano invece di gente le vie della regione di Valdocco, per
le quali si sapeva dai giornali dover passare il corteo. A memoria d'uomo
non si ricordava un sì grande concorso di popolo per assistere
alla sepoltura di un semplice prete. Si fece ascendere comunemente a
duecentomila le persone venute a onorare anche solo con la presenza
Don Bosco; ma chi vide e rammenta, non trova punto esagerata quella
cifra. Don Bosco in una sua memoria raccomandava per sè la modestia
dei funerali, e voleva che soltanto i suoi figli ne seguissero la bara;
ma come impedire la partecipazione a tanti, trasportati là imperiosamente
dalla riconoscenza, dall'affetto e dalla venerazione?
Il corteo, uscendo dalla chiesa di Maria Ausiliatrice, infilava a destra
la via Cottolengo, entrava nel corso Principe Oddone, volgeva sul corso
Regina Margherita, percorrendolo fino a via Ariosto, per la quale rientrava
nell'altro tratto di via Cottolengo, facendo ritorno alla chiesa (I).
Il feretro veniva portato a spalle da otto sacerdoti salesiani. Al suo
passaggio tutti si scoprivano, molti s'inginocchiavano; frequente si
udiva l'esclamazione: Era un santo. Dietro la salma fra Don Durando
e Don Sala incedeva Don Rua a capo chino, tutto raccolto nel suo immenso
dolore; lo seguivano gli altri membri del Capitolo Superiore. Ad essi
quindi teneva dietro una moltitudine innumerevole di ecclesiastici e
laici, quali per rendere individualmente onore all'estinto, quali per
rappresentare anche enti o personaggi cittadini. Non mancarono rappresentanze
estere. Fiancheggiavano tutto questo grande seguito due lunghe file
di domestici in livrea recanti le armi delle case patrizie torinesi,
preceduti dai valletti del Municipio.
Mentre la testa del corteo, formata da doppio stuolo di figlie di Maria,
risaliva la gradinata del santuario, l'estremità
(I) Per l'ordine, cfr. App., Doc. 101.
558
opposta percorreva ancora il corso Principe Oddone. Erano le ore diciotto.
La piazza e i due tratti di via Cottolengo, fin dove si poteva spingere
lo sguardo, rigurgitavano di popolo. Orbene una massa così compatta
di gente aveva un atteggiamento quale suole tenersi nei momenti più
solenni delle sacre funzioni. Il Delegato di pubblica sicurezza al vedere
quell'immensa folla disse passando accanto a Don Berto: - Che potrebbero
mai fare tutte le nostre guardie con una moltitudine così sterminata,
se non fosse trattenuta dal rispetto e dalla venerazione verso l'estinto?
Soltanto la parte della strada dinanzi al centro della cancellata era
mantenuta sgombra. I giovani dell'Oratorio si addensarono nel recinto
del sacrato. Nella chiesa entrarono solo le figlie di Maria e il numerosissimo
clero. Appena il feretro si volse verso l'ingresso, la banda dell'Oratorio
intonò una marcia funebre; le campane riempivano l'aria dei loro
lenti rintocchi. Un fascio luminoso di mille ceri, erompendo dall'aperto
portone, lo accolse e lo introdusse in un mare di luce. Dei tre Vescovi
che lo precedevano, due, monsignor Leto e monsignor Cagliero, si avanzarono
con i rispettivi sacerdoti assistenti nel presbiterio, collocandosi
uno in cornu epistolae e l'altro in cornu evangelii dell'altare maggiore,
mentre il terzo, monsignor Bertagna, fermo sui gradini della balaustra,
attendeva che il feretro gli fosse posato dinanzi (I). Le rappresentanze
presero posto in fondo. In mezzo al più religioso silenzio il
Vescovo di Cafarnao diede la rituale assoluzione.
Il trasporto era riuscito così solenne e imponente, che lo si
diceva non una funzione funebre, ma un trionfo, un'apoteosi. “
Nulla, depose Don Rua (2), vi fu di artificioso per promuovere tale
concorso; si mandò appena, per il po' di
(I) Il cardinale Alimonda la sera del 31 gennaio aveva telegrafato
da Genova il suo vivissimo desiderio di recarsi subito a Torino; ma
confessava insieme l'impossibilità che le condizioni del suo
animo angosciato per la perdita del caro amico gli permettessero di
presiedere alla sepoltura.
(2) Proc. op., Summ., pag. 1032.
559
tempo che si potè avere, la lettera mortuaria ai Cooperatori
più vicini, e tutti i giornali, senza esserne incaricati, diedero
l'annunzio della morte ”. In verità, per quanto si sapesse
che Don Bosco era in Torino molto amato, nessuno dell'Oratorio si sarebbe
potuto attendere dalla cittadinanza un concorso così mirabile
per numero, per contegno e senza distinzione di classe. Il signor Jules
Auffray, redattore capo della Défense di Parigi, disse allora
che due cose l'avevano maggiormente colpito in Italia, il giubileo papale
a Roma e il funerale di Don Bosco a Torino; aver anzi in qualche cosa
trovato più sorprendente il funerale di Don Bosco. 1’Unità
Cattolica del 3 febbraio potè scrivere senza ombra d'iperbole:
“ Il trasporto funebre di Don Bosco non è stato inferiore
a quello d'un Sovrano ”.
Impartita che fu l'assoluzione alla salma e dato adito al pubblico,
accadde uno spettacolo nuovo. Il popolo si precipitò sul feretro
per toccarlo, per baciarlo, per portar via qualche minuscola parte di
quanto vi stava deposto sopra. Le corone di fiori andarono in mille
pezzi. Così sarebbe toccato al drappo funebre, alle insegne sacerdotali
e alla cassa, se un buon nucleo di guardie civiche non avesse repressa
e arrestata l'onda minacciosa.
Dopochè la moltitudine sfollò e le porte vennero chiuse,
i Salesiani con piccolo accompagnamento riportarono la bara nella chiesa
di S. Francesco, dove la nascosero nell'attesa che fossero condotte
a termine le pratiche per il suo definitivo collocamento.
Di mano in mano che gli abitatori dell'Oratorio rimettevano piede in
casa e levavano istintivamente lo sguardo alle camere di Don Bosco,
provavano per la prima volta la sensazione del grande vuoto prodotto
in mezzo a loro dalla scomparsa dell'angelo tutelare del luogo. Ma ecco
un fatto che ha del prodigio. Allorchè tutta la comunità
fu riunita, una pace, una serenità, una misteriosa gioia sembrò
aleggiare in ogni angolo e in ogni cuore. Quelli che poc'anzi avevano
560
pianto, si sentivano così tranquilli, come nei giorni belli,
in cui Don Bosco viveva tra i suoi figli. In realtà Don Bosco
era vivo e non lontano; egli era che diffondeva tanta quiete all'intorno.
Quasi a coronare la tranquillità dell'Oratorio, più che
a porgere conforto nel duolo, giunse una lettera del cardinale Rampolla,
per la quale lo stesso Leone XIII aveva voluto dettare le più
significative espressioni.
Ill.mo Signore,
La perdita del Sacerdote Don Giovanni Bosco, che godeva la stima, l'affetto
e l'ammirazione universale per le Opere di cristiana carità da
lui fondate, per lo zelo onde erasi studiato mai sempre di promuovere
il bene delle anime, e per quanto aveva egli fatto perchè il
nome santissimo di Dio risuonasse e fosse venerato in ogni più
remoto angolo della terra, la perdita di quest'Apostolo forma un vuoto,
di cui si duole la Chiesa, e con essa debbono meritamente dolersene
i suoi figli, che lo ebbero Padre affettuosissimo ed esempio di ogni
più bella virtù.
E posso io dire che, sull'animo della Santità di Nostro Signore,
il tristissimo caso ha prodotto una impressione tanto più dolorosa,
quanto maggiori erano la benvolenza, che portava al benemerito sacerdote,
e il pregio, nel quale ha sempre avuto le molte sue Opere, feconde di
santi e salutari frutti. E, rivolgendosi alla misericordia e bontà
divina, la prega di dame alla di lui anima benedetta largo premio nella
celeste gloria.
A tutta poi la Società Salesiana impartiva di cuore l'apostolica
benedizione, tenendo per fermo che le sarà di sollievo nell'afflizione,
da cui è oppressa, e di stimolo a proseguire nella santa impresa
che ha dessa ereditato dal defunto e che formò oggetto delle
sue instancabili cure durante i lunghi anni della mortale carriera.
Associandomi poi ai sentimenti di animo del Santo Padre, auguro a lei
ogni bene, e me le dichiaro, con sensi di stima,
Di V. S. Ill.ma
Roma, 2 febbraio 1888.
Aff.mo per servirla
M. Card. RAMPOLLA.
Un tratto singolare della Provvidenza pose termine a quella indimenticabile
giornata. Il dottor Bestenti, mentre prendeva parte con i colleghi all'accompagnamento,
era perseguitato da un pensiero molesto. Il Municipio non avrebbe
561
mosso opposizione al seppellimento di Don Bosco nel collegio di Valsalice?
A un certo punto abbandonò il corteo, si diresse al palazzo di
città ed ecco ivi una lettera d'ufficio che stava per essere
mandata alla regia Prefettura. Chiesto di che si trattasse, gli venne
risposto che riguardava il seppellimento di Don Bosco a Valsalice. I
medici dell'Ufficio d'igiene avevano dato voto contrario. Il Bestenti,
membro dello stesso Ufficio, ferma la lettera, raduna i tre suoi colleghi,
protesta contro una deliberazione presa in sua assenza e tanto dice
e tanto fa che quella prima votazione è annullata e si procede
a un'altra favorevole.
CAPO XXVII
La salma di Don Bosco a Valsalice.
NON ogni speranza era svanita di tumulare Don Bosco nell'Oratorio.
Nell'aristocrazia torinese circolava una petizione al Re per chiedere
questo favore. La santa principessa Clotilde aveva già raccomandato
la cosa a Umberto, suo fratello. Un telegramma delle ore venti da Roma
lasciava ancora un barlume di fiducia. Persone influenti si venivano
tuttora ufficiando nella capitale e a Torino. Il cardinale Alimonda
e il principe Eugenio di Savoia Carignano se ne interessavano. Si tentò
di far valere il precedente del padre Ludovico da Casoria. Ciò
nonostante il Capitolo Superiore risolse di affrettare i preparativi
a Valsalice. Il Municipio aveva concesso due giorni di tolleranza per
l'interramento; ma questi sarebbero finiti presto, cioè la sera,
del 4, e allora, mancando il decreto per la chiesa di Maria Ausiliatrice
nè essendo preparato a Valsalice il sito, il Sindaco, obbligato
dal regolamento d'igiene, avrebbe mandato a prendere il feretro per
farlo portare al cimitero comune. Non c'era dunque tempo da perdere.
Intanto la curiosità pungeva molti di sapere dove si sarebbe
portato a seppellire Don Bosco; ma dall'Oratorio nulla si riusciva a
sapere. C'era stata da parte della Piccola Casa l'offerta della tomba
provvisoria del celebre padre Verri (I)
(I) Questo zelante apostolo dei Moretti e delle Morette aveva chiuso
i suoi occhi nella Piccola Casa del Cottolengo.
563
nel camposanto, e si lasciò correre quella voce, che serviva
a coprire le vere intenzioni; perchè, se si fossero svelate queste,
certi giornali per aizzarvi contro la così detta opinione pubblica
avrebbero levato clamori contro il privilegio. Ma silenziosamente a
Valsalice si lavorava dì e notte per allestire la tomba. E fu
savio consiglio; poichè, se fossero svanite le ultime speranze
circa la chiesa di Maria Ausiliatrice, l'urgenza di dare sepoltura al
cadavere avrebbe richiesto che a Valsalice tutto fosse subito all'ordine:
altrimenti non si sarebbe potuto scongiurare il deprecato invio al cimitero
comune.
E realmente quelle speranze erano destinate a svanire, perchè
il Crispi non avrebbe mai receduto dal suo diniego, come si seppe dopo
da una sua lettera all'onorevole Bonghi, comunicata ai Superiori di
Torino. Il Ministro, dovendo rendere conto all'influente deputato del
suo rifiuto, gli scriveva: “ Mi sono occupato in persona della
domanda rivoltami tempo fa dai Sacerdoti del defunto Don Bosco e che
tu mi raccomandi colla tua lettera, per tumularne la salma nel terreno
del suo Istituto in Torino. Sarebbe stato mio desiderio il poterla secondare,
in considerazione della spiccata individualità cui la salma appartenne.
Ma la tumulazione nel recinto di una città è affatto contraria
alle disposizioni del Regolamento sanitario in vigore, ed una eccezione,
che in questo caso può parerti ragionevole, aprirebbe l'adito
ad una violazione continua del Regolamento. Tale violazione non fu fino
ad ora permessa mai da questo Ministero ed io ho stretto dovere d'impedirla.
È per questa ragione che con mio dispiacere debbo anche a te
rispondere in proposito negativamente ”. Fin dal 3 febbraio cominciò
la canea dei giornali settari, i quali, avendo avuto sentore delle trattative
in corso e volendole attraversare, insinuarono maliziosamente essersi
dal Crispi rifiutato il permesso per aver egli saputo che si trattava
di “ mene clericali ”.
Per la sepoltura a Valsalice bastava l'autorizzazione del Prefetto,
presso il quale, mentre si brigava a Roma, non fu -
564
rono sospesi i colloqui. Il Prefetto, conte Lovera di Maria, preso
dalla solita paura dei giornali, non finiva di tergiversare. Finalmente
all'ingegnere Vigna, che faceva da intermediario per l'Oratorio, disse
esitante che non firmava il decreto, se prima egli non andasse a misurare
le distanze fra il luogo della tomba e le circostanti villeggiature.
A dir vero, fuori di cinta il Regolamento non prescriveva distanze;
tuttavia l'ingegnere, stucco e ristucco di quei tentennamenti, uscì,
noleggiò una vettura, si fece condurre a Valsalice, calcolò
a occhio e croce le distanze e tornò con la risposta.
Alla sera, del 4 febbraio scadeva, come dicevamo, il tempo, in cui era
permesso tenere la salma entro il recinto urbano; si aspettava quindi
con crescente ansietà quel benedetto decreto. Don Sala specialmente
era in orgasmo e si sentiva venire la febbre. A nessun costo, neppure
in deposito, egli avrebbe lasciato il corpo di Don Bosco nel cimitero
comune. Erasi stabilito di occultarlo nella sua camera, che, essendo
in alto e in un angolo appartato della casa, si prestava a sottrarlo
alle ricerche delle guardie. Come Dio volle, alle sedici e mezzo il
documento arrivò e tutti respirarono. Un'ora dopo il carro funebre
trasportava Don Bosco a Valsalice. Prima che la bara vi fosse collocata
sopra, Don Rua la baciò lacrimando. Sulla carrozza usata dal
Santo nelle sue passeggiate serali vi tennero dietro monsignor Cagliero,
Don Bonetti e Don Sala, recitando il rosario. In due altre vetture seguivano
un sorvegliante responsabile e quattro vespilloni. L'incertezza durata
fino all'ultimo e il timore di qualche brutto tiro giornalistico avevano
obbligato a celare la cosa perfino agli amici, sicchè il trasporto
si potè eseguire senza che nessuno se n'accorgesse.
Erano le diciotto quando il carro funebre entrò nel cortile di
Valsalice. I chierici con candele accese ricevettero e accompagnarono
nella cappella il feretro, portato da otto di loro. La consegna al rappresentante
del Municipio portava che nella sera stessa facesse fare la tumulazione
e ne redi -
565
gesse il verbale; ma i muratori non avevano ancora terminato di apprestare
il loculo. Si cercò dunque di guadagnare tempo tirando in lungo
la cerimonia nella cappella, dove, compiute le esequie, i chierici presero
a cantare l'ufficio dei defunti. L'ispettore, intuito l'imbarazzo, non
die' segno di avvedersene. Gli uomini che dovevano testimoniare del
seppellimento, furono tenuti a bada con qualche buon bicchiere, sicchè
persuasi che la salma di Don Bosco fosse nel suo sepolcro, firmarono
la carta e partirono. Il loro capo, avvicinatosi a Don Barberis, gli
susurrò all'orecchio: - Sono un antico allievo. - Ciò
detto, lo salutò e parti anche lui.
Remotis arbitris, il feretro venne riposto in un coretto, dinanzi al
quale si fecero cadere a mo' di addobbo festivo drapperie, che mascherassero
il nascondiglio, e fu fatto divieto di parlarne con chicchessia fuori
del collegio. La salma rimase là altri due giorni. Le precauzioni
prese impedirono che la cosa trapelasse con pericolo che qualche malevolo
ne menasse scalpore; le conseguenze sarebbero state gravi. Questo era
tanto più da temersi, perchè cattivi giornali per far
pressione sulle autorità avevano pubblicato con aria di trionfo
che nonostante domande, suppliche, buoni uffici di persone altolocate,
Don Bosco sarebbe stato sepolto nel cimitero comune.
Per buona sorte, imprudenze non furono commesse, cosicchè il
lunedì 6 febbraio si potè procedere tranquillamente alla
tumulazione. Tutto si fece senza rumore a tarda sera, perchè
i vicini non s'accorgessero di nulla. Erano presenti i Superiori del
Capitolo e parecchie Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice con
la loro Madre Generale. Monsignore benedisse il sepolcro; quindi il
feretro fu sollevato e introdotto nel loculo. Un silenzio angoscioso
accompagnò la rapida opera dei muratori, che involavano per sempre
agli sguardi dei figli anche la bara racchiudente le umane spoglie e
le amate sembianze del Padre.
Murato il sepolcro, i centoventi chierici si raccolsero nella
566
cappella a cantare un notturno dell'ufficio dei morti. Dopo monsignor
Cagliero tenne loro un breve discorso. I Superiori affidavano ai confratelli
della casa di Valsalice un prezioso deposito, un sepolcro che un giorno
sarebbe divenuto glorioso. Lo custodissero bene, accogliessero con amore
fraterno i Salesiani delle altre case che sarebbero venuti a visitarlo.
Essi per i primi vi andassero sovente a ispirarsi e a infervorarsi nella
pratica delle virtù di Colui, del quale conteneva le spoglie.
Monsignore, fatto un rapido cenno delle principali virtù di Don
Bosco, proseguì: - I primi cristiani si animavano a combattere
per la fede, a soffrire e a morire per Gesù Cristo, fortificandosi
sulla tomba dei Martiri; S. Filippo Neri imparò a divenire l'Apostolo
di Roma visitando spesso le catacombe. Cosi voi, così noi tutti
rechiamoci con frequenza ad attingere da questa tomba la fortezza che
nei più duri cimenti sostenne il nostro Don Bosco, mentre lavorava
per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime; veniamo a riscaldarci
di quel fuoco d'amore che sempre gli avvampò nel petto e lo rese
apostolo non solamente di Torino, del Piemonte, dell'Italia, ma delle
più lontane regioni della terra.
Anche Don Rua volle dire poche parole, facendo rilevare essere la divina
Provvidenza che affidava a quei di Valsalice il corpo di Don Bosco.
Raccontò infatti come nelle precedenti vacanze tutti i Superiori
avessero concordemente divisato di mantenere il collegio per i giovani
di civile condizione, introducendo qualche modificazione nel primitivo
programma per facilitarvi l'ammissione di un maggior numero; quand'ecco,
saputosi che la casa di San Benigno sarebbe stata quell'anno troppo
ristretta, in pochi minuti si era cambiato disegno e con una unanimità
poco prima impossibile, sorpassata ogni difficoltà, specialmente
quella dell'onore, si era deciso di sciogliere quel collegio e di stabilirvi
lo studentato e la casa di Missione per i nostri chierici. Lo stesso
Don Bosco, dopochè pochi giorni prima aveva acconsentito a mantenervi
il collegio modificandone il programma, aver ap -
567
provato anche lui di buon animo la divisata trasformazione, ben tosto
eseguita. A che mirava tale ricordo? A far intendere che, se la casa
fosse stata ancora collegio, non si sarebbe potuto ottenere il permesso
di avere le spoglie di Don Bosco fra i suoi figli; non nell'Oratorio,
perchè il Ministero vi aveva dato una negativa assoluta; non
a Valsalice, perchè le altre autorità, la municipale e
la scolastica, avrebbero posto il veto per la natura della casa destinata
a dimora di giovanetti. Ma Iddio che aveva decretato di prenderci Don
Bosco e per nostra consolazione voleva lasciarcene il corpo vicino,
aver disposto gli eventi nel modo raccontato. Potersi dunque dire in
tutta verità essere la divina Provvidenza che affidava ai confratelli
di Valsalice la custodia del suo sepolcro. Si mostrassero pertanto degni
di tanta sorte e con la pratica delle virtù di Don Bosco facessero
sì che egli potesse allietarsi di stare col suo corpo in mezzo
a loro, qual Padre presso i figli. Qui non terminò il Successore
di Don Bosco, ma riprese: - Vi lascio tre speciali ricordi. - I°
Per assecondare il volere espresso dì Don Bosco e le intenzioni
della Chiesa, la quale comanda che si preghi indistintamente per tutti
i fedeli, finchè non siano dal suo supremo magistero dichiarati
venerabili, tutte le volte che passerete vicino a questa tomba, recitate
almeno un requiem aeternam. - 2° Andate tratto tratto presso quella
sacra tomba a fare un po' di meditazione animandovi alla virtù
e se qualche volta vi sentirete languidi nell'osservanza delle Regole,
se qualche volta si desteranno in voi le passioni che cercano di farvi
cadere in peccato, qui rivolgete il vostro pensiero come il vostro sguardo
e qui giurate fedeltà a Dio a costo di qualunque sforzo, qui
giurate guerra al peccato a costo di qualunque sacrificio e invocate
pure anche questo caro Padre nelle vostre tentazioni ed affanni ed egli
dal cielo, dove fondatamente speriamo che sia, vi otterrà le
grazie domandate. - 3° Ogni volta che volgete là lo sguardo,
procurate di figurarvi come dinanzi a uno specchio da cui ricopiare
ogni virtù; là specchiatevi e figura -
568
tevi che dalla tomba parta una voce che dica: Imitatores mei estote,
sicut et ego Christi. In ogni vostra azione pensate: Come farebbe Don
Bosco in questa circostanza? Allora sì che avverrà di
lui quello che si dice della salma dei Profeti: Defunctus, adhuc loquitur.
I Superiori rientrarono poi nell'Oratorio consolati - che tutto fosse
riuscito così bene e riconoscenti verso quanti avevano loro prestato
valida mano. Prima della cena i chierici di Valsalice, radunatisi intorno
al proprio direttore Don Barberis, sottoscrissero un indirizzo a Don
Rua, composto dal loro compagno Don Beltrami, per promettergli che le
sue raccomandazioni e i suoi ricordi si sarebbero fedelmente praticati
e insieme per rendere il loro primo omaggio a lui, come a nuovo Rettor
Maggiore (I). Questo indirizzo, portato immediatamente a Don Rua, gli
fu letto dopo la cena nel refettorio del Capitolo Superiore.
Sparsasi attorno al collegio la notizia della tumulazione, parecchi
proprietari di case e ville nella valletta del Salice scrissero lettere
di ringraziamento al Sindaco di Torino, perchè Don Bosco fosse
stato seppellito presso di loro.
Il loculo era incavato nel muro del ripiano, dove sullo scalone che
parte dal cortile basso del collegio s'incontrano due rampe di scale
scendenti dal cortile alto. Là rimase il feretro per un anno
indisturbato, finchè, costruitasi sulla tomba una cappella funebre
per cura e a spese di alcuni antichi allievi, fu un po' meglio accomodato
in sito più elevato e decoroso. Sul davanti un epitafio latino
diceva il giorno e il luogo della nascita e della morte, qualificando
semplicemente Don Bosco come Padre degli orfani. Alcuni ex - allievi
di Valsalice ottennero poi di apporre un'altra iscrizione che rammentasse
la loro dimora nel collegio e attestasse la loro riconoscenza al venerato
Padre. La lapide, fissata sulla parete a sinistra di chi sale, dice
così: “ Disgiunti per le vie intra -
(I) App., Doc. 102.
569
prese - del santuario, delle scienze, del foro, dell'armi - uniti sempre
di mente, di cuore - gli antichi allievi dei Collegio Valsalice - al
loro amato Padre - Don Giovanni Bosco - questa ricordanza di perenne
affetto - p. p. ”.
Dal 1889 in poi il feretro non fu più toccato se non sedici anni
dopo la morte per la ricognizione ufficiale della salma, ordinata dalla
sacra Congregazione dei Riti. In tale circostanza la cassa aperta stette
poche ore esposta in un gran salone, mentre si ricomponevano le rivestiture
del feretro, che fu quindi riportato al suo loculo per attendervi la
trionfale traslazione del 1929.
Don Rua, nonostante la distanza, procurava di visitare il glorioso sepolcro
almeno una volta al mese; che se qualche mese non poteva, vi suppliva
abbondantemente durante gli esercizi spirituali, a cui interveniva ogni
anno con numerosi confratelli. Molte e molte persone vi andavano continuamente,
tratte dalla venerazione per il Servo di Dio e dalla fiducia nella sua
intercessione. Vi affluivano anche visitatori e pellegrinaggi da ogni
parte d'Italia e da più nazioni d'Europa. Ben di rado carovane
dirette a Roma e passanti per Torino omettevano di recarsi a rendergli
il loro tributo di onore. Nè solo gente del popolo saliva a Valsalice
per questo scopo, ma anche personaggi costituiti in dignità,
italiani e stranieri. Tale concorso, cominciato subito dopo la sepoltura,
continuò senza interruzione, anzi con progressivo aumento, fino
a che le sante reliquie ne furono rimosse per essere esposte al culto
nella chiesa di Maria Ausiliatrice.
Le domande di oggetti appartenenti a Don Bosco si moltiplicavano ogni
giorno più. Don Rua, per appagare almeno il pio desiderio dei
principali benefattori, diede incarico a Don Sala e a Don Bonetti di
vedere in che modo si potesse fare. C'era stato il buon precedente di
Pio IX, del quale appena morto si chiedevano reliquie da tutte le parti
e si mandavano. Fu seguito tale esempio.
Don Bosco nel suo testamento spirituale del 1884, da noi
570
pubblicato nel volume precedente, aveva scritto: “ Fatta la mia
sepoltura, il mio Vicario inteso col Prefetto dirami a tutti i confratelli
questi miei ultimi pensieri della mia vita mortale ”. Questi pensieri
erano espressi in forma di lettera ai Salesiani. Don Rua subito il 7
febbraio ne ordinò la stampa in tante centinaia di copie che
bastassero per tutti e in un formato che potesse comodamente conservarsi
nel libro delle Regole o in qualche manuale di pietà, sicchè
tornasse facile un'assidua lettura dell'affettuoso e commovente documento.
Lettera scritta di mano dell'amatissimo nostro Padre Sac. Don Giovanni
Bosco per tutti i Salesiani, con incarico al Successore di farne avere
una copia a ciascuno dopo la sua morte. Si riceva e si conservi come
il suo spirituale testamento dettato dal grande affetto, di cui avvampava
verso i diletti suoi figli in Gesù Cristo.
Miei cari ed amati Figli in G. C.,
Prima di partire per la mia eternità io debbo compiere verso
di voi alcuni doveri e così appagare un vivo desiderio del mio
cuore.
Anzitutto io vi ringrazio col più vivo affetto dell'animo per
la ubbidienza che mi avete prestata, e di quanto avete lavorato per
sostenere e propagare la nostra Congregazione.
Io vi lascio qui in terra, ma solo per un po' di tempo. Spero che la
infinita Misericordia di Dio farà che ci possiamo tutti trovare
un dì nella beata eternità.
Vi raccomando di non piangere la mia morte. Questo è un debito
che tutti dobbiamo pagare, ma dopo sarà largamente ricompensata
ogni fatica sostenuta per amore del nostro Maestro, il nostro Buon Gesù.
Invece di piangere fate delle ferme ed efficaci risoluzioni di rimaner
saldi nella vocazione sino alla morte. Vegliate e fate che nè
l'amor del mondo, nè l'affetto ai parenti, nè il desiderio
di una vita più agiata vi muovano al grande sproposito di profanare
i sacri voti e così trasgredire la professione religiosa, con
cui ci siamo consecrati al Signore. Niuno riprenda quello che abbiam
dato a Dio.
Se mi avete amato in passato continuate ad amarmi in avvenire colla
esatta osservanza delle nostre Costituzioni.
Il vostro primo Rettore è morto. Ma il nostro vero Superiore,
Cristo Gesù, non morrà. Egli sarà sempre nostro
Maestro, nostra Guida, nostro Modello. Ma ritenete che a suo tempo Egli
stesso sarà nostro Giudice e Rimuneratore della nostra fedeltà
nel suo servizio.
571
Il vostro Rettore è morto, ma ne sarà eletto un altro
(I) che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo,
amatelo, ubbiditelo, pregate per lui, come avete fatto per me.
Addio, o cari figliuoli, addio. Io vi attendo al Cielo. Là parleremo
di Dio, di Maria, Madre e sostegno della nostra Congregazione; là
benediremo in eterno questa nostra Congregazione, la osservanza delle
cui regole contribuì potentemente ed efficacemente a salvarci.
Sit nomen Domini benedictum ex hoc nunc et usque in saeculum. In te,
Domine, speravi, non confundar in aeternum.
Sac. GIO. BOSCO.
Nel medesimo testamento Don Bosco aveva inserito una serie di letterine
a insigni benefattori e benefattrici, affinchè fossero loro comunicate
dopo la sua morte. Don Rua ne staccò quelle destinate a persone
ancora viventi nel 1888 e le spedì quali erano uscite dalla penna
del Santo (2). Il prezioso ricordo suscitò in tutti un profondo,
sentimento di gratitudine e venerazione.
Ottimamente scrisse allora l’Unità Cattolica che sulla
tomba dei Santi non si piange, ma si prega. Sfogliando il cumulo delle
lettere pervenute a Don Rua dopo la morte di Don Bosco, più che
dolorosi rimpianti, vi s'incontrano esaltazioni della sua santa vita
ed espressioni d'illimitata confidenza nell'efficacia della sua intercessione.
Ma vi fu ben altro ancora. Già l'8 febbraio Don Rua comunicò
al Capitolo Superiore che il cardinale Parocchi, protettore della Congregazione,
consigliava di fare pratiche presso il cardinale Alimonda, affinchè,
come Arcivescovo di Torino, domandasse alla Santa Sede che, derogando
alle prescrizioni ecclesiastiche, permettesse d'incominciare gli atti
preparatorii al processo di Beatificazione. Don Bosco dunque era appena
sceso nella tomba, che già gli si schiudevano nel mondo le vie
della grande vera gloria.
(I) Quado il Santo preparò questa lettera, Don Rua non era ancora
Vicario con diritto di successione.
(2) App., Doc., 103 A - P.
CAPO XXVIII
Opinione di santità in vita e dopo morte.
L’AUTORE ispirato dell'Ecclesiastico (I) dice degli uomini santi:
In eterno rimarrà la loro memoria, e la loro lama non sarà
oscurata; i loro corpi riposano in pace, ma il loro nome vive nei secoli;
la loro sapienza è celebrata in pubblico e le loro lodi si ripetono
nelle adunanze. Questo è avvenuto e avviene di Don Bosco. Appena
sceso nella pace del sepolcro, se già era ammirato e amato in
vita, riempì ancora più il mondo della sua fama, riscotendo
lodi in tutte le lingue, senz'aspettare che il giudizio infallibile
della Chiesa gli decretasse l'onore degli altari e ne rendesse universale
il culto. La voce del popolo anticipò, diremo così, la
voce di Dio, o meglio, fu realmente la voce stessa di Dio, come si rese
poi manifesto per l'organo del magistero ecclesiastico. L'opinione ch'ei
fosse santo l'aveva accompagnato in vita, ma si venne facendo convinzione
profonda e mondiale subito dopo la sua morte. Noi ci proponiamo ora
di sfogliare i Sommari dei processi per raccogliere di questa fama autorevoli
testimonianze giurate, che nel loro insieme ci faranno grandeggiare
ognor più dinanzi agli occhi la figura del nostro Padre. Ci limiteremo
però nel numero dei testi: basteranno sette non salesiani e dodici
salesiani. Di ognuno si riporterà unicamente quello che di più
significativo seppe per propria
(I) Eccl. XLIV. 13 - 5
573
scienza. Non occorrono citazioni a pie' di pagina; nominandosi le persone,
torneranno facili, a chi li volesse, i riscontri. Sia questa una corona
di semprevivi che deponiamo sulla tomba gloriosa del nostro venerato
Fondatore o, se più piace, un coro armonioso di voci inneggianti
alla sua dolce memoria.
Fra i non salesiani diamo la precedenza a un laico, uomo del popolo:
Giovanni Bisio, negoziante. Dal 1864 visse nell'Oratorio sette anni
e dopo si tenne sempre in relazione con Don Bosco, S'invogliò
a conoscerlo quando un sacerdote del suo paese glielo descrisse come
un santo. Fra le sue testimonianze ne emerge una. Avendolo accompagnato
più volte in piccoli paesi del Piemonte, vedeva che al suo passare
non pochi s'inginocchiavano per ricevere la sua benedizione, che altri
sì affacciavano alle finestre e si mettevano sulle porte per
poterlo osservare e che le madri gli presentavano i bambini per farli
benedire. Dice: “ Sembrava proprio il Nazzareno in mezzo ai fanciulli
”.
Due sacerdoti che conobbero da vicino Don Bosco, furono il teologo Reviglio,
parroco di S. Agostino a Torino, e il canonico Ballesio, vicario foraneo
a Moncaglieri. Don Reviglio, assiduo all'Oratorio dal 1847 e poi secondo
ricoverato nell'ospizio, godette per tutta la vita l'intimità
del Servo di Dio. Orbene egli considerò sempre Don Bosco quale
un santo degno degli altari, idea comune, dice, non solo a' suoi allievi,
ma anche a estranei da lui uditi proferire tale giudizio. Attesta inoltre
di sacerdoti che, avuto a casa loro come commensale Don Bosco, si onoravano
di mettere da parte posate e altri oggetti dal medesimo usati a mensa
e che dopo la morte del Servo di Dio si ritenevano queste cose come
preziosissime. Don Ballesio pure, alunno dell'Oratorio per otto anni
dal 1857, ebbe per tutta la vita una crescente familiarità con
Don Bosco. “ Non saprei, dice, quale dei Santi abbia avuto maggior
fama di santità presso ogni ceto di persone ecclesiastiche e
laiche ”. Si dichiara poi decisamente convinto che la divozione
dei Salesiani e dei loro Cooperatori verso il Servo di
574
Dio fosse piuttosto eco che non causa della fiducia universale nell'efficacia
della sua intercessione.
Ricorre con certa frequenza nei primi volumi delle Memorie Biografiche
il nome del canonico Anfossi. Egli fece i corsi ginnasiali, filosofici
e teologici nell'Oratorio dal 1853. Uscitone conservò sempre
filiale relazione con Don Bosco, che continuava a considerarlo come
di casa. Che Don Bosco chierico fosse tenuto da' suoi compagni in gran
conto per santità, egli lo intese da alcuni coetanei di lui e
principalmente da Don Francesco Oddenino, del quale al tempo della sua
deposizione nella causa era commensale da ventiquattro anni. L'Anfossi,
ancora chierico nell'Oratorio, veniva mandato da Don Bosco per missioni
particolari da parecchi Vescovi, nelle quali occasioni udiva altissime
lodi alla santità di colui che lo inviava. Monsignor d'Angennes,
arcivescovo di Vercelli, non rifiniva di esaltarlo alla presenza di
vari canonici. Quanto in seguito la fama della sua santità si
fosse estesa anche fuori d'Italia, il teste lo sperimentò ne'
suoi viaggi in Francia, nel Belgio, in Olanda e in Germania. Presentandosi
nelle sacrestie per celebrare, gli si faceva da molti la domanda se
conoscesse Don Bosco, e alla risposta che era stato suo alunno, si vedeva
colmato di gentilezze e trattenuto in lunghe conversazioni per il desiderio
comune di conoscerne le opere. Conchiude così la sua deposizione:
“ Io ho sempre ammirato la santità di vita del Servo di
Dio e questa persuasione di santità mi rimane tuttora nell'animo,
anzi ogni dì più si conferma, nè mai mi avvenne
di udire persona che contraddicesse alla fama di santità universalmente
goduta da Don Bosco ”.
Chi non conosce il teologo Leonardo Murialdo, fondatore dei Giuseppini,
del quale è in corso la causa di beatificazione? A noto quanto
egli aiutasse Don Bosco nei principi de' suoi oratorii festivi a Torino;
così dal 1851 cominciarono con lui le sue relazioni. “
È cosa di fatto, dice, che anche prima della sua morte il Servo
di Dio godeva fama di santità presso gran
575
numero di persone sia del popolo sia del ceto distinto, e questa fama
si propagò anche all'estero. Una prova l'ebbi io stesso. Una
signora di St. Etienne in Francia mandò alcuni anni prima della
morte di Don Bosco un sacerdote di sua fiducia espressamente a Torino
per pregarlo di recarsi presso di lei, che sperava di ottenere la guarigione
dalla sua benedizione. Così pure più volte in Francia
ebbi occasione di udirne fare elogi come di uomo al tutto ammirando
”. Interrogato che cosa potesse dire della sua fama di santità
post obitum, rispose: “ Mi consta che il popolo ha stima, riverenza
e divozione verso il Servo di Dio, nè solo le persone volgari,
ma anche quelle pie, savie e prudenti, nè solo torinesi, ma anche
forestiere ed estere ” (I).
Due Vescovi deposero come testi oculari. Il primo monsignor Vincenzo
Tasso, dei Signori della Missione, vescovo di Aosta, aveva fatto il
ginnasio nell'Oratorio dal 1862. Dichiarò: “ Uscito poi
dall'Oratorio perchè il Signore mi chiamava altrove, crebbe sempre
più in me il concetto di santità del Venerabile. Anche
paragonandolo con personaggi di grande carità e virtù,
coi quali mi trovai a contatto, mi pare il più eccellente che
io abbia incontrato in virtù, in opere e in doni soprannaturali.
Questa mia convinzione va ognor crescendo, come cresce la mia venerazione;
quanto più lo studio, tanto più ammiro e venero la sua
santità. È quindi mia convinzione che la fama di santità
da lui goduta non sia immaginaria e artificiale, ma veramente fondata
sopra i suoi meriti e favorita da Dio con grazie e miracoli per glorificare
il suo servo e innalzarlo agli onori degli altari, e faccio voto ben
sincero che la cosa si avveri al più presto ”.
L'altro Vescovo è il rinomato moralista monsignor Bertagna, titolare
di Cafarnao e ausiliare dei cardinale Alimonda.
(I) Il 2 gennaio 1891 l'Arcivescovo di Parigi, ricevendo il suo clero
per l'omaggio augurale del nuovo anno, quando fu il turno di Don Ronchail,
lo abbracciò dicendo: - Ecco qui il superiore della casa del
santo Don Bosco. La Chiesa non l'ha ancora proclamato, ma lo farà.
- (Lett. di Don Ronchail a Don Belmonte, Parigi 8 gennaio 1891).
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Conobbe Don Bosco da fanciullo. Nelle vacanze autunnali ricevette per
alcuni anni da lui lezioni di latino. Dopo, specialmente da sacerdote,
fu con lui in continua dimestichezza. Ecco il suo ponderato parere:
“ Don Bosco era tenuto in concetto di uomo straordinario, e reputato
santo da molti, e molti gli attribuivano miracoli. A mio giudizio, vederlo
negli ultimi otto o dieci anni, già pieno di acciacchi, sopraccarico
di occupazioni, assediato sempre da gente d'ogni sorta, e lui sempre
tranquillo, non dare mai in un'impazienza anche minima, senza mostrar
fretta, non mai precipitare quello che gli era messo a mano, dà
ben motivo a dire che, se non era un santo, di santo rendeva però
immagine. L'esito poi dell'opera sua principale, quasi scopo di tutta
la sua vita, cioè la sua Congregazione, è l'argomento
che ha per me più forza a persuadermi che Don Bosco fu un santo
”.
Ascoltiamo ora testi salesiani, che assai più dei precedenti
ebbero agio di studiare da vicino il Servo di Dio. Alcuni di essi lo
osservarono per anni e anni nella sua vita d'ogni giorno, lo videro
abitualmente nell'intimità della vita domestica, lo sorpresero
in quelle circostanze nelle quali d'ordinario gli uomini non badano
più che tanto a contenersi; ora in tutta questa frequenza di
contatti è umanamente impossibile che, se difetti vi sono, stiano
nascosti. Ecco perchè non sempre i familiari condividono con
gli estranei l'ammirazione per le virtù di taluni che pure vanno
per la maggiore. Invece riguardo a Don Bosco accadde proprio il contrario;
quanto più stretta e continua era l'intimità, tanto più
convinta si veniva formando l'opinione che egli fosse veramente un santo.
Cominciamo dal suo fido Don Berto. Studente nell'Oratorio dal 1862,
si confessò da Don Bosco fino al gennaio del 1888; inoltre per
vent'anni dal 1866 al 1886 gli fece da segretario particolare, trattato
allora e poi come persona di intima confidenza. Per meglio valutare
i suoi apprezzamenti giova considerare che egli era l'opposto di quello
che si di -
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rebbe un uomo entusiasta o sentimentale; anzi, di animo buono, ma freddo
dì temperamento e duretto di carattere, dava financo a Don Bosco
occasioni di esercitare la pazienza. Ebbene non gli passò mai
per la mente il menomo dubbio che Don Bosco non fosse un santo. Nella
sua lunga, deposizione il pensiero di Don Berto a questo proposito è
condensato nel seguente periodo: “ Posso attestare che la fama
di santità del Servo di Dio nacque spontaneamente, come la luce
dal sole, come il calore dal fuoco, come l'acqua dalla sua sorgente
e che quindi si diffuse nel mondo per lo splendore delle due virtù,
per la copia de' suoi doni soprannaturali, per gli aurei suoi scritti,
per le molte guarigioni straordinarie ottenute con le sue preghiere
e benedizioni, ma specialmente pel rapido propagarsi delle sue istituzioni
nei due emisferi ” . Nel corso del suo interrogatorio egli riferì
importanti giudizi altrui, uditi con le sue proprie orecchie. Eccone
alcuni. Nel 1879, trovandosi nell'anticamera del cardinale Bartolini,
mentre Don Bosco era in udienza, sentì monsignor Caprara che
diceva: - Don Bosco, morto che sia, lo beatificheranno e io dovrò
fare l'avvocato del diavolo. - Monsignore parlava così, perchè
era il promotore della fede presso la sacra Congregazione dei Riti.
Il 15 aprile 1880 Don Bosco lo mandò dal Cardinale Alimonda,
che allora dimorava a Roma, per consegnargli un incartamento riguardante
le Missioni. In quella circostanza il Cardinale gli disse: - Felice
lei che sta con un uomo che è proprio un santo! - Un alunno dell'Oratorio,
tornato dalle vacanze, raccontò a. Don Berto che, essendo stato
presentato alla principessa Maria Vittoria, consorte del principe Amedeo
di Savoia, questa gli aveva detto: - Te fortunato che stai con un santo!
Il castelnovese Don Secondo Marchisio trascorse tredici anni continui
nell'Oratorio al tempo di Don Bosco, dopo la cui morte si aggirò
per le terre che circondano i Becchi, visitando quanti avevano veduto
Don Bosco o sentito parlare di lui nelle loro famiglie e raccogliendo
notizie, ricordi, aned -
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doti da servire alla sua biografia. Il chierese dottor Allora gli narrò
che a Chieri nel seminario, dov'era stato egli pure, i condiscepoli
del Servo di Dio lo riguardavano come un santo. Altre testimonianze
di simil genere da lui raccolte si possono leggere nei primi volumi
di Don Lemoyne. Per parte sua il teste si espresse in questi termini:
“ Io ho sempre tenuto e tengo Don Bosco in grande venerazione
e lo considero come un santo e non ho mai sentito persona che avesse
opinione contraria alla fama della sua santità ”.
Ecco ora uno di quegli uomini, per i quali è fatto il noto proverbio
francese: Il n'y a pas de grand homme pour son valet de chambre. Intendiamo
parlare del coadiutore Pietro Enria, che, venuto all'Oratorio a 13 anni
nel 1854, fu più tardi addetto lungamente alla persona del Servo
di Dio. Dinanzi ai giudici della causa, dopo aver esposto alla buona
nei diversi interrogatorii molte sue reminiscenze personali, proruppe
finalmente in questa recisa affermazione: “ Io, essendo vissuto
tanti anni con lui e avendo ammirato le sue virtù, non posso
a meno di crederlo un santo ”, .
Un altro salesiano castelnovese, Don Angelo Savio, fu alunno dell'Oratorio
dal 1850. Accompagnò Don Bosco a Marsiglia nel 188o ed ebbe molto
da fare con lui per cose di amministrazione; poi andò nelle Missioni.
Uomo assai positivo, formulò in questo modo il proprio giudizio:
“ Don Bosco fu un sacerdote esemplare, dotato di virtù
eminenti. Io sono persuaso che si trovi fra i comprensori nel cielo
e desidero che la Chiesa a suo tempo ne dichiari la santità e
ponga sull'altare un nuovo modello di sacerdote da imitare. Da molte
persone sia in Italia che in America mi venne più volte detto:
- Voi siete fortunati di essere i figli e i seguaci di Don Bosco, perchè
era un santo ”.
Il primo Procuratore generale della Congregazione e primo parroco del
Sacro Cuore a Roma, Don Francesco Dalmazzo, nel 1860, lasciato un altro
collegio a Pinerolo, entrò all'Oratorio in età di quindici
anni per frequentarvi la quinta gin -
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nasiale. Di famiglia agiata, stentava molto ad acconciarvisi, nè
vi sarebbe rimasto, se nelle prime settimane non avesse visto con i
propri occhi la famosa moltiplicazione delle pagnotte operatasi per
le mani di Don Bosco (I). Fanno al caso nostro due punti più
salienti delle sue deposizioni. Parlando delle sue virtù in genere,
dice di sè: “ Nel periodo di circa trent'anni in cui ho
avvicinato il Servo di Dio, debbo ingenuamente confessare che non solo
non ho trovato mai in lui cosa da biasimarsi, ma anzi dovetti in ogni
tempo ammirare la pratica di ogni virtù cristiana in modo da
persuadermi de visu et de auditu, esser vero quanto ne sentiva spesso
ripetere, che egli era un santo ”. Venendo poi a dire della fama
di santità, fa queste dichiarazioni: “ Io ho girato la
Francia, la Svizzera, il Belgio, l'Inghilterra e tutta l'Italia e dappertutto
ho sempre sentito parlare di Don Bosco come di un S. Vincenzo de' Paoli,
di un S. Filippo Neri; spesse volte dovevo per molteplici insistenze
raccontare cose di lui a persone che se ne mostravano avidissime. Quest'idea
della santità di Don Bosco è stata sempre radicata nel
nostro popolo, tanto fra i dotti quanto fra i semplici, giacchè
tutti gli si raccomandavano, persuasi di essere per sua intercessione
da Dio esauditi. Anzi fra le persone più sagge e più eminenti
per Virtù questo concetto era più spiegato. Ho veduto
molti Vescovi e Arcivescovi anche di lontane regioni che, recatisi ad
limina, venivano appositamente a Torino per visitare Don Bosco. Cito
fra gli altri due Vicari Apostolici della Cina venuti al Concilio Vaticano,
che partirono da Roma per vedere Don Bosco a Valdocco, mossi dalla fama
della sua santità. Sebbene non ne ricordi i nomi, li ho veduti
io stesso e con loro ho parlato. Nell'agosto del 1874 Pio IX, dopo avermi
domandato notizie di Don Bosco, esclamò: - Ah quello non è
un bosco selvaggio, ma ubertoso e fruttifero, che ha fatto e farà
un gran, bene! - Dal cardinale Bonaparte, che aveva singo -
(I) Memorie biografiche, vol. VI, Pag. 776
580
lare venerazione per Don Bosco, udii dire: - Raccomandatemi molto alle
preghiere di Don Bosco, perchè quello è un santo. - Il
cardinale Nina disse un giorno a Leone XIII, ed io l'ebbi da lui stesso:
- Vostra Santità mi domanda che concetto ho io di Don Bosco?
lo non lo credo un uomo, ma un gigante dalle lunghe braccia, che è
riuscito a stringere a sè l'universo intero ”. Riferendo
infine sugli anni post obitum, espone: “ Di questi giorni solamente,
mostrando io disgusto per qualche cosa accennata da un periodico religioso
su Don Bosco, un signore distintissimo mi rispose: Ormai la santità
di Don Bosco è tale e tanta che per quanto si dica o si stampi,
non si potrà nulla aggiungere al merito e al concetto che il
popolo si è di lui formato ”.
Del tempo posteriore alla morte i testi mettono in valore l'incessante
pellegrinare alla tomba del Servo di Dio, che era visitata non per curiosità,
ma per vera divozione verso colui del quale racchiudeva le spoglie.
Uno sopra tutti merita di essere da noi inteso, Don Luigi Piscetta,
che come Direttore della casa di Valsalice era testimonio ben informato.
Dopo aver descritto ampiamente quel divoto succedersi di persone, di
personalità e di pellegrinaggi, commenta: “ Questa divozione,
consiste nell'invocarne l'intercessione per ottenere grazie, nel domandare
oggetti a lui appartenuti e portarli addosso o tenerli presso di sè
come reliquie, nel domandare e conservare sue immagini, nel collocare
sulla sua tomba lettere contenenti domande. Queste lettere però
si levano tostamente e si conservano in una camera lontana insieme a
tavole votive e a cuori d'argento. Tale concorso cominciò subito
dopo la morte e perdura tuttora; posso anche aggiungere che cominciò
subito del pari la divozione sopra descritta. Io ritengo che questa
divozione sia nata e si conservi nel popolo per il concetto che ha della
santità di Don Bosco e della sua valida intercessione ”.
Uno dei testimoni più a giorno delle cose di Don Bosco fu senza
dubbio Don Lemoyne, venuto a farsi salesiano già
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sacerdote da due anni nel 1864. I lettori lo conoscono abbastanza.
Dalle sue deposizioni spiccheremo solo alcuni particolari più
notevoli, accaduti a Roma. Al primo diede luogo un ricchissimo signore
polacco, fervente cattolico e generoso nell'aiutare le vocazioni. ecclesiastiche.
Trovandosi Don Lemoyne con Don Bosco a Roma nel 1884, questo signore
andò a pregare il Servo di Dio, perchè si recasse a benedire
una sua sorella inferma. Don Bosco annuì e quella buona famiglia
lo accolse in ginocchio, come si usa coi santi. Lo stesso signore assicurò
Don Lemoyne che in Polonia anche i fanciulli conoscevano il nome di
Don Bosco. Ne confermarono poi l'asserzione le centinaia di giovani
che, partiti con mille disagi e pericoli dalla Polonia russa, austriaca
e prussiana, vennero a farsi salesiani. Di grande valore è una
parola detta da Leone XIII a monsignor Manacorda e da questo riferita
a Don Lemoyne. Il Vescovo di Fossano aveva recitato l'elogio funebre
per la trigesima di Don Bosco nella chiesa del Sacro Cuore, manifestando
la speranza che Don Bosco sarebbe elevato all'onore degli altari. L'orazione
fu stampata. Recatosi Monsignore a un'udienza pontificia, si tenne in
disparte per non essere notato dal Papa; ma il Papa, come lo vide, lo
trasse a sè e gli disse: - Ho letto il vostro discorso per Don
Bosco; mi piacque, sono anch'io del vostro parere. - Sempre a Don Lemoyne
il procuratore Don Cesare Cagliero narrò d'aver udito dal cardinale
Parocchi che Sua Santità gli avea detto: - Don Bosco è
un santo. Mi rincresce di essere vecchio e di non poter cooperare alla
sua beatificazione.
Chi poteva più di tanti altri parlare del Servo di Dio per diretta
conoscenza era Don Francesia, vissuto trentott'anni in grande familiarità
con lui; infatti le sue deposizioni spiccano per numero e per ampiezza.
Al nostro intento ci contenteremo di cavarne un episodio ignorato. La
contessa Matilde di Romelley, nata di Robbiano, dimorante nel Belgio
e allora vivente, essendosi presentata a Pio IX, udì farsi questa
interrogazione: - Avete veduto il tesoro d'Italia?
582
- Lo vedo adesso, Santo Padre, rispose.
- Voglio dire se avete veduto Don Bosco.
Il Papa, accortosi che la Contessa non sapeva chi fosse Don Bosco nè
dove dimorasse, glielo disse. Venne ella a trovarlo, rimanendone così
affascinata, che in seguito non tornò mai più in Italia
senza passare a Valdocco “ per visitare, diceva, colui che il
Santo Padre aveva qualificato tesoro d'Italia ”.
Un Salesiano a cui arrise pure come a pochi e per molti anni la familiarità
di Don Bosco fu Don Barberis. Orbene t io non so, dice, se altro sacerdote
abbia suscitato intorno a sè tanto entusiasmo quanto Don Bosco
mentre viveva, e sia stato più universalmente tenuto per santo,
ancora vivente. Questa sua fama fu proprio universale e non mai interrotta
e non derivata da qualità umane, come di grand'uomo, ma prodotta,
conservata e accresciuta per la sua vita intemerata, per doni straordinari
e per opere grandissime di carità ”. Il medesimo Don Barberis
dopo la morte di Don Bosco parlò nei molti suoi viaggi con un
numero stragrande di Cooperatori salesiani, di persone istruite e gravi,
di alti prelati, e vide quanta fosse in loro non solo la stima, ma la
divozione verso il Servo di Dio. “ Dovunque io mi rechi, aggiunse,
mi si domanda della causa di beatificazione. Si vuol sapere quando da
più a meno sarà terminata. Si vede in tutti il desiderio
che presto la Santa Sede si pronunzi favorevolmente ”.
Ottimo conoscitore di Don Bosco fu Don Cerruti, compagno e confidente
di Domenico Savio nell'Oratorio. La sua mente è portata con qualche
preferenza a valutare le Opere di Don Bosco, come riprova della sua
santità. “ Questa fama di santità, dice, diffusa
in ogni qualità di persone non proveniva da semplice simpatia,
ma si fondava sulle opere sue che crescevano e si allargavano ogni giorno
più; personalmente egli non aveva nulla per produrre un tale
effetto. Istituire e ampliare tante opere senza sussidio alcuno all'infuori
della carità e queste opere mantenerle, sorreggerle sempre col
solo
583
aiuto della beneficenza, non poteva non essere effetto della grazia
di Dio, che si valeva di Don Bosco per la sua gloria e per il bene del
prossimo. Qui ha la sua radice quel trasporto che si aveva per lui e
che durò per tutta la sua vita e che continua, anzi cresce ognor
più dopo la sua morte ”. Questa opinione di santità
Don Cerruti dichiarava di conservare in sè, anzi di sentirsi
crescere ogni dì più.
Il cardinale Cagliero, chiarendo al tribunale la sua posizione di fronte
a Don Bosco, parla così dell'impressione provata ne' suoi due
primi incontri col Servo di Dio: “ L'impressione che ricevetti
quando mi presentai per essere accettato e quando mi accettò
definitivamente, fu quella di un sacerdote singolare, sia per il modo
e l'attrattiva con cui mi accolse, sia per il rispetto e l'onore con
cui veniva egli trattato dal mio parroco e dagli altri sacerdoti; impressione
che in me non si cancellò nè diminuì, anzi crebbe
ognor più nei trentatre anni, durante i quali gli vissi al fianco,
cioè fino al 1885, allorchè partii per le Missioni, non
compresi però i due anni in cui mi portai a fondare le prime
case nella Repubblica Argentina ”. Riandando gli anni del ginnasio,
ricorda: “ Noi giovanetti nell'Oratorio, mentre lo avevamo come
un tenerissimo padre e usavamo con lui una più che filiale confidenza
e familiarità, pure era tale il nostro rispetto e la nostra venerazione
per lui, che stavamo alla sua presenza con un religioso contegno, e
ciò perchè eravamo intimamente compresi della santità
della sua vita ”. Venendo poi a dire del tempo successivo conchiude:
“ Questa opinione di santità del Servo di Dio, da quando
lo conobbi, andò sempre crescendo in me e continua tuttora ”.
Ragionando appresso sulla causa di questa opinione, la prospetta nel
modo seguente: “ Se poi debbo esprimere il mio parere individuale,
schiettamente dirò che la santità di Don Bosco io la deduco
non tanto dai doni soprannaturali, di cui fu dotato da Dio e dei quali
fui spesso testimonio, quanto dalle sue eminenti virtù, praticate
in grado eroico e costante fino alla morte, special -
584
mente la sua ardente carità, la sua inalterabile serenità,
fortezza, uguaglianza e dolcezza di carattere in difficili e critiche
circostanze, in ardue e forti opposizioni e contraddizioni. Questo fu
per me il miracolo più grande che mi abbia maggiormente colpito
in tutto il tempo che vissi al suo lato ”.
Tra i fatti allegati dal Cagliero due soli ne sceglieremo anche perchè
men noti. Nel 1871 Don Bosco era caduto gravemente ammalato a Varazze.
Allora in tutto il Piemonte si pregava per la sua guarigione. Orbene
il santo Vescovo di Alba monsignor Galletti confidò al teste
che egli aveva offerto a Dio la propria vita per quella di Don Bosco,
dandone così la ragione: - La mia vita vale poco o nulla; invece
quella di Don Bosco è non solo preziosa, ma utilissima al bene
della Chiesa. La mia al paragone non ha valore; ma la sua è quella
di un santo, e si sa che i santi non istanno per niente in questo mondo.
- L'altro fatto è del 1893. Essendo il Cagliero di ritorno dalla
Patagonia, in un'udienza pontificia Leone XIII si rallegrò con
lui del progresso delle Missioni e del fiorire delle case salesiane
in Europa e in America e gli disse: - Si vede che Don Bosco vi aiuta
e vi protegge dal cielo. Pregatelo e v i continuerà la sua assistenza
e protezione. Egli fu un santo. Imitatene tutte le grandi virtù.
Se il Bonaventura, scrivendo la vita del suo serafico Padre, era un
santo che scriveva la vita di un altro santo, Don Rua, vivendo tanti
anni della sua vita con Don Bosco, fu un santo che visse la vita di
un altro santo; poichè l'uno venne plasmando se stesso sull'altro
con la cura meticolosa di affezionato e devoto discepolo, sì
da potersi dire che conglutinata est anima eius animae illius. Non ci
sarà mai alcuno che abbia l'autorità di Don Rua nel giudicare
della santità di Don Bosco, anche perchè santo egli stesso.
Due attestazioni di lui ci sembrano capitali per il nostro argomento.
La prima riguarda il suo sentimento personale. “ Quanto a me,
dice, posso dichiarare, come realmente di -
585
chiaro, che, quanto più consideravo e considero la vita di Don
Bosco, le sue virtù, gli avvenimenti prodigiosi che si operavano
per mezzo di lui e intorno a lui e in favore di lui, tanto più
cresceva e cresce in me la persuasione, l'intima convinzione della sua
santità ”. L'altra testimonianza ci svela in che modo egli
vedesse formarsi e manifestarsi la santità del servo di Dio.
“ Ricordando le virtù che Don Bosco esercitò nel
corso della sua vita, io le ammirai sempre esercitate in modo eroico;
tuttavia parmi opportuno aggiungere, come lo vidi costante nella pratica
delle medesime in guisa da potersi dire che andò crescendo nella
perfezione col crescere degli anni, anzichè smettere alcun che
nel fervore. Il suo progredire nelle virtù non saprei altrimenti
esprimerlo che col dire che egli fu come un sole, che andò crescendo
ognora e tramontò dalla scena del mondo in pieno meriggio ”.
Don Rua accompagnò Don Bosco in tre viaggi importanti: a Parigi,
a Barcellona e a Roma. Del primo dice: “ A Parigi dove gli fui
compagno per circa un mese, potei scorgere che non furono esagerate
le relazioni fattemi da' miei confratelli che l'avevano accompagnato
in altre città ”. E rievocato sommariamente quanto accadde
nella grande metropoli francese, conchiude: “ lo era meravigliato
come Don Bosco, il quale non era mai stato in quella città, forestiero
in mezzo a un popolo allora ostile all'Italia, potesse ricevere tante
testimonianze di venerazione e non potevo attribuirlo ad altro che al
gran concetto che si aveva della sua carità e della sua santità
”.
Riguardo a Barcellona Don Rua descrive l'ansia che mostrava il popolo
di vedere il personaggio, della cui santità era precorsa la fama.
Nè solamente il popolino aveva tanta premura di avvicinare Don
Bosco per implorarne le preghiere e le benedizioni, ma anche signori
della nobiltà, scrittori e Vescovi. Ciò esposto, ripete:
“ Unicamente la fama della sua santità poteva mettere in
moto tanta gente ” .
A Roma andò con lui più volte, ma s'indugia a parlare
586
specialmente dell'ultima andata. “ Io, dice, avendolo più
volte accompagnato a Roma, fui testimonio della grande stima e venerazione
che si aveva di lui. Il più mirabile si è che tale trasporto,
anzichè diminuire, veniva ognora crescendo. Nel 1887 non erano
più solamente gl'individui o le famiglie particolari che cercassero
la sua benedizione, ma erano le comunità religiose, i seminari,
i corpi morali che si presentavano, attratti dalla fama della sua santità,
per avere la fortuna di vederlo, d'implorare le sue preghiere e di essere
da lui benedetti ”.
Di Leone XIII Don Rua ricorda in proposito due fatti, uno in vita e
l'altro dopo la morte di Don Bosco. Allorchè si trattava di definire
le note divergenze fra Don Bosco e l'Arcivescovo di Torino, sebbene
fossero dure le condizioni imposte a Don Bosco, Sua Santità disse
agli astanti: - Don Bosco è un santo, e non rifiuterà
di segnarle. Dopo la morte, in un'udienza accordata a Don Rua, il Papa
tre volte chiamò Don Bosco col titolo di santo, dicendo lui fortunato
per essere successore di un santo.
Don Rua tratteggia anche lo svilupparsi della divozione verso Don Bosco
dopo la sua morte, rilevando come questo avvenisse, nonostante che nulla
mai si pubblicasse delle grazie ottenute a sua intercessione. “
E che dimostra, ne inferisce egli, quanto sia radicata nei popoli la
privata divozione verso il Servo di Dio, per la moltitudine delle grazie
che dovunque si ottengono. Cosicchè, a mio giudizio, la divozione
verso il Servo di Dio, oltre all'essere generale e radicata nei popoli,
è molto gradita al Signore, che si compiace dì mostrare
anche per mezzo suo la magnificenza della propria bontà verso
gli uomini ”.
Dopo tutto quello che abbiamo riferito verrebbe voglia di sapere quali
fossero i sentimenti di Don Bosco, fatto segno a tante dimostrazioni.
Ebbe questa curiosità il padre Giordano degli Oblati di Maria,
suo confidente, e ne interpellò Don Bosco stesso. Un giorno,
come depone Don Dalmazzo
587
che udì la cosa da lui, viaggiando col Servo di Dio alla volta
di Genova, gli domandò: - Mi dica un po' la verità, Don
Bosco. Al vedere che ella ha compiuto tante cose straordinarie, che
ha fondato tante case e che è così stimato e venerato
da tutti, sicchè lo chiamano anche santo, che cosa deve dire
di se stesso? Non è possibile non fare qualche atto di compiacenza.
Che ne dice? - Don Bosco, raccoltosi un istante e alzati gli occhi al
cielo, rispose: - lo credo che, se il Signore avesse trovato uno strumento
più vile, più debole di me, si sarebbe servito di questo
per compiere le sue opere. - Un altro spiraglio per iscandagliare l'animo
suo ci aprono anche queste parole da lui dette nel 1886 a Don Marenco:
- Se io avessi avuto cento volte più fede, avrei fatto cento
volte più di quello che ho fatto. - Nella sua persona dunque
egli non vedeva che un povero strumento in mano all'Onnipotente, e nella
sua opera non guardava all'entità provvidenziale, ma a umane
manchevolezze di cui chiamarsi in colpa.
È questo il sentire proprio dei Santi ed è in questo sentire
la pietra di paragone della vera santità.
CAPO XXIX
Testimonianza dei miracoli.
LA voce pubblica, che chiamava taumaturgo Don Bosco durante la sua
vita, non ha mai cessato neppure dopo la sua morte di proclamarlo grande
operatore di miracoli. Il popolo cristiano sa benissimo che i miracoli
li fa Iddio; ma la semplificatrice mentalità popolare, pur non
ignorando la causa prima di un effetto prodigioso, si sofferma volentieri
alla causa seconda, che è la più vicina e che rappresenta
per essa la conditio sine qua non del fatto soprannaturale, vale a dire
all'efficacia dell'intercessore.
Molte sono state finora le grazie straordinarie, come guarigioni insperate,
segnalate conversioni, soluzioni d'intricatissimi nodi, ottenute mediante
l'intercessione di Don Bosco; nè solamente in Italia, ma pressochè
in ogni angolo del globo. Queste grazie attribuite al suo intervento
durante i primi mesi dopo la sua dipartita dalla terra ci sembrano ancora
così strettamente connesse alla sua biografia da doverne tenere
qualche conto qui al termine delle nostre fatiche. Fra le tante dunque
ne sceglieremo alcune poche, non più di diciotto e senza scostarci
dal primo anniversario della morte.
Naturalmente non pretendiamo di attribuire alle cose da narrare una
fede superiore all'umana, fondata però su testimonianze che ne
escludano la credulità facilona. Ometteremo per altro di produrre
o di citare documenti, assicurando i
589
lettori che questi sì conservano nei nostri archivi e che li
abbiamo caso per caso debitamente esaminati.
Le meraviglie cominciarono, si può dire, nel momento stesso in
cui il Servo di Dio rese l'anima al Creatore. Sono due i fatti più
notevoli e più sicuri di questo genere. Il primo accadde in Piemonte
e il secondo in Francia.
Quella dei conti Cravosio era una delle molte famiglie aristocratiche
torinesi, presso le quali Don Bosco veniva sempre accolto a due battenti
(I). La figlia Rosa, che tante volte da ragazza l'aveva incontrato nella
sua casa, erasi fatta religiosa dalle Maestre suore Domenicane a Mondovì
- Carassone, mutando il proprio nome in quello di Filomena. Superiora
della casa di Garessio, durante la malattia di Doli Bosco soffriva grandemente
per pene di spirito e per incomodi fisici; onde aveva scritto alla madre,
pregandola di andare a chiedere per lei una benedizione al Servo di
Dio. Ma per ragioni intuitive non ne ricevette alcuna risposta. Orbene
il 31 gennaio 1888, prima che aggiornasse, dopo una notte senza riposo,
leggermente si addormì, ed ecco apparirle Don Bosco ritto ai
piedi del letto, con la solita mantellina rialzata sul braccio, col
cappello nella destra e con un aspetto giovanile, allegro e vivace,
proprio come era stata solita vederlo in famiglia negli anni della fanciullezza.
- Oh Don Bosco! esclamò a tal vista. Mia madre le ha parlato
di me? Io sono cosi disgustata e mi sento così debole, che non
posso più fare niente di bene.
- Lo so, rispose, che sua madre doveva venire, ma non ha potuto. Veda,
quand'io era in questo mondo, potevo fare ben poco per lei e per la
sua famiglia; ma ora che sono in Paradiso, posso fare molto di più
e voglio fare adesso quello che non potei fare allora, perchè
avevo tanto da pensare per i miei giovani e per le mie case.
- Ebbene, ripigliò la suora, se è così, mi ottenga
da Dio
(I) Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VI, pag. 247 e 262.
590
salute e forza e mi sleghi il cuore, affinchè io possa correre
le vie del Signore e fare del bene come ha fatto lei, e giungere anch'io
in Paradiso.
- Ma non vede che sta benissimo e che il suo cuore è pieno di
buona volontà? Si alzi pure; Dio è con lei.
A quelle parole si svegliò. Non le restava più ombra di
malessere e a tutti i tristi pensieri le era sottentrata nel cuore una
grande confidenza in Dio. Ebbra di gioia e piena di riconoscenza, si
alzò e scese nella cappella per ringraziare il Signore., Soltanto
allora s'accorse d'aver sognato.
Fu grande la meraviglia delle consorelle al vederla fra loro; quindi,
appena finite le loro pratiche religiose le si strinsero attorno tempestandola
di domande, come mai si fosse potuta alzare e come avesse avuto la forza
di recarsi in chiesa e come si sentisse in quel momento... Essa raccontò
con tutta semplicità l'apparizione di Don Bosco. Al sentire che
Don Bosco non era più in questo mondo, le suore rimasero esitanti,
perchè le ultime notizie giunte fino a loro portavano invece
un miglioramento. Ma poco dopo seppero che Don Bosco era morto proprio
quel mattino alle ore quattro e tre quarti (I).
Qualche cosa di simile avvenne in Francia. L'abate Tropheine, parroco
di Sénas nella diocesi di Arras, era in corrispondenza epistolare
con Don Bosco. L'ultima volta gli aveva scritto facendogli umili istanze,
perchè ottenesse con le sue preghiere la conversione del Rettore
dell'Accademia di Aix infermo. Pesava ai buoni che quell'uomo di tanta
autorità, vicino a finire la vita, rifiutasse i Sacramenti, donde
poi sarebbe venuto lo scandalo dei funerali civili. Don Bosco gli aveva
fatto rispondere: “ Caro signor Abate, abbia fiducia. Fra tre
giorni otterrà la grazia bramata ”. Nel giorno designato,
al mattino per tempissimo, il parroco vede la sua camera improvvisamente
inondata di luce e avvolto in un
(I) Suor Filomena, eletta poi Vicaria della Casa Madre, ivi morì
il 6 aprile 1905.
591
globo di fuoco scorge Don Bosco che lo benedice e gli dice: Vous êtes
exaucé. Due giorni dopo i giornali gli recavano la notizia della
morte con la data e l'ora; nel tempo stesso una lettera lo informava
che realmente le preghiere avevano avuto pieno effetto. Il giorno e
il momento dell'apparizione si trovò che corrispondevano alle
quattro e tre quarti circa del 31 gennaio.
Due fatti degni di particolare menzione si avverarono il I° febbraio
presso la salma di Don Bosco, mentre stava esposta al pubblico nella
chiesa interna di S. Francesco.
Fra i cari giovanetti dell'Oratorio che nel gennaio del 1888 fecero
a Dio l'offerta della loro vita, affinchè fosse conservata quella
di Don Bosco, abbiamo trovato che figurava come secondo il nome di Orione
Luigi. L'alunno di allora divenuto oggi il venerando Don Orione ama
raccontare un bel caso occorsogli in quel I° febbraio. Aveva con
altri compagni l'incarico di prendere gli oggetti presentati dalla folla,
toccare con essi il corpo di Don Bosco e restituirli. A un tratto, colto
come da improvvisa ispirazione, corse nel refettorio dei Salesiani distante
pochi passi dalla chiesa, die' di piglio a un grosso e affilato coltello
e si mise ad affettare un filone di pane, avendo in animo di farne pillole,
toccare con esse il sacro corpo e parte metterle in serbo per qualsiasi
evenienza, parte distribuirle. Ma la fretta inconsiderata con cui si
accinse a quell'operazione gli fu fatale; poichè, vibrando il
primo colpo, si spaccò, verticalmente l'indice della mano destra
(Don Orione è mancino). Un angoscioso pensiero lo assalse all'istante:
senza quel dito non sarebbe più potuto diventare sacerdote, suprema
aspirazione del suo cuore. Che fare? Avvolse nel fazzoletto e strinse
alla meglio il povero ditino e, sostenendolo con l'altra mano, rivolò
da Don Bosco. Là con viva fede appressò l'indice sanguinante
alla mano di lui fino a toccargliela. A quel contatto la ferita in un
batter d'occhio si rimarginò. Narrando la cosa, sembra ancora
a Don Orione di vedere una stilla del suo sangue rosseggiare
592
sulla candida mano dell'estinto, e intanto mostra la cicatrice rimastagli
e dice che dell'indice destro si serve come prima senza risentirne mai
alcun disturbo (I).
Un'altra guarigione istantanea si operò nel medesimo giorno e
luogo. Il 24 gennaio 1888 il celebre professore torinese Lorenzo Bruno
aveva scritto al dottore Agostino Santanera, medico curante della signora
Enrichetta Grimaldi di Asti: “ Ho veduto giorni sono la nostra
giovane e buona ammalata e ho dovuto confermarmi nel sospetto manifestato
fin dalla prima volta: trattasi evidentemente d'un tumore sviluppatosi
nell'ovaia o nelle sue adiacenze a sinistra, che disgraziatamente avrebbe
raggiunto un volume considerevole, giacchè dista poco più
d'un dito traverso nell'ombelico ”. Proseguendo nella minuta descrizione
del male, egli veniva a conchiudere che “ sarebbe già molto,
ma molto, se il tumore si rendesse stazionario e conciliabile, se non
con la salute, con la vita ”, e che sarebbe arrivato purtroppo
il giorno in cui sarebbe forza “ porre in discussione il gravissimo
partito della laparatomia ”. Ma quello che non potè la
scienza, potè la fede. L'inferma, mescolata nella turba infinita
di coloro che come onde incalzate da onde passavano accanto al corpo
esanime di Don Bosco, riuscì a toccarlo, e un senso di sollievo
subitamente la invase: era guarita. Una guarigione così strepitosa
non venne presa in esame dai giudici nel processo per la beatificazione
del Servo di Dio, perchè allora la famiglia, non fu in grado
di produrre il documento che conteneva la diagnosi del professore Bruno.
Nei giorni in cui durava continuo l'accorrere della gente all'Oratorio
per vedere Don Bosco morto, la signora torinese Giuseppina Chiesa fece
un sogno, che non avrebbe per noi nessun valore, se non fosse stato
confermato esattamente dalla realtà. Fra i quattro e i dodici
anni la meschina era caduta ben quattro volte, la prima volta slogandosi
e le altre
(I) Il fatto fu anche pubblicato a Roma dall'orionista Don Garbarino
sul Bollettino parrocchiale d'Ognissanti, nel numero di dicembre 1926.
593
fratturandosi sempre la medesima gamba, cosicchè dovette tirare
avanti per diciotto anni camminando con la stampella e due anni col
bastone. Per consiglio delle Figlie di Maria Ausiliatrice pregò
Don Bosco di ridarle l'uso perfetto della sua gamba. Una notte sognando
le parve di trovarsi anch'essa nella folla di coloro che andavano a
visitare la salma di Don Bosco, nella chiesa di S. Francesco, e che
egli, alzando il braccio, le dicesse: - Cadrai ancora una volta, ma
poi guarirai. - Si svegliò sbigottita, ma così fiduciosa
che, sebbene i medici per liberarla da forti dolori le proponessero
l'amputazione, essa mai non volle acconsentire. Intanto cadde davvero
la quinta volta, rotolando giù per una scala e riportandone doppia
frattura sempre al medesimo arto. Tenne il letto quattro lunghi mesi;
quindi, fatta una novena a Don Bosco, ricuperò l'uso completo
della disgraziata gamba, sicchè camminava spedita senza più
l'appoggio di alcun sostegno.
Anche quest'altro fatto avvenne pochi giorni dopo la morte di Don Bosco.
Il signor Giosuè Collina da Tossignano nel circondario di Imola
dal 1881 pativa ogni quindici o venti giorni attacchi epilettici, che
talora si ripetevano due o tre volte in uno stesso giorno. Si mise nelle
mani di specialisti, sottoponendosi alle cure prescrittegli, ma senza
ricavarne alcun vantaggio. Il male lo pigliava dovunque si trovasse,
senza che egli ne avesse mai il minimo sentore anticipato in modo da
poter evitare pericolose cadute. Quando si parlava ancora dappertutto
della morte di Don Bosco e cominciavano a correre pezzetti di pannolino
attaccati a ritratti del Servo di Dio, potè avere egli pure una
di quelle reliquie, che si mise addosso. Da quel punto ebbe ancora a
breve intervallo due nuovi accessi leggerissimi e con sintomi prenunziatori;
erano gli ultimi commiati del male. Infatti passarono mesi e mesi senza
che più nulla tornasse a funestarlo. Lasciati trascorrere così
due anni interi, mandò la relazione della grazia, confermata
da testimoni.
594
Verso la metà dello stesso mese di febbraio l'efficacia dell'intercessione
di Don Bosco fu sperimentata dal parigino signor Raoul - Angel. Marasma
senile lo affliggeva tremendamente da due anni. Deperito all'estremo,
dopo chi sa quanti rimedi e quante cure, accettò il consiglio
di andar a passare l'inverno nel mezzodì della Francia, dove
gli si assicurava che il clima l'avrebbe rinfrancato; ma, stabilitosi
a Cannes, stava peggio di prima. Non digeriva, era obbligato al letto
tre o quattro giorni per settimana, non poteva camminare non poteva
sopportare nemmeno la fatica della conversazione, non poteva tollerare
senza impazientirsi la presenza delle persone anche più care
nella sua camera. A questo punto sentiamo la contessa Vittoria Balbo
- Callori, che il 28 maggio 1895 scriveva a Don Rua: “ Allorquando
il Signore chiamò a sè il venerato Don Bosco, era naturale
il confortante pensiero ch'Ei non tarderebbe a dargli un bel posto in
Paradiso, e che di là questo suo gran Servo avrebbe ottenuto
copiose grazie. Perciò, conoscendo le angustie in cui si trovavano
questi miei amici, pensai tosto a loro, e rivolsi al Signore in cuor
mio la preghiera che, se Egli voleva glorificare il suo Servo, avesse
ispirato loro di rivolgersi a Lui per ottenere una guarigione ormai
disperata; mentre, senza aggiungere una parola del mio, indirizzavo
sotto fascia, il numero del Corriere Nazionale che riferiva la santa
morte di Don Bosco ”. Il voto della Contessa fu esaudito a tal
segno che nacque nell'infermo financo il desiderio di recarsi a Torino
per raccomandarsi alla protezione di Don Bosco sulla sua tomba.
A Torino i suoi amici a stento lo riconobbero, tanto appariva consunto.
Ogni giorno dunque con l'intenzione di fare una novena saliva in carrozza
a Valsalice. Pieno di fede, il nono giorno pregò Don Rua di far
celebrare una Messa all'altare privato del Servo di Dio. A quella Messa
l'infermo e sua moglie si comunicarono molto divotamente. Dopo la comunione
il vecchio signore cominciò a sentirsi volontà di cibo.
Prese caffè e latte con burro, il che da gran tempo era asso
-
595
lutamente impedito di fare. Man mano che mangiava, gli pareva di star
meglio. Gradì l'invito a pranzo con i Superiori del Capitolo,
alla cui mensa potè servirsi di cibi ordinari. Insomma egli era
bell'e guarito.
Ritornato alcuni giorni dopo a Parigi e presentatosi al cardinale Richard,
fu lieto di confermare quanto Sua Eminenza gli aveva detto, che cioè
solamente Don Bosco lo poteva guarire. Il medico curante, che aveva
cercato di dissuaderlo dal recarsi a Torino, quando se lo rivide dinanzi
tutto arzillo, quasi non credeva a se stesso. Per altro gli disse: Non
lo nego, lei sta bene; ma il suo è un male che ritornerà
di qui a cinque o sei mesi. - Andato in campagna nella Borgogna, incontrò
il celebre padre Monsabré, suo amico, il quale dinanzi a quella
metamorfosi rimase tanto commosso, che congratulandosi non potè
trattenere le lacrime. D'allora in poi il signor Raoul - Angel tornò
ogni anno in pellegrinaggio alla tomba di Don Bosco, del quale non cessò
mai di soccorrere le opere. Nel 1894 vi condusse pure il figlio, a cui
in presenza di Superiori salesiani disse: - Se tu hai ancora un padre,
lo devi a Don Bosco.
Sempre nel mese di febbraio troviamo memoria di due grazie, una corporale
e l'altra spirituale in un medesimo parentado. La signora Nicoletta
Morando vedova Carpi, genovese, della parrocchia di S. Fruttuoso, il
15 agosto 1887 cadde da un muricciuolo alto un po' più d'un metro,
riportando dal colpo lesioni interne abbastanza gravi, che non le permettevano
più di stare coricata, tanto meno di sostenere le solite fatiche
domestiche. La durò in tale stato per sei mesi, curandosi alla
meglio da se stessa; poichè, inteso da un dottore che il male
stava dentro, sentiva ripugnanza a mettersi nelle mani dei medici. Verso
la metà di febbraio del 1888 pensò invece di affidarsi
a Don Bosco, da lei conosciuto e passato da quindici giorni a miglior
vita. Gli si raccomandò dunque con tutto il possibile fervore.
La notte seguente le riuscì di dormire per la prima volta coricata
in letto e riposò
596
benissimo, sognando di Don Bosco. Al mattino, venuta l'ora di alzarsi,
non sentiva più alcun dolore, sicchè si diede senz'altro
a sbrigare, come un tempo, le faccende di casa, non escluse le più
faticose. Da quel giorno non ebbe più ad accusare disturbo di
sorta.
Costei aveva un fratello di quarantadue anni, che lavorava nel porto
di Genova. Un giorno sopra un piroscafo gli cadde addosso una grossa
balla di cotone, che per poco non lo schiacciò. Portato all'ospedale,
i medici lo dichiararono in sì gravi condizioni che non sarebbe
potuto sopravvivere. Con ogni delicatezza e riguardo poi gli si parlò
di Sacramenti, ma non volle dare ascolto, perchè da molti anni
aborriva le pratiche religiose. La sorella, il padre Cappuccino dell'ospedale,
vari parenti gli si misero attorno per piegarlo; ma egli, sempre duro.
Desolata la sorella ricorse fervorosamente a Don Bosco, perchè
toccasse il cuore a quell'infelice. Pregò il sabato 9 giugno,
pregò ancor più il giorno appresso. Finalmente la grazia
venne. La sera del io il moribondo spontaneamente si confessò
e il mattino seguente espresse a lei tutta la sua soddisfazione, spirando
poco dopo con segni di vero pentimento.
Una guarigione ancor più strepitosa delle precedenti, avvenuta
nel marzo del 1888, ci porta nuovamente in Francia. A Versoul nella
diocesi di Besançon una suora di carità per nome Maria
Costantina Vorbe, d'anni trentasei, era da otto mesi in uno stato da
far pietà. Una o più ulceri interne allo stomaco le cagionavano
vomiti di sangue, obbligandola a sola nutrizione lattea. Le putiva il
fiato a un grado insopportabile; le trafiggevano il lato sinistro dolori
fortissimi, che la costringevano perfino a tenere immobile il braccio,
se non voleva accrescere il martirio.
Ora nel marzo del 1888 una signora Roussin le suggerì di fare
una novena a Don Bosco. Tutta la comunità si unì a lei
nella preghiera. Ma invece di migliorare peggiorava. Il settimo giorno
sembrava più morta che viva. Il dottore,
597
esaminandole il fianco dolorante, vi scoperse un cartoncino con il
ritratto dì Don Bosco e con la sua firma, applicatavi dall'inferma,
che gli disse: - Domani sarò guarita, mi leverò e mangerò
del pane. - E il dottore sorridendo: Sì, rispose, levatevi pure,
se volete; ma non vi venga in mente di mangiar pane.
La giornata fu pessima e la notte atrocemente tormentosa. Al mattino
dell'ottavo giorno si assopì per circa mezz'ora. Alle quattro
e mezzo si sveglia dolcemente e le sembra di non provare più
alcun incomodo; infatti si rivolge nel Letto senza pena, non le duole
più il fianco, soltanto le resta una gran debolezza alle gambe.
Chiama l'infermiera e le dice che è guarita. In breve tutta la
casa è sossopra. Avuto il permesso dalla Superiora, suor Costantina
lascia il letto de' suoi martiri, si veste da sè, discende nel
refettorio, dove fra lo stupore delle consorelle fa tranquillamente
la sua colazione. Dopo andò nella cappella per assistere alla
Messa solenne e il dì seguente prese parte con tutta la comunità
ad un pellegrinaggio verso un santuario situato sopra una collina dei
dintorni.
Il medico che conosceva tutti i precedenti, pregato di rilasciare una
dichiarazione, nicchiò, rispondendo che, sebbene non potesse
spiegare il fenomeno, tuttavia voleva aspettare a vedere che cosa sarebbe
avvenuto della suora di là a cinque anni. Don Rua, che aveva
ricevuto relazione del fatto dal cappellano del luogo, per nome Isidoro
Mathieu, professore di filosofia nel seminario di Vesoul, e dalla Superiora
della comunità, era stato pure dai medesimi informato delle parole
dette dal medico. Ora, dovendo egli fare da testimonio nel processo
e volendo parlare anche di questa guarigione scrisse alla superiora
suor Fulgenzia per aver notizie di suor Costantina. Essa il 12 giugno
1895 gli rispose: “ Suor Costantina, la privilegiata del buon
padre Don Bosco, è ancora qui a Vesoul, dove continua a occuparsi
degli orfanelli, godendo ottima salute. Dopo la sua guarigione non ha
più sofferto
598
alcun attacco del male; anzi la sua salute, già si debole e
malandata, è adesso forte e florida ”.
La Sardegna pure è rappresentata in questa serie di grazie ottenute
nei primi mesi che seguirono alla morte di Don Bosco. Il sacerdote Giuseppe
Manai, rettore di Zerfaliu nella diocesi di Oristano, aveva da anni
nell'angolo dell'occhio sinistro una fistola, che ogni tanto si enfiava
e faceva lacrimare, impedendo di discernere nettamente gli oggetti.
Buoni medici non vedevano speranza di salute in altro fuorchè
in una dolorosa operazione, che non avrebbe più permesso al paziente
di celebrare la Messa per alcuni mesi. Essendo cooperatore salesiano,
si fece inviare dall'Oratorio uno dei soliti pezzetti di pannolino adoperato
da Don Bosco nell'ultima sua malattia. Avutolo nel mese di aprile, pregò
Don Bosco così: - Oh padre Don Bosco, io credo fermamente che
voi siete in Cielo e, se questo è vero, fate che il mio malore
svanisca nel tempo più breve possibile. - Ciò detto, prese
la reliquia e con essa si toccò l'occhio infermo. Fu cosa di
un attimo; gonfiezza e fistola sparirono senza che dopo ne rimanesse
alcun vestigio.
Nell'autunno del 1888 Don Bosco portò una sua benedizione alla
Casa Madre delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Nizza Monferrato. Un
caso di difterite nera è cosa che mette spavento in una comunità,
dove stiano riunite parecchie centinaia di giovanette. Fu colpita ivi
da questo terribile male suor Giuseppina Camusso, quando s'avvicinava
l'inverno. L'autorità civile, se ne fosse venuta a conoscenza,
aveva stretto obbligo di intimare la chiusura immediata dell'istituto.
In sì brutto frangente le Superiore, piene di fede, presero un
fazzoletto usato già da Don Bosco e lo avvolsero intorno al collo
dell'inferma; inoltre la Madre Vicaria, formata una pallottolina con
un pezzetto di tela del Santo e bagnatala nell'acqua, gliela immise
nella gola. Al tocco delle reliquie la febbre altissima si arrestò
e il termometro cominciò a scendere. Il medico che quel giorno
stesso aveva di -
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chiarata spedita la suora, l'indomani, stupito del repentino mutamento,
disse che c'era del miracolo. Pochi giorni dopo, come se nulla ci fosse
stato, suor Giuseppina ritornava alla sua vita ordinaria.
Quello che capitò nel Portogallo l'8 dicembre 1888 non è
un miracolo, ma un miracolone, come lo definì un anno e mezzo
dopo il cardinale Aloysi Masella, prefetto della Sacra Congregazione
dei Riti. Suor Maria Giuseppa Alves di Castro, religiosa dorotea, dimorante
nel collegio di Covilla, diocesi di Guarda, ammalò gravemente
nel mese di marzo. La diagnosi conchiuse per una tubercolosi polmonare.
Dal settembre in poi l'ammalata era così esausta di forze da
non poter nemmeno levarsi a sedere sul letto. Il suo confessore straordinario,
padre Nicola Rodriguez gesuita, che la vide allora varie volte, scrive
che aveva un aspetto cadaverico. Un giorno questo Padre le portò
una reliquia di Don Bosco. L'inferma nel solo baciarla si senti aprire
il cuore alla speranza, provando interiormente una misteriosa consolazione.
Il 22 novembre cominciò una novena a Maria Immacolata, affinchè
per intercessione di Don Bosco le ridonasse la salute. Nella notte dopo
il quinto giorno prese sonno, il che non faceva più da parecchio
tempo, e dormendo le parve di sentirsi battere sulla spalla e chiamare
per nome. Si svegliò impaurita; ma tosto, non sapendo che fosse,
svenne. Se lo svenimento fosse durato poco o molto, essa non potè
giudicare in seguito; ricordava però d'aver visto Don Bosco che
le diceva: - Vorrei fare quello che mi domandi; ma non posso, perchè
la Madonna è disgustata con te. Tuttavia non perderti d'animo;
io ti aiuterò. - Ciò detto, disparve.
A ben intendere il perchè di questo dolce rimprovero .bisogna
tener presente una confessione della suora sul tempo che precedette
la malattia. “ Mi sembrava, scrive, di vivere in grande tiepidezza,
poichè cadevo frequentemente in mancanze, notevoli per una religiosa.
Il giorno 11 aprile andai a confessarmi, ma con mia meraviglia trovai
che il mio con -
600
fessore usava meco maniere molto aspre, e questo mi scoraggiò
non poco ”.
Nella notte che seguì, all'apparizione, stando sveglia, perdette
le forze e cadde in deliquio. Ecco allora apparirle l'Immacolata con
Don Bosco, il quale, inginocchiato davanti alla Vergine, la pregava
di perdonare alla religiosa, soggiungendo che in appresso ella avrebbe
osservato i suoi proponimenti. E la Vergine alla suora: - Se ti correggerai,
non ti abbandonerò. - Fu cosa di breve durata, che finì
lasciandole l'animo inondato di gioia.
Il 29 cominciò la novena per la festa dell'Immacolata con un
fervore, che mai l'uguale. Nel quarto e quinto giorno della novena ebbe
nuove visite di Maria Santissima e di Don Bosco. La Madonna le disse:
- Se prometti di servirmi con più fervore e di essere più
fedele al mio Divin Figlio, nel giorno della mia festa riacquisterai
la perduta sanità. - Intanto però il suo stato destava
le più serie inquietudini. Per tre giorni consecutivi l'emottisi
che la travagliava già prima, si fece più frequente e
disastrosa; il sangue emesso mandava un fetore pestilenziale.
Nonostante questo rincrudire della malattia, l'inferma attendeva fiduciosamente
l'8 dicembre. La vigilia ebbe una violentissima febbre. Dalle ore tre
alle quattro dell'8 le pareva di dover sputare del tutto i polmoni.
Poi si quietò e dormì alquanto. Finalmente ecco la voce
a lei ben nota di Don Bosco che svegliatala le indirizzava queste consolanti
parole: - Alzati; sei guarita. Non dimenticare quello che hai promesso.
- Balzò di letto la suora, si prostrò al suolo e rimasta
così qualche minuto, s'accorse di non avere più nulla.
Tuttavia si ricoricò per aspettare il suono della levata comune.
Alle cinque si mise in ordine, scese in cappella e assistette a due
Messe inginocchiata; quindi, passata con le consorelle strabiliate nel
refettorio, mangiò con buon appetito.
Suor Maria Giuseppa contava ventinove anni di età e quasi dieci
di religione. Il Padre gesuita, che, informato della
601
cosa, volle studiare personalmente l'accaduto, la trovò in ottime
condizioni e intenta a' suoi uffici. La rivide, com'egli scrive, otto
anni dopo, sempre florida di aspetto e piena di attività (I).
I fatti che ora stiamo per narrare, si compierono o ebbero cominciamento,
uno solo eccettuato, nel gennaio del 1889, vale a dire intorno al primo
anniversario della morte di Don Bosco.
La signora Giovanna Setckwell, inglese, maritata Renaudin a S. Paolo
nel Brasile, travagliata già da febbre reumatica, ebbe nel gennaio
del 1889 un attacco di enterite che la ridusse in fin di vita. 11 marito,
buon medico e buon cattolico, prevedendo che non sarebbe campata più
di quarantotto ore, fece chiamare dal collegio salesiano Don Gastaldi,
perchè le amministrasse l'Estrema Unzione. Mentre se ne aspettava
la venuta, il signor Renaudin, ripensando quanto la consorte fosse stata
sempre ammiratrice di Don Bosco, innalzata un'umile preghiera, le applicò
alla testa alcuni capelli e un pannolino del Servo di Dio. L'effetto
fu così immediato, che all'arrivo del sacerdote con gli Olii
Santi l'inferma era interamente guarita. Anzi da quel punto sparvero
anche i dolori reumatici, i quali, come scrive il marito dottore, “
sono conseguenza della febbre reumatica e durano molto tempo ”;
sparve insieme un dolore al ginocchio destro per male contratto trent'anni
prima. Don Bosco ricompensò così il dottore Renaudin per
la caritatevole opera da lui prestata ai Salesiani del luogo.
Nel collegio salesiano di Faenza il giovane quindicenne Luigi Píffari
la sera del 24 gennaio 1889 fu colpito da grave pleuropolmonite destra.
Al quinto giorno due dottori gli riscontrarono sintomi molto allarmanti.
Allora il direttore Don Giovanni Battista Rinaldi, tagliato un pezzettino
di tela usata da Don Bosco nell'ultima malattia, gliela fece ap -
(I) Del miracolo la Curia locale fece regolare processo; ma non si
sa dove siano andati a finire gli atti.
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plicare sul petto. La mattina del 30 il giovane si svegliò con
la sensazione di essere guarito. Infatti il medico, al quale l'infermiere
non aveva voluto dire nulla, rimase al vederlo talmente trasecolato,
che credette di doversi accertare se quello fosse veramente lo stesso
alunno dei giorni precedenti. Egli stava così bene che la domenica
appresso 5 febbraio sono più volte e a lungo nella banda musicale
il suo strumento, il faticoso pelittone, senza la menoma difficoltà
o conseguenza. Il dottore Liverani termina un suo certificato del 13
febbraio scrivendo: “ Dichiaro pertanto che questa guarigione
quasi .istantanea è affatto contraria all'ordinario decorso di
tale malattia ” .
Suor Elvira Lopez, figlia di Maria Ausiliatrice a Buenos Aires, aveva
un cancro allo stomaco. Da 14 mesi, come accade nell'ultima fase di
questo malore, non riteneva più il cibo e da otto mesi non digeriva
più nemmeno il brodo, che rigettava appena inghiottito. A stento
le si poteva ancora dare una particella di Ostia per la comunione. Quando
vide dileguarsi ogni speranza umana, pensò d'invocare l'aiuto
di Don Bosco, incominciando una novena. L'ottavo giorno, vigilia dell'anniversario
della morte di Don Bosco, a mezzodì, chiamò la direttrice
e le disse: - Madre, ho fame. Permette che mangi questa pesca? - La
mangiò senza inconvenienti e poi riprese: - Ma questo non mi
basta. Ho molta fame! - Allora andò senz'altro nel refettorio,
dove le servirono pane, carne, frutta, il che tutto fra lo stupore delle
consorelle consumava con avidità. Da quel giorno in poi si rimise
interamente alla vita comune. En la curation de esto caso, fu dichiarato
dal medico curante il 20 aprile seguente, ha intervenido una fuerza
subrenatural.
Sospendiamo il racconto di guarigioni da mali fisici per far luogo alla
narrazione di un miracolo della grazia divina dovuta all'intervento
di Don Bosco. Si tratta di una povera donna del Cile, che, caduta nel
baratro della colpa, si abbandonò non solo ai disordini più
deplorevoli in materia di co -
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stumi, ma anche ai più esecrandi traviamenti in cose di fede
e di religione, arrivando fino all'odio contro Dio. Precipitava così
di abisso in abisso, quando un giorno lesse casualmente in un giornale
un articolo sopra Don Bosco. Che è che non è, una subita
arcana simpatia per Don Bosco le entrò in cuore, talchè
smaniava di conoscerne a fondo la vita. A poco a poco, la simpatia diventò
venerazione. Poi s'ingaggiò dentro di lei una fiera lotta fra
il bene e il male; ma l'orgoglio e il rispetto umano la tenevano avvinta
al suo tristo passato. Segretamente però supplicava Don Bosco
di aiutarla a svincolarsi dai lacci di satana. Dilaniata dai rimorsi,
eppure incapace di spezzare le proprie ritorte, scoppiava talora in
pianto nella sua camera dinanzi a un'immagine del Servo di Dio, finchè
un giorno si afferrò alla risoluzione per lei eroica di passare
il prossimo gennaio 1889 in esercizi divoti, promettendo al Santo di
non commettere in quel tempo gravi peccati; se egli le cambiasse il
cuore, si offriva a impiegare il resto della sua esistenza occupandosi
in pro delle sue opere. Gli chiese pure la grazia di conoscere un sacerdote,
nel quale egli infondesse il suo spirito di carità per porgerle
una mano soccorritrice. Pose come termine di questi favori l'ultimo
giorno del mese in corso.
Si era già al 28 nè la peccatrice era riuscita ancora
a trovare un ministro di Dio che si prendesse cura della sua anima.
Scoraggiata ma non vinta, fece a Don Bosco un estremo disperato appello,
risoluta di riparare agli scandali dati. Nella notte del 29 un sogno
venne a confortarla. Le parve di essere sopra una barca in balia delle
onde d'un mare infuriato. Sul punto di andare sommersa nei fiutti, ecco
un sacerdote sconosciuto che, stendendole la mano, le diceva con voce
soave e tranquilla: - Figlia, confida; sono qui per salvarti. Se da
tutti sei abbandonata, io non ti abbandonerò.
Qui bisogna sapere che essa durante il mese aveva tentato di avvicinare
qualche prete di Concepción; ma tutti si erano bellamente schermiti
senza volerla nemmeno ascoltare, per -
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suasi dell'impossibilità di assolverla a motivo delle occasioni
prossime, in cui notoriamente si trovava avvolta.
Si destò molto agitata. Superando un'istintiva ripugnanza che
la respingeva lontano dai Salesiani, promise a Don Bosco che, se il
sacerdote del sogno fosse anche un Salesiano, l'avrebbe considerato
come l'inviato del Cielo. La mattina del 30, uscita di casa, si diresse
macchinalmente al collegio salesiano, dove non era mai andata; ma trovò
tutto chiuso, perchè la comunità era fuori fino a sera.
Quasi trasportata da forza superiore, vi tornò il dì appresso.
Entrata nella chiesa, la vide tutta parata a lutto e poco dopo cominciò
una solenne Messa funebre. La signora non sapeva che fosse l'anniversario
della morte di Don Bosco. Quando uscì dal funerale, sperimentò
dentro di sè come un rivolgimento totale del suo essere. Poi
la bontà e la pazienza del Direttore, che era il sacerdote veduto
nel sogno, fece il resto, sicchè in tempo relativamente breve
la trasformazione fu completa e duratura.
Una guarigione che, anche per il modo, si potrebbe chiamare risurrezione
da morte a vita fu il ristabilimento della signora Marina Cappa, moglie
del negoziante Carlo Dellavalle, domiciliato a Torino. Un cancro all'utero
la travagliava da cinque anni. Dopo il primo anno di malattia il dottore
Ramello, visitatala minutamente, dichiarò senz'ambagi al marito:
- La vostra moglie è perduta. Bisogna che stia a letto per sentire
meno i dolori, finchè le sarà possibile prolungare la
vita. - Il medesimo, imbattutosi una volta in Don Dalmazzo, che come
confessore dell'inferma andava da S. Giovanni Evangelista a visitarla,
gli disse: - Vada a confortare quella buona donna. Ha più bisogno
di lei che di me. L'arte e la scienza non servono più a nulla.
- Tuttavia, come si suole in casi simili, si consultarono specialisti,
che le ordinavano medicine; ma erano tutti palliativi per sostenere
le forze e alleviare le sofferenze, non per debellare il male; giacchè,
come affermava espressamente il medico suddetto, in una sua
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dichiarazione scritta del 22 maggio 1889, “ per tale malattia
non si conoscono rimedi ”.
Il corpo della sofferente, ridotto a pelle e ossa, sembrava nel gennaio
di quell'anno che andasse già in putrefazione. In quegli estremi
la sorella, visitandina a Genova, scrisse al cognato di raccomandarla
alla beata Margherita Alacoque, per la quale si facevano le pratiche
della canonizzazione. Il medico, avendo letto la lettera, disse al signor
Dellavalle: - Faccia pure voti e preghiere. Se mai guarisse, io sarei
pronto ad attestare il miracolo; ma certamente Dio non invertirà
l'ordine della natura. - Parlava così, perchè non credeva
alla possibilità dei miracoli.
Il miracolo invece vi fu, ma per intercessione di Don Bosco e in forma
strabiliante. Un giorno visitarono l'ammalata due Figlie di Maria Ausiliatrice,
che nel partire le lasciarono una reliquia di Don Bosco, esortandola
a fare una novena. Essa, chiesta licenza al marito, la cominciò
il 31 gennaio, applicando subito la reliquia alla parte inferma. Il
marito dal canto suo promise che, se fosse guarita, avrebbe offerto
duecento lire per le opere Don Bosco e che, sebbene a malincuore, non
si sarebbe più opposto al desiderio manifestatogli ripetutamente
dalla figlia Antonietta di farsi suora di Maria Ausiliatrice.
Nei primi giorni della novena non si vide novità di sorta; anzi
l'8 febbraio 1889, ultimo giorno della novena, la poveretta stava così
male, che si stabili di amministrarle il Viatico. Mentre aspettava che
venisse il Signore a confortarla, non potendone più dai dolori,
disse alla figlia: - Portami la fotografia di Don Bosco. - Ricevutala,
se la reca alle labbra, la bacia e dice con forza: - Don Bosco, salvatemi.
Io vi ho sempre difeso, quando i vostri nemici parlavano male di voi.
Salvatemi, se potete, e vi sarò sempre fedele.
Venne il Viatico. Essa con viva sorpresa di tutti si rizzò da
sè a sedere sul letto. Da quanto tempo non faceva più
una mossa simile! Dopo la comunione giunse il dottore che,
606
osservatala un momento, esclamò: - Signora, è guarita.
Lei si burla di noi medici. Via, getti via queste medicine, che non
le servono più per niente.
Infatti l'ammalata si alzò e mandò per la sarta, volendosi
far fare tosto le vesti necessarie, perchè le altre, credute
ormai inutili per lei, erano state regalate a persone bisognose. Per
precauzione il marito chiese ancora una visita medica, la quale non
riscontrò più ulceri. Anzi le gambe, prima secche come
due stecchi, allora comparvero rimpolpate. Tre giorni dopo andò
a piedi alla vicina chiesa di S. Giovanni Evangelista; l'indomani, sempre
a piedi, si recò a pregare sulla tomba di Valsalice; il quinto
giorno partì per la Liguria, dove aveva parenti. Dopo quattro
anni e più di letto, dopo otto mesi senza cibo, camminava speditamente
e prendeva con gli altri le ordinarie vivande. Campò ancora fino
al 1896, morendo a cinquantasei anni per tutt'altra malattia.
Qui dovremmo far punto per non oltrepassare il limite di tempo prefissoci;
ma il caso descritto ce ne richiama un altro di simil natura, successo
anche a Torino meno di tre mesi dopo il 31 gennaio 1889 e avente col
fatto narrato qualche relazione. La torinese Luigia Fagiano, maritata
Piovano, affetta da piaga uterina, si vedeva venire inesorabilmente
incontro la morte. Trascorso qualche tempo nell'ospedale, fece ritorno
alla sua povera abitazione, dove caritatevoli dame della città
la visitavano, portandole soccorsi. Una di queste, la baronessa Ricci
des Ferres nata Passati, le raccontò la recente storia della
signora Dellavalle e le consigliò di imitarne l'esempio; al,
qual fine le diede un ritratto di Don Bosco con un pezzetto di tela
al medesimo appartenuta. La Piovano riconoscente principiò una
novena il sabato avanti la domenica delle Palme. Ma a lei, ottima cristiana,
non meno della propria guarigione, stava a cuore la conversione del
marito, che da molti anni non voleva più sapere affatto di religione.
Veniva dunque facendo la novena a Don Bosco con questo doppio scopo;
si sforzava però sempre di portare il suo male
607
stando il più possibile levata di letto, perchè doveva
per povertà fare essa sola i lavori domestici.
Al cominciare della novena il Servo di Dio le apparve una notte in sogno,
animandola a pregare e a sperare. Le riapparve dopo l'ultimo giorno,
nella notte fra la domenica di Pasqua e il lunedì. Aveva egli
un bellissimo aspetto e portava una splendida stola. Chiamatala per
nome, le disse: - Sta' di buon animo. Dio ti ha esaudita.
Infatti in quell'istante le parve di rinascere. Non più dolori,
non più perdite di sangue, non più spossatezza, ma gran
voglia di muoversi e di rifocillarsi. Non basta. Al mattino per tempo
sente suo marito che esce di casa a ora insolita. Inosservata lo segue.
Egli entra nella chiesa di S. Filippo, loro parrocchia, si trattiene
un po' in preghiera, quindi si confessa, fa la comunione e ascolta la
Messa. Precedutolo a casa, gli domandò al suo ritorno che novità
fosse quella di uscire tanto presto. - Sono stato a fare la Pasqua,
le rispose. Ecco qui il biglietto. - In quella modesta famigliola, rallegrata
da tre bimbi, entrò quel giorno un doppio raggio di felicità.
La pioggia di celesti benedizioni ottenuta per intercessione di Don
Bosco è poi continuata incessante e copiosa. Veramente a rendere
testimonianza della santità di lui possono bastare i quattro
miracoli sottoposti dalla Chiesa a severo esame e per sua autorità
riconosciuti come tali; ma la conoscenza delle innumerevoli altre grazie
comunemente attribuite al nostro Santo riesce a ravvivamento di fede,
ad incremento di pietà cristiana e a maggior glorificazione della
bontà onnipotente di Dio, che oggi non meno di ieri per sanctos
suos mirabilia operatur.
CAPO XXX
La successione.
DOPO quello che abbiamo ampiamente esposto nel volume precedente sulla
nomina di Don Rua a Vicario Generale di Don Bosco con futura successione
(I) parrebbe che, avvenuta la morte del Servo di Dio, tutto dovesse
procedere automaticamente quanto al trapasso dei poteri; invece le cose
non corsero così liscie. Sono fatti che al pari di altri narrati
qui sopra negli ultimi capi, appartengono in certo senso alla biografia
postuma di Don Bosco e non possono quindi essere trascurati.
Premetteremo i dati più essenziali sullo stato delle due Congregazioni
circa il personale e le case nel gennaio del 1888.
Il Capitolo Superiore della Pia Società Salesiana risultava allora
presumibilmente così composto:
Rettor Maggiore: Sac. RUA MICHELE.
Prefetto: Sac. BELMONTE DOMENICO, Direttore dell'Oratorio Salesiano
di Torino.
Direttore spirituale: Sac. BONETTI GIOVANNI.
Economo: Sac. SALA ANTONIO.
(I) Vol. XVII, capo X, pag. 273 - 284. Si sopprimano ivi le ultime
due righe del capo a pag. 284, dove è occorsa una svista, e si
modifichi così la riga precedente: a continuare nella carica
dopo terminato il primo periodo.
609
Consigliere: Sac. DURANDO CELESTINO, incaricato dell'uffizio di Prefetto.
Consigliere scolastico: Sac. CERRUTI FRANCESCO.
Consigliere professionale: Sac. LAZZERO GIUSEPPE incaricato della corrispondenza
per le Missioni.
Segretario: Sac. LEMOYNE GIO. BATTISTA.
E così rimase definitivamente composto, allorchè, appianate
le difficoltà che diremo, fu stampato l'Elenco generale. In questo
Elenco, alla stessa pagina, dopo il quadro dei Capitolari, venivano
a una certa distanza tre particolari designazioni. Direttore Spirituale
Emerito ed Onorario: Monsignor GIOVANNI CAGLIERO Vescovo di Magida,
Vicario Apostolico della Patagonia e Vicario Generale per tutte le Case
Salesiane dell'America Meridionale. - Maestro degli Ascritti: Sac. BARBERIS
GIULIO, Direttore della Casa di Valsalice. - Procuratore Generale: Sac.
CAGLIERO CESARE, Direttore dell'Ospizio del Sacro Cuore di Gesù.
Tre sole differenze si riscontrano fra questo e il quadro dell'anno
precedente: la sostituzione del nome di Don Rua a quello di Don Bosco,
l'attribuzione del titolo di Vicario Generale per le Case d'America
a monsignor Cagliero e la designazione di Don Cesare Cagliero a Procuratore
generale in luogo di Don Francesco Dalmazzo.
Nella Pia Società i professi perpetui erano 768, i professi triennali
95, gli ascritti 276, gli aspiranti 181. Fra tutti questi il numero
dei sacerdoti ascendeva a 301.
Quattro Case dipendevano direttamente dal Capitolo Superiore: l'Oratorio
e tre Case di formazione, quelle cioè di Valsalice, di S. Benigno
e di Foglizzo. Le altre si raggruppavano a formare le diverse Ispettorie.
Quattro di queste Ispettorie appartenevano all'Europa. - I° Ispettoria
Piemontese. Ispettore Don Francesia. Case (I)
(I) I nomi delle Case si succedono secondo l'ordine cronologico della
loro fondazione, partendo dalle più antiche.
610
di Borgo S. Martino (succeduta a quella di Mirabello), Lanzo Torinese,
Mathi, Nizza Monferrato, Este, Penango, S. Giovanni Evangelista, Mogliano
Veneto. - 2° Ispettoria ligure. Ispettore Don Cerruti. Case di Varazze
(trasportata da Cherasco), Alassio, Sampierdarena, Bordighera, La Spezia,
Lucca, Firenze. - 3° Ispettoria francese. Ispettore Don Albera.
Case di Nizza Marittima, Marsiglia, Navarra, St. Cyr, Valdonne (cappella
degli Italiani), La Ciotat (cappella degli Italiani), La Provvidenza
(a Santa Margherita presso Marsiglia), Lilla, Parigi. - 4° Ispettoria
romana. Ispettore Don Durando. Case di Magliano Sabino, Roma, Faenza.
Case annesse: in Italia, quelle di Randazzo e di Catania; fuori d'Italia,
quelle di Utrera, Barcellona, Trento, Londra.
Due Ispettorie aveva l'America Meridionale. - I° Ispettoria argentina.
Ispettore Don Costamagna. Case quattro a Buenos Aires (della Misericordia,
di Almagro, della Boca, di S. Caterina), una a S. Nicolás de
los Arroyos e una alla Plata. Ne facevano parte anche le Case del Vicariato
Apostolico della Patagonia, cioè le parrocchie con scuole di
Carmen de Patagònes e di Viedma, non che le Missioni di S. Cruz,
di Puntarenas e delle Malvine nella Prefettura Apostolica della Patagonia
Meridionale. Nella Terra del Fuoco, già visitata dai Missionari,
non vi erano ancora residenze fisse. Alla medesima Ispettoria era annessa
la casa di Concepción nel Cile, alla quale nell'anno medesimo
fu aggiunta ivi quella di Talca. - 2° Ispettoria uruguaiana e brasiliana.
Ispettore Don Lasagna. Case di Villa Colon, Las Piedras e Paysandú
nell'Uruguay; di Nichteroy e di S. Paolo nel Brasile. Vi fu annessa
la casa di Quito nell'Equatore.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice, che avevano cominciato a stampare il
loro Elenco generale nel 1877, ricevettero quello del 1888, dopo la
morte di Don Bosco, preceduto da una bella Prefazione della Madre Generale
suor Caterina Daghero (I).
(I) App., Doc. 104.
611
Vi si contano 169 professe perpetue, 221 professe triennali, 100 novizie,
30 postulanti. La Superiora Generale con il suo Capitolo risiedeva nella
Casa Madre di Nizza Monferrato. Le loro Case erano in Italia 35, in
Francia 4, nella Spagna I, nell'Argentina 6 comprese le due della Patagonia,
nell'Uruguay 3, in tutto 51. Di queste Case quattro era dette ispettrici,
quelle cioè di Torino, di Trecastagni in Sicilia, di Almagro
a Buenos Aires, e di Villa Colon nell'Uruguay. Le case di Nizza Monferrato
e di Almagro avevano pure il noviziato.
In questa statistica sotto il numero bisogna cercare l'organizzazione,
perchè il numero è poco, ma l'organizzazione è
tutto. Per altro la pochezza del numero sia detta in confronto dei posteriori
sviluppi ed anche, se si vuole, rispetto alla risonanza che le opere
di Don Bosco producevano nel mondo, facendo supporre migliaia di operai
in centinaia di stabilimenti. Invece, riguardato in sè, il numero
tocca un vertice che, umanamente parlando, sembrò follia sperare
di raggiungere. Infatti, per non tener conto che delle professioni perpetue,
Don Bosco fra Salesiani e Suore aveva a' suoi ordini oltre a novecento
persone distribuite in centosette luoghi, famiglia religiosa creatasi
da lui in un tempo ostilissimo a simili istituzioni, che lo Stato aveva
soppresse e che la stampa denigrava senza posa e senza misura per impedire
qualsiasi tentativo di farle risorgere. Eppure Don Bosco, eludendo violenze
e male arti, seppe trarre a sè una sì bella schiera di
volonterosi, che sotto vesti nuove riproducevano la vita delle istituzioni
disperse. Semplice prete e povero di mezzi materiali, faceva assegnamento
soltanto sull'aiuto della Provvidenza, che egli serviva con tutte le
forze del suo ingegno e del suo volere. Ingegno sagace nel trovare e
formare i soggetti secondo il proprio disegno, nell'escogitare espedienti
per parare le minacce e i colpi degli avversari e nel sollecitare dalla
carità del pubblico i sussidi necessari alla grande impresa;
volontà ferrea di fronte agli ostacoli e invitta nel ri -
612
cominciare da capo ogni volta che una sua iniziativa gli andava fallita.
Sotto questo punto di vista i risultati numerici da lui conseguiti hanno
del gigantesco, per non dire del miracoloso.
Ma quello che maggiormente importa è l'organizzazione. Poco vale
accozzare uomini e moltiplicare opere, ove poi manchi la forza di coesione,
che faccia come di tante membra un solo corpo, e se entro a questo corpo
non palpiti un centro di energia vitale che ne mantenga il vigore e
ne promuova l'incremento. Ora qui soprattutto è da ammirare la
sapienza creatrice di Don Bosco. Fino da principio non vagheggiò
castelli in aria, ma si pose dinanzi agli occhi un piano ben definito,
che venne gradatamente attuando in una coordinazione sistematica, meno
apparente che reale. Meno apparente diciamo nei periodi di preparazione,
ma evidente quando lungo il suo faticoso cammino piantava una pietra
miliare; allora, volgendo lo sguardo indietro, si scopriva come tutto
fosse stato fatto a ragion veduta per arrivare a quella mèta.
Ecco perchè al termine della sua mortale carriera potè
assicurare i suoi eredi e continuatori che per la Congregazione non
c'era nulla da temere. Egli le aveva dato una compattezza organica,
che l'avrebbe sicuramente mantenuta in essere, e una possente vitalità
interiore, che sarebbe stata il segreto della sua inesauribile dinamica
attività.
E la prova del fuoco venne con la successione. Si comprende facilmente
quanto fosse per dipendere dal successore sia il conservare le cose
istituzionali nello statu quo, sia il ben governare quel movimento di
azione impressovi dal fondatore. Ma l'uomo chiamato a succedere possedeva
in grado eminente tutti i requisiti indispensabili all'uopo. Oggi dinanzi
all'eloquenza dei fatti ogni velleità di contraddizione è
costretta ad ammutolire; ma vi fu un primo tempo, breve per fortuna,
nel quale si manifestarono esitazioni in alto luogo. Già precedentemente
nell'animo di qualche Cardinale, come i lettori sanno, erasi insinuato
il timore o meglio radicato
613
il convincimento che, venendo a scomparire Don Bosco, la sua Congregazione
dovesse issofatto andare in isfacelo. Tale opinione, che naturalmente
non restò isolata, sopravvisse al suo autore, sicchè,
appena spirato Don Bosco, se ne discorreva come di un pericolo, a cui
urgeva porre riparo. Fra i rimedi il più quotato era di sciogliere
la Congregazione e d'incorporarne i membri in altra che avesse consimile
scopo. Il motivo che si adduceva per giustificare un sì radicale
procedimento era la supposta mancanza di uomini formati, che fossero
capaci di salvarne l'unità.
Il peggio si fu che queste apprensioni arrivarono a scuotere anche la
fiducia di Leone XIII. Fino allora egli non aveva avuto con Don Rua
se non rari, brevi e insignificanti contatti; nessuna meraviglia quindi
se in quei casi al suo fare dimesso e al suo parlare di quasi ingenua
semplicità il Papa si fosse formato di lui il concetto che per
succedere a un Don Bosco ci volesse un uomo di tempra ben diversa. Egli
dunque inclinava talmente dalla parte dei profeti di sventura, che veniva
divisando di fondere i Salesiani con gli Scolopi.
Ma due circostanze valsero a stornare le menti da siffatti propositi.
Una fu la provvidenziale presenza di monsignor Manacorda a Roma. Il
buon Vescovo di Fossano, accortosi della tempesta che mugliava nell'aria,
si diede subito dal I° febbraio a un lavorìo di penetrazione
per diradare i pregiudizi e illuminare gli spiriti sulla vera realtà
delle cose. La sua pratica delle Congregazioni Romane, presso le quali
aveva iniziato la sua carriera, gli faceva trovare facilmente le vie
per arrivare dovunque il bisogno richiedesse. Visitò in particolar
modo i Cardinali più influenti, specie quelli che maggiormente
avvicinavano il Santo Padre, massime il Vicario di Sua Santità
e il nuovo Prefetto dei Vescovi e Regolari (I).
(I) Al cardinale Ferrieri, morto il 13 gennaio 1887, era succeduto
come Prefetto dei Vescovi e Regolari il cardinale Masotti, che da Segretario
della stessa Congregazione erasi mostrato abbastanza benevolo a Don
Bosco. In qualche luogo fra i Cardinali più officiati da monsignor
Manacorda si fa il nome anche del Bartolini; ma egli era morto dal 2
ottobre 1887
614
Conoscendo a fondo i Salesiani, potè dimostrare che essi erano
strettamente uniti, che possedevano uomini capaci e che guardavano con
ragionevole sicurezza in faccia all'avvenire. Il suo zelo preparò
il terreno alla vittoria della causa (I).
Ma a dare il colpo di grazia sopraggiunse il procuratore Don Cagliero.
Allorchè il Cardinale Protettore gli lasciò intravedere
che era allo studio il disegno di annettere la Congregazione Salesiana
a un'altra Congregazione, gli dichiarò categoricamente che i
membri migliori si sarebbero prevalsi tutti del loro diritto inalienabile
di riprendersi intera la propria libertà, e che egli sarebbe
stato il primo a darne l'esempio. Questa dichiarazione fece aprire gli
occhi, non al cardinale Parocchi che meno ne abbisognava, ma ad altri,
a cui fu data a conoscere. Così le testimonianze di monsignor
Manacorda, avvalorate dall'atteggiamento di Don Cagliero finirono con
dissipare completamente le nubi.
Ma mentre Don Cagliero teneva i Superiori al corrente delle cose di
Roma, a Torino i Superiori si trovavano di fronte a un grave problema.
Nel 1885 Don Bosco aveva comunicato verbalmente al Capitolo la nomina
di Don Rua a suo Vicario con futura successione, nomina fatta per autorità
di Leone XIII e partecipata al Servo di Dio dai cardinali Nina e Alimonda;
ma non aveva dato lettura nè fatto cenno di decreto. Un documento
che vedremo fra breve indicherà la data di quel decreto romano;
ma con ogni probabilità il suo testo nè Don Bosco nè
altri vide mai a Torino. In caso contrario Don Berto, come tutti i documenti
che riguardavano la Congregazione, l'avrebbe ricevuto in custodia e,
secondo il suo costume, prima di riporlo ne avrebbe tratta copia.
(I) Di questo caro Vescovo Don Lemoyne riferisce le seguenti parole,
da lui pronunziate nell'Ospizio di S. Giovanni Evangelista e attestate
da monsignor Leto, da Don Notario, da Don Brunelli e da altri: “
Don Bosco mi voleva bene e io l'ho sempre amato come un padre e sono
felice di essere stato lo strumento per superare le difficoltà
gravissime che incontrava l'approvazione della sua Regola e d'esservi
riuscito. Quanto sarebbe per me bello farmi il promotore della sua causa
e morire con la reliquia del Beato Giovanni Bosco sul petto! ”.
615
Inoltre Don Bosco nella sua circolare d'Ognissanti del 1885, con la
quale rendeva noto ai Soci l'avvenuto provvedimento, diceva che il Santo
Padre gli aveva significato di gradire la scelta di Don Rua a Vicario
per il tramite del cardinale Alimonda senza menzionare nè decreto
pontificio nè futura successione. Don Notario che assistette
il Procuratore in tutte le pratiche di quei giorni, fu ed è di
parere che il decreto sia scomparso nel passare per la Congregazione
dei Vescovi e Regolari. L'ipotesi ha molti gradi di probabilità,
quando si rammenti che allora il Cardinale Prefetto credeva inevitabile
lo sfasciamento della Congregazione Salesiana, morto che fosse il Fondatore.
La mancanza dunque di questo rescritto senza che se ne conoscesse la
causa, metteva i Superiori in serio imbarazzo per il dubbio se Don Rua
fosse stato designato Vicario con futura successione o solo durante
la vita di Don Bosco. A fine di non incorrere in qualche irregolarità,
il dubbio fu esposto al cardinale Alimonda. Sua Eminenza rispose che
veramente la nomina si, estendeva anche alla successione; tuttavia consigliò
a Don Rua di presentare la cosa al Santo Padre domandando ulteriori
disposizioni, e agli altri membri del Capitolo Superiore di scrivere
al cardinale Parocchi per informarlo del fatto. Il saggio suggerimento
venne tosto messo in esecuzione. Don Rua l'8 febbraio umiliò
al Santo Padre una particolareggiata esposizione che cominciava con
questo esordio: “ Dopo aver partecipato alla Santità Vostra
la dolorosa perdita da noi fatta, per mezzo dell'Emin.mo Cardinale Segretario
di Stato, ora io stesso prostrato al bacio del sacro Piede vengo a fare
atto della mia umile soggezione e del mi o vivo attaccamento alla Santa
Sede e a Vostra Santità e ad esporre un dubbio intorno alla mia
condizione chiedendo la soluzione all'alta sua sapienza ”. Richiamato
quindi per sommi capi l'andamento della pratica nel 1884, precisava
in tali termini le ragioni del dubbio: “ Ciò premesso,
mi nacque il dubbio se l'uffizio di Vicario a me
616
affidato durante la vita del sig. Don Bosco fosse con futura successione.
È vero che la dimanda fatta da Mons. Jacobini da parte di Vostra
Santità trattava di un vicario con futura successione, e la lettera
del Card. Nina parla dell'avvenire dell'Istituto Salesiano dopo la morte
del Fondatore; tuttavia non so se veramente Don Bosco abbia fatto la
sua proposta per un vicario con futura successione o solo durante la
sua vita. Da un libro di memorie (scritto di sua mano) a me confidato
trovai pure che parlando del procedimento a tenersi secondo le nostre
Costituzioni nell'elezione del nuovo Rettor Maggiore fece una nota in
cui dice: Si tenga conto che queste Pagine furono scritte nel sett.
1884 prima che il S. Padre nominasse un Vicario con successione, perciò
venga modificato quanto farà duopo. Malgrado ciò non si
dilegua il mio dubbio, tanto più considerando che non si trova
nè originale nè copia di decreto di nomina del Vicario.
Nell'urgenza di dare notificazione della morte del Fondatore con pieno
accordo del Capitolo Superiore ho firmato le lettere relative col mio
nome e cognome senza alcuna qualifica; collo stesso consenso nell'urgenza
di dar provvedimenti ho continuato ad esercitare l'autorità di
prima: tutto questo però colla riserva di ricorrere a Vostra
Santità appena l'avessi potuto per la soluzione del dubbio sovraesposto
”. Alla fine umilmente supplicava: “ Beatissimo Padre, considerando
la mia debolezza e incapacità trovomi spinto a farle umile preghiera
di voler portare su altro soggetto più adatto il sapiente Suo
sguardo e dispensare lo scrivente dall'arduo uffizio di Rettor Maggiore,
assicurandoVi però che coll'aiuto del Signore non cesserò
di prestare con tutto l'ardore la debole mia opera in favore della Pia
nostra Società in qualunque condizione venissi collocato ”.
Se l'umiltà di Don Rua poteva trovare il proprio appagamento
nella pratica dell'ama nesciri et pro nihilo reputari, non la pensavano
allo stesso modo gli altri Superiori, ben consapevoli d'interpretare
l'universale sentimento dei Soci; perciò
617
con a capo monsignor Cagliero inviarono al Cardinale Protettore una
calda lettera, sottoponendogli le considerazioni che dovevano secondo
loro consigliare la conferma di Don Rua a successore di Don Bosco.
Eminenza Reverendissima,
Il Sac. Michele Rua, già Vicario del venerando nostro Fondatore
Don Giovanni Bosco, di cui piangiamo tuttavia l'irreparabile perdita,
espose al S. Padre un dubbio intorno al Successore, e ne domanda e attende
lo scioglimento dalla sua alta sapienza.
Dal canto nostro noi umili sottoscritti saremmo lietissimi che il S.
Padre confermasse a nuovo Rettor Maggiore, ossia a Superiore, generale
dell'umile Società di San Francesco dì Sales, il prelodato
Sac. Michele Rua, designato già e proposto a suo Vicario dal
nostro Don Bosco medesimo, dopo invito ricevuto per parte di Sua Beatitudine,
che nella sua paterna bontà desiderava vedere per tal modo assicurato
il benessere della Congregazione Salesiana; anzi, siccome annoverati
tra i primi Superiori noi conosciamo la disposizione degli animi non
solo degli elettori, ma di tutti i Soci, così siamo in grado
di assicurare colla più intima persuasione del cuore che la notizia,
la quale portasse che il S. Padre diede a nostro Superiore generale
il Sac. Michele Rua, sarebbe accolta non solamente con profonda sottomissione,
ma con sincera e cordialissima gioia.
Aggiungiamo di più: Ancorchè si addivenisse all'atto di
una elezione secondo la Regola, tuttavia è sentimento comune
che Don Rua sarebbe l'Eletto a pieni voti, e ciò in ossequio
a Don Bosco che lo ebbe sempre quale suo primo confidente e braccio
destro, ed anche per la stima che tutti ne hanno per le sue esimie virtù,
per la particolare abilità nel governo dell'Istituto, e per la
singolare destrezza nel disbrigare gli affari, di cui diede già
luminose prove, sotto la direzione dell'indimenticabile e carissimo
nostro Fondatore e Padre.
Noi sottoponiamo umilmente questi nostri riflessi alla considerazione
dell'Em.za V. Rev.ma, qualora Ella nella ben nota sua prudenza giudicasse
farne parola col Santo Padre, cui ci gloriamo riconoscere sempre qual
Supremo Moderatore della Pia Società Salesiana, ed al quale promettiamo
di lavorare, soffrire, vivere e morire in sostegno e in difesa dell'Apostolica
Sede, come colle parole, cogli scritti e coll'esempio c'insegnò
a fare il lacrimato nostro Don Bosco.
Non possiamo poi non cogliere questa propizia occasione per esternare
anche in nome di tutti gli altri nostri Confratelli gli intimi sentimenti
di riconoscenza e di gratitudine verso la Em.za V. Rev.ma per la patema
bontà, con cui ci fece fin qui da Protettore. La preghiamo a
continuarci la preziosa sua benevolenza, e Le promettiamo di fare quanto
per noi si possa col nuovo Rettore che ci sarà dato,
618
affinchè l'uffizio di Protettore dei Salesiani non Le abbia
da riuscire più difficile di quello che lo sia stato finora.
Ciò speriamo tanto più ora, che possiamo confidare che
il nostro buon Padre intercederà per noi con perfetta carità
presso al trono di Dio e dell'augusta Regina del Cielo, Maria SS. Ausiliatrice.
Abbia infine l'Em.za V. Rev.ma la insigne bontà di tenere gli
umili suoi clienti ognora presenti nelle fervide sue preghiere, e mentre
nella nostra pochezza supplichiamo il buon Dio che Le renda il contraccambio
di quanto Ella fece e farà pei Salesiani, ci gode l'animo di
professarci con altissima stima e profonda riverenza.
Di Vostra Eminenza Reverendissima
Torino, 9 febbraio 1888.
Umil.mi ed Osseq.mi Servitori
+ GIOVANNI, Vescovo di Magida, Vicario Ap. della Patagonia Sett. -
Sac. DOMENICO BELMONTE, Prefetto - Sac. GIOVANNI BONETTI, Direttore
spirituale - Sac. ANTONIO SALA, Economo - Sac. CELESTINO DURANDO, Consigliere
- Sac. GIUSEPPE LAZZERO, Consigliere - Sac. ANTONIO RICCARDI pel Sac.
FRANCESCO CERRUTI. Consigliere assente ma consenziente - Sac. GIO. BATTISTA
LEMOYNE, Segretario - Sac, GIULIO BARBERIS, Maestro dei Novizi.
Sua Eminenza, che aveva già preso in considerazione le ragioni
di monsignor Manacorda e di Don Cagliero, gradì molto questa
lettera; perciò nell'udienza dell'II febbraio riferendo a Sua
Santità sulla successione, ottenne la conferma di Don Rua a Rettor
Maggiore dei Salesiani. Ne informava così monsignor Cagliero:
“ Lieto di aver ottenuto dalla Santità di Nostro Signore
l'esaudimento della giusta brama di V. S. Ill.ma e de' suoi degnissimi
confratelli, m'affretto a parteciparle, Monsignore carissimo, l'avventurata
novella. Sia lodato il Signore, qui mortificat et vivificat, deducit
ad inferos et reducit! ”. In pari tempo trasmetteva il decreto
ufficiale, in forza di cui Don Rua veniva nominato Rettor Maggiore per
dodici anni, a computarsi dell'II febbraio 1888, con la espressa riserva
che questa maniera di succedere valesse per una volta tanto nè
potesse mai costituire un precedente (I). Il nuovo decreto fu registrato,
come di pram -
(I) App., Doc. 105.
619
matico, presso la sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. Si diceva
in - esso che veniva così confermato il primitivo decreto emanato
il 7 novembre 1884; dunque allora non c'era stato solamente una disposizione
orale, da comunicarsi in via officiosa. Don Rua lo presentò ufficialmente
al Capitolo Superiore nella seduta pomeridiana del 24 febbraio.
I firmatari della lettera al cardinale Parocchi mandarono di tutto l'avvenuto
un resoconto ai Soci con una loro circolare del 7 marzo, nella quale
in fine dicevano: “ Come vedete, carissimi Confratelli, oltre
le buone qualità che già lo commendavano, il nuovo Rettore
ci venne designato dal cuore del compianto nostro Padre e Fondatore
Don Bosco, anzi ci venne dato dallo stesso Vicario di nostro Signor
Gesù Cristo. Non occorre pertanto che noi ve lo raccomandiamo
con molte parole; imperocchè siamo più che sicuri che
tutti lo amerete e lo obbedirete non solo per dovere e per la stima'
che gli portate, ma eziandio in ossequio al Santo Padre, e in grata
memoria di Don Bosco, del quale per trenta e più anni fu il più
intimo confidente, e del cui spirito s'imbevette fin dalla sua più
verde età ”.
Condotto a felice conclusione questo affare, dovere impellente per Don
Rua era di recarsi a Roma e compiere personale atto di ossequio al Papa;
partì dunque per Roma nella prima metà di febbraio. Mentre
là attendeva che gli fosse accordata udienza, visitò Cardinali
e altri Prelati, incontrando generalmente accoglienze assai confortanti
(I). Fu ricevuto il 21 febbraio dal Santo Padre. Il primo pensiero del
Pontefice andò a Don Bosco, che chiamò santo. Poi diede
due consigli: si assodassero bene le opere lasciate da Don Bosco senza
volersi affrettare ad estenderle e si procurasse una buona formazione
ai novizi. Ripetè che Don Bosco erasi mostrato un santo anche
per il suo modo di comportarsi
(I) App., Doc. 106.
620
verso il Vicario di Gesù Cristo. Chiese quindi notizie delle
Case e delle Missioni. Introdotto il Procuratore, gli raccomandò
di far sì che la Casa di Roma fosse una Casa modello, essendo
essa molto importante. Don Rua, tornato al Sacro Cuore col cuore traboccante
di gioia, stese al più presto la relazione del colloquio avuto
col Santo Padre, che, data alle stampe, allegò alla prima lettera
circolare da lui inviata il 19 marzo seguente a tutte le Case nella
sua qualità di Rettor Maggiore (I). Ordinava in essa di raccogliere
senza indugio le memorie riguardanti la vita di Don Bosco, perchè
autorevoli personaggi l'avevano esortato a intraprenderne al più
presto la causa. Appresso faceva una paterna esortazione dicendo: “
Noi dobbiamo stimarci ben fortunati di essere figli di un tal Padre.
Perciò nostra sollecitudine dev'essere di sostenere e a suo tempo
sviluppare ognora più le opere da lui iniziate, seguire fedelmente
i metodi da lui praticati ed insegnati, e nel nostro modo di parlare
e di operare cercar di imitare il modello che il Signore nella sua bontà
ci ha in lui somministrato. Questo, o Figli carissimi, sarà il
programma che io seguirò nella mia carica; questo pure sia la
mira e lo studio di ciascuno dei Salesiani ”.
Allargando poi lo sguardo oltre ai limiti degli ambienti salesiani,
Don Rua stava per rivolgere anche ai Cooperatori e alle Cooperatrici
la sua prima parola come successore di Don Bosco, quando un fortunato
rinvenimento gliene agevolò la via. Sembrava impossibile che
Don Bosco nel preparare il suo testamento spirituale avesse dimenticato
le falangi di coloro che gli erano stati validi ausiliari a fondare
e sostenere le sue opere. Infatti non c'era stata dimenticanza. Fra
le sue carte si trovò una lettera al loro indirizzo con questa
nota: “ Da spedirsi dopo la mia morte ”. Il Bollettino di
aprile ne diede l'annunzio; quindi Don Rua, come aveva fatto per la
lettera destinata ai Salesiani, ne ordinò la stampa in co -
(I) App., Doc. 107.
621
modo formato e in sufficiente numero di copie, che spedì nel
mese di maggio. Don Bosco diceva:
Miei buoni Benefattori e mie buone Benefattrici,
Sento che si avvicina la fine di mia vita, ed è prossimo il
giorno, in cui dovrò pagare il comune tributo alla morte e discendere
nella tomba.
Prima di lasciarvi per sempre in questa terra io debbo sciogliere un
debito verso di voi e così soddisfare ad un grande bisogno del
mio cuore.
Il debito che io debbo sciogliere è quello della gratitudine
per tutto ciò, che voi avete fatto coll'aiutarmi nell'educare
cristianamente e mettere sulla via della virtù e del lavoro tanti
poveri giovanetti, affinchè riuscissero la consolazione della
famiglia, utili a se stessi ed alla civile società, e soprattutto
affinchè salvassero la loro anima e in tal modo si rendessero
eternamente felici.
Senza la vostra carità io avrei potuto fare poco o nulla; colla
vostra carità abbiamo invece cooperato colla grazia di Dio ad
asciugare molte lagrime e a salvare molte anime. Colla vostra carità
abbiamo fondato nume di Collegi ed Ospizi, dove furono e sono mantenuti
migliaia di orfanelli tolti dall'abbandono, strappati dal pericolo della
irreligione e della immoralità, e mediante una buona educazione,
collo studio e coll'apprendimento di un'arte, fatti buoni cristiani
e savii cittadini.
Colla vostra carità abbiamo stabilito le Missioni sino agli ultimi
confini della terra, nella Patagonia e nella Terra del Fuoco, e inviato
centinaia di operai evangelici ad estendere e coltivare la vigna del
Signore.
Colla vostra carità abbiamo impiantato tipografie in varie città
e paesi, pubblicato tra il popolo a più milioni di copie libri
e fogli in difesa della verità, a fomento della pietà
e a sostegno del buon costume.
Colla vostra carità ancora abbiamo innalzate molte cappelle e
chiese, nelle quali per secoli e secoli sino alla fine del inondo si
canteranno ogni giorno le lodi di Dio e della Beata Vergine, e si salveranno
moltissime anime.
Convinto che, dopo Dio, tutto questo ed altro moltissimo bene fu fatto
mediante l'aiuto efficace della vostra carità, io sento il bisogno
di esternarvene, e perciò prima di chiudere gli ultimi miei giorni
ve ne esterno la più profonda gratitudine, e ve ne ringrazio
dal più intimo del cuore.
Ma se avete aiutato me con tanta bontà e perseveranza, ora vi
prego che continuiate ad aiutare il mio Successore dopo la mia morte.
Le opere che col vostro appoggio io ho cominciate non hanno più
622
bisogno di me, ma continuano ad avere bisogno di voi e di tutti quelli
che come voi amano di promuovere il bene su questa terra. A tutti pertanto
io le affido e le raccomando.
A vostro incoraggiamento e conforto lascio al mio Successore che nelle
comuni e private preghiere, che si fanno e si faranno nelle Case Salesiane,
siano sempre compresi i nostri Benefattori e le nostre Benefattrici,
e che metta ognora l'intenzione che Dio conceda il centuplo della loro
carità anche nella vita presente colla sanità e concordia
nella famiglia, colla prosperità nelle campagne e negli affari,
e colla liberazione ed allontanamento da ogni disgrazia.
A vostro incoraggiamento e conforto noto ancora che l'opera più
efficace ad ottenerci il perdono dei peccati ed assicurarci la vita
eterna, è la carità fatta ai piccoli fanciulli: uni ex
minimis, ad un piccolino abbandonato, come ne assicura il Divino Maestro
Gesù. Vi fo eziandio notare come in questi tempi, facendosi molto
sentire la mancanza dei mezzi materiali per educare e fare educare nella
fede e nel buon costume i giovanetti più poveri ed abbandonati,
la salita Vergine si costituì essa medesima loro protettrice;
e perciò ottiene ai loro Benefattori e alle loro Benefattrici
molte grazie e spirituali ed anche temporali straordinarie.
Io stesso e con me tutti i Salesiani siamo testimoni che molti nostri
Benefattori, i quali prima erano di scarsa fortuna, divennero assai
benestanti dopo che cominciarono a largheggiare in carità verso
i nostri orfanelli.
In vista di ciò e ammaestrati dalla esperienza parecchi di loro,
chi in un modo e chi in un altro, mi dissero più volte queste
ed altre consimili parole: Non voglio che lei mi ringrazii quando fo
la carità a’ suoi poverelli, ma debbo io ringraziare lei,
che me ne la domanda. Dacchè ho cominciato a sovvenire i suoi
orfanelli, le mie sostanze hanno triplicato. Un altro signore, il Comm.
Antonio Cotta, veniva sovente egli stesso a portare limosine, dicendo:
Più le porto danaro per le sue opere, e più i miei affari
vanno bene. Io provo col fatto che il Signore mi dà anche nella
vita presente il centuplo di quanto io dono per amor suo. Egli fu nostro
insigne benefattore fino alla età di 86 anni, quando Iddio lo
chiamò alla vita eterna per godere colà il frutto della
sua beneficenza.
Sebbene stanco e sfinito di forze io non lascierei più di parlarvi
e raccomandarvi i miei fanciulli, che sto per abbandonare; ma pur debbo
far punto e deporre la penna.
Addio, miei cari Benefattori, Cooperatori Salesiani e Cooperatrici,
addio. Molti di voi io non ho potuto conoscere di persona in questa
vita, ma non importa: nell'altro mondo ci conosceremo tutti, e in eterno
ci rallegreremo insieme del bene, che colla grazia di Dio abbiamo fatto
in questa terra, specialmente a vantaggio della povera gioventù.
623
Se dopo la mia morte, la Divina Misericordia, pei meriti di Gesù
Cristo, e per la protezione di Maria Ausiliatrice, mi troverà
degno di essere ricevuto in Paradiso, io pregherò sempre per
voi, pregherò per le vostre famiglie, pregherò pei vostri
cari, affinchè un giorno vengano tutti a lodare in eterno la
Maestà del Creatore, ad inebriarsi delle sue divine delizie,
a cantare le sue infinite misericordie, Amen.
Sempre Vostro obbl.mo Servitore
Sac. GIO. BOSCO.
Per Don Rua non si poteva desiderare miglior carta di presentazione.
Ma i Cooperatori non avevano aspettato questo prezioso documento per
manifestare al successore di Don Bosco i loro sentimenti. Benchè
durante la vita del Santo non ci fossero state comunicazioni in proposito,
tuttavia essi lo ritenevano universalmente come il successore nato.
Nella valanga di lettere giunte all'Oratorio dopo il 31 gennaio cercheremo
per entro a quelle dei soli primi diciassette giorni alcune manifestazioni
più significative e più care.
Che vincoli di dolce amicizia correvano fra Don Bosco e la famiglia
De Maistre! Il conte Carlo, che si trovava in Francia, scrisse il 1°
febbraio: “ Sarà vera la notizia recatami dal mio giornale?
Il nostro amatissimo e veneratissimo Don Bosco è andato in cielo?
Scrivo a Lei il primo de' suoi figli da me intimamente conosciuto, per
sapere la verità. Temo purtroppo che sia così! Ebbene
Le dirò che io ripongo in Lei tutto il riverente affetto che
noi portavamo al suo Padre. Noi lo riguardavamo tanto volentieri anche
come padre nostro! Nella nostra vita non c'era gioia, preoccupazione
o tristezza che non comunicassimo a lui. Faremo lo stesso con Lei. L'attaccamento
che avevamo per Don Bosco sarà il medesimo per tutti i suoi figli,
per tutta la Congregazione Salesiana, a cui siamo affiliati. Voglia,
caro e venerato Don Rua, continuarci l'affezione che il suo Padre portava
a noi ” (I).
(I) Anche il fratello Francesco, scrivendo a Don Rua dalla Francia
il 2 febbraio, ricordava con accoramento l'amicizia di Don Bosco per
la sua famiglia. “ La morte dell'amato Don Bosco è per
i De Maistre una grave
624
Anche la suora Maria Teresa Medolago De Maistre, figlia del Sacro Cuore,
terminava così una sua lunga lettera: “ Io pregherò
per Lei molto Reverendo Don Rua, perchè il Signore lo conforti
e l'aiuti a sostenere il peso di cui l'ha caricato, nel governo della
sua religiosa famiglia. Spero che il venerato Don Bosco stenderà
il suo manto sopra il carissimo suo figlio primogenito, come una volta
il profeta Elia sopra Eliseo ”.
Da Pinerolo il canonico arciprete Ramello: “ Io prego per V. S.
chiamato dall'uomo di Dio a succedergli. Io venero nella sua persona
il nuovo Superiore dei Salesiani e faccia Ella anche per me le veci
del Padre affettuoso di cui piangiamo la dipartita ”. Don Carlo
Stoppani, arciprete di Ossola nel novarese: “ In Lei intendo quindi
innanzi riverire ed amare Don Bosco, il cui nome è un'epopea
che si svolgerà nei suoi figli insino al finire del mondo a bene
della religione e della società ”. Il parroco Neri di Napoli,
che aveva dato ospitalità a Don Bosco nel 1880 e che alloggiava
fraternamente in casa sua i Salesiani di passaggio nella sua città:
“ Per parte mia non mancherò di usare a Lei ed a tutti
i Salesiani que' riguardi che sin ora ho usati a Don Bosco ed a' suoi
figli ” . Don Oreste Pariani, parroco di Galbiate in Brianza e
cooperatore ab initio (I): “ Mi credo poi in dovere di unire alle
condoglianze anche le mie congratulazioni e gli auguri per V. R. pel
sublime, benchè arduo, posto, che ora V. R. occupa di Superiore
generale e mi trovo ben contento d'aver fatto già da tempo con
Lei conoscenza ed amicizia, che anche in avvenire vorrà continuarmi
la sua benevolenza ”.
Il signor Carlo Brovio, ex - allievo presidente diocesano delle Società
Operaie e presidente locale di quella di Nizza Monferrato, alla quale
Don Bosco aveva dato molte prove
perdita, perchè l'amicizia di quel santo uomo era un impareggiabile
tesoro, del quale tutti di casa godevamo immensamente. Nelle prove che
alla Divina Provvidenza piaceva mandarci, una riga, una parola di Don
Bosco era sempre di sommo conforto ai nostri cuori addolorati ”
.
(I) Cfr. vol. XVI, pag. 423.
625
di benevolenza: “ Son venuto a casa contento e tranquillo, perchè
prima di partirmene dall'Oratorio ho trovato il mio secondo Padre nella
S. V. Rev.ma e ho potuto versare le lacrime del dolore della morte del
primo Padre, in seno all'amato e degno successore, che sempre mi terrà
come un suo figlio, sebbene ne sia indegno, come con questo dolce nome
l'amato Padre Don Giovanni mi chiamava ”. Da Bergamo il signor
Luigi Roasenda ex - allievo: “ Per quelli che restano, per gli
istituti che Doti Bosco ha lasciato dobbiamo rallegrarci che il Successore
già da gran tempo prescelto da lui stesso nella persona di V.
S. Rev.ma è sicuramente il più idoneo per conservare e
far prosperare tutte le opere da lui stabilite ”.
Da Milano lo storico Cesare Cantù il 16 febbraio: “ Il
venerabile Don Bosco ha già cominciato dal paradiso le sue grazie
col mettere al suo posto un personaggio, non dico capace di eguagliarlo,
ma degno di succedergli e di farne la perdita men dannosa alla religione
e alla società. Quanto volontieri, se lo avessi conosciuto, avrei
riverito il suo rappresentante alle esequie celebrate con sì
nobile pietà nella Chiesa delle Grazie (I)! Tenga vivo in questa
gioventù lo spirito di carità e di abnegazione, che vi
ha seminato Don Bosco ”.
Monsignor Pietro Tarino, canonico arciprete del Capitolo di Biella:
“ Quando al centro ed alla testa di tutto questo movimento siede
un Don Michele Rua da sì lungo tempo informato dallo spirito
dell'illustre estinto, ed intorno a Lui stanno tante intelligenze, tutte
unite e guidate dal medesimo sentimento e spirito di sacrificio, vi
è tutta la ragione di credere e di sperare che l'opera di Don
Bosco non solo procederà innanzi fiorente di vita interiore rigogliosa,
ma anche potrà dilatarsi e crescere assai al di fuori della cerchia
presente ”. Monsignor Francesco dei conti Serenelli, cooperatore
della prima ora e direttore per molti anni dei Cooperatori veronesi:
“ Don Michele! Noi adesso ci stringiamo intorno a Lei
(I)Questo funerale fu celebrato il 15 febbraio. Rappresentante di Don
Rua era l'economo generale Don Sala.
626
e lo riveriamo come nostro Superiore. Noi intendiamo di trovare in
Lei il volere di Don Bosco, l'autorità di Lui, la guida nostra
”.
Monsignor Brandolini, vescovo di Céneda: “ Don Bosco lo
ha designato di lui successore; meglio non si poteva provvedere in tanta
iattura ”. Monsignor Guarino, arcivescovo di Messina: “
Ella, che così bene ritrae le sue virtù, otterrà
sicuramente da Dio per la intercessione del Santo ed illustre Fondatore
tanto vigore e tanta forza di azione, da renderne meno amara la dipartita
”. Il cardinale Sanfelice, arcivescovo di Napoli: “ Alla
S. V., già piena dello spirito del suo Fondatore, conceda Iddio
la grazia di mantenerlo sovrabbondante questo spirito in tutte le opere
da Lui fondate ed al presente alla S. V. commesse ”.
Moltissime sono le lettere di provenienza francese. Parlino di Don Rua
soltanto alcune delle persone che lo conobbero da vicino. La signora
Quisard, la nota cooperatrice lionese, nella sua lettera di condoglianza
ci teneva ad assicurarlo che la sua famiglia, come in passato per Don
Bosco, così d'allora in poi sarebbe stata sempre tutta per Don
Rua, di Don Bosco figlio privilegiato, braccio destro e successore,
e lo pregava di far parte anche a loro delle benedizioni e grazie, di
cui Don Bosco l'avrebbe costituito canale e intermediario. La famiglia
dei conti Villeneuve di Hyères, devotissima a Don Bosco, gli
faceva sapere: “ Il degno successore di Don Bosco ci sarà
sempre caro ”. Molte lettere si scrissero Don Bosco e le Lallemand,
madre e figlia, di La Réole; quest'ultima riveriva Don Rua con
la stessa filiale affezione nutrita già per il suo venerato Padre.
Memore della paterna bontà usatale da Don Bosco, la marchesa
di Saint - Seine scriveva da Digione: “ Riandando nel mio cuore
tutto quello che egli si compiacque di dirmi, io so che la sua opera
non morrà. Don Bosco aveva fiducia in Lei, che egli sapeva assistito
dal Signore in maniera specialissima. Verso di Lei dunque si rivolgono
tutti i cuori che amarono il Santo da noi
627
lacrimato ed io oso rammentarle il tempo da Lei passato a Digione ”.
Nel 1883 Don Bosco, ritornando da Parigi, aveva accettato con Don Rua
un invito presso quella nobile e cristiana famiglia (I). Da Nizza l'ingegnere
Levrot, che non abbisogna di presentazione, al suo “ bon Père
” Don Rua diceva: “ Gli amici di Don Bosco restano amici
di Lei; i suoi figli si sentono fortunati e orgogliosi di vivere e morire
nell'affettuosa amicizia e nella dolce paternità del successore
di quel gran santo ”.
Omettendo altre citazioni di amici francesi, non passeremo sotto silenzio
il Comitato marsigliese delle Dame patronesse. Nella seduta del 12 marzo
esse sottoscrissero una lettera, in cui, manifestato il loro dolore
per la morte di Don Bosco, proseguivano: “ Il nostro Comitato
gode di ritrovare in lei il figlio eletto e preferito del Santo e sarà
ben fortunato di prestarle il concorso di uno zelo filiale. Ringrazia
pure il Signore di aver chiamato Lei a continuare un'opera sì
grande e sì bella e lo prega che per intercessione del venerato
fondatore gliene renda consolante il cómpito e leggiero il peso
” . Il parroco Guiol in un suo poscritto, unendosi al Comitato,
offriva l'omaggio delle sue più rispettose simpatie al venerato
Don Rua, e si rallegrava che la Provvidenza avesse scelto così
presto il continuatore dell'opera del santo, a cui le fatiche sostenute
avevano già aperto le porte del cielo. Don Rua rispose il 28
dello stesso mese al Comitato e al parroco.
Anche da altre parti venivano manifestazioni simili. Cosi la signora
Maddalena Ochninger, che aveva parlato con Don Bosco, scriveva da Wierzl
in Austria protestandogli in nome suo e della sua famiglia, come a erede
di Don Bosco, tutta la devozione e insieme il più fedele interessamento
per le opere salesiane. Scrive pure da Madrid il senatore Lastres (2)
riconoscendo in Don Rua l'unico che potesse essere chiamato
(I) Cfr. vol. XVI, pag. 278.
(2) Cfr. vol. XVII, pag. 596 sgg.
628
a continuare l'opera fondata con raro ingegno e viva fede da Don Bosco.
Qualche citazione di giornali italiani e stranieri non sarà giudicata
soverchia, importando molto alla storia il confermare come la scelta
di Don Rua incontrasse anche il favorevole giudizio della stampa. Il
genovese Eco d'Italia del 2 febbraio: “ L'opera santa non poteva
essere affidata a mani migliori ”. L'Eco di Bergamo dello stesso
giorno: “ Annoverati da Don Bosco, senza proporzionato nostro
merito, fra i cooperatori Salesiani, porgiamo al degno successore di
lui i nostri affettuosi e profondi ossequi ”. Sulla Difesa di
Venezia del 29 febbraio il corrispondente torinese, dando notizia del
ritorno di Don Rua da Roma, diceva: “ Io domani o domenica sarò
a baciare la mano a Don Rua ed anche a nome della Difesa gli esternerò
la fiducia che tutti i buoni in lui ripongono per la continuazione dell'opera
veramente prodigiosa e santa iniziata sotto gli auspici di Maria Ausiliatrice
da quell'uomo di Dio che fu Don Bosco e che niuno meglio di Don Rua
potrebbe e saprebbe continuare ”.
Sulla Défense di Parigi del 3 febbraio il redattore capo signor
Auffray, che aveva assistito ai funerali di Don Bosco: “ Volevo
scrivere un articolo di lutto per la morte di questo mirabile sacerdote;
ma dopo tutto quello che ho veduto, sento di dover cambiare tono. E
specialmente dopo di aver parlato con Don Rua, comprendo come le istituzioni
salesiane non possano venir meno ”. Das Cassianeum bavarese con
una lettera del suo redattore Schmidinger a Don Rua: “ Ci congratuliamo
con Lei, Rev.mo Signore, per l'eredità che le spetta secondo
la volontà del beato defunto e ci rallegriamo sinceramente che
essa eredità si trovi in mani eccellenti ” . La Gazette
de Liège del 21 giugno uscì con un lungo articolo su Don
Rua, di cui narrava la parte avuta con Don Bosco nella fondazione e
direzione delle sue opere, ne descriveva il carattere e le eminenti
qualità e diceva: “ Come Mosè nel suo viaggio verso
la terra promessa, Don Bosco non poteva
629
fermarsi. Egli ha creato ed è passato; ma Don Rua ne sarà
un continuatore provvidenziale e un ordinatore sagace ” .
Gli attestati di obbedienza da parte dei Salesiani furono quali si era
in diritto di aspettare, nè occorre farne distinta menzione.
Di tali manifestazioni la più solenne e significativa si deve
considerare la votazione del Capitolo generale del 1898, quando con
suffragi quasi unanimi egli venne rieletto Rettor Maggiore. La Superiora
Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che non aveva osato esprimergli
a voce i suoi sentimenti in una recente visita, glieli espresse il 9
febbraio con una lettera, della quale ci sembrano degni di essere segnalati
i seguenti periodi: “ L'aver a Superiore la S. V. Reverendissima
è per me, per il Capitolo, per tutte e singole le Figlie di Maria
Ausiliatrice tale un conforto, una consolazione che non gliela posso
a parole manifestare. Di questo insigne favore che ci fece Iddio noi
lo ringrazieremo per tutto il tempo della nostra vita e a rendercene
meno indegne procureremo di corrispondere colla maggior fedeltà
alla nostra santa vocazione. Caro Rev. Padre, lo so che la carica di
nostro Superiore le costerà sacrifici e le apporterà non
pochi pensieri, ma noi pregheremo tanto Gesù che voglia anche
per questo compensarla adeguatamente. Dal canto mio poi le prometto
che farò del mio meglio per renderle meno grave il peso della
direzione nostra inculcando sempre a tutte le Direttrici e Suore una
pronta obbedienza, una confidenza illimitata ed un affetto santo, riverente,
filiale verso la Paternità Vostra Rev. che d'or innanzi terremo
tutte, dopo Dio, per nostro Padre, guida, appoggio, consigliere, tutto!
”.
E così ogni cosa aveva ripreso il suo ordinato andare, nè
la realtà rimase col tempo inferiore all'aspettazione, anzi questa
fu di gran lunga superata. Trascorso ormai mezzo secolo dalla morte
di Don Bosco, se volgiamo indietro lo sguardo, ci si affaccia il pieno
avveramento delle tre idee di monsignor Manacorda: unione, capacità,
avvenire.
Per l'unione nutriva i suoi dubbi lo stesso Leone XIII,
630
che non ne volle far mistero. In un'udienza del 22 marzo 1888 a monsignor
Cagliero, avendogli questi parlato dell'unione costante di tutti i Salesiani
dopo la morte di Don Bosco, il Papa confessò schiettamente che
questo era stato un suo timore, ma che allora era contentissimo (I).
Quanti sono gli Ordini e le Congregazioni religiose più importanti
che nei loro esordi non abbiano sofferto il travaglio di scissure intestine?
La Congregazione Salesiana, pur così provata nel suo formarsi,
pur così nuova nella sua concezione, pur così complessa
nel suo insieme e nella provenienza de' suoi membri e nell'internazionalità
delle sue fondazioni, non sottostette mai ad alcuna crisi di unione
che minacciasse comecchessia di scinderne la compagine. Lo spirito di
Don Bosco è stato ed è un glutine tanto più miracoloso
quanto meno avvertito nel tenere strette le parti antiche e nello stringere
fortemente le nuove.
Che la Congregazione non abbia patito difetto di uomini capaci, si vide
subito nel periodo forse più delicato della stia esistenza, quando
sotto il primo Successore di Don Bosco venne il momento di dover consolidare
per ogni verso e portare a finimento l'edifizio costruito dal Fondatore.
Per i complicati ordinamenti didattici nelle scuole scientifiche, letterarie
e professionali tanto dei Soci che dei loro alunni, per la formazione
completa e la disciplina religiosa del personale, per la vastità
dello imprese missionarie, per i progressi della buona stampa o già
c'erano o sorsero all'ora opportuna uomini dotati dei talenti necessari,
cosicchè non solo nessuna delle istituzioni di Don Bosco ebbe
a subire detrimento per insufficienza di attitudini direttive, ma proporzionata
allo slancio delle imprese fu sempre l'assistenza, diremo così,
di menti tecniche preposte a ogni ramo di azione.
Che infine l'avvenire abbia risposto alle fiduciose assicurazioni date
dal chiaroveggente Vescovo piemontese, tutto
(I) Lettera di Don Riccardi a Don Lazzero, Roma 22 marzo 1888 (App.,
Doc. 108).
631
il mondo lo può toccare con mano senza che sentiamo la necessità
di addurre prove. Richiameremo piuttosto la finale del sogno avuto da
Don Bosco nel novembre del 1881 sullo stato della Pia Società
Salesiana. L'angelo ammonitore terminava le sue ultime raccomandazioni
con una parola che era un lampo sul futuro. Disse l'inviato del Cielo:
Qui videbunt, dicent: A Domino factum est istud et est mirabile in oculis
nostris (I). Questo inno, a detta dell'angelo, avrebbero innalzato a
Dio gli osservatori alla fine del secolo decimonono e al principio del
ventesimo, cioè proprio durante il governo di Don Rua. Noi, spettatori
già di quel periodo e poi ancora del periodo che segue il suo
corso, abbiamo doppia ragione di accogliere e far nostro il grido del
celeste messaggero: Dal Signore viene tal cosa ed è una meraviglia
ai nostri occhi.
(I) PS. CXVIII (CXVII), 23.
ERRATA - CORRIGE
Nel volume XVII:
A pag. 138, linea 29, a Passionisti sostituire Redentoristi.
A pag. 162 - 3, linee ultima e prima, a nella chiesa di Crea presso
Casale, appartenente ai religiosi di S. Tommaso, sostituire In una chiesa
sopra una tomba.
A pag. 648 in nota, non chiesa, ma cappella.
Nel vol. XV, il capoverso che comincia Un secondo va modificato così:
Un altro sogno, narrato da Don Bosco il 2 luglio 1885, gli aveva dischiuso
l'avvenire delle suo Missioni. Ne scrisse così al Conte Il 10
agosto di quell'anno... Dopo la citazione, sopprimere tutto il periodo
fino a interprete. Dopo la seconda citazione, sopprimere l'ultimo periodetto.
[Ppgg. 632, 633, 644 sono vuote]
APPENDICE DI DOCUMENTI
I
Lettera della Contessa Grocholscka a un Salesiano.
Di questa lettera e della seguente abbiamo trovato soltanto le copie
che Don Lemoyne ne ha lasciate in bozze di stampa. È molto probabile
che fossero indirizzate al Direttore del Bollettino francese.
Révérend Père,
Tout le monde qui a été guéri par les prières
de Dom Bosco doit écrire pour montrer combien ce saint prêtre
obtenait des grâces. L'année 1886 j'ai été
à Crocovie. Le 1I mars, j'ai gagné une pleurésie,
fluxion de poitrine et congestion pulmonaire. Ma soeur jumelle Stéphanie
a envoyé une dépêche à D. Bosco en lui écrivant:
Priez, mon père: ma soeur est en danger de mort.
Le médecin Peter est arrivé de Paris et il m'a trouvée
à la dernière extrémité; il a tout fait
pour me sauver, mais l'agonie a commencé. Tout d'un coup le Docteur
s'approche de moi, tâte mon pouls et pousse un cri: - Elle est
sauvée.
Dom Rua a écrit une lettre a une Dame Bellini qui a demeuré
chez nous en lui demandant de mes nouvelles: comme on n'avait pas le
temps d'écrire, D. Rua a cm que j'étais morte. Dom Bosco
a été alors en Espagne. Dom Rua dit à Dom Bosco:
- Pour sûr la C.esse Vanda Grocholscka est morte! - Alors Dom
Bosco répond: - Mais non, elle ' est guérie et dans ce
moment elle déjeûnel - Alors Dom Rua demande: - D'où
avez-vous de ces nouvelles?
Dom Bosco répond en souriant: - J'ai eu un télégrame
du ciel! Enfin grâces à ces saintes prières j'ai
été sauvée et je puis l'affirmer.
Je suis avec le plus profond respect, mon révérend père
15 Février 1891.
Pau; Villa Sperata, Porte Neuve.
C.esse VANDA GROCHOLSCKA née RADZIWILL.
636
2.
Lettera di una religiosa a un Salesiano.
Mon Révérend Père,
C'est peut-être un peu tard venir vous dire ce que nous savons
d'extraordinaire au sujet de votre vénéré Fondateur
et Pere Dom Bosco. Je crois que ce retard a été voulu
de Dieu, car malgré le désir de le faire j'oubliais de
vous écrire quand je l'aurais pu.
Voici le fait. Une malheureuse créature, morte depuis environ
deux ans, avait fait accroire à une bonne personne qu'elle était
mulâtre et paienne, mais qu'elle désirait vivement connaître
et embrasser la religion chrétienne. Cette personne en parle
à un bon P. Jésuite, lequel informe Monseigneur l'Évêque
qui fit demander à feu notre Mere, de la prendre à la
Communauté, afin de la préparer au saint Baptême.
Cette misérable créature témoignait un vif désir
de le recevoir et jouait la comédie en véritable artiste.
Néanmoins notre Mere n'était pas sans crainte.
Deux jours avant celui fixé pour la cérémonie et
pendant que M. l'Aumônier, et nous-mêmes étions en
course pour avoir des renseignements, une lettre de votre vénéré
Pere disait à notre Mere: «N'auriez-vous pas chez vous
une telle? Dites à cette enfant prodigue de revenir prendre soin
de sa mere aveugle et de s°s enfants». C'était bien
elle. Qui le lui avait dit?
Cette lettre de Dom Bosco était une réponse à une
recommandation que notre Mere lui avait faite au sujet d'une jeune personne
épileptique.
En parlant d'elle votre vénéré Pere disait: «
Qu'elle soit fidèle à ses promesses. (Elle était
Protestante convertie). Tant qu'elle le sera, la S.te Vierge la protègera
». Hélas! bientôt infidèle, le mal qui avait
lui reparu.
Et maintenant, mon Révérend Pere, permettez-moi de nous
unir à vous pour obtenir par l'intercession de votre saint Pere
la guérison d'une de nos Soeurs malade et lui recommander ma
mere aveugle qui ne se résigne pas à la S.te Volonté
de Dieu.
Notre bien digne Mere vous offre son respect et vous prie de présenter
à Dieu toutes ses charges et ses soucis.
Daignez agréer, mon Révérend Pere, l'hommage de
mon respect.
De notre Com.té de Monaco
22 Mai 1891.
S. S. ZÉNOBIE du S. Enfant-Jésus.
637
3.
Il Presidente della Societá Geografica lionese a Don Bosco.
Monsieur l'Abbé,
Vous avez bien voulu il y a quelques mois vous rendre dans le sein de
notre Société et l'entretenir des heureux résultats
que vous et vos Missionaires aviez obtenus en Patagonie, en rendant
ce pays à la civilisation chrétienne et par suite à
la fécondité économique des travailleurs des deux
mondes. Tout dernièrement encore vous avez eu l'obligeance de
nous adresser à ce sujet quelques nouveaux et précieux
documents. Ils sont preuve de la continuation des généreux
efforts de vos prêtres.
Le Comité Directeur'-de notre Société ne pouvait
manquer de remarquer les services que vous rendez ainsi à la
science géographique telle qu'on l'entend de nos jours: l'étude
et l'amélioration des hommes et des choses de l'étranger.
Je suis dono heureux de vous annoncer que dans sa dernière séance
il vous a voté une medaille d'argent en commémoration
du grand fait du retablissement de la civilisation dans les Contrées
patagoniennes. Comme nous ne pourrons vous la remettre qu'à une
seance solennelle assez éloignée, encore je vous serai
oblige de m'indiquer, si vous le pouvez, une date à inscrire
à la suite du mot: A Dom Bosco - Prêtre Salésien
- Civilisation de la Patagonie, que nous comptons faire graver sur une
des faces de la medaille.
Agréez, Monsieur l'Abbé, l'expression de ma considération
la plus distinguée.
Lyon, le 2 janvier 1886.
LOUIS DESGRANDS
Prés.
4.
Société de Géographie de Lyon.
Mon Révérend Père,
Notre Président, M. L. Desgrands vous a appris que notre Société
vous avait décerné une médaille de Vermeil pour
les travaux de vos Missionnaires en Patagonie.
Le dimanche 19 curant a h. 11/2 aura lieu l'Assemblée solennelle
dans laquelle nous ferons la distribution des recompenses accordées
par notre Société.
Nous serions flattés et heureux si vous pouviez assister à
cette
638
séance (tout au moins par un délégué) pour
recevoir cette médailled es mains de notre Président.
Vous ne doutez pas non plus du bonheur qui aurait la population Lyonnaise
à vous voire et à vous acclamer.
Nous venons de recevoir une lettre de votre Sécrétaire
M. l'Abbé Ange Pesta, qui nous promet pour plus tard une communication
sur la Patagonie. Nous la recevrons avec reconnaissance.
Il nous demande, en outre de votre part, si nous pourrions. vous fournir
quelques reinseignements sur l'origine du peuple Chinois (1). Descend-il
dé. Noè ou d'Arphaxad fils de Sem 2
C'est une question historique difficile à traiter et peu de savants
seraient en état de l'aborder.
Toutefoi Mr Desgrands envoie cette lettre à Mr. l'abbé
Lebouc, curé à Vernaison, près de Lyon. Il a habité
tres longtemps la Chine, où il avait la place de Mandarino de
I-ère Classe. C'est un érudit et s'espère qu'il
pourra nous mettre à même de resoudre cette question. je
vous ferai connaître sa response aussitôt que je l'aurai
reçue. Veuillez agréer etc. etc.
Lyon, 7 Déc. 1886.
Le secretaire
Debize.
5.
Brindisi dell'ingegnere Levrof.
Notre bien-aimé Père Don Bosco, en me faisant l'honneur
de m'inviter aujourd'hui à sa table avec l'élite des Coopérateurs
salésiens de la ville de Nice, a voulu Y ajouter un autre honneur:
celui de me charger de prendre la parole à sa place pour honorer
un membre de sa nombreuse famille, un de ceux qui lui sont les plus
chers.
C'est un pere qui charge son fils de saluer un nouveau frère.
La parole du père a des suavités incomparables, que nulle
autre parole ne peut remplacer; aussi est-ce avec regret que j'ai accepté
cette tâche, cependant si douce à mon coeur; le coeur suppléera
à l'insuffisauce du talent.
Dom Bosco aime tendrement ses enfants. Vous vous rappelez qu'il y a
peu de temps, quelques années à peine, notre Saint Père
le Pape daignait, sur là demande de Dom Bosco, distinguer un
d'entre nous et, à son insu, l'honorer d'une faveur insigne en
lé créant chevalier dans l'Ordre noble et glorieux de
Saint Grégoire-le-Grand.
L'heureux privilégié c'était celui qui a maintenant
l'honneur de vous parler.
A ce moment d'alors, pourquoi ne pas le confesser, je murmurai
(1 ) Cfr. vol. XVII, pag. 646.
639
contre Dom Bosco. je trouvai désordonné de faire passer
les petits avant les grands. C'était peut-être une faiblesse
de son coeur, Dom Bosco aime tant les petits! Toutefois, je vous disais
alors et je vous répète aujourd'hui: le témoignage
d'honneur sollicité par Dom Bosco et bienveillamment accordé
par le Saint Pere, s'adressait non à l'individu, mais à.la
collectivité des Coopérateurs niçois de l'oeuvre
salésienne; j'étais en quelque sorte créé
le portebannière parmi eux. C'est à ce titre que je reçus
les nobles insignes, et à ce titre seulement.
Mais Dom Bosco fait bien tout ce qu'il fait, et finit toujours pour
avoir raison, car voilà, que parce fait, aujourd'hui un Niçois
d'origine et de vieille souche peut recevoir dans la noble famille un
nouveau frère, celui-ci Niçois d'adoption et choisi cette
fois parmi les plus illustres. Et de plus, voilà que par la situation
qui m'a été faite, parlant au nom de Dom Bosco et, en
quelque sorte, au nom de la ville de Nice, je suis par là même
en mesure de saluer plus dignement et avec plus d'éclat le nouveau
chevalier.
Mais je vous tiens sur le gril. Pardonnez-moi. Il vous tarde de connaître
le récipiendaire: il est ici et c'est vous-mêmes qui le
désignerez. Regardez qui est parmi tous le plus élevé
pax la science et le plus grand par le coeur. - C'est celui-là.
- Le plus dévoué aux oeuvres catholiques, le plus charitable
envers les pauvres et les ouvriers. .C'est celui-là. - Le plus
attaché à Dom Bosco et à son oouvre, qui les a
fait connaître d'un bout de la France à l'autre, et on
peut dire du monde entier, par son merveilleux livre que vous avez tous
entre les mains. - C'est celui-là. - Et si vous voulez que je
presse davantage la question, pour mieux vous le faire connaître,
je vous dirai: mettez tous la main sur votre coeur et demandez-vous
pour qui vous voteriez si vous deviez faire votre choix.
Nous voterions tous, et par acclamation, pour M. le docteur D'Espiney.
Eh bien, le nouveau chevalier de Saint Grégoire-le-Grand, vous
l'avez dit, c'est M. le docteur D'Espiney.
Avais-je raison de vous dire que c'est vous qui le désigneriez!...
Vox populi vox Dei.
Et maintenant que j'ai eu le plaisir de vous le faire connaître,
que vous l'avez applaudi, que nous l'avons acclamé, je demande
l'honneur de donner le premier, après Dom Bosco, l'accolade de
frère au nouveau chevalier.
Nous ne sommes plus dans les salles d'armes des anciens chevaliers du
moyen âge. Les armures et les armes ne sont plus les mêmes.
La salle est modeste et simple. Le maître chevalier est-doux et
pacifique et ses armes sont les nôtres: nous avons pour cuirasse,
le coeur ouvert sur notre poitrine; pour casque, la foi catholique;
pour armes défensives et offensives, la parole aimante et le
désintéressement. C'est avec ces armes que de notre temps
on gagne les âmes, et on sauve les peuples.
640
Les chevaliers de Saint Grégoire-le-Grand les revêtent
avec honneur, et je puis dire que le nouveau chevalier les a déjà
usées à l'oeuvre. Aussi en embrassant M. D'Espiney, je
saluerai en lui non simplement le nouveau chevalier, mais un noble vétéran
de l'Ordre de Saint Grégoire.
6.
Leffera di una protestante a Don Bosco.
Mon Révérend Père,
Un petit volume est tombé entre mes mains où je trouve
raconté un nombre considerable de cures obtenues par ceux qui
s'adressent à vos prières, et à l'intercession
de Marie Auxilium Christianorum.
Moi, Anglaise de naissance, quoique depuis de longues années
habitante de la France, je n'ai connu que le protestantisme, et jusqu'à
la lecture de ce petit livre je n'ai cru à la possibilité
de miracles dans
nos jours. Je ne puis plus m'en douter: et puisque je suis tees suffrante
d'une maladie grave depuis 10 ans, je désire avec ardeur le secours
de vos prières et pour l'âme et pour le corps.
Avant d'oser m'adresser à vous, Révérend Père,
j'en ai parlé au T. R. Monsieur Fabre, Vicaire Général
de Nice, qui m'a gracieusement permis de me recommander en son nom à
vos saintes prières et bénédictions.
Il y a quelques années que m'a parlé de vos OEuvres Madame
Visconti de Nice.
Permettez-moi, mon Révérend Pere, de vous assurer du respect
profond de
Villa Mercier, Avenue des Oranges.
Nice, le 7 décembre 1885.
Madame MARIE SOPHIE MERCIER.
7.
Indirizzo dei giovani di Marsiglia a Don Bosco.
Bien aimé Père,
Qui pourrait dire la joie que respirent vos chers enfants en cet heureux
jour? Ils n'ont pas souvent le bonheur de posséder au milieu
d'eux leur pere bien-aimé, aussi l'accueillent-ils avec un élan
d'amour et de reconnaissance toutes les fois que le ciel le leur envoie.
641
Oui, cher père, vos enfants de Marseille vous aiment, car ils
sentent la grandeur du bien que vous leur faites chaque jour par vos
saintes institutions.
C'est grâce à votre générosité que
nous, pauvres orphelins voués à la misere, avons reçu
dans cette maison un abri, où sous la conduite de maîtres
aussi dévoués qu'habiles, nous recevons les bienfaits
de l'instruction et de l'éducation chrétiennes.
Votre amour pour nous vous a inspiré mille moyens pour nôus
rendre heureux. Dans les classes, nos professeurs, en nous donnant la
science unie à là vertu, nous disposent à remplir
dignement une honorable carrière, et souvent, secondant notre
vocation, nous ouvrent le chemin du Sanctuaire où Dieu nous appelle.
Dans les différents ateliers, nous apprenons un métier
qui nous permettra un jour de gagner honorablement notre vie. Oh! bon
pere, les soins vigilants dont nous sommes entourés, les bons
exemples, les conseils, les encouragements qu'on nous donne, produiront
leurs fruits, et plus tard nous tâcherons de faire goûter
aux autres quelques uns de ces bienfaits dont vous nous comblez. A l'exemple
de vos premiers enfants de Turin, dont on nous lit l'histoire, nous
tâcherons de faire la consolation de celui qui fut toujours pour
nous un si bon père.
En attendant nous vous prions d'agréer les sentiments. d'amour
et de reconnaissance dont nous sommes pénétrés
envers vous. Nous ferons tous nos efforts pour répondre aux soins
que vous nous prodiguez, priant le Seigneur de vous conserver encore
longtemps à leur - affection et de vous rendre au centuple tout
ce que vous avez fait et que vous continuez de faire pour vos chers
enfants de Marseille.
Marseille; le 31 Mars 1886.
8.
Il Salesiano secondo il Vescovo di Milor
El Salesiano no es el jesuita, soldado, por así decirlo, del
escuadron sagrado, 6 sea, de la milicia escogida que la Iglesia destaca
contra sus enemigos más fieros, y principalmente contra este
mundo moderno, tan lleno de soberbia, tan engreido de su ciencia y de
su valer: no es el Capuchino, el fraile más popular, entre todos
los frailes, con sus austeridades y rigores, con su menosprecio de los.
bienes terrenales, y esa absoluta desnudez interior y exterior, que
pone espanto; non es el hijo de Benito, que mora en las soledades y
pasa la vida entre el estudio, el canto de las divinas alabanzas y el
cultivo de la tierra; no es el discipulo de José de Calasanz,
bienechor en alto grado, bene-
642
mérito de la Iglesia y de la sociedad, pero consagrado á
una sola tarea; no es... nada: de eso.
El Salesiano es el hombre de la 'abnegación y de la humildad,
qui vive muerto sin pensar que lo está, que hace el bien creyendo
que no hace nada; que se sacrifia sin acordarse de ello y aún
casi ignorándolo, y que venido á la libra postrera, se
estima el último entre los servidores de la iglesia. Va allí
donde le mandan; toma las cosas y las acepta como se las dan, y fabrica
su nido lo mismo entre las floridas ramas de árbol frondoso,
que en la piedra más saliente de tasca y desnuda roca. Sus características
virtudes son no quejarse nunca, aunque todo se le torne contrario, y
no desmayar, jamas; esperando siempre en la Providencia;
Tiene el Salesiano algo de la energia, de la actividad, :de la extension
y alteza de miras y de la incontrastable firmeza del jesuita; tiene
algo de la popularidad dei Capuchino; tiene algo. del recogimiento y
de los hábitos de trabajó del monje; tiene algo en fin
de todos los Institutos religiosos conocidos, siendo no obstante un
tipo nuevo.
(Don Bosco y su Obra, pag.89-90).
9.
Lettera del Marchese Jovert a Don Bosco.
Mon bon Père,
Malade depuis longtemps d'une maladie bien pénible pour moi ainsi
que pour ma famille, de laquelle ma femme vous a déjà
parlé le jour qu'elle a eu le bonheur d'être réçue
par vous, je n'hésite pas à me recommander à vos
saintes.prières pour voir si par votre intercession la tres Sainte
Vierge me fait la grâce de me rendre la santé et alors
je fais de toute mon âme le voeu de contribuer largement à
l'oeuvre pieuse et bonne que vous dirigez.
Mon coeur est plein de foi, mais si vous daigniez, mon Pere, m'écrire
quelques mots je suis sûr qu'ils fortifieront cette foi en m'envoyant
au même temps votre bénédiction.
Je crois fermement qu'il n'y a àu monde que vous qui pouvez obtenir
du Bon Dieu la grâce que je demande, et ma femme m'a dit comme
vous vous intéressez pour moi, ainsi j'ai bon espoir.
Croyez bien à ma sincere reconnaissance. Votre fils en Jésus-Christ.
Barcelona, le 13 Avril 1886.
Votre fils en Jésus-Christ
JOAQUIN JOVERT.
643
10.
Le educande delle dame del Sacro Cuore
a Don Bosco in Sarriá.
Auxilium Christianorum, ora pro nobis.
Reverendissimo Padre,
Con i desideri più ardenti noi aspettavamo il felice momento
che vi avrebbe condotto in mezzo a noi, come un Padre amatissimo in
mezzo alle sue care figliuole, desiderose di esprimergli i loro sentimenti
di filiale rispetto. Questi sentimenti, esse li hanno deposti nel divin
Cuore per assicurarne l'esaudimento.
Oggi, Reverendissimo Padre, i nostri voti sono stati esauditi e i nostri
cuori pieni di riconoscenza rendono grazie al Signore per questa novella
prova del suo amore verso di noi. Noi possediamo un padre che lo rappresenta
così degnamente e che a sua imitazione si compiace di vivere
in mezzo ai fanciulli, ponendo tutta la sua felicità nel consacrarsi
senza misura al bene di questa cara porzione del suo fortunato ovile.
Si, con gaudio noi vi circondiamo, colla speranza di uscire dalla vostra
presenza confermate nella fede e fortificate nell'amore al dovere; per
rimanere fedeli a Gesù non solo nel tempo del nostro soggiorno
in questa casa di pace e di felicità, ma anche più tardi
in mezzo ai pericoli che ci attendono nel mondo.
In contraccambio della bontà della quale voi vi siete mostrato
prodigo a nostro riguardo, noi vi promettiamo, Reverendissimo Padre,
di domandare al Divin Cuore di Gesù, per intercessione di quello
della sua Madre Immacolata, che egli spanda senza misura l'abbondanza
delle sue grazie sopra la vostra Congregazione, sopra tutte le vostre
opere, sopra il vostro caro gregge e il suo amato Pastore. Che questo
caro gregge, vedendo in voi una rinnovellata sanità e maggior
robustezza di forze, possa rendere grazie al Signore e ottenere quella
di conservarvi ancora per lunghi anni.
Questo è il nostro desiderio unito a quello di ricevere la vostra
patema benedizione.
Sarrià, 14 aprile 1886.
Le allieve del Sacro Cuore.
644
10.
Dom Bosco y los talleres salesianos.
Encuéntrase en Barcelona, como no ignoran nuestros lectores,
el venerable anciano, cuyo nombre encabeza estos párrafos. Aureola
de santidad resplandece en su figura como expresion de sus cristianas
virtudes y de su acendrada fe, con las cuáles ha llevado á
feliz término y sigue dirigiendo con próspera fortuna
su religiosa y civilizadora empresa. En medio de los dolorosos espectáculos
que hemos de presenciar de continuo, entre las manifestaciones impías
que hieren la vista y los oídos de las personas piadosas, cuando
las pasiones desbordadas de las muchedumbres, halagadas en sus bajos
instintos amenazan conmover y destruir la sociedad contemporánea;
produce grandísimo consuelo ver á un santo varon de setenta
años, que vence el peso de la edad con el ausilio de la gracia
divina, cómo trabaja en una obra de verdadera regeneración
social y cómo se aprestan á ofre-cerle su concurso gentes
salidas de todas las clases sociales.
Es en verdad providencial la obra de Dom Bosco: díganlo si no
el saqueo de las tiendas en Lóndres, los incendios en Bélgica,
la huelga en Decazeville. A la propaganda materialista que origina estos
hechos,
se opone la propaganda cristiana que enseña al hombre la virtud
del trabajo, el amor al prójimo, la esperanza en Dios, con los
cuales no son posibles los odios sociales que tantos males han producido
en Europa y en América. Esta bienhechora enseñanza reciben
los niños en los Talleres Salesianos, cuya fundación se
debe al infatigable sacerdote Dom Juan Bosco, conocido por Dom Bosco
en ambos mundos, porque á los dos hemisferios alcanzan los beneficios
incalculables de su predicacion, de su constancia y de su singular inteligencia
en la organizacion de aquellos institutos. « La obra de Dom Bosco
- se afirma haber dicho Su Santidad Leon XIII - es á no dudarlo
extraordinaria; excede á las fuerzas humanas, pues no se concibe
que un hombre solo, desprovisto de medios materiales, un sacerdote pobre
y humilde, haya podido hacer en breve tiempo, que breve tiempo son treinta
6 cuarenta años, las maravillas que asombradas contemplan Europa
y América. Ahora bien, lo sobrehumano ha de ser necesariamente
ó diabólico ó divino, y sus tendencias y resultados
manifiestan clarísimamente si es lo uno ó lo otro. Lo
que tiende á propagar y afirmar el reinado de la soberbia, no
puede calificarse sino de diabólico; así lo es la Revólucion
y sus falsos milagros. Lo que por la inversa se dirige á extender
y consolidar en el mundo el imperio de la humildad y la caridad, ó
sea la soberanía de Dios, debe llamarse divino. El dedo del Altísimo
se descubre por lo mismo patentemente en la Obra Salesiana, toda vez
que su fin es Cristo, su regla Cristo y Cristo el arma
645
con que lucha, que va sembrando por donde quiera abnegación,
mortificación y amor; y que trabaja por la causa de Dios y no
por los intereses terrenos del hombre n. ¡Hermosísimas
palabras dignas del sabio y santo Pontífice que gobierna la Iglesia
Católica Apostólica Romana!
Humilde comienzo tuvo la obra de Dom Bosco, como lo han tenido esas
grandes instituciones católicas de Caridad que son hoy el único
bálsamo eficaz para las heridas sociales y la única medicina
para enfermedades y miserias de esta clase, que de otro modo son incurables.
Cierto dia'del año 1841 disponíase Dom Bosco á
celebrar el santo sacrificio de la misa en la iglesia de San Francisco
de Asís de Turin y se estaba revistiendo, cuando llegaron á
su oído lamentos y voces descompuestas impropias de aquel lugar
sagrado. Averiguó de dónde procedían y qué
las originaba, y supo que se trataba de un chicuelo á quien el
sacristan reprendía duramente y llegó a dar golpes, por
haberse metido en la sacristía sin que diese esplicacion del
objeto que allí le habia conducido. Habló Dom Bosco al
muchacho, hizo que oyera la misa y, terminada, se lo llevó á
su casa, porque supo hue estaba desamparado, y en ella le albergó
y le cuidó cariñosamente, cediéndole una parte
de su hogar modestísimo. Así principió la obra
de San Francisco de Sales. En 1842 Dom Bosco capitaneaba ya una legion
compuesta de cien individuos. El celoso Sacerdote los reunió
todos los días festivos, y en lenguaje sencillo y conmovedor
les inculcaba las verdades de la Religión y les enseñaba
las virtudes cristianas. Con el amor y el instinto del Apóstol
convertía en grata para sus educandos la enseñanza que
les daba, de manera que todos aguardaban ansiosos la hora del domingo
en que debian reunirse con Dom Bosco. Con ellos , verificaba romerías
y excursiones á sitios pintorescos, que amenizaba un coro de
cantores formado de los mismos alumnos de esta escuela cristiana. En
1844 doscientos alumnos le rodeaban en el momento en que celebraba el
sacrificio de la misa, en cuya ocasión dio á la obra y
al lugar en que se realizaba el nombre de Oratorio de San Francisco
de Sales.
Rápido fue despues su desarrollo y de ella nacieron los Talleres
Salesianos. El número considerable de mas de doscientos mil niños
recibe hoy día instruccion técnica para un arte ú
oficio y educación cristiana en los establecimientos que dependen
del venerable fundador de la Obra. En Turin, que es la patria de la
Congregación segun hemos indicado, tienen los Salesianos magníficos
talleres, en los cuales llama la atencion una fábrica de papel
y una tipografía montada esta con prensas de vapor y con todos
los adelantos modernos, y en donde se imprimen obras en diversos idiomas
con notable perfección. En distintos puntos tienen organizadas
colonias agrícolas como la de Mogliano en el Véneto, la
de Saint Cyr en el Var y la llamada Navarra junto á Hyères.
En el Uruguay y en la República Argentina cuentan también
con casas de educación y en la Patagonia con una misión
que llegó á reunir ciento treinta misioneros. Gobiernos
y hombres de ideas
646
muy opuestas á las de Dom Bosco y de sus coadjutores le han
favorecido en su empresa y allanado en ocasiones obstáculos de
difícil vencimiento. Urbano Ratazzi, entre ellos, amigó
íntimo de Cavour, y uno de los políticos que mas trabajaron
por la unidad de Italia y consiguiente expoliacion del Papa, quiso conocer
en 1854 á Dom Bosco; se presentó un día inopinadamente
en el Oratorio de Turín; óyó al fervo-, coso sacerdote
cómo esplicaba á sus alumnos un punto de la Historia Sagrada,
buscóle despues en su propia casa, departió con él
largamente sobre los sistemas de educación que podían
emplearse con los niños, y salió prendado dei fundador
de, las Escuelas y Talleres Salesianos. Ratazzi, que en medio de sus
errores religiosos y políticos tenia despejada inteligencia,
comprendió al punto la utilidad social de la Obra de Dom Bosco;
y resuelto á protegerla, empleó para ello la influencia
de :que gozaba en las' elevadas regiones del nuevo Estado italiano.
Esta Obra civilizadora existe ya en el llano de Barcelona, como saben
idos nuestros lectores. A la piedad incansable de una distinguida señora,
á la que deben inmensa gratitud muchísimos desgraciados,
se debe el primer paso dado para establecer en Sarriá los Talleres
Salesianos: al R.do Padre Branda, tan bondadoso y modesto como inteligente,
celosísimo vicario de Dom Bosco; el impulsó más
eficaz para la organización de la casa en todas sus dependencias.
La visita del santo fundador de la Obra será, de fijó,
prenda que asegure nó solo su continuación, sino también
su desarrollo y mayor prosperidad en ló futuro. Mucho ha de hacerse
todavía: se requieren cantidades importantes para montarlos talleres
del modo que ló desean los Rdos. Padres y las piadosas personas
que protege la institución, porque hoy nó se hallan mas
que en embrión las cuadras en que se enseña á sesenta
niños el arte de imprimir, el de encuadernar, la carpintería,
la sastrería y zapatería, y otros oficios que han de proporcionarles
el pan de cada día y la base para su bienestar después
y el de sus familias. Niños que vagarían perdidos por
calles y plazas, réclutas de las cárceles y presidios;
son amparados en aquella casa y arrancados de las garras del crimen.
Hasta.el número de quinientos educandos se propone Dom Bosco
que. con el tiempo se alberguen en Sarriá, y este generoso propósito
se realizará, sin duda, con la ayuda del Cielo. Nó se
arredre nadie por lo mucho que aun falta hacer; los cimientos están
echados y sobre ellos se alzará el edificio. Envíe cada
cual su limosna á la Casa, y poco á poco se irá
levantando la que haya de contener mas adelante los Talleres Salesianos,
semillero de ciudadanos honrados. Por idénticos pasos se han
construido en Barcelona - y al decir Barcelona comprendemos también
todo el llano - establecimientos de caridad como las casas de las Hermanitas
de los Pobres, el Asilo de niños escrofulosos de San Juan de
Dios, el Hospital de Nuestra Señora del Sagrado Corazón
de Jesús y otros varios, que pregonan con elocuencia los cristianos
sentimientos de sus moradores.
647
¡Coincidencia providencial¡ Los fundadores de los institutos
que han acudido en el siglo XIX á remediar dos de las mayores
miserias sociales, la ancianidad desvalida y la niñez descuidada,
los PP. Le Pailleux y Bosco;- experimentan la inefable ventura de ver
extendidos por el universo mundo las casas de las Hermanitas de los
Pobres y los Talleres Salesianos, de contemplar como el cariño
del pueblo sigue por todas partes á los Padres y á las
Hermanitas, y de atestiguar el respetó que por ellos sienten
los hombres de ideas mas opuestas á las salvadoras doctrinas
que han inspirado y mueven estas fundaciones, .pero dotados de inteligencia
clara y de ánimo bastante .serenó para comprender los
inmensos beneficios que de ellas recibe la sociedad contemporánea.
(Revista popular di Barcellona, 14 ;aprile 1886).
12.
Asociación de Católicos de Barcelona.
Invitado el ilustré Dom Bosco para que se dignara honrar con
su presencia el local de la nueva Escuela que próximamente inaugurará
esta Asociación en la calle de Lladó, n. 4, se ha dignado
dicho señor acceder á ello, senalando el día 15
del corriente á las cuatro de la tarde.
Cómo muestra, aunque débil, de agradecimiento, acordó
la junta aprovechar esa ocasión para entregar al fundador insigne
de los Talleres Salesianos la medalla de socio de honor, y luego el
producto de una colecta realizada entre los concurrentes.
Al invitar á V. á esa solemnidad tan grata y aceptable
para todo buen católico, nó duda la junta contribuirá
V. generosamente á honrar á persona por tantos conceptos
venerable.
Barcelona, 12 de abril de 1886.
P. A. de la J.. D.
El Secretario
JOAQUIN DE FONT.
Sr. D.
Entrada Personal.
13.
Sonetto in onore di Don Bosco a Barcellona.
Elegido de Dios!.. de charca inmunda
Dó pululan los hongos venenosos
Arrancas mil pimpollos espinosos
Que en ricos frutos la verdad fecunda.
648
Esa obra colosal que en bien abunda
A pesar de los antros rencorosos
Reviverá los pueblos venturosos.
Por el Divino Amor en que se funda.
Salud á Ti... Que seas bien venido...
Que hermanas por la Fé, nuestras naciones
Vuelvan al. Vaticano su sentido.
Y si un grano de anís tus fundaciones
Llevan con nuestro amor a ti ofrecido
No nos niegues, Señor, tus bendiciones.
Policarpo de Bofarull Sarrid (Barcelona).
17 de abril de 1886.
14.
Invito alla conferenza di Barcellona.
ESCUELA DE ARTES Y OFICIOS
DE Los TALLERES SALESIANOS
BARCELONA-SARRIÁ
Sr. D.....
Muy señor mío y de mi mayor consideración y respeto:
muy reconocido á la benevolencia de las personas que cooperan
á la obra de los Talleres Salesianos de Sarriá y que al
llegar por primera vez á este tan hospitalario país, me
han dispensado una acogida que no olvidaré nunca, me he decidido
á invitarles á la función solemne que bajo la presidencia
del Ex.mo é Il.mo Sr. Obispo tendrá lugar en Barcelona
el día 3o de los corrientes, á las cuatro en la Iglesia
parroquial de Belén.
Conforme á la costumbre establecida en tales ocasiones se hará
una colecta destinada á desarrollar los Talleres establecidos
en Sarriá, á fin de que aumente en grandes proporciones
el número de niños que se puedan admitir en los mismos,
para darles á la par que una sólida educación cristiana,
la enseñanza de un arte ú oficio que les procure, á
su tiempo, una honrosa subsistencia.
Al suplicar á V. se sirva asistir con las personas, que guste,
á la función expresada ruego al Señor le recompense
con largueza el interés que se tome á favor de la Obra
Salesiana.
Con este motivo se ofrece de V. con la mayor consideración atento
S. S. y Capellan.
Sarriá, 27 de Abril de 1886.
JUAN Bosco Pbro.
649
Orden de la función:
1. Esposición de Su Diving Magestad..
z. Lectura de un capitulo de la vida de S. Francisco de Sales. 3. Una
pieza de música sacra por la Capilla de Belén.
4. Conferencia sobre la Obra Salesiana. 5. Canto de unos motetes.
6. Bendición con el SS. Sacramento.
7. Preces por los cooperadores difuntos.
Es de notar que la Santidad de Leon XIII, primer cooperador Salesiano,
bendice especialmente y concede indulgencia plenaria á cuantos
Cooperadores Salesianos tomen parte en esta función.
15.
Don Bosco e i suoi Talleres a Sarriá.
No hace un mes aun, los Talleres Salesianos; recientemente establecidos
en el vecino pueblo de Sarriá, apenas eran conocidos en Bar-,
celona. Algunas distinguidas familias que veranean en aquella antigua
poblacion, concurrían á las funciones religiosas que en
la capilla de los Talleres Salesianos diariamente se celebran; algunos
mas habían recorrido las clases donde á los niños
albergados se les enseñan artes y oficios; otros se hacían
lenguas de las esquisitas dotes de discreción y talento de su
director Rdo. P. Branda; pero de mucho no había alcanzado la
institución el renombre que actualmente goza, ni había
atraído como ahora las miradas de tan gran número de personas
de todas las clases sociales.
Para obtener este estraordinario éxito, ha bastado-la presencia
de un venerable anciano, que achacoso y débil físicamente,
mas dotado de una voluntad de hierro, está en la plenitud de
sus fuerzas intelectuales para desarrollar, aun mas de lo que se halla,
su moralizadora institución, implantada en todas las regiones
del globo.
Al visitar por vez primera los Talleres Salesianos de Sarriá,
aun con las imperfecciones inevitables en todos los comienzos, y teniendo
que vencer el sinnúmero de dificultades que para la propia conser
vación encuentra toda nueva obra en sus primeros años,
no era difícil descubrir en la organización dé
las clases y en el inteligente y celoso personal que las dirige, la
vitalidad de la obra de Dom Bosco; al conocer hoy al venerable fundador
de los Talleres Salesianos, honra altfsima que estos días han
tenido muchos barceloneses, compréndense más facilmente
los prodigiosos resultados alcanzados en el breve
650
período de veinte años, ya que los diez que 1, e precedieron
fueron solo de preparación para empresa de tamaña importancia.
Desean visitar á Dom Bosco, durante su permanencia en Sarria,
personas de todas las clases y condiciones, en busca de toda suerte
de consuelos; unos para impetrar de Dios - que todo lo puede - por mediación
de varón tan santo, 'el remedio ó el alivio de enfermedades
graves; otros para pedir consuelo para su corazón desgarrado
.por la desgracia ú oraciones en sufragio de seres queridas;
las asociaciones piadosas se presentan á mostrar sus respetos
al que tan distinguido' lugar ha conquistado entre los varones que han
sobresalido en nuestros días en la Iglesia de Cristo; y -varios
Prelados han ido á Sarriá á saludar al ilustre
fundador católico. Dom Bosco escucha con interés á
grandes y pequeños, á los que están en los más
altos peldaños de la escala social, á la clase medía
que tiene en nuestra ciudad estraordinario arraigo, á modestos
obreros y sencillas mujeres del pueblo, y á unos y á otros
que llegan á su presencia llenos de ferviente fé, les
da la bendición y una pequeña medalla en la que está
grabado el Sagrado Corazón de Jesús en el anverso, y en
el reverso la imagen de la Santísima Virgen.
« Sagrado Corazon de Jesus, tened misericordia de nosotros a,
« Auxilium Christianorum,.ora pro nobis », son las leyendas
de la medallita de Dom Bosco, y sin duda alguna han sido el poderoso
talismán con que ha logrado el sacerdote italiano realizar su
grande obra de fundar numerosas escuelas - cuyo número va creciendo
cada día - y que servirán para contrarestar la incesante
propaganda contra Dios y contra toda autoridad, que principalmente en
Europa se está. haciendo á mansalva en nuestros días,
llenando el corazón de zozobra y el ánimo de espanto„
aun á famosos racionalistas que ven con pavor como nuestra sociedad
se va precipitando con- frenesí al abismo de la impiedad y de
la disolución social.
Cuantos se han acercado á Dom Bosco y han podido oír su
autorizada, palabra, han descubierto en su fisonomía. su cultivada
inteligencia y su voluntad poderosa. En los comienzos, al establecer
sus talleres, personalmente aprendió Dom Bosco los diversos oficios
que en los mismos se habian de plantear y los enseñaba á
sus amados niños. A la música se dedicó también
desde la edad de ocho años, y en los Talleres Salesianos no falta
nunca la banda correspondiente, formada por los jóvenes albergados
y dirigida por uno de los salesianos. Conoce también Dom Bosco
infinidad de idiomas que le facilitan el comunicarse con todos los países
y propagar sus Talleres.
La humildad, esta virtud cristiana tan preciada como costosa á
la humana naturaleza, es una de las que más enaltecen al preclaro
fundador de los Talleres Salesianos. « Yo no sé por qué
viene á verme tan gran gentío », decía á
uno dé los que fueron honrados el domingo último á
acompañarle en su comida. Y sin embargo, cuando Dom Bosco se
ocupa en el desarrollo de su obra, aunque en tono sencillo,
651
y vibra en su palabra la convicción del fundador, su tesón
inquebrantable y como un don profético. e Los Talleres de Sarriá
han de educar á quinientos niños », dijo también
en el curso de la conversación, y al que oía conmovido
estas palabras parecíale ya ver en breve tiempo levantada las
necesarias construcciones para albergar tan crecido número de
niños, funcionar los nuevos talleres y en las horas de rezo ver
concurrida la nueva iglesia que la piedad de los barceloneses levantará
sin duda en aquel importante centro de educación dulas clases
pobres.
En medio de las inevitables dificultades que naturalmente han de surgir
para dar cima á tan santa obra, debe alentar á los decididos
cooperadores de la misma, la idea de que los Talleres Salesianos vienen
á llenar en Barcelona una necesidad aún más imperiosa
que en otras poblaciones, Centro fabril, cual pocos, é influido
por la propaganda del cosmopolitismo revolucionario, merced á
la proximidad con Francia, presta servicio incalculable la institución
-que asegura á las fanilias necesitadas que sus hijos puedan
recibir, una educación cristiana, además del ofició
que se les enseñe, y que. contribuirá á que desde
la infancia se les inculque el amor- á Dios y el respeto al prójimo,
la obediencia ,á sus superiores y la dulzura con sus inferiores,
si llegan á tenerlos; allí se inspirarán en las
enseñanzas cristianas, lo mismo para su propria conducta, .como
en él seno de la familia y en el ejercicio de sus deberes de
ciudadano. La Institución de los Talleres Salesianos es pues
una institución que podrá prestar grandes beneficios á
las familias, á la sociedad y á la patria, y por esta
razón creemos que Barcelona debe felicitarse del viaje que ha
hecho á nuestra ciudad Dom Bosco y abrigamos la confianza de
que la solemne función religiosa que ayer se celebró en
la iglesia de nuestra Señora de Belén, que reseñamos
en otro lugar de este número, será en estremo provechosa
para realizar en un breve período de tiempo las aspiraciones
del venerable anciano que ha tenido en nuestra ciudad una acogida,en
estremo cariñosa.
(Diario de Barcelona, 1º maggio 1886).
16.
Don Bosco nella villa di Don Luis María y Codolar.
Escribo estas líneas bajo la más dulce de las impresiones.
Me refiero á la fiesta de familia que los amables señores
Martí y Codolar, cuya bondad y explendidez es bien conocida,
han celebrado 'en honor de Dom Bosco, de ese varón apostólico
y extraordinario; del Abad mitrado de la Santa Trapa, y de los pobres
niños acogidos y educados en los Talleres Salesianos de Sarriá.
Lo que ha pasado en medio de aquellos jardines hermoseados por
652
las galas de la primavera y por el gusto exquisito de sus dueños,
llenos de flores perfumadas, poblados de fieras reclusas, de aves raras,
de estátuas, de plantas tropicales y de cuanto el capricho é
inteligencia de un afamado comerciante y naviero ha recogido y mandado
traer de remotos climas y de distantes tierras, es de esplicación
difícil.
El obsequio empezó por un bien servido banquete del que disfrutaron
los pobres niños acogidos, cuya alegría era grande. Después
de él la orquesta salesiana tocó dos piezas de concierto
con mucha más afinación y más gusto'del que puede
exigirse á unos niños que hoy empiezan á saludar
el arte.
En un parterre rodeado de cedros del Líbano, sentáronse
Dom Bosco y el Abad mitrado de la Trapa; colocados á su lado
y á su alrededor los pobres niños salesianos, y la familia,
amigos y servidores de los dueños. El Prelado trapense con voz
elocuente y llena de unción evangélica, improvisó
un discurso, en el que reflejó los sentimientos de gratitud de
que estaba poseido y encareció á los niños el deber
en que estaban de obedecer, aprender y trabajar, para luego ser útiles,
á la sociedad y poder más tarde constituir una familia.
Con una natu-ralidad que encantó; pidióle á Dom
Bosco que se sirviese bendecir á todo el grupo, y como éste,
calificándose á sí mismo de pobre mendicante, manifestase,
que donde estaba presente un Prelado de la Iglesia, él, simple
eclesiástico, debía impetrar la bendición en vez
de darla, el Abad trapense, de rodillas; se quitó las insignias
prelaciales en señal de santa humildad y, postrándose
toda la concurrencia, recibió fervorosamente la bendición
del anciano valetudinario, héroe de la caridad, fundador de una
obra grandiosa que ha de honrar á un santo, porque los frutos
ópimos que produce constituyen un verdadero milagro.
A todo esto, fue fotografiado el grupo con una máquina instántanea
al efecto preparada, y levantándose luego el gran padre de familia,
que educa, mantiene y enseña á doscientos mil hijos, tan
pobres como él, reproduciendo, como si dijéramos, el milagro
de los panes y los peces, apoyado en el brazo del amable dueño
de la casa señor Martí y Codolar, visitó algunas
de las muchas curiosidades de notable mérito que el jardín
contiene. .
Fi pavo real blanco abrió su cola como para ufanarse y para honrar
á tal admirador; el elefante mostró sus blancos marfiles
y agitó su trompa con alegría; los pelicanos comparecieron
á prestarle homanage, y hasta los camellos salieron á
hincar la rodilla.
Las muchachas de servicio, los labriegos, los criados y aun los niños,
pudieron libremente tener la satisfaccion de hablar y de comunicar sus
sentimientos al venerable anciano; que les oyó, acarició
y
trató, con la bondad angélica que establece hacia él
una corriente de atracción invencible.
Los niños salesianos merendaron servidos por las mismas señoras
que concurrieron á la fiesta, y empezaba ya á declinar.
el día, cuando
653
Dom Bosco, aclamado y saludado por todos los asistentes con verdadero
entu§iasmo, abandonó aquella casa hospitalaria y aquella
mansion encantadora, para volver con sus hijos á los talleres
de Sarriá.
ellos sé han levantado por el sentimiento cristiano de Caridad
que vive entusiasta en nuestra tierra á Dios gracias, y el, impulso
primero, el primer sacrificio, si un acto benéfico pudiese llamarse
tal, es debido á la Excma. señora doña Dorotea
Chopitea de Serra con ese noble propósito, que ha hecho que su
nombre luzca en todas las obras de caridad con que Barcelona se honra.
Presente estaba esa señora de gran corazón, de todos querida
y adorada de los pobres, pareciendo como que buscase el último
lugar; presentes estaban sus hijas y nietas; los hermanos señores
Pascual con
sus buenas esposas y amables hijas y tuvieron la fortuna de asistir
á la fiesta los parientes y algunos amigos de los señores
Martí y Codolar,
que guardarán toda su vida impresion agradable y dulce de aquella
función, en que se reflejó la bondad y la sencillez que
acompaña siempre al verdadero sentimiento católico. -
J. M. G.
(Correo Catalán, 5 maggio 1886).
17
Carta di cessione del Tibi dabo.
Reverendísimo S. D. Juan Bosco
Superior General de la Congregaciórn Salesiana.
Los infrascritos proprietarios de la cuspide de la montaña denominada
Tibi Babo seguiendo el ejemplo de Nuestro Santísimo Padre Leon
XIII que confió a Vuestra Reverencia el honroso encargo de edificar
en la Ciudad Eterna un templo dedicado al Sagrado Corazón de
Jesús vos ofrean prostrados á los piés de la Santísima
Virgen de las Mercedes Patrona de esta Ciudad y Diocesis la cumbre del
Tibi dabo para que os sirvais, asimismo, levantar en ella una ermita
.que, consagrada al Sacratíaimo Corazón de Jesús,
detenga el Brazo de la justicia Divina y atraiga las Divinas. Misericordias
sobre nuestra querida Ciudad y sobre toda la Catolica España.
Recibid, Reverendísimo Padre, nuestra oferta y dignaos confortarnos
con vuestra Santa Benedición.
Barcelona, en el presbiterio de la parroquia de Nuestra Señora
de las Mercedes, día cinco de Majo de 1886.
DELFIN ARTOS, ALVARO M.A CAMIN, FELIPE CAMPS, GME. MORE Y BOSCH, MANUEL
M. PASCUAL, MAURICIO SERRACHIMA, MANUEL TORRA-BADELLA, FELIPE VIVES,
ALVARO VERDAGNER, CARMEN GARRIGOLAS V.a DE TORENT, por D.a CARMEN FONT
V.a DE CALAFELL JOSÉ XIVIYELL.
654
18.
Primitiva cappella sul Tibi Dabo.
Con la debida autorisación y benedición de nuestro Prelado,
hancomenzado los trabajos ,para la erección de una capillita
de estilo gótico, dedicada al Sagrado Corazón de Jesús,
en la cumbre del monté Tibidabo.
Aquella montaña; que hasta ahora servia de estimulo á
la curiosidad por el bello palsaie que domina, servirá también
en adelanté para rendir homenaje de adoracion al Sagrado Corazon
del Criador de tantar maravillas como desde allí se descubren.
Los piadosos barceloneses que durante -la estancia del venerable Dom
Bosco en esta ciudad quisieron honorarle regalándole el citado
monte, verán con alegría levantarse el pequeño
monumento, debido en gran parte á la iniciativa y generoso desprendimiento
de 'algunas personas devotas del Divino Corazón. Bien quisieran
los PP. Salesianos bajo cuya dirección va á levantarse
la capillita, poder dar cima por su proprio esfuerzo á la empezada
construcción; pero las apremiantes y diarias necessidades, harto
difficiles de llenar, de su-benéfico, instituto, les obligan
á confiar para llevarla á feliz termino en el proverbial
y nunca desmentida generosidad de los habitantes de la capital del Principado.
Quiera Dios que la modesta obra che hoy se emprende, pueda ser terminada
en breve plazo, y sea como el cimiento de otra mas grandiosa y digna
del objeto á que se dedica y del pueblo en que se levanta. (Diario
de Barcelona, 30 majo 1886).
9.
La visita di Don Bosco alla Visitazione di Montpellier.
La superiora della Visitazione di Móntpellier ci manda questa
relazione, desunta dalle Memorie del Monastero, sulla visita di S. Giovanni
Bosco. C'était en 1886. Nous eûmes le grand honneur et
le grand bonheur de recevoir à l'interieur de notre Monastère,
et de voir de nos yeux, et d'entendre de nos oreilles, le vénéré
Dom Bosco, de célèbre et sainte mémoire.
Pour le dérober à la foule qui le pressait et le réclamait
de toutes parts, on jugea prudent de le faire entrer furtivement par
notre porte charretière. Il était accompagné de
Don Rua et de Mr Canonge, notre Supérieur.
655
Il se rendit à notre salle de Communauté, où il
nous adressa quelques mots- d'édification.
Nous avions à ce moment à l'infirmerie, une Soeur gravement
malade. La Communauté l'aimait beaucoup à cause de ses
religieuses vertus et désirait fort sa guérison. Nous
le priâmes de l'aller voir dans le secret espoir qu'il ferait
un miracle en sa faveur. Mais après l'avoir considérée
quelques minutes, comme pour s'assurer de la volonté du, Bon
Dieu et des dispositions de son âme, il leva le doigt, et montrant
le ciel dit: «Au ciel, au ciel!.,. ». Ce qui arriva effectivement,
car notre chère Soeur mourut peu après.
Dan& là ferveur de leur vénération pour le
grand thaumaturge, nos Sueurs se mettaient à genoux sur son passage,
et baisaient sa soutane. Mr Canonge, notre Supérieur qui le suivait
de très près, s'en étant aperçu se pencha
vers elles, et leur dit tout bas en souriant: « Ne vous trompez
pas de soutane, car moi, je ne suis pas saint ».
Cette précieuse visite ne dura que quelques courts instants.
La foule qui s'était aperçue de sa disparition et de son
entrée chez nous, était anxieuse de le revoir et le réclamait
avec une sainte impatience.
20.
Lettera del Superiore del- Seminario di Montpellier a Don Bosco,
Très Cher Monsieur l'Abbé,
Vous nous avez causé le plus vif plaisir en nous envoyant avec
vos ouvrages -le précieux témoignage que vous ne nous
aviez pas oubliés. Merci de votre aimable souvenir.
Le Grand Séminaire de Montpellier a gardé la plus touchante
un pression de votre visite. Les bons habitants de la Cité qui
vous ont fait un accueil si empressé seraint prêtes à
recommencer et moi-meme serai prêt à -soutenir vos mains
et à vous protéger contre l'envahissement de la foule.
J'ai pourtant bien sué à contenir le flot du peuple qui
voulait baiser la main d'un prêtre pauvre entre les pauvres et
tout infirme.
A la page 33 de vostre interessant opuscule sur l'esprit'de St Vincent
vous dites: « non si potrà sentire senza sorpresa che Vincenzo
de Paoli sopraccaricato di affari e non camminando che con pena sia
disceso dalla sua camera per distribuire l'elemosina ad alcune povere
donne... »:
En lisant ces lignes; voilà bien, me disais-je, le portrait de
Dom Bosco, « camminando con pena disceso da Torino per distribuire
l'elemosina a povere donne ».
656
Mais savez-vous, très cher monsieur l'abbé, que vous
m'avez laissé un gros chagrin. Je vous ai laissé tout
entier à ce pauvre peuple et je n'ai pu vous causer. Une autre
fois je ne serai pas si désintéressé; je m'enfermerai
avec vous et je vous demanderai vos petits secrets pour porter les âmes
à aimer le bon Dieu.
Lorsque je vous ai demandé votre secret pour régir et
gouverner avec si peu d'ouvriers un si gran nombre d'enfants, vous m'avez
tepondu: - Nous leur inspirons la crainte de Dieu.
Mais ce n'est là que le commencement de la sagesse. Il me foudrait
bien savoir comment vous faites monter les âmes jusqu'au sommet
de la sagesse qui est l'amour de Dieu.
Dans une de nos conférences spirituelles avec les prêtres
venus pour la retraite du mois nous nous somnes entretenus de la methode
employée par St Vincent et par St François de Sales pour
diriger les âmes vers la perfection; nous sommes arrivés
a constater que St Vincent engageait l'âme anéantie devant
la majesté de Dieu à se confier et à se donner
à lui entiérement pour répandre la divine charité
autant que possible, et que St François de Sales se contentait
de proposer à tout le monde, comme a la bonne simplicienne de
chercher en tout le bon plaisir de Dieu.
Et nous avons conclu que la méthode de St Vincent pouvait s'adresser
à des âmes généreuses, mais que la méthode
de St François plus facile pouvait s'adresser à tout le
monde et conduire un plus grand nombre d'âmes à la perfection.
Vous seriez on ne peut plus aimable de me dire, vous, très cher
monsieur l'abbé qui avez bien étudié ces deux grands
Saints, si nous avons rencontré juste en nos jugements.
Un mot de reponse serait de votre part une charité bien accueillie
de tous nos prêtres.
Nous n'avons pas oublié vos deux aimables compagnons de voyage.
Soyez complaisant, pour présenter nos respectueuses amitiés
à Don " Rua et nos cordiales sympathies à votre jeune
disciple bien aimé. Agréez vous même, très,
honoré et très cher monsieur l'abbé, l'expression
de mes sentinents les plus respectueux et les plus affectueux dans lé
souvenir de l'amitié de St Vincent de Paul et de St François
de Sales.
Grand Séminaire de Montpellier.
Fête de la Visitation, 2 Juillet 1886.
DUPUY, prêtre de la Mission
Supérieur du G. S.
PS. J'ai reçu plusieurs demandes de gens qui m'ont offert des
Orphelins pour que vous les receviez. Ce sont des perles précieuses
qui sont destinés à la Jerusalem céleste; avec
elles si vous les recevez
657
vous pourrez acheter le ciel. Il sont pauvres, n'ayant aucun appui,
pas même le mien étant chargé de nombreux séminaristes.
C'est là, je crois, le seul certificat que vous demandez: sicut
aves coeli qui non seminant... neque metunt.
21.
Séjour de Saint Jean Bosco au Grand Séminaire de Grenoble.
(Mai 1886)
Don Bosco, venant d'Espagne où il a visité Barcelone
et le midi de la France où Montpellier, Tarascon et Valence lui
ont fait un accueil enthousiaste arrive à Grenoble qui sera;
je crois, la dernière étape française de ce grand
voyage. Il se présente à l'évêché,
mais S. E. Mgr Armand Joseph Fava étant absent, il est conduit
au Grand Séminaire, tout proche où il résidera
trois jours. C'est ainsi que, 'grâce à l'absence de notre
évêque nous pourrons jouir dé la présence
du Saint,
Nous sommes en 1886 et s'il me souvient bien, au beau mois de. Notre
Dame. Le soleil de mai caresse les colonnes du cloître, et met
en pleine lumière la scene de l'entrée de Don Bosco par,
la porte co
chère. Les séminaristes sont à leurs fenêtres.
Le vénéré Supérieur, Monsieur Robillond,
entouré des Directeurs reçoit l'illustre Fondateur des
Salésiens, accompagné de son confesseur Don Rua, et suivi
d'un certain nombre de personnes qui pénètrent jusque
sous le cloître.
Le voyage, on le sent, l'a quelque peu éprouvé. Mr Robillond
en fait la remarque tout haut: - Mon Révérend Père,
vous paraissez souffrant... Mais personne ne sait mieux que vous combien
la souffrance est sanctifiante.
- Non, non, Monsieur le Recteur, ce n'est pas la souffrance qui sanctifie,
mais la patience! - répond Don Bosco avec un bon sourire, saintement
malicieux (1).
Le bon Pere devient notre commensal. En entrant au réfectoire,
avec nos Directeurs, il dira chaque fois, `à très haute
voix: Buon appetito! Par un vouloir de la Bonne, chère et grande
Providence (2), il se trouve que le lendemain c'est notre carré
(3) qui est de service au réfectoire, et pour surcroît
c'est la table des Maîtres, qui m'échoit et ainsi j'ai
l'insigne honneur de servir, à deux repas, le futur Saint jean
Bosco. Après le Miserere, selon l'usage, les servants prennent
leur repas. Une inspiration me vient: du Ciel sans aucun doute. J e
la communique
(1) J'étais présent à cette scène qui se
passait, près du parloir, au pied de grand escalier.
(2) Expression coutumière de madame de Sévigné.
(3) Le carré est composé de quatre séminaristes
qui se partagent le service des quatre tables.
658
à mes condisciples: - Et si nous nous emparions des ustensile
qui ont servi au saint... qu'en pensez-vous? En les remplaçant
de nos deniers nous serons quittés envers Mr l'Econome à
qui nous confesserons notre larcin post factum.
On peut constater que nous mettions à profit les leçons
de M. le Professeur de Morale!
- Tres bien, très bien! en avant!
Et en deux sauts nous escaladions la table désormais historique.
En revenant chacun avec notre lot en mains, nous ressemblions bien un
peu aux quatre officiers de Monsieur de Marlborough.
L'un portait son grand sabre,
L'autre son bandier,
L'un portait sa cuirasse,
L'autre ne portait... rien!
Avec cette différence que notre quatrième portait l'assiette
au reliefs d'épinards!
Je ne sais si mes bons amis ont conservé leur relique aussi fidèlement
que j'ai gardé la mienne: le verre qu'ils ont bien voulu n'adjuger.
En entrant en Chartreuse je l'ai confié à ma famille et
le dimanche 1 avril 1934 aux agapes pascales; le jour de la Canonisation
de jean Bosco, tous ceux qui étaient présents ont bu à
ce vénérable verre, comme il l'avaient: déjà
fait au jour de la béatification. Plaise au Ciel que parmi mes
quatre bimbi dé neveux il y en est un au moins, qui se donne
au bon Dieu, devienne un saint prêtre et recueille le calice du
grand oncle!
En présence de ces ustensils sanctifiés par un saint comme
Don Bosco nous aurions bien un petit examen à faire. Avons-nous
bu, dans l'Amour, au Calice du Maître, comme Il y invitait, le
soir de la Cene, tous ses Prêtres à venir? Avons-nous;
avec le couteau sacrificateur, coupé sans pitié toutes
les attaches. à la terre? En prenant les aliments corporels,
spirituels, intellectuels avons-nous su manger, c'est-à-dire
garder cette modération, cette prudence et cette sagesse que
le Saint nous enseigne. travers toute sa vie? Enfin ne sommes-nous pas
sortis de l'assiette de notre vocation en nous dirigeant selon nos petites
vues dans les entreprises du ministère sacré?
Grand Saint, rappelez-vous notre larcin, au réfectoire, et à
votre tour réparez nos défaillances par votre intercession
et payez pour nous!
Le lendemain le service des tables est confié aux Frères
Pontistes: société fondée au Séminaire pour
remplir les besognes matérielles. Ces bons abbés, assurément,
méritent quelques distinctions. Notre condisciple, l'abbé
Passion (1), a, comme tel, l'honneur de servir le Saint
(1) Actuellement curé de Corbas (Isère).
659
à table, maià en bon Israélite, in quo dolus non
est, il a la simplicité de demander à M. l'Économe
de vouloir bien lui vendre lé couvert de Don Bosco. Le bon Chanoine
Paillet si pieux cependant leve les bras en l'air et s'écrie:
- Non, non, non et non! - « Pas gros voleur, je le fus petit a,
m'écrivait-il en 1932 en une réponse à ma lettre
où j'essayais de rafraîchir ses souvenir; « je pris
son verre, puis je le perdis! Comment? Je n'en sais rien u. Mon Dieu!
en 46 ans les détails peuvent s'estomper en notre fragile mémoire.
Après une journée, certainement accablante, car il reçoit
beaucoup de visites au Séminaire, Don Bosco vient présider
à la salle des exercices la lecture spirituelle qui est remplacée
par une allocution de Don Rua. Le pieux confesseur de Don Bosco prend
pour theme l'amour de Dieu pour nous. Ses paroles ardentes annoncent
une âme de feu. C'est moins une méditation qu'une contemplation.
Chez le Saint elle devient de l'extase. Des grosses larmes coulent sur
ses joues et M. Robellaud de sa voix si douce et si prenante dit tout
haut: - Don Bosco pleure! - Impossible d'exprimer l'émotion que
cette simple parole provoque dans nos âmes. Les larmes du Saint
sont plus éloquentes encore que les soupirs enflammés
de Don Rua. Nous sommes remués cette fois jusqu'au tréfonds
de l'âme. Nous avons reconnu la sainteté au signe d'amour
et nous n'avons pas besoin de miracle pour exprimer au Saint notre vénération,
en allant de la salle des exercises au réfectoire.
Le Séminaire compte à ce moment près de 120 élèves.
Chacun voudrait baiser la main au Saint. On s'organise en un clin d'oeil.
Deux séminaristes lui soutiennent les bras et le long des arcades,
des deux, côtés, jusqu'au réfectoire, on se succède
pour baiser ces mains qui se sont tendues si souvent en faveur dés
orphelins, des ouvriers et des petits. .
Don Bosco se laisse faire gentiment. En Italie cette coutume de baiser
la main du prêtre est tout à fait dans les moeurs. Elle
tend peutêtre à disparaitre en certaines regions. En France
elle revêt un caractère de vénération personnelle.
Que n'a-t-on pu croquer cet édifiant tableau! Comme il illustrerait
agréablement la présente relation!
Le lendemain matin je rencontre dans le corridor du bâtiment A
notre condisciple Edouard Jourdan, devant la chambre du Père.
Il vient de frapper et personne n'a répondu. - Je voudrais bien
le voir, me dit-il, où peut-il être? - A ce moment un abbé
nous apprend qu'il est au cabinet de lecture. Nous ne faisons ni une
ni deux et nous nous dirigeons vers les cabinets. Nous avons à
peine fait dix pas que le Pere sort. Nous nous précipitons et
tombons à genoux. L'abbé Jourdan lui dit:
- Mon Père, je suis indécis sur ma vocation. Dites-moi
ce que je dois faire.
- A vous, mon ami, il faut venir avec moi. Vous serez Salésien.
660
A mon tour je demande le chemin que je dois prendre, et je reçois
pour toute réponse un geste négatif qui veux dire: - Non,
je ne veux pas de vous. - Sans être bien fier j'étais cependant
heureux d'avoir une décision claire et nette, comme seuls les
Saints peuvent en donner. Je me permets de faire ici une remarque qui
a son poids. Don Bosco a dit oui à l'un et non à l'autre,
mais, il a dit oui et non avec la même assurance, avec la même
vision claire et précise sur l'avenir de l'un et de l'autre sous
l'influence de la même inspiration. Il était aussi grave
pour'mon salut de me dire non que de dire oui à Jourdan.
Le lendemain matin Mr. Rabillond présente notre cours, le cours
des Frères-lais, à Don Bosco qui nous reçoit dans
sa chambre. Nosu nous rangeons autour de lui pour recueillir ses paroles.
Que nous dit-il? D'excellentes choses se rapportant à notre formation
lévitique et à notre préparation au ministère
des âmes, mais dont nous n'avons gardé, après 48
ans, aucun détail typique. Ici nous avons une petite confession
a faire. Il y 'avait chez nous plus de curiosité que d'attention
et nous étions fort distraits par ce qui se passait derrière
le Saint.
Plusieurs d'entre nous avaient apporté des ciseaux., L'abbé
Passion, déjà nommé, le plus audacieux de tous,
me rappelle l'incident en ces termes; «Nous avion la bonne intention
de cisailler la soutane du Saint et de lui soustraire quelques mêches
de ses cheveux crépus. Passe pou; le cheveux mais pour sa soutane
il nous désarma par un regard doux et perçant. On rengaina
». .
L'abbé Anselme (1) m'écrit: «Plusieurs avaient des
ciseaux mais n'osaient s'en servir. L'un d'eux me fit passer l'instrument.
Me croyant plus habile que d'autres je fis le geste mais un regard severe
m'arrêta net. Oh! ce regard... je le sens encore après
48 ans. Il m'a toujours ennuyé et a gâté la joie
de voir et de toucher le Saint: Maintenant je le prie et chaque jour
je l'invoque. Je l'invoquais même avant qu'il fût bienheureux
».
D'après l'abbé Rostaing (2) Don Bosco n'eut pas un regard
aussi sévère pour celui qui avait fait le coup que pour
celui qui essaya de le faire. L'abbé Anselme nous paraît
avoir été un peu trop timoré. « Un de nos
condisciples eut même l'audace de couper le bas de la soutane
avec des ciseaux pour avoir des reliques. Don Bosco s'en aperçus
et dit en riant: - Monsieur le Recteur, vous avez des voleurs ici! -
».
Pour ma part je n'ai pas remarqué le regard sévère
lancé par le Saint à notre cher Anselme mais j'ai bien
entendu les mots: - Vous avez des voleurs ici - et j'ai bien vu le bon
sourire du Pere. Tout d'ailleurs peut se concilier: le regard sévère
ante factum et le sourir
(1) Actuellement curé de Freyzin (Isère).
(2) Actuellement curé-archiprêtre de Vinay (Isère)
et Chanoine honoraire.
661
post factum. Ainsi chez les Saints comme en Dieu la justice et la miséricorde
se donnent un ineffable baiser.
Comme nous sortions de l'inoubliable audience D. Bosco dit encore à
l'abbé Jourdan: - Vous, mon ami, il faut rester avec moi. - Notre
cher condisciple demanda à l'abbé Rostaing comment il
devait répondre à l'invitation du Saint. «Je lui
conseillai, écrit l'abbé, de se rendre a Turin pendant
les vacances selon le désir de Don Bosco. Il devint Salésien
et fit honneur a la Congrégation malgré son peu de moyens
intellectuels. Mais il avait en partage le jugement, le bon sens et
la piété».
Nous avons su en effet qu'il rendit de grands services à sa Communauté
au moment de la tourmente. Vers 1929 (je n'ai pas la date précise
de sa mort) il est venu à Sainte Foy de Lyon où le Cardinal
Maurin, notre ancien évêque de Grenoble, l'avait appelé
pour étudier, établir les plans d'une maison importante
que l'on voulait fonder.
Au soir du 3.e jour la lecture spirituelle est fournie par une petite
vie de Don Bosco qui venait d'être publiée et dans laquelle
sont déjà relatées des grâces obtenues par
le Saint. J'ignore l'auteur de cet opuscule (en français) mais
je me souviens qu'il y était question de la guérison d'une
jeune fille, déjà dans le coma, et de son talent de gymnaste,
grâce auquel il put éloigner de l'église de son
village un saltimbanque qui prenait plaisir à troubler les Offices.
Il fit, parait-il, des tours remarquables au trapeze. Ne pourrait-on
pas le donner comme patron aux Sociétés de gymnastique,
si en honneur à l'heure actuelle?...
Ainsi nous lisions, à la salle des exercices une biographie du
Saint, encore vivant, et qui plus est, se trouvait dans le bâtiment'en
face. Il n'en eut pas la révélation, parce qu'il serait
venu nous gronder... Il faut avouer que cet incident de son séjour,
au Grand Séminaire de Grenoble n'était pas banal.
Inutile de rappeler que pendant les recréations nous allions
lui présenter à bénir, et soumettre à son
contact une foule d'objets... chapelets, couteaux, voire même
porte-monnaie!... Le Saint s'y prêtait avec une grâce charmante
et un sourire exquis de bonté. Un jour sortant du Grand Séminaire
pour aller à la Cathédrale on dut le porter, tellement
la foule était compacte dans la rue du Vieux Temple. Chacun voulait
voir et entendre Il Santo.
Don Bosco nous fit ses adieux au réfectoire. Ses dernières
paroles furent celles-ci: - Que le bon Dieu vous donne la santé
et la sainteté: la santé pour travailler, et la sainteté
pour aller au Ciel.
Que par sa puissante intercession il nous aide à réaliser
son bon souhait à la fois si paternel et si surnaturel!
Ainsi soi-il.
Fr. PIERRE MOUTON
Vicaire de la Chartreuse
de Motta Grossa (Pinerolo).
662
22.
Versi piemonfesi di Don Francesid a Don Bosco.
Finalment! a son doi meiss
Mal contà, che chiel pian, pian,
Lassand tuti i chenr sospeiss
S'na partia lontan, lontan!
Dop d'avei girà, girà
Finalment a torna a cà
Se la Spagna, se la Franssa
L'an mostrà d'voreie bin,
A l'avran pà la baldanssa
D'di c'a supero Turin!
C'anche chiel a l'é tornà
Dop d'avei girà, girà.
Con el cheur ch'an tremolava
Aspettavo minca tant
D'sue notissie, c'an mandava
‘L segretari da lontan:
E i disio: chi sa, chi sa
Quand ca penssa tornè a cà?
Quand D. Ruva, so brass drit
Envers chiel a le partì,
L'oma dit ed arcidit...
Ma passavo e neuit e di
Çhiel girava Franssa e Spagna,
Noi frisio sì n'tla bagna.
Anche l'nii di passarot
Le pa pì nè car, ne bel
Quand c'la mama a la pià l'trot,
L'e volà sot autre ciel: L'oratori? cosa là.
Quand D. Bosc l'è fora d'cà?
Ma, d'co chiel lontan da noi
L'a nen tutti i so bonheur!
Che D. Bosc a le nen d'coi
C'an desmentia n'tel so cheur!
E 'l so amour da la distanssa
A cress sempre n'abondanssa.
I sentio con piasi
Che Nossgnor lo benedia,
Che d'pì d'un a le guarì
663
Da ben seria maladia:
Bele cose! l'on a s'sa:
Ma D. Bosc le fora d'cà.
Com'as'seguita con ï ieui
Na fusëtta n'ciel ca vola,
Anche noi so cari fieui
Che so aspett adess consola,
I giravo d'sa e d'là
Aspettand ca vneissa a cà.
E Maria Ausiliatriss
Quante grassie c'a na fane!
San e sale per coi paiss
A Pa ornalo; e peni n'a dane,
Cost boneur, che chiel a vena
N't'l prim dì dla sua novena.
O che grassia, o che fortuna!
Forra d'arco trionfai!
O Dogliani, canta duna
E ‘l nostr'inno nassional:
Su, Busseti, l re m fa
Che D. Bosc le torna a cà.
Chi peul die l'argioianssa
E 'l piasi che fati a l'an?
Ma c'a lassa ste la Franssa,
Ma c'a vada nen lontan:
Ma c'a staga si n'sua cà,
Che l'amour a la fondà.
23.
Gli operai cattolici di Borgo Dora a Don Bosco.
SEZIONE S. GIOACHINO
DELL'UNIONE CATTOLICA OPERAIA
DI TORINO
Reverendissimo Signore,
Gli Operai Cattolici del Borgo Dora che prendono parte vivissima a
tutto ciò che riguarda il loro Presidente Onorario e per Voi
nutrono la più grande stima e venerazione, sono ora compresi
di indicibile esultanza per tante meraviglie che formarono del Vostro
viaggio una corsa di trionfo.
Lieti del Vostro felice ritorno vorrebbero esporvi un mondo di rallegramenti,
ma la discrezione ha i suoi limiti.
664
Vorrebbero manifestarvi i loro desideri, le speranze, i progetti, ma
a tanto argomento manca oggi la parola.
Non manca però il cuore e non mancherà mai. Domenica vigilia
della festa di Maria SS. Ausiliatrice, noi ai piedi di questa Celeste
Madre, raccolti sotto la nostra bandiera, vicino ai piccoli operai cattolici
dell'Oratorio, offriremo a Maria il nostro voto. Le diremo grazie d'aver
dato agli operai in generale un Don Bosco, ed agli operai americani
un Mons. Cagliero, alla Sezione nostra un tanto Presidente Onorario.
Pregheremo infine Maria acciocchè in un giorno non lontano sia
dato all'Unione Cattolica di Torino ciò che fu dato quest'anno
all'Associazione di Barcellona: Aver Don Bosco in mezzo a noi per un'ora
sola, per baciargli la mano ed avere la sua santa benedizione quale
implorano oggi a nome della sezione i sottoscritti con tutta la riverenza.
Di V. S. Rev.ma
Torino, 16 maggio 1886.
Il Segretario Il Presidente
ALBERTO PIOTON RIVA CARLO
AUREGLIA CESARE ENRIU' ANTONIO
Vice - segretario Vice - presidente
COGGIOLA ANTONIO
Vice - presidente.
24.
Lettera del cardinale Laurenzi a Don Bosco.
Dev.mo e Car.mo Sig. Don Bosco Superiore generale,
Per quanto grande e sincera sia la stima che io nutro verso la degnissima
sua persona e il benemerito Istituto Salesiano, non posso in me disconoscere
l'insufficienza a servirli nel modo che Ella propone nella riverita
sua del 22, con assumere cioè e sostenere con quella assiduità
e maturità che si conviene, le gelose parti di Protettore e dare
alla giovane Istituzione quell'appoggio ed incremento di cui abbisogna
pel suo pieno sviluppo e consolidamento. È un assunto che ben
si conviene ad un Porporato provetto, sperimentato e autorevole, quale
era il compianto Cardinal Nina, ma non ad un primaticcio ed inesperto,
quale io mi riconosco, nel maneggio di alti negozi di Santa Chiesa.
Non le dispiaccia dunque che io la preghi a dispensarmi da questo impegno
ed a volgere il suo sguardo sopra altro meritevole soggetto più
acconcio ai bisogni e all'aspettazione del venerabile suo istituto.
665
Di questa mia risoluzione ho fatto di già consapevole il nostro
S. Padre dal quale non mi è venuto alcun comando in contrario;
ed ora ne rendo lei consapevole, dichiarandomele sommamente grato per
la onorevole preferenza che mi accordava nella sua proposta, ed accertandola
che non per questo resta punto scemata l'affettuosa stima e ammirazione,
nonchè il volenteroso interessamento che io mi vanto di professare
verso la stimabilissima Congregazione Salesiana.
Augurandomi altri incontri per poterlo anche col fatto addimostrare,
mi pregio intanto di dichiararmi con particolare affetto e riverente
considerazione di Lei e di tutti i suoi rispettabili confratelli
Roma, 25 ottobre 1885.
Aff.mo Servitore Vero
CARLO Card. LAURENZI.
25.
Sunto della conferenza fatta dal cardinale Parocchi
a Roma.
Ill.mi Signori e Signore,
Mi guardo attorno, e per quanto sia venerabile il vostro consesso,
o nobilissime dame, che oggi secondo lo stile della vostra bontà
onorate e date importanza all’annuale adunanza delle Opere Salesiane,
permettete che dica con tutta franchezza, che alla Vostra seduta manca
oggi, la gemma più fulgida che soleva risplendere altre volte
in mezzo di noi e dar lustro alla conferenza Salesiana. Io cerco indarno
la veneranda persona di quell'Apostolo della carità moderna,
voglio dire l'ottimo ed infaticabile Don Giovanni Bosco. Noi abbiamo
desiderato che colla sua presenza allietasse e riconfortasse l'opera
piantata colle proprie mani, ed alle nostre dimande rispondesse con
quell'amabile suo sorriso di fratello ed apostolo, con quell'accento
di amico e di padre a tutti sempre propizio. Ma intanto che noi siamo
qui nella casa ospitale delle venerande oblate di santa Francesca Romana,
qui all'ombra della grande Protettrice del Patriziato di Roma, Egli
nella cattolica Spagna, dimentico dei suoi 71 anni, percorre la nuova
Castiglia, e in questo momento ha forse dato compimento all'importantissimo
affare della fondazione della nuova Casa di Madrid ed ha così
compito i desideri di Re Alfonso. Oggi ha forse portato un ultimo refrigerio
alle fiamme a cui vanno soggetti anche i Re, adempiendo uno degli ultimi
desiderii di quel Re profondamente cattolico, di quel Re veramente religioso.
Ma è inutile rimpiangere la presenza di Don Giovanni Bosco in
mezzo di noi, poichè egli potrebbe alle nostre do -
666
mande rispondere col divin Maestro: Quid est quod me querebatis? nesciebatis
quia in his quae Patris mei sunt oportet me esse? A che cercarmi? Perchè
vi confondete, quasi la mia presenza materiale fosse necessaria? Quid
est... Non sapete che devo occuparmi senza posa e senza tregua in ciò
che riguarda le opere del Padre mio? Nesciebatis quia in his quae Patris
mei sunt oportet me esse?
E lasciando che l'Apostolo del presente secolo si occupi delle opere
di Dio nella Penisola Iberica, mandiamogli gli auguri perchè
riesca felicemente nell'opera intrapresa; e a lui benedica S. Ignazio
da Loyola e S. Teresa di Gesù; a lui benedica S. Giovanni della
Croce e San Francesco Borgia; a lui benedica S. Francesco Saverio e
S. Giovanni di Dio; a lui benedica S. Pietro d'Alcantara e S. Ludovico
Bertrando, e a lui finalmente benedica l'innumerabile esercito di Santi
che la Spagna, la terra di S. Giacomo ha dato alla Chiesa Cattolica,
non meno benemerita di questa che della civiltà per aver vinta
e domata la potenza Saracena. Occupiamoci anche noi delle cose nostre;
in his quae Patris mei sunt oportet me esse, in qualche parola di edificazione
sull'opera fondamentale del Salesiano Istituto, tanto più liberi
chè non è presente l'artefice, essendochè la dignità
cristiana prescrive di rispettare chi parla e chi ascolta, e non mettere
alla prova l'umiltà e la modestia di chi è presente; e
valga a provarlo le belle parole di San Pier d'Alcantara al laico che
lo serviva curandogli certe piaghe: Andate adagio, fratello, poichè
sono ancor vivo, e non prendetevi libertà di sorta. Lauda post
mortem. Loda dopo la morte, e in generale, fatte pochissime eccezioni
è uso di scrivere la vita degli uomini dopo la morte, poichè
l'encomio massime alla presenza dei vivi, sebbene siano uomini di tante
virtù da tenersi per Santi, può sempre essere pericoloso
o per tentazione di adulazione o di vanità. Adunque da questo
lato sono più libero nelle parole, senza pericolo di adulazione,
e così senza alcuna nota parlare di quell'opera mirabile, anzi
portentosa che Don Bosco ha piantato nel secolo nostro in mezzo alla
Chiesa, la qual opera è di fede e carità, epperciò
o Venerabili Dame, svolgendo l'uno e l'altro punto, dirò le morali
conseguenze che ne derivano.
Finiranno col 8 dicembre 45 anni dacchè Don Bosco mise la prima
pietra fondamentale del suo Istituto in Torino nel giorno ben augurato
dell'Immacolata Concezione della Vergine Maria, e compartiva ad un povero
giovane trilustre le prime verità della religione, inaugurando
col Bartolomeo Garelli quell'opera che con un solo giovane con tanta
modestia iniziata in Torino, dopo 45 anni prese così ampio sviluppo.
In breve tempo ha dato 62 case, 45 in Italia, 12 in Francia, 3 in Spagna
ecc. senza contare le case delle missioni dell'America Meridionale,
specialmente nella Repubblica Argentina, nell'Uruguay, nella Patagonia...
Non ho la statistica precisa dei Soci Salesiani, delle religiose di
Nostra Donna Ausiliatrice che prestano a Don Bosco l'opera di abne -
667
gazione e zelo ammirabile. Non ho statistica per contare i giovani
allevati nelle case ed Oratori, nè quanti sono i selvaggi dirozzati,
quanti i battesimi amministrati, quante consolazioni spirituali dispensate,
e crederei non andare lungi dal vero, quando assicurassi... numera stellas
si Potes, e conterai allora le opere di questo mansueto ed umile Apostolo.
A noi basti accennare a quell'ammirabile Basilica che sotto i vostri
occhi viene sorgendo quasi per incanto al Castro Pretorio. - A noi basti
ammirare quel Tempio dedicato al Cuor dolcissimo di Gesù con
tanta magnificenza, armonia, e vastità fabbricato dalla generosa
abnegazione di Don Bosco, dai cattolici di tutto il mondo specialmente
italiani. A noi basti dare un'occhiata all'ampio claustro degli ottimi
religiosi e all'altro dell'ospizio dei giovanetti che, non ne dubitiamo
punto, riceveranno quella medesima educazione che s'impartisce a Torino
in Valdocco, a San Pier d'Arena, alla Spezia e in mille e mille altri
luoghi, ove la carità di Don Bosco è venuta aleggiando.
Sarebbe veramente assurdo il dire che quest'opera così meravigliosa
sia stata sviluppata dal consiglio di un politico senza fede, come Urbano
Rattazzi. Associatevi, diceva egli nel 1847, associatevi altre persone
per dare stabilità all'opera vostra, e lasciate qualcuno che
vi rappresenti quando sarete morto. Del resto chi vi succederà
nel vostro spirito e nelle vostre imprese? Quello fu il germe, come
suole dirsi, onde l'Istituto prese vita e movimento, fu la scintilla
onde il passato di 6 anni, viene cementandosi fino a questi giorni.
Io so bene che Dio scherza coi figli degli uomini, e fa profetare a
favore degli eletti, anche le giumente. Ma se questa fu l'occasione
di formare, organare e sistemare il proprio Istituto, la nascita va
attribuita alla fede, la vita alla fede, lo svolgimento alla fede che
trasporta i monti, fede che fa germogliare il grano di senapa, e lo
fa crescere in albero gigante. Ed è la fede di questo Uomo di
Dio che ha dato i frutti preziosi che noi ammiriamo.
Chi non sa la vita di fede di quest'uomo? Lo stesso principio, la culla
dell'Istituto nel dì dell'Immacolata Concezione, non vi ha già
indicato che l'opera metteva la sua base fondamentale nella religione
che veniva ispirata dalla fede? Chi l'ha portato se non la fede ad occuparsi
di questi giovanetti? Non è stata forse l'apprezzazione di quello
che è costata un'anima all'Uomo Dio, e dell'altezza dei destini
a cui essa è chiamata? Non fu l'intimo convincimento del diritto
supremo che ha Dio di essere adorato, amato, servito dalle creature
ragionevoli, che lo ha spinto ad occuparsi di questi fanciulli? E tutto
questo non è spirito di fede? Si può dubitare che in quest'opera
non ci sia entrata la fede? - Io lascio la vita privata di questo Servo
di Dio; non solleviamo la cortina che copre le sue virtù e il
velo di modestia che lo circonda, che anche volendo non sarebbe nè
giusto nè conveniente, ma guardando le opere esteriori, e dal
germe giudicando del frutto, non esitiamo a dire che l'opera di Don
Giovanni Bosco fu un'opera
668
di viva fede: e i seguaci di lui, i suoi benemeriti alunni hanno continuata
colla stessa fede l'opera da lui impiantata. A chi per poco visiti la
casa che a fianco del. Santuario di Nostra Donna Ausiliatrice sorge
in Torino, e percorra come è avvenuto a me, quella città
vivente di giovanetti, quali occupati nelle sonanti officine, quali
a tavolino taciti ed immobili allo studio, quali pendenti e taciti dal
labbro del Maestro, quali raccolti intorno al Confessionario, quali
genuflessi sotto le ali di Maria Ausiliatrice a cantarne le lodi, o
tutti insieme raccolti in piedi o seduti intorno al redivivo Filippo
poco dopo il tramonto, quando un raggio di luna discende a illuminare
la illustre città e indora la veneranda canizie dell'uomo di
Dio, pendere quasi estatici dal labbro dell'uomo Venerando a udire poche
e semplici parole che come la pioggia fa, cascare a proposito in terreno
ben preparato; e questi stempera in lagrime, altri eccita al sorriso,
tutti invita a, vita nuova ed a magnanime risoluzioni, quando, ripeto,
considero tutto questo, dico: qui il mondo non c'entra niente, qui la
carne ed il sangue bussano indarno alla porta: non c'entra che la fede.
Quando si considerano gli annali e la storia delle loro Missioni nell'America
meridionale, ove oltre le difficoltà generali (e basta avere
per poco cognizione degli annali della propagazione della fede per intenderlo)
vi se ne aggiungono di quelle del tutto speciali; clima stemperato,
popolazioni miste, tradizioni corrotte, selvaggi che non conoscono Dio,
popoli inciviliti peggiori dei selvaggi, forestieri che affluiscono
per lucro e speculazione, e parlano lingue diverse, portoghese, indo,
spagnuolo; superstizioni da una parte, freddezza dall'altra, indolenza
in tanti Ministri del Santuario, Governi astiosi contro la Chiesa, Società
Massoniche, costumi rotti e perduti ecc. ecc. di tutte queste cose facciamo
una miscela, di questi elementi un composto, e senza molta erudizione,
basterà di per sè a far conoscere come quella parte d'impresa
dei Salesiani in America sia ardua. Quell'impresa che ha stancato tante
braccia e esauste le forze di tanti Ordini benemeriti prima di loro
è rifiorita nella Chiesa di Dio nell'umile e moderna Congregazione
Salesiana, così disponendo Iddio Padrone dei suoi doni. Il vincere
tante difficoltà, i sospetti dei Governi, il conciliarsi la stima
dei Vescovi e dei Cleri, disarmare le sette nemiche di Dio e della Chiesa,
e andare angioli di pace benevisi a quegli uomini che in viso umano
portano un cuor di tigre, non è altro che opera di fede. È
la fede che ha fatto nascere quell'opera, che l'ha trasfusa nei suoi
figli i quali la conserveranno se a Dio piace e se ascolta i nostri
voti. Oh se fosse questo solo il benefizio apportato da Don Giovanni
Bosco, sarebbe già assai rilevante. Scriveva pochi giorni sono
un romanziere della Francia tutt'altro che tenero della Chiesa, il cui
nome è intollerabile nella Casa nel Signore, e scrivendo egli
come il potrebbe Lucifero quando Iddio gli permettesse di scrivere quel
che sente: “ Ah pur troppo questo secolo che viene a morire, che
cosa ha
669
edificato nell'ordine intellettuale e morale? Nulla. Tutto ha distrutto,
tutto ha annientato col suo scetticismo. Coi suoi miraggi ha sollevato
i popoli, e non ha potuto mantenere le sue promesse: ha armato gli operai
e dato pietre in luogo di pane, ha suscitato malvagie passioni senza
contentare alcuno, e sollevato il dubbio in tante intelligenze. Questo
secolo tramonta, per la fede non seppe surrogare nessun sistema, nessuna
idea, anzi ha distrutta nei popoli la tranquillità e la morale
”. Sono queste pressappoco le parole di uno, che è forse
il più empio e scettico degli scrittori francesi. E questi ha
detto tuttavia, che la distruzione della fede è il più
gran male del mondo! Ora io dico, se l'Opera Salesiana non facesse altro
bene che rianimare la fede dove è morente, renderla viva dove
è morta, scintillante dove è languida ed incerta, questo
solo basterebbe a mostrare l'Istituto di Don Bosco come una vera opera
di fede.
Ma l'altra leva, l'altra ala è la carità. La fecondità
delle opere di Don Bosco deriva dalla fede e dalla carità; dalla
fede, poichè questa è la vittoria che vince il mondo come
dice S. Giovanni: Haec est victoria quae vincit mundum, fides nostra.
Dalla fede, perchè Dio vuol sempre dimostrare chè è
Egli che regna, che è Egli il solo Padrone del nostro cuore.
Dominus regnavit decorem indutus est. Il suo onore non lo cede a nessuno,
ed appunto per questo ha donato esempi incomparabili. Se Egli Verbo
di Dio si è umiliato fino alla morte per cui il Padre lo ha esaltato
dandogli un nome che supera ogni altro nome, si è perchè
noi povere creature imparassimo ad annientarci per amor suo, purchè,
sia resa a Dio la gloria che gli è dovuta. Non vuole che l'uomo
osi con enorme petulanza contendergli il diritto che Egli ha per tutto
il creato. Il Signore ha fatto che alle opere architettate dalla sapienza
umana, un soffio venga presto sopra, e l'estingua, come fa il vento
sopra una fiamma, e doni la fecondità, la dilatazione e la stabilità
a quelle opere che furono piantate, fecondate e coltivate mirabilmente
dalla fede. Per questo vi ha differenza tra gli eroi del mondo e gli
eroi della Chiesa, fra le opere dei Santi, e l'opera degli uomini del
mondo anche rispettabili. Onde vediamo uomini idioti che appena sapevano
di lettere, fondare Ordini religiosi che si conservano anche oggi. L'ordine
di S. Francesco d'Assisi piantato da un uomo quasi idiota, copre da
sei secoli colla sua ombra salutifera tutta la terra. Tante altre istituzioni
che furono architettate da uomini prudentissimi, che hanno provveduto
a tutto, non hanno provveduto che le opere fossero immortali e non dovessero
perire. Quando egli concede vita e perpetuità ad un'opera, se
non vogliamo negar fede ai nostri occhi, dobbiamo credere sia questo
il sigillo, il carattere che da una fede quest'opera è stata
iniziata, e condotta immancabilmente dalla carità. Ed in vero,
che cosa è la carità se non la fede in azione? Giacchè
secondo la dottrina teologica, la fede del cristianesimo è virtù
fondamentale che cresce di un grado nella speranza, e si rende perfetta
nella carità.
670
Come nell'ordine umano e razionale il convincimento dell'intelletto
non basta se non vanno unite le opere, giacchè se uno ha una
convinzione ed opera diversamente, mostra di avere una convinzione incerta
e dubbia, come adunque nell'intelletto, prova della persuasione è
l'operare a seconda di quella, così accade che la riprova di
una fede viva siano le opere buone: Dimostrami colle tue opere quella
fede che cogli occhi non vedo, dice l'Apostolo S. Giacomo. La carità
non è altro che fede attiva, fede formata dal sacrificio, dalla
generosità, dall'adesione del nostro cuore a Dio, bene fra tutti,
massimo; e al prossimo che rappresenta l'immagine del Dio vivente. Ora
non può essere divina quell'opera la quale quantunque iniziata
a nome della fede, non ha per compagna la carità di Gesù
Cristo, e se colui che vi pone mano guarda piuttosto alla propria borsa,
che all'onor di Dio, se cerca piuttosto il proprio bene e tira l'acqua
al proprio molino: se non vi cerca che il proprio gusto, se mira alle
cariche ecclesiastiche e secolari, se mira agli onori ed ai compensi,
ad assodare la famiglia a moltiplicare il patrimonio e i capitali, quest'opera
non può essere che umana, e presto o tardi è condannata
a perire. Dio è purità per essenza, spirito semplicissimo
ed alieno dall'ombra della colpa, ed osservano quel medesimo spirito
quelli le cui opere sono fondate sullo spirito della carità.
Io inculco questo principio, che le opere buone siano fecondate, siano
irrorate dalla fede, ma bisogna che le cresca e le perfezioni la carità;
che vi sia la bontà dei principii, quella rettitudine e sicurezza,
quell'abbandono, quell'annegazione e quel sacrificio che solo inspira
la carità. Major horum Charitas.
Ora m'appello a Voi, Venerabili Dame, se nelle case di Don Bosco vi
sia o no la carità. Se non c'è qui dove sarà? ove
avremo da riconoscerla? In questo caso converrebbe dire che la carità
se ne fosse andata di mezzo a noi, che avesse esulato o che fosse perita;
ma è impossibile fino a che in mezzo a noi v'hanno delle anime
giuste che aspirano alla propria santificazione, finchè vi hanno
dei poveri da aiutare e Pauperes semper habetis vobiscum, ci dice il
Signore. Questa opera di fede fu dalla carità e dallo zelo delle
anime continuata per mezzo degli Oratorii. È stata, la carità
che associò tanti compagni a Don Bosco, che li animò a
sostenere tante pene, tanti dolori, persecuzioni, sacrifici; la carità
che li ha sorretti fino a noi. Egli, l'Apostolo dei nostri giorni, ebbe
in vista la gloria di Dio, e volle che Iddio fosse conosciuto, adorato
ed amato da tutto il mondo. I mezzi di questo Apostolo non furono le
vane aderenze, non i favori dei potenti, non il ricco patrimonio, non
il grido di filosofo o di letterato. Egli non è ricco, non è
diplomatico se non forse negli affari che si commettono ai Santi. Si
sa che Don Bosco non è uomo politico, per quanto sia in relazione
anche coi grandi; per quanto sia colto e scrittore di varie opere, non
mai pretese aver aria di scienziato. Umile e modesto, scrive come pensa
e parla, ed i suoi libri passeranno ai posteri come
671
l'espressione, come l'impronta della vera semplicità e dell'umiltà
profonda in mezzo a questo secolo petulante. Don Bosco è uomo
nel Signore, i suoi mezzi sono la preghiera, il buon esempio, la mortificazione,
il sacrificio, la mansuetudine e soprattutto la pazienza inalterabile
che si rileva ai movimenti tardi e gravi, alla parola pesata e breve,
all'accento dolce e insinuante. Chiama amici e benevoli quelli uomini
che gli sono nemici e persecutori. Mansueto e tollerante, s'insinua
presso tutti ed ammansa anche le fiere più ispide del deserto.
Io non esagero su quanto vi ho detto di questo uomo giusto che voi conoscete
di presenza e di cui avrete letto qualche biografia; credo anzi di non
avervi detto che una quinta parte di quello che potrebbe dirsi, e ne
è splendida prova quello ispirito che noi vediamo trasfuso anche
nei suoi figli. Ha preso perciò a patrono un Santo che è
sinonimo di dolcezza e carità cattolica, e al suo Istituto diede
il titolo di S. Francesco di Sales del quale Egli è l'immagine.
Nè solo del nome si contentò, ma volle che la fisonomia
di questo Santo, l'amabilità cioè, e la mansuetudine fossero
il programma, il mezzo, il fine della sua istituzione. E per quanto
siano sapienti le leggi organiche dei Chierici Regolari di S. Gaetano
da Thiene, di S. Ignazio di Loyola, e di tutte le altre congregazioni
fino ai nostri tempi, tuttavia chi esamina l'Istituto di Don Bosco deve
persuadersi che Egli non solo cercò di emulare queste leggi sapientissime,
ma volle assolutamente che la caratteristica dominante fosse la carità.
Nelle leggi di Ignazio vi domina la saviezza, la previdenza. Egli è
un capitano spirituale, ma sempre un capitano, un generale che cambiata
la politica di quel secolo colla politica deificata del Vangelo, si
strinse ai lombi una fascia, ed invece della spada impugnò il
crocifisso, non facendo che cambiar bandiera. La sua caratteristica
è la previdenza, l'aggiustatezza, la fermezza, l'ordine e la
simmetria; un'architettura ammirabile, un capolavoro. Nel disegno di
Don Bosco la cosa è più semplice, più alla buona,
ma vi domina la carità;, omnis spiritus laudet Dominum. C'è
quel divario che vi ha tra le lettere di S. Paolo e di S. Giovanni.
Uno taglia di un colpo di spada gli errori, l'altro predica la carità
in tutti i toni: Filioli diligite alterutrum. Il Salesiano Istituto
coi suoi Oratorii, colle sue scuole vi predica continuamente la carità.
A prima vista voi non distinguete i figli di Don Bosco dai preti secolari,
chè non hanno abito particolare; ma al contegno dignitoso e grave,
ai modi, alle parole ed allo spirito facilmente li ravviserete per buoni
preti tutto zelo per la gloria di Dio ed informati allo spirito di carità.
Fede viva, carità ardente, eccovi il segreto di quest'opera in
sì breve lasso di tempo così ben radicata e già
tanto dilatata. Fede e carità, eccovi il segno caratteristico
delle Opere di Don Bosco, senza il quale non vi ha opera egregia che
nasca, o nata, possa durare e dilatarsi.
Conchiudeva quindi rivolgendo la sua parola in maniera speciale alle
madri di famiglia, dicendo che per loro lavora infaticabilmente
672
questo uomo di Dio e pei loro figli: che non era sufficiente un sentimento
di venerazione e di stima per l'opera e pel fondatore, ma che anche
Elleno, colla carità dovevano corrispondere e cooperare a tanto
bene. La fede sarebbe sterile senza la carità; e conchiuse il
suo mirabile discorso accennando ad opere insigni di carità che
già esistono in Roma, ma non sono sufficienti alla sempre crescente
popolazione; e che è carità fiorita concorrere all'edificazione
dell'Ospizio del Sacro Cuore e al mantenimento, di quei giovanetti che
crescono su speranze della religione e del Cielo, e Dio ricompenserà
largamente un giorno le anime benefiche e caritatevoli, quando dirà:
Io aveva fame, e voi mi avete dato da mangiare, aveva sete e mi avete
dato da bere ecc.
26.
Lettere di Prelati
recentemente inscritti fra i Cooperatori Salesiani.
a) Cardinale Melchers.
b) Cardinale Lodovico Jacobini.
Rev.mo Signore,
Ho ricevuto il Diploma di Cooperatore Salesiano offertomi da V. S.
Ill.ma, come pure il volume dei Bollettini che si riferiscono alla storia
dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Mi era già ben noto il
gran
673
bene che questa opportuna di lei istituzione ha arrecato alla gioventù
abbandonata. Non tutto il piacere pertanto accetto di far parte di una
società si benemerita e che gode di tanti favori spirituali ad
essa accordati dal Capo della Chiesa.
Nel ringraziarla poi dell'invio dell'indicato volume, mi pregio confermarle
i sensi della mia distinta stima.
Di V. S. Rev.ma
Roma, 25 Maggio 1886.
Aff.mo nel Signore
L. Card. JACOBINI.
C) Cardinale Alfonso Capecelatro.
Veneratissimo Sig. Don Bosco,
La ringrazio vivamente che si sia compiaciuto di annoverarmi tra i
Cooperatori Salesiani come ho veduto dalla pagella speditami. Io considero
ciò non solo come un onore ma come un vero benefizio spirituale.
Procurerò di fare ascrivere altri; e intanto mentre che la ringrazio
pure del Bollettino mandatomi, mi raccomando quanto so e posso alle
orazioni di lei alle quali ho grande fiducia.
Con sensi di vera stima e affetto sono
Capua, 27 maggio 1886.
Dev.mo e aff.mo servo
+ALFONSO Cardinale Arcivescovo.
d) Monsignor Vincenzo Berchialla.
Rev.mo Padre in Cristo,
Benchè fin dal 1878 aggregato dalla P. V. Rev.ma ai Cooperatori
Salesiani, quando ebbi il piacere di passar con Lei poche ore a Lanzo,
ho tuttavia accettato con riconoscenza il nuovo titolo che Ella me ne
ha spedito testè colla data del I° maggio, arrivatomi a Cagliari
il 22 insieme col volume del Periodico il quale contiene la Storia del
suo tanto benemerito Istituto.
Ben pochissimo è certo quello che io posso fare in prò
della sua veneranda Congregazione avendo qui un mare magno di Opere
da sostenere e indirizzare: piuttosto io spero sempre che un giorno
o l'altro si adempiranno i voti del mio carissimo antecessore mons.
Balma ed i miei, voti ardenti e continui perchè una schiera di
Salesiani temprati vigorosissimo spirito di mortificazione e di zelo
vengano a prendere cura nella nostra gioventù abbandonata.
Oh che rovine! Il Catechismo in città fatto Dio sa come! non
un collegio cristiano; non una scuola o un oratorio pei maschi; truppe
674
incondite di giovanetti scioperati, sucidi, ignoranti, ignorati perfino
dal loro genitori. Se la S. V. vedesse co' suoi occhi tali cose, non
potrebbe non muoversi a pietà di tanto abbandono.
Il generale degli Scolopii, con tutta la sua autorità non fu
potente a riunire insieme una mezza dozzina de' suoi religiosi dispersi,
i quali fanno poco o nulla, e godono pensioni, ed hanno croci al petto,
e si fecero belli e ricchi patrimoni col voto solenne di povertà.
Ho i missionari che lavorano assaissimo, ma essi hanno sulle spalle
60 Suore di Carità con oltre una mezza dozzina di stabilimenti;
senza contare la scuola di latino e di morale che fanno ai miei chierici
adulti, uniti coi chierici di tre altre diocesi.
Perciò quando verranno i suoi figli troveranno due grandi cose
per loro; cioè duemila ragazzi da educare e farne buoni operai
cristiani, e duecento giovanetti da istruire nelle scuole ginnasiali
ed incamminarli a divenir buoni cittadini.
E la Provvidenza divina si trova anche in mezzo alle miserie di questa
isola affamata.
Le bacio la mano e raccomandando me e la mia diocesi alle sue orazioni,
mi dichiaro
Cagliari, 25 maggio 1886.
Aff.mo e dev.mo servitore
VINCENZO GREGORIO, Arcivescovo.
27.
Dedica della Vita di Mamma Margherita.
UN MAZZO DI FIORI.
In questo dì che il nome tuo si onora
Darti dell'amor mio pegno bramai
E tra i boschetti del giardin di Flora
Di un vago mazzolino in cerca andai.
Cercava un serto di te degno e allora
Si udì una voce: Invan cercando vai!
Non dargli fior che appena nato mora,
Cercalo in ciel e là lo troverai.
E fui condotto allor sovra le stelle
E in giardin di fior divini adorno
Scelsi le specie più fragranti e belle.
Ed ecco i fior che avranno eterna vita,
Il cui profumo ognor ti aleggia intorno!
Son le virtù di Mamma Margherita!
(Don LEMOYNE).
675
28.
Lettera dell'Associazione Cattolica di Barcellona a Don Bosco.
Ill.mo Señor Dom Bosco,
Las profundas simpatías que vuestra venerable persona supo conquistarse
en la Asociación de Católicos durante la estancia para
nosotros breve de V. S. en Barcelona, han recibido nuevo sello de inestinguible
afecto en el reciente viaje de nuestro secretario h. de Font á
la ciudad de Turin, para representarse en la gran festividad de vuestro
Patrono S. Juan Bautista.
Enterada con intima satisfacción esta junta de las singulares
muestras de distincion y aprecio que en la persona del h. de Font hemos
recibido todos tanto de parte vuestra como de vuestros nobles Hermanos
del Capítulo, y también de todos los señores socios
y de vuestros carissimos acogidos, ha acordado que se os den, muy venerable
y amado señor nuestro, las más sinceras gracias y que
se os reiteren les ofrecimientos de leal fraternidad que hácia
la Institución Salesiana os hicimos personalmente.
Haga el Señor de las misericordias que de día en día
prosperen más y más vuestras obras de Cristiana regeneración,
y multiplicándose los Talleres Salesianos por los cuatros ángulos
del mundo, den mucha gloria á Dios, salvando inumerables desgracias.
Dios guarde á V. S. muchos años.
Barcelona, 14 de julio de 1886.
El secretario
JOAQUIN DE FONT.
El presidente
BARTOLOMÉ FELIÚ.
29.
Lettera del Vescovo di Pinerolo a Don Bosco.
Ven.mo sig. Don Bosco,
Venne da me il sig. Duina Prevosto d'Abbadia annunziandomi per parte
della S. V. Ven.ma che Ella sarebbe venuta a Pinerolo nel p. v. sabato
10 corrente mese. Non avendo il predetto sig. Prevosto indicato l'ora
dell'arrivo di V. S. Veneratissima, la prego di farmela tosto notificare
dal suo sig. Segretario affinchè io possa mandare la vettura
alla stazione a tempo debito.
676
Godo che Ella siasi finalmente decisa di recarsi a respirare qui un'aria
meno calda ed in attesa di poterla riverire di presenza mi riprofesso
Di V. S. Ven.ma
Pinerolo, li 7 luglio 1886.
Oss.mo ed obb.mo servo
† FILIPPO, Vescovo.
30.
Lettera del Vescovo di Périgueux a Don Bosco.
Mon Révérend Père,
J'ai l'honneur de vous remercier de l'hommage que vous avez bien voulu
me faire de la traduction française de votre ouvrage: Le catholique
dans le monde.
Cet ouvrage est excellent Sous tous les rapports. Vous y donnez une
démonstration fort solide de la mission de l'Eglise examinée,
d'abord en elle-même, puis comparée aux religions qui la
combattent. Tout ce que vous racontez des origines du schisme. grec,
des hérésies vaudoise, protestante etc. est puisé
aux meilleurs sources et à l'abri de toute critique. Quant à
l'exposition, le style en est simple, parfois familier, mais, en cela
même, il ne fait qu'ajouter à la force des preuves et à
l'exactitude de la doctrine.
J e fais des voeux bien Sinceres pour que l'ouvrage obtienne le succès
qu'il mérite et produise le plus grand bien.
Agréez, Mon Révérend Père, l'assurance de
mes sentiments bien respectueux en N. S.
Périgueux, 8 Juillet 1886.
† N. JOSEPH
Ev. de Périgueux et de Sarlat.
31.
Lettera del cardinale Place a Don Bosco.
Mon cher et Vénéré Père,
Je ne peux sans confusion comparer la date que je viens d'écrire
en tête de cette feuille à celle de la lettre que vous
avez eu la bonté de m'écrire, et à laquelle je
n'aurais. point ainsi tardé à répondre si je ne
m'étais trouvé dans l'impossibilité de le faire
plus tôt, par suite des accablements de toutes' sortes où
je ne cesse pas d'être.
677
Vous connaissez assez mes sentiments déjà anciens et
toujours les mêmes pour vous, mon vénéré
Père et ami, et pour la famille Salé- sienne pour croire
que parmi les témoignages de sympathie que j'ai eu la consolation
de recevoir, le votre m'a été particulièrement
cher. Vous me rappelez dans les termes les plus obligeants pour moi
le lien qui m'unit à votre chère Congrégation;
je m'en garde de l'oublier moi-même et j.'en suis tres heureux
puisqu'il me donne la confiance, ainsi que vous voulez bien d'ailleurs
me le dire, de compter sur vos ferventes prières, dont la dignité
à laquelle le Saint Père, malgré mon peu de mérite,
a daigné m'élever; me rend l'assistence plus nécessaire
en rendant mes obligations plus étroites et mes responsabilités
plus pesantes.
Veuillez agréer, mon cher et vénéré Père,
la nouvelle assurance de mon très religieux et tres fidèle
dévouement en Notre Seigneur.
Rennes, le 8 juillet 1886.
CH. PH. Card. PLACE
Arch. de Rennes.
32.
Lettera di Don Bosco all'architetto Levrot.
Bien Cher Mr Levrot,
J'ai reçu votre bonne lettre 30 Juillet p. p. qui m'annonce que
Mme V.e de Montbrun vous a remis mille francs pour mes oeuvres. Deo
gratias et Mariae, veuillez à la première occasion présenter
à cette bonne dame mes remerciments les plus vifs, avec l'assurance
de mes prières et de celles de mes nombreux orphelins pour son
bonheur spirituel et temporel, et pour que "le bon Dieu, par l'intercession
de N. D. Auxiliatrice la console, et lui aécorde beaucoup de
santé et de sainteté, et une longue vive pour le bien
de nos pauvres oeuvres, et pour sond gran mérite pour la Patrie
Céleste, où l'âme regrettée de son cher mari
déjà jouit le grand prix de sa charité.
Je vous autorise maintenant à remettre les mille francs à
Don, Cibrario, parce que sa maison dans son petit a besoins de tout,
comme toute autre de nos maisons qui n'abondent que de dettes et de
créais-, ciérs. je prie cependant le bon Dieu à
dignement récompenser votre généreuse bienfaisance
envers la pauvre maison de Vallecrosia.
Que le Seigneur répande ses meilleures bénédictions
sur vous et sur toute votre chère famille, et que N. D. Auxiliatrice
vous obtienne à tous, santé, sainteté et tout bonheur
qui n'est pas contraire au bonheur éternel.
Ma Santé, grâce à Dieu, est un peu améliorée,
mais accompagnée
678
de mille indispositions. Agréez, Monsieur l'Architecte, mes
hommages
respectueux et reconnaissarits, et priez aussi pourì moi qui
suis à jamais en N. S.
Turin (= Pignerol), ce i août 1886.
Votre très obligé serviteur
Abbé J. Bosco.
33.
Lettera di Don Bonetti a Mons. Cagliero.
Car.mo e Rev.mo Mons. Cagliero,
Ti sarà caro che ti dia qualche notizia colla stessa mia penna
sebbene stemprata. Anzitutto avrai veduto dal catalogo che quest'anno
avrà luogo la elezione della superiora generale, perchè
termina il sessennio cominciato dalla defunta Suor Maria. Non si sa
se la elezione si farà a Nizza o a Torino per comodità
di Don Bosco, ma probabilmente avrà luogo nella 2ª quindicina
di Agosto e in Torino. Verranno anche le direttrici di costà?
Andrebbe mica male che l'America fosse rappresentata. Dunque pensaci
e manda almeno la Ispettrice colla Direttrice patagonica. Del danaro
ne avete, e poi chi sa che qualche anima buona sapendolo vi aiuti in
proposito. Venendo bisogna che partano presto, perchè siamo già
avanti.
Lo stato sanitario delle Suore continua de more solito; ma nondimeno
quest'anno siamo ancora andati innanzi alla meglio senza disturbo delle
case. Vi sono alcune però che fanno le bènne (I) ( ...
); ma Dio ce ne manda, e direi fin troppe, postulanti, motivo per cui
Suor Enrichetta è sovente in pena di doverne rimandare indietro,
e piange perchè piangono. Ma mettiamo in pratica: omnia probate,
quod bonum est tenete.
Lo stato morale ha molto del buono, e quindi sono sicuro che Dio ne
avrà gloria ed onore Maria Ausiliatrice; ma ne abbiamo anche
alcune che ci fanno girare il capo ( ... ). Quando saprai che io ne
mando a spasso taluna non credere al rigorismo ma all'amore verso l'Istituto.
Forse sarai stato tu stesso più volte in procinto di fare lo
stesso, ma non l'hai fatto perchè o ne avevi bisogno, o speravi
in un miglioramento. Prima però di venire a tali atti si pensa,
si consulta Don Bosco, si domanda il parere del capitolo di Nizza, ecc...
A Nizza si fabbricò, prolungando la manica accanto alla chiesa
e facendo posto per le quasi 100 educande. A queste ho dato giorni
(I) Bènna, voce piemontese, “ capanna ”. Fé
la bénna si dice dei polli che hanno i frasconi, cioè
trascinano le ali per debolezza e crocchiano; quindi semplicemente “
crocchiare ”. Figuratamente, “ essere malazzato ”.
Anche in italiano “ crocchiare ” significa “ essere
cagionevole ”.
679
sono 3 giorni di Esercizi, ed ora innanzi si farà così
tutti gli anni ancora con buon risultato. La Madre generale partì
ieri per Marsiglia conducendo seco Suor Elena Mainard per darla compagna
con Suor Passerini a Suor Sampietro, la quale andrà direttrice
ad aprire una casa di suore con laboratorio ed oratorio in una casa
lasciata da due sorelle ottuagenarie a noi in Guines presso il passo
di Calais non lontano da Lilla. Don Bosco e Don Rua sperano che sarà
semenzaio di suore francesi. La casa si aprirà per la festa di
M. Aus.
Sabato aspettiamo Don Bosco di ritorno dalla Spagna per Modane. Delle
cose spettacolose, colà avvenute dico nulla, perchè parte
le avrai dai giornali e parte dalle lettere circolari. Aggiungo solo
che il penultimo giorno che stette colà un comitato di Signori
andò a fargli donazione di una montagna altissima sopra cui la
tradizione dice avere Satana portato il Salvatore per mostrargli i regni
del inondo e che conserva il nome: Tibi dabo. In un sogno precedente
Don Bosco lo aveva sognato e quando ricevette in udienza i donatori
si lasciò sfuggire di bocca: Dio me lo aveva detto. Spero che
Don Lemoyne scriverà tutto a suo tempo. Sempre più ci
persuadiamo che Don Bosco è uomo di Dio, e che noi siamo bene
avventurati dì essere suoi figli, tu specialmente che ne sei
il più illustre. Dio e la Madonna ti benedicano e ti aiutino
a procurarti una splendida corona in cielo, dopo che avrai cinta con
coraggio la corona di spine in sulla terra. Saluta la nobile tua Curia,
o meglio la tua corte, tra cui il tuo segretario, e Don Costamagna,
non che le suore, raccomandandomi alle loro preghiere. Sono con tutta
stima ed affetto
12 maggio 1886.
Tuo aff.mo amico e confratello
Sac. Gio. BONETTI.
34.
Membri del quarto Capitolo Generale.
Nelle firme apposte all'atto di chiusura i nomi si succedono nell'ordine
seguente:
I. Sac. Gio. Bosco.
2. ” Michele Rua (Vicario Generale).
3. ” Celestino Durando (Già Prefetto gen., eletto Consigliere
gen.).
4. ” Giovanni Bonetti (Dir. spir. gen. eletto).
5. ” Antonio Sala (Economo gen.)
6. ” Francesco Cerruti (Cons. Scolastico Gen.).
7. ” Giuseppe Lazzero (Cons. gen. e Dir. Degli Artigiani nell’Orat.).
8. ” Domenico Belmonte (Prefetto gen. eletto, già Dir.
A Sampierdarena).
9. ” Francesco Dalmazzo (Procuratore e Direttore a Roma).
680
10. ” Sac. Paolo Albera (Ispettore in Francia e Dir. a Marsiglia).
11. ” G. B. Francesia (Ispet. nel Piemonte e Dir. degli stud.
nell'orat.).
12. ” Luigi Lasagna (Ispettore per l'Uruguay e il Brasile).
13. ” Giulio Barberis (S. Benigno Canavese).
14. ” Gius. Daghero (Magliano Sabino).
15. ” Gius. Monateri (Varazze).
16. ” Nicolao Cibrario (Vallecrosia).
17. ” Bussi Luigi (Nizza Monferrato).
18. ” Cesare Cagliero (Valsalice).
19. ” Guidazio Pietro (Lanzo).
20. ” Gioanni Branda (Sarriá).
21. ” Giuseppe Bologna (Lilla).
22. ” Carlo Farina (Penango).
23. ” Giovanni Chiesa (Catania).
24. ” Luigi Rocca (Alassio).
25. ” G. Batt. Rinaldi (Faenza).
26. ” Giovanni Bensi (Lucca).
27. ” Ernesto Oberti (Utrera).
28. ” Angelo Bordone (Randazzo).
29. ” Giovanni Tamietti (Este).
30. ” Carlo Bellamy (Parigi).
31. ” Varaia Antonio (St.Cyr).
32. ” Stefano Febbraro (Firenze).
33. ” Luigi Cartier (S. Margherita presso Marsiglia).
34. ” Bertello Giuseppe (Borgo S. Martino).
35. ” Veronesi Mosè (Mogliano Veneto).
36. ” Lemoyne G. B. (Segret.).
37. ” G. Marenco Seg. (Dir. di S. Giov. Ev. a Torino).
Mancano le firme di Don Ghivarello (Mathi), Don Leveratto (La Spezia),
Don Perrot (Navarra), Don Ronchail (Nizza Marittima) e di tutti i Direttori
d'America. Don Lazzero, scrivendo a monsignor Cagliero (Valsalice, 3
settembre 1886), diceva: “ I Direttori al Capitolo vi furono proprio
tutti, neppur uno eccettuato, se togli quei dell'America ”.
35.
Pagine autobiografiche di Don Nespoli (I).
(...) Verso l'agosto del 1871 mia madre mi manifestò il disegno
che aveva concepito la Signora Casati intorno a me, di farmi cioè
stu -
(I) Don Nespoli, destinato nel 1885 a insegnare letteratura nello studentato
dei chierici a S. Benigno, partendo da Alassio, si fermò alcuni
giorni à Sampierdarena, dove prese a scrivere le sue Memorie
autobiografiche, rimaste poi in tronco.
681
diare, e così adempiere la promessa fatta a mio padre. Ho ancora
vivo in mente l'aspetto tutto allegro, sereno di mia madre quando mi
diede tale novella. In quel giorno io l'aveva accompagnata a una corrente
d'acqua lontana un miglio dal paese per lavarvi la biancheria; giunti
a metà strada, dove essa si tripartisce, e sorge un pilastro
a tre facce (così detto Pilastrello) portanti una l'immagine
del Signore Crocifisso, l'altra della Madonna, la terza di S. Gaetano,
mia madre mi fece fermare davanti alla Madonna e seduta sul muricciolo
che fiancheggia la strada, mi fece la proposta, che era di andare a
Torino, nell'Oratorio di un prete, di nome Don Bosco, conosciuto dalla
Signora, che era andata alla festa di Maria Ausiliatrice, il quale faceva
studiare tanti ragazzi, specialmente per avviarli alla carriera ecclesiastica.
Io di studiare voglia ne aveva: ma a farmi prete non aveva mai pensato;
non già che sentissi avversione: ma nella mia mente c'era che
non potevano farsi preti se non i ricchi: giacchè più
o meno ricchi e di ricche famiglie erano quei preti che io conosceva,
e quindi innalzarmi fin là con i miei desiderii non osai mai,
e se qualche volta mi spuntavano in cuore, li licenziava mestamente
col dir loro: - Questo non l'avrete mai, quindi quetatevi. - E con una
scossatina di testa e ridendo di me li mandava a spasso.
Lascio ora pensare quante e quali idee suscitò in me tale proposta.
Fu un mondo nuovo per me e nella meraviglia come sospeso risposi non
so che cosa. S'accorse però mia madre come non ero avverso e
lo disse alla Signora Casati e la ringraziò per me con quel cuore
di madre e di povera donna che non sapeva parlare, ma che anche senza
parole manifestava assai bene il suo sentimento.
A me in quella idea tutto rapito, e che non sapeva che dire, non sorse
che dopo il sentimento della gratitudine; e quando mia madre mi presentò
alla Signora con le parole: - Ecco lo studente, - pronunziate con tono
di compiacenza e di riso, rimasi là confuso e come oppresso.
La Signora però capì tutto e fu tutta contenta
In quei due mesi che restava a casa, mi mandò a scuola da un
bravo prete del paese, Don Grasselli, che allora studiava lettere all'Università
di Torino. Non dimenticherò mai quella scuola, che pur fu breve.
Tanta carità, tanta bontà in quel prete mi fecero meraviglia;
giacchè il prete fu quella la prima volta che si accostava a
me.
I preti, bisogna dirlo, erano allora un po' aristocratici, e con la
povera gente stavano a debita distanza. Gente buona però, li
rispettava, anzi li venerava, e anch'io faceva così, ma non li
amava. Li rispettava anch'io, ma il mio cuore era lontano da loro, come
essi da me.
Quindi il vedere un prete e un prete giovane, che senza sussiego, alla
buona mi parlava con un uomo a un altro uomo, e quasi come un povero
a un povero, mi meravigliò forte, e mi fece capire che i
682
preti non erano, come mi era immaginato, tutti dello stesso stampo,
e che bisogna distinguere fra prete e prete purtroppo!
Il parroco trattava noi ragazzi poveri bruscamente, e più che
un padre io vedeva in lui qualche cosa di simile a un aguzzino: mi faceva
lo stesso effetto, quando lo vedeva passare, che i carabinieri. E anche
in chiesa egual contegno, anche nel confessare. Mi ricordo che nell'occasione
della Cresima, io che per confessarmi, era partito dai miei zii (I),
per essermi presentato che già gli altri avevano finito, fui
accolto con un viso così brusco, che mi sentii gelare davanti
a quel cipiglio. - E bisognava aspettare proprio fino a quest'ora a
confessarsi? furono le prime parole che mi rivolse, chiudendo o meglio
sbattendo la porta del confessionale. Non le dimentico; non conservo
odio, no, ma il brutto effetto che su di me fecero, e la memoria di
esse.
Quel giovane prete fu adunque per me un vero benefizio del Signore,
e in lui primieramente vidi uno dei multiformi aspetti della carità
sacerdotale, di cui fra poco dovea vedere un'immagine viva e intera
in Don Bosco.
Don Bosco non era a me un nome nuovo: il suo nome l'aveva veduto anni
prima sulle Letture Cattoliche, da lui dirette, le quali ci dava a leggere
la Signora Casati, sapendo quanto ne fossimo avidi. Quanta festa abbiamo
fatto mio fratello Riccardo ed io quando ci si regalò la Storia
Ecclesiastica di Don Bosco! Con che contentezza la leggevamo! Quest'uomo
io perciò lo amava già prima di conoscerlo. E quando lo
vidi e lo conobbi, e mi posò sorridente la mano sul capo, mi
parve nostro Signore benedicente in mezzo ai parvoli. Mi rammentò
mio padre, e cominciai a nutrir per lui quel medesimo affetto che a
padre, congiunto con maggior riverenza e con confidenza ancor più
grande. Era la prima volta che vedeva il prete in mezzo ai ragazzi,
contento di trovarvisi, affabile con tutti senza distinzione. Allora
mi si allargò il cuore, e imparai che cosa è il vero prete.
Io entrai nell'Oratorio di Don Bosco il 15 ottobre del 1871; mi accompagnò
mia madre e la Signora Casati. Mi ricevette Don Albera (2), e mi domandò
se sarei stato buono. Come non rispondere di sì?
I primi giorni mi trascorsero amari, tanto più che parlandosi
spessissimo piemontese io, non intendendo, veniva burlato, strapazzato
(3). Mi trovai come abbandonato in mezzo a tanta gente, a cui ero estraneo,
e mi vennero in cuore i miei fratelli e mia madre. Però questo
tempo non durò molto. Vidi Don Bosco, conobbi gli altri suoi
preti, pieni di bontà e di carità. Infine l'Oratorio mi
piacque. Però quella rozzezza piemontese di alcuni miei compagni,
che tanto mi
(I) Dopo la morte del padre era andato a stare presso i parenti di
sua madre, a Crerunago.
(2) Era prefetto esterno.
(3) Era nativo di Arosio in Brianza.
683
amareggiò i primi giorni, mi rimase fitta nel cuore e anche
ora, volere o non volere, mi si affaccia di tanto in tanto.
Entrato in prima ginnasiale, fui tra gli ultimi. Non disperai, anzi
presi animo. Nei primi mesi intendeva niente era come confuso in quella
novità di cose e di vita. Ma appena potei ritrovarmi e come orizzontarmi
presi a fare qualche passo avanti, e avanti, avanti, alla fine dell'anno
non era dei primi, ma vicino ai primi.
Il maestro di prima ginnasiale Don Bruna è quello fra quanti
ebbi all'Oratorio, che ancora ricordo con più piacere e soddisfazione.
Quella sua serietà naturale, quello scrupoloso impiego anche
di pochi minuti di tempo mi rimasero sempre impressi: del maestro ricordo
poco, molto dell'uomo di carattere costante, serio. In principio mi
faceva paura, e quando lo vedeva venire alla mia volta, scappava; una
volta però che mi scontrai con lui a faccia a faccia in uno stretto
andito: - Questa volta non mi scapperai, disse ridendo, e mi domandò
se era ammesso alla comunione. Risposi di no, perchè nel paese
il parroco aveva per massima di non ammettere se non chi avesse 12 anni;
massima che a noi ragazzi non piaceva e neppure ai genitori. Quindi
se la frequenza della comunione che vedeva all'Oratorio mi fece sulle
prime meraviglia, insieme mi piacque; anche in questo vidi il cuore
largo, generoso di Don Bosco, e mi affezionai sempre di più a
Lui, all'Oratorio.
La mia vita all'Oratorio fu di nove anni (I), solo interrotti dal mese
di vacanza che nei cinque primi anni passai in seno alla famiglia. Feci
regolarmente tutte le scuole ginnasiali, per avermi Don Durando (2),
impedito sempre di saltare, come si dice; allora era un po' malcontento,
non ora.
In tutti i cinque anni di ginnasio non mi abbandonò, anzi crebbe
il desiderio di imparare, di studiare. Divenni anche migliore? Qui ho
bisogno di fermarmi e spiegare più a lungo il mio pensiero.
Entrai nell'Oratorio con buone disposizioni morali, e nel primo, secondo
e terzo anno di ginnasio, se non migliorarono, pure nemmeno patirono
discapito. Ma nel quarto anno di ginnasio, quindicesimo di mia età
(1874 - 75) cominciai a provare in me nuovi sentimenti. Prima ubbidiva
quasi spontaneamente, frequentava i sacramenti senza sforzi e anzi con
gusto, non trovava impedimento a dire le mie orazioni, viveva tranquillo
di me e in pace con tutti. In quell'anno l'ubbidienza cominciò
a pesarmi; all'affetto che prima mi traeva ai superiori, ai maestri
sottentrò freddezza, anzi diffidenza, se si eccettui Don Bosco
e Don Rua, dinanzi ai quali tacque sempre in me qualunque voce, qualunque
sentimento non retto. Erano troppo grandi, e la loro santità
evidente si faceva naturalmente rispettare anche nel segreto del cuore
dei giovani più indisciplinati.
(I)Allora i chierici facevano il noviziato e lo studentato nell'Oratorio.
(2) Direttore degli studi, come allora si diceva il consigliere scolastico.
684
Dei Sacramenti remisi alquanto la frequenza, benchè non passassi
mai i quindici giorni, e trovava più difficoltà a prepararmi
a riceverli, trovava difficoltà a pregare, infine non aveva più
quella pace profonda di prima nel cuore, un senso indefinito di scontento,
di malanimo mi rodeva e mi tormentava.
In quell'anno aveva cominciato a pensare anche al mio avvenire. Questo
in prima ginnasiale mi pareva chiaro: farmi prete mi pareva la cosa
più facile e più bella. Non così dopo quattro anni.
Quella ingenuità, quella schiettezza del primo ingresso in collegio
non l'aveva più.
L'idea del farmi prete mi divenne sempre più oscura e difficile
in mente e poco accetta al cuore. Non era il sacerdozio in sè
che mi spaventava, ma gli obblighi, a cui il mio orgoglio, che cominciava
a spiegarsi, si sottraeva dispettoso. Don Rua, a cui fino allora fui
solito aprire la mia coscienza in confessione, mi diede il consiglio
di confidare d'ora in avanti i miei segreti a Don Bosco, e ubbidii;
ma ciò non impedì che continuassero sempre più
a rendersi folte le nebbie intorno al mio cuore.
Nuovi e non mai prima provati desideri mi sorgevano, di maggior libertà,
sogni di vita più larga, di fama, di onori, di gloria. Di tutto
ciò vedeva talora la vanità; ma non cessavano quei fantasmi
di accendermi. Mi veniva in mente la madre, le fatiche del mio fratello
maggiore, l'infermità del secondo, le due sorelle, che ancor
giovinette si guadagnavano da vivere; pensava mio padre. Confesso che
davanti a imagini e memorie così sante dava giù il tumore
del mio orgoglio e tornava nella verità del mio stato; ma per
poco, giacchè i fumi risorgevano, la fantasia si accendeva, le
lotte interne ricominciavano più gagliarde.
Come mai tutto questo? È una domanda che se non esplicitamente
da me formulata pure mi balenava fin d'allora alla mente e come un rimprovero,
giacchè subito poteva rispondere la mia coscienza che io non
era religioso, non era pio, non era cristiano. Ma in che modo scemò
in me e fu vicino a spegnersi il sentimento cristiano? È una
questione più delicata ed essenziale e io risponderò schiettamente
come sento, dopo avervi pensato su non poco tempo.
La vita di un povero studente si riassume in due parole: studio e pietà;
studio, in quanto egli è uomo, obbligato a lavorare nella sua
professione: pietà, in quanto è cristiano. Studio e pietà
però non sono per sè due rivali che si contendano esclusivamente
il dominio nel cuore di uno studente; sono anzi due buoni amici, e amici
così necessari, che da uno studente, se si diparte uno, va via
anche l'altro, o muore o vi rimane come morto, inutile, anzi dannoso.
Studio senza pietà è lavoro non diretto al suo fine, lavoro
perduto; è, se posso dire, non studio; in quanto l'uomo è
inseparabile dal cristiano, e chi dimentica il cristiano, danneggia
anche l'uomo e la sua opera, in quanto è opera di uomo. Pietà
senza studio è in uno stu -
685
dente fede senza le opere, fede morta, che di vivo non ha che le apparenze,
fede ipocrita.
Un collegio cristiano e diretto da preti è naturalmente presumibile
che deve essere il luogo dove pietà e studio possono amichevolmente
vivere insieme e Don Bosco, fondando l'Oratorio, certo ebbe questa mira,
ed ebbe questa mira, quando più tardi fondò la Congregazione
Salesiana, destinata a perpetuare e a dilatare l'Oratorio, a moltiplicarlo
nello spazio e nel tempo. Nel concetto perciò di Don Bosco scuola
e chiesa erano due idee che si compiono a vicenda; la scuola deve coadiuvare
la chiesa, il professore deve aiutare il sacerdote, il confessore; la
scuola diventa così Patrio del tempio, come difatti nel medio
evo era negli atrii delle chiese che sorsero le prime scuole sotto la
direzione dei Vescovi.
In questo modo sì che si può dire la scuola il luogo più
sacro dopo la chiesa, ed è veramente. A me, quando ci rifletto,
pare che tra scuola e chiesa corrano quelle relazioni che tra ragione
e fede, tra scienza e dogma: che una è fondamento dell'altra,
e questa è corona della prima: non sono opposte, ma fatte per
compiersi, La scuola è il luogo dove predomina l'opera della
ragione, ma illuminata dagli splendori della fede; nella chiesa regna
la fede, ma è servita dalla ragione. La scuola deve condurre
alla chiesa, la ragione alla fede, il paganesimo al cristianesimo, il
classicismo al Vangelo. Se non fa così, tradisce la sua missione;
se si separa, o peggio, si pone di rimpetto alla chiesa come rivale
e nemica distrugge, non edifica. Allora il giovane si sente scisso in
se stesso il pensatore dal credente, la creatura dal Creatore, Adamo
da Cristo. Allora nel cuore del giovane lottano, come due forze nemiche,
scuola e chiesa, pietà e studio.
E io questa lotta confesso a mia vergogna che l'ho sentita sempre all'Oratorio,
ma negli ultimi anni di ginnasio fu disperata e a me fatale, perchè
purtroppo la pietà fu sempre più perdente e andò
man mano cedendo il campo, finchè io la sentii in me quasi spenta.
Non pregava più in chiesa, le cerimonie e i riti della chiesa
non li intendeva, di religione ne sapeva molto poco. Sapeva quel po'
di catechismo, che s'insegnava in scuola una volta alla settimana; ma
non basta. Non basta quel magro compendio a un giovane che entra nel
periodo delle passioni, che vive in un secolo scettico e incredulo,
che si sente nascere dubbi e non sa donde vengano: li respira quasi
nell'aria ambiente.
E poi nel modo che si insegnava quel catechismo, la divina armonia della
nostra religione era spezzata: il dogma, la morale, il culto erano sequestrati
l'uno dall'altro. Quindi lo studio diveniva astratto, diviso, monco,
privo di utilità, di bellezza, e il catechismo era il libro più
trascurato, e la scuola di catechismo la più malveduta e fredda
anche per i giovani buoni.
Qui adesso posso anche dire che a insegnare il catechismo era delegato
uno qualunque, ? t????, come avrebbe detto un greco.
686
Come si vede, anche questo fatto indicava una specie di separazione
tra scienza e fede: chi insegnava la prima, non avea a che fare col
maestro della seconda.
È vero che si predicava che il catechismo è la cosa più
importante: ma eran parole. Poi si diceva, mi ricordo, una o due volte
all'anno, quando si annunziava l'esame di catechismo, che suole precedere
gli altri esami nei collegi di Don Bosco.
Dunque io, quando più stringeva il bisogno, non ebbi una solida
dottrina, una solida scienza della religione. Non la conobbi, e la disprezzai
e la credetti cosa di poco conto. Teologia, libri di pietà, vite
di santi erano roba che mi faceva fare un certo atto tra dispettoso
e di noncuranza. Chi erano per lite i santi? Uomini di poca importanza,
Erano Cicerone, l'Africano, Annibale i miei ideali, i grandi uomini,
gli eroi. A loro correva il mio pensiero e la mia fantasia e anche il
mio cuore persino in chiesa, in tempo di messa, durante la benedizione,
quando là sull'altare in mezzo alla luce era esposto Nostro Signore:
ma nel mio cuore era tenebra e ghiaccio.
Verso la fine della quinta ginnasiale aveva dimenticato parte dell'orazione
domenicale, e il resto lo pronunziava male; così dell'avemaria.
Mi ricordo che anche allora attribuii a questa dimenticanza delle cose
sacre il poco felice esito negli esami; mi ricordo che mentre subiva
l'esame di lingua italiana e non rispondeva bene, sì che l'esaminatore
andò su tutte le furie, una voce interna mi diceva: - Ecco il
Paternoster dimenticato!
E come non dimenticarlo? Per me erano quelle sette sante domande un
suono, di cui non intendeva il significato. Lo stesso i salmi e gli
inni della Chiesa: non li intendeva, non mi curava di intenderli, non
li amava. Solo quando fui chierico, mi presi la grave fatica di cercare
nel vocabolario il significato di quel cernui, che tutti i giorni sentiva
a cantare in chiesa e che mai mi era curato durante i cinque anni di
ginnasio di sapere che volesse dire.
Ma vi è di più: certe parole latine, solo perchè
le trovavo nei salmi, negli inni del Giovane Provveduto, mi dispiacevano
e mi veniva l'idea che non fossero classiche. Sentiva qualche volta
a parlare degli scritti dei santi, dei dottori, dei Padri, specialmente
di S. Agostino e di S. Gerolamo. Io che non li aveva neppure veduti,
e in scuola non mi erano stati nominati, tra me diceva: - Uh! Che essi
abbiano scritto meglio di Cicerone e di Sallustio?
Questo mi dice che poi anche lo studio non era quella gran cosa; era
degno della pietà che avea allora; misera questa, misero quello.
Si possono immaginare studi più gretti, più sterili di
questo, di far consistere la letteratura nelle parole, nelle frasi,
nella sola forma? Eppure in cinque anni non ho atteso ad altro che a
pescare parole e frasi. In prima ginnasiale ho spogliato da un vocabolario
italiano tutti i modi eleganti di dire: lavoro in cui misi tanto impegno,
che al gio -
687
vedì lasciava di andare a passeggio per attendere, tre, quattro
ore continue in una scuola, a fare lo spoglio. Per buona fortuna, andato
a casa in vacanza, quei miei scartafacci di frasi andarono in fumo e
fiamme, avendoli una mia sorella presi per carta sporca: erano difatti.
In seconda ginnasiale ho letto tutte le opere del P. Bresciani, a cui
il Signore perdoni d'aver fatto perdere il tempo più prezioso
a tanti poveri giovani. Di essere stato tradito da quella lettura mi
accorsi in fine dell'anno. Era forse un po' troppo tardi; ma se non
altro feci il proposito di dichiarar guerra a quei libri, se mai li
avessi visti in mano a miei compagni, e l'ho fatto, e applaudiva a Don
Bosco che in quel tempo aveva vietato che nella sua libreria si tenessero
o vendessero quei libri.
Privo però di guida, com'ero, sono cascato sempre anche in seguito
in libri consimili. L'uggia, la noia che mi cagionò la lettura
del Guidi, del Chiabrera, del Filicaia, del Menzini, me la sento ancora
adesso; pure li leggeva, perchè sono classici, mi si diceva,
ed io trangugiava quella medicina amara, chinava la testa, mi rassegnava
e diceva: - Sono noiosi, ma sono classici, sono stampati nella Biblioteca
dei classici. - E poi mi dicevano che era baldanza in quinta ginnasiale,
e che voleva pensare colla mia testa, e che non riceveva con il dovuto
rispetto le parole dei professori! Io che, facendo uno sforzo e rinnegando
il mio sentimento, passai il tempo più bello de' miei giovani
anni a far quello che lui dicevano! Io che in quinta ginnasiale stava
su di notte a copiare nei miei quaderni le particelle eleganti del Corticelli
e del Cinonio! Era di estate, nel mese di giugno e luglio; nella camera
vi era un'aria pesante, mefitica, che impediva il respiro quasi; i miei
compagni, più saggi di ne, russavano allegramente, ed io in un
cantuccio, dove colla coperta da letto aveva alzato una specie di tenda,
scriveva frasi, molestato (lo dirò) continuamente da pulci che
attraversavano saltellando i miei quaderni, e tormentato dal sonno.
Mi coricava a un'ora dopo mezzanotte e alle quattro e mezzo era già
levato per continuare l'improba fatica.
Ecco come si fa perdere ai poveri giovani il tempo e la salute e, peggio,
si avvezzano a credere di essere qualche cosa per siffatti esercizi
facchineschi! E poi si grida all'indocilità, se uno un po' sveglio
si ribella a queste sciocchezze! Io mi ribellava nel mio cuore a questo
metodo meccanico, e spesso non sapeva nascondere la mia disapprovazione,
che trapelava dal contegno freddo e spesso sdegnoso che teneva, mentre
il professore faceva la sua rassegna di frasi e sinonimi, spiegando
qualche autore, o meglio facendo servire l'autore di pretesto per sciorinare
le sue bellezze linguistiche. Mi ribellava e ne parlava qualche volta
anche coi compagni, quando lo sdegno non poteva più contenerlo;
eppure faceva come mi dicevano, perchè io non aveva altra via,
perchè mi si gridava che, piacere o non piacere, quello era il
modo per riuscire negli esami, per essere qualcosa.
688
Così ai dubbi che già mi agitavano, allo scontento e
irrequietezza tra per la mancata pietà, tra per i pensieri della
vocazione, veniva ad aggiungersi questo sacrifizio di lavorare di controgenio,
di fare quel che io sentiva esser fatica inutile, e d'avere, dopo ciò,
la taccia di insolente: per cui io provai tanto dolore e anche dispetto
in quegli ultimi mesi di quinta ginnasiale, che l'Oratorio mi era venuto
in amarezza e mi consolava che tra poco ne sarei uscito.
Due sole persone mi rincresceva però abbandonare, Don Bosco e
Don Rua, e quella benedetta chiesa di Maria Ausiliatrice, dove io aveva
fatto tante volte la comunione e dove quei due santi sacerdoti tante
volte avevano consolato il mio cuore esulcerato ed afflitto. Don Bosco
e Don Rua furono per me in quinta ginnasiale due angeli salvatori, che
di tanto in tanto risvegliavano nella mia coscienza i sentimenti dei
primi anni dell'Oratorio e combattevano l'influenza trista della scuola.
Don Bosco e la scuola, ecco le due potenze che lottarono in me con varia
vicenda, rimanendo quasi sempre superiore la seconda, senza potere però
mai scacciare interamente la avversa forza.
Durante le vacanze i miei di casa desideravano che andassi in Seminario
e si meravigliavano di trovarmi restio; perchè io il Seminario
non l'aveva mai veduto di buon occhio, non mi piaceva in nessun modo,
non perchè non volessi avviarmi al sacerdozio, ma perchè
non voleva esser prete come erano quelli che io aveva conosciuto da
ragazzo, ma bensì come quelli di Don Bosco. O prete di Don Bosco,
diceva tra me, o secolare; giacchè non era ancora ben deciso,
con tutto che Don Bosco mi avesse detto che conveniva provare.
Ed ho provato. Rividi l'Oratorio con animo indifferente, a Lanzo feci
due giorni di esercizi, ma di mala voglia, anzi pessimamente. Interrogato
se voleva essere ascritto novizio nella Congregazione, non dissi nè
sì nè no; ma fui ascritto, e tutti si pensavano che io
lubenti animo avrei quando che sia preso gli abiti chiericali. Ma io
aveva tutt'altro in testa. Comperai in quei giorni le Vite di Plutarco,
le quali tanto mi piacevano che persino durante la meditazione io le
leggeva. Con la lettura di queste Vite io toccai l'apice della mia indifferenza
religiosa, sì che disprezzava, tutto pieno delle imprese di quei
pagani, le pratiche di pietà e letture spirituali e meditazioni
e preghiere: mi erano cose insipide, anzi sciocche.
Eppure questo fu il tempo che io presi l'abito di chierico. Quell'abito
a me era un rimprovero, e confuso e umiliato, benchè fiaccamente,
feci però il proposito di rispettarlo, in modo che se doveva
un giorno deporlo, perchè incapace a continuare nella via del
santuario, almeno lo deponessi con onore. Con queste disposizioni cominciai
davvero anch'io il noviziato.
Per me però il noviziato non fu una preparazione alla vita e
alle virtù del religioso. E come poteva essere, quando io non
era cristiano
689
allora che di battesimo? Per me fu un catecumenato, un ritorno al cristianesimo,
ai primi principii, alle prime virtù cristiane. Avvertii in quel
tempo per la prima volta lo spirito del cristianesimo, spirito di abnegazione,
di mortificazione, di sacrifizio, di guerra all'uomo vecchio. Queste
parole, che frequentemente mi risuonavano all'orecchio nelle conferenze,
nelle letture, nelle meditazioni, mi urtavano, specialmente in sulle
prime, e non mi piegava che a stento e forzatamente, e facendo nel mio
cuore mille eccezioni e clausole a quei comandi così severi,
precisi del Vangelo.
Il Vangelo lo cominciai allora a leggere, e lessi anche il Calmet (I);
ma la predilezione per quest'anno fu ancora per i libri profani. Su
questo punto non ammetteva nessuna rinunzia; voleva leggere e leggeva
Omero, Orazio e Virgilio. Don Barberis pro bono Pacis nella sua immensa
pazienza tollerava, tollerava, e quel suo silenzio rassegnato mi sgomentava
però. Vedeva quanto era cosa villana il far dispiacere a una
persona tanto paziente; mi sorgevano dubbi se poi non sarebbe stato
meglio impiegare il tempo in altre letture. Insomma poco per volta e
senza accorgermene rimisi di quell'ardore febbrile per tutto ciò
che era letteratura pagana, e perchè era desideroso di sciogliere
quegli infiniti dubbi intorno alla fede, alla religione, alla morale,
che fin dall'anno prima mi tormentavano, cominciai a leggere libri di
controversie intorno ai dogmi, alla religione, all'origine dell'uomo,
al potere temporale del Papa e a mille altre simili questioni, che mi
pullulavano nella mente.
In queste letture giudizi preconcetti non aveva; voleva solo uscire
da quella fitta cerchia di dubbi che non mi davano pace: quindi animo
sincero e desideroso di conoscere la verità era la mia disposizione.
Giacchè il gran bisogno che io sentiva allora, e l'aveva sentito
anche nei due anni precedenti, era quello di una dottrina soda, profonda
intorno alla religione. Non la acquistai quell'anno nè dopo,
ma cominciai a dirizzare lì le mie aspirazioni.
Le pratiche di pietà, che man mano ripresi e ricominciai ad amare,
non mi bastavano però per sè: voleva che avessero un fondamento
dottrinale, una base inconcussa, non quella mobile e momentanea di un
primo fervore, impeto di animo giovanile e incostante. Perchè
io vedeva molti miei compagni, che parevano ed erano tanti san Luigi,
fervorosi sì, ma privi di una cognizione profonda dei dogmi e
della storia cristiana, ai primi assalti, alle prime tentazioni, alle
prime prove cader vinti: erano belli edifizi, ma fabbricati sull'arena.
A me non bastava ascoltar messa, far la comunione, ma voleva conoscere
che cosa era la messa, quale la sua essenza, il significato di quelle
cerimonie, di quei riti. Intorno alla presenza reale di Nostro Signore
nella Eucaristia voleva conoscere tutte le questioni, e della
(I) Dotto benedettino francese. Forse qui si allude alla sua Storia
del l'Antico e del Nuovo Testamento.
690
confessione vedere l'istituzione divina e i caratteri costitutivi.
Voleva sapere tutti i perchè e i percome, e finchè non
trovava risposta, non mi adagiava.
Tra questi studi, questi desideri, queste aspirazioni passò l'anno
di noviziato, alla fine del quale, se non mi trovai novizio, almeno
era un po' cristiano. Quello era il tempo di fare il novizio; ma agli
esercizi di Lanzo del 1877 Don Barberis mi domandò se voleva
fare i voti, e risposi per i triennali, come quelli che non mi legavano
se non a tempo e mi lasciavano la libertà di tornare indietro.
Perchè a fermarmi per sempre con Don Bosco non mi sentiva ancora
coraggio e forza bastante, e parimenti non era ancor risoluto e certo
della vocazione sacerdotale. Tra me diceva: - Studierò intanto
e poi vedrò come mi trovo.
Nel triennio dal 1877 al 1880 il mio progresso, felicemente incominciato
nel noviziato, prima si arrestò e verso la fine retrocesse e
di non poco. La causa io credo trovarla nel poco studio che faceva della
religione e dell'ascetica. Nessuna o poca lettura e leggera e superficiale
di libri devoti; nessuna conoscenza della Bibbia o delle vite dei Santi
o di Storia ecclesiastica; nessun principio cristiano che dirigesse
almeno quegli studi profani che facevo di filosofia (se pure era filosofia),
di matematica, di letteratura. Almeno questi studi profani fossero stati
essi alquanto profondi; ma neppur questo: tutto superficiale, tutto
toccato di volo, niente approfondito. Con questo tenor di vita e di
studi qual meraviglia se uno resta stazionario o torna indietro?
Nel 1878 in agosto presi gli esami di maestro normale superiore a Mondovì
e fui promosso; nel seguente anno 1879 a Genova presi gli esami di licenza
liceale. Mi era preparato insieme con Don Gresino e Galavotti, con nessun
incoraggiamento dei superiori, con nessun aiuto, eccetto che di Don
Gallo Besso, che con molto amore ci insegnava matematica. Nel resto
fummo abbandonati a noi, che inoltre avevano da fare scuola e l'assistenza
di refettorio e della camera. Però non ci siamo scoraggiati di
questa apatia e ci incitavamo a vicenda a studiare, finchè il
Signore ci fece conoscere Don Cerruti di Alassio.
Questo santo prete, che tanto ritrae dell'operosità energica,
costante, instancabile di Don Bosco, nel mese di maggio di quell'anno
1879 venne all'Oratorio; e noi ci siamo presentati a lui, gli abbiamo
esposto la nostra intenzione di prendere gli esami di licenza licenza
liceale e insieme la dificoltà che trovavamo da parte di certi
superiori dellìOratorio. Ci confortò a essere di buon
animo, a studiare: che avrebbe parlato lui a Don Bosco, a tempo debito
ci avrebbe chiamati ad Alassio, donde saremmo stati presentati a Genova
come alluni di quel liceo.
Così fu: dopo molto lottare, finalmente ebbimo il permesso da
Don Bosco e dal solo Don Bosco, contrarii tutti gli altri superiori,
se
691
si eccettui forse Don Rua, il permesso di andare ad Alassio, al principio
del mese di giugno. Ad Alassio per la prima volta sentimmo parlare della
divozione al Sacro Cuore e ne abbiamo veduto la festa solenne che si
fece in quell'anno (I).
36.
Modo di provvedere
alla esenzione dalla leva militare.
I. Un membro del capitolo - Superiore è incaricato di quanto
riguarda la leva militare dei nostri socii sì ecclesiastici come
laici: ad esso si ricorrerà in simili occorrenze.
2. Entro il mese di Novembre i Direttori secondo un modulo apposito
manderanno al medesimo la nota esatta dei socii, che nell'anno seguente
sono sottoposti alla leva, come pure di quelli, che nello stesso anno
debbono ripresentarsi come rivedibili.
3. Il Superiore incaricato procuri d'avere piena conoscenza delle leggi
e dei regolamenti sul reclutamento dell'esercito tanto d'Italia quanto
straniero, a fine di far valere a favore dei socii che n'abbisognano
tutti i diritti, che le leggi medesime loro accordano.
4. A questo riguardo si propone:
a) Di informarsi bene delle condizioni fisiche - personali del socio.
b) Informarsi delle condizioni di famiglia del medesimo, per riconoscere
se qualcuna, si possa fare valere legalmente, essendovi spesso nelle
leggi articoli poco noti e che possono essere di grande vantaggio.
5. Riguardo poi a quelli riconosciuti non aventi assolutamente diritto
ad esenzione di sorta, si tenti ogni mezzo possibile per farli passare
da una categoria all'altra, oppure ritardare il servizio al 26°
anno.
A questo effetto è conveniente:
a) Far preparare quanti si può alla licenza liceale per farli
poscia iscrivere come studenti di qualche Università.
b) Altri si possono fare inscrivere come volontarii per un anno; il
che tuttavia deve esser eseguito dopo ponderate osservazioni.
6. Quando fosse possibile si procuri l'esenzione dalla leva per mezzo
della legale naturalizzazione presso alcuni degli Stati, nei quali esistono
delle nostre case.
7. Generalmente nelle chiamate della 3ª Categoria si fanno sempre
delle facilitazioni nell'interesse degli inscritti; ad es. i ministri
del culto aventi cura d'anime sono dispensati dal servizio sotto le
armi, mediante la presentazione del relativo certificato rilasciato
dal Sindaco del luogo
(I) Qui termina il manoscritto.
692
d'origine o di domicilio. Sono pure esentati quelli che risultano fuori
di Stato dall'attestato del R. Console. È quindi conveniente
che il Superiore incaricato abbia conoscenza degli appelli o dei bandi
di chiamata sotto le armi.
8. Quando poi esauriti tutti i mezzi legali il socio debba partire,
si veda o di farlo assegnare ad una città in cui vi siano Case
Salesiane, o gli si procuri qualche buona raccomandazione e conoscenza.
9. Si prenda poi sollecita cura che il socio mantenga corrispondenza
con i Superiori maggiori e col Direttore della casa da cui è
partito, aiutandolo anche materialmente ove occorra e con tutta la possibile
delicatezza.
37.
Delle sacre ordinazioni.
Norme pel Direttore spirituale della Congregazione.
Tra gli atti più importanti d'una Congregazione Religiosa è
il provvedere degnamente alle sacre ordinazioni dei suoi Chierici. Nessuna
cosa è soverchia per ben riuscire in questo affare; e perciò
si stabiliscono le seguenti norme:
I. Il Catechista della Congregazione è incaricato di provvedere
alle sacre ordinazioni de' Chierici, dopo che avrà ricevuto dagli
Ispettori le necessarie relazioni
2. L'ammissione al Suddiaconato è soggetta al Capitolo Superiore.
Per le missioni, o dove le circostanze lo richiedessero, si daranno
facoltà speciali agli Ispettori.
3. Il Catechista abbia un registro di tutti i Chierici della Congregazione
classificati secondo la età e il Corso Teologico che percorrono.
Abbia anche il registro di tutti gli esami di teologia, e non proponga
alle ordinazioni chi dimostrò notevole negligenza negli studii,
o non abbia ottenuto nei medesimi la sufficienza almeno per sei decimi
sopra ogni trattato.
4. Il Catechista provvederà per ottenere le dispense di età
e far togliere altri impedimenti che potessero occorrere.
5. Sul finire d'ogni trimestre, il Direttore spirituale nello spedire
agli Ispettori la prescritta circolare domandi la nota degli ordinandi
per le prossime ordinazioni. L'Ispettore a sua volta indirizzi la stessa
domanda ai Direttori nella circolare del mese più prossimo. I
Direttori poi nei rendiconti mensili, almeno tre mesi prima delle sacre
ordinazioni, interroghino i candidati, per sapere se si trovino preparati
a ricevere gli Ordini, e li aiutino all'uopo.
6. Quando il candidato sia trovato disposto, il Direttore ne proponga
l'ammissione al capitolo della sua casa e ne mandi il voto all'Ispettore.
Questi poi secondo gli appositi moduli dei rendiconti
693
trimestrali invierà la lista dei proposti al Catechista per
averne a suo tempo le necessarie lettere dimissionali.
7. Quando un Chierico è approvato, il Direttore Spirituale farà
firmare le dimissorie dal Rettor Maggiore, e le spedirà agli
Ispettori, almeno un mese prima delle ordinazioni, perchè si
possa provvedere alle dovute pratiche presso le Curie Vescovili, e disporre
per gli esercizi spirituali dei candidati.
8. Il Direttore locale si darà premura d'inviare all'Ispettore
e questi al Catechista il modulo apposito, ove è indicato il
giorno e l'ordinazione ricevuta, ed eziandio il nome del Vescovo ordinante.
9. Similmente si darà premura di ritirare gli attestati curiali
delle ricevute ordinazioni. In Italia questi attestati si spediscono
direttamente al Catechista della Società, e fuori d'Italia a'
proprii Ispettori, che li riporranno negli archivi.
10. Prima di proporre e ammettere qualcuno al Suddiaconato, il Catechista
osservi il registro dei rendiconti avuti dagli Ispettori trimestralmente,
e occorrendo si procuri accurata relazione dai Direttori delle case,
dove il candidato dimorò nel tempo del suo chiericato, e non
si promuovano alle sacre ordinazioni se non coloro dei quali secondo
i sacri canoni Vitae sanctitas longo tempore probata sit, e che abbiano
il parere favorevole del proprio Direttore di coscienza.
11. Dopo il secondo anno di teologia si può promuovere alla tonsura
ed agli ordini minori, dopo il terzo al suddiaconato ed al diaconato;
ma solo al fine del quarto al presbiterato. Occorrendo eccezioni queste
si faranno dal Rettor Maggiore o da quegli Ispettori, cui fosse stata
comunicata tale facoltà.
Per regola ordinaria non si ammettono al Presbiterato quelli, che hanno
ancora da sostenere esami sopra un numero di trattati, che sia superiore
a quello stabilito pel corso dell'anno, e sopra cui non possano dare
l'esame nell'anno medesimo.
12. Prima che incomincino gli esercizi per le sacre Ordinazioni siano
sottomessi ad un esame e sugli Ordini che hanno da ricevere, e sulle
cerimonie che devono osservare.
13. Per l'ammissione al Suddiaconato si preferisca il tempo delle vacanze
autunnali, affinchè siavi maggior tempo e comodità a prepararsi
alla recita del breviario, a far regolarmente i santi esercizi, a consultare,
occorrendo, i Superiori maggiori della Società, ed anche perchè
questi possano tener i dovuti capitoli, ed esaminar e determinare l'ammissione
del Chierico al primo degli Ordini maggiori, con ogni maturità
di consiglio.
14. Si facciano interi gli esercizi spirituali secondo i sacri canoni;
perciò si raccomanda caldamente ai Direttori di lasciare agli
ordinandi il tempo richiesto all'uopo. Possibilmente questi esercizi
si facciano nella casa ispettoriale o di noviziato.
15. Per conservare più facilmente il frutto della Sacra Ordinazione
694
non si permette nella prima settimana del sacerdozio di andare a celebrare
la Messa lontano dalle nostre case. Il solo Rettor Maggiore e, fuori
dell'Italia, gli Ispettori potranno per gravi motivi fare qualche eccezione.
38.
Regolamento per le Parrocchie.
I. Esaminato lo scopo cui tende la Congregazione Salesiana nelle opere
sue secondo le nostre Costituzioni al Capo I°, pare, debbasi nè
con facilità nè in via ordinaria assumere la direzione
di parrocchie, che venissero dai Vescovi offerte.
2. Quando però tale offerta venisse fatta direttamente dal Papa,
oppure la maggior gloria di Dio ed il bene dell'anime, oppure ragioni
di convenienza consigliassero il Capitolo Superiore ad accettare la
fondazione od amministrazione di qualche parrocchia, specialmente nelle
Missioni estere, dessa verrà affidata ad uno dei Soci che abbia,
vuoi per la scienza e pietà, vuoi per l'età e prudenza,
i requisiti necessarii a sì difficile Ministero.
3. Si provvederà eziandio che in quella casa parrocchiale si
stabilisca quanto prima una Comunità religiosa non minore di
sei socii, di cui il Parroco potrà essere il Superiore.
4. Nel caso in cui la Parrocchia abbia Collegio od Ospizio annesso,
la Parrocchia ed il Collegio dovranno avere amministrazione separata,
con locale e personale distinto.
5. In questo caso si possono presentare due ipotesi: l'una in cui il
Parroco sia superiore della famiglia salesiana, l'altra in cui lo sia
il Direttore della casa.
6. Nella prima ipotesi il Parroco avrà un Direttore dell'Istituto
annesso alla parrocchia, al quale lascierà tutta la libertà
d'azione per il disimpegno del suo uffizio.
7. Nella seconda ipotesi il Direttore condividerà col Parroco
la responsabilità della Parrocchia, e l'aiuterà compatibilmente
alle esigenze della casa annessa.
8. In entrambi i casi si raccomanda al Parroco ed al Direttore di trovarsi
sempre in buono accordo nello sciogliere le difficoltà, senza
che ne sia offesa la carità fraterna ed il buon esempio, che
devono a' confratelli ed a' fedeli.
9. Inoltre l'Ospizio o Collegio annesso alla Parrocchia dovrà
aver una cappella interamente riservata per le pratiche di pietà
dei giovanetti ivi educati.
10. Non si accettino a convivere in Comunità nè Sacerdoti
secolari, nè laici estranei alla Congregazione, perchè
l'osservanza delle regole ne avrebbe a soffrire detrimento.
695
II. Il Parroco a nominarsi sia ad nutum Superioris, secondo la Costituzione
Firmandis di Benedetto XIV, 5 Novembre 1744, e la sua nomina sia fatta
secondo la prassi che si tiene in Roma pei regolari, ad annum, con facoltà
di riconferma d'accordo coll'Ordinario del luogo. In quei paesi però,
come in America, ove il titolo di Parroco si assume dal Superiore della
Congregazione anche per varie parrocchie accumulativamente, con facoltà
di mandare socii idonei a rappresentarlo. non sarà necessario
apporre quest'ultima condizione, poichè l'Ispettore locale potrà
cambiare il suo rappresentante, quando lo creda della maggior gloria
di Dio e di maggior vantaggio della Congregazione. Notisi però
che sarà conveniente in tal caso partecipare all'Ordinario questo
mutamento e per quanto è possibile mettersi con lui d'accordo.
12. Queste brevi norme si sono date, astrazion fatta dalla questione
difficilmente solubile del Placet o approvazione del Governo, che ratificando
le nomine non si accomoderebbe così facilmente a' frequenti mutamenti
di un Parroco.
13. Non si accettino parrocchie, ove si deva dipendere da una fabbriceria.
14. In quanto poi alla vita comune, alle relazioni cogli esterni, ed
alle autorità civili ed ecclesiastiche, si osserveranno quelle
norme, che la prudenza e le circostanze richiedono. Qui si notano le
norme principali, che si hanno a seguire, suggerite dallo spirito delle
nostre regole.
§ I. VITA COMUNE.
I. In una casa parrocchiale è certo più difficile la
esatta osservanza delle nostre regole. Però il Parroco ed i suoi
Coadiutori debbono attenersi per regola generale alla vita comune sia
per le pratiche di pietà, sia per quanto riguarda il vitto, il
vestito ed il riposo. Sia premura del Parroco di fissare il tempo più
opportuno per la meditazione giornaliera e la lettura spirituale, procurando
d'intervenirvi regolarmente co' suoi Coadiutori. Se è possibile,
la facciano in Chiesa, perchè i parrocchiani ne possano avere
edificazione.
2. Vi sia un'ora stabilita per il pranzo e per la cena, e per quanto
è possibile il Parroco veda di trovarsi co' suoi confratelli,
a meno che l'esercizio del suo ministero lo chiami altrove. In ogni
circostanza però il Parroco badi sempre che non si introducano
eccezioni, nè particolarità.
3. Sarà cosa lodevole se nelle principali solennità dell'anno
si inviterà a pranzo alcuno dei Parroci limitrofi o dei sacerdoti
secolari appartenenti alla sua parrocchia, soliti a coadiuvarlo nelle
funzioni religiose.
4. Vi sia un'ora stabilita tanto pel riposo, quanto per la levata, Se
qualcuno dovesse vegliare in tutto od in parte la nottata presso
696
qualche infermo potrà compensare lungo il giorno le ore perdute,
secondo la disposizione del Superiore.
5. L'alloggio del Parroco, quand'anche abbia annesso un Ospizio o Collegio,
sia separato dal resto della casa, ed abbia due entrate diverse, una
per gli esterni e l'altra per gl'interni.
6. Sia però suo studio che sia mobigliato colla semplicità
che si addice allo spirito di povertà, di cui si è fatta
professione.
7. Potrà tuttavia il Parroco, oltre l'archivio parrocchiale ed
una sala ad uso delle varie conferenze, avere un'altra stanza modestamente
adorna, quando avesse a ricevere persone distinte o qualche prelato.
§ 2. RELAZIONI COGLI ESTERNI.
Il Parroco essendo come un pastore in mezzo al suo gregge, un padre
in mezzo a' suoi figli, deve per motivi di convenienza e di carità
sempre trovarsi a contatto del popolo, che la Divina Provvidenza gli,
ha affidato. Sarà bene perciò, oltre le norme che suggeriscono
i moralisti e i maestri di spirito ai Parroci perchè diventino
forma gregis, che qui si notino alcune regole per noi religiosi, acciocchè
non abbia a venir meno lo spirito, che deve informare ogni nostro detto,
ogni nostra operazione.
Autorità Ecclesiastica.
I. Per quanto spetta all'autorità ecclesiastica vegga di mostrarsi
ossequente in tutto e per tutto al Vescovo della diocesi, studiandosi
di mettere in pratica i decreti e gli avvisi che verranno comunicati.
2. Nei casi difficili ricorra a lui per consiglio ed aiuto, chè
questa confidenza servirà assai ad attirarsi la benevolenza dei
superiori ed a conservarsi in piena armonia con essi; ed in occasione
di solennità, si faccia premura di fare invito per la funzione
all'Ordinario del luogo, o d'accordo con esso ad altro distinto prelato
od ecclesiastico, facendone eziandio parola, quando occorra, al Superiore
della Congregazione.
3. Non si permetta mai di censurare gli usi locali, le disposizioni
de' Superiori ecclesiastici o l'operato di altri parroci, specialmente
limitrofi. Procuri anzi con questi di mantenersi in buona relazione
invitandoli qualche volta a cantare la messa, a predicare, o a dare
la benedizione. La prudenza a questo riguardo non sarà mai abbastanza
raccomandata.
Autorità Civile.
Nelle grandi città il Parroco più raramente ha bisogno
di mettersi a contatto colle autorità civili. Si mostri però
sempre ed in ogni cosa rispettoso verso di loro. Invitato ad occuparsi
pei comitati parroc -
697
chiali nelle occasioni di elezioni amministrative, si comporti con
molta prudenza d'accordo coll'autorità ecclesiastica e col consiglio
dei Superiori. Si astenga dal portare in pubblico giudizi sopra individui,
e da ogni spirito di partito. Nei paesi invece o nelle piccole città,
ove dovessimo reggere delle parrocchie, è bene che il Parroco
si studi di mantenersi in buona relazione col Sindaco, e colle altre
autorità, memore dell'avviso dello Spirito Santo: “ Tienti
amico il potente, perchè non ti abbia a nuocere ”.
Relazione col Popolo.
Lo spirito del nostro santo Protettore era di farsi tutto a tutti,
omnibus omnia factus; e questo spirito medesimo, se deve essere l'Anima
di tutti i Salesiani, deve esserlo in modo speciale di colui, che è
chiamato a reggere una parrocchia.
Badi però che la carità e lo zelo del bene delle anime
alle sue cure affidate non gli faccia dimenticare se stesso. Il raccoglimento,
e la riservatezza, che è necessaria in un sacerdote, è
indispensabile in un religioso. Affinchè tale si conservi ed
anche apparisca agli occhi de' suoi parrocchiani, si ritenga quanto
segue:
I. Mentre sarà una delle sue sollecitudini di favorire le associazioni
cattoliche, e specialmente quella dei Cooperatori Salesiani, la conferenza
di S. Vincenzo de' Paoli, la Compagnia del SS. Sacramento per l'adorazione
delle Quarant'ore, e per l'accompagnamento del SS. Viatico, e di assistervi
personalmente, quando potrà, affinchè si mantengano in
fiore, badi di non mostrare mai per alcuno predilezione di sorta. Eviti
le lunghe conversazioni specialmente con persone di diverso sesso. L'esperienza
dimostra che, per quanto innocente e santo sia il fine che a ciò
li muove, dà nondimeno motivo a critiche ed a maldicenze.
2. Gioverà assai per questo che, avendo per ragione del suo ministero
o di carità a trattare con qualche donna, lo faccia o nell'archivio
parrocchiale, o in qualche luogo attiguo alla sacrestia e sempre a porte
aperte.
3. Eviti quanto può le visite inutili nelle famiglie. Il minor
male che ne ridonda è la perdita considerevole di tempo. Quando
è chiamato dagli infermi, specialmente allorchè deve passare
lungo tempo al loro letto, procuri di mostrarsi uomo di Dio e dedito
all'orazione; tenga un contegno modesto e riserbatissimo, e le sue parole
siano di conforto all'ammalato, e tornino di edificazione ai parenti.
4. Gl'infermi, i poveri ed i fanciulli formino l'oggetto delle sue speciali
sollecitudini. Il Divin Salvatore metteva tutte le sue delizie nel trovarsi
con loro, ed in generale il Parroco più amato è quello,
che i fanciulli ed i poveri possono sempre avvicinare.
5. Allorchè riceve od ha elemosina da dispensare, porti il suo
pensiero ai più bisognosi, ed a quelli, che sono più frequenti
alle funzioni parrocchiali ed a' sacramenti, In qualche circostanza
potrà preferire
698
qualche bisognoso meno buono per guadagnarne il cuore; e la prova alle
volte riesce.
6. Nelle parrocchie, che avessero annesso un ospizio pei poveri orfanelli,
dovrà il Parroco usare molta prudenza, perchè non si abbia
a sospettare che l'elemosine vengano erogate alla casa e non ai poveri
a cui sono destinate.
7. Per l'assistenza dei poveri avrà un grande aiuto, se fonderà
nella Parrocchia la Conferenza di S. Vincenzo de' Paoli.
§ 3. PROVENTI PARROCCHIALI.
I. Per le limosine non si può dare regola determinata. Conviene
che il Parroco tenga anzitutto in Chiesa una cassetta per l'elemosina
ai poveri, e quando i denari raccolti non fossero sufficienti ai bisogni,
dai proventi parrocchiali potrà prelevare quanto la prudenza
e la carità gli suggerirà col consenso del suo Direttore,
tenendo però conto esatto a registro di quanto viene erogato
a questo scopo.
2. I cespiti con cui si sostengono le parrocchie sono molteplici. Oltre
la congrua parrocchiale vi sono i diritti così detti di stola
bianca e di stola nera, i legati e le elemosine. Per ciascuno di questi
proventi è necessario avere un registro a parte, da poter presentare
ad ogni richiesta dell'Ispettore o del Superiore Generale.
3. Nell'esazione di certi diritti avverrà sovente di avere dei
contrasti colle persone che assunsero degli impegni. Per non attirare
odiosità sopra del Parroco, sia sempre il Vice - curato, o meglio
il Prefetto di sacrestia addetto a questo ufficio. Procuri però
che, mentre è suo dovere di insistere sopra quanto spetta di
diritto, il faccia sempre con carità, e la fermezza non sia mai
disgiunta dalla prudenza e dalla dolcezza.
4. Abbia il Parroco massima cura di tenere in ordine i registri parrocchiali,
perchè ad ogni domanda dell'Ordinario sia in grado di presentarli.
Compagnie - Congregazioni.
Per la fondazione delle varie Compagnie, che sono un aiuto potente
al buon andamento della Parrocchia e giovano a ravvivare lo spirito
di pietà si attenga alle norme date dal Catechismo ad Parochos,
oppure dal Parroco novello del Frassinetti.
Conclusione.
Il Parroco Salesiano, che conservi lo spirito della Congregazione,
osservando scupolosamente i suoi voti e queste poche norme, non mancherà
di essere un apostolo in mezzo a quel popolo, che Iddio ha affidato
alle sue cure, e santificando se stesso, guadagnerà molte anime
al Cielo.
699
39.
Dello spirito religioso e delle vocazioni
fra i coadiutori e gli artigiani
§ I. DEI COADIUTORI.
La nostra pia Società sì compone non solo di Sacedoti
e Chierici, ma anche di laici (Art. I° Cap. I). Essi sono chiamati
Coadiutori (Reg. Cap. X, 14 e XIII, 2 XV, 3) perchè hanno per
particolare ufficio di coadiuvare i Sacerdoti nelle opere di carità
cristiana proprie della Congregazione. La storia ecclesiastica ci porge
molti esempi di laici, i quali aiutarono potentemente gli Apostoli e
gli altri sacri ministri; e la Chiesa in ogni tempo si è servita
di buoni fedeli per il bene del popolo e per la gloria di Dio.
Ai nostri tempi più che in ogni altro le opere cattoliche e tra
queste la nostra Congregazione possono dai laici avere efficacissimo
aiuto; che anzi in certe occasioni possono fare maggiormente e più
liberamente il bene i laici, che non i Sacerdoti.
Ai Coadiutori in particolare è aperto un vastissimo campo per
esercitare la loro carità verso il prossimo e il loro zelo per
la gloria di Dio, col dirigere e amministrare le varie aziende della
nostra Pia Società, col divenire maestri d'arte nei laboratorii,
o catechisti negli oratori festivi, e specialmente nelle nostre missioni
estere. Pertanto per ben corrispondere alla loro vocazione:
1. Mostreranno in ogni tempo e circostanza rispetto ai Superiori e ai
Sacerdoti, riguardando in essi dei Padri e dei Fratelli, a cui devono
vivere uniti in vincolo di fraterna carità da formare un cuor
solo ed un'anima sola (Reg. Cap. II. 2).
2. Disimpegneranno, con diligenza l'ufficio che loro verrà assegnato
qualunque esso sia, rammentando che non è l'importanza dell'opera
che renda questa a Dio gradita, ma è lo spirito di sacrificio
e di amore con cui viene eseguita.
3. Non si addosseranno nè lavori nè commissioni estranee,
senza espresso consenso dei Superiori.
4. In ogni luogo e circostanza, in casa e fuori di casa, nelle parole
e nelle azioni mostrino sempre di essere buoni religiosi; poichè
non è già l'abito che fa il religioso, ma la pratica delle
religiose virtù; e presso Dio e presso gli uomini è più
stimato un religioso vestito da laico, ma esemplare e fervoroso, che
non un altro adorno di abito distinto, ma tiepido ed inosservante.
700
§ 2. DEI GIOVANI ARTIGIANI.
Fra le principali opere di carità che esercita la nostra pia
Società vi è quella di raccogliere, per quanto è
possibile, giovanetti abbandonati, pei quali riuscirebbe inutile ogni
cura di istruirli nelle verità della cattolica fede, se non fossero
ricoverati od avviati a qualche arte o mestiere. In quelle case, dove
il numero degli artigiani è considerevole, si potrà incaricare
uno dei Soci, che abbia cura particolare di loro, col nome di Consigliere
professionale.
Il fine che si propone la pia Società Salesiana nell'accogliere
ed educare questi giovanetti artigiani, si è d'allevarli in modo,
che uscendo dalle nostre case, compiuto il tirocinio, abbiano appreso
un mestiere onde guadagnarsi onoratamente il pane della vita, siano
bene istruiti nella religione ed abbiano le cognizioni scientifiche
opportune al loro stato.
Ne segue che triplice deve essere l'indirizzo da darsi alla loro educazione:
religioso - morale, intellettuale e professionale.
Indirizzo religioso - morale.
Si otterrà una buona educazione religiosa - morale mettendo
in pratica le norme seguenti:
1. Si abbia somma cura che il regolamento delle case sia fedelmente
praticato.
2. Si richiami sovente agli alunni il pensiero di Dio e del dovere,
e si persuadano che la bontà dei costumi e la pratica della religione
è propria e necessaria ad ogni condizione di persone.
3. Si usi ogni cura perchè sappiano di essere amati e stimati
dai Superiori, e questo si ottiene trattandoli con quello spirito di
vera carità, che viene raccomandato dal santo Vangelo.
4. Per ravvivare lo studio del Catechismo si stabilisca un apposito
esame a premi speciali da distribuire con certa solennità a coloro,
che meglio profittarono.
5. Siano anche bene istruiti nel canto Gregoriano, perchè uscendo
dall'istituto possano prender parte alle funzioni religiose delle parrocchie
e delle confraternite.
6. Oltre alle Compagnie già esistenti s'introduca possibilmente
quella del SS. Sacramento, per incoraggiarli alla frequente Comunione.
7. Ove è possibile siano i più piccoli separati dai più
adulti, specialmente in dormitorio ed in ricreazione.
8. Si eviti l'inconveniente di far passare fra gli artigiani quegli
studenti che fossero stati riprovati per la loro condotta. Se il Direttore
credesse per motivi particolari fare qualche eccezione non siano ri
-
701
tenuti nella medesima casa, ma inviati in altra per essere applicati
ad un mestiere.
9. Il Direttore ogni due mesi tenga una conferenza agli assistenti e
ai capi di laboratorio, per udire le osservazioni che avessero a fare,
e dar loro le norme e le istruzioni opportune pel buon andamento dei
laboratori; e quando occorresse s'invitino anche i capi esterni, se
ve ne sono.
10. In vista del grande bisogno che si ha di molti capi d'arte per aprire
nuove case, per estendere ad un numero maggiore di giovanetti il benefizio
dell'educazione, ogni confratello procuri col buon esempio e colla carità
d'inspirare negli alunni il desiderio di far parte della nostra pia
Società, e quando qualcuno è accettato come ascritto s'invii
anche con sacrificio alla casa degli ascritti.
11. E cosa importante collocare l'alunno, che ha finito il suo tirocinio,
presso buoni e cristiani padroni, e dargli una lettera da consegnarsi
al proprio parroco.
12. È pure conveniente, se la loro condotta fu abbastanza buona,
ascriverli fra i Cooperatori Salesiani e raccomandarli a qualche società
operaio - cattolica.
Indirizzo intellettuale.
Perchè gli alunni artigiani conseguano nel loro tirocinio professionale
quel corredo di cognizioni letterarie, artistiche e scientifiche, che
loro sono necessarie, si stabilisce:
I. Abbiano ogni giorno, finito il lavoro, un'ora di scuola, e per coloro
che ne avessero maggior bisogno si faccia anche scuola il mattino dopo
la messa della comunità fino al tempo di colazione. Dove poi
le leggi richiedessero di più converrà adattarsi a quanto
è prescritto.
2. Sia compilato un programma scolastico da eseguirsi in tutte le nostre
Case di Artigiani, e vengan indicati i libri da leggere e spiegar nella
scuola.
3. Si classifichino i giovani dopo d'averli sottoposti ad un esame di
prova, e si affidi la loro istruzione a maestri pratici.
4. Una volta alla settimana un Superiore faccia loro una lezione di
buona creanza.
5. Nessuno possa essere ammesso a scuole speciali, come di disegno,
di lingua francese, ecc. se non è sufficientemente istruito nelle
cose spettanti alle classi elementari.
6. Al fine dell'anno scolastico si dia un esame per constatare il profitto
di ciascun alunno e siano premiati i più degni.
7. Quando finito il suo tirocinio, un giovane volesse uscire dall'Istituto,
gli si consegni un attestato notando distintamente il suo profitto nell'arte
o mestiere, nell'istruzione e buona condotta.
702
Indirizzo professionale.
Non basta che l'alunno artigiano conosca bene la sua professione, ma
perchè la possa esercitare con profitto bisogna che abbia fatta
l'abitudine ai diversi lavori e li compia con prestezza.
Ad ottenere la prima cosa, gioverà:
1. Secondare possibilmente l'inclinazione dei giovani nella scelta dell'arte
o mestiere.
2. Provvedere abili ed onesti maestri d'arte anche con sacrificio pecunario,
affinchè nei nostri laboratorii si possano compiere i varii lavori
con perfezione.
3. Il Consigliere professionale e il maestro d'arte divida, o consideri
come divisa la serie progressiva dei lavori che costituiscono il complesso
dell'arte in tanti corsi o gradi; pei quali faccia passare gradatamente
l'alunno, così che questi dopo il suo tirocinio conosca e possieda
completamente l'esercizio del suo mestiere.
4. Non si può determinare la durata del tirocinio essendochè
non tutte le arti richiedono egual tempo per apprenderle, ma per regola
generale può fissarsi a cinque anni.
5. In ogni casa professionale nell'occasione della distribuzione dei
premii si faccia annualmente un'esposizione dei lavori compiuti dai
nostri alunni, ed ogni tre anni si faccia un'esposizione generale, a
cui prendano parte tutte le nostre case d'artigiani.
Per ottenere poi l'abilità e prestezza nell'eseguire il lavoro,
gioverà:
a) Dare settimanalmente ai giovani due voti distinti di lavoro e di
condotta.
b) Distribuire il lavoro a cottimo, stabilendo un tanto per cento pel
giovane, secondo un sistema preparato dalla Commissione che ne fu incaricata.
c) La Casa degli ascritti artigiani sia bene fornita del materiale occorrente
a perfezionarsi nelle diverse professioni, ed abbia i migliori capi
artisti Salesiani
40.
Regolamento per gli Oratorii festivi.
L'articolo 3 del capo 1 delle nostre Costituzioni dice che il primo
esercizio di carità della Pia Società di S. Francesco
di Sales è di raccogliere giovanetti poveri ed abbandonati, per
istruirli nella santa cattolica religione, particolarmente nei giorni
festivi.
Per attendere più efficacemente e diffusamente a questo nobile
intento giova moltissimo nelle città e nei paesi, ove esiste
una Casa
703
Salesiana, impiantare eziandio un giardino di ricreazione ossia Oratorio
Festivo pei giovani esterni, che sono più bisognosi di religiosa
istruzione, ed esposti ai pericoli di pervertimento.
Per la qual cosa il III Capitolo Generale delibera quanto segue:
1. Ogni Direttore si dia sollecitudine d'impiantare un Oratorio festivo
presso la sua Casa od Istituto, se ancora non esiste, e di dargli sviluppo
se è già fondato, Egli consideri quest'opera siccome una
delle più importanti di quante gli furono affidate, la raccomandi
alla carità e benevolenza delle persone facoltose del luogo,
per averne i sussidi necessarii, ne parli spesso nelle conferenze, incoraggiando
i confratelli ad occuparsene, ed istruendoli all'uopo, e non si dimentichi
mai che un Oratorio festivo fu già la culla dell'umile nostra
Congregazione.
2. A perpetua memoria di questo fatto e ad esempio ed aiuto delle altre
case sieno in modo particolare promossi e sostenuti gli Oratorii festivi
di S. Francesco di Sales e di S. Luigi Gonzaga in Torino, e quello annesso
alla casa di S. Benigno Canavese; e per quanto sarà possibile
vengano in essi impiegati i Chierici e gli altri Soci Salesiani, affinchè
si rendano ognora più capaci di esercitare un sì importante
ministero di carità a vantaggio della gioventù pericolante.
3. Nella distribuzione del personale in ciascuna Casa l'Ispettore d'accordo
col Direttore della medesima abbia ogni anno in mira di stabilire un
Sacerdote, al quale sia dato speciale incarico, dell'Oratorio festivo,
e il Direttore si dia amorevole premura di fornirgli quegli aiuti materiali
e personali, che si giudicano necessarii al suo buon andamento.
4. Tutti i Soci Salesiani così ecclesiastici come laici si stimino
fortunati di prestarvi l'opera loro, persuadendosi essere questo un
apostolato di somma importanza, perchè nel tempo presente l'Oratorio
festivo è per molti giovanetti, specialmente nelle città
e nelle borgate, l'unica tavola di salvamento.
5. Pel regolare impianto e sviluppo dell'Oratorio si procuri anzi tutto
di mantenersi in buona relazione ed armonia coll'autorità ecclettica
locale.
6. Dove si hanno collegi od ospizi si impedisca ogni comunicazione tra
i convittori e gli esterni. - Ad ovviare ogni pericolo e disturbo per
quanto si può si designi un luogo attiguo con cortile adatto,
avente cappella a parte e quanto occorre per i giuochi, le scuole e
per i casi d'intemperie.
7. Sono specialmente raccomandati i giuochi e divertimenti di vario
genere, secondo l'età e gli usi del paese, essendo questo uno
dei mezzi più efficaci per attirare i giovanetti all'Oratorio.
8. A promuovere la frequenza e la buona condotta negli Oratorii festivi
giovano pur molto i premi da distribuirsi a tempi fissi, per es. libri,
oggetti di divozione, vestiario come pure lotterie, passeggiate, teatrini
facili e morali, scuola di musica, festicciuole, ecc.
704
9. Il buon andamento dell'Oratorio festivo dipende poi soprattutto
dall'usare sempre un vero spirito di sacrifizio, grande pazienza, carità
e benevolenza verso tutti, così che gli alunni ne ricevano e
mantengano ognora una cara memoria, e lo frequentino eziandio quando
siano adulti: come pure dal promuovere in mezzo a loro le compagnie
di S. Luigi, il piccolo clero, ecc.
10. Il Capitolo generale approva il regolamento per gli Oratorii festivi
stampato a parte.
41.
Parole di Don Lasagna sul Papa a Milano.
Ho percorso gran parte dell'Europa e dell'America, e ho dovuto convincerni
che, se la patria nostra si vanta delle più svariate industrie,
è in ciò di gran lunga superata da altre nazioni. Se florido
è diventato il commercio, questo è un nulla in confronto
di quanto si vede in varie altre contrade. Se voi ammirate i superbi
edifizi ed i Magnifici monumenti, che il genio italiano riuscì
ad innalzare sul nostro suolo, sappiate che ne ho veduti eziandio all'estero
che ben possono rivaleggiare coi nostri. Se l'Italia ha il primato nelle
arti belle, ricordatevi che gli stranieri pur studiando sui capolavori
dei grandi maestri italiani, s'attentano ad eguagliarli, se già
non riescono a superarli. Se noi possediamo cotanti tesori nel patrimonio
delle lettere e delle scienze, anche i paesi lontani vanno superbi di
bella letteratura e di grandi progressi. Ma v'è un vanto su cui
si tace l'orgoglio di ogni altra nazione; vi è una gloria che
nessuno ci contrasta; v'è una gemma preziosissima che tutti c'invidiano;
e questo si è di avere sul nostro suolo il Papa, il Vicario di
Gesù Cristo, il Capo della Chiesa Universale. Ond'è che
quando io pongo il piede in terra straniera, e con orgoglio mi chiamo
italiano, su nient'altro m'odo interrogare se non sul sapientissimo
Pontefice che regge il timone della sola vera religione. È questa
la sola prerogativa che più interessa lo straniero, quando si
parla d'Italia. Ed oh! come mi sento grande, posso vantarmi di averlo
venuto, d'avergli parlato, d'aver potuto prostrarmi a' suoi piedi; quando
- posso dire: - È il Papa che a voi m'invia - ; quando m'è
dato soggiungere: - È in suo nome che io vi benedico! - Questa
è la vera gloria d'Italia, dinanzi a cui s'ecclissano tutte le
altre. Si è allora che io vorrei avere al mio fianco coloro che
la pensano altrimenti. Quanto mi tornerebbe facile ridurli al silenzio!
O Italia, Italia, deh ti ricorda, che il tuo più bel vanto è
l'essere il centro della cattolicità, d'avere a Roma il trono,
U' siede il Successor del Maggior Piero.
705
42.
Le fanciulle cieche di Milano a Don Bosco.
Molto Reverendo Signore,
Non avendo potuto appagare l'ardente brama che nutriamo in cuore di
essere presenti alla solenne festa celebrata ieri nella nostra città,
ci permettiamo di indirizzarle un umile scritto, col quale ossequiose
la preghiamo d'impartirci la tanto sospirata sua benedizione, estensibile
non solo a tutto il nostro caro Istituto, ma ancora alle amate nostre
famiglie e a tutti coloro che s'interessano di noi.
Quanto saremmo felici se potessimo di presenza udire da Lei una parolina
e manifestarle i vivi sensi di riverenza e di venerazione di cui siamo
fortemente comprese a riguardo di Lei e delle benemerite e sante sue
Istituzioni! Non di meno ci è cara la lusinga che Ella saprà
leggerli in queste nostre povere righe.
Ora vivamente congratulandoci del fiorente stato de' suoi pii Istituti,
e presentandole i più sinceri augurii di prosperità, mentre
l'assicuriamo che non cesseremo mai di supplicare fervidamente Iddio
affinchè la conservi ancora lungamente all'affetto di tutti i
suoi cari figli. La preghiamo di aggradire questo nostro scritto, ed
ossequiosamente godiamo segnarci
13 settembre 1886.
Le devot.me allieve
dell'Istituto dei ciechi di Milano.
Questo indirizzo era accompagnato dalla seguente lettera:
Ill.mo e Venerato Signore,
Di buon grado ho accondisceso al desiderio delle mie allieve che vollero
presentare a V. S. una lettera di ossequio, esprimendo pure il desiderio
che Ella venisse a fare una visita all'Istituto od a mandare una sua
benedizione. Non so dissimularmi le difficoltà che si possono
opporre all'esaudimento del primo desiderio; basterà l'essere
esaudite nel secondo.
E tanto più mi associo a questo atto delle mie allieve, in quanto,
con una di esse, mi pregio di essere ascritto nell'elenco dei Cooperatori
Salesiani.
Baciandole la venerata mano me le dico
Milano, 13 settembre 1886.
Suo Dev. Servo
P. VITALI
Rettore dell'Istituto dei Ciechi.
706
43.
Don Rigoli a Don Lazzero.
Molto Rev. Carissimo D. Lazzero,
Oggi mando a spedire all'indirizzo del Sig. Dogliani la cassa colle
musiche e coi libri. Tanto per norma.
Di me non so che dire... Sono qui tutto melanconico come chi ha perduto
tutto il mondo. La mia casa, il mio paese ha l'aspetto del giorno dopo
di un funerale. I cari Salesiani, i miei Superiori, i miei colleghi,
i giovanetti, i figli di Don Bosco mi hanno portato via tutto quanto
rendeva contento il mio cuore, la mia anima; poichè con loro
godeva ore di paradiso... adesso una mestizia di purgatorio... Ci vorrà
tempo a rassegnarmi.
Tutto il mio spirito è pieno delle soavi e grandi impressioni
avute a Milano intorno a Don Bosco, al mio Arcivescovo, a Busto ed anche
a Casale Litta. Dio ha benedette queste feste. Per miei parrocchiani
fu una vera benedizione, un corso di spirituali esercizi. Noi ce ne
ricorderemo per tutta la vita e ameremo Don Bosco, i suoi figli e le
sue opere.
La prego di scrivermi notizie della salute del sig. Don Bosco, mio veneratissimo
padre e di ringraziarlo della sua venuta a Milano, pregandolo a perdonarmi
se ho fatto tanto per obbligarlo a sì grave disturbo. Tanti ringraziamenti
al mio carissimo D. Lasagna ed affettuosi saluti.
Un plauso ed un evviva al carissimo Dogliani coi suoi giovanetti e giovanotti
che hanno edificato col canto, colla pietà e colla santa allegria
questi contadini! Al sig. Don Rua, al sig. Don Durando e a tutti quanti
hanno aderito al mio pensiero un umile ma vivo ringraziamento. Baciando
a Don Bosco la mano e a tutti i miei superiori, mi dico
Casale Litta, 20 settembre 1886.
Suo aff.mo
D. RIGOLI
44.
Circolare in cinque lingue sulle Missioni Salesiane.
A.
Benemeriti Cooperatori e Cooperatrici,
Mi gode l'animo di poter far giungere fino a voi, o cari Cooperatori
e Cooperatrici, le interessanti notizie che mi giungono dalla Patagonia
e dalle altre numerose Missioni già aperte nell'America del Sud,
ed
707
esporvi in pari tempo i disegni di nuove imprese, cui, per urgenti
bisogni di quelle popolazioni, converrà metter mano quanto prima.
Dopo di aver corsa e ricorsa la Patagonia, dall'Oceano Atlantico alle
Cordigliere delle Ande, e valicato per ben due volte quelle celebri
montagne per giungere fino al Chilì, dopo di aver catechizzate
e battezzate varie tribù di selvaggi, a prezzo di stenti e pericoli
incredibili da parte dei nostri Missionari, è giunto il momento
di dover pensare seriamente a consolidare e perpetuare il bene fatto
fino ad ora.
Poichè quelle tribù pacificate e convertite alla Fede,
avendo cominciato a gustare le prime dolcezze della vita Cristiana e
civile, non possono rassegnarsi a veder solamente di tanto in tanto
il Missionario, che li chiamò alla vita sociale ed alla luce
del Vangelo.
Con giusta ragione essi lo vorrebbero sempre in mezzo a loro, per essere
da lui diretti, istruiti e consolati, e più specialmente per
essere da lui assistiti ne' casi di malattia ed in pericolo di morte.
Non è quindi a stupire se a Mons. Cagliero, Vicario Apostolico
della Patagonia, non regga l'animo di rifiutare ai poveri selvaggi,
che pure sono suoi carissimi figli in Gesù Cristo, questi religiosi
e giustissimi conforti. Ma egli non ha nè personale, nè
mezzi sufficienti per appagare i loro ardenti desideri. Dovendo stabilire
residenze fisse pei Missionari nel deserto Patagonico, a misura che
i selvaggi si riuniscono in colonie o villaggi, egli abbisogna, come
ben potete comprendere, di un maggior numero di sacerdoti, di catechisti
e di suore, e di molti mezzi materiali che sono indispensabili alla
vita sociale ed al culto divino.
Quei poveri neofiti, malgrado il loro buon volere, non possono offrire
ai nostri Missionari altro che lo spettacolo di lor miseria lagrimevole.
Essi stessi abbisognano di tutto, fin d'essere vestiti e mantenuti,
massime in sul principio di lor conversione. Quindi è che le
sorti di quelle Missioni dipendono affatto dalla Pia Società
Salesiana e dalla Carità de' nostri Cooperatori e Cooperatrici.
E noi dovremo disanimarci? Oh no! Anzi raddoppieremo gli sforzi, per
non lasciar venir meno quelle opere, che già ci costarono tanti
sudori e tanti sacrifizi.
Oltre a ciò è bene che sappiate che, per assicurare l'esito
della totale conversione della Patagonia, abbiamo già stabilito
di, aprire una via dalla parte occidentale del Chilì, e già
un drappello di Salesiani si recano colà per fondare una casa
al di là delle Cordigliere, nella città di Conception,
appartenente alla repubblica Chilena.
È di là che dovranno partire colonie di Missionari per
evangelizzare l'Araucania e la Patagonia Occidentale spargendosi poscia
a poco a poco nell'Arcipelago di Chiloe e di Magellano, nelle così
dette Terre del Fuoco, popolate tutte di innumerevoli tribù indigene
affatto prive di ogni idea di religione e di civiltà.
Don Fagnano in questo momento deve essere già disceso alle Isole
Malvine, e di là correrà ad esplorare tutte quelle isole
fino al Capo Horn, e vi studierà i punti più strategici
e meglio adatti per piantar
708
colà le tende dei nuovi soldati della Croce, che andranno presto
a raggiungerlo.
Non potrete mai immaginarvi, o cari Cooperatori e Cooperatrici, quante
vive istanze e quante suppliche mi giungano di laggiù da parte
dei nostri infaticabili missionari e delle popolazioni stesse affinchè
mandiamo colà nuovi e ragguardevoli rinforzi di uomini e di danaro.
Ed appunto per far conoscere meglio i bisogni e la condizione, grazie
a Dio, soddisfacenti nelle nostre Missioni di America è venuto
espressamente da quei lontani paesi il nostro missionario Don Luigi
Lasagna, il quale non lasciò intentata nessuna via per indurmi
a preparare anche questa volta una numerosa spedizione di Missionari
Salesiani e di Suore di Maria Ausiliatrice. Ne abbisogna anch'egli di
un buon numero per le Missioni, che gli affidai nel vastissimo Impero
del Brasile, più esteso di per sè solo che tutta quanta
l'Europa, e dove vi sono regioni sconfinate, popolate unicamente di
selvaggi, che scorrazzano per immense foreste, sospirando da secoli
una mano amica, che loro vada a sottrarli alla vergognosa barbarie,
in cui giacciono sepolti e vi giaceranno ancora chi sa per quante generazioni,
se lo zelo di missionari, sostenuti dalla carità dei fedeli,
non apporta loro presto un qualche aiuto.
Indotti da questi potenti motivi abbiamo deciso di preparare per il
prossimo novembre la spedizione di un nuovo drappello di Missionari,
che raggiungeranno almeno il numero di trenta, e che potranno anche
essere di più se i soccorsi dei Benefattori ci giungeranno a
tempo e copiosi.
Ciò posto, non vi sarà difficile capire, o cari Cooperatori
e Cooperatrici, che per allestire la novella schiera di conquistatori
di anime e di propagatori del regno di Dio in sulla terra occorrono
gravissime spese di sacri arredi, spese di vestiario e biancheria, spese
di suppellettili per Chiesa, scuola ed abitazione e spese urgentissime
per i viaggi di mare e di terra. Epperciò non mi resta altro
che riporre ogni mia speranza in Dio e nella generosità vostra,
o carissimi Cooperatori e Cooperatrici, affinchè, come già
mi siete venuti in aiuto nelle spedizioni antecedenti, così non
indugiate a soccorrermi nella spedizione che attualmente divisiamo,
malgrado la grande strettezza di mezzi materiali che ci affligge. Faccio
quindi un nuovo appello alla vostra carità; ascoltate anche voi
al pari di me la voce dei cari Missionari ed il grido, che ci mandano
tanti poveri derelitti da quelle lontanissime contrade.
Pertanto supplico i Cooperatori e le Cooperatrici a renderci possibile
la nuova spedizione, soccorrendoci colle ferventi preghiere e colle
offerte che potranno fare in tele od oggetti di biancheria, in panni
od abiti, in arredi di chiesa od in vasi sacri, e più ancora
in danaro, con cui far fronte alle spese di viaggi e trasporti per terra
e per mare, in fine con qualsiasi limosina che la pietà loro
suggerisca e le loro forze permettano.
709
All'Oratorio di Torino, donde prenderanno le mosse i nuovi Missionari,
si riceverà con gratitudine sia a mano, o per ferrovia, o per
posta, quanto la vostra industriosa carità sarà per inviare
al nobile intento.
Nel giorno poi, che sarà scelto per la partenza dei Missionari,
prima della funzione di congedo, si terrà apposita conferenza
ai Cooperatori e Cooperatrici nel Santuario di Maria Ausiliatrice, e
questo vi sarà per tempo notificato, affinchè coloro che
lo desiderano, possano intervenirvi, e mentre fin d'ora v'invito, non
voglio lasciar di pregarvi ad avere la bontà di cercare pure,
tra i vostri conoscenti ed amici, chi volesse eziandio concorrere col
suo obolo a questa opera di umanità e di fede.
Noi segneremo il vostro e il loro nome nei registri del nostro pio Istituto,
per ricordarli ogni giorno nelle nostre preghiere, per implorare dal
Cielo copiose benedizioni sopra dì voi e sopra quelli tutti che
ci beneficheranno, sopra le loro famiglie e le opere loro, sicuri che
Iddio li segnerà nel libro della vita, nel libro dei predestinati,
poichè è sentenza del grande Sant'Agostino, che chi procura
efficacemente la salute delle anime, mette al sicuro l'anima propria:
Animam salvasti, animam tuam predestinasti.
Maria SS, Ausiliatrice che si è costituita protettrice e madre
dei nostri Missionari e di quei poveri selvaggi, vi ottenga da Dio ogni
più eletta benedizione spirituale e temporale.
Torino, li 15 Ottobre 1886.
Vostro aff.mo in Gesù C.
Sac. G. Bosco.
NB. I caritatevoli Benefattori delle nostre Missioni sono pregati di
mandare le loro offerte direttamente a Don Bosco in Torino, Via Cottolengo,
N. 32.
B.
Beneméritos Cooperadoves y Cooperadoras,
Con sumo gusto y satisfacción vengo hoy, queridos Cooperadores
y Cooperadoras, á comunicaros las interesantes noticias que me
llegan de la Patagonia y de otras numerosas Misiones, abiertas ya en
la América del Sur, y exponeros al mismo tiempo los proyectos
de nuevas empresas, á las cuales, por las urgentes necesidades
de aquellas lejanas poblaciones, convendrá echar mano cuanto
antes.
Después de haber recorrido la Patagonia, desde el Océano
Atlántico basta las Cordilleras de los Andes, y atravesado por
dos veces aquellas célebres montafias á fin de Ilegar
basta Chile, después de haber catequizado y bautizado á
varias tribus de salvajes, á fuerza de grandes fatigas y peligros
increibles por parte de nuestros Misioneros,
710
ha llegado el momento de pensar sériamente en consolidar y perpetuar
el bien que hasta ahora se ha hecho.
Pues aquellas tribus pacificadas y convertidas á la fe, habiendo
comenzado á saborear las primeras dulzuras, de la vida cristiana
y civil, no pueden resignarse con ver solamente de cuando en cuando
al Misionero, que los llamó á la vida social y á
la luz del Evangelío.
Con justa razón ellos quisieran tenerlo siempre en su compañia,
para ser por él dirigidos, instruidos y consolados, y muy especialmente
para ser asistidos en los casos de enfermedad y en peligro de muerte.
No debemos, pues, maravillarnos, si el Ilmo. Sr. Cagliero, Vicario Apostólico
de la Patagonia, no pueda en modo alguno negar á los pobres salvajes,
pues son sus queridísimos hijos en Jesucristo, estos
religiosos, y justísimos consuelos. Pero él no tiene ni
personal, ni medios suficientes para satisfacer sus ardientes deseos.
Debiendo establecer residencias fijas para los Misioneros en el desierto
Patagónico, á medida que los salvajes se reunen en colonias
ó aldeas, él necesita, como bien comprenderéis,
un mayor número de sacerdotes, catequistas y Hermanas, y de muchos
medios materiales que son indispensables para la vida social y para
el culto divino.
Aquellos pobres neófitos, apesar de su buena voluntad, no pueden
ofrecer á nuestros Misioneros otra cosa más que el espectáculo
dé su grande y triste miseria. Ellos tienen necesidad de todo,
hasta de ser vestidos y mantenidos; máxime al principio de su
conversión. Así es que las suertes de aquellas Misiones
dependen enteramente de la pia Sociedad Salesiana y de la caridad de
nuestros Cooperadores y Cooperadoras. Y nosotros ¿deberemos desanimarnos?
¡Oh no! Antes al contrario, redoblaremos nuestros esfuerzos, para
no dejar desfallacer aquellas obras, que nos costaron ya tantos sudores
y sacrificios.
Además de esto es conveniente sepáis, que para asegurar
el éxito de la conversión total de la Patagonia, hemos
establecido de abrir un camino desde la parte. Occidental de Chile,
y dentro de poco un
buen número de Salesianos saldrán para allá con
el fin de fundar una Casa à la otra parte de las Cordilleras,
en la ciudad de la Concepción, perteneciente á la República
Chilena.
Y allá es desde donde deberan salir colonias de misioneros, para
evangelizar la Araucania y la Patagonia Occidental, extendiéndose
despues poco á poco hasta el Archipiélago de Chile y de
Magallanes, en las así llamadas Tierras del Fuego, pobladas de
innumerables tribus indígenas, privadas enteramente de toda idea
de religión y civilización.
Don Fagnano debe ya haber bajado en este momento á las Islas
Malvinas, y desde allá seguirá explorando todas aquellas
Islas hasta el Cabo Hom, y tratará de estudiar lo puntos más
estratégicos y adap
tados para fijax las tiendas de los nuevos soldados de la Cruz, que
irán muy pronto á unírsele.
711
No podeis imaginaros, oh caros Cooperadores y Cooperadoras, cuán
vivas instancias y cuantas súplicas me llegan de aquellas tierras,
por parte de nuestros infatigables Misioneros y de las mismas poblaciones,
para que les mandemos nuevos y grandes refuerzos de hombres y dinero.
Y precisamente para mejor hacer conocer las necesidades y condiciones,
gracias á Dios, satisfactorias de nuestras Misiones de América,
ha venido expresamente de aquellos lejanos paises nuestro misionero
Don Luis Lasagna, el cual no dejó medio alguno para obligarme
á preparar esta vez también una numerosa expedición
de Misioneros Salesianos y de Hijas de Maria Auxiliadora, tanto mas
que él tiene necesidad también de un buen número
de ellos para las Misiones, que le confié en el vastísimo
Imperio del Brasil, más grande de por sí solo que toda
la Europa, y en donde hay regiones vastísimas pobladas únicamente
de salvajes, que corren por aquellas inmensas florestas suspirando desde
hace muchos siglos una mano amiga, que vaya á sacarlos de la
vergonzosa barbarie en que yacen sepultados y en que yacerían
aún, quien sabe por cuantas generaciones, si el celo de los Misioneros,
sostenidos por la caridad de los fieles, no les llevase pronto algun
ayudo.
Inducidos por estos potentes motivos, hemos decidido de preparar por
el próximo noviembre la expedición de una nueva compañia
de Misioneros, que llegarán á lo menos al número
de 30, y que podrán ser todavía más, si los socorros
de nuestros bienhechores nos llegarán à tiempo y en abundancia.
Ahora bien; no dejaréis de comprender fácilmente, caros
Cooperadores y Cooperadoras, que para preparar la nueva compañia
de conquistadores de almas y propagadores del reino de Dios sobre la
tierra, ocurren gravísimos gastos, ya de ornamentos sagrados,
ya de trajes y ropa blanca, ya de objetos para la Iglesia, escuela y
habitaciones, ya también de gastos urgentísimos para los
viajes, equipajes y trasportes, que deben hacerse por mar y poi tierra.
Por lo tanto, no me queda otro recurso que poner toda mi esperanza en
Dios y en vuestra generosidad, oh carísimos Cooperadores y Cooperadoras,
á fin de que los auxilios que me habeis prodigado en las expediciones
antecedentes, no dejeis de enviármelos en la que actualmente
estamos preparando, apesar de la grande estrechez de medios materiales
que nos aflige. Apelo, pues, de nuevo á vuestra caridad; escuchad
también vosotros juntamente comnigo, la voz de nuestros Misioneros
y el grito que nos mandan tantos pobres abandonados de aquellas lejanas
tierras.
Suplícoos por tanto que. contribuyais á hacernos posible
la futura y nueva expedición, socorriéndonos con fervientes
oraciones y con ofertas que podréis hacer en muchas maneras,
como por ejemplo en tela, ropa blanca, paños, trajes, ornamentos
de Iglesia, etc. etc. y aún más en dinero, con que poder
pagar los gastos de viaje y trasportes
712
por tierra y por mar; en fin con cualquiera limosna que la piedad os
sugiera y vuestras fuerzas lo permitan.
En el oratorio de Turin, de donde saldrán los nuevos Misioneros,
se recibirá con gratitud, ya por correo, ya por ferro-carril,
todo lo que vuestra indus 'osa caridad enviará á tan noble
intento.
Me permito bien rogaros, tengais la bondad de buscar al mismo tiempo,
entre vuestros conocidos y amigos á- alguna persona que quiera
tambien concurrir con su obólo á esta obra de humanidad
y fe.
Nosotros anotarémos vuestros nombres y los de,ellos en el Registro
de nuestro pio Instituto para recordarlos todos los dias en nuestras
oraciones, e implorar del Cielo copiosas bendiciones sobre vosotros
y sobre todos aquellos que nos beneficarán, sobre sus familias
y sobre sus obras, seguros de que Dios los anoterá en el libro
de la vida, esto es, en el libro de los predestinados, puesto que es
sentencia del grande S. Agustin que quien atiende eficazmente à
la salvation de las almas, pone en salvo la suya propia: Animam salvasti,
animam tuam praedestinasti.
Maria Santísima, que se ha constituido Protectora y Madre de
nuestros Misioneros y de aquellos pobres salvajes, os alcance de Dios
mil bendiciones espirituales y temporales.
Turin, 15 octubre 1886.
Vuestro afmo. en J. C.
JUAN BOSCO Pbro.
N. Los caritativos bienhechores de nuestras Misiones harán el
favor de mandar sus ofertas directamente à Don Bosco calle Cottolengo,
N. 32, en Turin - (Italia).
C.
Chers Coopérateurs et Coopératrices,
Je suis heureux de vous faire part des nouvelles intéressantes
que j'ai reçues de la Patagonie, et des autres Missions déjà
nombreuses ouvertes dans l'Amérique du sud; je vous exposerai
en même temps les projets de nouvelles entreprises, auxquelles
nous devons mettre la main le plus tôt possible, afin de pourvoir
aux besoins urgents de ces peuples lointains.
Nos Missionnaires ont parcouru la Patagonie dans tous les sens depuis
l'Océan -Atlantique jusqu'aux Cordilières des Andes; ils
ont traversé deux fois ces montagnes célèbres pour
passer au Chili;. ils ont catéchisé et baptisé
plusieurs tribus sauvages, au prix de fatigues et de périls incroyables.
Maintenant, le moment est arrivé de penser sérieusement
à consolider et à perpétuer le bien accompli jusqu'ici.
713
En effet, ces tribus pacifiées et converties à la foi,
après avoir commencé à goûter lés
charmes de la vie chrétienne et civilisée, ne peuvent
se résigner à ne voir que de temps en temps le Missionnaire
qui leur a apporté le bienfait de la vie sociale et la lumiere
de l'Evangile.
C'est avec juste raison que les nouveaux convertis 'voudraient l'avoir
toujours au milieu d'eux pour les diriger; les instruire, les consoler,
et, plus spécialement; les assister en cas de maladie et au moment
de la mort.
Il n'est donc pas étonnant que-Mgr. Cagliero, Vicaire Apostolique
de la Patagonie, n'ait pas le courage de refuser les justes consolations
de la religion à ces pauvres sauvages, qui sont aussi ses très'
chers fils en Jésus-Christ. Mais, dépourvu de ressources
matérielles et n'ayant
'
pas à sa disposition un personnel suffisant, il lui est impossible
de répondre à leurs ardents désirs. Il faut établir
des résidences fixes pour les Missionnaires dans le désert
de la Patagonie, à mesure que les sauvages se réunissent
en colonies ou villages; il a donc besoin, vous le comprendrez facilement,
d'un plus grand nombre de prêtres, de catéchistes et de
religieuses, et, en outre, de ressources matérielles pour subvenir
aux nécessités de la vie sociale et du culte divin.
Ces pauvres néophytes, malgré toute la bonne volonté
dont ils sont animés, ne peuvent offrir à nos Missionnaires
autre chose que le spectacle de leur misere déplorable. Ils ont
eux-mêmes besoin de tout; jusqu'au vêtement et à
l'entretien, surtout an commencement de leur conversion. Par conséquent,
le ces Missions est tout entier entre les mains de la Pieuse Société
Salésienne, et dépend complétement de la charité
de nos Coopérateurs et Coopératrices.
Devrons-nous donc nous laisser aller au découragement? Oh! non.
Bien au contraire, nous redoublerons d'efforts, afin de ne pas laisser
dépérir ces oeuvres, qui nous ont déjà coûté
tant de sueurs et de sa-crifices.
Pour assurer la conversion totale de la Patagonie, nous avons résolu
de nous ouvrir une voie par la partie occidentale du Chili, et une troupe
de Salésiens est déjà en route pour. fonder une
maison au delà des Cordilières, dans la ville de la Conception,
appartenant à la république chilienne.
C'est de là que partiront nos Missionnaires, pour évangéliser
l'Araucanie et la Patagonie occidentale; ils étendront ensuite
peu à peu la divine semence jusqu'à l'Archipel de Chiloé
et de Magellan et à la Terre de Feu, habités ,par d'innombrables
tribus étrangères à toute idée dé
religion et de civilisation.
Dom Fagnano doit déjà être arrivé aux Iles
Malouines, et il explorera toutes ces îles jusqu'au Cap Horn;
il étudiera sur place les points les plus convenables pour y
planter les tendes des nouveaux soldats de la Croix, qui doivent bientôt
aller le rejoindre.
714
Vous ne sauriez vous imaginer, chers Coopérateurs et Coopératrices,
combien vives sont les instances et nombreuses les prières que
m'adressent nos infatigables Missionnaires et les populations elles
mêmes, afin d'obtenir de nombreaux et considérables renforts
d'hommes et d'arge
- C'est précisément ment pour faire mieux connaître
les besoins et l'état satisfaisant de nos Missions d'Amérique,
que l'un de nos missionnaires, Dont Louis Lasagna, est venu tout exprès
de ces contrées lointaines, et il n'a rien négligé
pour me démontrer la nécessité de préparer
encore: une fois une nombreuse expédition de Missionnaires Salésiens
et de Sueurs de Marie Auxiliatrice. Lui aussi a besoin d'un bon nombre
de coadjuteurs pour les Missions confiées à son zèle
dans le vaste empire du Brésil, plus grand á lui seul
que l'Europe tout entière, et où se trouvent des régions
sans limites, uniquement peuplées de sauvages, errants dans d'immenses
forêts, soupirant depuis des siècles après une main
amie, qui vienne les tirer de la honteuse barbarie, dans laquelle ils
sont ensevelis et croupiraient encore, qui sait pendant combien de générations,
si le zèle des Missionnaires, soutenus par la charité
des coeurs généreux inspirés par la foi, ne venait
bientôt leur porter secours.
Poussé par d'aussi puissants motifs, nous avons résolu
de préparer pour le mois de novembre prochain l'expédition
d'une nouvelle troupe de Missionnaires, dont le nombre sera au moins
de trente, et pourra être plus élevé, si nos bienfaiteurs
nous envoient à temps des secours assez abondants.
Vous comprendrez facilement, chers Coopérateurs et Coopératrices,
que pour fournir tout le nécessaire à la nouvelle troupe
de conquérants des âmes et de propagateurs du règne
de Dieu sur la terre, il faudra de grandes dépenses d'ornements
sacrés, de vêtements, de linge, de mobilier d'église,
d'école et d'habitation et, en outre, payer des frais considérables
de voyages par met et par terre. Pour tout cela, je mets ma confiance
en Dieu et en votre générosité, chers Coopérateurs
et Coopératrices; comme vous m'êtes déjà
venus en aide lors des expéditions précédentes,
je veux espérer que vous n'hésiterez pas à nie
prêter un généreux concours pour celle que nous
projetons aujourd'hui, malgré la difficulté des temps
que nous traversons. C'est un nouvel appel que j'adresse à votre
charité; prêtez, vous aussi, comme je l'ai fait moi-même,
une oreille favorable à la voix de nos chers Missionnaires et
au cri de détresse, que poussent vers nous tant de pauvres infortunés
de ces lointaines contrées.
Je supplie nos chers Coopérateurs et Coopératrices de
nous rendre possible la nouvelle expédition, par le secours de
leurs ferventes prières et par les offrandes qu'ils pourront
nous faire en toile, linge, drap, vêtements, ornements et vases
sacrés, et plus encore en argent, pour faire face aux dépenses
de voyages et de transports par terre
715
et par mer, enfin par une aumône quelconque, selon que la piété
`le leur suggérera et que leurs moyens le leur permettront.
Nous recevrons avec la plus vive reconnaissance à l'Oratoire
de Turin, d'où partiront les nouveaux Missionnaires, ce que votre
industrieuse charité voudra bien nous envoyer, soit par la poste
soit par le chemin de fer.
Nous vous prions également d'engager vos amis et vos connaissances
à prendre part à cette oeuvre de foi et d'humanité.
Nous inscrirons votre nom et le leur dans les registres de notre Institut,
pour nous,en souvenir tousles jours dans nos prières, pour implorer
les plus abondantes bénédictions du Ciel sur vous et sur
tous nos bienfaiteurs, sur vos familles et vos oeuvres, certains que
Dieu vous inscrira dans le livre de vie, dans le livre des prédestinés,
car le grand saint Augustin nous l'assure: quiconque procure efficacement
le salut des âmes, assure le salut de la sienne: animant salvasti,
animam tuam praedestinasti.
Que Notre-Dame Auxiliatrice, la Protectrice et la Mère de nos
Missionnaires et des pauvres sauvages, vous obtienne de Dieu les plus
précieuses bénédictions pour le temps et pour l'éternité.
Turin, le 15 octobre 1886.
Votre bien dévoué en Jésus-Christ
J. Bosco prêtre.
NB. Les charitables bienfaiteurs de nos Missions sont priés
d'adresser leurs offrandes directement à Dom Bosco, rue Cottolengo,
32, à Turin (Italie).
D.
Worthy and Much Esteemed Co-operators,
I am glad to be able to send you a few of the interesting particulars
which I am continually receiving from Patagonia and the other numerous
Missions already opened in South America, and to place before you at
the same time a few sketches of fresh enterprises, which the urgent
wants of this distant people invite us to undertake as soon as possible.
Now that our Missioners have traversed the immense plains of Patagonia
from the Atlantic Ocean to the Cordilliers, and twice crossed over those
famous mountains on their way to Chili, - instructing and baptizing
various tribes of savages as they went, at the cost. of innumerable
provations and perils, - now I say, under the powerful protection of
Mary Help of Christians, the time has come when we should take under
serious consideration the means
716
of consolidating, perpetuating and vigorously advancing the good work
already commenced.
For those tribes, pacified and converted to the true Faith, having once
tasted the.charms of a civilized and christian life, are mot to be contented
with the mere passing visits of an apostolic Missionary, though it be
he who has called them from their social misery to the genial light
of the Gospel. Naturally enough they desire to have him continually
amongst them, not only to direct, instruct and console them through
life, but also and more especially to be by him assisted in sickness,
and comforted by his hope-ispiring presence on the eve of entering the
uncertain passage which leads to eternity.
It is not therefore surprising if his Lordship, Dr. Cagliero VicarApostolic
of Patagonia, cannot bear to see the rites and comforts of our holy
religion denied to those poor savages, who, notwithstanding their primitive
degradation, are yet his dear children in Jesus Christ. But he has neither
sufficient staff nor means to satisfy their ardent desire. For in order
to establish fixed residences for Missioners in the Patagonian desert
according as the natives unite in colonies or villages, he obviously
requires a much greater number, of priests, catechists and mums, as
also a goodly store of household chattels, provisions and diverse articles,
indispensable both for daily sustenance _ and divine worship.
Those poor neophites, though willing to assist us; can offer nothing
to our Missioners save the sad spectacle of their deplorable misery.
They themselves want everything, even to be clothed and maintained,
especially in the first stages of their conversion. Hence the Mission
is entirely dependent on the 'Pious Salesian Society and the Charity
of our Co-operators. And should we for this lose courage? Oh no! On
the contrary, let us redouble our exertions in pro of this charitable
undertaking which we have already laboured so much for.
I also feel pleasure in participating to you, that (in order to render
more secure the entire conversion of Patagonia) we have resolved to
open a way on the Western side of Chili, and already a band of Salesians
have gone there to found a college in the city of Conception.
Thence will go forth columns of Missioners to evangelize Araucania and
West-Patagonia,. spreading themselves later on, little by little in
Terra-del-Fuego and the Archipelagoes of Chiloe and Magellan, peopled
all by innumerable tribes without even an idea of religion or civilization..
Fr. Fagnano, who at present is visiting the Malvine Isles, intends to
explore every islet down to Cape Horn, studying at the same time the
positions better adapted whereon to pitch the tents of the mew crusaders
who soon are going to join him.
It is difficult to imagine, dearly beloved Co-operators, how I am continually
pressed and supplicated by our indefatigable Missioners.
717
and by the native inhabitants themselves, to send out fresh and mot
inconsiderable reinforcements of men and money.
Apropos. of which Fr. Louis Lasagna has returned from that distant land
precisely to plead and make better known the wants and - thanks be to
God - encouraging condition of our American Missions; nor has he neglected
any means by whih hec might induce us to prepare this time also a numerous
expedition of Salesian Priests and Nuns of Mary Help of Christians.
He himself requires a goodly number for the Mission I have confides
to his care in the vast Brazilian Empire, more extensive in itself than
the whole of Europe together, and peopled almost exclusively by savages
who range the immense forest of their native plains, languishing through
ages for some friendly hand to draw them out of the ignominious barbarity
in which they have been entombed for centuries, and which they may yet
be condemned to for who knows how many generations, if the zeal of the
Missionary, sustained by the charity of the faithful, does mot come
to succour and liberate them.
Induced by those powerful motives, we have decided to prepare a fresh
band of Missioners who will get forth, D. V., towards the end of November.
Confiding in the prompt assistance and generous supplies of our Benefactors,
we hope to be able to furnish at least some forty or fifty young messengers
of peace and of the kingdom of heaven. But as our dear Co-operators
may easily understand, the outfitting of so numerous a body incurs an
enormous expenditure in Sacred articles and vestments, in clothing and
habiliments generally, in church ornaments, school furniture and household
utensils, without speaking of the not indifferent and more pressing
expenses of baggage and travelling both by sea and land. Hence my only,
my every hope after God Almighty, must be centred, dearly beloved
Co-operators, in your generosity, that as you have succoured me in the
past, you may also come to my aid in the present expedition. Wherefore
I make a fresh appeal to your charity; harken to the Missioner's voice
and the imploring cry which arises from hundreds of thousands of abandoned
wretches in those far distant regions! Once more I implore our Benefactors
to render us practicable this new expedition by assisting us in especial
manner with their fervent prayers and with whatever offering they can
send us, either in linen or linen-garments, in cloth or clothing, in
church furniture or sacred vessels, or better still in money with which
to defray the expenses of travelling and transport of luggage both by
land and sea, - in
short with whatever alms their piety suggests and their condition permits.
At the Oratory in Turin, whence our Missionaries will set forth, we
shall receive with gratitude whatever your industrious charity may think
well to consacrate to this generous undertaking.
718
On the day selected for the departure of the Missioners I intend to
confer with my beloved Co-operators in the Sanctuary of Mary Help of
Christians, and while I now invite you, I cannot help begging you to
have the goodness to search amongst your acquaintances and friends,
whoever might desire to concur with his mite to this work of humanity
and faith.
We will inscribe your name and theirs in the registers of our Pious
Institution, to remember them every day in our prayers, to implore from
heaven copious benedictions upon you and upon all those who benefit
us, upon your families and upon your undertakings, confident that God
will inscribe them in the Book of Life, the Book of the Predestined,
for, as St. Augustine says, whoever efficaciously contributes to his
neighbour's salvation saves himself: Animam salvasti, animam tuam praedestinasti.
Mary Help of Christians, Protectrix and Mother of our Missioners and
of the poor Patagonian savages, obtain from God for you every most desirable
Benediction both spiritual and temporal.
Turin, 15 October 1886.,
Yours affectionately in J. C.
Fr. JOHN Bosco.
Charitable Benefactors of our Missions are requested to send their
Offerings directly to Rev. John Bosco in via Cottolengo, N. 32, Turin,
Italy.
E.
Wohlverdiente Mitarbeiter and Mitarbeiterinnen!
Es freut mich, theure Mitarbeiter and Mitarbeiterinnen, dass ich im
Stande bin, interessante Nachrichten, die mir von Patagonien and von
andern zahlreichen in Siidamerika bereits eröffneten Missionen
gekommen sind, Euch mittheilen and zugleich die Plane neuer Unternehmungen
vorlegen zu können, die man wegen dringender Bedürfnisse jener
entlegenen Völker so schnell als möglich , vornehmen sollte.
Nachdem unsere Missionäre Patagonien vow atlantischen Oceane bis
zu den Kordilieren der Anden durchgestreift, and um nach Chili zu gelangen,
jene hohen Gebirge wohl zweimal übergesetzt hatten, and nachdem
sie verschiedene Stämme der Wilden auf Kosten grosser Mühen
and unglaublicher Gefahren katechisirt and getauft hatten: ist nun der
Zeitpunkt gekommen, um wit Ernste darüber nachzudenken, wie man
das bis dahin zu Stande gebrachte Werk befestigen and verewigen könnte.
Denn jenen besanftigten and zum Glauben bekehrten Stammen
719
nachdem sie einmal die Süssigkeiten des christlichen und civilisirten
Lebens gekostet haben, kommt es äusserst schwer, den Missionrr,
der sie zu dem socialen Leben und zum Lichte Evangeliums gerufen hat,
nur von Zeit zu Zeit sehen zu Können.
Und gánz mit -Recht, dieselben möchten ihn immer unter sich
haben, um vor ihm belehrt, getróstet und geführt zu werden,
aber vorzüglich um im Falle einer Krankheit und Lebensgefahr von
ihm Beistand zu erhalten.
Es ist somit gar nicht auffallend, dass der apostolische Vikar von Patagonien
Mons. Cagliero den armen Wilden diese religiösen und gerechtesten
Starkungen nicht widersprechen móchte; ie sind, ja seine liebsten
kinder in Gesu Christo. Er aber besitzt wedett Personal noch hinreichende
Mittel, um den heissen Wünschen jener Verunglückten genúgzuthun.
Um sie jedoch in Kolorien und Dörfern zu vereinigen, ist er im
Begriffe, in der. patagonischen Wüste bleibende Missionshaüser
zu gründen, und dazu, was leicht begreiflich ist, bedarf er einer
grösseren Anzahl der Priester, Katechisten und Schwestern und auch
vieler materiellen Mittel, welche in socialen Leben und lm Gottesdienste
unentbehrlich sind.
Diese armen Neubekehrten, ungeachtet ihres besten Willens, kónnen
unseren Missionären nichts geben ausser des Schauspieles ihrer
beweinenswürdigen Noth. Sie selbst benóthigen Alles bis
auf die Kleidung und Kost, hauptsächlich zu Anfange ihrer Bekehrung.
Es ist mithin klar, dass das Loos dieser Missionere ganzlich vor der
frommen Gesellschaft dei Salesianer und von der Barmherzigkeit unserer
Mitarbeiter und Mitarbeiterinnen abhdngt. Urd wir sollen vielleicht
den Mut verlieren? Keineswegsl vielmehr mögen wir unsere Anstrengungen
verdoppeln, um nicht jene Werke fallen zu lassen, die uns bereits so
viele Mühen und Opfer gekostet haben.
Ausserdem ist es recht zu wissen, wir haben, um den glücklichen
Erfolg der ganzlichen Bekehrung von Patagonien zu sichern, eben festgesetzt,
einen neuen Weg dahin zu eröffnen vom westlichen Theile vor Chili,
und bereits eine Schar der Salesiarer sich begebe dahin, um ein Haus
zu gründen jenseits der Kordilieren in der zu der Chilischen Republik
gehürigen Stadt a Die Concepcion ».
Und von da werden einst Missionär-Kolonien aufbrechen, um in Araukanien
und im westlichen Patagonien das Evangelium zu lehren, und vor dort
hernach werden sich verbreiten in Laufe der Zeit in
magellanischen Archipelag in den sogenannten « Feuerländern
», die von unzahligen Stämmen der Eingeborner, bewohnt sind,
welche keinen Begriff haben vor der offenbarten Wahrheit und von Civilisation.
In diesem Momente eben soll Don Fagnano bereits auf den Malwinischen
Inseln gelandet sein und vor dort wird er auf seinen Ausflügen
alle jene Inseln bis auf den Kap Horn ausforschen und daselbst
720
wird er ausfìndig machen die mehr strategischen.und mehr geeigneten
Punkte zur Gründung neuer Lager für die Soldaten des Kreuzes
die ira Kurzen nach ihm hinziehen werden.
Ihr kónnet kaum begraifen, theure Mitarbeiter und Mitarbeiterinnen,
wie viele und wie dringende Bitten von dort zu uns kommen von Seiten
unserer unermüdlichen Missionäre und von den Vólkerschaften
selbst, um ihnen neue und beträchtliche Verstärkungen in Mannschaft
und lm Gelde zu schicken.
Und um uns über die Bedürfnisse und über den, Gott sei
Dark, befriedigenden Stand unserer Missionen in A Amerika naher zu benachrichtigen,
ist geradé in dieser Zeit von jenen entlegenen Ländern einer
unserer Missionáre, Namens Aloysius Lasagna zu uns gekommen,
der auch durch seine ausserordentliche Vorstellungen uns dahin' gebracht
hat, dass wir jetzt eine neue Sendung der salesianischen Missionáre
und der Tóchter Maria,, der Helferin der Christen unternehmen
wollen. Auch et hat nóthig einer ansehnlichen Zahl derselben
für die Missionen, die ich ihm anvertraut habe in dem grossen Reiche
von Brasilien, dessen Ausdehnung grosser ist als die von ganz Europa,
und wo sich noch nicht erforschte und von Wilden bewohnte Gegenden befìnden,
welche in unzuganglichen Waldern hausend, vor jahrhunderten her mit
Sehnsucht einer freundlichen Hand erwarten, die sie ans der schandlichen
Barberei herausziehen móchte.
Und in derselben.werden sie, wer weiss wie lange schmachten wenn der
Eifer der Missionáre, unterstützt von der Liebe der Gläu-bigen
ihnen nicht zu Hülfe kommen werde. Durch diese kráftigen
Beweggründe bewogen, haben wir für den nachsten November diè
Expedition einer neuen Schar der Missionáre beschlossen, welche
wenigstens die Zahl von dreissig erreichen werden und kônnen sie
sogar übersteigen, wenn die Beisteuer der Wohltháter zu
rechter ' Zeit und reichlich zu uns werden angelangt werden sein.
Demnach, theure Mitarbeiter und Mitarbeiterinnen, werdet ihr, leicht
begreifen, es seien nóthig für die Ausrüstung eines
neuen Gesch-waders vo1 Froberern der Seelen und von Fortpflanzern des
Reiches Gottes auf der Frde sehr bedeutende Auslagen für die Kirche
und für die heiligen Gerathschaften, Auslagen für die Kleidung
und für die Wasche, Auslagen für die Schule únd die
Wohnung, und vor Allem dringende Reisekosten für die Fahrt zu Wasser
und zu Lande. Und somit bleibt mir nichts übrig, als meine ganze
Hoffnung hinzulegen in Gott und in Eure Edelmüthigkeit, theuerste
Mitarbeiter und Mitarbeiterinnen. Wie ihr' in vorigen Expeditionen mir
beigestanden habet, wollet mir auch jetzt beistehen in dieser Sendung,
die wir beschlossen haben zu unternehmen, ungeachtet eines drückenden
Mangels an materiellen Mitteln. Mit meinem Aufrufe einigen sich auch
die Stimmen meiner theuren Missionáre und der trostlose Ruf so
vieler armer Verlassenen von jenen entlegenen Ländern her.
721
Indesseu ersuche ich Euch, verehrte Mitarbeiter and Mitarbeiterinnen,
uns diese neue Expedition zu ermöglichen durch Gebete and durch
Gaben, die verabfolgt werden kónnen in Geweben, Weisszeug, Tuch
and Kleidung, in Kirchengeräthen and heiligen gefässen and
vorziiglich in Geld, womit wir die Reisexosten bestreiten kónnten,
and endlich in irgend welchem Aluosen, jenachden es Euch Eure Barnherzigkeit
eingiebt unn Eure Kräfte gestatten.
In Oratoriun zu Turin, von wo die neuen Missionäre ihre Reise antreten
werden, werden alle gaben mit Dankbarkeit angenonmen, die Eure betriebsame
Liebe zu diesem edlen Zwecke senden wird, sei e vermittelst der Post,
sei es mit der disenbahn.
Indem bin ich so frei Euch zu bitter um die gütige Ernunterung
Eure Bexannten zur thätigen theilnahme an diesem Werke der hunanität
and dés glaubens.
Wir werden Eure and ihre Namen in der Registern unseres frommen Institutes
aufzeichnen, um sie jeden Tags bei unseren Gebeten zu gedenken und um
vom Hinnnel reichliche Segnungen über Euch and über jene Alle
herabzurufen, die uns Gutes erzeigen, über ihre Familier, über
ihre Werke, vertauend, dass Gott sie aufzeichnen werde in dem Buche
des Lebens, in dem Buche der Auserwählten, nach dem Aussprache
des grossen heiligen Augustin: Wer das Heil der Seeleu mit Erfolg besorgt,
der wird auch seine eigene Seele in Sicherheit stellen: Animam salvasti,
animam tuam praedestinasti.
Maria, die Helferin der Cristen, welche sich zur Beschützerin and
Mutter unserer Missionäre and jener armen Wilden aufgestellt hat,
móge Euch vom Gott alle móglichen geistlichen and zeitlichen
Segnungen erhalten.
Turin, don 15 October 1886.
Euer ergebenster in J. Ch.
J. Bosco, Priester.
NB. Die mildthätigen Wohlthäter unserer Missionen werden ersucht
ihre Gaben gerade an D. Bosco in Turin, via Cottolengo N, 32, zu senden.
45.
Don Bosco e la catechizzazione dei selvaggi.
Il noto prete Don Bosco ha avuto la degnazione di mandare anche a noi
una circolare nella quale egli batte la gran cassa per le missioni cattoliche
nell'America meridionale e nella Patagonia.
Don Bosco è, come si sa, il braccio destro dei gesuiti in Italia.
Meravigliosa è la sua attività, la sua raffinatezza, la
sua furberia.
Se avesse applicato a fin di bene queste doti di iniziatore e di orga
-
722
nizzatore, l'Italia avrebbe in lui un benemerito; invece oggi ha un
grande e temibile nemico, che fa molto male, che perverte il senso nelle
nostre fanciulle, istupidite nelle pratiche delle figlie di Maria; che
ruba alle famiglie, alle officine, agli studi civili un gran numero
di fanciulli, per istillare nell'animo loro il germe del fanatismo clericale.
Vera stoffa da industriale, Don Bosco ha capito che il buon mercato
è la chiave della riuscita di tutte le più grandi intraprese
moderne, e perciò i suoi sodalizi riscuotono tasse minime, che
riunite insieme danno però una bella somma; nei suoi collegi
si paga una retta insignificante; quando egli chiede non ispaventa colle
pretese, si contenta di qualche litro di vino, di un po' di carne, di
pochi soldi di qualche capo molto economico di vestiario.
Don Bosco accetta tutto, ha le braccia sempre aperte per ricevere tutto
quello che gli mandate.
È una lezione che dà al governo, il quale rende costosa
l'istruzione laica e fa pagare molto caro un posto in un convitto civile.
Don Bosco ha in sè qualcosa di quell'industria che ora si suole
chiamare, per antonomasia, dei fratelli Bocconi. È il genere
veramente moderno.
E difatti ecco questo Bocconi della Chiesa annunziare che partiranno
per l'America meridionale e per la Patagonia nuovi missionari. Don Bocconi
- pardon, Don Bosco - non si contenta di fabbricare questi missionari;
egli li fa uscire dal suo stabilimento, armati vestiti, imbagagliati
e col borsellino guarnito. Tutto a sistema economico e a prezzi ridotti.
Gli basta di invitare a concorrere a quest'opera le beghine e i sanfedisti
di tutta Italia. Chi manderà 5 centesimi, chi mezza lira, ma
finalmente dall'insieme ne verrà fuori un appannaggio sufficiente,
magari anzi un civanzo, e la spedizione sarà fatta.
Noi non abbiamo nessuna velleità di combattere di proposito e
ad oltranza le missioni cattoliche. I preti ci vogliono creare qualcosa
dell'Africa e della Patagonia in Italia; se vanno invece tra i selvaggi,
abbiamo tanti minori fastidi tra i piedi; dobbiamo però non favorirle,
e compatire, senza scaldarci troppo, i poveri selvaggi che ormai hanno
tutte le ragioni di difendersi da certe importazioni.
Non è un paradosso, ma è una verità.
Se si tolgono certe personalità eccezionali, come il Massaia
o certi altri che fanno un po' di bene per ambizione illuminata, come
monsignor Comboni, i missionari cattolici - checchè ne canti
un sentimentalismo tradizionale - o sono fanatici che vanno a farsi
ammazzare senza una ragione al mondo, o sono degli intriganti, degli
ignoranti materialoni che credono di aver incivilito una tribù,
un regno, quando hanno insegnato ad un centinaio di selvaggi il segno
della croce, la genuflessione e simili esteriorità senza senso,
che i selvaggi
723
imparano ed eseguiscono con una certa facilità, materialmente,
per puro spirito di imitazione, perchè essi non sono per nulla
i più prossimi parenti delle scimmie.
Nei primi stadi della barbarie le missioni cattoliche sono perfettamente
inutili. A ridurre i selvaggi all'esercizio di certe manovre religiose,
riuscirebbero più prontamente dei giocolieri e dei commedianti
perchè hanno maggiore facilità di comunicativa e fanno
più colpo.
Quando invece i primi germi dell'incivilimento cominciano a svilupparsi,
le missioni diventano immediatamente una remora al progresso. La storia
lo addimostra dappertutto, nel Paraguay per esempio.
Il Paraguay fu la regione nella quale i gesuiti prolungarono per maggior
tempo il loro dominio. Là essi erano padroni dispotici di tutto
e di tutti, avevano diritti usurpati, ma ormai indiscussi sul suolo
o sulle persone.
Ebbene, questi precursori degli attuali missionari patrocinati da Don
Bosco, ridussero il Paraguay ad un limbo di gente stupida.
Lì tutto era fratescamente regolato. Di notte suonava una campana
la quale indicava che in quell'ora e non prima, e non dopo, tutti i
mariti paraguayani si dovevano ricordare di esser tali.
In conseguenza appunto di questo vizio di origine, il Paraguay fu la
regione americana più restia alla civiltà. Cadde sotto
tirannidi efferrate e fino a non molti anni fa, rimase chiuso all'Europa
e al resto dell'America più che il Giappone e la Cina.
E il Paraguay sarebbe ancora peggio della Patagonia, se i gesuiti che
n'erano diventati padroni, non ne fossero stati cacciati.
Per cacciarli ci volle l'intervento del mondo civile, scosso dall'eco
di orrori, di crudeltà e di immoralità inaudite e dal
fallimento doloso di parecchie Case commerciali impiantate dai gesuiti
stessi, per conto loro.
In Africa i missionari italiani non fanno un gran bene per noi. Quelli
che si trovano a Tunisi, a Tripoli, in Algeri, dove potrebbero esercitare
con maggiore profitto un'influenza civile, sono nemici dell'Italia e
fanno della politica antipatriotica, sobillati dal Vaticano, il quale
come abbiamo detto più volte - ha infeudato tutte le missioni
al cardinale francese Lavigerie, temendo e odiando fin l'ombra di una
influenza italiana.
Quando ve n'è uno buono, il Vaticano si affretta a sostituirlo.
Monsignor Sutter informi.
Nell'America del sud noi non abbiamo bisogno d'inviare dei tonsurati.
Abbiamo in quelle regioni larghe schiere di italiani che col loro lavoro,
col loro coraggio fanno onore alla madre patria e ci procurano delle
grandi risorse. Mandiamo laggiù dei bravi operai, dei lavoratori
di terre, dei commercianti attivi e intelligenti. Solo allora ci faremo
724
onore e saremo sicuri di aver dei fratelli sui quali contare, e non
dei nemici scaldati nel nostro seno.
Ieri abbiamo raccontato che un giornale d'America c'insultava, dicendo
di non conoscere altri italiani che i cantanti, i suonatori di organetto
e i calderai.
Non abbiamo bisogno che all'enumerazione poco lusinghiera sia aggiunta
quella dei chierici.
(La Riforma del 31 ottobre 1886).
46.
Per la cerimonia della partenza di Missionari.
A.
Benemeriti Cooperatori e Benemerite Cooperatrici,
Mi sta a cuore di far sapere alle S. V. Che il 2 prossimo dicembre
è stabilita la partenza dei nostri Missionari per l'America.
Affinchè il loro viaggio lungo e pericoloso sia accompagnato
dalla benedizione di Dio, è mia intenzione che si compia in quel
dì una religiosa funzione coll'intervento almeno dei nostri cooperatori
e delle nostre cooperatrici di Torino e di sue vicinanze.
La funzione sarà, celebrata nella Chiesa di Maria Ausiliatrice
e avrà principio alle 3 pomeridiane di detto giorno.
Il Sac. Don Luigi Lasagna, capo dei Missionarii, terrà ai convenuti
un discorso di circostanza in forma di conferenza.
Sua Eminenza Reverendissima, il Cardinale Alimonda nostro Veneratissimo
Arcivescovo, ha la grande bontà di onorarla colla sua presenza,
impartire la trina benedizione col SS. Sacramento, e recitare sui Missionarii
le preghiere della Chiesa pei pellegrinanti.
Il Santo Padre Leone XIII, agli 11 del corrente mese, ebbe già
l'alta degnazione di ricevere benignamente in udienza privata il prelodato
Sacerdote Don Luigi Lasagna, e benediceva ai Missionarii e a tutti coloro
che concorressero ad effettuarne la nobile impresa.
Invito pertanto tutti i cooperatori e tutte le cooperatrici, che riceveranno
questa lettera, a volere prendere parte alla detta Conferenza e di condurvi
altresì quelle persone, che giudicheranno a proposito. Stanti
le ingenti spese richieste per questo invio di operai evangelici nella
Patagonia e nel Brasile, si farà una questua in chiesa in favore
delle Missioni.
Sono lieto infine di cogliere questa nuova occasione, per tutti ringraziarvi
degli aiuti che mi prestate a compiere quest'opera, e assicurandovi
che unitamente coi Missionarii colle suore di Maria Ausi-
725
liatrice e con tutti i giovanetti di questa casa, invocherò
ogni giorno sopra di voi e sopra le vostre famiglie le benedizioni del
cielo, ho l'onore di professarmi con profonda graditudine Delle SS.
VV. BB.
Torino, 26 novembre 1886.
Dev.mo Servitore
Sac. GIOVANNI Bosco
B.
726
Il est heureux de saisir cette occasion, d'assurer…..du profond
respect avec lequel il a l'honneur d'être
15 Novembre 1886
Turin (Italie) Rue Cottolengo, 32
VoIre trèshumble et obéissant serviteur
Abbé JEAN Bosco.
47.
Re e regno immaginario.
a)
Molto Reverendo Padre,
Pel tramite del Signor Cavaliere Gigante, Vice Console Arauco - Patagono
in Roma, 14, Via dei Bagni, mi arriva una circolare di Vostra Reverenza
di vecchia data, cioè 15 Ottobre 1886, con la quale Ella con
generoso e santo proposito fa appello ai benevoli Cooperatori e Cooperatrici,
perchè vogliano concorrere con ogni loro mezzo ad aiutare le
Missioni destinate per l'Araucania - Patagonia e pel Brasile, onde catechizzare,
battezzare e civilizzare quelle tribù, che sotto la volta celeste
sono ancora idolatre e selvagge.
Vostra Reverenza nell'aver aggirato il suo sguardo verso l'Araucania
- Patagonia, non avrà certo ignorato come quelle popolazioni,
per natura agguerite, ma generose d'indole, fin dal 1860 si elessero
un Sovrano in persona di un generoso francese, Orèlie Antoine
De Tounens, il quale avendo avuto la possanza d'installare la pace e
riunire in un sol fascio le tribù rette da Caciques, con lo accordo
di questi il Reame fu costituito sotto forma Rappresentativa, e dei
trattati corsero tra il novello Re e le Repubbliche dell'Argentina e
del Chili.
Per avidità di conquista, le due confinanti Repubbliche pretesero
sempre il territorio Arauco - Patagono; ma non vi riuscirono mai. E
mentre Sua Maestà Oréile Antoine si conduceva in Europa
per trattare con le Potenze Europee, sventuratamente sen moriva, e Suo
Successore addiveniva il valoroso Principe Achille de Laviarde, oggi
Achille 1, che provvisoriamente risiede a Parigi, 110 Boulevard Rochechouart,
continuando le pratiche affinchè con lo appoggio di Stati Civili
possa andarsi a stabilire tra quei popoli, che già lo riconobbero
qual Successore del Primo fondatore del Reame.
Oggi non è più quistione di progetti; è il fatto
finanziario quello che deesi finalizzare, e già le cose sono
a buon punto.
Non ha molto una numerosa deputazione di Notabili Arauco - Patagoni
si recava in Francia per ossequiare il proprio Re e confirmargli l'alto
mandato; ed un atto pubblico rogato da valido Notaio esiste
727
negli Archivii Notarili di Parigi, col quale Achille appare, come la
luce del giorno, 20 Re eletto dell'Araucania - Patagonia.
Io che trovomi fin da molti anni a Capo del Corpo Consolare creato e
dal defunto e dall'attuale Sovrano, propugnai sempre perchè,
essendo ardua la impresa, si fosse cominciato dalla Cattolica Religione,
e perciò far pratiche principali presso il Vaticano per pensare
a spedir Missionarii a quella volta, e così render men difficile
lo accesso in prosieguo nel territorio Arauco - Patagono i cui confini
sono dagli indigeni gelosamente guardati e custoditi.
Sua Maestà, che mi onora di sua fiducia, trovò equo il
mio suggerimento, e delle pratiche vennero aperte col Vaticano. Anzi,
inviato straordinario ed incaricato d'affari Arauco - Patagono, presso
la Santa, Sede fu nominato il Cavaliere, Avvocato di Sacra Rota, Carlo
Lenti, dimorante in Roma, Via della Pedacchia 100, il quale è
germano di Monsignor Lenti, Vice Gerente di Sua Santità.
Dopo la esposizione di tali fatti, le dirò francamente che la
Circolare di Vostra Reverenza mi ha confortata l'anima, e voglia Ella
spedirmene un numero di esemplari, perchè mi attiverò
con ogni mia possa pel trionfo della santa causa, di cui politicamente
e religiosamente posso dirmi uno degli attivi promotori.
Sarebbe anche bene che Vostra Reverenza si mettesse in relazione diretta
con Sua Maestà, cui andrò a scrivere positivamente, e
conosca altresì il Console Arauco - Patagono in Torino, Commendatore
Felice Zanini; cui pure ho scritto contemporaneamente, ed abita in Via
Santa Chiara N. 52.
Da questo momento mi metto a totale disposizione di Vostra Reverenza,
e me le proffero con rispettoso ossequio.
Napoli, II Gennaio 1887
12, Via Due Porte a Toledo.
Il Console Generale Incaricato d'Affari
Comm. GIUS. PIETRO GIUSTINI.
b) Le Missioni dell'Araucania e Patagonia.
(La Sicilia, Cattolica, 21 gennaio 1887).
Riceviamo dal Consolato di Araucania e Patagonia a Palermo, e provvisoriamente
a Bisacquino, la seguente che ben volentieri pubblichiamo.
Onor. Sig. Diret. del giornale La Sicilia Cattolica - Palermo
Dovendo pensare seriamente a consolidare e perpetuare il bene fino
ad ora fatto dai nostri missionarii, nel regno di Araucania Pata -
728
gonia, abbiamo bisogno del generoso concorso dei fedeli, dappoichè
grandi mezzi abbisognano.
Ella non ignora che per l'Araticania Patagonia è Vicario Apostolico
Monsignore Cagliero, ma questi manca di personale e di mezzi sufficienti
per stabilire residenze fisse in quelle lontane contrade.
A cura della Società Salesiana sono stati spediti molti missionarii,
ed altre nuove spedizioni di Missionarii Salesiani e di suore di Maria
Ausiliatrice avranno luogo quanto prima; ma è indispensabile
il buon concorso di generosi cooperatori e cooperatrici, acciocchè
contribuiscano e con effetti di vestiario e con danaro e con arredi
sacri.
Io prego V. S. di prestarci, il suo validissimo aiuto, invitando col
suo diffuso giornale la carità pubblica a voler concorrer all'opera
santissima della pia Società Salesiana, la quale senza disanimarsi
raddoppia i suoi sforzi, per non lasciare venir meno quelle opere che
già costarono tanti sudori e sacrifizi.
Le offerte potranno essere inviate direttamente al Rev.mo Sacerdote
Don Giovanni Bosco degnissimo Prefetto della Missione della Patagonia
e del Brasile, in Torino, Via Cottolengo N. 32 o alla Regia Legazione
Arauco Patagona a Napoli, 12, via Due porte a Toledo.
Spero che V. S. Onorevolissima accetterà la mia umilissima preghiera,
ed inviterà la pubblica stampa a riportare quanto ella sarà
per pubblicare, e ne la ringrazio distintamente.
Gradisca gli ossequii di chi si onora
Di V. S., Sig. Direttore del giornale La Sicilia Cattolica, Palermo
Bisacquino, li 15 gennaio 1887. Devotissimo Servo
D.r GIOACHINO BONA
Console di Araucania Patagonia.
Noi esortiamo i buoni e zelanti cattolici, che possono contribuire
colle loro elemosine ad UN'OPERA così santa, a mostrarsi generosi,
perchè è un'opera che torna a gloria di Dio e della Chiesa,
come anche al bene di tante anime e alla vera civiltà.
Mesi addietro abbiamo spedite 400 lire a Don Bosco offerteci da un pio
e zelante cattolico di Palermo. Speriamo di raccogliere qualche altra
somma ad un fine così santo. Se gli altri giornali volessero
pubblicare la presente lettera farebbero cosa gratissima allo stesso
zelante Console.
Il giornale annuncia l'associazione delle Letture Cattoliche, XXXIV,
pag. 54.
c) Della Secreteria di Stato.
Gentilissimo Sig. D. Rua,
Non mi sarebbe stato possibile rispondere prima d'ora alla pregiata
Sua del 17 p. p. Gennaio, appunto per aver voluto cercare ogni possibile
informazione intorno al Regno Arauco - Patagonico.
729
Quando io leggeva la copia di lettera che mi si accludeva, primo mio
pensiero si fu che non si dovesse dar retta a quanto vi si dice. Le
mie indagini non hanno che confermato la mia prima impressione.
In Secreteria di Stato, nessuno di noi intese mai parlare del regno
indipendente L'Araucania - Patagonia, e l'Almanacco di Gotha neppure
ne fa menzione. Volli visitare in persona l'Inviato Straordinario accreditato
presso la S. Sede, l'Avv. Lenti, e questi mi raccontò alquanto
più in disteso quanto è già narrato nella lettera
del Sig. Console Generale. Dal tutto insieme, ho potuto trarre una sola
conseguenza: che sono alcuni affaristi che si arrabattano con ogni mezzo
onde ottenere il loro intento. E l'Avv. Lenti, per quanto germano del
Vicegerente di Roma, non merita, a parer mio grande fiducia.
Sarebbe a Propaganda che dovevano rivolgersi, ma neanche là si
aveva notizia della cosa e l'unica notizia che avesse il Vaticano, proveniva
dall'avere il Sullodato Sig. Lenti accennato qualche cosa a voce, a
qualcuno della Corte Pontificia; ma nessun documento venne mai presentato.
Nè lo potevano fare, chè il famoso regno esiste solo nella
mente inferma di pochi individui. Esiste indubbiamente una regione,
denominata Araucania, e confinante colla Patagonia, ma non esiste nessun
dubbio che la stessa si trova entro i limiti riconosciuti della Repubblica
Chilena. Ho potuto avere accurati dettagli da un ottimo mio amico, Monsignor
Infante Concha, Chileno e noto al nostro Carissimo Don Bosco, per aver
egli avuto gran parte nell'ottenere dei Salesiani per le missioni del
Chilì. Monsignore Concha mi aggiungeva anzi che alcuni dei Salesiani,
ultimamente approdati in America, sono precisamente destinati a quelle
provincie Arauco - Patagoniche, le quali saranno ben presto collegate
colla Capitale per mezzo di una ferrovia che si sta costruendo.
Queste sono le informazioni che sono in grado di darle. A Napoli si
può rispondere pochi cenni. evasivamente.
Gradisca i miei cordiali saluti, lì estenda all'Amat.mo Don Bosco
e Compagni e mi creda sempre di Lei
Roma, io Febbraio 1887.
Via Testa Spaccata N. 16.
Dev.mo Aff.mo
Mgr. M. ANTONINI.
d) Articolo della "Staffetta".
Missioni. - Alla - volta della Araucania - Patagonia già partirono
drappelli di Missionarii, ed altri si preparano a pigliar quella via
per catechizzare e battezzare quelle tribù, le quali avendosi
eletto un Sovrano, questi per trattati internazionali e finanziari è
astretto a risiedere ancora in Europa. Però le missioni avendo
il grande scopo di civilizzare ed istruire popoli ancora nudi di buone
cognizioni abbi -
730
sognano di grande appoggio e sotto qualsiasi aspetto. Una circolare
emessa dal Rev. Sacerdote D. Giovanni Bosco di Torino della Società
dei Missionarii, invita i benevoli Cooperatori e Cooperatrici perchè
aiutino l'opera sacrosanta intrapresa, spedendo biancherie, oggetti
di vestiario, arredi sacri, e quanto altro, poichè in quelle
lontane regioni mancandosi di tutto è alla generosità
dei buoni che bisogna rivolgersi. Noi diamo posto di tutto cuore a questa
notizia nelle colonne del nostro giornale, e facciamo caldo appello
alla carità pubblica, affinchè ciascuno nelle proprie
forze contribuisca al soccorso domandato. Le offerte potranno inviarsi
o direttamente al Sacerdote Don Giovanni Bosco in Torino, Via Cottolengo
N. 32 oppure al nostro ufficio in via Due porte al teatro nuovo in Napoli
N. 12 per le analoghe trasmissioni. Essendo noi delegati di Sua Maestà
il Re Achille I in questa Napoli, con giurisdizione su tutti gli altri
Rappresentanti del Sovrano in Italia apriamo volentieri la sottoscrizione
e lo appoggio dei generosi non ci verrà certo meno.
Commend. G. P. GIUSTINI.
e) Don Rua al Direttore della “Staffetta”.
Ill.mo Sig. Comm. Giuseppe P. Giustini
Direttore della Staffetta di Napoli,
Già parecchie volte abbiamo veduto nel suo stimato giornale
La Staffetta un cenno sulla circolare spedita dal Sac. Giovanni Bosco
per chiedere soccorso per la spedizione di Missionarii per la Patagonia
in dicembre scorso, al qual cenno va unito un invito di inviare a Don
Bosco stesso od alla S. V. Ill.ma quale Delegato di S. M. il Re Achille
I.
Noi siamo ben riconoscenti della bontà con cui si compiacque
far conoscere detta circolare e gliene rendiamo le dovute grazie; ci
permettiamo però con sua buona venia di farle notare che non
era intenzione del prelodato Don Bosco di aprire sottoscrizioni sopra
alcun giornale, nè di dar incomodo ad altri per raccogliere le
offerte; bensì solo invitare i sig. Cooperatori e cooperatrici
ed altre persone caritatevoli a mandare direttamente qui a Torino quanto
nella loro generosità avrebbero creduto opportuno. In tal senso
venne intesa generalmente la circolare in questione dagli altri giornalisti
che si limitarono a pubblicarla o quanto meno a dame un sunto.
L'invitare poi a spedire offerte ad un persona quale è la S.
V.
Ill.ma Delegato di S. M. il Re Achille I, potrebbe per avventura dare
alla spedizione dei Missionarii un aspetto politico, dal che rifugge
il Sac. Giovanni Bosco, il quale non ha altro di mira che propagare
la nostra santa Religione e con essa la civiltà fra i popoli
infedeli e fra i selvaggi della Patagonia, dell'Araucania e del Brasile.
Autorizzato pertanto dal medesimo prego la cortesia della S. V.
731
Ill.ma a voler inserire questa mia sul pregiato suo giornale a fine
di ovviare ad ogni malintesa fra i suoi lettori.
Gradisca i sentimenti di stima e gratitudine con cui godo professarmi
D. V. S. Ill.ma
Torino, 9 aprile 1887.
Obb.mo servitore
Sac. MICHELE RUA
Vic. del Sig. D. Gio. Bosco.
f) Risposta alla precedente.
LEGAZIONE DI S. M. IL RE
DI ARAUCANIA - PATAGONIA
N - 32.
Al Molto Reverendo Sacerdote D. G. Bosco - Torino.
Presi buona nota della rispettabile sua 9 stante, e mi è uopo
sottoporle, che in ammirazione per la impresa santissima di Vostra Reverenza,
disponendo io dì un periodico proprio, credetti bene aiutare
l'opera con una modesta propaganda. Nè interpretazione politica
alcuna si è potuto attribuire a quella pubblicazione fatta nella
Staffetta del 28 marzo p.p. poichè nelle mie parole sottoscritte
non feci che far rifulgere l'atto caritatevole di Lei, ed il bisogno
di illuminar i popoli ancora schiavi dell'idolatria e della infedeltà,
mercè la santa parola dei Ministri della nostra Cattolica Chiesa.
Ad eliminare però degli equivoci, servendomi delle idee espresse
nella sullodata sua epistola, nella Staffetta del 15 corrente ho fatto
apparire espressa rettifica, augurandomi di restarne Ella pienamente
soddisfatta.
Il pensiero di voler giovare ad mia causa tanto umanitaria, per la quale
da parecchi anni presto la debole opera mia, mi avrà fatto forse
giudicare troppo spinto; ma Vostra Reverenza creda pure alla mia fede,
che la politica pel fatto che riguarda il mio Augusto Sovrano, la va
trattata diplomaticamente, senza farne vana pompa per la stampa.
Io vorrei schierarmi tra il novero dei suoi Cooperatori fedelissimi,
e perciò se la mia povera individualità potesse valere
qualche cosa realmente utile, mi tenga a tutta sua disposizione, e mi
avrà fedele in egual modo lo sono al mio Graziosissimo Re Achille
I.
Continui Vostra Reverenza a lavorare pel progresso della civiltà
e della religione dei nostri Padri, e si avrà dei devoti ammiratori.
Le bacio la mano
Napoli, 18 aprile 1887.
12, Via Due Porte a Toledo.
Servitore di Lei Obb.mo
G. C. GIUSTINI.
732
48.
Lettera del Vescovo di Montevideo
e risposta di Don Bosco.
A.
B.
Eccellenza Rev.ma,
La ringrazio, E. R. della benevolenza e dell'appoggio prestato sinora
ai nostri Salesiani ed alle suore di Maria Ausiliatrice che ad unanime
voce riconoscono in Lei un padre affettuoso.
Il mio caro Don Lasagna mi ha recato le sue lettere, ma più che
quelle mi commossero le parole con cui Egli mi dipinge la carità
e la protezione che Ella usa a questi miei figliuoli che hanno lasciata
patria e parenti pel solo desiderio di salvare delle anime a Dio.
733
Posso assicurarla E. R. che sempre i Salesiani ed io ci ricorderemo
ogni giorno di Lei e di questi giorni abbiamo incominciate speciali
preghiere, perchè Dio la consoli nelle tribolazioni che le manda
e perchè benedica la sua vasta diocesi tanto perseguitata.
Da quanto mi espone Don Lasagna, veggo che essendo Las Piedras un luogo
fuori del gran commercio non sarebbe colà possibile l'impianto
di un ospizio di Artigiani; questo però si potrà con assai
meno difficoltà aprire nella città di Montevideo, se Ella,
E, R., ne continuerà il suo valevole appoggio e se i signori
Jackson a cui già ho scritto in proposito vorranno prendersi
a cuore tale affare.
In novembre Don Lasagna partirà per alla volta di Montevideo
con un'eletta schiera di Missionarii, per dare esecuzione a questo suo
desiderio che è pure desiderio mio, come lo è in modo
specialissimo di Gesù e di Maria.
Prevedo, Ecc. Reverendissima, che se questa impresa godrà dell'interesse
e della protezione sua. e dei buoni di questa città, apporterà
gran bene alle anime, trionferà la Religione in tutta la repubblica
dell'Uruguay, anzi l'America tutta ne godrà i benéfici
influssi.
Gradisca le preghiere e gli ossequi di tutti i Salesiani, mentre implorando
la sua benedizione le bacio divotamente il sacro anello...
Obbl.mo Servitore
(firmato) Sac. Gio. BOSCO.
49.
Lettera di Don Bosco al Signor Jackson di Montevideo.
Ill.mo e Benemerito Signor Juan Jackson.
Il nostro Carissimo Sac. Luigi Lasagna, grazie a Dio giunse qua felicemente
la sera del 15 agosto p. p. giorno del mio 71.mo compleanno. Coi cordiali
saluti ed augurii dei miei carissimi figli d'America, Egli mi portò
eziandio mille felicitazioni da parte della S. V. Benemerita, e grande
benefattore dei Salesiani dell'Uruguay. Io commosso e riconoscente verso
l'esimia bontà della S. V., sinceramente la ringrazio delle sue
graditissime felicitazioni, e le considero come sicura caparra della
continuazione, del suo favore, e dei suoi potenti aiuti verso i miei
carissimi figli Salesiani. In tale persuasione mentre ringrazio V. S.
con tutta l'anima pel gran bene che già fece per noi, ripongo
ogni mia fiducia nella grande sua carità per l'esecuzione di
altre opere che in questi difficili tempi restano ancora a farsi in
Montevideo, specialmente a favore della gioventù povera ed abbandonata.
Infatti io penso che la S. V. sia davvero il benedetto istrumento dalla
Divina Provvidenza designato per aiutarmi ad impiantare in Monte -
734
video un Ospizio Salesiano pei poveri giovanetti con a lato una chiesa
dedicata come Santuario al Sacratissimo Cuore di Gesù; imperocchè
da opera e Santuario siffatto, più che da ogni altra, noi dobbiamo
aspettarci il trionfo definitivo che la Cattolica Religione riporterà
eziandio in cotesta Repubblica per grande consolazione dei buoni e per
la maggior gloria di Dio.
Assicuro poi con tutto il cuore V. S. che aiutandoci ad erigere tale
Ospizio e chiesa farà una delle opere più gradite a Dio,
e più utili alla città di Montevideo. Quindi ben volentieri
lascierò che ritorni in codesta Città e Repubblica a lavorarvi
con zelo ed abnegazione il nostro Caro Don Luigi Lasagna che alcuni
giudicavano conveniente ritenere qui per gli interessi generali della
Congregazione. Anzi farò che ritorni presto ed accompagnato da
un buon numero di figli miei e figlie di Maria Ausiliatrice, perchè
l'aiutino a condurre a termine le opere già intraprese e quelle
che ancora si devono necessariamente intraprendere.
Ci aiuti dunque Lei e la sua degna famiglia coi mezzi che Dio pose nelle
sue mani, e noi Salesiani ci porremo intieramente a sua disposizione
per promuovere in cotesta Repubblica il maggior bene possibile ed anche
al più presto possibile, dedicandovi di cuore e tempo, e ingegno,
e salute, e vita.
Io pertanto la benedico e ringrazio anticipatamente, o mio buon Signore,
e l'assicuro in nome di Dio che così facendo s'attirerà
certo dal cielo particolarissime benedizioni per sè e per la
sua famiglia e pel suo paese, e quel che più monta si assicurerà
una bella corona e un bel posto in Paradiso, quale io le prego ed auguro
con tutto il mio cuore.
Finalmente invocando ancora una volta le migliori benedizioni del Cielo
sopra della S. V. Benemerita e di tutti i suoi parenti ed amici per
cui pregherò e farò sempre pregare i miei giovanetti,
con grande rispetto e riconoscenza mi professo in G. C. S. N.
di V. S. Benemerita
Torino, 10 settembre 1886.
Obbligatissimo Servitore
(Firmato) Sac. Gio. Bosco.
50.
Lettera di Don Cartier a Don Rua.
Bien cher père D. Rua,
J'ai profité du passage de S. M. D. Pedro pour lui faire une
visite an nom de notre bon Père Dom Bosco et de tous ses enfants
du Brésil. J'arrivais à Cannes vendredi dernier par un
temps fort désagréable, et après avoir salué
quelques amis de Dom Bosco, entre autres Mr
735
Guigou, je me rendais à l'Hôtel Beauséjour. Je
demande à voir Sa Majesté. - Impossible, m'est-il répondu;
l'Empereur déjeune et doit aussitôt après partir
pour Nice. - J'insiste, on me fait signer sur un registre de l'empereur,
puis on me demande ma carte.
Je la donne après,y avoir écrit à la suite de mon
nom: De la part de Dom Bosco. Je suis enfin introduit et reçu
par M. le Vicomte de Nivac, chambellan de sa Majesté. C'est un
homme tres affable et fort distingué; il à servi dans
la marine française comme officier de bord. Ii m'a parlé
de la maison' de St. Paul et de son aimable directeur, qu'il a eu occasion
de connaître et à qui il a parlé en maintes circonstances.
Il m'a promis de se servir de tout son crédit auprès de
l'empereur en faveur de nos maisons du Brésil.
A 11 11 h. l'Empereur se leve de table et me consacre les quelques minutes,
qui lui restent avant le départ du train qui devait l'emmener
à Nice. J'ai été reçu de la maniere la plus
affable.
L'Empereur, en me serrant la main m'a demandé, avant tout des
nouvelles de Dom Bosco: - Et Dom Bosco comment va-t-il? Est-il à
Nice? C'est un grand homme... un saint... je l'aimé beaucoup...
il fait beaucoup de bien. J'aime beaucoup ses oeuvres et surtout la
maison de St. Paul où l'on fait beaucoup de bien. - Je me retirai,
après avoir exprimé à Sa Majesté les regrets
de Dom Bosco, qui aurait été tres heureux de recommander
lui même à son auguste Personne, ses enfants du Brésil
et de Nice. L'Empereur me réspondit qu'il regrettait bien de
devoir partir si tôt de Cannes, car il eut été heureux
dg visiter notre maison de Nice. Même affabilité de l'Imperatrice
et même empressement à me témoigner sa vénération
pour Dom Bosco et son admiration pour ses oeuvres. Elle m'a particulièrement
recommandé de faire dire à Dom Bosco de bien prier pour
l'Empereur et pour Elle.
Ma visite est faite et je repars pour Nice. L'Empereur devait partir
de Cannes le dimanche, je n'avais donc pas du temps à perdre
si je voulais une seconde audience. De retour, au Patronage, vite je
compose une lettre de remerciments et prépare quelques objets
pour les présenter à leurs Majestés. Le samedi
matin Dom Fasani se rend à Cannes; est reçu par Dom Pedro
et lui présente deux volumes de Dom Bosco par le Dy. Despiney
et trois grandes photographies de Dom Bosco, un exempl. des Idées
de Dom Bosco. Le tout est très favorablement accueilli. L'Empereur
en considérant Dom Bosco, dit: - Je ne me contente pas de le
voir en image, je veux le voir en personne... oui, j'irai le voir.
Espérons que cette démarche auprès du Souverain
du Brésil sera avantageuse pour notre OEuvre et tournera à
la plus grande gloire de Dieu.
A autre chose maintenant. Les finances nous font toujours la guerre.
Nous ne savons plus de quel côté nous tourner. Nous nous
occupons actuellement de payer nos dettes! que la Providence nous aide!
736
L'intérieur de notre maison va bien.
Deo gratias.
Je vous prie de dire à Doni Bosco les choses les plus affectueuses
de ma part. Je soupire beaucoup après l'heure de le posséder
à Nice.
Nous l'aimons tous beaucoup. Nous nous recommandons tous à ses
saintes prières surtout pendant la neuvaine de l'Immaculée
Nice, le 28 9.bre 1887.
L. CARTIER D.
51.
Lettera di Don Riccardi a Don Bosco
Carissimo e Reverendissimo Sig. Don Bosco,
Dopo l'ultima mia del 2 corrente sorsero alcune novità che credo
bene comunicare alla Paternità sua, pensando le giungeranno care.
Come ebbi più volte a scrivere, nel tempo di nostra dimora in
Patagones, l'amatissimo nostro Monsignore coll'affabilità sua
propria e co' bei modi e franchi, che lo caratterizzano quale primogenito
del carissimo nostro papà Don Bosco, si attirò l'ammirazione
prima, e poscia, poco a poco, una generale simpatia che potrebbesi fors'anche
chiamare affezione delle Autorità e delle popolazioni di entrambe
le sponde del Rio Negro.
Frutto consolante di ciò si fu primieramente l'avvicinamento
delle Autorità verso i Salesiani, indi la conciliazione con i
medesimi avveratasi il dì della Natività di N. S. Gesù
Cristo, come ne scrissi a suo tempo alla S. V. per mezzo d'una mia diretta
al caro Don Lazzero. In questi giorni poi abbiamo avuto a ringraziare
il Signore e Maria SS. Ausiliatrice per altro favore.
Il signor comandante delle forze militari del Rio Negro, che è
eziandio il segretario del signor Governatore, generale Winter, venne
appositamente da Viedma in Buenos - Ayres per collocare due suoi figliuoli
nel nostro Collegio di Almagro.
Persuaso che solamente un'educazione cristiana può giovare a
rendere buoni ed utili cittadini, e che la scienza sola non basta all'uomo,
se non va unita colla religione, egli, educato ne' suoi primi anni nel
Collegio dei RR. PP. Gesuiti, affidò ai Salesiani l'educazione
de' suoi figliuoli. E noi li accettammo con gioia e proponemmo di far
loro tutto il maggior bene possibile.
Questo fatto, carissimo sig. Don Bosco, segna un gran passo innanzi
per le nostre Missioni, a parer mio.
Infatti questo signor Roa nutrì per molto tempo un'avversione
fortissima, un vero odio mortale contro il nostro Don Fagnano e contro
i Salesiani in generale, cui non cessò di combattere con ogni
arte ed
737
astuzia in pubblico col giornale La Patagonia, di cui è proprietario
e redattore e che stampasi in Viedma; ed in privato giovandosi della
posizione sua di seconda Autorità dopo il Governatore, per contrariare
ogni progetto per l'evangelizzazione dei poveri Indii della Patagonia.
Il male ch'egli ha fatto ai Salesiani ed alle Missioni loro affidate
solo Iddio lo può misurare, che intuetur et scrutatur cor.
Noi pertanto giustamente ringraziamo il Signore, ed attribuiamo ad un
favore straordinario di Maria SS. Ausiliatrice questo avvicinamento
e la fiducia di un tal uomo verso dì noi, e crediamo, come dissi,
che ciò sarà segno di un prospero avvenire per le nostre
Missioni.
Di questi giorni pure l'amatissimo Monsignore ha ricevuto una lettera
da Don Milanesio, il quale annunziava essere giunto a Malbarco (I) al
principio di febbraio, aver finora battezzato più di mezzo migliaio
di persone, gran parte creature di Indii, e sperar assai bene da quella
popolazione numerosissima.
Egli di là potè traversare le Ande e discendere in Chile
fino alla città di Chillan per alcuni affari della Missione.
Nella traversata dal fortin Roca alle Colonie Malbarco, ci scrive che
ebbero a soffrir assai la fame, e che certamente sarebbero tutti periti,
se la Divina Provvidenza non avesse fatto loro incontrare nel deserto
una vacca perduta da molto tempo e quasi selvatica, colta la quale al
laccio ed uccisa, poterono ristorarsi colle sue carni.
Don Savio continua lavorando nella colonia di Santa Cruz, e presto speriamo
sapere sue notizie.
Don Beauvoir partì il giorno 3 corrente per il Cabo de les Virgenes,
ove si scopersero le miniere d'oro e sta formandosi una colonia. Questo
punto dista da Santa Cruz circa 250 miglia e forse più.
Don Fagnano, appena sbrigato di alcuni affari che lo ritengono in Patagones,
partirà per Punta Arenas, Terra del Fuoco e Malvine.
Carissimo Don Bosco, ecco le Missioni aperte!
Ma, oh! mio buon Dio, con quanto poco personale! Eppure forza è
contentarsi così, almeno per ora.
Nel giro dato in questi due mesi per le nostre Case d'America, l'amatissimo
Monsignore ebbe a toccar con mano il molto bisogno di aiuto che tutte
e ciascuna di loro ha, e quindi, anzichè diminuire il personale
per provvedere alle necessità delle Missioni, è costretto
ad aiutarlo con varie vestizioni e ordinazioni sacre.
Sei furono gli studenti ascritti che vestirono l'abito religioso in
Colon, e tre in Almagro.
Tre le ordinazioni. Una in Colon, altra in San Nicolas e la terza fra
pochi giorni qui in Almagro.
Furono ordinati sacerdoti nella prima i confratelli Don Giovannini,
Don Solari, e suddiacono il ch. Zatti.
Nella seconda tre furono i sacerdoti, Don O'Grady, Don Rinaldi
(I) Alle falde delle Cordigliere.
738
e Don Zaninetti, e ricevettero gli Ordini Minori i ch. Garbari e Terzuolo.
Nella terza ordinazione, che comincierà posdomani, ordinerà
per la fine del mese sacerdoti i chierici Milano e Paolini, diacono
il ch. Piovano, e minoristi il novello chierico Capriolio e il chierico
Baldan,
Con tutto ciò non sa ove rivolgersi per provvedere di un buon
Cura la parrocchia di Viedma, essendo Don Remotti inabile ed invalido,
cui conviene richiamare in Buenos - Ayres quanto prima, e non potendo
Don Piccono portare convenientemente tanto peso sulle sue spalle.
Ma questi fastidii li vuole tutti per sè l'amatissimo Monsignore,
il quale, sempre fisso mente e cuore lassù unde veniet auxilium,
di nulla teme, e da queste stesse difficoltà sentesi vieppiù
animato a tirar innanzi, persuaso che, quanto più difettano gli
umani soccorsi, altrettanto abbonda la grazia di lassù.
Carissimo Sig. Don Bosco, al principio del prossimo aprile faremo ritorno,
a Dio piacendo, alla diletta nostra residenza di Patagones. Preghi e
faccia molto pregare per l'amatissimo Monsignore, affinchè il
Signore gli conceda sempre un'ottima salute, quale finora godette, sicchè
possa condurre a buon fine le incominciate sante imprese a gloria di
Dio e di Maria Ausiliatrice ed a bene di tante povere anime; e preghi
eziandio per tutti noi, suoi affezionatissimi figli d'America che tanto
l'amiamo nel Signore, al quale lo raccomandiamo ogni giorno ed ogni
ora con tutto l'ardore di un affetto filiale ardentissimo. Nè
voglia dimenticarsi di me che tanto ho bisogno delle sue sante orazioni
per corrispondere degnamente agli innumerevoli favori di cui sono a
Dio ed a Maria SS. Ausiliatrice ed a V. S. debitore.
Almagro, Buenos - Ayres, 12 marzo 1886.
Suo affezionatissimo nel Signore
Sac. ANTONIO RICCARDI.
52.
Lettera di Don Costamagna a Don Rua sulla casa di La Plata.
Rev.mo e Car.mo Sig. Vicario D. Rua,
V. R. mi ha chiesta notizia delle cose nostre in La Plata. Eccomi a
soddisfarla.
Quella si può chiamare piuttosto una missione che una casa, sia
perchè ancora, non vi sono addetti che due confratelli Don Scagliola
739
e Antonio Ruggero, sia perchè ciò che in quel punto fanno
i Salesiani ha tutto l'essere di una missione. Poveri Italiani! Essi
sono capitati a migliaia alla Plata colla speranza di far danaro, non
perdendo la loro religione, e non appena videro sorgere tra le loro
case una chiesa abbastanza vasta (è di tre navi benchè
sia di legno) molti di essi giubilarono. Ma il demonio qui in America
è tremendo. Si figuri che vi ha chi offre cinque, sei e perfino
dieci scudi a chi tralascia di andare a messa. Questo lo so da fonte
certissima.
Or bene, sapendo che l'amor al danaro non solo benda gli occhi, ma fin
anco lor li cava ai nostri connazionali, chi non griderà come
me: Poveri Italiani! E chi potrà con tutta facilità suggerire
ad un amico suo di costì: - Va colà tu pure, vàtti
a far l'America? - Si farà l'America (se la farà), ma
disfarà la propria anima.
Ieri mi portai a visitare i nostri confratelli della Plata, per erigere
colà la Via Crucis e per predicare la chiusa del mese del Sacro
Cuore, a cui quella Chiesa è dedicata.
Ha visto? Anche in questa Repubblica i Salesiani hanno una chiesa del
Sacro Cuore. Pare proprio che il Sacro Cuore ci voglia un bene straordinario
a noi poveri Salesiani; ma per certo che esigerà una corrispondenza
eziandio non ordinaria.
Ier l'altro assistendo ad una accademia che le nostre educande del collegio
di Maria Ausiliatrice di Almagro fecero allo stesso Sacro Cuore di Gesù,
mi feci persuaso vieppiù di quanto dissi testè. Quelle
educande arrivando alla fine di un dialogo mi uscivano in queste parole:
“ Dunque ogni educanda deve essere una specialissima divota del
Sacro Cuore, perchè ogni educanda deve imitare le proprie maestre,
le suore di Maria Ausiliatrice, le quali devono imitare i Salesiani
loro fratelli, i quali devono imitare il loro padre Don Dosco, il quale
Don Bosco fu eletto dal Signore per essere un apostolo speciale del
Sacro Cuore come si prova.
I° Dall'essere Don Bosco il primo Salesiano e dall'aver innestata
la sua famiglia a quella di S. Francesco di Sales che ebbe da Dio speciali
visioni sopra il Sacro Cuore ed una figlia sua, l'Alacoque, che promosse
il gran culto.
2° Dall'avere il Papa, Vicario di Gesù, dato a Don Bosco
il còmpito di erigere il primo tempio del mondo dedicato al Sacro
Cuore.
3° Dall'essere posseduto Don Bosco da un grande desiderio di innalzare
su tutta la terra templi al Sacro Cuore come già lo dimostrano
la Chiesa di Roma, La Plata, S. Paolo al Brasile, e il Tibidabo in Ispagna
”.
Per adesso non ho altro a dirle se non che mi interceda presso Don Bosco
una speciale benedizione di Maria Ausiliatrice e che raccomandi di gran
cuore al Sacro Cuore questo di Lei aff.mo obb.mo tener.mo in G. C.
Buenos Ayres, 5 luglio 1887.
Don GIACOMO COSTAMAGNA.
740
53.
Lettere di giovanetti da Pafagones a Don Bosco.
A.
Querido P. I. Bosco,
Los niños del Colegio S. José no quieren dejar pasar
este año sin festejar su Santo. Ya sabemos que Ud. nos ama más
que los de Turin y también nosotros amamos à Ud. mucho.
Oh cuanto desearíamos estar en el Oratorio un momento en el día
de su fiesta para tomar parte de las academias! Pero á lo menos
le podemos dar una buena comunión; de regalo.
Bendiga á su hijo y reconocido
Patagones, 19 de Mayo 1886.
NICOLAS CANERO.
B.
Querido Padre,
Hemos sabido que Ud. nos quiere mucho más que los de Europa
y que aunque con gran sentimiento hizo el sacrificio de mandar á
nuestro provecho á Su Señoria Monseñor Cagliero.
Nosotros también queremos mucho á Ud. Yo no soy zapatero,
sino estudiante pupilo del Colegio. El la de su Santo todos haremos
la comunión y tocaremos la banda hasta la taxde; en seguida iremos
al recreo. Después que hemos tocado la banda, vamos á
tomar un vazo de vino y unas galletitas. Yo siempre estudio y los Domingos
oigo la misa con mucha atencion y siempre rezo muy bien las oraciones
y recibo la comunión. Querido padre, le pido su .santa bendición
y le beso
Patagones, Mayo 20 de 1886.
Su afectisimo hijo
OCTAVIO CORDOBA.
54.
Relazione a Propaganda Fide sulla Missione patagonica.
MISSIONES PATAGONICAE.
(Congregatio Salesianorum).
Patagonia ad extremitaterim Australem Am. Merid. a flumine Río
Negro ad fretum Magellanicum protenditur. Eam a borea ad austrum . porrecti
montes Ande inaequaliter partiuntur. Exigua ac saxosa ora ad occidentem,
declives tractus amplaeque planities ad orientem praedictorum montium
patent.
741
Superficies Patagoniae 776.000 kilometris quadratis estendi dicitur.
Inesplorata adhuc pleraque regio ignoratur. Ceterum brevi; inductis
coloniis, haec terra civilibus artibus domanda videtur. Ad austrum freti
Magellanici circumfusae per Oceanum insulae plures et amplae extant,
Terrae Magellanicae, communi nomine, nuncupatae. Terra del Fuoco ita
dicta insula 47.000 Kilom. quadr. superficie exten-ditur, montuosae
indolis ac rigentis Coeli.
Origo Missionum.
Sacra expeditio christiano nomini ad Patagones proferendo anno 1875
exordium sumpsit per Presbyteros e Congr. Salesiana, qui egregio zelo
sub dependentia Antistitis Bonearensis id operis susceperunt. Aliquot
igitur in Argentina Republica Salesianorum familiis institutis, veluti
futurae Missionis Seminariis, prima statio in Patagonium finibus, ope
ac consilio Archiepiscopi Friderici Aneyros, ad flumnn Rio Negro in
urbe Carmen erigitur. Multae exinde institutae domus ac, divina opitulante
gratia, amplificata plurimum christiana res est. Hinc per Decretum S.
C. diei 15 novem. 1883 et Breve Ap.licum regnantis Leonis XIII postridie
editum, erectus est Vicariatus Apostolicùs in septentr. Patagonia;
ac mox per Decr. S. C. datum die 26 eiusdem mensis et anno Praefectura
Apostolica in meridionali Patagonia proximisque insulis excitata est.
Non defuerunt postac sueta Religioni bella, quae nunc tamen poni videntur.
PATAGONIAE SEPTENTRIONALIS VICARIATUS APOSTOLICUS.
Confinia. - Ad sept. habet Regionem: Pampas, vel Flumen, Colorado;
ad Or. Oceano Atlantico contenitur: ad Occ. vallatur montibus vulgo,
Cordigliere delle Ande; ad Mer. certo fine nondum coarctata Missio est.
Lingua. - In publicis negotiis hispanica adhibetur: Indi vero lingua
utuntur propria, multis divisa dialectis, hispanicae tamen linguae paullatim
assuescunt.
Clima. - Varium et ventis obnoxium, rari imbres, temperatus aér,
interiores regiones salubres.
Iurisdictiones limitrophae. - Ad sept. Dioecesis Mendosina et Arcidioecesis
Bonearensis: ad Occ. Dioecesis B. M. Conceptionis et S. Caroli Ancudiana,
utraque in Chile.
Civiliter. - Subest Reipublicae Argèntinae.
Catholicorum numerus est 25.000; haereticorum 2000. Indigenae in regionibus
usquehuc exploratis existimari possunt 20.000.
Vicarius Apostolicus. - Ill.mus D. Ioannes Cagliero e Congr. Salesianorum
Ep. tit. Magiden. Residentia Carmen de Patagones.
Paroeciae. - 3 extant. Patagones, Viedma, Chubut.
742
Stationes cum Oratorio 8 sunt; Carmen, Mercedes, Pringles, Conesa,
Roca, Malbarco, ad ora fluminis Rio Negro; Chubut atque Santa Cruz ad
oras fluminis omonymi.
Stationes cum residentia sunt 5: stationes secundariae 45. Missionarii
Sacerdotes habentur 14: clerici 10: catechistae 10. Nullus indigena.
Instituta educationis. - Duo initiantur Seminaria. Collegia ad litteras
et artes addiscendas, 4. Alunni interni 25, externi 200. Scholae elementares
a Missionariis directae habentur 8; et a Gubernio 15 substentae pro
pueris: eorum numerus ad 700 attingit.Familiae Religiosae extant duae,
vulgo: Figlie di Maria Ausiliatrice, cum 6 scholis et 2 Congr. festivis.
diebus. Alunnae internae 20, externae 500.
Scholae pro puellis a Gubernio substentae 20, et numerus puellarum g00.
Xenodochium 11 in Carmen.
PATAGONIAE MERIDIONALIS PRAEFECTURA APOSTOLICA.
Erecta est ex decr. diei 27 Novembris anno 1883, in regionibus australibus
Patagoniae.
Confinia. - Ad sept. Flumen vulgo, Santa Cruz; -ad Orientem Oceanum
Atlanticum: ad Occ. Montes vulgo, Cordigliere; ad Mer. Fretum Magellanicum,
Insulae vulgo Terra del Fuoco et Malvinae.
Iurisdictio. - Limitatur ad sept. Vicariato Ap.t.co; ad Occ. Chilena
Dioecesis Ancudiana.
Lingua. - In publicis negotiis hispanica adhibetur. Indi vero lingua
utuntur propria multis divisa dialectis: hispanicae tamen linguae paullatim
assuescunt. In insulis Malvinis lingua anglica incolae utuntur.
Catholicorum numerus est 300o, haereticorum 800, indigenarum 600o. .
Paroecia. - i extat, Punta Arenas ad Fretum Magellanicum.
Stationes. - primariae 2; in insula Malvina, et ad flumen S. Cruz.
Stationes. - secundariae 4: Gallegos, Cabo Virgenes, Usciunaia, Isla
de los Estados.
Praefectus Apostolicus. - R, D. Ioseph Fagnano e Congr. Salesianorum.
.
Missionarii. - Sacerdotis 5, Catechistae 3. Nullus indigena. Scholae
Catholicae incipiùntur 2. Alunni numerantur ioo.
Haec regio partim ad Remp. Argentinam, partim ad Chilenam civiliter
pertinet.
Patagones, 19 noviembre 1886.
D. A. RICCARDI Secret.
743
55.
Relazione a Don Bosco sulla Missione patagonica.
Rev.mo e sempre Carissimo Sig. Don Bosco,
Penso non le sarà discaro conoscere anche brevemente e per
summa capita quel poco o tanto di bene che, mediante la grazia e protezione
di Dio e di Maria SS. Ausiliatrice, per le orazioni della S. S. Carissima
e di tante anime zelanti della gloria di Dio e della salvezza delle
anime, i suoi lontani figli, sotto la guida e dietro l'esempio dell'amatissimo
loro Duce e Pastore, mons. Cagliero, hanno potuto fare nel corso di
poco più di 14 mesi in questa Missione della Patagonia.
Varie furono le missioni date e tutte con esito soddisfacente.
I. La prima capitanata dallo stesso amat.mo Monsignore, incominciò
il giorno 3 e s'interruppe il 29 Novembre del 1885. Si visitarono in
essa 14 Stazioni o Centri più o meno popolati, sulle sponde del
Rio Negro, per una estensione di 40 e più leghe da questa Residenza.
Furono i battesimi amministrati in numero di 135, le Cresime in egual
numero, 16 i matrimonii e ben 252 le Comunioni.
2. La seconda, che ben può dirsi la continuazione della precedente,
cominciò il 3 Dicembre e terminò il 13 Luglio del presente
anno.
In questa missione che arrivò fino alle Cordigliere (le quali
due volte valicò il nostro Don Milanesio recandosi fino alla
Concepción, del Kilì) si visitarono circa 40 stazioni,
e mediante il caritatevole generoso soccorso dei RR.di PP. Certosini
di Grenoble (I), furono in grado i Missionarii di attirare a sè
ed istrurre e battezzare più di 700 Indii di diverse tribù
e 500 e più Indigeni.
Celebrarono una sessantina di Matrimonii, e raccolsero in quelle remotissime
terre non meno di 2000 Comunioni.
Cogli accennati soccorsi, Monsignore trovossi eziandio in grado di dare
una risposta consolante alll'Em.mo Vicario Cap. di Concepción,
il quale da tanti anni va supplicando la S. V. C.ma per avere colà
i Salesiani, cui affidare oltre ad una Casa per poveri giovanetti nella
Città, eziandio le importantissime Missioni dell'Araucania al
Sud. Là pure, dico in Concepción, potrebbero coltivarsi
con buone speranze non poche vocazioni; e di là verrebbero periodicamente
inviati Missio -
(I) Don Rua scriveva a monsignore il 31 luglio: “ Anche il Superiore
della Gran Certosa di Grenoblè ha dato un soccorso a Don Bosco
in vista delle nostre Missioni. D. Bosco desidera che tu scrivendo qualche
lettera faccia sentire che coll'aiuto della generosità dei Certosini
avete potuto intraprendere qualche opera ed estendere maggiormente la
vostra sfera d'azione. È per tale soccorso, che gli hanno dato,
che io posso scriverti che in caso di bisogno puoi imitare D. Fagnano
traendo altra cambiale ” . Questo cambio di Don Fagnano era di
diecimila lire.
744
narii incontro ed in sollievo di quelli che stanzieranno tra poco in
Malbarco, Roca ed altri punti.
3. La terza Missione, partiva di qui il 27 Agosto e terminava il 7 Ottobre
corrente. Oltre alle varie stazioni sul Rio Colorado, visitò
il zelante nostro Don Milanesio la popolazione di Bahia Blanca, e nei
suoi dintorni potè catechizzare circa 50 Indii, battezzandoli
in seguito e preparandone una sessantina e più alla S. Comunione.
Fra questi Indii eravi una vecchia di 110 anni per nome Francisca Raninqueo,
altra di anni 80 ed una terza di oltre 70.
4. Altre piccole Missioni si diedero nel corso di questo tempo e quasi
periodicamente ogni mese, or dall'uno ed ora dall'altro dei Confratelli
di queste due Case, nei diversi centri o stazioni dei dintorni, nel
circuito di circa 20 leghe.
5. Altra opera si potè impiantare quest'anno a favore dei poveri
Indii: ed è una visita ed istrazione catechistica settimanale
alle varie famiglie Indie trattenute nei dintorni di Viedma, per ordine
dell'autorità militare. In mancanza d'altri mezzi, abbiamo dovuto
sobbarcarci alla spesa di più scudi la settimana per regalar
loro un po' di pane, e far che accorrano più pronti così
al Catechismo. Per mezzo del pane corporale, Dio voglia che possiamo
eziandio arrivare a somministrare loro il pane spirituale.
6. Si potè pure ottenere di catechizzare un poco i soldati, che
a quest'uopo si conducono quasi ogni Domenica a Messa.
7. Organizzaronsi e diedesi incremento alle Compagnie delle Figlie di
Maria in entrambe queste popolazioni.
8. Instituissi per i giovanetti delle nostre Scuole, e per le ragazze
delle Scuole delle Figlie di Maria Ausiliatrice, l'Esercizio della Buona
Morte, con ottimo risultato.
9. Lo zelo ardente ed indefesso dell'amatissimo Monsignore riuscì
quasi contro ogni speranza, ad impiantare in Patagonia prima e poi in
Viedma l'Associazione dell'Apostolato dell'Orazione per le Madri di
famiglia e le giovanette più adulte, e con tanto buon esito che
già contansi non poche decine di ascritte con le relative zelatrici.
Ambedue queste Pie Associazioni pare gettino sempre più profonde
le radici nel devoto femineo sexu, ed oh! piacesse al Cielo che loro
mercè si ottenga pur qualche segnale di fede dagli adulti!
10. A costoro non si omise di somministrare puranco i mezzi di convertirsi,
vuoi con apposite Conferenze Domenicali, vuoi con istraordinaria predicazione
in forma di Esercizii per l'acquisto del S. giubileo, ora con appropriate
istruzioni, ed ora con Omelie, quando in pubblico, e quando privatamente
nelle visite che si fanno e si ricevono ma, è pur doloroso il
doverlo confessare, tutto fu inutile ed infruttuoso fin'ora! In gran
parte di queste spirituali vendemmie, aiutano assai le Figlie di Maria
Ausiliatrice per ciò che spetta le giovanette e le prelodate
Associazioni divote.
745
I. Le loro Scuole, come le nostre sono assolutamente ristrette ed incapaci
di contenere la numerosa turba di fanciulli e ragazze che ogni giorno
più va crescendo, sìcchè l'am.mo Monsignore trovasi
impensierito sul modo ed i mezzi di ampliare le Piccole Case.
II. La riedificazione quasi per intero della chiesa di Viedma, e la
arricciatura e pittura della nuova Parrocchiale di Patagones, costarono
oltre a molti gravi fastidi, la bagatella di 50.000 franchi. Le Missioni
date e da darsi sono pure per noi una spesa non indifferente: ci costano
in media dalle 2 alle 3000 lire ciascuna.
III. Le novelle stazioni in Malbarco e Roca peseranno ancor esse sul
nostro bilancio, ed Ella, C.mo Padre, deve già essersene accorto
assai prima d'ora, dalle diverse petizioni e cambiali che di qui le
furono indirizzate.
E quantunque la D. Provvidenza sempre siaci venuta in aiuto tempore
opportuno, ed ultimamente per opera de' RR. PP. Certosini, cui ci dichiariamo
di tutto cuore grati e riconoscentissimi nel Signore, pure conviene
ch'io le manifesti il bisogno che hanno queste Missioni dell'aiuto e
carità dei nostri ottimi Cooperatori e Cooperatrici Salesiane.
IV. Mentre l'am.mo Monsignore con alcuni de' suoi Missionarii, affrontando
gli ardori del sollione d'estate sulle aride sabbie del deserto, s'inoltrerà
su su pel Rio Negro e Neuquen fino alle Cordigliere per passare di là
a Concepcion del Kílì, predicando, istruendo e amministrando
i SS. Sacramenti nelle diverse Tribù selvaggie, fra cui quelle
del Cacico Sayuhueque e Iancuche di 2000 e più individui, Don
Fagnano sfiderà l'incostanza del mare e delle stagioni e prenderà
possesso della sua Prefettura. A giorni si recherà in Montevideo
per concertax la sua partenza per Punta Arenas.
V. Visiterà forse il nostro Don Savio e Don Beauvoir sul Rio
S. Cruz, per veder modo di stabilir escursioni lungo la costa in quei
punti.
Eccole, C.mo Sig. Bosco, brevemente esposte le cose più importanti
compiute e coll'aiuto di Dio e de' nostri Cooperatori e Cooperatrici
Salesiane, da condursi a termine nel breve corso di poco più
di un anno.
Tralascio di notarle le opere di minor importanza relativa, le solenni
funzioni, i Battesimi degli Indii in questa residenza, le riunioni delle
Pie Associazioni, e tante piccole altre funzioni che continuamente tengono
occupato l'am.mo Monsignore, il quale sa ricavar frutto da ogni piccola
circostanza, nulla risparmiando che possa in qualche modo concorrere
all'incremento dello spirito Cattolico in queste sgraziate terre. Il
buon Dio ci favorisce tutti di ottima salute corporale, e speriamo eziandio
terrà per buono il desiderio almeno che tutti abbiamo grande
ed ardente di pur fare qualche cosa pel bene delle anime,
C.mo Sig. Don Bosco! Quando le arriverà questi ama, saranno
746
imminenti le Solennità Natalizie. Voglia pertanto gradire gli
augurii che di tutto cuore le inviano per mio mezzo i suoi figli della
Patagonia perchè possa ad multos annos ancora godere in mezzo
a' suoi cari di sì liete feste.
Piovano sul suo venerando capo copiose le Celesti Benedizioni e si diramino
quindi ne' suoi Membri per iscorrere poscia ad animare tutti i suoi
figli nelle più sante imprese.
Ci benedica ella, C.mo Padre, nell'entrare nell'anno novello, e la sua
benedizione ci sia caparra delle Benedizioni di Gesù e di Maria.
In modo particolare finalmente mi ponga nelle sue sante orazioni ai
piedi di Maria SS. Ausiliatrice nostra Madre, implorando per me quelle
grazie di cui Ella conosce aver specialmente bisogno il
Carmen de Patagones, 14 Ottobre 1886.
Suo Ubb.mo ed afl.mo Figlio in Gesù
Sac. ANTONIO RICCARDI.
56.
Abboccamento fra un figlio di Sayuhueque
e Monsignor Cagliero.
Il 9 di luglio del 1886 entrava nel parlatorio della nostra casa di
Patagones un figlio del Cacico Sayuhueque accompagnato da suo cognato
e dall'interprete sig. Giovanni Salvo, e chiese di parlare con Sua Ecc.
Ill. Mons. Cagliero. Mentre si cercava di Monsignore, un salesiano condusse
i forestieri a visitare la nuova chiesa che si sta bellamente dipingendo
e il nostro collegio. Ritornati al parlatorio, dove già trovavasi
Monsignore, il figlio del Cacico, servendosi dell'interprete gli parlò
così:
Signore, anzi tutto le presento gli ossequii cordiali di mio padre e
di tutta la nostra gente, che ora trovasi in riposo e buona salute.
Noi conosciamo alquanto la religione dei cristiani e sappiamo apprezzare
i Ministri di Dio e specialmente il signor Vescovo. Per questo siam
venuti a visitarlo e salutarlo. - Quindi trasse di tasca un biglietto
di visita del comandante Vincenzo Saciar, nel quale raccomandava a Monsignore
un suo protetto, figlio di Sayuhueque, acciò lo ricevesse nel
nostro collegio in qualità di esterno, perchè lo si educasse.
Monsignore, con quell'affetto e amorevolezza che sono i suoi distintivi,
gradì la visita, e letto il contenuto del biglietto, dissegli
che il collegio restava aperto pel suo fratellino, e che lo inviasse
quando desiderava, e aggiunse: - Quando Ella ritorni, presenti le mie
felicitazioni a suo padre e al sig. Comandante, e dica loro che siam
qui per servirli, sia mandando qualche sacerdote perchè insegni
ai fanciulli le cose di Dio, sia per aiutarli in tuttochè possiamo.
747
- Lo so, rispose il figlio di Sayuhueque, essi fanno molto in favore
della gente nostra. Perciò noi molto ci siam rallegrati nel vedere
come i sacerdoti abbiano battezzato i nostri figliuoli e bambini della
tribù.
- Bene, bene, disse Monsignore. E a quanto ammonta la loro popolazione?
- Siamo millesettecento tra grandi e piccoli.
- Bagattella! Essi sono molto numerosi.
- È vero, signore.
- E vi ha con voi altre tribù più numerose?
- Si, signore; quella di Yancuche che conta quasi ottocento uomini.
- Son molti fra di voi i già cristiani?
- Sì, signore; i maggiori di età non lo sono ancora, ma
i bambini già son cristiani, giacchè furono battezzati
recentemente quest'anno da due giovani missionarii. Fra i maggiori fu
fatto cristiano in Buenos Ayres mio padre, essendo ancor giovane, e
gli posero il nome di Valentino Alsina.
- Benissimo, dica a suo padre che bisogna che andiamo, il padre Domenico
ed io, a passare qualche tempo colà, e che può darsi pure
che gli invii due suore per insegnare alle fanciulle. Allora prepareremo
a ricevere il battesimo tutti coloro che vorranno; purchè essi
ci tengano apparecchiato qualche stanza ove riunire la gente, affine
di poterla istruire.
Detto ciò, Monsignore gli porse la mano per congedarsi, ma quegli
prese un contegno come di chi ha tuttavia altro a dire: - Se mi permette,
signore, desidero dirle una parola ancora.
- Perchè no? Ella è padrone, parli pure liberamente.
- Signore, vengo a farle una proposta da parte di mio padre, il quale
le fa sapere che desidera ch'ella gli invii un sacerdote che si stabilisca
colà e insegni ai fanciulli.
Monsignore che non si aspettava da quell'uomo una domanda di tal, genere,
restò sorpreso e commosso del suo buon cuore, e gli rispose:
- Benissimo, molto mi piace questo desiderio di istruirsi ed educarsi,
bisogna che facciam tutto, Le manderemo un sacerdote, il quale, benchè
per adesso non possa fermarsi definitivamente, verrà soventissimo
a visitarvi.
- Le son molto riconoscente, signore, disse il figlio di Sayuhueque;
questo ci è necessario perchè già viviamo fra cristiani
e perciò dobbiamo educarci.
Monsignore ripetendogli gli augurii e incaricandolo nuovamente dei saluti
a suo padre e al comandante sig. Vincenzo Saciar, si congedò
da lui, ordinando ad un salesiano che vedesse se abbisognavano di qualche
cosa. Passarono quindi al refettorio, ove fu loro servita una modesta
refezione. Si partirono molto riconoscenti, e promisero che ritornerebbero
altra volta a visitare Monsignore ed a conferire con lui.
Don PICCONO.
748
57.
Les Prêtres de Dom Bosco en France.
Les maisons salésiennes de France entrent dans une phase souverainement
importante de-leur action religieuse et sociale dans notre pays; elles
commencent à donner des vocations à la vie salésienne
et à l'état ecclésiastique. Il s'agit par conséquent
dé former un gran nombre de jeunes gens à la science et
aux vertus sacerdotales; pour cela, des ressources sont nécessaires.
Aussi nous savons de science certaine que des coopérateurs salésiens,
surtout dans les dioceses où il n'y a pas encore d'oratoires,
entreraient dans les intentions de Dom Bosco, en consacrant à
cette oeuvre leurs offrandes régulières. Pour cela, ils
devraient les adresser à Monsieur Louis Cartier, prêtre
salésien, à Ste-Marguerite, banlieue de Marseille, ou
à Dom Albera, inspecteur des Maisons de France, rue des Romains,
g, Marseille.
Dom Bosco désire plus encore. Il voudrait que ses amis de France
pussent augmenter à cette fin leurs aumônes, et même
assurer par des fondations la formation de ses prêtres, en France.
Il promet de prier beaucoup Notre-Dame Auxiliatrice pour ceux qui l'aideront
dans cette oeuvre capitale.
Ces quelques lignes se recommandent à toute la presse catholique
et surtout aux Semaines religieuses qui ont à coeur; avec le
dévelop: peinent des oevres salésiennes, la multiplication
des vocations sacerdotales. ,
On sait que les Maisons salésiennes ne forment pas seulement
des prêtres salésiens, mais que, dans plusieurs dioceses
d'Italie elles ont littéralement repeuplé les grands séminaires.
58.
Le suore Orsoline di Piacenza a Don Rua.
Molto Reverendo Signore,
Non mi sento il coraggio di rivolgermi direttamente al suo Veneratissimo
Padre D. Bosco, quantunque si tratti di un atto dove di gratitudine
verso di Lui, ma io spero Ella, Reverendo signore, voglia farsi interprete
dei miei sentimenti.
Volge appunto un anno dacchè in una grande angustia della nostra
Comunità io invocava una preghiera e una benedizione dal Ven.
suo Padre. Egli, nella inesauribile sua carità degnavasi accordarci
749
assai più di quello che io avessi osato domandare, e rispose
che Egli stesso coi suoi orfanelli avrebbe dato principio ad una novena
che, simultaneamente doveva farsi dalla nostra Comunità. Questo
ci fu subito arra di grandi speranze per l'affare nostro importantissimo
che pure reputavasi pressochè disperato. Ma Don Bosco aveva detto:
“ Il Signore accorderà la grazia, ma nella maniera che
sarà più proficua alle anime ”. E così fu.
Noi lo riconosciamo con gratitudine. Il Signore ci ha esaudite al dì
là delle nostre speranze!
Potessimo impertanto attestare in modo condegno la nostra riconoscenza
coadiuvando efficacemente le sante sue intraprese!
Ma come fare con tanta deficienza di mezzi? La Rev.da mia Madre Priora,
come segno del suo buon volere, invia lire 30, 00 che prega di gradire
pel buon cuore con cui vengono offerte. In pari tempo imploriamo una
specialissima benedizione e una qualche preghiera per la nostra Comunità,
la quale prova dolorosamente le trepidazioni di questi momenti difficilissimi.
In particolare raccomandiamo, oltrechè il noviziato, anche il
nostro Educandato, tanto scarso di giovinette. Tutto a gloria di Dio!
In ultimo io pure oso pregare Don Bosco d'intercedermi una grazia importantissima
e tutta di gloria di Dio.
Prego dunque V. R. a presentare al Ven. suo Padre queste nostre suppliche
e a perorare presso di Lui la nostra causa.
Perdoni, di grazia, il mio ardire e gradisca l'espressione di stima
con cui mi pregio d'essere
di Vostra Riverenza
Piacenza, Collegio Sant'Orsola, I° novembre 1886.
Umil.ma dev.ma Serva
MARIA ISABELLA DE Poi,
Orsolina e Cooperatrice Salesiana.
59.
Il signor Suttil a Don Rua.
Rev.mo Sig. Don Rua,
Per la gloria di Dio e dì Maria SS.ma Ausiliatrice e perchè
sempre più si conosca il valore delle preghiere del nostro diletto
e santo Superiore signor Don Bosco in tutta verità, come fossi
davanti all'Eterno Giudice, mi credo obbligato di dichiararle quanto
segue.
Fanno oggi appunto quindici giorni ed io mi trovava nell'ansia di un
peggioramento inquietante. Da un nuovo malore apertosi nella
750
gamba sinistra usciva una quantità di putredine che impensieriva
gli stessi medici. Colla gamba strettamente bendata, stetti nelle più
vive incertezze fino al sabato seguente giorno di nuova visita. Quale
fu la mia sorpresa ed anche quella (mal potuta celare) dei medici, vedendo
la gamba in buonissinio stato! La guarigione era assicurata. Ciò
avveniva tra le 7 e ½ e le 8 del mattino; l'ora della Messa del
nostro Santo. Più tardi giungeva il caro Festa recandomi a nome
di Don Bosco la salute. Da quel giorno andai sempre migliorando a gran
passi, ed anzi il dì appresso, domenica, potei farmi portare
nel carrozzino e condurre su quello alla Chiesa per la benedizione.
La mia guarigione è dunque dovuta al nostro santo Don Bosco,
a cui Gesù e Maria non sanno mai nulla negare. Che il Signore
e la Vergine Ausiliatrice siano benedetti e ringraziati e Don Bosco
riceva a mille doppi il bene immenso che mi fece; che l'affezione ulcerosa
che minacciava la mia povera gamba, minacciava la mia vita stessa.
Dopo Dio e Maria, sieno dunque rese da me azioni di grazia al diletto
Padre Don Bosco. Il Ch. Festa può confermare quanto qui espressi.
4 novembre 1886.
Suo aff.mo figlio
G. SUTTIL.
60.
Accademia
nel XV Centenario della Conversione di S. Agostino.
Signore,
Come è noto alla S. V., ricorre in quest'anno e precisamente
di questi giorni il XV Centenario della conversione di quel grande luminare
della Chiesa, che fu S. Agostino, conversione la quale e per le cause
che la determinarono e per le felici conseguenze, che ne derivarono
alla religione e alla società, segna uno dei fatti più
memorandi della storia ecclesiastica e civile. Desiderosi Salesiani
ed alunni di celebrare ancor essi un tal fatto nel miglior modo loro
possibile, idearono una commemorazione a mo' d'Accademia, nella quale
un'azione drammatica in versi senari latini, rappresentante quel che
precedette e accompagnò a Milano e seguì poco dopo ad
Ostia la conversione di Agostino, viene intramezzata da componimenti
in prosa e in poesia, intesi a dichiararne: l'alto significato e a segnalarne
la benefica influenza, ridondata alle scienze e alle lettere. Compie
l'opera la musica vocale, come a ricordare la parte salutarmente influente
che ebbe ancor esso il canto grave e sacro alla conversione di Agostino.
Le sarò grato pertanto se la S. V. vorrà assistere a questa
commemorazione
751
scientifico - letteraria, che avrà principio alle ore 2 ½
pom. del 10 corrente nella Casa Salesiana di S. Giovanni Evangelista
sul corso Vittorio Emanuele II.
Colgo volentieri quest'occasione per augurarle da Dio le più
elette benedizioni e professarmele con particolare stima
Torino, 2 Giugno 1886.
Obbl.mo Servitore
Sac. GIOVANNI Bosco.
COMMEMORAZIONE
DEL XV CENTENARIO DELLA CONVERSIONE DI S. AGOSTINO.
I. Suonata.
2. La Teologia speculativo - dogmatica nella Chiesa Latina del secolo
IV, e nuova particolar forma che assunse da Agostino.
3. Cantata: Fassò, Ave Maria.
4. Benefici effetti ridonati alla filosofia dalla conversione dì
Agostino.
5. De Sancto Aurelio Augustino. Actus primus.
6. De Civitate Dei e la ricostituzione dei principi generali della Storia.
7. Cantata: Stradella, Preghiera.
8. Le lettere nel concetto di Agostino convertito.
9. De Sancto Aurelio Augustino. Actus secundus.
10. Ad Agostino convertito la cristianità riconoscente. Carme.
II. Cantata: Capocci, Laudate pueri.
61.
Lettera del Card. Alimonda a Mons. Cagliero.
Eccellenza Rev.ma e, Carissima,
Sono ancora in dovere di ringraziare l'Eccellenza vostra Rev.ma e
Carissima degli affettuosi auguri che si è compiaciuta mandarmi
per la festa di San Gaetano e delle preziose e consolanti notizie della
sua missione che rendevanmi più preziosa e cara la sua lettera.
Prego che la tardanza non mi sia ascritta a colpa, che se v'è
colpa è del tempo che divora troppo rapidamente i giorni e i
mesi a chi si trova con un fardello a portare sproporzionato alle spalle.
Del resto com'io serbi nel cuore per l'Ecc. Vostra tutta la mia stima
e il mio affetto Le si dirà da quando a quando dall'Oratorio
dov'io passo in diverse occasioni dell'anno qualche ora dolcissima con
Ven.mo Don Bosco e con la sua famiglia.
752
Le notizie avute da V. Ecc. meritavano di essere conosciute a pubblica
edificazione, ed io mi sono permesso di farle pubblicare nell'Unità
Cattolica. Ora mi provo a farle pervenire i miei ringraziamenti per,
l'epoca delle feste natalizie, e così adempio il dovere di offrirle
per le medesime i miei più lieti e cordiali auguri.
Erano tenebre universali alla venuta del Salvatore, era tutto una Patagonia
il mondo: ma da Lui è venuta la luce, la pace, la salvezza dei
popoli.
Deh! non tardino codeste terre affidate alle cure solerti e zelanti
di V. Ecc.nza ad entrare nel regno della luce, a conoscere, a profittarsi
del benefizio della redenzione!
E Dio conservi fra tante fatiche sempre giovane di forze, confortato
di spirito il primo Vescovo che reca la buona novella a codesti popoli
sventurati. Questa è la preghiera con cui nel sacro avvento e
nelle feste di Gesù Bambino accompagnerò i sudori, le
gloriose fatiche di V. Ecce.za e de' suoi degni Confratelli. Ed Ella
non mi dimentichi nel fervore delle sue preghiere, poichè non
ignoro di quanta efficacia sia davanti al Signore la voce di chi soffre
operando per allargare i confini del santo sue; regno.
Non occorre ch'io le mandi notizie di Torino, chè le ha frequenti
da' suoi Salesiani, nè potrei darle molto consolanti. Come non
le tornerà amara tra l'altre quella della perdita del nostro
carissimo Mgr. Chiesa, andato a prender possesso del Paradiso prima
che della novella sua sede dì Casale! Lo raccomando a' suoi suffragi,
Oggi ho passato quasi tutta la giornata al Collegio di Valsalice: era
la distribuzione dei premi, e riuscì bella, interessante come
tutte le feste Salesiane. Ma nulla ci interessa quanto il carissimo
Don Bosco, il quale era con noi, sempre gioviale, sempre sereno e contento,
non peggiorato di salute, benchè soggetto ai soliti incomodi.
Il Signore vorrà riservarlo a molte belle imprese ancora, tra
cui non è a trascurare la partenza di un bel drappello di missionari
stabilita per posdomani. Non voglio privarmi della consolazione dì
assistervi e di pregare sull'eletta schiera tutte le benedizioni del
Cielo.
Ed ora è tempo di finire. I miei preti, i familiari baciano riverentemente
l'anello a V. Ecc.nza e ne implorano la benedizione. Io mi stringo affettuosamente
al cuore il mio diletto amico, fratello e figliuolo spirituale nella
persona di V. Ecc. e baciandole devotamente le mani son fortunato di
raffermarmi.
Di V. Ecc. Rev.ma e Carissima
Torino, il 30 novembre 1886.
Aff.mo Servo in G. C,
GAETANO Card. ALIMONDA Arcives.
753
62.
Indirizzi degli artigiani dell'Oratorio a Don Bosco
nel giorno di S. Giovanni Evangelista.
a) I legatori
Amatissimo Padre,
Permetterà che i suoi figli Legatori non siano da meno dei
loro compagni nell'addimostrare la riconoscenza, stima e venerazione
che sentono nell'animo loro. Permetta, o buon Padre, che qui le esprimano
riuniti e concordi gli auguri e le felicitazioni nel giorno suo onomastico,
nel giorno dell'Evangelista di Patmos, nel giorno di S. Giovanni Evang.
Oh quante cose vorremmo dirle se dato ci fosse il poterle parlare e
sentire alcune sue parole che ci spronino al bene, sulla via dell'onore,
della virtù onde essere la sua consolazione. Ma, o Don Bosco,
i, Superiori che a nostra guida destinò ci amano, e come essi
a Lei s'inspirano, e a quell'Angelo di virtù quale fu S. Giovanni,
non potranno non ricondurre i traviati al suo bel cuore, e conservare
al suo amore coloro che vogliono essere, quali noi lo vogliamo, figli
di Dio perchè figli di Don Bosco?
Si, per questo noi pregammo e pregheremo il buon Dio perchè a
lungo lo conservi per il bene di tutti, ma specialmente per i suoi legatori
che tanto sperano ed i quali mettonsi a fidanza nelle braccia e nel
cuore del loro padre Don Bosco e dei loro Superiori.
(Seguono le firme).
b)I1 fabbriferrai.
Amatissimo Padre,
I figli del laboratorio dei Fabbri Ferrai, in un col loro assistente,
nel giorno solenne di S. Giovanni Evangelista promettono all'amatissimo
loro Padre Don Bosco amore e riconoscenza, pregano per Lui il Signore
e gli offrono le loro Comunioni perchè Iddio lo conservi per
molti anni, mentre gli desiderano ogni bene dal Cielo, gli baciano tutti
rispettosamente la mano, ed umilmente si sottoscrivono
(Seguono le firme).
c) I tipografi impressori.
Amatissimo Padre,
Noi del laboratorio dei Tipografi Impressori, oggi, giorno di San
Giovanni Ev. promettiamo a Lei, Nostro Amatissimo Padre, Don Bosco,
amore e gratitudine, e pregheremo Iddio perchè la colmi di
754
benedizioni celesti, e le dia lunga e prospera vita pel nostro bene
spirituale e temporale. Ne baciamo riverenti la mano e ci sottoscriviamo
Di Vostra Signoria Reverendissima
Devotissimi figli in Gesù e Maria.
(Seguono le firme).
d) I falegnami.
Amatissimo padre,
Come tutti gli uomini dabbene sogliono accogliere qualche bella ed
opportuna occasione per dare testimonianza di dovere e di gratitudine
verso coloro che li amano e li beneficano, noi pure Artigiani del laboratorio
dei falegnami uniti al nostro Assistente, approfittiamo della tanta
propizia occasione che ci offre questo Suo giorno onomastico, per ringraziarlo
dei tanti benefici che, ci prodiga continuamente a bene nostro spirituale
e temporale ancora, e per darle eziandio un segno di gratitudine e riconoscenza,
promettendole di corrispondere alle sollecitudini che procura, per quanto
le è possibile, di avere sempre per noi. Accetti adunque il nostro
affettuoso rispetto, e gradisca che le offriamo con un cuore che tanto
le è debitore, una bella e grande corona di comunioni e di preghiere
che oggi ci promettiamo di fare affinchè Iddio La conservi in
vita a bene nostro e a bene di molti altri.
E intanto permetta che ci raccomandiamo alle Sue preghiere, e che sebbene
indegni ci sottoscriviamo.
(Seguono le firme).
e) I tipografi fonditori, stereotipi, calcografi.
Amatissimo padre,
In questo faustissimo giorno del suo onomastico, il nostro cuore prova
grandissima consolazione, in poterle dare un segno del nostro amore
e della nostra gratitudine. Noi lo ameremo sempre, serberemo eterna
gratitudine pei suoi benefizi, pregheremo sempre Giovanni, l'Apostolo
della carità, dalla S. V. R. sì perfettamente imitato,
a volerle impetrare larghissima ricompensa.
Ci raccomandiamo alle sue ferventi preghiere. Le promettiamo inoltre
di corrispondere ai suoi benefizi, con una condotta edificante, amandoci
gli uni gli altri, vivendo da buoni Cristiani.
Gradisca, amatissimo padre, queste espressioni e promesse di cuori riconoscenti,
e ci creda sempre suoi.
(Seguono le firme).
755
f) Sarti e calzolai.
Amatissimo Padre,
Questo giorno della festa di S. Gio. Ev. è per i figli suoi
Sarti e Calzolai occasione di festa e godono poter protestare al loro
Padre Don Bosco che l'amano del più puro e del più sincero
amore, e affine di manifestarglielo, tutti qui sotto le promettiamo
qualche cosa.
Sarti.
Cenci Pietro - farà IV comunioni e IV visite p. V. S.
Caccia Palmiro - II com.
Valenza Vittorio - Idem.
Maffeo Paolo - I com. ed I visita.
Mazzuchielli Carlo II com.
Ferrero Giovanni III com. e III visite farà.
Gili Paolo - farà I visita.,
Sandri Giuseppe - VI visite.
Rosso Natale - com. II e IV visite.
Rosso Alessio - Il com. e IV visite.
Andisio Giovanni - II com. e IV visite.
Martinoli Giacomo - Il com. e IV visite.
Martinoli Giuseppe - I com. e Il visite.
Delfrate Domenico - I com. e III visite.
Razzetti Pietro - I com. e III visite.
Cesaretti Mariano - farà II com.
Brossa Michele - IV com.
Bossi Filippo - I com.
Ghibandi Giovanni - com. Il e II visite.
Carlino Alessio - I com. e I visita.
Fabbro Luigi - I com. e III visite.
Ganna Domenico - I com. e III visite.
Abete Giuseppe - III visite. .
Calzolai.
Perlo Pietro - promette di pregare per V. S.
Cerutti Natale - farà II coni.
Ceresole Francesco - V com.
Meotto Bernardino - II com. e III visite.
Tomatis Giorgio - II com.
Barbero Alfredo - II coni.
Locatelli Antonio - II com. e III visite.
Bruno Giovanni - I com.
756
Bona Giovanni - pregherà in modo speciale p. V. S.
Olivero Giovanni - farà III com. e III visite.
Bruno Giuseppe - III com.
Cortese Stefano - III com. e Il visite.
Armando Giovanni - IV visite.
Fassio Giovanni - Il com. e II visite
Valle Giovanni - I com. e I visita.
Garrone Giovanni - farà I com.
Garrone Giuseppe - I com.
Prete Carlo - pregherà p. V. S. in modo speciale.
Barattini Gaudenzio - farà I com.
Gimero Bartolomeo - farà I com.
Fenocchio Crescentino - I com. e III visite.
Picca Giuseppe - I com.
Rossi Michele - I com. e III visite.
Ferrero, Zaverio - VI com. e VI visite.
Testore Giovanni - II com. e VI visite.
Audisio Giuseppe - II com. e IV visite.
Rossi Giacomo - II com. e V visite.
Borgna Luigi - I com. e I visita.
Orella Giuseppe - I com. e I visita.
Picca Giovanni - I com. e I visita.
L'assistente Ch. Travaini L'assicura che sono già più
anni che fa ogni dì la Santa Comunione p. V. S. e promette di
continuare.
Mentre la preghiamo di aggradire questa nostra piccola offerta La supplichiamo
a volerci dare la benedizione di Maria Ausiliatrice.
Orat. di S. F. di Sales, 27 - 86.
63.
Due lettere dalla Francia a Don Bosco e sue risposte.
A.
Mon Révérend Père,
Je vous avais promis de ne plus vous ennuyer de mes misères,
de ne plus vous parler de mon mariage: mais il est à la veille
de se conclure et - “ urje viens implorer de Dieu par votre entremise
un dernier conseil.
Le bon Dieu a pernus que vous connalaciez le fond du ce non seulement
de ceux que vous avez vus, mais aussi celuì de personnes dont
on vous parle. Vous me connaissez, donc, mon père, et je viens
vous supplier de me dire si je puis épouser Mademoiselle Madeleine
757
Delamolle avec assurance de bonheur Chrétien en ce monde. Sommesnous
faites l'un pour l'autre?
Daignez me répondre, le plus tôt qu'il vous sera possible,
je vous en prie, et veuillez brûler cette lettre que je vous écris.
Veuillez agréer, mon Révérend père, l'assurance
de mon profond respect, et priez N. D. Auxiliatrice pour moi et tous
ceux qui me sont chers.
La Croix par Nevers (Nierre), 3 janvier 1887.
ALBERT DE LENFORME.
Risposta.
Monsieur,
Vous pouvez tranquillement épouser M. Delamolle et elle fera
votre bonheur dans ce monde si vous et elle frequenterez tous les deux
effectivement la sainte Communion.
Je recommande mes orphelins à votre charité; priez pour
moi, et que Dieu vous benisse et que la S. Vierge vous guide à
jamais.
Turin, 8-1-87.
Umble Serviteur
Abbé J. Bosco.
B.
Mon Révérend Père,
Sans avoir l'honneur d'être connu de vous, je me permets dé
vous demander les conseils de votre expérience. Des personnes
qui me sont très proches vous ont vu lors de votre passage à
Paris et m'ont rendu le témoignage de votre grand esprit de foi;
c'est cette raison que j'invoque pour expliquer à vos yeux la
démarche que je me permets de faire auprès de vous.
Depuis quelques années je comptais me marier avec une jeune personne
pour laquelle j'avais une profonde et respectueuse affection. Ce projet
à été rompu tout à coup pour une question
de contrat.
Je vous demanderais, mon révérend Père, de vouloir
bien examiner cette affaire devant Dieu et me dire le resultat de votre
pieuse et charitable méditation. Dois-je tenter de renouer les
relations brisées? Trouverais-je dans cette union les éléments
du bonheur terrestre et du bonheur éternel? La ruine de mes esperances
ne serait-elle pas une indication que Dieu m'appelle dans une autre
voie?
Agréez, mon révérend Père, l'expression
de mes sentiments les plus respectueux en vous priant d'accepter cette
obole pour votre oeuvre. Veuillez aussi adresser votre réponse
à Monsieur X chez Monsieur l'aumônier de l'hôpital
militaire de gros Càillou, 1o6, Rue St. Dominique à Paris.
Paris, ce 8 Janvier.
758
Risposta,
Mon cher ami en J. C.,
Demandez l'avis de votre Directeur Spirituel. Si sera affirmatif, procurez
seulement que la personne, dont vous parlez, elle fréquente la
St. Communion. Pour les autres choses restez tranquil en toutJ e prie
bien pour vous, et je vous recommande mes orphelins.
Que Dieu récompense largement votre charité de 50 fr.
Turin, 10-8-7.
Umble Serviteur
Abbé J. Bosco.
64.
Lettera di Don Bosco al principe Augusto Czartoryski.
Bien cher Prince,
Merci d'avoir eu la bonne pensée d'envoyer vos etrennes à
mes pauvres enfants et de m'avoir donné par la même celles
qui me sont le plus agreables; les temoignages de la charitable sympathie
de mes coopérateurs et la preuve que leur généreux
concours m'est toujours assuré. Que le bon Dieu vous recompense,
vous et votre famille, et qu'il vous comble tous de ses benedictions.
J'aime à penser que votre santé est bonne et que Monsieur
votre pere s'est entierement remis de la peine que lui avait causée
le coup dont il a 'été frappé..
Dans tous les cas croyez bien que nous ne cessons de prier Dieu pour
vous et pour tous vos intérêts.
Recevez, cher prince, avec toute l'expression de ma reconnaissance,
l'assurance de mon affectueux devouement.
Turin, 5 Janvier 1887.
Abbé J. Bosco.
65.
Due circolari di Don Bosco dopo il terremoto.
A.
Carissimi Figliuoli in G. C.,
Il terribile flagello del terremoto che il giorno 23 dell'ora scorso
febbraio cagionò sulla Riviera Ligure di Ponente la spaventosa
catastrofe, di cui sarete già informati, mi obbliga a scrivervi
questa lettera, per raccomandarvi alcune cose, che giudico di molta
importanza.
759
Anzitutto v'invito a ringraziare Iddio e la SS.ma Vergine Ausiliatrice,
che ci risparmiarono il dolore di avere delle vittime tra i nostri,
non ostante che varie nostre Case esistano appunto nel luogo, dove fu
maggiore il disastro. A questo fine ciascun Direttore stabilisca un
giorno, che gli sembri più acconcio, esorti i Confratelli e i
giovani a fare una buona Confessione e Comunione, e si reciti la terza
parte del Rosario in suffragio delle anime di coloro, che restarono
morti sotto le rovine delle case. Nella sera poi si canti il Te Deum,
e s'imparta la benedizione col SS. Sacramento.
Intanto siccome ancor noi abbiamo sofferti non pochi danni materiali,
anzi abbiamo avuto per tal modo rovinata la Casa di Bordighera da doverla
rifabbricare, così convien che tutti ci mettiamo d'accordo per
diminuire le spese in ciascuna Casa, a fine di sopperire all'inaspettato
bisogno.
Per altra parte tanti e sì gravi sono i disastri, ai quali deve
provvedere la carità pubblica, per le case da ricostruire, pei
poveri da ricoverare, per gli orfani da mantenere, che i nostri benefattori
non si troveranno più in grado di portare a noi quel maggior
soccorso, di cui avremmo mestieri.
Per la qual cosa vi raccomando che per quest'anno non si metta mano
nè a fabbriche, nè a riparazioni, nè a lavori od
acquisti, che non siano richiesti dalla necessità. Tutti poi
e singoli i Confratelli sappian dal canto loro fare quei sacrifizi e
quelle privazioni, che sono del caso, e vedano di evitare spese nei
viaggi, nei libri, negli abiti ed in ogni cosa possibile, tanto in casa
quanto fuori di casa. Con questa industria noi potremo riparare almeno
in parte i danni sofferti, ristorare la Casa abbattuta, e riprendere
le opere di religione e di carità, che sono altamente reclamate
dalla maggior gloria di Dio e dal bene delle anime.
Sappiate poi anche giovarvi di questa trista circostanza per esporre
ai benefattori, con cui avrete a trattare, la strettezza in cui ci troviamo,
e in tal modo animarli alla carità. Il semplice racconto del
fatto può inspirare ottimi pensieri.
Nè mancate di raccomandare ai giovani allievi che siano buoni,
divoti della Madonna, e vivano in grazia di Dio, per meritarsi la loro
protezione in ogni tempo e in ogni luogo, specialmente in mezzo ai pericoli
repentini ed inaspettati, come fu quello dell'accennato terremoto, che
in un istante fece più migliaia di vittime.
Ma mentre per una parte farete capire che simili flagelli provengono
dallo sdegno di Dio, e cessano per sua misericordia, come si esprime
la Chiesa: Ut mortalium corda cognoscant et, te indignante, talia flagella
prodire, et, te miserante, cessare, non tralasciate per altra parte
di eccitare tutti ad una grande confidenza in Dio, il quale porta la
terra nelle sue mani onnipotenti; ed ha assicurato che non cadrà
un capello dal nostro capo senza la sua permissione: et capillus de
capite vestro non peribit.
760
Colgo pure questa propizia occasione per ringraziarvi delle preghiere
che fate per me, e vi domando in grazia che le vogliate continuare,
aggiungendovi un grande impegno di salvare l'anima vostra, regolandovi
da buoni religiosi; perchè il sapere che i miei cari figliuoli
vivono santamente, che salvano delle anime, che onorano la Chiesa, mi
consola più d'ogni altra cosa, mi fa dimenticare i miei malori
e come risorgere a novella vita.
Infine imploro sopra di voi tutti e sopra i giovanetti di cotesta Casa,
la benedizione di Dio e la protezione di Maria Ausiliatrice, mentre
godo di potermi dire
Torino, I Marzo 1887.
Vostro aff.mo in G. C.
Sac. GIOV. Bosco.
B.
Benemeriti Cooperatori e benemerite Cooperatrici,
La viva sollecitudine, colla quale voi prendeste sempre parte alle
Opere Salesiane, mi fa ritenere che vi sarà cosa gradita che
io vi dia un breve ragguaglio di quanto ci occorse in questi ultimi
giorni.
Certamente vi è già nota la terribile catastrofe del terremoto
del 23 ora scorso febbraio, che, abbattendo e rovinando in un attimo
palazzi e tugurii, produsse in Italia gravissimi danni, e fece nella
Liguria moltissime vittime.
Or, coll'animo pieno di riconoscenza verso Dio, vi annunzio anzitutto
che in mezzo a tanti feriti e morti noi non abbiamo avuto da deplorare
alcun danno personale. Salesiani e Suore, allievi ed allieva di ogni
Casa andarono esenti nonchè dalla morte, financo da ferite e
da contusioni - L'unico male fu lo sbigottimento, l'apprensione, l'ansie
indescrivibile, che s'impossessò di tutti, nonchè il timore
insuperabile di rimanere nell'interno dei fabbricati, per cui in alcuni
luoghi della Riviera, si dovettero passare varii giorni e varie notti
attendati alla meglio e all'aria aperta nei cortili e nei giardini.
Ma, se andammo esenti dalle disgrazie personali, siamo purtroppo stati
ancor noi colpiti da gravi danni materiali. Le nostre Case e Chiese
del Piemonte e della Toscana ebbero solamente muri screpolati, tetti
spostati, scale ed arcate smosse; danni questi, ai quali si potrà
porre riparo con qualche facilità. Ma alcune delle nove Case
esistenti sulla Riviera Ligure di Ponente, maggiormente fiagellata,
soffersero guasti molto rilevanti. Tra questi minaccia di cadere la
facciata della chiesa del Collegio di Alassio e la Casa di Vallecrosia
presso Bordighera fu talmente rovinata, che senza costosi lavori sarebbe
inabitabile. Essa fu già sgombrata; si dovettero chiudere le
scuole pubbliche ed il Collegio femminile annesso, inviare alle proprie
761
famiglie una parte delle giovinette, e trasferire fino a Nizza Monferrato
le altre, che rimasero orfane di genitori o prive delle proprie abitazioni.
Come si vede, questo luttuoso avvenimento ci obbliga a grandi sacrifizi,
affinchè non vadano come perdute opere, che ci costarono già
spese e fatiche immense, e che non possiamo trascurare senza grandissimo
danno delle anime. Ci obbliga a spese di viaggio, di riparazioni, di
mantenimento di giovani e di fanciulle, i cui parenti furono colpiti
dal flagello; ci obbliga insomma a spese gravissime, che pochi giorni
or sono non avremmo potuto neppure immaginare.
Noto tra le altre cose che la Casa di Vallecrosia è una delle
più necessarie pel bene della Religione e delle anime, perchè
in quella località sono insediati i protestanti, i quali usano
tutte le arti per attirare a sè la gioventù di ambo i
sessi e rubarle la fede; epperciò deve essere ad ogni costo ristorata.
Ma come fare? lo non mi voglio perdere di animo. Da fisici malori reso
impotente della persona da non poter uscire a domandare il necessario
soccorso, io spero di rimediare al disastro per mezzo de' miei Cooperatori
e delle mie Cooperatrici. Agli uni pertanto e alle altre io domando
umilmente la carità.
Conosco il vostro buon cuore, e giudico inutile il soggiungere molte
parole per eccitarvi a venirmi in aiuto. Vi prego solo a riflettere
che le pubbliche calamità debbono servire di sprone ai buoni
cristiani per muoverli a lenirne i lamentati effetti a fare, direi,
quasi l'impossibile per recarvi riparo.
La carità esercitata in simili circostanze, mentre riesce più
soave a chi la fa e a chi la riceve, torna eziandio quale un inno di
ringraziamento al Signore per averci risparmiati nel flagello; torna
altresì di preghiera efficace per ottenere la sua misericordia
e la liberazione da ulteriori disgrazie, che potrebbero rinnovarsi.
Dio stesso ha fatto dire che la limosina ci fa trovare la sua misericordia
e libera dalla morte: eleemosyna a morte liberai et facit invenire misericordiam.
Una cosa, che nei passati giorni in mezzo alla desolazione recò
a me ed ai Salesiani più grande conforto, fu la notizia che varie
persone nostre benefattrici, le quali abitavano sul luogo stesso del
maggior disastro, furono preservate come per miracolo. Noi attribuiamo
una tal grazia alla carità, che esse ci hanno sempre usata; perchè
il Signore suol dare in questo modo quel centuplo, che nel Vangelo promette
a chi fa limosina per amor suo.
Questa grazia, con moltissime altre dei tempi andati, è una prova
convincente che Iddio e la Vergine SS. Ausiliatrice proteggono in modo
speciale coloro che, potendo, ci fanno la carità; è una
prova che Iddio e la Vergine Ausiliatrice esaudiscono le preghiere,
che nelle nostre Case facciamo pei nostri benefattori e per le nostre
benefattrici, sopra cui imploriamo tutti i giorni ogni più eletta
benedizione.
762
Dal canto mio vi assicuro che ogni giorno pregherò e farò
pregare per voi e per le vostre famiglie. Siccome beneficati, noi ci
stringeremo più amorosamente intorno a Maria Ausiliatrice, Madre
di Colui, che porta il mondo nelle sue mani onnipotenti, e La pregheremo
più fervorosamente, che vi guardi dal cielo, vi copra sotto il
valido e materno suo manto, vi allontani dal capo ogni disgrazia ora
e sempre.
Ed ora non mi resta più altro a fare che ripetere: Io domando
e aspetto la vostra carità, per riparare ai danni, che il terremoto
mi arrecò. Fosse la limosina anche solo di pochi soldi, non importa.
A quel modo che l'unione fa la forza, così molte piccole offerte
insiem raccolte possono somministrare il mezzo per rimediare ai danni
sofferti e per compiere importantissime opere.
Pregate anche voi per me e per la prosperità delle opere, che
la divina Bontà affidò alle povere nostre mani, e gradite
che mi professi con profonda gratitudine,
Di voi, benemeriti Cooperatori e benemerite Cooperatrici,
Torino, I° marzo 1887.
Obbligatissimo Servitore
Sac. Giov. Bosco.
NB. Per norma di chi avrà la bontà di mandarmi in Torino,
via Cottolengo, N. 32, qualche limosina privata o collettiva, per mezzo
di vaglia postale o di lettera raccomandata, sarà inviato al
mittente un biglietto a stampa che servirà di ricevuta e di ringraziamento.
66.
Circolare per conferenza a Sampierdarena.
ORATORIO S. F. S. IN TORINO.
Benemeriti Sig.ri Cooperatori Salesiani e
Benemerite Cooperatrici,
Il vivo desiderio che ho di vedere insieme raccolte quelle benevoli
persone, le quali in tante guise mi vengono in aiuto a fare un po' di
bene alla pericolante gioventù, mi fa cogliere con premura la
propizia occasione del mio passaggio in Sampierd'Arena alla volta di
Roma per tenere la pia Conferenza dei Cooperatori Salesiani e delle
Cooperatrici di Genova e dei paesi limitrofi.
La pia Radunanza avrà luogo nell'insigne basilica di S. Siro
in Genova alle ore 2 1/2 pomeridiane di Giovedì prossimo 21 corrente
mese.
Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Sanatone Magnapo Veneratissimo
763
e Benemerito Arcivescovo di Genova ci lascia fondata speranza di poter
presiedere la pia Radunanza e darle lustro colla Sua presenza come tutti
desideriamo.
Il Chiarissimo Oratore Mons. Can.co Omodei - Zorini, nella Sua squisita
bontà accettò l'incarico di tenere agli intervenuti analogo
discorso.
A maggior conforto di tutti giova ricordare che il Sommo Pontefice concede
Indulgenza plenaria a chi prende parte alla Conferenza.
Nella fiducia che i Benemeriti Cooperatori e le Cooperatrici terranno
di buon grado questo invito, prego il Signore che spanda sopra di essi
e sopra dei loro cari le più copiose benedizioni, e raccomandandomi
in pari tempo alle loro orazioni godo di potermi professare con grande
stima e con profonda riconoscenza
Delle SS. LL. Benemerite
18 Aprile 1887.
Obbligatissimo Servitore
Sac. Gio. Bosco.
(Seguivano le solite Avvertenze e l'Orario).
67.
Favori spirituali in occasione
della consacrazione della Chiesa dei Sacro Cuore.
Sacra Rituum Congregatio, utendo facultatibus sibi specialiter a Sanctissimo
Domino Nostro Leone Papa XIII tributis, ad humillimas enixasque preces
R.mi Procuratoris Generalis Congregationis Salesianae, occasione consecrationis
Ecclesiae adiectae Domui eiusdem Congregationis Salesianae in Urbe mox
adveniente Sabbato ante Dominicam V post Pascha, nempe die 14 vertentis
Maii peragendae, quae sequuntur praescripsit et indulsit, nimirurn:
I. Ut secundae Vesperae Pontificales praefati Sabbati celebrentur pròpriae
de Dedicatione Ecclesiae, et sequentï Dominica tum Missa solemnis
Pontificales, tum Missae lectae, nec non Vesperae pariter Pontificales
valeant esse propriae de eadem Ecclesiae Dedicatione.
II: Ut subsequentibus Feriis II, III et IV Missae omnes tam Pontificales
quam lectae celebraci queant de Sacratissimo Iesu Corde; et Vesperae
item Pontificales earumdem Feriarum II et III decan- tentur propriae
eiusdem Sacratissimi Cordis, et Feriae IV de Ascensione Domini.
III. Ut Feria V (nempe 19 Mali) Ascensioni Domini sacra inter Missarum
solemnia in Pontificalibus celebranda locum habeat Ho-
764
milia et post Vesperas Pontificales immediate fiat expositio Sanctissimi
Eucaristiae Sacramenti, deinde solemniter decantetur Hymnus Te Deum
cum Tantum ergo, ac demum impertiatur populo Benedictio (quae hac die
tantum danda est), cum eodem S.mo Sacramento.
IV. Ut omnes utriusque sexus fideles vere poenitentes, confessi ac Sacra
Synaxi refecti qui in qualibet ex diebus a 14 ad 19 inclusive vertentis
Mali Ecclesiam ipsam visitaverint, ibique per aliquod temporis spatium
pias apud Deum preces fuderint iuxta mentem Sanctitatis Suae, semel
consequi valeant Indulgentiam Plenariam in forma Ecclesiae consueta,
per modum suffragii applicabilem quoque Animabus igne Purgatorii detentis:
qui autem corde saltem contrito eamdem Ecclesiam praefatis diedus inviserint
partialem septem annorum totidemque Quadragenarum Indulgéntiam
semel in die lucrari queant pari modo Animabus Purgatorii applicabilem.
Contrariis non obstantibus quibuscumque.
Die 11 Maii 1887.
D. Cardinali BARTOLINIUS S. R.
Praefectus.
IOANNES PONZI
Substitutus.
Pro R. I. B. LAURENT. SALVATI
Secretario.
68.
Omelia del cardinale Parocchi nella chiusa delle solennità romane
al Castro Pretorio.
El ego si exaItatus lucro a terra,
omnia traham ad meipsum.
IOAN., XII, 32.
Or sono tre lustri, e qui regnava silenzio e solitudine. Dopo lunghi
stenti, ecco sorgere il più bel tempio, di quanti consecrasse
Roma nell'ultimo decennio all'Altissimo, tempio dove a gara concorsero
le arti umane, le sollecitudini della Penisola e la carità dell'orbe
cattolico, tempio ove al genio operoso d'un umile sacerdote liberalmente
sorrise la grandezza di due Pontefici.
Questo nobile tempio, degno del titolo, è l'apoteosi del divin
Cuore. Ideato da un fervoroso apostolo del Sacro Cuore, affidatane la
malagevole impresa a sacerdoti, che dal celeste Patrono e dal Fondatore
attinsero i documenti della vita intima di Gesù Cristo, non indarno
speriamo, ch'Egli, siccome un giorno in Sionne, aprirà in questi
memori avanzi del Castro Pretorio la fonte vaticinata da Isaia, vivida
in sempiterno.
765
Nel tramonto delle sue encenie, di nuova gloria è irradiata
l'augusta fabbrica dall'odierna solennità. L'Ascensione è
l'apoteosi del divin Cuore: chè, se allora esulta un cuore generoso
quando può far del bene, il Cuore di Gesù tripudiò
di nuova esultanza, allorchè palpitando alla destra del Padre,
signore s'è dimostrato ed arbitro di tutti i cuori.
Così pienamente è avverato l'oracolo: “ Ed io se
verrò sollevato da terra, tutto attirerò a me ”
: Et si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum, in questo
giorno, nel recinto della nuova casa, invita Gesù i nostri ad
essere trofei del suo cuore: chi vorrà rifiutarsi?
Qualunque intenda la voce del cuore, ne conosce le arcane consolazioni.
Tergere a' piangenti le lacrime, visitare gli abituri, satollar la fame,
vestire la nudità de' poverelli, assistere al transito i moribondi,
comporre nella cristiana fossa le salme de' trapassati, sull'anime penanti
nel carcere purgatorio versare la pioggia del divin Sangue; curare la
conversione de' peccatori, aprire ciechi intelletti allo splendor della
fede, gli oppressi risollevare e difendere i conculcati diritti della
giustizia, ecco le consolazioni del cuore umano, quelle che lo preparano
alle superne; e non furono appunto queste le consolazioni preferite
dal divin Cuore? Eppur, quasi dissi, nel suo terrestre pellegrinaggio,
la generosa passione di fare il bene non è riuscito Gesù
a soddisfarla abbastanza. Nel trentenne pellegrinaggio, accompagnato
da tanti travagli, consumato fra tante pene, acquistò il merito
di redimere, non uno ma infiniti mondi. L'esecuzione del gran disegno
era tuttavia riservata principalmente alla vita postuma, alla vita che
avrebbe esercitata sì libera e potente nella sublimità
della gloria. Il Padre, che a tutti gli avvenimenti, in peso, numero
e misura, prescrive gli inizii ed il corso, allora volle che seco traesse
il Figlio prigioniera la schiavitù, quando fosse per entrare
vittorioso nella sua reggia; allora acquietasse le tempeste orribili
della terra, quando alla destra di lui si fosse assiso tranquillamente;
allora applicasse l'illuminata podestà ricevuta in cielo ed in
terra, quando d'entrambi i regni avesse preso il possesso. Il che torna
a dire come dall'Ascensione avrebbe pigliato le mosse il regno del suo
amantissimo cuore. Attuata allora la podestà non confinata da
termini, splendidamente palese la carità, anima del suo cuore;
dall'esuberante larghezza de' beneficii, reso manifesto di esso cuore
il trionfo. Et ego si exaItalus fuero a terra, omnia traham ad meipsum.
Tutte le genti, senza eccezione di colte o barbare, forti o deboli,
sofferenti o felici: tutte l'epoche egualmente necessitose di Gesù
Cristo, e tanto più, quando la vantata civiltà d'alcune
faccia mostra di bastare a sè medesima; tutte le classi, ricchi
e poveri, nobili e oscuri; tutte le condizioni, dall'infima alla suprema:
arti, lettere, scienze, politica, economia, tutte le appartenenze del
privato bene e del pubblico, o riguardino la vita del tempo, o la vita
eterna, tutto fu
766
assoggettato al dominio di lui, tutto derivò dalla sorgente
inesauribile del suo cuore. Omnia traham ad meipsum.
Egli aveva detto: “ Se non parto, a voi non verrà lo Spirito
consolatore ”. Si non abiero, Paraclitus non veniet ad vos (IOAN.,
XVII). Era mestieri (conforme a' disegni della divina sapienza e bontà)
che già trionfasse il cuore di Gesù, quando l'Amore ipostatico
del Padre e del Figlio, l'Amore mandato da entrambi con una missione
unica, siccome uno e identico è il principio ond'Egli procede,
scendeva il divino Paracleto a inaugurare sulla terra il regno nel cuore.
Davide combatte faticosamente trent'anni a preparare il tempio, e Salomone
l'edifica nella beatitudine della pace, Così il Salvatore con
gl'ineffabili spasimi della passione, seminato l'avvenire di tutti i
tempi, avrebbe raccolto nel gaudio; e frattanto ad eseguire l'alta impresa
vigilerebbe lo Spirito, abbellitore dell'universo. Spiritus (Domini)
ornavit coelos. (IOP, XXVI, 13).
V'è il regno della forza, proprio de' bruti, e questo avvalorò
il paganesimo, per il quale le ragionevoli creature rinvertirono alla
condizione d'esseri irragionevoli. V'è il regno della intelligenza,
e questo se abbraccia una parte assai nobile della nostra natura, non
la comprende però tutta intera: è regno di sterile ammirazione
e di calcolo, incapace di felicitare chi si sente nato a ben altro,
che a contemplar freddamente la verità e meravigliar della bellezza.
V'è il regno del cuore, e questo senz'abbandonare la forza, quand'è
necessaria a difendere il buon diritto, senz'allontanare l'intelligenza,
fide consorte: questo regno investe l'uomo qual'è, l'uomo destinato
ad amare e far bene, raggiungendo così la terrena felicità
e la celeste. Quest'è appunto il regno indefettibile del suo
cuore, sempre vivente.
Qui se non m'illude l'affetto, qui si rispecchierà la grazia
di tanto regno; e dal magnifico aspetto del tempio brillerà riflesso
il trionfo del divin Cuore. Come dall'ordine visibile s'innalza lo spirito
all'invisibile, noi così dal compimento del tempio esteriore,
magnifico, ma non finito, ascenderemo alle altezze dello interiore,
ogni dì riformando qualche parte deformata dalle passioni, ogni
dì lavorando a proseguirne qualc'altra, abbozzata appena dalla
nostra ingenita insufficienza.
Regnate in questo tempio, qui regnate sovrano, o Cuore adorabile di
Gesù, e mai finchè bastino i secoli, nessuno v'esigli
mai; conducete Voi stesso a termine l'opera delle vostre mani, adomando
di nuove bellezze le pareti esultanti del vostro crisma; ma sopra tutto
regnate in noi trahe nos post te; rendeteci ognor meglio fedeli sudditi
del vostro universale dominio, assumete la nostra miseria all'onore
di propagare ovunque la gloria del vostro regno, sicchè non siamo
noi gl'infelici, che sentiranno il terrore della giustizia nell'ultimo
adempimento del vostro oracolo. Et ego si exaltatus fuero a terram,
omnia traham ad meipsum.
767
69.
Iscrizioni di Don Francesia sulle campane della chiesa del Sacro Cuore.
Sulla Iª campana.
Floritus Colle, Vir cl. Santae Romanae Ecclesiae Comes, domo Tholona
apud Gallos, acerrimus Christianae religionis professor et in primis
Salesianae familiae potronus, in sui obsequii signum et voluntatis erga
Leonem XIII P. M. fecit ana. MDCCCLXXXVI.
Sulla 2°.
Sophia Colle ex nab. familia Buchet Tholonensis in Gallis, matrona singularis
esempli clarissima, et vestigiis Floriti viri insistens, ut suae pietatis
monumentum erga Mariam Virg. Christianorum potentem extaret fecit ana.
MDCCCLXXXVI.
Sulla 3°.
Honori et memoriae Aloysii Colle, filii Floriti et Sophiae Buchet, qui
cum vel ab ipsa pueritia, pietatis et literarum studio iam de se non
spem, sed fiduciam daret, fiorenti adhuc aetate raptus, ne malitia mutaret
intellectum ejus, quievit in Domino XVI ana. etm enses ses natus ana.
MDCCCLXXXVI.
Parentes eius dum Deo gratias agunt, qui dedit et abstulit, rerum suarum
heredes pauperes Christi constituerunt, ut in beatitatem ae- ternam
verteret quod casurum erat in terris.
Sulla 4°.
Ad memoriam auspicatissimi diei consignandam, qua Maria de la Soledad
Pascual y de Llanza nob. puella, docili ingenio, moribus sanctissimis,
vis novem annos nata, primum sacra de altari litaret, Barcinonae, in
sacrario asceterii Salesiani Manuel Maria Pascual de Bofarull y Maria
de la Soledad de Llanza de Pascual parentes Eius gratulantes Sept. cal.
maias ana. MDCCCLXXXVI.
Sulla 5°.
Dorothea Chiopitea de Serra domo Barcinona, vulgo mater pauperum adpellitata
in signum grati animi erga Divinissimum Cor Jesu hoc sacrum ses cudendum
curavit quo die Elisabeth Huelia et Serra neptis virgo candidissima
primum sacra de altari litaret sept, cal. matas ana. MDCCCLXXXVI. Heul
paucis post mensibus suis flebilis omnibus desiderata ad nuptias coelestes
advolavit.
768
70.
Lettera del principe Czartoryski a Don Bosco.
Mon très Révérend Père,
Papa exige que je termine l'affaire du majorat. Les terres et les immeubles
de Papa ont été déjà mis sous mon nom, comme
je vous ai dit et Papa exige que je m'occupe de la formation du majorat
en mon nom avant che je n'aille faire mes études chez vous. Les
motifs de se presser tellement sont les bonnes dispositions de l'Empereur
dont il faut profiter, la guerre imminente avant laquelle il serait
prudent d'avoir fait le majorat... Il s'agit de joindre des capitaux
au majorat et que je présente à l'Empereur le projet de
constitution du majorat.
Il se peut faire de la sorte, comme Papa le propose que je joigne au
majorat des capitaux, sans que ma fortune particulière en soit
diminuée dans le cas que je renonce au majorat (si je me fais
prêtre ou religieux).
Je dois partir, avec Papa, mercredi soir pour Vienne, où mon
adresse sera à Weinhans. Nous nous y arrêterons fort peu
de temps et repartirons pour Cracovie (Galicie Autriche) où mon
adresse sera au musée Czartoryski.
Le prince imperial d'Autriche doit venir à Cracovie à
la fin de ce mois; et il visitera notre musée. je serai peut-être
exposé à bien des distractions.
je viens vous faire part de tous ces ennuis, comme à mon directeur
spirituel. je suis toujours resolù à faire la volonté
du bon Dieu et à suivre ma vocation. je veux revenir à
Turin des que je pourrai.
je me recommande à vos prières, mon Père, et je
vous prie d'agréer l'assurance de mes sentiments respectueux
Paris, 2 rue St. Luise en l'ile, 13 Juin 1887.
Votre fils en J. C.
AUGUSTE CZARTORYSKI.
71.
Indirizzo letto nell'onomastico di Don Bosco a nome della Francia.
Bien vénéré Père,
Vous moissonnez aujourd'hui là où vous avez tant semé:
vous Me permettrez, n'est-ce pas, de vous apporter, moi aussi, ma gerbe
de reconnaissance et de bénédictions.
769
Un jour, dans la riante patrie que Dieu vous avait donné à
aimer, votre zèle se trouve à l'étroit: les âmes
manquent vite à ceux qui en connaissent le prix.
Vous vous êtes souvenu alors que Rome chrétienne a donné
au monde trois filles de grande race, ou plutôt, trois reines:
- est-il de race plus grande que celle des martyrs?
L'Italie, la France, l'Espagne sont assises sur les bords merveilleux
de la Méditerranée, qui leur apporte chaque jour, avec
le flot de Rome, un souffle de vieille foi; elles n'ont point de frontières;
les Alpes et les Pyrénées ne les séparent pas:
ce sont des signes qui indiquent les héritages et marquent le
partage des gloires.
Vos labeurs bénis avaient déjà consolé l'Italie,
'quand vous avez regardé la France comme on regarde ceux que
l'on veut sauver. C'était, du reste, mettre de l'ordre dans le
bienfait et prendre 'le vrai chemin de l'Espagne. La France comprit
votre regard.
Elle occupe, dans la grande famille latine, une place que vous connaissez
bien.
La charité la subjugue, le dévouement la séduit,
le sacrifice la transporte; il y règne, à l'état
de sainte contagion, un irrésistible besoin de générosité:
elle ne saurait se marchander à qui se prodigue. Aussi le don
de Dieu y trouve-t-il toujours des âmes' faites pour le connaître
et pour le goûter.
Vous savez bien, Vénéré Père, que je dis
la vérité: vous connaissez la France, la vraie, celle
qui est elle-même quand elle est pour Dieu. Son coeur, vous l'avez
senti battre encore, sous les ruines de tant de choses grandes et belles;
vous savez que le vieux sang des croisés coule encore dans ses
veines, et va porter au loin la vie à des oeuvres puissantes
dans l'Église de Jésus-Christ.
Au sortir d'un long rêve sanglant où tous les respects
avaient eu leur naufrage, le Pontife Romain traversait la France au
milieu d'un peuple à genoux. Les tristesses préparaient
des tristesses quand vous êtes venu nous prêcher une croisade
de charité pour la régénération sociale:
ce peuple, enseveli dans ses deuils; a levé la tête et
tressailli au son de votre voix qui lui parlait de salut; et la France
a cru en vous, et la France vous a aimé, parce qu'elle a la foi
et l'amour de ce qui ne vient point de la terre.
Le nom de Dieu est un mot de passe qui, dans notre pays,, ouvre toutes
les portes: avec ce seul mot, vous aviez le droit de prendre nos coeurs
dans votre main.
Vous étiez seul, sans ressources assurées, sans appui
humain: voilà des lettres de créance comme il nous en
faut. Tout ce qui est faible et petit devant les hommes, reçoit
chez nous le culte d'un respect sans bornes. Et ce respect, il a sa
source dans notre foi. Nous savons que Dieu est toujours derrière
un homme qui se dévoue: et vous étiez atteint d'une folie
de dévouement.
770
Du reste, Dieu ne s'est pas caché longtemps. Le grain de senevé
a germé: le monde, surpris, en a vu sortir un grand arbre sous
lequel s'abritent des multitudes qui ont, comme les oiseaux du ciel,
toutes les maternelles attentions de la Providence.
Un rameau magnifique s'étend déjà sur la France;
peu à peu il la couvrira en entier de son ombre bienfaisante:
tous ces chers petits, dont vous êtes le Père, chantent
leur reconnaissance.
Je vous apporte l'écho de ce chant, en un jour où l'on
peut vous bénir et bénir Dieu, qui vous a donné
à nous.
Que Dieu vous garde à notre amour filial, à notre vénération:
la main qui a ouvert le premier sillon est précieuse entre toutes;
qu'Il daigne aussi vous donner toujours des fils comme vous les désirez.
Merci, une fois encore, au nom d'une nation qui n'oublie point combien
vous l'aimez.
Ce merci, vous l'entenderez dans le temps qui ne finit point. Ce ne
sera plus une voix ou un peuple seul qui vous le dira; les nations auront
disparu: il n'y aura plus que la grande famille des élus, où
vous retrouverez la vôtre.
Ceux qui vous devront leur bonheur seront innombrables. Vous entendrez
alors leurs actions de grâces; il vous les rendront avec une joie
que nous ne pouvons connaître, et dans une langue que nous ne
parlons point encore: ce sera le ciel, et pour toujours.
72.
Due lettere alla signora Pilati.
A.
Ill.ma Signora,
Ho il piacere di rispondere alla riverita sua lettera del 3 giugno
c.te per approvare e grandemente commendare la sua pia determinazione
d'impiegare una parte del patrimonio lasciato dal suo caro marito in
opere di beneficenza, essendo queste le più utili alla liberazione
delle anime purganti, e le più meritorie ai viventi per la vita
eterna cui aspiriamo.
Ora eccole il mio avviso sulle opere in questi tempi più atte
a promuovere la maggior gloria di Dio ed il bene delle anime.
Una delle prime necessità dell'epoca nostra è di venire
in aiuto alla povera gioventù maschile abbandonata, onde educarla
cristianamente e farne dei buoni cittadini, operai, e capi di famiglia
cristiani, e dei buoni Sacerdoti e religiosi debitamente coltivando
le vocazioni di ciascuno; ed a questo tendono tutti i nostri Istituti
maschili e femminili in Italia, Francia, Spagna ed America, e nelle
stesse nostre
771
Missioni del Brasile e della Patagonia e del Chilì, che cominciano
a dare dei frutti ben consolanti per noi e pei nostri benefattori e
Cooperatori.
Ora io penso che il Signore avendo ispirato alla S. V. Ill.ma di ricorrere
a me per consiglio, vuole di certo farne un suo strumento per sostenere
le opere di beneficenza a me affidate dalla sua Divina Provvidenza e
renderla così benefattrice delle opere Salesiane, che sono opere
indipendenti dal Governo, nè da esso riconosciute e perciò
più libere dalla di lui influenza, ma più bisognose di
mezzi materiali per mantenersi ed estendersi.
Fiducioso pertanto che la S. V. vorrà essere insigne Cooperatrice
Salesiana io le consiglio di bendere tutti gli stabili destinati ad
uso pio, ed a consegnare a me od a' miei rappresentanti il danaro ricavato
che sarà impiegato intieramente in opere di beneficenza, le più
atte a promuovere la maggior gloria di Dio e la salute delle anime:
questo è per noi il miglior mezzo per fare del bene ed anche
per la S.V. essenonchè il bene fatto in vita è molto più
meritorio, sicuro e vantaggioso di quello che si fa per testamento,
poichè questo è ben sovente contestato od annullato, restandosi
così defraudate le intenzioni pie dei testatori.
Riguardo poi ad assumerci l'istruzione o l'educazione di cotesto Seminario
(I) non ci è possibile per ora per mancanza di personale; potremmo
però fin d'ora ricevere dei giovani di cotesta Diocesi che avessero
vocazione allo stato ecclesiastico, e poi in seguito si potrà
forse aprire anche costì un Istituto Salesiano (2).
L'assicuro in fine che sarà detta la S. Messa in suffragio dell'anima
del compianto suo marito il 20 Giugno c.te e così pure sarà
fatto ben volentieri un memento nella S. Messa secondo l'intenzione
della S. V. affinchè tutto riesca al miglior bene dell'anima
sua e de' suoi parenti.
Dio la benedica, le dia il centuplo in questa vita di tutto il bene
che farà alle opere Salesiane, ed il premio eterno in cielo a
suo tempo.
Gradisca i miei rispettosi ossequi e preghi anche per me che non mancherò
di pregare molto coi nostri 200 e più mila orfanelli pel suo
benessere spirituale e temporale ed eterno e sarò sempre nel
S. C. di Gesù
di V. S. Ill.ma
Torino, 6 Giugno 1887.
Obl.mo Servitore
(Firmato) Sac. Giov. Bosco,
B.
Ill.ma Signora,
Ho ricevuto la riverita sua lettera del 18 corr.te ed ho trovato giustissime
le ragioni che La impediscono di seguire il consiglio, che
(I)Di Comacchio. Nel 1894 se ne accettò la direzione.
(2) Questo venne aperto ai primi di ottobre del 1899.
772
io credeva pel meglio di darle dietro sua richiesta, senza conoscere
le circostanze. Approvo dunque pienamente quanto Ella mi scrive e la
ringrazio poi di tutto cuore per la generosa intenzione di passare a
miei disgraziati orfanelli ed abbandonati ragazzi i crediti che la S.
V. reclama.
Il Signore ricompenserà largamente forse anche quaggiù,
ma nell'altra vita sicuramente tanta sua carità.
Raccomando al Signore tutte le sue pie intenzioni e specialmente oggi
raccomandai l'anima de' suoi cari genitori defunti e tutti gli altri
suoi parenti vivi e defunti.
Voglia gradire i miei rispetti e mi creda in N. S.
Della S. V. Ill.ma
Torino, alli 2o Giugno 1887.
Umilissimo Servitore
(firmato) Sac. Giov. Bosco.
Alla Sig. Teodolinda Pitati V.a Domini di Bologna.
73.
Lettera a Don Bosco sulle isole Malvine.
Reverendissime Pater,
Humiliter rogans tuam indulgentiam, scribo, interrogans quando debemus
expectare adventum Patrum Salesianorum in insults Malvinis. Compellor
proponere istas quaestiones a paucis Catholicis in his Insulis, et quoque
ab aliis in Inglaterra qui habent cognatos ibi. Inter Catholicos qui
rogant sacerdotes sunt hi quorum cognati mortui sunt sine sacramentis
et quorum infantes non adhuc sunt baptizati et illi qui instruunt adolescentes
in dottrina Christiana. Hi loquuntur de magna difficultate in colligendo
suos discipulos pro Catechismo quorum pauci abierunt ad Protestantismum
compulsi ad hoc a parentibus qui non sunt Catholici. Omnes deplorant
privationem sacramentorum. Recordati sunt de meis'verbis in quibus loquebar
de adventu proximo Patrum. Recordati sunt de litteris quas accepi de
Patribus Salesianis in mense Decembris 1885 in quibus promiserunt suum
adventum in mense Januarii 1886. Nunc omnes norunt quod Patres Salesiani
advenerunt duobus vicibus in Punta Arenas, prope his insulis. Prima
vice reversi sunt ad Buenos Aires, altera exierunt ad Chili esplorare
regiones novas, ubi quaerunt formare Missionem Salesianam. Et Catholici
a me quaerunt quid intendant facere pro nobis. Ego nullum responsum
dare potui usquedum recipiam tuam opinionem. Quaestio est utrum Patres
Salesiani ituri sint ad Malvinas vel non.
773
In primo caso quando debemus expectare illorum adventum; in secundo
casu necessarium erit recurrere ad Eminentissimum Cardinalem Praefectum
SS. C. de Propaganda et postea exquirere alium sacerdotem pastum suscipere
coram Insularum Falkland, paucis annis. Mihi apparet, et haec est opinio
aliorum, quod Patres Salesiani in Republica Argentina nihil curant de
Malvinis; si ita sit, melius est aliis dare coram istius Missionis.
Evidens est quod non est pancitas Missionariorum, quia habetis Missionarios
pro aliis regionibus. Et quare non pro Malvinis? Oremus pro invicem.
Benfieldside BlacKhill Countes Durham.
England, 14 Nov. 1887.
JAMES FORAN.
Rev.mum Ioannem Bosco Turin.
Si rispose essere stato ordinato prete un Inglese destinato per quella
missione.
74.
Altra lettera a Don Bosco sulle isole Malvine.
Reverendissime Domine,
Pervenit ad me fama de te et de operibus tuis nec non et de Congregatione
Sacerdotum ad opus evangelizandi infideies destinatorum et de regione
Patagoniae et insularum proximarum eis commissa. Nuper auteur accepi
per manus cujusdam monialis (M. Mar. Stanislaus Ursuline Convent. Upton
Essex England) litteras ei missas a Domina quadam Catholica in insulta
Falkland nuncupatis degenti. Plangit illa vehementer eo quod nullus
sacerdos ibi adsit ad instruendos Catholicos vel adulta vel tenera aetate,
ad administranda Sacramenta Baptismi, matrimonii et caetera, ad missam
celebrandam.
Ausus sum tibi, Reverendissime Domine, hac de re scribere, in bonitate
tua et zelo confidens, et sperans tibi possibile fore hoc in opere obvenire,
vel me instruere quid celerius faciendum sit.
Fieri potest forsan quod Patres Congregationis tuae Anglicam linguam
non calleant, et ita difficultas hujus missionis inserviendae major
evadat. Quod si ita ait, forsan melius foret si sacerdos aliquis Anglicus
haec missionem susciperet.
Quantum ad me attinet, quum capellanes sien militum libertate non fruor,
quamquam mihi imprimis optabile foret me missionibus extraneis devovere.
Si auteur notitia hujus annonae in Ephemeridis Catholicis Anglicis promulgaretur,
fieri potest ut spiritus Domini alicui in mentem poneret se huit labori
et exilio devovere.
774
Hanc rem commendo humiliter tuo zelo, Reverendissime Domine, et tuis
precibus me humilem servum.
110 Vittoria Road Alaershal England.
Die XV octob. 1887.
Tuae Reverentiae
JAMES BELLORD
Chaplain of the Forces.
P.S. Jam tenue cupio tibi numusculum quoddam pro missionibus in Patagoniam
mittere. Cum his ergo mitto L. I angl. seu 25 1. 20 cent. Ital. paxvum
equidem donum quod mini indulgeas.
J. B.
75.
Lettera di Don Rua al Cardinale Prefetto di Propaganda.
Eminenza,
Rispondo al venerato foglio dell'Em. Vostra in data del 13 ora scorso
dicembre sotto la rubrica N. 5731 ed avente per oggetto la Missione
delle Isole Malvine.
Nella scorsa estate abbiamo ricevute lettere dalla Patagonia dalle quali
consta che quattro dei nostri missionarii si sono stabiliti in Punta
Arenas nello stretto di Magellano allo scopo di attendere alle missioni
della Terra del Fuoco e delle isole Malvine.
I nostri Salesiani mancando di un missionario che sapesse l'Inglese,
avevano pregato il Sacerdote Giacomo Foran a volersi fermare per qualche
tempo di più nelle Malvine, affinchè attendesse ai suoi
connazionali residenti in quell'isola e l'hanno ottenuto.
Ma poi dovendo egli partire ci raccomandò quella missione appunto
affidata al Salesiano Don Giuseppe Fagnano come Prefetto Apostolico,
e si rispose che non appena avesse ricevuti i Sacri Ordini un nostro
alunno Irlandese si sarebbe sollecitamente provvisto. Essendo stato
ordinato Sacerdote nell'ora scorso ottobre il suddetto nostro alunno,
Mons. Giovanni Cagliero Vie. Apostolico scriveva a Don Fagnano che pensasse
a quella Missione.
Speriamo quindi che sarà provveduto al bene spirituale di quelli
infelici il più presto possibile.
Oso raccomandare alle preghiere dell'Em. Vostra il nostro caro Don Bosco
infermo Egli quantunque non possa quasi parlare, pure non cessa d'inculcarci
la più perfetta ubbidienza alla Santa Sede e le attenzioni più
assidue alle Missioni della Patagonia.
775
E noi considerandole insieme colle raccomandazioni dell'Em. Vostra,
come un sacro dovere, promettiamo consecrarvi tutte le nostre sollecitudini.
Della Em. Vostra
Torino, 3 Gennaio 1888.
Obbl. Servitore
DON MICHELE RUA.
76.
Missione alla tribù di Shayueque.
Reverendissimo Sig. Don Bosco
e Carissimo Padre in G. C.,
Termino di questi giorni la lunga missione data alla tribù di
Shayueque, composta di 1700 persone.
Siamo stati due mesi in un povero rancho, costrutto con pali intonacati
di fango e coperto di frasche secche con una cappa di terra sopra. Siamo
però stati bene pensando ai toldos assai più meschini
dei poveri Indii ed alla capanna più meschina ancora di Betlemme,
dove abitò la famiglia più grande del cielo e della terra.
Eravamo mantenuti colla stessa razione che il Governo passa agli Indii.
Io però viveva della mensa del comandante Lucian, che avevo conosciuto
a bordo del Pomona, nel mio primo viaggio a Patagones. Da buon soldato
si conformava come tutti gli altri alla vita del deserto, mangiando
carne e riso, e riso e carne; e sedendo parimente come tutti gli altri
sui tronchi di alberi o cassette, e monture di cavallo.
Noi però eravamo ricompensati ad usura dai nostri buoni catecumeni,
i quali venivano famelici della parola dì Dio e sitibondi di
religiosa istruzione. Ogni giorno davano 4, 5 e persino 6 istruzioni
in diversi punti o gruppi della tribù.
Si battezzarono prima tutti i fanciulli e sì cresimarono nel
giusto timore che saranno dispersi un giorno o l'altro. Quindi si battezzarono
tutti i giovanetti e le giovanette da io ai 20 anni. In ultimo i padri
e le madri di famiglia, i quali nella maggior parte celebrarono pure
o meglio ratificarono il loro matrimonio, già contratto legittimamente
et secundum legem naturae.
Tra questi era notato il figlio del Cacico Yancuche, il quale vedendo
tutta la sua gente già cristiana, e cristianamente unita in santo
matrimonio, vinse se stesso e, rinunciando alla sua seconda moglie,
ricevette per mie mani il battesimo e ratificò il già
contratto colla prima.
Lo stesso accadde del figlio primogenito del Cacico Shayneque e di altri
caporioni, i quali dopo molto dire si arresero alle nostre persuasioni.
776
Shayueque fece istruire e battezzare tutta la sua numerosa famiglia.
Egli però non si sentì il coraggio di lasciare le sue
tre mogli che aveva di troppo, Veniva spesso all'istruzione e prendeva
interesse per conoscere le verità della nostra santa Religione:
veniva a trovarci spesso e spesso faceva colazione con noi. Il giorno
nel quale gli diedi l'assalto perchè si risolvesse a ricevere
il S. Battesimo non pose resistenza; ma quando io misi per condizione
assoluta la monogamia, abbassò la fronte soffiando e sospirando
e prendendosi tempo per risolvere questo per lui duro problema.
Porse vi sarei riuscito, se un incidente non disturbava il nostro e
suo divisamento. Questo incidente, che per fortuna accadde al termine
della missione, fu un ordine del Governo di togliere ottanta famiglie
dalla tribù e farle marciare un cammino di due mesi verso Mendozza
ad impiantare una colonia.
Siccome l'ordine del Governo si eseguì col fucile in canna, pose
un allarme e spavento in tutti questi poveri ed infelici Indii, i quali
ancora non avevano potuto dimenticare le vessazioni dei soldati, quando
si arresero tre anni fa.
Io tentai di sospendere od almeno differire l'esecuzione di questo decreto,
ma il comandante disse di non poter assolutamente accedere alla mia
domanda. Riuscii però a rendere più miti le maniere colle
quali si voleva eseguirlo.
Lavorammo tre giorni per pacificarli e persuaderli che il Governo con
quel decreto non li voleva incatenare, ma piuttosto li voleva liberare
dal giogo militare e farli partecipi del diritto comune nella nuova
colonia: e che sapendoli tutti cristiani, era suo obbligo ed intenzione
di proteggerli come qualunque altro cittadino. Si acquetarono e potemmo
ultimare la nostra missione istruendo alla bella meglio e battezzandone
ancora un duecento.
Shayueque però afflitto, perchè gli venivano tolti tanti
sudditi, non volle risolversi a ricevere il santo Battesimo, dicendo
che lo farà in altra occasione, nella quale fosse più
calmo.
Altri capitaneyos vennero, perchè loro lavassimo la cabeza, ma
non essendo disposti a lasciare per ora la poligamia dovemmo lasciarli
noi pure nella selvaggia infedeltà, non senza raccomandarli all'infinita
bontà e misericordia del Signore. Speriamo che il seme della
parola divina, che nascondemmo nei loro rozzi cuori, nascerà
un giorno e li renderà ancor essi figli di Dio, della Chiesa,
ed eredi del Paradiso.
Le famiglie che dovettero partire si attendarono alla sponda sinistra
del Rio Negro per alcuni giorni: e siccome molti erano ancora infedeli,
per tre giorni passammo il fiume ad istruirli, sotto l'ombra balsamica
dei salici piangenti, che, coi loro rami bagnati dalle limpide acque,
ci difendevano dai cocenti raggi del sole. Quivi battezzammo in due
volte circa 70 adulti ed alcuni fanciulli. Ricevettero la S. Cre -
777
sima e 20 padri di famiglia si santificarono col matrimonio cristiano.
Nell'atto della funzione ricordai le sponde del Giordano ed il Santo
precursore del Salvatore del mondo. Ille in aqua tantum, nos autem in
aqua et Spiritu sancto, il quale ha supplito abbondantemente la nostra
insufficenza.
Circa 900 adunque furono i battezzati e cresimati, i quali uniti a 400
fanciulli dell'anno passato, sommano a 1300. Tanti sono i neofiti della
tribù di Shayueque, che vestirono l'anima loro della veste nuziale
del S. Battesimo. Insieme colle verità della fede loro abbiamo
insegnato a recitare le orazioni ed il S. Rosario col Deus in adiutorium
e Gloria Patri in latino; i misteri in indio e Pater, Ave in Castigliano.
Ed era per noi una vera consolazione e santa soddisfazione l'udire un
gruppo numeroso di fanciulli e fanciulle principiare e terminare da
sè la recita della santa Corona. Ah! che la Vergine Santissima
protegga e difenda questa nuova porzione del gregge di Gesù Cristo!
Don Milanesio parla l'indio come un indiano. Io nei discorsi d'importanza
loro parlava per mezzo dell'interprete, e nei catechismi col libro tradotto
nella loro lingua e mi intendevano benissimo.,
Come ricordo della missione piantammo due croci in mezzo ai loro toldi,
benedicendo un luogo particolare perchè servisse come di cimitero
cristiano. L'ultimo addio terminò colla recita di un Pater, Ave
e Gloria per il S. Padre; e per Don Bosco un viva ad multos annos.
Il giorno 9 di gennaio verso sera gettammo a nuoto i nostri cavalli
e poi passammo all'altra sponda del fiume, sopra una barchetta guidata
da due soldati. Come erasi fatto notte alzammo la tenda, che ci ha regalata
la signora Nicolini, e dopo aver cenato al chiaror di bianca luna, andammo
a dormire; io nella tenda, Don Milanesio in una conca lasciata secca
dal fiume, Don Panaro e Zanchetta dietro un cespuglio; e gli arrieri
vegliando e guardando i cavalli che pascolavano.
Al mattino, svegliatici un poco tardi, partimmo per evitare la sferza
del sole, io e Don Milanesio soli, e dopo un galoppo di 6 leghe arrivammo
presso l'estancia di un ricco signore alto locato nel Ministero di Buenos
Aires. Quivi ci trovammo in una vera oasi in mezzo al deserto. Bella
casa, buon letto, buona cucina, ed un cuore più buono ancora.
Ci fermammo una settimana per riposare e ristorarci un poco, come anche
per istruire e battezzare 22 Indii, che lavoravano quivi in qualità
di manuali.
Il giorno 6 giungemmo dopo altre 6 leghe di cammino, che io potei fare
in vettura di campagna a 6 cavalli, al nuovo Pueblo di Roca. Appena
giunsi venne il comandante Quiros a farmi visita e ad offrirsi per tutto
quello che fosse necessario per la nostra Missione.
Il generale Winter mandò telegrammi alle autorità militari
e civili perchè ci usassero le attenzioni dovute, e grazie a
queste raccomandazioni, fummo trattati benissimo: alloggiati in un edificio
nuovo che serve di collegio e serviti da due soldati, con la razione,
io da
778
generale, Don Milanesio e Don Panaro da ufficiale, Zanchetta da caporale
e i due peoni da semplici soldati.
Roca è una colonia e paese incipiente in bella pianura, bagnato
dal Rio Negro, a 120 leghe da Patagones, sede della guarnigione di questo
immenso territorio e soggiorno di mille abitanti, che fino ad ora vivono
a spese del Governo. Essendo però un luogo dove Eolo tiene le
caverne dei suoi furiosissimi venti, e dove la polvere oscura il cielo
quando soffiano, e lo fanno troppo spesso, temo della sua durata in
avvenire.
Al suono di cornetta i ragazzi e le ragazze vengono al Catechismo mattino
e sera; gli adulti sull'imbrunire per la recita del santo Rosario e
per udire il sermone.
Dopo questa missione continueremo il cammino verso le Cordigliere per
altre 130 leghe, visitando la colonia di Malbarco. Se il passo de Los
Andes sarà aperto per cagione delle nevi, che sogliono alle volte
anticipare il loro arrivo, valicheremo quelle immense montagne e ci
porteremo al Chilì, dove è inteso che fonderemo la nostra
prima casa salesiana e di dove le scriverò a Dio piacendo.
Le notizie di Patagones, S. Cruz, Terra del Fuoco, Buenos Aires, S.
Nicolas e Montevideo penso che le avrà dai rispettivi direttori,
i quali fanno tutti bene la parte loro e zelano la gloria di Dio e l'onore
della Congregazione.
Tutti però confidiamo illimitatamente nella benedizione ed orazioni
della Paternità vostra, che ricordiamo ore et corde ogni giorno
ogni ora, ogni momento.
Benedica gli erranti pel deserto della Patagonia.
Roca, Rio Negro, 17 gennaio 1887.
In G. C. aff.mo figlio
+ GIOVANNI, Vescovo di Magido.
77.
Al Vicario Generale di Concepción nel Cile.
Venerado Senor
No puedo exprimirle todos los sentimientos que se exeitaron en mi mente
y en mi corazón al leer su tan apreciada carta del io Mayo aflo
corriente. M voluntad sería de mandaxles cincuenta misioneros
para las primeras necesitades de tan vasto Obispado; mas Dios no me
lo permite, porqué nosotros también sentimos la falta
de vocaciones religiosas; yo soy viejo y enfermo, todavia mi voluntad
me haria volar aqui para ayudarle,
Empero no quiero dejarle sin una buena esperancia, y le diré,
779
que en septiembre, si Dios lo permite, se hará un capitulo general
en el cual se examinaran los medios para l'ocurrente personal._
Pero en el proximo otoùo le daremos una respuesta mas cierta
y positiva.
Pide las oraciones de V. Rev. III.
Su affectisimo y humilde servidor
(Firmato) JUAN BOSCO.
Turin, 13 Iulio, 1886.
78.
Tre lettere di Don Bosco
al Sig. D. Riccardo Arteaga di Caracas.
A.
Muy Sr. mio y hermano in Corde Christi:
He recibido su muy apreciable del 8 de Marzo, que por cierto me proporcionó
momentos de sumo consuelo y regocijo, pues veo que, aunque tan lejos,
no dejan de haber almas óptimas que también se interesan
por nuestra humilde y naciente Congregación Salesiana, establecida
por Dios Ntro. Señor para hacer un gran bien en la Sociedad,
con la educación especialmente de la juventud pobre y abandonada.
La idea que V. me propone de establecer en esa católica ciudad
una Sociedad de Cooperadores Salesianos, no puedo menos de considerarla
excelentísima por todos conceptos y le secundaremos en todo
lo que necesario fuere. Al efecto le remitiremos dentro breves dias
el Diploma de Director de esos Cooperadores, y otro diploma de Decurión
que V., en conformidad con el parecer de ese Revdmo. e Ilmo. Sr. Arzobispo,
tendrán a bien nombrar. Le mandaremos tambien los Reglamentos
que nos pide, y que hoy se preparan para imprimirlos. Lo mismo la estampa
de San Francisco de Sales, nuestro Patrono, y de Maria Auxiliadora.
Más tarde podré satisfacer a la pregunta que V. me hace
del coste de la estatua de San Francisco de Sales, que V. desea comprar.
Desde luego puede ya hacer V. uso del cargo de Director de los mencionados
Cooperadores, de los cuales desearíamos los nombres con sus correspondientes
direcciones, para inscribirlos en nuestros Registros y mandarles todos
los meses el Boletín Salesiano y el Diploma. Supongo habrá
recibido V. ya, unos 24 números de este mes, como tambien el
Diploma para V. Tenga pues, la bondad de distribuirlos a todos esos
buenos y respetables Sres. Cooperadores. Agradezco infinitamente el
afecto que hacia nosotros demuestra ese Revdmo. e Ilmo. Sr. Arzobispo
a quien deseo se digne V. hacer presente mi mucha gratitud y respeto.
780
Tanto por dicho venerando Sr¡ Arzobispo como por V. y por todos
esos fervorosos católicos Cooperadores Salesianos no dejaré
de pedir al Señor en mis oraciones, recomendando además
a todos estos niños hagan tambien lo mismo en las suyas.
Mientras tanto tengo el gusto de ofrecerme de V. suyo afmo. amigo y
s.s.q.s.m.b.
Turin, 11 de abril de 1887.
(Firmato) JUAN Bosco, Pbro.
B.
Carísimo en Christo:
En mi poder su muy atenta y grata. Por lo que veo, no recibió
V. todavía la estampita de San Francisco de Sales y algunas de
Maria Auxiliadora, que dos meses hace le envié. Hoy le remito
esas obras, como tanbién las goo medallas que V. en su última
me pide.
En cuanto al diploma de Decurión, espero poder mandárselo
para mediados del presente mes, juntamente con los diplomas de Cooperadores
de los Sres. que V. me mandó inscritos en su nómina. Todos
los meses le mandaremos Boletines ya que V., según nos dice,
se dignará distribuirlos a sus respectivas direcciones. Desearíamos,
sin embargo, saber las residencias de dichas personas Cooperadoras.
Tambien le enviaremos las instrucciones para la erección de la
Sociedad de María Sma. Auxiliadora.
Dios Ntro. Señor bendiga su mucho celo por la gloria de Dios
y la salvación de las almas, colmándole de gracias en
esta vida y en la otra coronándole con una gloria imperecedera.
Mucho siento que V. no pueda, como me dice, efectuar su viaje a Europa,
pues me priva del grandísimo gusto que tendría en conocerle
personalmente. Pero hágase en todo la voluntad del Señor.
En cuanto al importe de los Boletines y etc. dejo a Vds. hacer lo que
su corazón les dicte.
Dígnese hacer presente "a ese Ilmo. y Rvdmo. Arzobispo mis
respetuosos saludos y muestras de agradecimiento por el afecto que tan
caritativamente nos tiene, mientras me digo de V. su afmo. amigo y obligado
servidor
Turin, 9 de julio de 1887.
(Firmato) JUAN BOSCO, Pbro.
C.
Muy apreciable Sr. y amigo in Corde Christi:
Tengo en mi poder su muy grata del 8, juntamente con la segunda lista
de los Cooperadores nuevos.
Espero que a esta fecha habrá recibido V. ya mi última
carta en que le hablaba de los Diplomas, medallas y etc. etc., todo
lo cual
781
estará ya en su poder, pues se lo remitimos el mismo día
que salió la carta. $n cuanto a su Diploma de Director, se lo
enviaremos dentro de pocos días. El mes que viene le mandaremos
también algunos Boletines de junio, julio y Septiembre. Los Diplomas
de todos esos, Sres. Cooperadores será mejor los retengamos en
ésta hasta que venga por aquí alguna persona Cooperadora
que pertenezca a la Comisión que presentará la ofrenda
al Santo Padre el fausto día de su jubileo pues de lo contrario
se originarían gastos enormes: Esperamos que V. para dicha fecha
habrá vencido todas las dificultades que en un tiempo creía
le impedirían efectuar su viaje en este invierno a Roma. Para
mi, puedo decirle, que sería una satisfacción grandísima
poderle conocer personalménte.
Desearíamos tener las direcciones de los Sres. Cooperadores cuyos
nombres se dignó V. mandarnos en dos listas.
En fin, yo concluyo dándole las gracias por el gran interés
y empeño con que trabaja en beneficio de nuestra misma Congregáción
y le prometo que tanto por V. cuanto por todos esos celosos Cooperadores,
rogaré al Señor todos los días.
Con respetuosos saludos para ese Rvdmo. 'Sr., Arzobispo, tengo el gusto
de reiterarme de V. suyo afmo. amigo y s.s. in Corde Christi,
Turín, 8 de agosto de 1887.
(Firmato) JUAN BOSCO, Pbro.
79
Due lettere al signor Giuseppe Jimenez cooperatore di Lima.
A.
Muy Sr. mio y de mi mayor consideración,
Recibí su muy grata con adjunta la limosna de loo pesetas, que
V. S. movido por su bueno y caritativo corazón tuvo la bondad
de remitirme, para auxiliar a nuestra santa obra de las Misiones de
América. Dios Ntro. Señor sumamente generoso' en recompensar
lo que a él mismo se hace en la persona de sus pobres, no dejará
ciertamente de hacerlo tambien con' Ud. y toda su familia, colmándoles
de gracias, y electas benediciones. Acerca del « Boletín
Salesiano » hoy remitimos a Ud. él del mes de Octubre del
año 1886, que fue el primero que se imprimió en esta Tipografía,
y también él del mes actual. Como no hay inconveniente
alguno, por parte nuestra, en mandarselo a Lima, nosotros lo seguiremos
mandando allá gustosísimo, desde el momento que V. S.
tenga a bien ordenarnoslo.
782
En cuanto a los libros que V. S. me dice piensa comprar en Barcelona,
creo sería más conveniente se hiciese Ud. de ellos por
medio de la librería de esta casa por mayor seguridad de encontrarlos
todos pues en la de nuestra casa de Barcelona como se alla todavía
en principios, creo que no se hallará todo lo que hasta a qui
se ha publicado en el mencionado boletín.
Del paretesco del S. D. Benito Gil con el traductor de Buenos Aires
no se nada, ni tampoco me parece que nuestras obras se hallen de venta
en su librería.
Sin embargo nosotros escribiremos al Sr. D. Costamagna, pues es el Superior
de la casa que tenemos en Almagro y también el encargado y Director
de todo lo que allá se publica, á fin de ponernos en comunicación
con dicho Señor. Desde luego y si Ud. lo cree conveniente lo
haremos Cooperador y enviaremos el Boletin todos los meses.
Dentro de poco manderemos a V. S. el Diploma como también al
referido Sr. Gil.
Entre tanto aprovecho la ocasión para ofrecerme de Vd. atento
y S.S.L.B.S.M.
Turín, 2 Febrero de 87.
(Firmato) JUAN Bosco Presb. B.
B.
Muy Sr. mío y de toda mi consideracion,
En mi poder su muy grata y atenta del 16 Marzo a la cual no respondí
más ante, esperando el momento de poder anunciarle el envio del
Diploma, que remito a U. con fecha de hoy.
Mucho siento el estado de salud en que me dice se halla U. y por su
mejoramiento como también por los otros fines que en sus cartas
anteriores me manifestó, he pedido mucho al Señor en mis
oraciones, lo cual seguiré todavía haciendo.
Hoy se rimitirá también al Señor Gil y al Sr. Calderon
sus respectivos diploma, así como al último el paquetito
de libros que U. nos encarga, teniendo ya preparado el otro hasta nuevo
aviso. Igualmente enriamos a U. las estampas y medallas que desea.
Jo no puedo menos de manifestarle lo muy agradecido que le estoy al
grande celo y particular afecto que hacia nuestra Congregación
esperimenta y estoy seguro que cooperando U. de esta manera tan practica,
a la salvación de tantas y tantas almas el Señor derramará
sobre U. y toda su familia un cúmulo de electas benediciones
aquí en la tierra y un galardón imperecedero en la gloria.
Si, salvar almas, ya por medio de buenas y religiosas lecturas, ya por
limosnas, ora por consejos, ora en fin, con oraciones es una 'obra de
grandissima importancia, con la cual, como dice S. Agustin, salveremos
783
indudablemente la nuestra. Dios Ntro. Señor pues bendiga a U.
y a toda su familia, dandoles al proprio tiempo larga vida para que
durante ella puedan beneficar a las almas de tanta juventud pobre y
abandonada, que tanto lo necesita. Prosigamos pues y esforzémonos
a hacer el mayor bien que podamos a la mayor honra y gloria de Dios.
Deseandole completa mejoría en su estado de salud, como tambien
realización de su venida a esta, quedo de U.
Turin 1 April de 1887.
Almo y atento y S.S.L.B.S.M.
(Firmato) JUAN Bosco.
80.
Convenzione per Quito.
Convenzione tra il Governo della Repubblica dell’Equatore ed
il Sac. Giovanni Bosco per la fondazione d'un Istituto per la gioventù
maschile.
Allo scopo di concorrere alla religiosa, scientifica ed artistica educazione
della gioventù della Repubblica dell'Equatore, tra l'Eccellentissimo
Governo della Repubblica ed il M. Rev. Sac. Giovanni Bosco fondatore
e Rettore della Pia Società di S. Francesco di Sales si conviene
quanto segue:
I° Il Governo della Repubblica dell'Equatore cede al Sac. Giovanni
Bosco e suoi successori l'uso del locale ed adiacenze che tiene preparato
ad uso collegio di arti e mestieri con tutto il mobilio, macchine ed
utensili di lavoro che vi si trovano.
2° Provvederà alle spese di viaggio di tutto il personale
che dovrà recarsi in quell'Istituto nel corso dei dieci primi
anni e dei viaggi che si dovranno intraprendere nell'interesse del medesimo.
3° Darà inoltre al Sac. Giovanni Bosco 4000 sucres per l'avvìamento
dello stabilimento ripartiti in quattro versamenti da compiersi nel
primo anno.
4° Il Governo dispenserà i Salesiani e le loro case dalle
Dogane e dalle Imposte concedendo loro la franchigia postale e gli altri
privilegi che fossero accordati agli altri ordini religiosi.
5° Si farà un esatto inventario di tutti i mobili, utensili,
arredi ed altri oggetti esistenti presentemente nell'Istituto; i quali
dovrà il Sac. Giovanni Bosco restituire al Governo quando, quod
Deus avertat, dovesse abbandonare l'Istituto; ma nello stato e condizione
in cui allora si troveranno.
6° La Direzione ed Amministrazione interna dell'Istituto, la disciplina,
l'orario delle varie occupazioni saranno interamente affidati al Sac.
Giovanni Bosco ed al Direttore da lui nominato.
784
7° Oltre i giovani che saranno accettati dalla Direzione sarà
in facoltà del Governo di mandare all'Istituto degli alunni,
purchè forniti delle condizioni richieste per l'accettazione,
mediante una pensione mensile di sei sucres caduno.
8° Affinchè un giovane sia accettato nell'Istituto dovrà
essere sano, robusto e ben disposto nella persona; nell'età non
inferiore a 12 anni e non superiore ai 20; dovrà presentare gli
attestati di nascita e battesimo, di vaccinazione e della condotta morale
tenuta anteriormente rilasciato dal parroco.
9° Quando alcuno degli alunni raccomandati dal Governo fosse colpito
da malattia contagiosa o cronica, tenesse una condotta immorale, o per
qualunque altra cagione riuscisse di danno ai compagni, il direttore
è in piena facoltà di allontanarlo, solo ne avvertirà
il Governo, affinchè, occorrendo, possa provvedere al suo collocamento.
10° Sarà in piena facoltà del Direttore dell'Istituto
l'applicare ad un'arte o mestiere oppure allo studio qualunque degli
alunni raccomandati dal Governo.
11° Qualora il Governo intendesse rivocare a sè l'uso del
Collegio, dovrà darne diffidamento tre anni prima, lasciare al
Sac. Giovanni Bosco la proprietà di tutti i mobili suoi, e risarcirlo
delle spese che dovesse fare pel viaggio del personale.
12° Alli 10 Settembre del corrente anno si farà la prima
spedizione di Salesiani da St - Nazaire.
Torino, Febbraio 14 del 1887.
JOSÈ IGNACIO
Arzobispo de Quito
Sac. Gio. Bosco.
81.
Il Presidente della Repubblica equatoriana
a Don Bosco.
PRESIDENCIA DE LA REPUBLICA
ECUADOR.
Muy Seiior de mis consideraciones,
Cábeme la honra de saludar á V. respectuosamente, al
contestar su estimable comunicación de 7 de marzo anterior.
Nuestro M. y Rev. S.r Arzobispo M.r josé Ignacio Ordonen me había
comunicado yá las condiciones con que los RR. PP. Salesianos
se han comprometido á venir á este país para prestarnos
sus importantisimos servicios.
785
Mucho ancio por el pronto arribo de la espedición de Misioneros
conaprometida a nuestra República y de cuya benefica acción
tanto bien esperamos conseguir.
Me es grato ofrecer a V. R. mìs respetos suscribiendonie en atento
y obsecuente S. S.
Quito, Mayo II del 1887
J. M. P. CAAMAÑO.
82.
Le due ultime circolari di Don Bosco.
Benem. Sig.
Mi è noto come la S. V. stimi ed apprezzi le opere di carità
e di religione, e quanto l'animo suo sia naturalmente portato a promuoverle
ed a sostenerle. Questo m'infonde viva fiducia che Ella prenderà
in benigna considerazione queste poche linee e ciò che sono per
esporre.
La S. V. non ignora che una delle opere più degne di encomio
e di appoggio quella si è delle sacre Missioni tra le estranie
genti. La raccomandò il divin Maestro agli Apostoli e ai loro
Successori dicendo: Andate per tutto il mondo ed ammaestrate tutte le
genti: Euntes in mundum universum... docete omnes gentes; la raccomanda
la Chiesa cattolica e la promuove con ogni possibile mezzo; la raccomanda
la ragione dalla fede illuminata; la raccomanda la natura stessa del
cuor umano. La divina ingiunzione di ammaestrare ed incivilire tutti
i popoli del mondo fu perciò in ogni tempo fedelmente adempiuta;
e sotto la sapiente direzione del Romano Pontefice essa si compie eziandio
ai giorni nostri da centinaia e da migliaia di Sacerdoti con una generosità
ed intrepidezza, che ricorda i primi anni del Cristianesimo.
Ma nonostante le numerose schiere apostoliche sparse sulla faccia della
terra, per arrecarvi la fiaccola della Fede e i benefizi del verace
progresso, pure moltissimi popoli restano privi tuttora di questo segnalatissimo
bene. Ignari delle verità religiose essi sono ad un tempo privi
dei materiali e civili benefizi da queste portati nel mondo; e perciò
senza istruzione, altri espongono tuttora i bambini e le bambine al
pascolo degli animali; altri offrono alle false divinità sacrifici
umani; altri vendono i loro simili come tra noi si vendono le bestie,
ed altri li scannano pur anche e si nutrono delle loro carni; tutti
da più a meno vivono e muoiono come i bruti. Quale spettacolo
straziante per chi ha fede, per chi ha cuore, per chi ha sensi di umanità!
Di qui si scorge che le Missioni cattoliche, destinate ad evangelizzare
ed incivilire tante infelici creature è opera meritevole delle
786
più alte lodi; ed oggidì specialmente non vi ha persona
bennata, che non ammiri, e potendo non conforti di sua protezione quei
Religiosi e quelle Religiose che abbandonano la patria, i parenti e
gli amici, e sacrificano comodità e riposo per farsi Apostoli
del Signore, benefattori e salvatori delle tribù, tuttora abbandonate
nella ignoranza e nella barbarie.
Questo glorioso cómpito, come la S. V. ben sa, da dodici anni
a questa parte è pure affidato alla Pia Società Salesiana.
Dall'anno 1875 i Salesiani, confortati dalla benedizione del Sommo Pontefice,
si sono stabiliti in più luoghi dell'America del Sud, allo scopo
non solo di conservare nella Fede le popolazioni già cristiane,
ma colla mira principale di portarsi nelle regioni finora inesplorate,
per istruirne gli abitanti, aggregarli alla Chiesa e in pari tempo guadagnarli
alla civile Società. A questa impresa essi attendono oggidì
nell'Impero del Brasile, nell'Uruguay, nella Repubblica Argentina, nella
Repubblica del Chilì, e tra poco vi attenderanno eziandio in
quella dell'Equatore.
Tutti i riferiti Stati comprendono nei loro confini numerose tribù
selvagge ancora schiave dell'errore, soggette all'impero di Satana.
Milioni ne conta il Brasile, migliaia ne annoverano tutte le mentovate
Repubbliche. Tra le altre l'Argentina e la Chilena abbracciano la Patagonia,
la Terra del Fuoco, ed innumerevoli isole, che formano verso il polo
antartico gli ultimi confini della tetra. Colà appunto tra vasti
deserti, tra gole di altissimi monti, sulle sponde di profondi e vorticosi
fiumi, come mandre si aggirano numerose famiglie di poveri indigeni,
privi di ogni bene spirituale, materiale e civile.
Or bene tra mezzo a quelle lontane ed infelicissime genti si trovano
e faticano con successo i Missionari Salesiani. Lo stabilirsi colà
costò loro non solo sudori e stenti, ma naufragi, cadute, smarrimenti,
fame, sete, ed altri evidenti pericoli di vita. Ciò non di meno
essi sono lieti di essere riusciti in parte nel loro intento. Colà
già fondarono parecchie stazioni, quali sono ad esempio quelle
di Norquin, di Santa Cruz, di Punta Arenas, ed altre stanno meditando
di stabilirne nelle parti più centrali, nella Terra del Fuoco
e nelle isole Maluine. Quello che molto consola si è che le popolazioni
ed i loro capi o Cacichi si mostrano dispostissimi ad abbracciare la
religione cristiana, e fanno aprire il cuore alla speranza che non sia
lontano il giorno, nel quale quelle terre fioriranno a guisa di ricchi
giardini della cattolica Chiesa.
Ma un grave riflesso occorre di fare qui, ed è questo: In quelle
parti i Missionarii abbisognano di molte cose indispensabili per l'esercizio
del sacro ministero, e di altre necessarie ai selvaggi medesimi, sia
per convertirli, sia per coltivarli nella Fede, sia per ridurli alla
vita civile. A tal uopo sono richieste delle Cappelle, ove raccoglierli
ed istruirli non solo colla parola, ma coi sacri riti e colle cerimonie
cattoliche; sono richiesti dei sacri arredi per la celebrazione dei
divini
787
Misteri e per l'amministrazione dei santi Sacramenti. Per la vita morale
e civile occorrono degli abiti per vestire decentemente, e dei fabbricati
per ospitare le fanciulle e i fanciulli abbandonati nel deserto, e per
istruirli per tempo, onde farne dei cristiani e prepararli ad essere
gli aiutanti dei Missionarii nell'incivilimento dei loro connazionali;
occorrono infine strumenti per l'agricoltura, per l'apprendimento e
l'esercizio delle arti e dei mestieri, e via dicendo.
Or tutti questi ed altri consimili oggetti, per provvedere agli accennati
bisogni, non trovandosi ancora in quelle terre inospitali, e dovendosi
procacciare e far giungere dai paesi inciviliti e lontani ben può
immaginarsi quanto costi il dar principio e mantenere una, Missione.
Don Bosco ed i Salesiani lo sanno per prova e ne parlano colla più
profonda convinzione.
Esposte in breve queste cose, io debbo segnalare ora un punto di grande
importanza. La S. V. lo ascolti, e nella sua bontà si degni di
prenderne vivo interesse: Senza il concorso e la carità dei fedeli,
D. Bosco ed i Salesiani non possono sostenere le loro Missioni, e dovranno
abbandonarle, come già fecero Missionarii di altre Congregazioni.
L'assicuro che il solo pensiero di un tal fatto mi affligge profondamente.
Io spero che il Signore nella sua misericordia non vorrà addolorare
gli ultimi giorni di mia vita con un tale disastro; confido anzi che
mia vita durante e dopo la mia discesa nel sepolcro i Missionarii Salesiani
potranno rimanere al loro posto, rallegrare la Chiesa di nuovi figli,
e giovare altresì ai civili Governi con savii cittadini.
Ma questa confidenza dopo Dio io l'appoggio sulla bontà de' miei
Cooperatori e delle mie Cooperatrici, fra cui godo di annoverare la
S. V. cotanto benemerita. Se tutte le persone, che hanno qualche relazione
con me, si degneranno di porgermi l'obolo della loro carità,
io potrò tra non molto inviare ai Missionarii Salesiani tanto
che basti da sostenere le loro opere, da confortare il loro zelo, da
spingerli a portare le loro tende e a spiegare il vessillo della Croce
sino agli ultimi confini del mondo.
Con questa confidenza io mi accingo altresì a mandare in questi
giorni una schiera di Salesiani a Quito nella Repubblica dell'Equatore,
ove nel versante orientale delle Cordigliere siedono ancora nell'ombra
di morte migliaia e migliaia di anime, che attendono l'opera del Missionario
cattolico. Questa confidenza sarà pur quella, che mi farà
intraprendere altre Missioni, offerte ai Salesiani dal Papa, dai Vescovi,
e da molti Governi.
Permetta adunque la S. V. che cadente ormai sotto il peso degli anni
e degli acciacchi della vecchiaia, io le domandi per ora una qualche
limosina per i cento e più miei Missionarii, che sebbene lungi
dai miei occhi sono tuttavia sempre vicini al mio cuore; le dimandi
la limosina per tanti poveri selvaggi, adulti e piccoli, da loro già
convertiti, che senza conoscermi mi chiamano padre; le dimandi la limosina
788
per migliaia di altri, che invocano e stanno aspettando i Salesiani
quali angeli liberatori. Questa carità io la chiedo in nome di
Gesù Cristo, che per le anime ha dato il sangue e la vita; in
nome di Gesù Cristo, che ha promesso di partecipare il merito
e la mercede dei predicatori del Vangelo a tutti coloro, che per amor
suo li avranno soccorsi ed aiutati: Qui recipit prophetam in nomine
prophetae, mercedem prophetae accipiet.
L'umile sottoscritto e i trecento mila fanciulli, che stanno oggimai
sotto la direzione dei Salesiani nelle varie parti del mondo, faranno
ogni giorno vive istanze presso al trono di Dio e della Vergine Ausiliatrice,
che spandano sopra di Lei e sopra tutte le opere sue le più elette
benedizioni anche temporali; le concedano la sanità corporale,
la pace e la concordia nella famiglia, e la prosperità pur nei
materiali interessi. La esperienza ci è maestra che i benefattori
dei nostri missionarii godono in vita ed in morte una specialissima
protezione del Cielo.
Ecco spiegato il mio animo come amico a persona amica, pieno di speranza
che non avrò parlato invano alla mente ed al cuore della V. Benemerita.
Infine mentre sto aspettando la sua carità raccomando alle fervide
sue preghiere l'anima mia, e mi professo con alta stima e con profonda
riconoscenza
Di V. S. Benemerita
Torino, 4 Novembre 1887.
Obbl.mo Servitore
Sac. GIOVANNI Bosco
MEZZI DI CONCORSO.
Essendo molti i bisogni, i miei Benefattori possono venirmi in aiuto
con isvariati mezzi, vale a dire con inviare oggetti di biancheria,
tela, stoffa, panno, abiti ancorchè usati purchè sufficientemente
in buono stato, arredi di Chiesa, come altari portatili, pianete, stole,
camici, tovaglie, messali, calici, sacre pissidi e simili.
I Sacerdoti possono concorrere colla celebrazione di un certo numero
di Messe, secondo la mia intenzione, inviandone il certificato.
Chi non potesse altrimenti, od amasse meglio fare la sua carità
con un'offerta in danaro, questa sarà ricevuta in qualsiasi quantità,
fosse pur anche di pochi soldi; ma in questo caso, se per l'invio si
usa la Posta, si badi di raccomandare la lettera o si adoperi altro
mezzo sicuro.
Varii Cooperatori nel tempo passato hanno pur presa la lodevole deliberazione
di giovare alle Missioni coll'adottare un Missionario, la cui spesa
pel mantenimento e vestiario, non computando il viaggio, varia dalle
ottocento alle mille lire all'anno; ed alcune Cooperatrici
789
fecero altrettanto per le Suore della Patagonia, per ciascuna delle
quali la spesa si calcola da 5oo a 6oo lire annue. Accenniamo anche
questo mezzo per chi, trovandosi in grado amasse farsi in Europa padre
o madre di tanti nostri fratelli e di tante nostre sorelle, che per
amor di Dio si fanno oggidì in America padri e madri dei poveri
selvaggi.
Per l'invio della carità l’indirizzo è il seguente:
Al Sacerdote Giovanni Bosco, Via Cottolengo, 32, Torino.
NB. Nell'inviare le elemosine si prega umilmente di scrivere chiaro
e preciso l'indirizzo dell'offerente per potergli dare un riscontro.
B.
Benemerito Signore,
Informato delle buone e sante intenzioni che animano il cuore della
S. V. per fare il bene, lui faccio coraggio a ricorrere a Lei per ottenere
un atto di carità.
Da varii anni si sono assunte coi nostri sacerdoti le Missioni per civilizzare
i poveri Indiani dell'America del Sud e specialmente della Patagonia
e della Terra del Fuoco.
Le spese sono gravissime, per cui mi trovo al presente in urgentissimo
bisogno dì mezzi per sostenerle.
Per non essere nella dolorosa necessità di dover abbandonare
questa santa Impresa, sono costretto a ricorrere alla carità
di tutti i buoni, inviando loro una circolare, che ne esponga chiaramente
i bisogni e che V. S. troverà qui inclusa.
Per dare la maggior diffusione possibile, mi prendo la libertà
di spedirne ancora in pacco un qualche numero alla S. V. con viva preghiera
che voglia inviarle per posta, o per altro mezzo sicuro, a quelle persone
benefiche, e doviziose di sua conoscenza, che possano venirmi in aiuto
con offerte pecuniarie, o in qualunque altra maniera. Che se la S. V.
non potesse da sè spedirle, la prego istantemente di volere incaricare
qualche persona di sua fiducia a compiere questo caritatevole ufficio,
premendomi assai che siano distribuite. Sarà mia premura di mandarle
l’importo di quanto la S. V. dovrà sborsare per le spese
di posta, appena vorrà rendermene avvisato. Se non fosse sufficiente
il numero che le invio, ad un suo cenno per cartolina postale, gliene
manderò ancora quante sarà per domandarmene.
Nutro grande speranza che la S. V. mi vorrà coadiuvare in questa
opera pietosa, per cui gliene anticipo i più vivi ringraziamenti,
dichiarandomi con profonda riconoscenza
Di V. S. Benemerita
Torino, addì 20 novembre 1887.
Obbl.mo servitore
Sac. Gio. Bosco.
790
83.
Lettera dell'Arcivescovo di Quito a Don Bosco.
Amadisimo Padre y amigo,
En estos días be tenido el indecible gusto de recibir una carta
de V. R. y de abrazar a los excelentes misioneros que nos ha enviado.
I, os he visto conio a stis híjos, y como a tales les vere siempre,
ya para cumplir con la recomienda de V. R., a quien amo tanto; ya por
los mismos misioneros que me han parecido dignos de toda estimación.
Yo espero que ellos, con sus trabajos apostólicos, serán
el reflejo de la caridad de V. R., y que de este modo me darán
positivos consuelos en medio de las penas anejas a mi cargo.
Me encomiendo a las oraciones de V. R., y le suplico ruege a Dios de
una manera especial por todos los obispados que forman mi Arquidiócesis.
De V. R. muy decidido amigo S.S.
Quito, el I° febrero 1888.
+ JOSÈ IGNACIO
Arzobispo de Quito.
84.
Convenzione fra Don Bosco e la marchesa Zambeccari.
SPIZIO DI S. GIOVANNI
PER POVERI FANCIULLI DELLA CITTÀ
PROVINCIA DI PARMA
La Signora Marchi Marianna Zambeccari - Politi nel vivo desiderio di
far cosa che possa tornare grata a Dio, utile all'anima sua, ed a suffragio
dell'anima del defunto suo Marito Marchi Giovanni ha deliberato di istituire
un'opera pia per l'educazione religiosa e civile di poveri fanciulli
col titolo di Ospizio di S. Giovanni.
SCOPO E ACCETTAZIONE DEI FANCIULLI.
Questo Ospizio deve avere per base lo stesso scopo che ha l'Oratorio
di S. Francesco di Sales in Torino. Affinchè poi un giovanetto
sia accettato deve:
I° Avere l'età non minore di anni dodici e non maggiore di
anni 18. L'esperienza ha fatto conoscere essere questa l'età
più pericolosa,
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ed in cui l'indole della gioventù può più facilmente
correggersi e indirizzarsi alla vita del buon cristiano e dell'onesto
cittadino.
2° Orfano di ambi i genitori, nè abbia chi ne possa fare
le veci.
Il Rettore dell'Ospizio giudicherà dei casi in cui debbasi fare
qualche eccezione.
3° Sia povero ed abbandonato. Avverandosi il caso che un giovanetto
non affatto povero si trovi in morale pericolo, dovrà pagare
almeno quella parte di pensione, che sarà compatibile al suo
stato.
Tutti quelli che possono nella loro entrata dovranno portare un piccolo
corredo che sarà notato a parte.
4° Il numero dei ricoverati è illimitato; ma non meno di
cinquanta devono essere della città o della Provincia di Parma.
EDUCAZIONE.
I° Ogni allievo sarà avviato a qualche arte o mestiere con
cui a suo tempo si possa guadagnare onestamente il pane della vita.
Nella scelta del mestiere si avrà riguardo alla robustezza, istruzione,
propensione ed anche alla condizione dell'allievo.
2° Ogni sera oppure in quell'ora che sarà più opportuna
della giornata gli allievi avranno scuola adattata alla istruzione,
che già possedono, ed al mestiere cui sono applicati. La musica
vocale, il canto gregoriano faranno parte di queste scuole.
3° È precisa intenzione della fondatrice che le sollecitudini
dei Superiori dell'Ospizio siano in particolar modo dirette all'istruzione
religiosa, giacchè lo scopo fondamentale di questa istituzione
si è di togliere fanciulli dai pericoli per farne prima dei buoni
cristiani, di poi onesti cittadini.
4° Qualora il Rettore giudicasse opportuno può anche destinare
qualche allievo a fare i corsi dì studio regolare, ma soltanto
quando apparisse la moralità ed attitudine allo studio da far
sperare buona riuscita per qualche carriera, specialmente per lo stato
ecclesiastico.
5° Sebbene il tempo fissato all'accettazione degli allievi non debba
estendersi oltre ai diciotto anni di età, possono tuttavia continuare
nell'Ospizio fino a tanto che siano in grado, uscendo, di potersi altrove
guadagnare onesto sostentamento o colla scienza o con qualche arte o
mestiere.
FONDAZIONE E DOTAZIONE.
I° La prelodata Sig. Marchesa Marianna Zambeccari a fine di assicurare
l'esistenza dell'Opera che intende fondare, cederà o per via
testamentaria o per atto notarile la somma di franchi ducento mila per
la compra o costruzione del necessario edifizio, per provvederlo dei
necessari suppellettili pei laboratori, per la cucina e pel rimanente
dell'istituto.
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2° Pel sostentamento dei fanciulli legherà o donerà
il capitale o frutto che corrisponda a franchi quattrocento per caduno
dei giovanetti ricoverati. Perciò se si calcola il loro numero
di cinquanta, il reddito annuo sarà calcolato a fr. 20.000.
3° I ricoverati saranno tenuti tutto l'anno e provveduti di quanto
loro occorre tanto nello stato di sanità quanto nei casi di malattia.
4° Nella dotazione sopra descritta sì comprende tutto ciò
che occorrerà per fare a suo tempo le volute riparazioni, per
pagare le imposte, provvedere il personale dirigente, insegnante, assistente,
e serviente, e i capi d'arte pei laboratorii.
5° Per quanto è possibile tanto le scuole quanto i laboratori
dovranno essere nell'interno dell'istituto.
AMMINISTRAZIONE.
I° L'amministrazione dell'Ospizio è affidata al Sacerdote
Gio. Bosco fu Francesco, che sarà pure il proprietario di tutto
l'asse di fondazione dell'Ospizio. Dopo di lui tanto l'amministrazione
quanto la proprietà passerà a' suoi successori nella Congregazione
di S. Francesco di Sales.
2° Questa Congregazione essendo stata definitivamente approvata
dalla Chiesa, ed i suoi membri legati con voti perpetui, la Sig. Fondatrice
vive sicura che la sua volontà sortirà il suo effetto
presso ai Superiori di detta congregazione pei tempi presenti e futuri.
Il Superiore penserà a fare in tempo utile gli atti civili che
valgano ad assicurare il trapasso della proprietà a' suoi credi
senza danno dell'istituto.
3° La fondatrice non intende di mettere alcun legame di coscienza,
ma desidera che la casa dell'Ospizio sia costituita nella città
o almeno nella Provincia di Parma. Qualora però le circostanze
dei luoghi, dei tempi o delle persone rendessero impossibile la continuazione
dell'Ospizio in questo luogo, si potrà liberamente trasferire
altrove fino a tanto che siano cessati i motivi del trasferimento. In
questi casi si dovrà udire il parere del Vescovo della Diocesi
pro tempore.
4° Se sarà possibile la Chiesa dell'Ospizio si terrà
aperta al pubblico, affinchè i giovanetti esterni ed anche gli
adulti possano prendere parte alle sacre funzioni, specialmente alle
prediche ed ai catechismi.
ONERI.
I° Il Sac. Bosco o i suoi eredi adempiranno tutti gli obblighi
che la prelodata signora Marchesa avrà imposti col suo testamento
o coll'atto di fondazione.
2° Ogni giorno gli allievi reciteranno in comune un Pater, Ave,
Gloria per la pia fondatrice, e dopo il suo decesso, preghiamo Dio
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che lungamente la conservi, sarà inoltre ogni anno celebrato
un funerale in cui alla Messa cantata prenderanno parte tutti gli allievi
facendo la S. Comunione con altre particolari preghiere pel riposo eterno
della compianta benefattrice.
3° La Sig. Fondatrice dichiara in modo formale che questo promemoria
non ha alcuna forza legale, e dal momento che taluno volesse servirsene
a senso delle leggi civili, intendesi che perda tutto il suo effetto,
e che il Superiore della Congregazione Salesiana diventi libero ed assoluto
padrone di quanto si riferisce all'Ospizio.
85.
Un industriale belga descrive l'Oratorio e narra di una sua visita
a Don Bosco.
I
...J'avoue qu'en franchissant le seuil je n'étais pas exempt
de certaines préventions. Je m'étais imaginé, je
ne sais trop pourquoi, - peut-être parce que j'avais entendu répéter
souvent que Dom Bosco était un très saint homme, - que
j'allais voir un couvent bien pieux et bien calme, une espèce
d'oasis chrétienne dont les hereux habitants soigneusement préservés
des vents brûlants du dehors, sortaient mal préparés
aux âpres luttes de la vie.
Reçu avec la plus affable courtoisie on me donna pour" cicerone
un jeune Père français, l'excellent abbé Roussin,
qui me fit les honneurs de l'établissenent d'une manière
aussi intéressante qu'aimable.
Dès mes premiers pas dans les ateliers je dus reconnaître
que je m'étais absolument trompé. Je me trouvais en effet
dans une école industrielle organisée d'une manière
extrêmement pratique et intelligente. Rien sans doute ne rappelait
ces exploitations modèles, qui sont souvent des modèles
d'exploitation des derniers publics. L'indispensable façade monumentale
faisait absolument défaut. Pas de tenue d'uniforme, pas de boutons,
pas même de casquettes galonnées, aucune reminiscence de
caserne. A y regarder de près je crois même que certaines
culottes étaient un peu bien spacieuses et' d'autres un tantinet
trop courtes pour pouvoir être considérées comme
la chose du premier occupant.
Mais la tenue générale était parfaitement décente.
Quant aux salles de travail, on n'avait sans doute pas pu puiser à
pleines mains l'argent des contribuables ou des actionnaires pour l'enfouir
dans les briques, et le mortier et faire grand, mais l'ensemble avait
ce caractère pratique des usines bien administrées, qui
se sont graduellement développées et où l'on a
fait ses affaires.
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Il y avait là des ateliers de cordonniers, de tailleurs, de
menuisiers, de forgerons, de boulangers et enfin de typographes au grand
complet y compris la fonte des caractères, la reliure, etc. L'institut
possède même à Mathi une grande papeterie pour alimenter
sa consommation de papier. Trois machines à gaz de 10 chevaux
chacune fournissent 1à force motrice aux presses et aux innombrables
machines-outils. 'Tout cela est parfaitement agencé. Ainsi des
réchauds à gaz sont disposés partout 0ù
l'on a besoin du feu, la boulangerie a um pétrin mécanique
et l'immense four à cuire le pain sert en même temps de
calorifère, la chaleur perdue chauffant l'église. J'ai
vivement regretté que le peu de temps dont je pouvais disposer
me me permit pas d'examiner avec plus de détails toutes ces installations.
Tout em visitant ces vastes et nombreux ateliers je me pus m'empêcher
de témoigner à mom obligeant cicerone, ma surprise de
me trouver dams une véritable usine, et mon pas seulement dams
un pieux asile. Il 'se mit à rire de bon couur et me répondit:
«L'ambition de notre institut m'est pas du tout de former des
dévôts, mais simplement de bons et solides chrétiens
et des ouvriers capables et satisfaits de leur sort. Nous cherchons
certainement avant tout le salut de l'âme de ces jeunes gens,
mais mous poursuivons em même temps un but social n. Je le priais,
ainsi qu'un de Ses compatriotes l'abbé Michel Volain qui s'était
joint à mous, de me donner quelques détails sur les moyens
employés pour atteindre les résultats merveilleux dont
j'étais témoin. J'appris de ces messieurs que le principe
fondamental de l'oeuvre de Dom Bosco était l'absence de toute
contrainte. Ainsi, bien que le règlement conseille aux jeunes
gems de s'approcher tous les mois des Sacrements, 0n les laisse libres
d'observer 0u mom cette recommandation. Ils peuvent quitter l'institut
s'ils me s'y plaisent pas et bien . rares sont les désertions.
La discipline, qui me semblait bien difficile à faire observer
dans un milieu 0ù les éléments d'insubordination
abondent, est maintenue admirablement sans aucun moyen de rigueur, uniquement
par l'influence religieuse et l'autorité morale.
Les apprentis sont au nombre d'environ 350. On les admet dès
l'âge de 11 e 12 ans et d'ordinaire ils ont terminé leur
apprentissage vers 17 ans. Ils quittent alors la maison pour s'engager
comme ouvriers et conservent em général les meilleures
relations avec leurs anciens maîtres. Um certain nombre y restent
jusqu'à l'époque de la conscription 0u de leur mariage
D'autres encore me veulent plus s'en éloigner et forment une
espèce de tiers ordre.
Le prix de la pension est au maximum de 15 fr. par mois, mais il diminue
au fur et à mesure que le travail fourmi est plus productif.
Du reste, um quart au plus des apprentis paie cette modique rétribution;
les autres sont des orphelins, abandonnés par leurs parents 0u
recueillis à leur demande. A ma question: les jeunes gens con
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damnés à être enfermés dams une maison de
correction sont-ils également admis? il me fut répondu
négativement parce que cela était contraire au principe
de liberté qui régit l'institution.
Les jeunes gems reçoivent quatre sous pour leur dimanche, mais
à leur sortie 0n leur remet comme pécule le tiers de leurs
salaires, ce qui équivaut em moyenne à fr. 150 par an.
Voilà réalisé, sous sa
forme la plus pratique, ce rêve si caressé par nos économistes
modernes de la participation de l'ouvrier aux bénéfices!
La durée du travail est au maximum de 9 heures par jour. A côté
de l'enseignement professionnel les jeunes gems reçoivent tous
les jours des leçons de religion, de dessin, de commerce, dé
français, plus une bonne instruction primaire. L'enseignement
technique est donné en général par d'anciens élèves
appelés Capi d'acte. Les Pères, dont chacun surveille
um atelier, n'ont à intervenir en rien dans cet enseignement.
J'allais oublier de dire qu'à côté de l'école
industrielle, il y a un pensionnat comptant environ 400 élèves,
qui suivent un cours complet d'études classiques. C'est une espèce
de petit séminaire puisqu'un quart environ de ces jeunes gems
entrent dams la Congrégation 0u dams les ordres., La pension
n'est que de z0 fr. par mois, mais les trois quarts me paient rien.
En tout la maison compté environ um millier de personnes. On
comprend sans peine à quelles charges un établissement
aussi considérable doit faire face, et l'on se demande comment
il peut se soutenir. Sans doute la charité y pourvoit en partie,
mais cependant l'organisation de cette oeuvre est si intelligente et
son administration si soigneuse qu'elle vit, pour une bonne part, de,
ses propres ressources. Les ateliers sont en général bien
pourvus dé travail et l'atelier de typographie en particulier
avec ses annexes, a d'ordinaire, m'a-t-on dit, sa production engagée
pour quinze mois à l'avance.
J'ai visité des établissenents industriels de tout genre
un peu dams tous les pays et jamais, je dois le dire, je n'ai rencontré
d'ouvriers qui m'aient fait une meilleure impression que ces jeunes
gems.
Ils travaillent avec toute l'ardeur de leur âge et de leur race,
en même temps qu'avec un calme joyeux et beaucoup de dextérité.
On voyait qu'ils avaient le couur à l'ouvrage. J'ai remarqué
notamment dams l'atelier des forgerons un jeune homme qui maniait son
marteau avec tant de bonheur que je regrettais vivement de m'être
pas artiste: je n'aurais pas voulu de meilleur modèle pour un
Vulvano infante.
Je me suis surtout arrêté dans l'atelier de typographie.
Dieu me garde de chercher querelle aux.typographes de certains journaux
belges mais je m'ai pu m'empêcher de penser que sous quelques
capports leurs jeunes confrères de Turin pourraient leur rendre
des points.
Et quelles bonnes récréations, tout ce petit monde de
travailleurs prenait la besogne consciencieusement achevée! Quelles
joyeuses parties de balles, quelles courses animées! Les bons
pères retroussant leurs soutanes s'y mêlaient avec entrain,
on eut dit les frères aînés
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d'une famille. Tout cela se passait avec une grande liberté
d'allures et cependant rien de désordonné. Ces enfants
du peuple n'auraient été déplacés dans n'importe
quel collège. De temps en temps l'un ou l'autre s'échappait
des jeux bruyants pour aller dire une courte prière dans l'église
attenante à la cour et il était vraiment touchant de voir
avec quelle ferveur ils accomplissaient cet acte de dévotion
spontanée.
Impossible de n'être pas frappé de la bonne tenue que les
excellents pères Salésiens ont su donner à ces
enfants ramassés un peu partout. Ils ont réussi à
leur ôter jusqu'à ce penchant inné des Italiens
pour la bonne main. Détail assez caractéristique, ayant
fait quelques emplettes à la librairie tenue avec un sérieux
et un zèle tout à fait amusant par trois jeunes gens d'une
quinzaine d'années, j'eus beaucoup de peine à leur faire
accepter pour la boîte des dimanches quelques sous qu'ils voulaient
absolument me rendre.
Je ne saurais vous dire à quel point les relations entre les
jeunes gens et leurs maîtres sont en même temps respectueuses,
confiantes et cordiales; c'est vraiment quelque chose de paternel. Ils
paraissent du reste très fiers dé leurs excellents Pères.
Ainsi ayant demandé au gamin qui m'introduisait (car l'huissier
solennel fait complètement défaut) si le Supérieur
parlait aussi le français, il me répondit avec une pointe
de vanité tout à fait gentille: Je crois bien: il parle
tutte le lingue.
En voyant ces jeunes gens si heureux, si bien préparés
à devenir des membres utiles de la grande famille humaine, je
me demandais combien d'entre eux, sans cette admirable institution,
ne seraient pas devenus la proie du vice et du crime et n'auraient pas
été grossir les rangs déjà si nombreux de
ces révoltés qui trouvent que leur part est mal faite
et qu'il faut la refaire.
La foule stupide et blasée n'a pour les humbles religieux qui
se dévouent corps et âme à cette oeuvre sublime
de régénération qu'indifférence, mépris
et injustice, alors que cette même foule couvre. d'or et d'applaudissements
les littérateurs qui corrompent les intelligences et les coeurs
en fouillant les bas-fonds du peuple pour en étaler cyniquement
toutes les turpitudes dans leurs immondes écrits. Ma pensée
se rapportait vers ces moines qui il y a treize siècles, sauvèrent
l'humanité alors que toute trace de culture semblait submergée
par les flots sanglants des invasions barbares.
Les abbayes des Gaules et de la Germanie civilisèrent nos pères
par la prière et le travail comme Dom Bosco le fait pour ces
sauvages de nos grandes cités modernes, dont la commune de Paris
nous a dévoilés les féroces instincts. Il est permis
de se demander si les rudes enfants des forêts n'étaient
pas moins réfractaires aux influences moralisatrices que les
pâles voyous de nos capitales.
Ora et labora, telle fut partotut et toujours la devise de la foi et
de la charité chrétienne. Oui, l'Eglise, pour les déshérités
du siècle surtout, est une mère et une mère toujours
jeune et toujours féconde...
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II.
On conçoit combien j'étais désireux d'être
admis à l'honneur de voir Dom Bosco, qui voulut bien me recevoir,,
grâce à une haute et bienveillante recommandation.
Pour arriver jusqu'à lui j'eus à gravir d'innombrables
escaliers et là sous les combles j'entrai dans une très
modeste chambre. J'y remarquai toutefois deux magnifiques tableaux à
la plume, qui attestent que si l'institut a pour but de former des artisans
on y rencontre aussi des artistes. Je me trouvais en présence
des principaux collaborateurs du fondateur, l'un le Révérend
Dom Rua son vicaire général et l'autre le révérend
Dom Durando son assistant. Le premier jeune encore; dans lequel on reconnaît
du prime abord l'homme d'action, le second dont la figure ascétique
rappelle singulièrement les traits émaciés de Saint
Vincent-de-Paul. Comme l'antichambre était pleine de visiteurs
où se confondaient toutes les classes de la société,
Dom Durando eut l'obligeance de me faire passer dans sa cellule. En
y pénétrant je fus tout à fait saisi de voir un
pareil dénuement. Bien des pauvres sont mieux logés et
mieux meublés que cet éminent religieux et je me dis à
part moi que l'état-major salésien se contentait pour
logis d'un corps de garde. L'expression est peu révérencieuse
sans doute, mais c'est l'impression qui me vint à l'instant même.
Et voilà comment vivent les chefs de ces communautés religieuses
dont les richesses fabuleuses, et l'avidité légendaire
fournissent un thême inépuisable aux déclamateurs
des parlements ou des cabarets. Plus laborieux que des manouvriers,
plus pauvres que les pauvres eus-mêmes, ils peuvent répéter
cette parole de l'apôtre: «De l'or et de l'argent je n'en
ai pas, mais ce que j'ai je te le donne: Lève toi et marche!
».
Enfin j'allais avoir le bonheur de pouvoir aborder Dom Bosco. Le coeur
me battait un peu, plus qu'en approchant des puissants du monde, en
pensant que j'allais me trouver en présence d'un de ces hommes
que Dieu se plaît à susciter à certains moments
pour montrer ce que sont et ce que peuvent les saints.
La sainteté - que de gens éclairés que ce mot fait
sourire! Et cependant, même au point de vue humain, les saints
ont joué un rôle immense dans la vie des peuples. Qui oserait
dire par exemple que
l'influence sociale d'un Saint Vincent-de-Paul n'a pas été
autrement profonde, autrement durable et surtout autrement heureuse
que celle d'un Richelieu ou d'un Mazarin? Qui oserait dire que l'initiative
providentielle de Dom Bosco dans cette épineuse question ouvrière,
si elle vient à se généraliser, n'apportera pas
des solutions inespérées?
Tout en faisant ces réflexions, mon tour d'entrer arriva. Je
jetai un rapide coup d'oeil dans la chambre aussi pauvrement, aussi
misé-
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rablement meublée devrais-je dire que possible et j'aperçus
avec émotion un vénérable vieillard, assis sur
un canapé usé, courbé par l'âge et les labeurs
d'un long apostolat.
Ses forces défaillantes ne lui permettaient plus même de
se tenir debout, mais il releva la tête qu'il tenait inclinée
et je pus voir ses yeux un peu voilés, mais pleins encore d'une
intelligente bonté. Dom Bosco parle -parfaitement le français,
sa voix était lente et marquait un certain effort, mais il s'exprimait
avec une remarquable netteté. Je trouvai chez lui un accueil
d'une simplicité chrétienne, à la fois digne et
cordiale. Ce qui me toucha bien profondément ce fut de rencontrer
chez un vieillard presque moribond et sans cesse assailli de visiteurs
un intérêt aussi sympathique, aussi vrai pour ceux qui
l'approchent. en quels termes émus il me parla de l'évêque
de Liége et de son zèle ardent pour les oeuvres ouvrières.
Chez Dom Bosco l'épée a usé le fourreau, mais quelle
force d'âme encore dans ce corps débile! Avec quels accents
d'intime regret il déplorait que sa faiblesse ne lui permit plus
de se dévouer activement à 1a direction de ses innombrables
oeuvres! Et cependant qui plus que lui a le droit d'entonner avec confiance
le cantique du saint vieillard Siméon: Nunc dimittis servum tuum
in pace? La discrétion m'obligeait malheureusement ,à
abréger beaucoup plus que je ne l'aurais désiré
cette émouvante entrevue avec un homme que Dieu a visiblement
marqué de son sceau et qui dans peu de jours peut-être
ira recevoir ces magnifiques récompenses promises à ceux
qui ont combattu le bon combat.
Permettez-moi de recommander instamment à ceux de vos lecteurs
qui se rendent en Italie la visite de l'Institut de la via Cottolengo.Ils
en sortiront émus, ravis et songeurs et se répéteront
avec une intimé conviction: Là est la vérité,
là est la vie, là est la solution de ces formidables questions
sociales que le sphinx du XIXI-e siècle pose aux hommes d'État
et aux penseurs - car il est écrit: u Cherchez d'abord le royaume'
de Dieu et le reste vous sera donné comme par surcroît
».
(Gazette de Liège).
J. B.
86.
Lettera a Don Bosco dall'Inghilterra.
Très R. Père,
Votre oeuvre nous est toujours et plus que jamais à coeur et
nous espérons ne pas mourir avant de la voir bien établie
a Londres; peutêtre est-elle en voie de réussir si nous
obtenons ce que je viens vous supplier de nous donner pour l'obtenir.
La santé de mon Mari a succombé à un grand chagrin
où la gloire
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de Dieu est gravement compromise. C'est pour sa santé et pour
éloigner la cause qui a produit la maladie, que nous organisons
une grande Neuveine a St. Joseph qui va commencer le ier Mai et consiste
en 5 Pater en l'honneur du S. Coeur.
5 Ave en l'honneur de Marie.
5 Gloria en l'honneur de S. Joseph.
J'ose en toute confiance implorer,vos prières et vous supplier
de me donner celles dont vous disposez entre votre jeunesse et Semill
minaristes.
Demandez-le à l'abbé Margotti qu'il prie pour se fils
si devoué à l'Église et Pie IX et si Dieu exhause
- Votre OEuvre deviendra notre Œuvre et Dieu vous le rendra.
Rotherwas Hereford, ce 25 Avril 1876.
IRÈNE BODENHAM.
87.
Per I'archidiocesi di Glasgow.
a) Leífera dell'Arcivescovo.
My Dear Don Bosco,
We have in this city a large number of Italians who are anxious to have
a priest of their own race and language. An attempt is being made to
draw their children from the faith, and the parents are most anxious
for a priest who can look after them.
It has occurred to me that you would be able to find us a priest for
this purpose; or even to send us, for a time at least, a member of your
community.
Some years ago I had the pleasure of meeting you in Rome. Mr. Monteith
of Carstairs, was always hoping to be able to introduce into the Archdiocese
the Pious Salesian Society.
Believe me to be,
Glasgow, 18th. November 1887.
Very faithfully yours
† CHARLES
Archbp. of Glasgow.
b) Risposta di Don Bosco.
My Lord Archbishop,
I humbly beg Your Grace to pardon my unwilling delay in replying to
Your Grace's favour of 18 November last. I should have been more solicitous
in thanking Your Grace for the marked bene-
800
volence with which you have honoured our Pious Society and my poor
person in particular. But my advanced age and many infirmities are telling
on me lately, so that I am often obliged to suspend duties which it
would be my desire to ultimate with all possible dispatch.
I have taken the liberty of transmitting Yout Grace's letter to my Vicar-General,
Don Rua, who I hope may be able to find a good zealous priest willing
to take charge of our Compatriots in Glasgow.
I am sorry to be obliged to inform Your Grace that the Rules of our
Society do not permit of our sending one of our members alone. I have
recently accepted a Church in London and I would willingly open a house
of education in Glasgow or any other town in Your Grace's archdiocese,
but at present I have scarcely any Englishspeaking subjects.
Again begging Your Grace to excuse my long delay and renewing my best
thanks for your gracious benevolence while I implore your pastoral Benediction
I have the honour to profess myself,
My Lord Archbishop,
Your, Grace's very humble obd. servant,
Torino, 6 dicembre 1887
(signed) SAC. Gio. Bosco.
88.
Supplica della contessa Stackpoole a Leone XIII
per la fondazione salesiana di Londra.
Sant.mo Padre,
La sottoscritta, umilmente prostrata ai piedi della Beatitudine Vostra,
si permette esporre quanto segue.
Nell'anno 1874, l'umile petente per riconoscenza di grazia ricevuta
dal Sacro Cuore di Gesù, facea voto di assumersi tutte le spese
necessarie per l'erezione d'una Chiesa Parrocchiale, dedicata a questo
amabilissimo Cuore. Umiliò il suo progetto al S. Padre Pio IX
di f. m., che l'approvò e benedisse; quindi ritornata in Inghilterra
ottenne dall'Ordinario della diocesi di Southwark, Mons. Donnell, ampia
adesione e formale promessa di erigere in parrocchia la Chiesa del Sacro
Cuore. Fu stabilito il fonte battesimale; si ottenne la licenza dell'Autorità
civile per la celebrazione dei matrimoni; i vasi sacri, i paramenti
e tutti gli altri oggetti necessari al culto furono acquistati dalla
fondatrice e finalmente il 10 ottobre Monsignor Donnell, cir -
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condato da suo Clero e dal popolo festante, installava il nuovo parroco
e deponeva nel Tabernacolo il SS.mo Sacramento. I nostri desideri erano
appagati; il popolo aveva la sua parrocchia, aveva il suo parroco, e
la donatrice cedette il tutto con atto notarile al Vescovo della diocesi.
Ma le cose non andarono così per lungo tempo. Il Curato ci lasciò,
nè fu più rimpiazzato, sicchè appena alla domenica
viene celebrata la Sta Messa da un sacerdote d'altra parrocchia. Non
più Gesù dimorante notte e giorno nella sua Chiesa, non
più Quarantore, non più battesimi, non più comodità
di confessarsi e comunicarsi; e il popolo obbligato di fare un miglio
inglese per andare alla più vicina parrocchia e ricevervi i Sacramenti,
senza parlare dei poveri ammalati privi così dei conforti religiosi.
I paramenti stessi ed i vasi sacri furono quasi tutti portati altrove.
Monsignor Butt Vescovo attuale, pregato di continuare a conservare come
parrocchia la Chiesa, fece dire alla sottoscritta non aver egli mezzi
occorrenti e sacerdoti disponibili per la Chiesa del Sacro Cuore, la
quale d'ora in avanti cesserebbe d'esser parrocchia, per non essere
che una Cappella dipendente dalla parrocchia più vicina.
La Santità Vostra vede dal suesposto come le speranze della donatrice
siano state frustrate, malgrado tutte le promesse ricevute; per cui
la sottoscritta, prostrata ai Suoi piedi, supplica umilmente sia presa
in considerazione la seguente proposta.
Visto che Monsignor Vescovo non può per mancanza di mezzi e di
sacerdoti mantenere quale parrocchia la Chiesa del Sacro Cuore, la donatrice
pensò ad una Congregazione religiosa e senz'altro si portò
a Torino per chiedere dal Sac. Gio.ni Bosco se si disporrebbe ad assumere
l'amministrazione parrocchiale di quella chiesa quando la S. V. gliela
affidasse. Don Bosco rispose essere egli sempre un figlio obbediente
della Santa Sede e che non si rifiuterebbe mai di secondare anche i
più piccoli desideri nonchè gli ordini, del Santo Padre,
per quanto le forze della sua pia Società lo comportano, fidandosi
intieramente pel resto nella divina Provvidenza. Soltanto egli ha bisogno
che il terreno dato dalla Contessa di Stackpoole a Monsignor Donnell
e da questi circondato di muri, gli sia dato in piena proprietà
e non già come casa oggi a lui affidata e ripresa poi in altro
tempo. Don Bosco ha bisogno di essere proprietario di tutti i fabbricati
esistenti fra detti muri, e libero di edificarne altri od abbattere
gli esistenti, secondo i bisogni della Congregazione. Egli poi s'impegnerebbe
di provvedere a tutti i bisogni della parrocchia, anche delle scuole
maschili e femminili già esistenti in quel recinto.
La contessa di Stackpoole desidererebbe finalmente che l'atto di donazione
fatta nel 1874 al Vescovo di Southwark, in presenza del notaio Harting
a Londra venisse intieramente annullato nè potesse in nessun
caso essere presentato dai futuri Vescovi di quella diocesi contro Don
Bosco e la Congregazione Salesiana, divenuti proprietari
802
di tutto il recinto suddetto. Con ciò il Vescovo avrebbe una
cura di meno, risparmierebbe spese e di più avrebbe nella propria
diocesi una Congregazione pronta ad accogliere la povera gioventù
abbandonata che va vagabondando pei prati di quell'estremità
di Londra, nido di miseria e di vizi, dove la presenza dei Salesiani
sarebbe una vera benedizione.
Prostrata adunque ai Vostri piedi, Beatissimo Padre, la sottoscritta
prega istantemente la Santità Vostra, affinchè Ella si
degni secondare i desideri esposti in questa supplica e pieni dei sentimenti
di suo filiale attaccamento, baciandoLe il santo piede e chiedendoLe
l'apostolica benedizione è gloriosa di protestarsi, ecc. ecc.
89.
Nota di Don Lemoyne sul
principe Czartoryski.
Il Principe Czartoriski malvolentieri aveva concesso al figlio di farsi
Salesiano. Mentre prima lo lasciava in libertà piena, ora sembrava
non potesse stare senza di lui. Credeva disonorata la famiglia della
decisione del figlio. Quando più tardi cadde ammalato pretendeva
che i Superiori gli comandassero di ritornare a casa. Ma il figlio si
era fatto promettere prima dallo stesso Don Bosco che mai gli sarebbe
stato fatto un simile comando. Il figlio che era esemplarissimo nell'osservanza
di tutte le regole nel tempo del suo noviziato e poi, non volle cedere
al padre e rammentò a D. Rua la promessa fattagli da Don Bosco.
Perciò Don Rua lasciò Don Augusto in piena libertà.
Il padre mandò medici, mandò sacerdoti, vescovi e venne
egli stesso. Era risoluto sulle sue pretese. Diceva che si speculava
sull'eredità del figlio mentre questi aveva rinunziato al suo
principato e ai redditi di questo in favore del primogenito del secondo
letto. Non restavano che i suoi beni personali che non erano poi una
gran cosa.
Il Principe ricorse al Papa il quale fece chiedere spiegazioni e diede
consigli. Ma il Principe padre voleva un comando. Alla ragione che il
figlio era Salesiano, rispondeva che Don Bosco non doveva accettarlo.
All'osservazione che il figlio stesso benchè rispettosamente,
pure manteneva il suo proposito, egli insisteva essere dovere dei suoi
Superiori comandargli di ottemperare ai desiderii del padre.
Venne lo stesso principe a Torino ma non riuscì a nulla. Don
Rua che era in Francia chiamato per telegrafo si trovò al fianco
di Don Augusto.
Allora intimò che suo figlio fosse curato come la nobile origine
richiedeva, e senza guardare a spese. Ai fianchi di Augusto pose un
prete Religioso francese che non lo abbandonasse mai. I migliori medici
fossero chiamati a curarlo e a loro cenni si facesse mutar aria e clima.
Era una vera violenza morale, eppure Don Rua dovette acconsentire, perchè
l'influenza di questo uomo potente era grandissima in Francia, in Austria
e altrove. Si intende che ogni spesa era
803
a carico della povera Società Salesiana. Prima si mandò
Augusto al Torrione preparando per lui un appartamento conveniente,
e trattandolo da gran signore colle ispezioni di medici mandati dal
padre. Ivi stette un anno circa. Quindi in Savoia, poi in Svizzera ed
ora nel 1891 a S. Remo. Carrozze a due cavalli per la passeggiata tutti
i giorni, nei viaggi scompartimenti di prima classe ecc. ecc.
E il principe Augusto era etico all'ultimo stadio. Egli però,
santo giovane, stava in tutto all'obbedienza dei Superiori e si lasciava
condurre ove si voleva, pronto a ritornare in una casa Salesiana al
primo cenno dei Superiori. Sua unica consolazione era udir parlare di
Don Bosco al quale aveva portato vivissimo amore.
Ora qui riferiamo la prima lettera che il principe scriveva a Don Bosco.
Très Révérend Père,
Comme cela était à craindre, mon voyage à Turin
a été assez défavorable àma santé
et les médicins ont trouvé que non état exigeait
un sejours dans le midi et insistent que je parte pour Alger.
Aussi, confiant dans la bonne promesse que vous m'avez faite, lorsque
vous avez désiré avoir mon consentement, je viens vous
prier de m'envoyer mon fils afin que je puisse le voir avant de m'eloigner.
Je vous remercie d'avance de cette consolation donnée à
un Père malade et forqé de s'absenter pour quelque temps
au loin dans les circonstances actuelles.
Veuillez, très Révérend Père, agréer
l'expression de tous mes sentiments de sincère et profond respect.
Paris, 19 décembre 1887.
CZARTORYSKI.
Si rispose dicendo se si fosse potuto intendere col figlio per lettera,
poichè gli studi, la stagione, la sanità sua non avrebbero
favorito questo suo viaggio.
90.
Lettera dalla Polonia a Don Bosco.
Pedakcya Missiyi Katolikich
Reverendissime Domine,
Non solum animo libentissimo sed etiam statim voluntati vestrae Paternitatis
satisfeci mittens adjunctas ad redactionein nostram litteras personis
primariis et ferventibus catholicis. Rogamus adhuc aliquas ejusmodi
litteras (I).
(I) La circolare missionaria del 4 novembre.
804
Praeterea omnia faciemus quae in nobis sont ut causam Salesianarum
missionum promoveamus; ideo - cum hoc mense in nostris Missyi Katolikich
allocutionem vestrae Paternitatis promulgare non potuissemus - faciemus
hoc mense sequenti, simul cum articulo de vestris missionibus in Patagonia.
Magno nobis in hac re adjumento est vestrum folium Bulletin Salésien
quod et in posterum rogamus nobis mitti.
Est nobis etiam aliunde summopere cordi progressus Congregationis Salesianae.
Hic nimirum Cracoviae Princeps Lubomirski, ut certe ad notitiam Vestrae
Paternitatis pervenerat, fundationem fecit ingentem pro educatione puerorum
et agitur de hoc, cujusnam curae committenda sit. In folio nostro Literario
(Revue universelle Pizeglad Powszechay) dedimus publice consilium et
motiva cur hoc institutum Congregationi Salesianae sit committendum
ita, ut Curator hujus fundationis ad nos veniens, hac de re consilia
conferret. Imprimis Poloni essent necesse Patres vestrae congregationis,
et haec erat hucusque praecipua difficultas. Nescimus quid hac in re
statutum sit, sed orationibus et zelo vestrae Paternitatis totam halte
rem committimus. Non solum multus esset fructus in pueris educandis,
sed, ut puto, multo major in vocationibus religiosis; talis enim est
facilis et fervida indoles juventutis Polonae. Etiam inter Sacerdotes
multi nomen darent Congregationi. Faciat Deus 'quod suae gloriae est
majori.
Ex nostra parte petitionem habemus et quidem enixe rogamus Vestrae Paternitatis
preces ad B. V. M. Auxiliatricem pro quodam sacerdote nostro (maximo
vestrae Congregationis amico et promotore) qui non solum variis morbis
sed etiam scrupulis magnis laborat; item pro alio (magnae spei) graviter
decumbente et pro aliquibus aliis (soli Deo notis) intentionibus, quas
non enumero, ne taedium creem. Ut autem certiores simus, Vestram Paternitatem
litteras nostras accepisse, humiliter responsum Ejus (propria tamen
Eius manu) rogamus.
Ex parte Russiaca, grave nostris missionibus periculum imminet, quod
non nostrum sed Ecclesiae et plurimorum Catholicorum damnum foret. Speramus
satis esse Paternitati Vestrae rem hanc innuisse ut pro ea apud B. Virginem
Auxiliatricem instanter intercedat.
Reverendissimi Domini
Servus in Christo Domino humillimus et addictissimus
Krakow ul. Kopernika 26, d 24 MI 1887.
P. LADISLAUS CZENCZ S.I.
ex redactione Missyi Katolikich.
805
91.
La contessa di Camburzano a Don Bosco.
Molto Rev. Signor Don Bosco,
Io sperava di ricevere qualche linea da Lei, che sempre mi sono così
care e preziose. Ma questa speranza fu delusa. Donna Cristina ci lasciò
il 29 per ritornare in Genova. Confidai alle sue cure un piccolo foglio
e lire cento per Lei.
Essa mi promise di farglielo rimettere sicuramente, se passando a Torino
non poteva recarsi all'Oratorio.
Ora comincio a temere che la mia commissione non le sia giunta la prego
istantemente di farmi scrivere due linee (in busta suggellata) per mia
norma.
Vedo parlare nell'Unità della sua consolazione pel nuovo figlio
Polacco che il Cielo le diede: di una sua Circolare ai Cooperatori e
cooperatrici Salesiane. Nulla di questo mi pervenne e tengo assai al
Bollettino Salesiano. Mi raccomando per questo alla sua bontà.
Ebbi delle febbri, di cui non sono ancora ben rimessa. Una delle mie
donne ne soffre ancora. Ne dica una parola a Maria Ausiliatrice. Essa
non saprà niegarle quel favore.
Divido di tutta l'anima la consolazione sua di rivedere Mons. Cagliero.
Mi benedica e mi abbia sempre nei Cuori di Gesù e di Maria Au.
Fossano, 5, 12 87.
Sua devotissima figlia
ALESS. C. di CAMBURZANO.
92.
Carità di un vecchio parroco.
Rev.mo Don Giovanni!
Non ha voluto esaudirmi pazienza! Esaudirà almeno Don Pietro
Firindelli parroco-decano di Fiumicello il quale nell'età di
quasi 86 anni ieri mi consegnava l'ultimo Napoleone d'oro con queste
parole: farà il piacere di far pervenire a Don Bosco questa moneta.
Forse potrebbe esser l'ultima che gli spedisco giacchè sono assai
vecchio. Però ella deve pregare Don Bosco a mandarmi il suo ritratto.
- Provai a sconsigliarlo, sapendo ch'Ella ne risente nella sua umiltà
nel dispensare le sue memorie. Io per me, che l'ho incomodato tante
volte con inchieste sempre inesaudite, non la disturberò più,
contentandomi solo di sapere ch'Ella prega e fa pregare per me. - Per
il sullodato
806
Veneratissimo Decano, uomo di rarissime virtù, la prego ad esaudirlo,
che ne son certo lo renderà assai contento. - Quando Ella l'avrà
compiaciuto, io le spedirò il danaro che tengo anche d'altro
associato ed i miei quattrini e come offerta al suo ultimo appello e
come canone per rinnovare le mie associazioni del Bollettino e delle
3 Copie delle Letture Cattoliche.
In attesa, l'ossequio profondamente e riverendola anche per parte di
Mons. Tirindelli, mi raffermo
Scodovacca, 7 - 12 - 87.
Diocesi di Gorizia
Di Lei Aff.mo nel Signore
P. FEDERICO MONEGAZZI, parroco.
93.
Sentenze scritte da Don Bosco sui segnacoli del Breviario.
DA POETI ITALIANI.
I.
Inf. Salimmo su ei primo io secondo
Tanto che vidi delle cose belle
Che porta il ciel per un pertugio tondo
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
Purg. Io ritornai dalla SS. onda
Puro e disposto a salire le stelle.
Parad. L'amor che muove il sole e le altre stelle.
(DANTE Divina Commedia).
2.
Ad ogni alta virtù l'Italo creda
Ogni grazia di Dio lo Stato speri
E credendo e sperando ami e proceda
Alla conquista degli eterni veri.
(PELLICO. Gli Ang.).
DALLA SCRITTURA.
I.
Omnia flumina intrant in mare et mare non redundat. (Eccle.teI).
2.
Bonus Dominus et confortans in die tribulationis (Nahum I).
807
3.
Longe fac a muliere viam tuam et ne appropinques foribus domus eius.
(Parab. c. 5).
4.
Accipite disciplinam meam et non pecuniam; Doctrinam magis quam aurum
eligite. (Parab. c. 8)
5.
Cognovi quod non esset melius nisi laetari et facere bene in vita sua.
(Eccl.te 3).
6.
Honora Dominum de tua substantia... et implebuntur horrea tua saturitate
et vino torcularia tua redundabunt. (Parab. (id) Cap. 3).
7.
Si est tibi intellectum responde proximo tuo, sin autem sit manus tua
super os tuum, ne capiaris in verbo indisciplinato et confundaris. (Eco.
5).
8.
Referet unusquisque prout gessit in vita sua.
9.
Fili, eleemosynam pauperis ne defraudes et oculos ne transvertas a paupere.
(Eccl.).
10.
Ne glorieris in contumeliis Patris tui.
II.
Omnis iniuriae proximi ne memineris et nihil agas in operibus iniuriae.
(Ecc.co X).
DAI SANTI PADRI.
1.
Si quid in te pravum deprehenderis, corrige: quod rectum tene; quod
deforme, compone; quod pulcrum eccole; quod sanum serva; quod infirmum
corrobora; Dominica praecepta infaticabiliter lege,
808
et per haec quid cavendum est, quidve sectandum tibi sit sufficienter
instructus agnosce. (S. BERN. ad Sac.).
2.
S. Hieronimus ad Demet. « Teneas fidem, nec peregrinam, quamvis
tibi prudens, callidaque videaris, doctrinam recipias ,
3.
Portate, fratres mei, vobiscum clavem cellulae, portate et clavem linguae.
(S. P. DAM.).
Validiora sunt exempla, quam verba, et plus est opere docere quam voce.
(S. MASS. serm. 67).
4.
Nostrae divitiae, nosterque thesaurus lucra sint animarum et in arca
nostri pectoris recondantur talenta virtutum (S. P. DAMIANO Cont. Cap.).
94.
Lettera del barone Héraud a Don Bosco.
Stimatissimo e Carissimo Don Bosco,
Nell'approssimarsi l'occorrenza delle feste natalizie mi torna grato
al cuore venirgliele ad augurare buone ed eccellentissime, porgendo
voti al Divino Bambino a che Don Bosco rinforzato di gambe possa muoversi
dal suo stanzino, e senza aiuto di braccia o di bastoncelli possa di
bel nuovo ritrovare la via della Chiesa non che quella del refettorio
comune.
Quale coppiere emerito, benchè non partecipante, desidererei
vedere in questo Don Bosco da bravo militante, ma con moderazione, m'intendo
io, perchè il soverchio rompe il coperchio. I Sardi dicono, rompe
il cuscino, vale a dire: rovina lo stomaco. Ma pure nel caso, Don Bosco
bona sua decoquere potest, non potendosi applicare a lui il proverbio
Il Tess. III Qui non vult operari neque manducet.
Auguro adunque a Don Bosco di vedersi servito ancora per molti anni,
di ova al tegame, oves in arrosto, et boves in bollito, quiescendo animum
suum e come si legge nel Levit. XXVII, I8 starsene sub vite sua, sub
ficu sua; cioè godersi con tranquillità del suo prodigioso
lavoro. Est quod gaudeas.
Ora poi, carissimo Don Bosco, otia tranquilla agendo, sarebbe il momento
di impegnarla a pro del mio stato sempre infermiccio.
809
Già omnes sancti et sanctae Dei sono stati invocati, ma quando
Deus non vult, questi si stanno in perfetta quiete. Non vene ha più
uno al quale mi rivolgo in questo istante. Ma temo che egli mi risponda:
Rebus sic stantibus ad quid venisti? Quare adhuc conturbas me? .....
Nulla di meno vengo a pregarla di un miraculum tentare e quale non sarebbe
il di lei contento di sapermi in migliori gambe che non sono le sue
per potermi tosto recare presso l'amatissimo nostro Santo Padre! (I).
Spero dunque violentiam tu in sacratissimum Mariae cor adhibens mi troverò
presto in Vaticano.
Un ricordo per la Baronessa. Che della grazia E baciandole la mano che
benedice mi dichiaro, veneratissimo Don Bosco,
Nizza, 21 dicembre 1887.
Il di lei aff.mo
Barone HERAUD.
Nizza Marittima.
PS. Al molto Rev. Don Rua omaggio ed augurii.
95.
Il conte Colle a Don Bosco.
Mon cher ami,
Je suis encore trop fatigué pour vous écrire moi - méme,
mais si ce n'est pas ma main qui trace ces ligues c'est mon coeur qui
les diete. Nous avous requ votre bonne lettre contenant les inseriptions
que vous nous avez fait l'honneur de faire graver sur trois cloches
de l'Aglise du Sacre Coeur. Je n'ai pas oublié que je vous avais
promis de contribuer à l'achat de ces cloches, mais je n'ai pas
gardé en mémoire la somme dont nous avions parlé,
veuillez m'en donner de nouveau la connaissance.
Je suis toujours malade, et attendant ma guérison de vos supplications
vers le ciel, car pour de remèdes j'en ai tant pris que je me
demande s'ils ne m'ont pas fait plus de mal que de bien. Je continue
à demeurer à la campagne où j'ai au moins une tranquillité
qui m'est absolument nécessaire.
Ma femme se porte bien; che se joint à moi pour vous offrir nos
respects les plus affectueux et les plus dévoués.
Nous avons appris hier avee plaisir l'henreux retour de M.gr Cagliero
auprès de vous et l'entrée dans votre Congrégation
du prince Czartoryski. Ces nouvelles nous ont étè données
par l'abbé Perrot qui est venu nous voir avec M. De Barruel.
(I) Era Cameriere di Spada e Cappa.
810
Nous vous prions, bien cher ami, de tratismettre à Dom Rua et
àtous vos excellents prftres nos compliments les plus cordiaux.
La Farlède 18 décembre 1887.
Votre ami dévoué
COMPTE COLLE.
96.
Don Bosco e la Comunione frequente.
L'abate Temmerman, dopo aver polemizzato con coloro che disapprovavano
la comunione frequente dei giovani, continua a dire così (cfr.
sopra, pag, 529, in nota):
Messieurs, il est daus, notre siècle un honune dont on ne contestera
pas l'autorité absolue en matière d'éducation de
l'eniance, sa vie n'est qu'un admirable enchainement de prodiges, j'ai
nommé Dom Bosco. Permettez - moi de vous communiquer ce que ce
saint me disait au sujet de la question qui nous occupe. Cétait
en janvier 1888. Cornm j'étais sur le point de fonder une ceuvre
importante pour l'éducation des enfants du peuple, je voulus
avoir ses conscils, j'allai le voir à Turin, la semaine méme
où il est mort. Il ne put guère m'expiiquer lui - méme,
mais Dom Michel Rua, son fidèle interprète et son successeur
depuis, me donna toute l'éconornie de l'eeuvre salésienne,
il me livra le secret de sa prodigicuse puissance: ce secret se résume
tout entier dans la comm union fréquente des enfants, aussi fréquente
que les circonstances le permettent, non pas de quelques enfants de
prédilection, de quelques enfants d'élite, mais de tous
comme règle ordinaire. Je croyais avoir peut - étre quelque
peu mal saisi les conseils regus, je croyais m'eu étre exagéré
quelque peu la portée, j'écrivis done à Dom Rua
pour avoir une direction absolument précise et certaine et voici
ce qu'il me répondit:
“ Vous verrez dans les opuscules què je vous euvoie les
applications de Dom Bosco sur la fréquentation des sacrements
(i). Notre vénéré fondateur ne perdait pas une
occasion de recommander la fréquente communion. Cétait
la base de tout son système d'éducation. Ceux qui ne le
comprennent pas sont toujours obligés d'en venir à une
rigouxeuse coércition ”. (Applaudissements).
Eh bien, Messieurs, les règles que D. Bosco trace dans ces opuscules
se résume dans la communion la plus fréquente possible.
(i) Don Rua gli aveva mandato: I° Il Giovane Provveduto, segnandovi
l'istruzione sulla Comunione frequente. - 2° Il Regolamento per
le case della Società di S. Francesco di Sales, indicando quello
che vi si legge della frequenza dei Sacramenti nell'Appendice sul sistema
preventivo (nn. IV e VIII). L'abate dà in nota i passi tradotti
in francese.
811
Dans les maisons salésiennes, ces règles tracées
par le saint fondateur ne sont pas lettre morte, elles sont pleinement
suivies. J'ai été étonné d'entendre que
l'on puisse croire que les défenseurs de la . communion fréquente
ne se préoccupent point des conditions d'une bonne préparation,
au point que la communion ne resterait plus que la réception
plus ou moins pieuse des Saintes Espèces. Tout au contraire le
zèle pour disposer les enfants à bien, communier doit
croître en raison directe ou, pour dire toute ma pensée,
en proportion géométrique du zèle que l'on met
à les attirer à la Table Sainte. Sans doute d'accord avec
tous les maîtres de la théologie, il ne nous faut pas exiger
davantage, dans la réception fréquente, des dispositions
au-dessus des forces humaines, et ne jamais oublier que les Sacrements,
faits pour les hommes, opèrent ex opere operato, chaque fois
qu'ils ne sont pas reçus indignement; mais le directeur spirituel
nous semble tenu à mettre plus de zèle à réclamer
une volonté meilleure. On devrait toujours apporter à
la discussion d'une thèse cette sincérité de ne
pas scinder misérablement les deux membres indivisibles de la
proposition de son adversaire. Nous demandons et c'est ce que demandait
Dom Bosco: la communion fréquente conjointement avec le zèle
le plus grand possible pour s'y disposer, chaque fois, au mieux. C'est
ainsi que dans les maisons salésiennes la communion est le moyen
de toute la discipline, la communion qui précède est continuellement
mise sous les yeux de l'enfant pour raviver en son âme le sentiment
du respect, de la reconnaissance et de l'amour qu'il doit au Dieu qui
est venu habiter en son cceur. On lui fait entrevoir la communion prochaine
pour le faire songer aux soins qu'il est tenu d'apporter à s'y
préparer.
On a dit ce matin à la 2-me section que dans tel collège,
pourtant bon, le directeur n'aurait point osé permettre régulièrement
la communion aussi fréquente. Je ne veux pas discuter et je ne
demanderai pas si la règle de la communion mensuelle, laquelle
pourtant est générale dans nos collèges, n'ait
jamais inspiré les mêmes craintes pour les inconvénients
qu'on pourrait appréhender particulièrement de la communion
plus fréquente dans certains collèges; mais voici deux
règles absolument pratiques qui me furent données comme
le secret pour prévenir les communions moins dignes, on y attache
dans les maisons salésiennes une importance capitale. La première
règle consiste à ne jamais permettre que les enfants aillent
à la Sainte Table par ordre de bancs. Il ne faut pas qu'un enfant
par la peur d'être reconnu ou regardé seulement comme coupable
ou moins bon puisse jamais être moralement forcé à
faire avec sa conscience la moindre capitulation: tel serait néanmoins
le cas de l'enfant qui devrait rester en évidence à sa
place complètement isolé pendant tout le temps où
les compagnons qui se trouvent autour de lui seraient tous au banc de
communion. Il est possible que cet enfant ne soit même cou-
812
pable d'aucun péché véniel, que tout au plus quelque
manquement commis contre le règlement de la maison le gêne
et l'effraye; il croit bien être en droit de communier, mais il
s'en croit peu digne; ah! qu'il n'apprenne pas à capituler avec
sa conscience, ni même avec la délicatesse de celle-ci,
de peur qu'il n'en vienne à faire des capitulations criminelles.
Je sais bien qu'à suivre cette règle, on aura un peu moins
d'ordre dans la distribution de la Sainte Communion, mais cela est de
si peu d'importance, et encore avec quelques mesures faciles à
prendre pour assurer la circulation, par exemple en faisant retourner
ceux qui ont communié par un côté différent
de celui par lequel arrivent lés autres, tout est fait. Que les
maîtres et les maîtresses surtout se gardent d'une curiosité
indiscrète. Bien inconsidéré serait le maître
qui irait dire à un enfant qu'il a prouvé sa culpabilité,
puisqu'il n'a pas osé aller à communion. Il va sans dire
que je ne considère pas ici les enfants scrupuleux. La seconde
règle est que les enfants doivent avoir les occasions les plus
faciles et les plus nombreuses pour aller à confesse à
la dérobée, sans devoir se faire remarquer, sans que la
demande d'aller se confesser les dénonce aux soupçons
du surveillant. Chez les Salésiens, on fait en sorte que tous
les jours de la semaine, pendant les prières faites à
la chapelle, pendant la Sainte Messe, pendant les récréations,
les enfants trouvent le moyen d'aller se confesser sans que personne
ne trouve à cela rien d'extraordinaire. C'est une chose si naturelle
que le directeur par exemple d'un internat' de jeunes filles qui s'y
épuiserait, s'il lui fallait recevoir tout son monde le samedi,
demande que pour sa facilité on se partage quelque peu et que
les unes viennent tel jour, les` autres tel autre jour; alors il n'y
a rien d'étrange à ce qu'un enfant vienne n'importe' à
quel moment. Et quant au moyen de prévenir qu'on n'accoure trop
souvent, il n'est pas difficile au confesseur de le trouver, il n'a
qu'à le vouloir et à couper court et net à toute
velléité de venir faire un bout de causette, une fermeté
invincible soutiendra ici une bonté inépuisable. Telles
sont les règles qui me furent données.
Je vous disais, Messieurs, que j'étais allé demander ces
conseils à D. Bosco au moment de commencer une oeuvre assez importante
pour l'éducation des enfants du peuple, il y a de cela un peu
plus de 2 ans en janvier 1888. Notre oeuvre était alors dans
une position difficile, le courage commençait à faiblir:
ne craignez rien, me dit Dom Rua, avec la pratique de la Sainte Communion,,
vous triompherez de tout. Allez sans crainte en avant.
Il y a quelque temps, lorsque Dom Rua vint en Belgique pour la fondation
de la maison salésienne de Liège, il' voulut bien venir
me voir. Avez-vous été fidèle à mes conseils?
me demanda-t-il. Avec la grâce de Dieu, lui dis-je, j'ai fait
au mieux. Alors vous avez réussi, reprit-il. Et en effet, Messieurs,
nous avions réussi au-delà de toute
813
espérance. L'oeuvre que nous poursuivions s'est développée
avec une rare rapidité, au bout de deux années, notre
institut destiné à des jeunes filles de la petite bourgeoisie,
à des orphelines, compte plus de Z00 internes dont la conduite
est parfaite. Nous en avons 157 qui ont fait leur première communion,
la communion hebdomadaire est la règle pour toutes, mais cela
avec la liberté la plus entière et la plus absolue non
seulement en théorie, mais aussi en pratique. Une bonne soixantaine
d'élèves s'approchent de la Sainte Table une seconde fois
dans la semaine, une vingtaine une troisième fois, je crois,
Messieurs, pouvoir dire que nous faisons de nos enfants ce que nous
voulons. Je m'empresse de le dire, à l'exemple de ce qui se fait
dans les maisons salésiennes, l'on ne perd aucunement de vue
la bonne préparation. Je regrette que le temps me manque pour
dire comment cette pratique corrige vite les défauts en apparence
les plus invincibles, supprime les disputes, met immédiatement
fin aux moindres inimitiés.
Je le reconnais, toutes mes observations portent spécialement
sur les élèves des internats et bien des conditions que
j'ai indiquées comme préalables ne se trouvent que difficilement
chez les enfants dans le monde. Effectivement mon but n'est à
la rigueur que de soutenir la thèse de la communion fréquente
pour les enfants confiés aux soins assidus de maîtres chrétiens.
Toutefois, je suis d'avis que dans les paroisses, par le moyen des patronages,
et pour les élèves externes de nos maisons religieuses,
on pourrait énormément, si on le voulait: des exemples
nombreux le prouvent. Je regrette de n'avoir pas le temps de m'y arrêter.
Permettez-moi, Messieurs, de dire en finissant ce qui se fait à
Turin, à l'institut de Dom Bosco. Lors de ma visite, en 1888,
il y avait là 800 enfants, la communion hebdomadaire était
la règle pour tous, 400 y allaient plus souvent. Vous savez quels
enfants étaient recueillis là, pour plusieurs on peut
dire qu'ils avaient été ramassés dans l'égout
de la rue. Et de ces enfants-là, qu'est-ce Dom Bosco en a fait?
C'est par centaines qu'on les compte dans les rangs du clergé
d'Italie, et ils forment de ce clergé l'élite et la phalange
d'honneur. (Applaudissements). Dom Bosco ne voulait pas qu'on appelât
ses maiso" autrement que des oratoires, parce qu'il voulait bien
signifier que par la prière et par la pratique des sacrements;
comme par ses seuls moyens d'action, il voulait arriver à la
sanctification de l'enfance, à la formation d'hommes de foi et
de piété. Suivons, Messieurs, ses conseils et ses exemples.
Et s'il est vrai « que la communion ne soit pas toute la piété,
ni toute la religion », rappelons-nous cependant les paroles de
5. Paul: Ego (Paulus) plantavi, Apollo rigavit, sed Deus incrementum
dedit (I ad Cor. III, 6), et qu'il ne nous appartient pas d'indiquer
à Dieu les moyens dont nous voulons bien user, lorsque le Christ
a dit: Amen, amen dico vobis, nisi manducaveritis
814
carnem Filii hominis et biberitis eius sanguinem, non habebitis vitam
in vobis. (JOIS. VI 54) (Applaudissements).
Avant de laisser imprimer ces pages, j'ai voulu les communiquer à
D. Michel Rua, voici ce qu'il m'écrit:
Oratorio Salesiano in San Benigno Canavese, 7 sept. 1890. Très
Rév. Monsieur l'abbé Temmerman,
J'ai lu ce que vous avez dit dans le Congrès Eucharistique sur
la communion fréquente des enfants: vous avez parlé très
bien et rapporté avec toute fidélité les idées
de notre bien-aimé P. D. Bosco de sainte mémoire. Je vous
renvoie l'imprimé, où vous trouverez seulement deux petites
corrections d'orthographie: pour le reste je n'aurais rien à
modifier quand il s'agit d'élèves internes.
Je vous remercie vivement des bonnes paroles que vous avez bien voulu
dire sur notre bon Père et sur son système d'éducation
et je fais des voeux ardents afin que votre discours sur la communion
fréquente des entants ait un retentissement dans tous les collèges
catholiques et aussi dans tous les séminaires.
Que le bon Dieu vous conserve en bonne santé et toujours en son
amitié et si je peux vous servir en quelque chose, rappelez-vous
que je suis à jamais
Votre obéissant serviteur en J. Ch.
Abbé MICHEL RUA
97.
Annunzio della morte di Don Bosco
agli antichi allievi dell'Oratorio.
Caro Amico,
Un'immensa sciagura ha oggi colpito l'Oratorio di S. Francesco di Sales
e le numerose Case d'educazione da esso dipendenti. Il suo Fondatore
e capo, l'amico della gioventù, l'apostolo della religione e
della carità, l'amatissimo nostro Padre Don Giovanni Bosco, non
è più! Egli rese stamane alle ore 4, 40 la sua bell'anima
al Signore, munito di tutti i conforti della Religione e benedetto dal
Santo Padre Leone XIII.
Quantunque prevedessimo già da tanto tempo le irreparabili conseguenze
della sua malferma salute tuttavia sentiamo ora più che mai la
gravità della perdita subita. E ben lo attestano le lacrime de'
suoi figli, il dolore de li amici, il compianto della cittadinanza...
Nelle ultime ore di quella preziosissima esistenza noi ervamo andati
a baciare per l'ultima volta all'amato Padre la mano benedetta, e quasi
a dargli a nome degli antichi allievi l'estremo addio in questa vita;
ma la sua lingua era già fatta muta, il suo occhio non ravvisava
più alcuno. Era in principio dell'agonia. Quale strazio, quale
angoscia nel ripartire da quella camera dove ci aveva le tante volte
accolto col sorriso della benevolenza!... O Don Bosco! Don Bosco!...
815
Caro amico, tu sai quanto noi avremmo desiderato di festeggiare la
Messa d'oro del Rev.mo Sig. Don Bosco, che doveva ricorrere fra pochi
anni, e come di cuore glielo augurassimo. Ma il Signore dispose altrimenti:
sia fatta la sua santa volontà. Non possiamo almeno ora, benchè
morto, dargli una prova della nostra affezione e della nostra riconoscenza?
Il Comitato degli antichi allievi dell'Oratorio per le dimostrazioni
a Don Bosco, previo accordo coi Superiori della Casa, deliberò
d'invitare tutti i compagni Sacerdoti e secolari residenti in Torino
e nei dintorni a trovarsi alla sepoltura che avrà luogo giovedì
2 Febbraio alle 3 ½ pomeridiane, e di esortare sì vicini
che i lontani a fargli tenere una piccola offerta, non però inferiore
ad una lira, per sopperire alle spese delle torcie occorrenti e per
procurare al più presto nella chiesa di Maria Ausiliatrice un
solenne funerale alla memoria del gran Padre Don Bosco.
Sarebbe desiderabile che coloro i quali sono insigniti di qualche onorificenza
governativa intervenissero alla sepoltura fregiati colle loro decorazioni.
La nostra riunione sarà nel parlatorio grande dell'Istituto.
Apposite norme regoleranno le precedenze nello sfilare del funebre corteo,
ma noi procederemo ancora per ordine d'anzianità.
Non crediamo che occorra di più per eccitarti a dare quest'ultimo
tributo d'affetto al defunto nostro Padre. Gli amici lontani potranno
servirsi dei francobolli postali per l'invio della loro offerta; e quando
sarà accertato il giorno del funerale li faremo avvisati.
Sii compiacente di recitare una divota preghiera per l'anima del non
mai abbastanza compianto Don Bosco e di gradire i nostri cordiali saluti.
Torino, 31 Gennaio 1888.
Pel Comitato
GASTINI CARLO.
ALASIA MATTEO Segretario.
98.
Alcune lettere di condoglianza a Don Rua.
Fra tante centinaia di lettere in diverse lingue ne scegliamo soltanto
alcune poche a titolo di saggio.
a) Monsignor de Gaudenzi, vescovo di Vigevano.
M. Ill. e molto Rev. Signore,
Colla perdita di Don Bosco cessò una vera amplissima benedizione
del Signore per la Chiesa e per la Società.
Egli nella dolcezza emulò il Vescovo di Ginevra che avevasi eletto
a Patrono per l'ardore della sua carità verso i prossimi rinnovò
i
816
miracoli di S. Vincenzo de' Paoli, imitatore del Zaverio fece grandi
conquiste alla Croce di Gesù Cristo.
Io ebbi il bene di conoscerlo fin dall'esordio, che fu umilissimo, delle
ammirande innumerevoli sue opere, lo seguii costantemente anche nelle
gravi sue afflizioni, e sempre con immensa mia edificazione ebbi ad
ammirare in Don Bosco l'uomo di Dio che viveva solo per la gloria del
Signore, per dilatare il suo regno e meglio stabilirlo nelle anime.
Questi pensieri riescono ad un balsamo consolatore per me in sì
acerbo duolo, giacchè il defunto che deploriamo sempre mi onorò
di sua peculiare bontà.
Ad argomento di venerazione e di gratitudine per il bene che operò
il S. Don Bosco anche per questa mia Diocesi, ordinai di celebrare giovedì
prossimo nella Cappella del Seminario un solenne uffizio per la requie
eterna di quell'anima eccelsa. Io vi assisterò e farò
le esequie.
Ho certa fiducia risplenda già fra il coro dei santi sacerdoti.
I suffragi se non gioveranno a quell'anima santa, gioveranno ad altre
anime e tornerà certamente gradito al Signore si onori un sacerdote
in cui Egli si compiacque rivelare al mondo quanto valga al bene dell'umanità
un sacerdote fatto secondo il suo cuore, e che secondi umile, costante
i suoi disegni.
Il Signore continui a proteggere le opere di quell'anima eccelsa, che
tutti ammirano. È questa la preghiera che spesso in questi dì
erompe dal mio cuore sì profondamente commosso.
M ricordi a tutti suoi degni confratelli e mi abbia nei SS. Cuori di
G.M.G.
Vigevano, il 3 febbraio 1888.
Aff.mo servo
+ MARIA GIUSEPPE, Vescovo.
b) Monsignor Rota, arcivescovo titolare di Tebe.
Carissimo Don Rua Michele,
La perdita del sempre amato e stimato Don Bosco credo che avrà
recato molto dolore a quanti lo conoscevano di persona o per fama, come
ha recato troppo dolore a me. Le molte gentilezze e favori, di cui mi
fu prodigo, quando fui a Torino (I), me lo rendevano sempre caro, e
lo riguardavo come un altro mio fratello. Tengo nella mia camera un
ritratto che mi ricorderà sempre i favori, gli aiuti, i conforti
in tempi critici da Lui ricevuti. Spero che sia già in
(I) Cfr. LEMOYNE, M. B., vol. VIII, pag. 359 - 363, 502, 548, 675,
695, 731.
817
Paradiso, e mi auguro di andargli a far compagnia fra non molto, giacchè
sono vecchio. Dio voglia che ciò sia presto, giacchè processi
in diebus multis.
Intanto batterò alla porta del paradiso, finchè senta
quella dolcissima parola: Intra in gaudium Domini tui.
Anche il mio Franzini (I) ricorda i favori da Lui e dai suoi compagni
ricevuti; ma scriverà egli stesso, dolente della perdita; ma
sperando anch'egli di avere un avvocato in paradiso.
Intanto con tutta la stima, e nella persuasione che Ella continuerà
a fare il bene che faceva il perduto Don Bosco, mi dico
Di vostra Riverenza
Roma, 3 febbraio 1888.
Devotissimo e sempre affezionatissimo
+ PIETRO, Arciv. di Tebe e can. di S. Pietro in Roma.
c) Il Segretario dell'Indice.
Reverendo Don Rua,
La infausta notizia che il non mai abbastanza compianto Don Giovanni
Bosco, uomo per virtù e per meriti verso la Chiesa e l'intiera
umanità venerando, mi è riuscita ancora più acerba
perchè inaspettata, e contro la fiducia in cui era della sua
prossima perfetta guarigione. Io che tanto lo stimava e lo amava ne
ho sentito gravissimo dolore. Pace sia eterna all'illustre estinto nel
regno della divina bontà e misericordia.
Faccio poi a Lei, Rev.do Padre, e a tutta la Congregazione Salesiana
le più sincere ed affettuose condoglianze per la grave perdita
del gran fondatore e la prego a rendersi interprete presso la medesima
di questi miei sentimenti e in un modo speciale coi miei saluti affettuosi
comunicarli al buon Don Celestino Durando. Io ho tutta la fiducia che
Don Bosco dal cielo proteggerà il suo istituto e gli otterrà
da Dio grazie e prosperità.
La riverisco distintamente e mi pregio di rassegnarmi con sensi di particolare
considerazione e di affettuosa amicizia.
Di Lei Rev.mo Don Rua,
Roma, li 3 febbraio 1888.
Devotissimo servo ed amico
P. GIROLAMO PIO SACCHERI dei predicatori.
Segretario dell'indice e Cooperatore Salesiano.
(I) Don Massimiliano Franzini, segretario di S. E.
818
d) Monsignor Vicentini, vescovo di Aquila.
In risposta alla partecipazione, che la S. V. si è compiaciuta
inviarmi della perdita non mai deplorata abbastanza del venerando Don
Bosco, non ho che ad esprimere gli stessi sentimenti che han compreso
gli animi tutti all'infausta novella. Era l'uomo provvidenziale che
Iddio aveva suscitato per confondere l'apatia, l'egoismo e l'incredulità
di un secolo corrotto e corrottore, era un miracolo permanente di quella
carità ingegnosa, disinteressata e molteplice che abbracciava
tutti i bisogni, viveva di sacrifizi e li rendeva fecondi di fede, di
consolazione, e di amore. Se quindi il dolore è verace, profondo,
universale ve ne ha giusta ragione. È gran conforto però
che l'opera sua lo rappresenterà sempre vivo, anzi mai tanto
vivo quanto dopo che ha lasciata la terra per guardarla e proteggerla
dal cielo.
È con questi sensi si che mi unisco anch'io al cordoglio, specialmente
dell'Episcopato italiano che aveva nel compianto Apostolo un braccio
così efficace e prego la S. V. parteciparli ai suoi confratelli
come espressione dell'animo mio e come attaccamento ad un ordine così
benemerito che ha perduto il tanto amato suo fondatore.
Della S. V. R.ma
Aquila, 4 Febbraio 1888.
+ AUGUSTO ANTONINO
Arcivescovo di Aquila.
e) Monsignor Vorteo, vescovo di Massa Marittima.
Reverendissimo signore,
Sono l'infimo dei Cooperatori Salesiani, tra i quali fui annoverato,
senza alcun mio merito il dì 11 Agosto dell'anno scorso. Essendo
però sempre stata altissima l'ammirazione, e profonda quanto
mai si può dire la riverente stima, che ho nutrito per quel vero
Apostolo di Carità al quale ora succede la S. V. Rev.ma nella
direzione di tante, stupende opere, da lui create a gloria di Dio e
a salute delle anime; non posso fare a meno di unire le mie condoglianze
a quelle che le pervergono da ogni parte del mondo cristiano per la
dipartita di tanto padre. Piaccia adunque a V. S. Reverendissima di
accoglierle benevolmente per l'unico pregio che hanno di essere al tutto
sincere. E poichè, mentre mi sforzo di suffragare quella grande
anima, mi sento invece sospinto ad implorarne per me e per la Chiesa,
l'intercessione presso il trono di Dio; sia essa dal cielo particolarmente
propizia alla sterminata famiglia, rimasta sì meritamente affidata
alle cure paterne
819
di V. S. cui offro la meschina mia servitù, dichiarandomi con
ogni maniera di stima
Della stessa S. V. Rev.ma
Massa Marittima 4 Febbraio 1888.
Dev.mo servo in G. C.
+ Fr. GIUSEPPE vescovo di Massa e Papulonia.
f) Monsignor Apollonio, vescovo di Treviso.
M. R. Don Michele Rua,
Non potrei dirle a parole quanto dolore io provi, per la morte di quell'eroe
di carità, di quel santo, che fu Don Bosco.
Conservo di lui tante care memorie che ora mi divennero tanto più
preziose.
Il Signore l'ha trovato maturo pel cielo. Mi par d'essere sicuro che
sulle opere di Don Bosco ora cadranno più copiose le benedizioni
del Signore, e che esse dirette dai zelantissimi ed ottimi sacerdoti
Salesiani seguiteranno a produrre immensi vantaggi nel campo della Cattolica
Chiesa.
Ieri andai a Mogliano per fare un atto di condoglianza, con i figli
di cotesto Istituto; trovai che il Superiore Don Mosè Veronesi
era venuto a Torino.
Gradisca, M. R. Don Michele, i sensi della mia venerazione e conservi
per me quell'affetto che aveva il Santo Don Bosco.
Treviso 4 Febbraio 1888.
Suo Dev.mo Aff.mo in G.
+ GIUSEPPE APOLLONIO Vescovo di Treviso.
g) Il cardinale Massaia.
Al Vicario gen. della Congr. Salesiana,
Se l'infausta notizia della morte del nostro caro Don Bosco mi abbia
grandemente amareggiato, il faccio considerare a V. S. Rev.ma; poichè
io in lui non amava solo il compaesano (I) ed il fratello sacerdote,
ma stimava ed ammirava l'Apostolo della carità, il padre della
gioventù, il propagatore del manuale lavoro sposato alla pietà
ed alla
(I) S. Em. era di Piovà, circondario d'Asti.
820
cristiana istruzione. Oh se avessi avuto compagno un tal uomo nella
Missione, quanto da lui non avrei appreso nell'accrescere l'Ovile di
Gesù Cristo e nel guidare per la via della salute le anime cristiane!
Ma il Signore che lo destinò a lavorare in un altro campo, me
lo diede almeno come esempio! poichè anche sin là giungevano
le notizie del suo zelo e della sua apostolica operosità.
Ora lo piangiamo morto; ma consoliamoci, che la sua vita è cominciata
adesso fra la gloria di Dio.
Ed anche sulla terra continua a vivere nelle grandi opere che ha fatto;
nel religioso istituto che lascia; ed in quello innumerevole stuolo
di figli, che seppe educare per la religione e per la società.
Vecchio cadente, non tarderò a raggiungerlo nella vita che mai
finisce, e spero che, come io prego per lui, così egli vorrà
ricordarsi di ottenermi dal Signore una morte simile alla sua.
Gradisca, Revmo. Signore, con le mie condoglianze i sensi di stima e
di particolare affetto.
Roma, 4 febbraio 1888.
Dev.mo servo
+ Fr. G. Card. MASSAIA cappuccino.
h) Il padre Denza.
Carissimo signor Don Rua,
Ho appreso qui, a Roma, dove mi trovo da qualche tempo per l'esposizione
vaticana, la tristissima nuova della perdita del carissimo Don Bosco,
che io venerava ed amava come mio padre e che teneva in conto di uno
dei miei più affettuosi amici. Può Ella pensare il dolore
dell'animo mio per la perdita grandissima di tanto uomo; ma d'altra
parte non posso a meno di non consolarmi nel pensiero che quel sacerdote
benefico e promotore di tante e sì grandi opere buone si gode
il premio di tante fatiche, di tante pene sofferte quaggiù, e
prega l'ottimo Iddio, che amò cotanto, per noi tutti, ed in modo
speciale per la sua diletta figlia la Congregazione Salesiana. Tuttavia
io non lascierò di pregare il Signore per Lui e più ancora
per la loro Congregazione, affinchè si mantenga con quello spirito
e con quella operosità che le venne comunicata dal suo fondatore.
La prego, ottimo mio Don Rua, a farsi interprete presso tutti i suoi
confratelli ed amici miei cari di questi miei sentimenti, che appena
ho saputo esporre e mi raccomandi alle orazioni di tutti, di cui ho
grande bisogno.
Mi tenga sempre per suo
Aff.mo
P. DENZA.
821
i) Il marchese Vitelleschi.
Pregiatissimo Don Rua,
Non posso dispensarmi dall'esternarle la vivissima parte che unitamente
alla mia famiglia ho presa per la irreparabile perdita del non mai bastantemente
compianto Don Bosco. Perdita enorme per noi, sommo guadagno per il caro
defunto, il quale la cristiana speranza ci fa ritenere, che sia giunto
ad ottenere il premio immortale del cumulo di tante sue virtù.
La nostra famiglia fu la prima qui in Roma, la quale ebbe la sorte di
stringere con esso lui preziose relazioni, ciò che si verificò
nel 1864, quando io con la mia compianta compagna ci recammo per la
prima volta a Torino e facemmo conoscenza di quell'uomo di Dio. Da quell'epoca
in poi ricevemmo sempre da lui attestati di gentilezza e di carità.
Ho presso di me alcune sue lettere come preziosi ricordi, e una tra
le altre la quale mi ha recato il convincimento che Don Bosco era uomo
straordinario e veramente prediletto da Dio.
Comprendo bene, carissimo Don Rua, quale deve essere la sua afflizione
e quella di tutti i suoi compagni per tanta perdita, ma le deve essere
di conforto il pensiero che colui che piangiamo ha lasciato nella sua
partenza da questo mondo una pianta gigantesca, la quale ha disteso
i suoi rami non solo in Europa, ma financo in America, quale si è
la Congregazione Salesiana, della quale niuno era più idoneo
a prenderne la direzione, quanto Ella, che sarà aiutato in questo
grave incarico dallo stesso Don Bosco il quale se fu ricolmo di carità
qui in terra, presentemente poi trovandosi, siccome speriamo, in quella
regione ove la carità è perfetta, la proteggerà
anche dal cielo...
Roma 4 febbraio 1888.
ANGELO VITELLESCHI.
j) Monsignor Richard, arcivescovo di Parigi
Mon cher et révérend Père,
le veux vous dire toute la part que je prends au deuil de votre famille
salésienne. je regarde comme une gráce de Dien d'avoir
pu, en passant à Turin, voir encore une fois votre vénérable
Père, recevoir sa bénédiction et l'entendre me
dire qu'il bénissait tout Paris.
J'ai la confiance avec vous qu'il est au ciel, mais je célébrerai
une Messe pour lui, paxce que l'Eglise nous apprend à prier pour
les défunts dont nous avons le plus vénéré
la vertu.
Veuillez, mori elier et révérend Père, agréer
l'assurance de nion affectueux et respectueux dévouenient en
N. S.
Paris, ier Février 1888.
+ FR. Arch. de Paris.
822
1) Il cardinale Capecelatro.
Veneratissimo e Carissimo Sig. Don Rua,
La morte del venerando Don Bosco ha vivamente commosso e addolorato
il mio animo; e ora compio un debito d'affetto facendo le mie condoglianze
con lei e con tutti i figli di un sì gran padre. Il loro Don
Bosco fu un vero apostolo del nostro secolo, è uno di quelli
apostoli a cui il Signore concesse di raccogliere abbondanti frutti
dal proprio apostolato. Sia benedetto il Signore che lo ha mandato all'Italia
e ora il maggior desiderio mio e credo di moltissimi, è che le
opere stabilite da quel gran servo del Signore vivano e prosperino sempre
più.
Quando seppi che il loro padre Don Bosco era uscito dalla vita presente
pregai nella messa per quella anima eletta. Ma in verità io pensava
e sperava sopratutto che in quel momento dal cielo ei pregasse già
per i suoi figli, e per i molti che lo amavano e anche un poco per me.
Ora mi raccomando, riverito Padre, alle orazioni sue e di tutti i Salesiani
con i quali sono da gran tempo unito di cuore.
Con sentimenti poi di affettuosa stima me le professo
Capua, 5, Febbraio 1888.
Suo Dev.mo
+ ALFONSO Cardinale CAPECELATRO
Arcivescovo di Capua.
m) Monsignor Capelli, vescovo di Tortona.
Reverendissimo Sig. Direttore,
Dunque ci fu tolto il nostro ottimo Don Bosco, non ostante le fervorose
preghiere dell'immensa famiglia de' suoi cari figli e dei moltissimi
ammiratori, dell'Uomo benefico e santo per tenercelo qui ancora almeno
per qualche tempo! ma via: la sua Madonna l'ha voluto in Paradiso, perchè
già ricco di tanti meriti.
Quindi se la dolce e veneranda di Lui figura è scomparsa dai
nostri occhi ci vive però in cuore, e vivrà indelebile
la preziosa memoria delle grandi virtù ond'era adorno e che seppe
saviamente trasfondere nei degni eredi della provvidenziale sua Missione.
Ho appreso dai pubblici fogli lo spettacolo tenerissimo ed edificante
dei suoi funebri trionfali: e naturalmente io pure mi ero fatto sacro
dovere di celebrare la S. Messa per l'eterno riposo di quell'anima benedetta.
E qui appunto pensavo: tante dimostrazioni di affetto all'Uomo santo
questi tributi di suffragi che devono aver profittato all'espiazione
di un gran numero di spiriti avventurati per associarglisi
823
nell'ingresso alla patria celeste, non ponno a meno di essere un conforto
grande al dolore degli orfani figli. Essi sanno che l'amato Padre da
quel regno di gloria con più accesa e sovrumana carità
ora li guarda, li protegge, li benedice, e vuole poi rivederli in Cielo!
Davvero che ho fiducia anch'io nella protezione del venerato Defunto,
cui ebbi la fortuna di ospitare qualche giorno in questo mio Episcopio
nel 1875; e con questa fiducia, assai di buon cuore mi congratulo secolei,
Rev.mo Direttore, meritamente eletto nel surrogarlo al governo della
Congregazione. La prego di gradire i sensi della predistinta stima con
cui mi raffermo
D. V. S. Rev.ma
Tortona, il 6 febbraio 1888.
Devotissimo Servitore
+ VINCENZO, Vecovo di Tortona.
D) Cardinale Sanfelice, arcivescovo di Napoli.
Reverendissimo Padre,
L'annunzio della morte inaspettata di Don Bosco mi ha profondamente
colpito; è un altro apostolo di cui resta privo il mondo per
gli arcani voleri di Dio; e ne avranno a piangere la perdita pure i
nemici della Chiesa, da chè non v'ha sorta di persone e cui non
sia giunto il beneficio dell'apostolica carità di quel santo
Sacerdote. Egli da quest'ora farà meglio sentire specialmente
ai suoi figli quanto valga la protezione di lui; questo pensiere ed
il pensiere della gloria onde soli ora coronate le virtù di Lui,
sia il più balsamico conforto per quanti lo piangono. Alla S.
V. poi, già piena dello spirito del suo Fondatore, conceda Iddio
la grazia di mantenerlo sovrabbondante questo spirito in tutte le opere
da Lui fondate ed al presente alla S. V. commesse.
Assai volentieri tolgo questo quantunque doloroso incontro per significarle
i sensi della mia particolare stima ed ossequio in quella che mi professo
Della S. V. Rev.ma
Napoli, 6 febbraio 1888.
+Dev.mo S. Card. Arcivescovo.
o) Monsignor Guarino, arcivescovo di Messina.
Ill.mo e Rev.mo Signore,
L'annunzio della perdita immensa, che la Chiesa ha fatto colla morte
di Don Bosco, novello S. Vincenzo de' Paoli, mi ha tanto conturbato,
che non potei subito esprimere alla S. V. Rev.ma e alla intera Congregazione
Salesiana il mio acerbo dolore. Quell'uomo era
824
un miracolo era la Provvidenza di Dio resa sensibile: come non impressionarci
vivamente della di lui perdita? Ma egli vive in Cielo, ed ivi è
potente innanzi al trono di Dio: veglierà sulle opere stupende
lasciate sulla terra, e non lascierà di dare alle stesse nuovo
impulso ed incremento novello: ed Ella, che così bene ritrae
le sue virtù, otterrà sicuramente da Dio per la intercessione
del Santo ed illustre Fondatore tanto vigore e tanta forza di azione,
da renderne meno amara la dipartita.
Accolga, Rev.mo Signore, con tutti suoi confratelli quest'intimi sentimenti
dell'animo mio, e mi dia l'onore di essere
Della S. V. Rev.ma
Messina, 6 febbraio 1888.
Umilissimo servo
+ GIUSEPPE Arcivescovo di Messina.
p) Monsignor Fissore, arcivescovo di Vercelli.
Rev.mo. signor. Vicario,
Non ho parole per esprimere il dolore con cui ho appreso la perdita
dell'ottimo Don Bosco. La notizia non mi tornò inaspettata, ma
l'animo mio non fu meno straziato. Io fui dei primi a conoscere i saggi
di sode virtù sacerdotali che diede il compianto fin da quando
studiava nel Convitto ecclesiastico di San Francesco, d'Assisi. Ebbi
sempre occasione di vederne progressivamente lo sviluppo nella vita'
privata e pubblica, ed oso mettermi pure fra i primi a deplorarne il
vuoto che, lascia in terra, ma a crederlo già premiato subito
dal Signore.
Ella, signor Vicario della Congregazione Salesiana, che gli fu sempre
ai fianchi, ne prese lo spirito e ne divise le apostoliche fatiche e
sollecitudini, si conforti per la protezione dall'alto che Don Bosco
le compartirà alla direzione dell'immensa famiglia, alla prosecuzione
delle Opere di Carità.
Abbiasi la espressione de' miei sentimenti per Don Bosco, per Lei, per
tutti i Salesiani e Cooperatori. Io unirò per tutti le mie preghiere.
Mi pregio dichiararmi con profonda affettuosa stima
Di V. S. Rev.ma
Vercelli, 7 febbraio 1888.
Dev.mo servitore
+ CELESTINO Arcivescovo (I).
(I) A questa lettera faceva seguito, due giorni dopo, un biglietto,
recato dalla signora damigella Antonia, sorella a S. E. Rev.ma, con
le seguenti parole anche di pugno dell'istesso Rev.mo Mons. Celestino
Fissore, Arcivescovo di Vercelli: “ Al Rev.mo signor D. Rua Michele,
Vicario della Congregazione Salesiana, in soccorso dei bisogni che questa
possa avere nella dolo-
825
q) Monsignor d'Hulst, deputato al Parlamento e Rettore dell'Istituto
Cattolico di Parigi.
Mon Très Rev. Père
Je ne puis vous dire combien j'ai été touché de
l'attention que voue avez eue de m'annoncer par le télégraphe
la douloureuse nouvelle de la mort de Votre Père. Vous ne vous
étiez pas trompé en pensant que ce coup qui vous frappe
retentirait profondément dans nos coeurs ici.
J'ai suivi avec un respectueux intérêt dans les journaux
le récit des funérailles faites par la population de Turin
au serviteur de Dieu à qui la légalité mesquine
et tracassière a refusé un tombeau dans l'église
qu'il a construite. Je ne doute pas que sa protection ne couvre son
oeuvre après lui et ne vous obtienne la force et la lumière
nécessaires pour continuer ses immenses entreprises. Celle de
Paris nous trouvera toujours disposés à la seconder.
Veuillez agréer, mon Très Révérend Père,
l'assurance de mes sentiments les plus respectueux et les plus dévoués
Paris le 7 Fevrier 1888.
W. D'HULST.
r) Monsignor Richelmy, vescovo d'Ivrea.
Rev.mo Signore, in G. C. carissimo,
Sono in ritardo nell'esprimere a V. S. e a tutta codesta benemerita
Congregazione le mie sincere condoglianze per la gravissima perdita
sofferta. Ma non per questo voglio mi sia dato l'ultimo luogo fra gli
ammiratori del Venerando Don Bosco e gli amatori della famiglia Salesiana.
Ho pregato per Don Bosco, e voglio sperare che Egli dal cielo si ricordi
di me; ho pregato e pregherò nella mia pochezza per i buoni Salesiani,
e confido, che essi non vorranno dimenticare un amico oggimai di antica
data, e Sovratutto non abbandoneranno la mia diletta Diocesi che ha
par tanto bisogno di assistenza e di aiuto.
Mi raccomando alla carità delle sue orazioni, e mi dico con affetto
ne' SS. Cuori di Gesù e di Maria,
Di V. S. R.ma
Ivrea, 8 febbraio 1888.
Dev.mo, aff.mo servitore
+ AGOSTINO, Vescovo.
rosa circostanza della perdita dell'egregio suo fondatore Don Giovanni
Bosco, offre l'obolo suo in lire 1000. Lire mille ”, Monsignore
era fratello del dottor Fissore, che con esemplarismo disinteresse aveva
prestato l'opera sua nell'ultima malattia di Don Bosco,
826
s) Baronessa Scoppa di Badolato (Catanzaro).
Ven.mo Padre
Qual dolore per me ricevere la di lei partecipazione della perdita
del caro Padre Don Bosco! Ah! Egli mi scrisse che mi voleva a Torino
ed io venni obbediente ai cenni suoi, Voleva congedarsi. Mi disse che
ci dovremo vedere in paradiso e non più sulla terra. Il Signore
mi tolse il conforto di un santo il quale aveva bontà per me.
Adoro i suoi voleri.
Pregai vostra Paternità di farmi avere qualche sua reliquia,
faccia grazia di favorirmela. Immagino la pena di quel giovane che sta
sempre con Don Bosco,
Vorrei per quest'anno pagare io uno dei missionarii che stanno all'estero;
nel manifesto diceva bisognare 700 lire; e gliele manderò presto
in vaglia postale, così io avrò il merito di quanto egli
farà in vantaggio delle anime.
Ho fatte celebrare messe, ottenni comunioni di varie persone ed anche
le mie applicai pel caro defunto. Stamane nella chiesa mia del palazzo
ho fatto celebrare un splendido funerale, col canto eziandio dell'ufficio
dei defunti e continuo a suffragare quell'anima benedetta. Spero che
sia nel cielo e ne avrà gloria accidentale.
Le chiedo la benedizione e le bacio la mano.
Ossequio quei Padri che ebbi la fortuna di avvicinare.
S. And. feb. 1888.
Baronessa di BADOLATO SCOPPA.
t) Il predicatore Don Salvatore Di Pietro.
Amatissimo e Rev.mo P. Don Rua,
Coll'anima profondamente addolorata, col cuore trafitto dal più
acerbo dolore, ultimo dei cooperatori, mi unisco alla famiglia Salesiana,
mescendo le mie alle sue lagrime, per piangere insieme il Padre nostro
e il benefattore dell'umanità.
Trepidante e colla più viva ansia del cuore ho seguito giornalmente
le nuove dell'infermità che travagliava il venerando estinto.
L'annuncio della sua morte se mi addolorò lascio considerarlo
alla R. V. Ma il pensiero di avere quinci innanzi appo Dio un avvocato
di più, un intercessore valevole, ha sollevato in qualche maniera
il dolore dell'anima mia.
Piangente stamane ho celebrato il santo sagrificio per quell'anima santa,
affinchè il nostro buon Dio ben presto faccia splendere per lei
la luce eterna e la pace dei saliti. Dopo i lavori ben lunghi è
andato a trovare il meritato guiderdone nel cielo.
La speranza che pregherà di lassù per tutta la numerosissima
sua figliuolanza spirituale ci animi ancora più a durare negli
intrapresi lavori per la maggior gloria di Dio.
827
L'immagine caramente affettuosa nel nostro amatissimo Don Bosco mi
è rimasta fittamente impressa nel cuore, quando reduce dal quaresimale
di Torino, fermatomi a Roma presso i Padri Salesiani alla Chiesa del
Sacro Cuore, ebbi la fortuna di restare per ben cinque giorni accanto
a lui (Aprile 1884).
Allora era un continuo via vai a quel santo tempio non ancor terminato,
da gente di ogni nazione e di ogni lingua, che andava colà per
vedere da vicino, per sentir parlare e per ammirare il santo. Nè
alcuno tornava se prima non avesse ottenuto una qualche cosetta che
fosse stata toccata dalla mano, o benedetta, o usata da Don Bosco. Oh
se sapesse, mio caro Padre, ciò che io vidi allora e come l'animo
mio ebbe a rinfervorarsi di fede e di amore pel nostro Amor Crocefisso.
Ei mi voleva d'accanto e passammo lunghe ore in santi parlari. Fu allora
che io vidi signore della più alta aristocrazia romana, francese,
tedesca, usare al tempio del Sacro Cuore a Roma, lasciare fazzoletti
a colore e bianchi e tanti altri oggetti, per farli usare anche una
volta sola al Padre ed averli restituiti quale preziosa ricordanza,
ecc. ecc.
Palermo li 9 febbraio 1888.
Sac. SALVATORE Don PIETRO COOP. S.
dal ritiro di S. Eulalia. Via Coltellieri 17
u) Monsignor Sebaux, vescovo di Angouléme.
Mon Révérend Père,
J'éprouve le besoin de vous dire toute la part que je prends
à votre douleur. La perte du vénérable Doni Bosco
serait, ori peut le dire, un deuil pour l'Eglise che - méme,
si, dans le prétre et le fils si dévoué qu'elle
pleure, che ne voyait son éhi récompensé pour tant
d'oeuvres saintes. Pour vous, pour l'Istitut vous avez perdu un Pérc;
mais il devient près de Dicu son tendre et puissant protecteur
en méme
temps qu'il laisse à ses enfants son adinirable esprit.
Veuillez bien agréer, mon Révérend Père,
l'expression de ma vive et respectueuse sympathie.
Angouléme le 10 fév. 1888.
+ A. L. Ev. d'Angouléme.
v) L'avvocato Miche] di Nizza mare.
Cher Don Rua,
Je reviens de Rome où j'ai présenté au St Père
le groupe des membres de la société de S. V. de Paul venus
de Nice. Lorsque j'ai présenté les deux enfants du Patronage
St Pierre le St Père leur a
828
aussitót demandé s'ils avaient fait leur prière
pour Dom Bosco. Il /aut bien prier, a - t - il ajouté, pour ce
saint homme qui vous a fait tant de bien et qui en a fait Lì
un si grandnombre d'enfants. Du haut du Ciel il regardera votre Prière
et il continuera àvous Protéger.
je tenais à vous dire ces choses qui seront clières au
eccur de tous les Salésiens. En maintenant vous savez que nous
aussi, nous* pleurons notre meiReur ami, notre cher père, car
nous étions ses enfants dans le siècle. Nous ne pourons
mieux lui témoigner notre reconnaissance qu' en prenant soin
de ses oeuvres, et c'est ce que nous espérons faire avec l'aide
de Dieu, selon notre pouvoir. Rappelez - nous au souvenir et aux prières
de vos confrères...
Nice, II Février 1888. E. MICHEL.
z) La contessa Mocenigo Soranzo.
Veneratissimo Sig. Don Rua,
A nome anche di mio marito mi permetto di offrirle il nostro obolo
per i funebri del nostro santo e compianto Don Bosco che consideravamo
come nostro Padre. Al dolore immenso, indicibile che proviamo per la
perdita, ci si aggiunge anche l'angustia in cui ci troviamo pel nostro
figlio Giusmino (che ha 14 anni) il quale è in uno stato di salute
che molto ci fa temere, avendo da un mese la febbre che non vuol cedere
e lo rifinisce. Noi la supplichiamo di raccomandarlo al santo Don Bosco
perchè ce lo faccia guarire. Preghi questo caro santo anche per
noi tutti e si degni mandarci la sua santa benedizione. Preghi pel mio
Bambino. Sono tanto angosciata!
La Contessa MOCENIGO SORANZO
nata Principessa di Soresina Vidoni.
99.
Ricordi personali intorno a Don Bosco
I. Teologo Ramello, canonico arciprete di Pinerolo a Don Rua, 2 febbraio:
“ Quanto questo caro padre mi amava, quante dimostrazioni mi diede
del suo affetto fino all'epoca in cui io ebbi la bella sorte di conoscerlo,
avvicinarlo, quando era nei suoi primordii questo Oratorio Salesiano;
e quindi in seguito per il non breve corso di circa trenta anni. Ed
una dimostrazione l'ebbi verso il fine del s. u. dicembre, in cui Don
Bosco mi inviò un biglietto scritto di suo pugno che conserverò
come una reliquia. Quante volte Don Bosco mi disse che la sua
829
casa era per me aperta, che mi avrebbe in qualunque momento accolto,
e ciò mi ripetè nei due anni in cui si recò a respirare
quest'aria nella stagione estiva, per riacquistare le forze perdute
”.
2. Don Selva da Chiavazza (Biella) a Don Rua, 2 febbraio: L'umile cooperatore
salesiano che scrive […] gode di ricordare che Don Bosco fu un
giorno nella casa sua paterna in Pettinengo (Biella) viventi allora
il buon nonno e il carissimo papà, ammiratore poi del venerato
defunto fin dai primi anni del suo apostolato. Chi scrive sa dove ei
sedette e si trattenne colla famiglia... e forse allora ignorava (e
chi l'avrebbe detto?) la missione che affidavagli la Divina Provvidenza...
Oh che missione! ”.
3. Romano Perucatti, da Cuneo a Don Rua, 2 febbraio: “ Tu sai
quanto io abbia sempre amato il santo sacerdote che nel 1849 e 1850
m'impartiva i primi elementi della dottrina cristiana e non posso dimenticare
i suoi amorevoli consigli che dal 1861 al 1879 sempre da quel buon Padre
ricevevo e le cure ch'ei ebbe pel mio povero figlio, e quanto ricevettero
i miei fratelli Giacinto e Placido ” .
4. La cooperatrice Vittoria Protasi, da Arona a Don Rua, 2 febbraio:
“ Io sentiva di amarlo tanto e molto più dopo che ebbi
la fortuna di trattarlo di presenza e ricevere da lui savi consigli
”.
5. Eugenia Telles de Gama, dama d'onore della Regina Maria Pia del Portogallo,
da Lisbona a Don Rua, 2 febbraio: “je suis heureuse d'avoir eu
le bonheur de connaltre personellement ce Saint Prétre, lors
du dernier passage de notre Reine Marie Pie à Turin. Favais l'honneur
d'accompagtier sa Majesté, et je me fis un devoir et une 19te
de rendre visite à celui que je connaissais de renommée
et que je tenais à voir; et toujours je conserverai le souvenir
de soli air de bonté, et de la bienveillance avec laquelle il
a requ mes visites ”.
6. Mons. Coullié, vescovo di Orléans, poi cardinale, a
Don Rua, 3 febbraio: “ j'ai eu le bonheur de voir plusieurs fois
Doti Bosco en allant à Rome et je regardais comme une gráce
de Dieu la joie de l'entretenir et de recueillir ses paroles *.
7. La cooperatrice L. Remacle, da Auxerre (Yonne) a Don Rua, 3 febbraio:
“ Ce n'est vraiment que depuis quatre ans, à l'hiver 18831884
passé dans le Midi que nous avons connu avee joie ce saint dont
le nota remplìssait une partie notable de ce monde par ses bienfaits.
C'est à la maison de la Navarre près d'Hyères que
le bon Père nous a reques pendant assez long temps; sa bonté,
ses prières et sa bénédiction deux fois pendant
cette visite à jainais mémorable, nous olit remplìes
de courage et de force dans nos tourments. Il nons a parlé de
ses muvres immenses, de cette lotterie qui commengait à s'organiser
et a fait de nous quatre coopératrices; et a bien voulu depuis
de temps
830
recevoir de moi bien des demandes de prières et a toujours daigné
répondre à mes indiscrètes suppliques! Ce vénéré
Père a bien voulu nous envoyer les paroles de consolation dont
il avait si bien le secret lorsque le bon Dieu a redemandé notre
enfant bien-aimé il y a trois ans! Tous ces souvenirs me sont
bien chers! Et toutes les nombreuses lignes, que le regretté
et vénéré Dom Bosco a bien voulu m'écrire
sont réunnies classées comme une véritable relique
pieusement couservée ».
8. La cooperatrice Reboud, da St-Marcellin (Isère) a Don Rua,
3 febbraio: « Nous remercions Dieu de nous avoir fait connaître
votre bien-aimé Dom Bosco. La vue d'un saint est une vision du
ciel. C'est un bonheur inoubliable. Si j'ai pu jouir de cette consolation,
d'une façon aussi complète, je ne puis oublier que je
le dois à vous, mon Révérend Père ».
9. La signora Antonietta Sassulier, da Grodno (Polonia) a Don Rua, 3
febbraio: «Ma pauvre fille Marie qui grâce aux prières
du bon Père Bosco a recouvré la santé, est depuis
trois ans à Varsavie en qualité d'institutrice [...].
Elle venait passer ses vacances à Versailles et c'est là
qu'elle eut le bonheur de faire connaissance du Père Bosco et
d'en recevoir sa bénédiction ».
10. Il marchese Angelo Vitelleschi, da Roma a Don Rua, 4 febbraio: La
nostra famiglia fu la prima qui a Roma, la quale ebbe la sorte di stringere
con essolui preziose relazioni, ciò che si verificò nel
1864, quando io con la mia compianta compagna ci recammo per la prima
volta a Torino e facemmo conoscenza di quell'uomo di Dio. Da quell'epoca
in poi ricevemmo sempre da lui attestati di géntilezza e di carità.
Ho presso di me alcune sue lettere come preziosi ricordi, e una tra
le altre la quale mi ha recato il convincimento che Don Bosco era uomo
straordinario e veramente prediletto da Dio».
11. L'abate Ravoux, curato di Saint Hilaire (Orléans), a Don
Rua, 4 febbraio: « Je me plais à être persuadé
qu'un jour, et Dieu fasse que ce soit bientôt, il sera mis au
nombre des saints. J'ai eu la consolation de le voir, de l'entendre,
de recevoir sa bénédiction deux fois ».
12. La cooperatrice L. Naudé, da Peronne (Somme) a Don Rua, 4
febbraio: « Je suis très heureuse d'avoir pu le voir il
y a quelques années dans un pèlerinage à Rome et
à Turin: Ce sont là des souvenirs ineffaçables
qui me sont bien précieux ».
13. La cooperatrice Lachèze, da Angers a Don Rua, 4 febbraio:
«Nous avions eu le bonheur de le voir à Paris chez Mr de
Franqueville à Passy et nous avions compté comme un jour
heureux dans notre vie cette journée».
831
14. Il signor Sutto, da La Ciotat a Don Rua, 5 febbraio: “ Lunedì
vado a St - Cyr all'Orphelinat ove pensiamo di preparare un poco di
serra. Quando Don Bosco fu a Marsiglia mi disse: - Se non sapete come
fare, mettete delle coperte per riparare le primizie dal freddo. Ma
spero che troveremo qualche vetro ”.
15. La cooperatrice Amalia Lacomte, da Vatence a Don Rua, 5 febbraio:
“ Je suis la première personne de Valence, qu'il ait connue
et j'avais en lui la plus grande confiance et la plus profonde vénération
”.
16. La contessa de Liniers, da Champdeniers (Deux - Sèvres) a
Don Rua, 5 febbraio: “ Il y a près de six ans mon fils
unique alors ágé de six ans était atteint d'une
angine couenneuse qui nous laissait bien pcu d'espérer de le
sauver, nous avons sollicité les prières du si regreté
Doni Bosco et notre fils nous a été conservé ”.
17. La signora Carolina Leclerc, da Laval (Mayenne) a Don Rua, 5 febbraio:
“ Ce vénérable Père, par une neuvaine qu'il
fit pour nous au mois de novembre dernier, nous avait obtenu une faveur
temporelle
18. La signora Casimira Tettoni, da Torino a Don Rua, 6 febbraio: “
Io che animata dalla sua squisita bontà osava visitarlo tre o
quattro volte all'anno, posso dire che mi lasciava una soavità
indescrivibile. L'ultimo giorno che ebbi il gran bene di vederlo fu
il 21 novembre. Gli chiesi consiglio se andare io a Roma pel giubileo
del Santo Padre ed egli mi incoraggiò ad andarvi. Aderii ed ora
mi trovo contenta e se non era di lui non sarei andata ”.
19. L'abate E. Vinson, da St. Canodet (Haute - Loire) a Don Rua, 6 febbraio:
“J'ai eu la consolation de contempler une fois l'enveloppe corporelle
d'un saint, puisque j'ai eu le bonheur d'assister à un sermon
de charité prêché par D. Bosco à Aix (B.
D. R.) il y a quelques années. Je n'eus pas la faveur de lui
parler en particulier comme je l'aurais désiré; mais je
le vis de bien près lorqu'il passa au milieu de nous pour quêter
en faveur de ses œuvres ”.
20. La pittrice E. Salanson, da Parigi, (117 Rue Notre - Dame des Champs)
a Don Rua, 6 febbraio: “ J'adresse en méme temps une photographie
du portrait que j'ai fait du Vénérable Dom Bosco quand
il est vemi à Paris en 1883. j'en ai vendu un certain nombre
potir ses ceuvres. Le portrait est encore en ma possession mais il a
été f ait pour servir à la pieuse Société
Salésienne ”.
21. La cooperatrice E. Verny nata Dauphin, da Aubenas (Ardèche)
a Don Rua, 6 febbraio: “ Je considère comme une grâce
insigne les bénédictions que le Bon Père voulut
bien m'adresser il y a dixhuit mois, je conserve avec vénération
ses deux lettres, signées de sa main et l'image où il
a joint une prière ”.
832
22. La cooperatrice A. Merigaít, da Trouville - sur - mer (Calvados)
a Don Rua, 6 febbraio: “ Je remercie Dieu d'avoir permis que je
fusse quoique pour une bien petite partie du nombre de ses coopératríces.
j'ai eu le bonheur de voir Don Bosco deux fois; la première à
Turin, étant en pèlerinage pour Rome où j'ai admiré
son œuvre magnifique, la seconde à Paris. J'aurais bieli
voulu lui parler mais il ne m'en a pas été poss ible à
cause de la foule qui l'entourait ”.
23. L'ex - allievo Carlo Brovia, presidente della Società Operaia
Cattolica di Nizza Monferrato, a Don Rua, 7 febbraio: “ Noi ancora
rammentiamo quella felice serata passata qui nella nostra sala cioè
l’11 (I) agosto 1881, ove il Venerando Padre ci diede quei santi
consigli, che ancora portiamo e per sempre porteremo scolpiti nel cuore
e di più li trasmetteremo ai nostri cari figli. Don Giovanni
Bosco non è morto, perchè sempre vivrà nel cuore
dell'Operaio Cattolico ”.
24. La cooperatrice Eulalia Ruty, da Lons le Saunier (Jura) a Don Rua,
7 febbraio: “ Combien je suis heureuse d'avoir une image de lui
et quelques lignes qu'il m'a fait l'honneur de m'écrire. Je conserve
cela comme des reliques, car je vénérais et aimais beaucoup
Dom Bosco, comme tout le monde qui connaissait ses œuvres merveilleuses
et sa sainteté ”.
25. La cooperatrice Lepage nata Delys, da Rennes a Don Rua, 7 febbraio:
“ Je considère comme une gráce et conune un des
bonheurs de ma vie d'avoir pu le rencontrer à Paris. La pensée
qu'il a bien voulu prier pour moi et pour les miens et qu'il me continuera
sa protection m'est une consolation bien douce. Je resterai fidèle
à son souvenir et attachée aux œuvres dont il nous
a laissé la garde ”.
26. La cooperatrice Giulia Pensa, da Desio (Milano) a Don Rua, 8 febbraio:
“ Io sono un nulla. Ebbi una sol volta la ventura di parlare a
Don Bosco me n'ebbi parole indimenticabili di supremo conforto ”.
27. La signora Rosa Celotta - Antoniol, da Longarone (Belluno) a Don
Rua, 8 febbraio: “ Un orfano mio nipote di 24 anni gemeva, da
sei mesi nel manicomio di Ferrara, che il verdetto medico dichiarava
inguaribile. Allora disperata mi rivolsi al santo Don Bosco per una
benedizione speciale raccontando il caso triste. Mi rispose che comincierebbe
una novena colla Comunione di tutti i suoi alunni; poco dopo il Direttore
del manicomio scrisse alla misera madre che il figlio segnava sensibile
miglioramento. Ed era nel momento fatale che, non potendo più
mantenerlo, la sua povera madre era costretta a farlo passare a gratis,
ma in una classe inferiore, ove sarebbe morto disperato! Invece mio
marito andò a prenderlo e in onta al consiglio medico
(I) Fu l'8, non l'II (cfr. vol. XV, pag. 361).
833
che si opponeva; 10 condusse nelle nostre braccia. De amorose cure
calmarouo l'orgasmo delle terribili fissazioni e dopo due mesi si ebbe
l'ineffabile gioia di restituirlo tranquillo in seno della sua famiglial
»:
28. La Superiora delle Orsoline di Nizza Marittima a Don Rua, 8 febbraio:
e Il disait en octobre dernier à une de nos élèves,
dont la famille habite à Turin, qu'il aimait beaucoup la maison
de Ste Ursule de Nice, il a insisté dans cette assertion,. Au
départ de notre élève, ce qui nous est une vraie
consolation ».
29. La cooperatrice J. Thomas, da Tolone a Don Rua, 8 febbraio: «Notre
Vénéré et bien-aimé Dom Bosco nous avait
donné une grande épreuve d'affection en venant apporter
sa bénédiction à une nièce gravement malade,
qui a été guérie presqu'aussitôt »:
30. Un'istitutrice Luisa Roy, da Vienna a Don Rua, 8 febbraio: , «Vous
savez ce que Dom Bosco a été pour moi, l'auteur de conversion
et par conséquent du repos actuel de ma conscience [...]. Il
me semble avoir perdu plus qu'un père et un ami, car ses prières
seules ont eu le don dé vaincre mes incertitudes et de me donner
le courage de devenir ce que je me sens maintenant [...]. Je veux que
vous sachiez que je n'ai point été indifférente
à sa maladie, moi qui lui dois tout, ni à sa mort, qui
me laisse comme orpheline ».
31. La signora Sofia de Voldre, presidente della Guardia d'onore, da
Roma a Don Rua, 8 febbraio: « Nous eûmes l'honneur de le
voir et de receyoir sa bénédiction à son dernier
voyage à Rome. Après nous avoir promis de recommander
nos projets a Dieu: - Au revoir en Paradis, nous dit-il. Priez pour
moi, pour mes enfants, pour mes fils. - Et il ajouta cette autre parole:
- Des peines et des joies bénissons le Seigneur. - Elle est restée
dans nos âmes comme un testaments.
32. Don Stefano Selvatico, arciprete di Saliceto (Cuneo) a Don Rua,
9,/febbraio: « Trent'anni fa in questa mia Parrocchia dettava
i santi Esercizi e non è a dire il bene che vi fece quel sant'uomo,
per cui molti ricordano ancora le sue prediche e ne parlano con ammirazione
».
33. La vedova Lucrezia Negrini, scrivendo il 9 febbraio a Don Rua da
Verona di una visita a Don Bosco nel collegio di Valsalice (1884) terminava
così: « Me ne sono andata con l'animo contento non solo
ma con una certa fiducia in Don Bosco che non seppi spiegare ».
34. Il conte de Moudion, dal castello d'Artigny per Loudun (Vienne)
a Don Rua, 9 febbraio: « Il y a quelques semaines à peine,
sur ma demande expresse, Dom Bosco voulait bien prier et faire prier
par ses enfants pour obtenir de N. D. Auxiliatrice une heureuse délivrance.
J'ai la joie de vous annoncer que M.me la Comtesse de Moudion est heureusement
accouchée d'un fils le ter février lendemain de la mort
834
de votre regretté Père. Les prières encore une
fois ont été exaucées et c'est une consolation
pour nous (le voir que celui que vous pleurez ne laisse aprés
lui que des sujets d'allegresse et de reconnaissance ” .
35. La signorina A. Touzet, da Parigi a Don Rua, 9 febbraio: “
j'ai connu particulièrement Dom Bosco. Deux fois à Turin
et à Paris j'ai pu approcher du Saint Vincent de Paul de notre
siècle, j'ai pu recevoir ses conseils et ses lumières
”.
36. La cooperatrice Maddalena Ochninger, da Wierzl (Tirolo) a Don Rua,
9 febbraio: “ J'ai eu le bonheur d'avoir vu une fois le vénéré
Dom Bosco, je lui ai parlé et requ sa bénédiction.
Jamais je n'oublierai ce moment, ni Celui qui m'accueillait avec tant
de bonté. On peut aussi dire de Lui: Il passait en faisant du,
bien partout ”.
37. Enrichetta Tavallini, dal Vercellese a Don Rua, 10 febbraio: “
Oh non dimenticherò mai quell'espressione paradisiaca che spirava
da tutta la sua persona e le dolci parole avute ”.
38, Giov. Battista Santi, da Bra a Don Rua. 10 febbraio: “ O caro
Don Bosco, di lassù prega per me e per la mia famiglia che tante
volte benignamente accoglievi nella tua stanza e ci confortavi con sante
parole ”.
39. L'abate Merlin, curato di Veyrac (Haute Vienne), a Don Rua, 10 febbraio:
“ je remercie la Erovidence de m'avoir permis de faire votre précicuse
connaissance à mon passage à Turin le 13 octobre, lors
du pèlerinage des ouvriers français, à l'occasion
du jubilé sacerdotale du Souverain Pontife et d'avoir reçu
avec une médaille la bénédietion du bien - aimé
Dom Bosco ”.
40. La marchesa de Saint Seine, da Digione a Don Rua, 10 febbraio: “
Il avait été si paternellement bon pour moi que je voudrais
savoir vous dire quel sonvenir filial je garde de lui. je repasse dans
mon coeur tout ce qu'il a bien voulu me dire [ ... ]. C'est pour moi
un souvenir bien doux, et que je regarde comin un véritable bienfait
du ciel que celui d'avoir reçu chez nous, sous notre toit, ce
véritable St. Vincent de Paul”.
41 - M.elle Ruelle, da Tullins (Isère), a Don Rua, 10 febbraio:
“ Il y a cinq ans que je fus à Turin pour avoir la consolation
de parler au regretté Dom Bosco; il m'a obtenu une guérison
dont je lui serai toujours recónnaissante ”.
42. La vedova Nunziata Tancredi, da S. Marco in Lamis (Foggia) a Don
Rua, 11 febbraio: “ Ebbi la felicissima sorte di conoscerlo, di
vederlo, di parlare con lui. Si può immaginare se la conoscenza
di un sacerdote fatto secondo il cuore di Dio possa destare devozione,
stima ed affetto verso di lui ”.
835
43. H. de Trolong du Romain (senz'altra indicazione), a Don Rua, 11
febbraio: “ Je dois à ses saintes prières de si
grandes grâces pour toute la famille et très particulièrement
pour papa pour lequel il a obtenu une mort douce et si chrétienne
que j'ai l'âme pleine de reconnaissance pour lui ”.
44. La contessa del Melle, da Firenze a Don Rua, 13 febbraio: “
Nelle dolorose vicende della mia vita ho spesso ricorso a Lui, alle
sue preghiere. Egli con bontà infinita mi rispondeva alcune linee
o mi faceva rispondere, e debbo dirlo, mediante la sua intercessione
presso Dio, ho ottenuto delle grazie quasi miracolose ”.
45. Il sacerdote Luigi Ferrugio, da Malta a Don Durando, 13 febbraio:
“ Avendo avuto, or sono quasi cinque anni, il bene di ossequiarlo,
la sua memoria mi rimase sì impressa nella mente e nel cuore,
che mi fu impossibile dimenticarlo anche un istante solo ”.
46. La signora Maria Lécroart, da Lilla a Don Rua, 13 febbraio:
“ Il avait été d'une amabilité extrême
pour moi, en l'état dans lequel je me trouve; puisque depuis
treize ans je suis privée de l'usage de mes jambes. Lors de son
passage à Lille ce très vénéré Père
a été assez bon pour me combler de ses conseils et encouragements,
et m'a assuré que jamais il ne cesserait de prier pour moi ”
.
47. La signora V. Le Mire, da Digione a Don Rua, 16 febbraio: “
Notre vénéré Père Dom Bosco avait bien voulu
obtenir de Dieu une gráce de guérison signalée
en faveur de ma belle - fille Jeanne Le Mire. Je conserverai toujours
comme un des souvenirs les plus précieux de ma vie le bonheur
et l'honneur d'être allée remercier ce cher saint à
Turin ”.
48. L'arciprete Pietro Poltroneri, da Vigevano scrivendo a Don Rua il
17 gennaio del discorso di quel Vescovo monsignor De Gaudenzi ai seminaristi
e al clero dopo un solenne funerale, ne riferiva queste testuali parole:
“ Da mihi animas, cetera tolle, mi diceva il sant'uomo un giorno
in cui avendolo meco a Vercelli, ci comunicavamo i nostri rispettivi
dispiaceri; ecco, Arciprete, ciò che dobbiamo dire al buon Dio
noi sacerdoti ”.
49. Don Romain, priore del monastero benedettino a Saint - Pierre de
Canon, a Don Rua, 18 febbraio: “ Je veux vous dire la vénération
et l'ardente sympathie que j'ai toujours éprouvées à
l'égard de Dom Bosco depuis qu'il me fut donné d'avoir
quelques rapports avec lui. Mon âme a respiré auprès
de sa personne, pour ne plus l'oublier, ce parfum de sainteté
qui s'exhalait de lui et qui frappait tout le monde ”.
50. Don Giovanni Trudu, da Belvì (Oristano) a Don Rua, 20 febbraio:
“ Io ho la fortuna d'averlo avuto per Maestro e Padre per circa
cinque anni […]. Non temo di dirlo; per quanto ho potuto conoscere
836
in quei fortunati cinque anni, se il Signore mi dà vita, spero
di poterlo celebrare all'altare ”.
51. Don Emilio Sacco, parroco di San Stefano in Pallanza, a Don Rua,
20 febbraio: “ Quanto era caro! Quanto era virtuoso e salito!
Mi sembra ancora di vederlo a sorridermi, di udire le dolci sue parole,
di ammirare quel suo amabile Volto sul quale era chiaramente stampata
la bellezza del suo cuore [...]. Possa io nel mio ministero conservare
quello spirito di carità e di zelo che Egli mi ha così
eloquentemente insegnato colla voce e coll'esempio ”.
100.
Verbale collocato nella cassa.
I sottoscritti fanno fede che in questo feretro sono composte le umane
spoglie del Sacerdote Don Giovanni Bosco, fondatore della Congregazione
di S. Francesco di Sales, delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei Cooperatori
e Cooperatrici Salesiane. Nacque in Castelnuovo d'Asti:il 15 agosto
del 1815 da Francesco e Margherita Occhiena, e morì di mielite
lenta, come risulta dalla scheda di consegna fatta al Municipio e sottoscritta
dal medico curante dott. Albertotti, in Torino nell'Oratorio di S. Francesco
di Sales, il 31 gennaio 1888, alle ore 4 ¾ antimeridiane, pochi
minuti dopo il suono dell'Ave Maria, che parve la voce della Vergine
Ausiliatrice che lo chiamasse al cielo, sulla fine del X anno del glorioso
pontificato del sapientissimo Papa Leone XIII, governando l'Archidiocesi
di Torino l'Em.mo cardinale Gaetano Alimonda e regnando Umberto I di
Savoia, nostro Sovrano. - Delle opere per carità e zelo ammirande,
delle varie istituzioni, delle grandi ed eroiche virtù, della
vita di questo illustre Estinto e del compianto generale, che eccitò
tra il popoli la sua morte, dirà a suo tempo la storia.
Il cadavere veste la sottana, ed è rivestito dei sacri paramenti
violacei, come nell'atto di celebrare la santa Messa. Nel feretro, insieme
con questa pergamena, dentro un'astuccio di vetro sono pure, state poste
tre medaglie di Maria Ausiliatrice, ed altra medaglia d'argento commemorante
il giubileo sacerdotale di Leone XIII.
Ossa dolorosamente compiante e bagnate di tante lagrime, riposate in
pace sino al giorno in cui lo squillo dell'angelica tromba chiamerà
ancor voi all'eterna gloria, e lo spirito che già vi animò
sia a noi propizio dall'alto dei cieli, dove fondatamente speriamo che
già si trovi a bearsi in Dio ed in Maria, che tanto amò,
e nella quale ebbe sempre riposta la più grande fiducia.
Torino, 2 febbraio 1888. (Seguitano le firme).
837
101.
Ordine per la sepoltura.
1. Figlie di Maria della Parrocchia di S. Donato.
2. Figlie di Maria della Parrocchia di S. Gioachino.
3. Signore Cooperatrici Salesiane.
4. Giovani artigiani dell'Oratorio divisi per laboratorio.
5. Giovani studenti divisi per classe.
6. Alunni dell’Ospizio di S.Giovanni Evangelista.
7. Coadiutori dell’Oratorio e delle altre Case Salesiane.
8. Antichi alunni dell’Oratorio.
9. Signori Cooperatori Salesiani.
10. Banda musicale.
11. Suddiacono crocifero e accoliti.
12. Chierici per ordine di classe.
13. Rev. Sacerdoti per anzianità.
14. Id. Parroci e Canonici.
15. EE. RR. Mons. Vescovi.
16. Feretro portato da otto Sacerdoti.
17. Accanto al feretro Direttori Salesiani.
18. Presidente e Comitato della Società Generale dei Congressi
Cattolici.
19. Società degli Operai Cattolici della Parrocchia di S. Gioacchino.
20. Società della Gioventù Cattolica e Società
del Coraggio Cattolico.
21. Alle altre rappresentanze che si aggiungeranno sarà assegnato
il posto conveniente.
102.
I Chierici di Valsalice a Don Rua.
Rev.mo Signor Don Rua,
La mestissima cerimonia di quest'oggi sarà per la casa di Valsalice
un avvenimento di memoria imperitura.
La paternità vostra Rev.ma ci consegnava a nome del Capitolo
Superiore e di tutti i confratelli la salma venerata del comune nostro
padre e fondatore. Di questo inestimabile favore ci affrettiamo a renderle
le più sentite grazie; mentre in pari tempo l'assicuriamo che
procureremo di essere vigilanti custodi del sacro pegno.
Promettiamo poi di seguire con sollecita ed amorosa premura i cari ricordi
da lei lasciatici sulla tomba di Don Bosco e di tutto cuore su questa
giuriamo di voler lavorare per renderci degni di così gran
838
padre. Vogliamo lavorare perchè uscendo di Valsalice, si possa
dire essere noi virgulti cresciuti su quel tumulo benedetto. Avvalori
Dio i nostri propositi e faccia l'intercessione di Don Bosco medesimo
che noi non vi abbiamo a mancare mai.
Mons. Cagliero nel suo bellissimo discorso ci lasciò anche un
ricordo speciale; ci disse di ricevere bene i Salesiani che sarebbero
venuti qui a pregare presso le amate e sante ossa del benedetto padre.
Ebbene, sì, vengano pure questi fratelli, vengano senza tema
di recarci disturbo, che noi li riceveremo sempre a braccia aperte e
uniremo le nostre alle loro preghiere, i nostri ai loro sospiri, ai
loro proponimenti uniremo i nostri, perchè tutti possiamo renderci
veri imitatori delle virtù del comune padre. Vengano tutti e
possa questa casa diventare come il santuario della nostra Congregazione.
Fù detto del Divin Redentore che il suo sepolcro sarebbe un dì
glorioso. Ben possiamo sperare anche nel nostro piccolo di poter ripetere
la medesima cosa per questo sepolcro nostro! Faccia Iddio che i nostri
ardenti voti siano presto compiuti. E se qualche cosa vi potesse mancare
ci offriamo noi stessi al Signore e col sacrificio e la preghiera procureremo
di affrettare questo bramato istante. Sì gran Dio glorificate
in morte quel vostro buon servo che già tanto vi degnaste di
glorificare in vita. Sì, o cara Madre Vergine Ausiliatrice, voi
che già tanto v'adoperaste per questo vostro grande divoto continuate
l'opera vostra; datecelo presto glorioso come il nostro cuore desidera.
Altra cosa vogliamo fare in questo stesso giorno. Un dovere c'impone
il cuore. Ci pare che la giornata non sarebbe ben chiusa se non lenissimo
in parte l'immenso cordoglio onde fu trafitta la nostra anima, collo
stringerci intorno al nuovo Rettor Maggiore, nostro caro sig. Don Rua,
il quale ancor vivente Don Bosco seppe inspirarci tanta fiducia, cattivarsi
tanto affetto, imporci tanta venerazione.
Noi sappiamo che il S. Padre già da tempo aveva designato la
S. V. come successore al venerato Don Bosco. Noi siamo adunque lieti
di riconoscerla per tale, ci chiamiamo fortunati di poterla salutare
col nome di padre. E qui sulla tomba del nostro caro fondatore estinto
protestiamo solennemente la nostra figliale sottomissione, prontissimi
ad ogni suo cenno.
Vogliamo oggi qui sottoscriverci tutti mandando come un grido .di gioia,
dicendo: Viva il nostro nuovo Rettor maggiore. No; questo po' di tripudio
non è irriverenza, non è mancanza di delicatezza alla
mestizia del giorno; ma è un sacro dovere, è ciò
che Don Bosco desidera che sia fatto sulla sua tomba, è ciò
che il cuore di figlio può fare di meglio sulla bara dell'estinto
padre. Viva adunque ad multos annos il Sig. Don Rua Michele; viva il
nostro Rettor Maggiore.
Voglia Ella amatissimo padre, gradire la nostra buona volontà;
voglia compatirci se qualche volta la fralezza nostra ci porterà
ad involontariamente mancare alle nostre promesse e intanto ci aiuti
839
sempre coi suoi preziosi consigli, ci sorregga colle sue incessanti
preghiere, e ci consoli colla sua patema benedizione. D. Vostra paternità
Reverendissima
Valsalice, 6 Febbraio 1888. (Seguono 125 Firme).
103.
Lettere postume di Don Bosco a Cooperatori.
a) Alla contessa Gabriella Corsi.
Dio vi benedica, o nostra buona Mamma in G. C. e con voi benedica tutta
la vostra famiglia e vi aiuti a condurla costantemente per la via del
cielo e trovarla un giorno tutta con voi raccolta in paradiso. Sia questa
la ricompensa della carità usata a me e a tutti i nostri Salesiani.
Pregate per me che vi attendo alla vita eterna.
Torino.
Obbl.mo. figlio
Sac. Gio. Bosco.
PS. Requiescat in pace. Volò alla vita eterna nel 1887.
b) Alla viscontessa di Cessac.
Rue Boetie Paris.
Mme la V.esse de Cessac,
Vous avez protegé nos orphelìns, et la S.te Vierge vous
fera bien riche dans la étemité. Là vous verrez
vos parents, vos amis; là vous parlerez de Dieu avec eux à
jamais. Continuez votre charité pour nos maisons; priez pour
ma pauvre personne.
Turin. Obligé serviteur
A Paris. Abbé J. Bosco.
PS. 1886. Requiescat in pace.
c) Alla baronessa Scoppa (I).
Voi, o signora Baronessa Scoppa che abitate S. Andrea del Ionio Napolitano,
continuate la vostra carità ai nostri Missionari, ai nostri orfanelli
e Maria guiderà le ore vostre, e sarete molto consolata negli
(I) Cfr. sopra, pag. 826.
840
ultimi momenti di vostra vita. Sia che viviate su questa terra sia
che Dio vi abbia già ricevuto fra i beati in cielo, noi pregheremo
ogni giorno per voi, pei vostri parenti ed amici.
d) Alla signora Prat.
A Madme Prat de Marseille,
Je vous remercíe de votre charité. Dieu vous recompense
largement. Nos sœeurs et nos élèves de l'œuvre
apostolique sont vos enfants qui prieront pour vous. Adez - les.
O Marie, veuillez guider cette bienfaitrice dans le chemin du paradis.
Priez pour mon âme.
Turin. Humble serviteur
Abbé J. Bosco.
e) Ai conti Colle.
Mr et Madame le C.te et la C.tesse Colle de Toulon.
je vous attends ou le bon Dieu nous a preparé le grand prix,
le bonheur éternel avec notre cher Louis.
La Divine Misericorde nous l'accordera. Soyez à jamais le soutien
de la congregation salesienne et l'aide de nos missions. Dieu vous benisse.
Turin. Affectionné comme fils
Abbé J. Bosco.
f) Alla signorina Du Gas.
Mamelle Rose Du Gas. Marseille.
Que la S.te Vierge vous protège à jamais. Je vous confie
nos sœurs et nos pauvres orphelins. Priez pour l’âme
du
Turin Votre obligé servileur
Abbé J. Bosco.
g) Alla signora Jacques.
A Mme Jacques notre mère en J. C.
Dieu m'appelle a l'eternité. J'espère que la misericorde
du bon Dieu vous conservera une place pour vous dans le paradis. Mais
continuez votre large protection à nos sœurs et à
nos orphelins.
Que Marie vous protège et veuillez à jamais prier pour
la pauvre àme
Turin
du pauvre abbé
JUAN BOSCO.
841
h) Alla marchesa Fassati.
Sig.ra March. Maria Fassati,
Vi ringrazio, Sig.ra Marchesa, della carità che mi faceste nel
corso della mia vita mortale. Se Dio mi riceverà nella sua misericordia,
pregherò tanto per voi.
La vostra protezione pei nostri orfanelli sarà un mezzo efficacissimo
per assicurarvi il paradiso.
Vogliate pregare per questo antico ma sempre aff.mo amico di casa Fassati.
Torino.
Povero Sac, Gio. Bosco,
i) Alla baronessa Ricci.
Sig. Baronessa Azeglia Ricci.
Signora Azeglia, continuate a proteggere la nostra opera apostolica,
ed avrete tante anime salvate dai nostri missionarii che vi porteranno
al cielo.
O Maria, guidate questa vostra figlia e il Sig. suo Marito B. Carlo
a godere ambidue un giorno il vero premio della loro perseveranza nel
bene in paradiso.
Pregate per la povera anima mia
Torino.
Obbl.mo servitore
Sac. Gio. Bosco.
1) Al barone Ricci.
Sig. Barone Feliciano Ricci,
O Sig. Barone, voi dovete assolutamente salvarvi l'anima; ma voi dovete
dare ai poveri tutto il vostro superfluo, quanto vi ha dato il Signore:
prego Dio che vi conceda questa grazia straordinaria. Spero che ci vedremo
nella beata eternità. Pregate per la salvezza dell'anima mia.
Torino.
Obbl.mo in G. C.
Sac. Gio. Bosco.
M) Alla signora Louvet.
Melle Clara Louvet,
Je dois partir avant de vous; mais je ne manquerai de prier pour votre
bienheureus éternité. Continuez à soutenir nos
orphelins, et nos orphelins vous feront couronne quand les anges vous
porteront un' jour à jouire la gloire du paradis.
842
O Marie, protegez à jamais votre fille.
Veuillez prier pour le repos eternel de ma pauvre âme.
Turin.
Toujours obbligé serviteur
Abbé J. Bosco.
n) Al conte De Maistre.
Caro C.te Eugenio De Maistre,
Vi ringrazio della carità con cui avete aiutato le opere nostre.
Continuateci la vostra protezione. Faccia Iddio che voi, tutta la vostra
famiglia sia un giorno tutta con voi e col povero vostro amico, che
vi scrive le ultime sue parole, a godere la gloria del paradiso. Così
sia. Vogliate pregare anche pel riposo dell'anima mia.
Torino.
Aff.mo amico e servitore
Sac. Gio. Bosco.
o) Alla contessa Callori.
Sig.a C.ssa Carlotta Callori,
O Maria, proteggete questa vostra figlia, ottenete dal vostro divin
figlio Gesù lunga ricompensa della carità fatta in sostegno
della Congregazione salesiana. Maria vi conduca seco al paradiso con
tutta la vostra famiglia.
Continuate ad essere il sostegno delle opere nostre, pregate per la
povera anima mia. A rivederci nella vita eterna.
Torino.
Obbl.mo in G. C.
Sac. Gio. Bosco.
p) Alla signora Broquier.
Marseille.
Que Dieu recompense largenient votre charité et la bonté
de votre Mari; continuez aider nos œuvres; priez pour ma pauvre
âme. Je prierai aussi pour vous et je vous attende dans la bienheureuse
étemité, conime je l'espère de la misericorde infinie
du Bon Dieu. Ainsi soit - il.
Turin.
Obbligé serviteur
Abbé J. Bosco.
843
104.
Prefazione al primo Elenco Generale
delle Figlie di Maria Ausiliatrice dopo la morte di Don Bosco.
Mie carissime sorelle in G. C.,
Eccovi l'Elenco Generale delle Suore di Maria SS. Ausiliatrice per
l'anno 1888.
Da esso potrete vedere con vostra consolazione, come il Signore nella
sua infinita misericordia continua a benedire la nostra Congregazione,
mandandoci delle vocazioni, aumentando il numero delle nostre Case e
dandoci così mezzo di allargare il campo delle nostre fatiche
a gloria sua e a salvezza di molte anime. Di tutto ciò sia ringraziato
il buon Dio.
Non occorre che qui vi segnali la immensa perdita che abbiamo fatto
nella morte del nostro veneratissimo Fondatore e Padre Don Bosco; morte
che tutte ci immerse in dolore profondo e ci tiene tuttora nel lutto.
Di tanta disgrazia siete già state informate. Giudico piuttosto
di rammentarvi che sul letto de' suoi dolori il veneratissimo Don Bosco
si ricordò più volte di noi e ci lasciò preziosissimi
ricordi. Avendo avuto la felice sorte di potergli far visita nell'ultima
sua malattia e domandargli una speciale benedizione per tutte, egli
colla solita sua bontà alzò la mano e disse: Benedico
tutte le Case delle Figlie di Maria Ausiliatrice, “ benedico la
Superiora Generale e tutte le sue Sorelle curino di salvare molte anime.
Un altro giorno in presenza del Rev.mo Sig. Don Rua e di Monsignor Cagliero
soggiunse ancora: Per le Suore: OBBEDIENZA: praticarla e farla praticare.
E finalmente al Molto Reverendo Sig. Don Bonetti, incaricato della nostra
direzione generale, lasciò che ci facesse conoscere questo altro
suo sentimento: Se le Suore osservano le Costituzioni loro date, la
loro eterna salvezza è assicurata.
Mie buone ed amate sorelle, imprimiamo bene nella nostra mente e stampiamo
nel nostro cuore questi tre ricordi, e conserviamoli come preziosa eredità
del nostro buon Padre. Ma non contentiamoci di farne tesoro, sibbene
cerchiamo di trarne il maggior profitto possibile, mettendoli in pratica.
In tal modo noi diverremo degne Figlie di Maria Ausiliatrice, ci faremo
sante, e ci renderemo meritevoli di andare un giorno a riunirci intorno
al nostro veneratissimo Don Bosco in Cielo, dove fondatamente già
lo speriamo a godere il premio delle sante sue virtù e a pregare
per noi.
Mi raccomando alle preghiere di tutte e salutandovi di cuore mi professo
Vostra aff.ma Sorella in G. C.
Suor CATTERINA DAGHERO.
844
105.
Decreto della nomina di Don Rua
a successore immediato di Don Bosco.
EX AUD. SS.
DIE XI° FEBRUARII 1888
SS. D. N. Leo PP. XIII, audita relatione subscripti Cardinalis Salesianorum
Protectoris, decretum confirmavit datum sub die 27 novembris 1884, relatore
Em.mo Nina tunc praefatae Congr. Protectore, quo decreto scilicet Sanctitas
Sua Rector Marioris eiusdem Sodalitatis nominationi et successioni providit
(loco fundatoris optime meriti, quem SS.mus diu incolumem voluisset),
de persona Rev.mi D.mi Michaëlis Rua, Salesiane Congr. Sacerdotis
professi.
Voluit insuper Sanctitas Sua, ut praelaudatus Sacerdos nomen cum officio
Rectoris Marioris haberet ad annos duodecim, iuxta. Cong. Salesianae
statuta, quorum annorum computatio initium ab hodierna die sumat, idque
officium at nomen tali modo susceptum singulare adeo habeatur, ut nunquam
in exemplum adduci possit.
Demum mandavit SS.mus, ut de secuta decreti confirmatione et renovazione
certior fieret S. C. Epp. et Regg. nec non electus cum Sales. Sodalitatis
senioribus.
L. M. PAROCCHI.
Sales.Congr.Card. Protector.
106.
Lettera di Don Rua a Don Bonetti
sulle accoglienze avute dai Prelati Romani.
V. G. M. G.
Carissimo Don Bonetti,
Ieri finalmente abbiamo visto il S. Padre, ma non ancora in udienza
privata. L'abbiamo visto alla funzione della beatificazione del De la
Salle. Pareva proprio una figura sovrumana. Dopo detta funzione fummo
a riverire Mons. Della Volpe che si mostrò secondo il solito
tanto benevolo. Si diceva fortunato d'aver ricevuta l'ultima lettera
scritta da Don Bosco di suo pugno, encomiando la santa memoria del compianto
e venerato nostro Padre. Poi ci fissò l'udienza per martedì
mat -
845
tina alle 10½ conchè quando tu aprirai questa mia facilmente
avrò già potuto prostrarmi ai piedi di Sua Santità
e domandargli una copiosa benedizione per tutta la nostra Pia Società,
ma sopratutto per i Superiori del Capitolo e quindi anche pel caro Don
Bonetti. Va bene così?
Licenziatici da Mons. Della Volpe fummo dal Card. Rampolla che mi dimostrò
una bontà, una affabilità singolare e si degnò
benedirci, benedicendo in noi tutti i Salesiani e loro alunni. Egli
pure manifestò per Don Bosco una grande venerazione. Poi nell'anticamera
del Seg. di Stato mi sono incontrato con Mons, Jacobini Arcivescovo
di Tiro, che tra l'altre cose mi chiamò molto particolarmente
notizie del caro Mons. Cagliero e che lo attende tanto con piacere.
Si compiaceva d'aver potuto vedere ancora due volte l'amatissimo Don
Bosco, nell'ultima gita fatta a Roma per la consecrazione del Sacro
Cuore, e d'avergli porto il braccio accompagnandolo in camera.
In ultimo fummo da Mons. Caprara Promotore della Fede per avere schiarimenti
precisi sul modo di procedere per promuovere la causa del venerato nostro
Padre Bosco. Sua Eminenza R.ma il Card. Parocchi medesimo ci aveva a
lui indirizzati. Egli mi accolse molto gentilmente e con vero interesse
mi diede norme particolari su tutto esibendosi in qualunque bisogno.
Di tutto quello che disse se ne è preso memoria e quindi potremo,
arrivati a casa, concertare tutto comodamente. La cosa principale su
cui insistette fu che procurassimo di raccogliere il maggior numero
di dati per i miracoli e grazie ottenute dopo la morte del servo di
Dio e raccoglierli con tutti i migliori documenti possibili. Ma di tutto
ne parleremo a voce.
Del resto, avuta che avremo l'udienza dal S. Padre, di quella sera stessa
o al più tardi dell'indomani, cioè Mercoledì, c'incammineremo
per ritornare al nido. Il desiderio di presto poterlo fare non so se
maggior il mio o il vostro: certo il mio è grandissimo.
Intanto se avrò tempo darò ancora una scorsa all'Esposizione
Vaticana, ove i nostri oggetti fanno davvero una bella mostra ammirata
da tutti, sopratutto gli oggetti della Patagonia e il disegno di Vespignani.
A tutti fa meraviglia come sia questo un lavoro tutto a penna. Anche
i lavori tipografici dagli intelligenti sono molto lodati. Da quanto
ho potuto vedere, se Mons. Cagliero potrà presentarne al S. Padre
una bella copia, ben legata, gli tornerà assai gradita, Anzi
se potessimo presentarne un esemplare a diversi Cardinali e Monsignori
mi parrebbe ben fatto.
Addio, carissimo, il Signore ci benedica tutti e Maria Ausiliatrice
continui sopra di noi la sua materna protezione.
In G. C. tuo aff.mo
S. MICHELE RUA
846
107.
a) Don Rua annunzia alle Case la sua elezione
alla carica di Rettor Maggiore e descrive l'udienza di Leone XIII.
Carissimi Figli in G. C.,
Dopo la lettera spedita a tutte le case salesiane dal nostro Ven.do
Capitolo Superiore oggi per la prima volta vi scrivo nella nuova mia
qualità di Rettor Maggiore, a cui malgrado la mia indegnità
venni dalla Divina Provvidenza innalzato nel modo che in quella a voi
tutti fu manifesto. Mi presento sotto gli auspizii di S. Giuseppe di
cui corre in questo giorno la solennità; e nutro fiducia che
questo gran Santo, Patrono della Chiesa universale, vorrà colla
sua Sposa Santissima essere altresì il Protettore speciale dell'umile
nostra Società ed assistermi benignamente nel disimpegno del
mio uffizio.
Avrei molte cose a dirvi, ma per questa volta giudico di fare cosa molto
a voi gradita e profittevole raccontandovi l'udienza avuta da S.S. Leone
XIII il giorno 21 Febbraio. Voi ne troverete più sotto apposita
relazione. Da quella voi potrete rilevare in quale alto concetto fosse
tenuto l'amatissimo nostro Fondatore dal Vicario di nostro Signor Gesù
Cristo.
Eguale stima posso pur dire che godeva presso gli Eminentissimi Cardinali
ed altri distinti personaggi che ebbi l'onore di visitare; tutti parlavano
del compianto Don Bosco coi più grandi encomii, anzi parecchi
fra essi mi esortarono ad iniziare al più presto la causa per
la sua beatificazione. In modo particolare il Cardinal Vicario nostro
benevolo Protettore, il quale me ne aveva già fatto scrivere
in proposito prima che andassi a Roma. Colà Egli me ne parlò
con molto interesse nelle due udienze che mi diede, e, prendendo da
lui congedo, le ultime sue parole furono: Le raccomando la causa di
Don Bosco: le raccomando la causa di Don Bosco.
Le espressioni del Sommo Pontefice e le dette raccomandazioni dell'Em.o
suo Vicario destarono in me due pensieri: Uno si è di mettersi
tosto all'opera per raccogliere le memorie riguardanti la vita del nostro
caro Padre.
Pertanto esorto caldamente tutti i confratelli a scrivere quanto essi
conoscono di particolare sui fatti della sua vita, sulle sue virtù
teologali, cardinali e morali, sui suoi doni soprannaturali, su guarigioni
o profezie o visioni e simili. Siffatte dichiarazioni dovranno essere
inviate al Direttore Spirituale, il Sac. Don Bonetti, incaricato di
raccoglierle e farne base all'iniziamento della causa. Per norma dei
relatori noto eziandio che a suo tempo essi potranno essere chiamati
a prestare giuramento su quanto riferiscono, e perciò raccomando
la più grande fedeltà ed esattezza.
847
L'altro pensiero che mi rimane fisso in mente fu che noi dobbiamo stimarci
ben fortunati di essere figli di un tal Padre. Perciò nostra
sollecitudine dev'essere di sostenere e a suo tempo sviluppare ognora
più le opere da lui iniziate, seguire fedelmente i metodi da
lui praticati ed insegnati, e nel nostro modo di parlare e di operare
cercare di imitare il modello che il Signore nella sua bontà
ci ha in lui somministrato. Questo, o Figli carissimi, sarà il
programma che io seguirò nella mia carica; questo pure sia la
mira e lo studio di ciascuno dei Salesiani.
Ora una parola di ringraziamento mi resta a dirvi. Molti di voi individualmente
o collettivamente dopo la dolorosa perdita sofferta mi scrissero lettere
piene di sentimenti di rispetto e d'affezione, facendomi le più
belle promesse di obbedienza e piena sudditanza. Intendo colla presente
di ringraziarne cordialmente gli autori e tutti quelli che vi presero
ed avrebbero voluto prendervi parte. Tali testimonianze di attaccamento
e di religiosa soggezione riuscirono di non leggiero alleviamento al
mio dolore ed infusero nel mio cuore la fiducia di trovar meno scabroso
il mio cammino.
Ciò non ostante non posso nascondere nè a me nè
a voi il grande bisogno che ho delle vostre preghiere. Alla vostra carità
pertanto mi raccomando, affinchè tutti mi sosteniate colle valide
vostre orazioni. Dal canto mio vi assicuro che tenendovi tutti nel mio
cuore, ogni giorno nella S. Messa vi raccomanderò al Signore,
amnchè vi assista colla sua santa grazia, vi difenda da ogni
pericolo, e sovratutto ci conceda di trovarci un giorno tutti insieme,
nessuno escluso, a cantare le sue lodi in Paradiso, dove ci attende,
siccome ce lo scrisse, il nostro amatissimo Padre Don Bosco. Coraggio,
cari figli in G. C., coll'aiuto di Dio e colla fedeltà a perseverare
nella nostra vocazione riusciremo in questo affare così importante.
Diffidando però di noi medesimi, ricorriamo concordemente alla
nostra Celeste Madre Maria Ausiliatrice, al suo purissimo sposo S. Giuseppe
ed al nostro Patrono S. Francesco di Sales: essi non mancheranno di
venirci in aiuto.
Nei Cuori dolcissimi di G. e di M. abbiatemi sempre quale mi professo
Torino, 19 marzo 1888. Vostro affezionatissimo Amico
Sac. MICHELE RUA.
h) Prima udienza avuta dal S. Padre
dopo la morte di D. Bosco.
Era il giorno 21 di Febbraio dell'anno corrente 1888. Ammesso pel primo
all'udienza di quel dì verso le 10 antim., il S. Padre Leone
XIII mi accolse con grande bontà e chiamandomi per nome mi disse:
- Don Rua, voi siete il successore di Don Bosco; mi condolgo con
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voi per la perdita che avete fatta, ma mi rallegro perchè Bosco
era un santo e dal Cielo non mancherà di assistervi. - Io risposi
al S. Padre: - Santità, io la ringrazio di queste consolanti
parole che mi infondono grande coraggio. Intanto per la prima volta
che ho la fortuna di presentarmi a V. S. nella qualità di Rettor
Maggiore Le offro gli omaggi miei e di tutta la Pia Società di
S. Francesco di Sales. Tutti i Salesiani vogliono essere sempre figli
devoti, rispettosi, obbedienti, affezionati di V. S. e della Chiesa,
continuando a lavorare quanto possono alla gloria di Dio ed al bene
delle anime, sostenendo le opere iniziate dal compianto nostro Fondatore.
- Bene, rispose il Papa, continuate quelle sante imprese, ma per ora
procurate di assodarle bene. Per qualche tempo non abbiate premura di
estendervi, bensì di sostener bene e sviluppare le fondazioni
già fatte. - È precisamente, risposi, la raccomandazione
fattami per iscritto dal nostro caro Don Bosco, che in un Promemoria
fra le altre cose mi notò di sospendere per qualche tempo l'apertura
di nuove case per completare il personale in quelle già esistenti.
- Sì, sì, disse Sua Santità, conviene fare in questo
modo, tanto pei Salesiani quanto per le Figlie di Maria Ausiliatrice;
affinchè non vi avvenga come a qualche altro Istituto che si
estese troppo rapidamente e poi non potè sostenersi in modo convenevole;
mandando solo due o tre persone a fondare nuove Case ed abbandonandole
a se stesse fecero poco buona riuscita. - Qui io feci notare al Santo
Padre che i Salesiani devono secondo la Regola inserta dalla S. Sede
nelle loro Costituzioni essere in numero di sei per ogni nuova fondazione
e che questo era una buona salvaguardia.
Il Papa continuando il suo ragionamento soggiunse: Sovratutto procurate
che le persone che dovete mandare nelle varie Case siano ben ferme nella
virtù. Al che si deve provvedere specialmente nel noviziato.
E voi lo fate far bene il noviziato? Per quanto tempo? S. Padre, risposi,
il noviziato si suol fare da noi per un anno dagli aspiranti alla carriera
Sacerdotale e due anni dai coadiutori. - Va bene, soggiunse Sua Beatitudine,
ma raccomandate a chi li dirige, di attendere diligentemente alla riforma
della vita dei novizi. Questi, quando entrano portano con sè
della scoria; e quindi hanno bisogno di esserne purgati e venir rimpastati
allo spirito di abnegazione, di obbedienza, di umiltà e semplicità
e delle altre virtù necessarie alla vita religiosa; e perciò
nel noviziato lo studio principale e direi unico dev'essere di attendere
alla propria perfezione. E quando non riescono a correggersi, non abbiate
timore di allontanarli. Meglio qualche membro di meno, che avere individui
che non abbiano lo spirito e le virtù religiose.
- Santità, la ringrazio di questi santi consigli e procureremo
di farne tesoro, come provenienti dal Capo della Chiesa, dal Vicario
di G. C., a cui il nostro amato Don Bosco c'inculcava cotanto di pro
-
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fessare la più illimitata obbedienza, rispetto ed affezione.
Anzi ricordiamo benissimo, come in quest'ultima malattia, anche quando
non aveva più che un filo di voce, di tratto in tratto parlando
ai Superiori, che circondavano il suo letto, lor diceva: - Dovunque
vadano i Salesiani procurino sempre di sostenere l'autorità del
Sommo Pontefice, e di insinuare ed inculcare rispetto, obbedienza ed
affetto alla Chiesa ed al suo Capo. - A queste parole il S. Padre parve
commuoversi e disse: - Oh! si vede che il vostro Don Bosco era un santo
simile in questo a S. Francesco d'Assisi, che quando venne a morire
raccomandò caldamente ai suoi religiosi di essere sempre figli
devoti e sostegno della Chiesa Romana e del suo Capo. Praticate queste
raccomandazioni del vostro Fondatore e il Signore non mancherà
di benedirvi.
Domandò poi notizie delle Case d'Italia, di Francia, Spagna,
d'Inghilterra, Austria ed America fermandosi con particolare compiacenza
a parlare delle Missioni della Patagonia e della Terra del Fuoco. Mi
chiese pure se conosceva tutte quelle Case, specialmente quelle d'Italia:
udita la risposta affermativa, dimandò notizie di Mons. Cagliero.
Risposi che Mons. Cagliero per devozione al S. Padre, per partecipare
al suo Giubileo sacerdotale erasi recato in Italia, e che il Signore
lo aveva ricompensato con fargli avere la consolazione di poter assistere
l'amato nostro Padre nella sua ultima infermità e nella sua morte,
raccogliendo dal suo labbro le ultime raccomandazioni e consigli; anzi
di potergli amministrare i Sacramenti. - Ma c'eravate anche voi? - Sì,
Santo Padre, anch'io l'ho assistito: ma essendo Vescovo Mons. Cagliero,
ho creduto conveniente lasciare a lui tale incarico. - Bene, era a proposito.
A questo punto io ripresi la parola per ringraziare S. S. della benevolenza
usata finora alla nostra pia Società ed anche delle parole piene
di bontà indirizzate a nome suo dall'Em.o Card. Rampolla Segretario
di Stato nell'occasione della morte di Don Bosco, ed intanto pregarla
di continuarci l'alta sua benevolenza. Il S. Padre rispose: - Ho sentito
anch'io vivamente la perdita del vostro Padre, e quando il Cardinal
Segretario di Stato ne diede da parte vostra la notizia, ho voluto indicargli
precisamente le parole che avrebbe avuto ad usare nella risposta. Ora
tutto l'affetto e benevolenza che io portava a Bosco l'avrò per
voi e per la Società da lui fondata. - La ringrazio tanto Santità:
e queste parole mi sono del più grande conforto. Ora la prego
rispettosamente a voler benedire me, i miei cari confratelli, tutte
le Figlie di Maria Ausiliatrice, tutti i Cooperatori e le Cooperatrici
Salesiane, come pure tutti i nostri allievi e dipendenti. Si, volontieri
e di cuore benedico voi, i vostri confratelli, le Figlie di Maria Ausiliatrice,
i vostri buoni Cooperatori e Cooperatrici, e tutti quelli che vi stanno
a cuore. - Santità, se permettete, chiamerò
850
a ricevere la benedizione anche il nostro Procuratore Generale ed il
mio Segretario, che sono nell'anticamera ad aspettare. - Si, chiamateli
che vengano anche essi. - Suonato un campanello, si fecero venir avanti.
A Don Cagliero Procuratore e Direttore della Casa di Roma il S. Padre
disse: - Noi ci siamo già visti? - Si, Santità, sono il
Procuratore Generale dei Salesiani e Direttore della Casa del Sacro
Cuore qui in Roma. - Allora il Santo Padre soggiunse: - Procurate che
la Casa di Roma sia una Casa modello, poichè essa è molto
importante. - Io osservai: - Fu appunto questo l'argomento della conferenza
che ho tenuto ai confratelli di detta Casa in questi giorni. - Il S.
Padre soggiunse: - Eh già, poichè la Casa di Roma è
dove sta il Papa, sotto ai suoi occhi, si può dire; a lui può
esser subito riferito quanto in essa avviene. - D. Cagliero rispose:
- Santità, procureremo di fare il possibile per corrispondere
all'alta sua bontà e ai sapienti suoi avvisi. - Sì, fate
in modo di procurar sempre consolazioni al Papa, soggiunse accentuando
bene quest'ultima parola. - Ciò detto con effusione di cuore
il S. Padre c'impartì l'implorata benedizione; dopo cui, avendogli
noi baciato nuovamente il sacro Piede e la mano, ci congedò.
Roma, 21 Febbraio 1888.
Sac. MICHELE RUA
108.
Udienza di Leone XIII
a mons. Cagliero.
Carissimo Sig. Don Lazzero,
Torniamo in questo momento dall'udienza del S. Padre. Ci ricevette
alle 12 m. noi due soli con affetto veramente paterno. Volle subito
che noi stessi stendessimo sotto i suoi piedi la pelle di guanaco dei
nostri Patagoni. Gradì sommamente il volume (legato a S. Benigno)
delle tre Encicliche e lo esaminò attentamente: gradì
pure il libro di Don Cerruti, Les idées de Don Bosco, la vita
di Mamma Margherita, ed un opuscolo di Buenos Aires. Fu oltremodo tocco
da questa offerta e incaricò Monsignore di dire a tutti i giovani
queste sue precise parole: lo li abbraccio tutti con affetto e li benedico.
Parlammo dell'unione costante di tutti i Salesiani dopo la morte di
Don Bosco e disse che questo era un suo timore che aveva avuto, ma che
ora era contentissimo.
Lo ringraziammo d'averci dato a Rettore Don Rua. Domani manderò
un articoletto per l'Unità Cattolica.
851
Da Buenos Aires in data 20 febbraio scrive Don Costamagna che tuttora
non sapevano nulla della morte di Don Bosco. Favorisca mandare qualche
persona fidata a verificare se il telegramma spedito da Monsignore il
giorno stesso della morte, fu o no spedito da Torino e ce ne faccia
sapere qualche cosa qui stesso in Roma.
Monsignore saluta tutti, e sta assai bene.
Baci per me la mano al Sig. Don Rua, riverisca i Superiori e preghi
per chi le vuol tanto bene nel Signore
Roma Sacro Cuore di Gesù 22, 3, 1888.
Aff.mo
D. ANTONIO RICCARDI.
852
DOCUMENTI E FATTI ANTERIORI
I.
Don Bosco a Oropa nel 1863.
Un documento inedito ci la conoscere un episodio accaduto a Don Bosco
nella sua visita del 1863 al celebre santuario biellese. A una lettera
del padre Gioachino Sella, cugino del celebre Quintino e superiore dei
Filippini di Biella, al padre Carlo Vercellone, biellese di Sordevolo,
barnabita, notissimo fra gli studiosi di scienze bibliche. La possiede
il barnabita padre Giuseppe Roberti, egli pure biellese di Rioglio.
Il padre Sella il 10 agosto 1863, pochi giorni quindi dopo la partenza
di Don Bosco da Oropa (cfr. LEMOYNE, M. B., voll. IV, pag. 526 e VII,
pag. 497) riferiva al suddetto padre sull'intenzione manifestatagli
da Don Bosco di scrivere la storia del Santuario oropense; quindi proseguiva:
Mentre si trovava vicino alla Santa Cappella, vede tra gli altri che
giravano attorno a contemplare i santi voti, alcuni signori del giorno,
che andavano bestemmiando e scherzando sulla credulità e goffaggine
dei popoli nel ricevere come tante verità quanto dai preti si
spacciava... sulla verità dei miracoli occorsi e ivi rappresentati.
E mentre così dicevano a voce abbastanza chiara perchè
il Sig. Don Bosco ivi presente li intendesse, con gli occhi fissi lo
invitavano a entrare seco loro in questione. Allora egli, colla sua
solita bonarietà, loro richiese di potere tranquillamente visitarli
nella loro abitazione e, concordata ogni cosa, fu dai medesimi prevenuto
e visitato in propria camera, ove, dopo alquanti complimenti, protestandosi
d'essere buoni cattolici, rinnovarono le loro difficoltà insormontabili
su tutte le predette mirabili cose. Il Sig. Don Bosco, in mezzo ai suoi
tre aggressori assiso e tranquillo li lasciò dir tutto e poi,
volgendosi al principale di essi, con mirabile dolcezza cominciò
a farsi confessare che la cosa non era impossibile, facendogli passare
uno per uno i vari prodigi e fatti che si trovano nella Sacra Scrittura
istessa: Apparizioni di Angeli, risurrezioni di morti etc. etc.
Ottenuta questa possibilità, venne poi a domandare il motivo
853
per cui non si vorrebbe credere ai medesimi e simili altri fatti avvenuti,
creduti, veduti pubblicamente, privatamente in Oropa e ammessi da persone
dotte... da Ecclesiastici... secolari, Generali etc.
A questo inaspettato argomento, messisi a ridere, si licenziarono garbatamente
non sapendosi che dire in contrario e dandogli ragione d'ogni cosa.
Qui però non finì tutto. Ecco alla sera stessa di quel
giorno il principale di quei tre si fa incontro a Don Bosco e chiede
di confessarsi e si confessa con indicibile sua consolazione. Interrogato
dal medesimo Don Bosco della causa impulsiva di detta confessione: -
Ho veduto, disse, dopo il congresso tra di noi avuto, in realtà
varie grazie fatte attestate da colonnelli, generali di armata, e dissi
fra me: Questi non sono uomini credenzoni; dunque sono io fuori di strada
etc. etc.
Il racconto del padre Sella è abbozzato alla semplice; ma, come
scrive il canonico Buscaglia in Eco del Santuario d'Oropa (aprile 1936),
“ appare luminosa la caratteristica figura di San Giovanni Bosco,
sempre tranquillo e pieno di bonarietà e di mirabile dolcezza,
ma sempre pronto a difendere la fede cristiana e le pie credenze riguardanti
specialmente i miracoli e le grazie della Vergine SS.ma, e sempre efficace
nell'indurre anche i più avversi ad aprirgli il cuore nel Sacramento
della Confessione per riconciliarli con Dio ”.
II..
Lettera di Don Bosco
alla contessa Crotti di Costigliole.
Questa lettera accompagnava alcune copie di una circolare con cui Don
Bosco faceva appello alla carità dei benefattori per i lavori
della chiesa di Maria Ausiliatrice (LEM., M. B., vol. VII, pag. 734
in nota).
Ill.ma Signora,
Eccole, Sig.a Contessa, alcuni programmi della nostra chiesa di Maria
Auxilium Christianorum. Io li mando, ma è la Santa Vergine che
a Lei si raccomanda, affinchè li diffonda e li faccia fruttare
per condurre a buon termine la sua casa materiale in questo mondo, con
certezza che Ella pagherà generosamente a suo tempo con preparare
a Lei ed alla sua famiglia un bell'alloggio nel paradiso.
Il Sig. D. Scaglia e il Sig. Conte Alessandro la potranno coadiuvare;
ed il Sig. Conte Michele? Lo faccia pagare e lo lasci in pace intorno
ai vetri ed alle punte di diamante.
Dio doni sanità e grazia a Lei, signora Contessa, e a tutta la
rispet -
854
tabile sua famiglia; aggiungano la carità di pregare per me
e per li miei poveri giovani e mi creda nel Signore
Di V. S. Ill'ma.
Torino, 8 sett. 64.
Obbl.mo servitore
Sac. Bosco Gio.
III.
Tre lettere alla nobile famiglia Capelletti di Roma.
Le due Prime sono indirizzate alla baronessa Luisa Capelletti, nata
marchesa Cavalletti; la terza al barone Filippo, suo marito. Saverio,
nominato nella seconda, è, il figlio, a cui si accenna nella
prima. “ L'intrepido fratello senatore ”, lodato nella seconda
è il marchese Francesco Cavalletti, ultimo senatore della Roma
papale fino al 1870; aveva sposata Maria dei marchesi Durazzo di Genova.
Gli autografi sono Posseduti dalla marchesa Maria Neirotto Cambiaso,
figlia dei baroni Filippo e Maria Capelletti.
A.
Benemerita Signora,
La ringrazio di cuore della offerta che fa a favore di questi miei
poveri giovanetti e specialmente per continuare i lavori della chiesa
in onore di Maria Ausiliatrice. Il sacro edifizio nella parte esterna
volge al suo termine, speriamo nella Divina Provvidenza pel resto.
In quanto al cholèra non tema niente; vada a Roma, rimanga a
Frascati, avvi nulla a temere per lei. Niuno di questi che aiutano a
costruire la chiesa di Maria Ausiliatrice in Valdocco sarà vittima
del morbo micidiale, purchè riponga in lei la sua fiducia.
Se a Dio piacerà, farò la mia gita a Roma tra Dicembre
e Gennaio prossimo.
Ottimo divisamento l'aver messo il suo figliuolo a Mondragone. Colà
i Maestri, assistenti e direttori cercano il vero bene, quello dell'anima.
Dio benedica Lei e la sua famiglia, preghi per me che con gratitudine
mi professo
Di V. S. B.
Torino, 22 ott. 66.
Obbl.mo servitore
Sac. Bosco Gio.
855
B.
Benemerita Signora Marchesa,
Da una parte mi tornano assai gradite le notizie che mi dà,
ma dall'altra mi fanno pena le inquietudini cagionate dal buon Saverio.
Si è però ricorso al buon filo del bandolo, alla preghiera,
e di buon grado mi unisco seco loro a pregare e meco si associano i
miei giovanetti.
Da qualche giorno ho mandato un libro a Saverio a Mondragone; se mai
si giudicasse di suggerirgli di scrivermi una lettera, dimandarmi qualche
consiglio, io procurerei di rettificargli qualche idea; egli mi mostrava
molta stima e molta deferenza quando fui a Roma; chi sa se non possa
cagionargli buona sensazione una voce nuova. È un mio pensiero.
Ho partecipata la cosa al cav. Oreglia, il quale prega pure con noi,
e procurerà di fare una novena di comunioni a questo scopo.
Le fo rispettosa preghiera di salutar da parte mia la Sig. March. Cavalletti;
l'intrepido fratello senatore, sua moglie e tutta la famiglia. Dio li
benedica tutti e a tutti conceda il dono della perseveranza. Preghino
per me e mi creda nel Signore
Torino, 25 - 5 - 68. Obbl.mo Servitore
Sac. G. Bosco.
C.
Ill.mo Sig. Barone,
Stasera debbo trovarmi dal card. Antonelli alle sei ore; perciò
debbo rinunciare al piacere di intervenire a pranzo a casa di V. S.
Ill.ma secondo il grazioso invito che si compiacque di farmi.
Quod differtur non aufertur; perciò spero di scegliere una sera
della sett. prossima per godere della sua cortesia.
Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia; preghi per me che con gratitudine
mi professo
Di V. S. Ill.ma
Roma, 23 - 69.
Obbl.mo servitore
Sac. G. BOSCO.
IV.
Lettera di ringraziamento.
Questa lettera fu indirizzata da Don Bosco al notaio Giuseppe Borgogna
di Arigliano nel circondario di Vercelli. Chi ci trasmise l'originale,
vi unì pure la ricevuta di Don Bosco per oltre lire cinquanta
speditegli dal medesimo il 30 luglio seguente.
856
Stimabilissimo Signore,
Con animo riconoscente ho ricevuto la somma di cento franchi che la
carità di V. S. offre in ossequio di Maria SS. Ausiliatrice pei
nostri crescenti bisogni. Quale piccolo segno di gratitudine ho celebrata
la santa Messa colle preghiere e colle comunioni dei nostri ragazzi
all'altare di Maria secondo la pia di Lei intenzione e per invocare
copiose benedizioni dal cielo sopra tutta la sua rispettabile famiglia.
Io sarei grandemente consolato, se venendo a Torino Ella ci onorasse
di una visita personale. Vedrebbe in questo solo istituto oltre a mille
fanciulli da Lei beneficati, i quali coi mestieri o collo studio si
preparano ad essere col tempo in grado di guadagnarsi onestamente il
pane della vita.
Dio benedica Lei e tutta la sua famiglia; li conservi tutti in buona
salute, ed aggiunga un atto di carità pregando per me che le
sarò sempre in N.S.G.C.
Torino, 30 maggio 1880 Obbl.mo servitore
Sac. Gio. Bosco.
V.
Il soggiorno di Don Bosco ad Avignone nel 1883.
Il padre Victor Vieille, gesuita, scrivendo il 12 aprile 1883 da Avignone
a monsignor Michele Rosset, vescovo di S. Giovanni di Moriana in Savoia,
faceva questo cenno sul passaggio di Don Bosco per quella città:
Nous avons reçu ici la visite de Dom Bosco se rendant à
Lille. Ce saint prêtre a produit dans Avignon une impression profonde.
Logé dans la maison de Monsieur Michel Bent, il s'est trouvé
assailli toute la journée par une foule immense qui venait lui
demander, les uns des conseils, les autres des prières, d'autres
la santé pour eux ou pour quelque membre de leur famille. Méme
en ce siècle la sainteté exerce une attraetion irrésistible.
VI.
Don Bosco in Francia.
Dal periodico St - Andrew's Magazines, febbraio 1912, il salesiano
Don Franco ha tradotto questo tratto.
Don Bosco era già molto vecchio e cieco quando io ebbi il privilegio
di assistere ad una delle sue funzioni nel Sud della Francia.
857
Egli stava allora facendo una serie di visite nei vari centri onde
ottenere i fondi necessari pel mantenimento e lo sviluppo delle sue
numerose opere. Dopo un caloroso discorso, commoventissimo nella sua
eloquente semplicità e zelo ardente e genuino, egli guidato da
uno de' suoi orfanelli scese il pulpito ed incominciò lui stesso
a raccogliere l'elemosina attraverso tutta la chiesa in quell'occasione
piena zeppa di fedeli i quali al suo lento avanzarsi muovevano le loro
sedie onde lasciarlo passare come si suol fare nelle chiese francesi
quando si sta facendo la colletta. - Le offerte per cui aveva fatto
il caloroso appello furono fatte con vera generosità, trovandosi
quasi nessuno in quella gran folla che potesse mirare senza sentirsi
profondamente commosso il volto di questo santo prete e grande filantropo:
là la sua grande anima si rifletteva non come su lineamenti statuari,
ma bensì in rara bellezza spirituale accoppiata a straordinaria
energia.
Su tutto il volto regnava un'espressione di calma mansueta e di umiltà
messa in risalto dagli occhi socchiusi.
Miss
WOLLASTON WHITE.
VII.
Lettera alla contessa Teresa Mastai - Ferretti.
L'originale è presso la Figlia, contessa Belgard a Livorno.
Benemerita Sig. Contessa,
È un po' singolare la lettera che ha la bontà di scrivermi.
Non vuole essere cooperatrice Salesiana e intanto fa da promotrice colle
lett. Catt. e colla limosina di F. 50 (?) ci vuole di più? No
certamente. In questa associazione non vi è alcuna obbligazione.
È tutto volontario nè avvi ombra di colpa se non lo fa.
Adunque permetta che la lasciamo notata tra i Cooperatori tra cui avvi
lo stesso S. Padre ed altre signore Romane.
Dio la benedica, e le conceda sanità stabile, vita felice, ed
il prezioso dono della perseveranza nel bene. Aggiunga la carità
di pregare anche per me e per li miei ventimila ragazzi e mi creda in
G. C.
Roma 23 genn. 1878 - Torre de' Specchi 36.
Umile servitore
S. Gio. Bosco.
PS. Se mai per qualche speciale motivo delibera che assolutamente si
tolga il suo nome dai cooperatori, senz'altro lo farò tostamente.
858
VIII.
Don Bosco al signor Rostand Presidente della Sociefa Beaujour.
Di questa lèttera Don Bosco fete la minuta, che poi diede a
copiare al conte Cays andato con i Savperiori del Capitolo a incontrare
Don Bosco nel collegio di Alassio. Il Santo veniva dalla Francia e doveva.
proseguire, direttamente per Roma.
Alassio, 7 février 1879.
Monsieur Jules Rostand,
A la conclusion de notre affaire comme vous étiez à Paris
je n'ai pas pu vous faire mes respectueux hommages et vous remercier
de la bonté ou mieux de la charité que vous avez bien
voulu nous faire. Notre reconnaissance sera éternelle, et les
enfants patronnés adresseront tous les jours une fervente prière
au Bon Dieu pour qu'il se charge de vous recompenser selon ses divines
promesses.
Dans mon voyage j'ai touché à Saint-Cyr où j'ai
trouvé Mr l'Abbé Vincent qui nous attendait comme la manne
du ciel. Il a toujours avec lui un cinquante d'orphelins, qui lui font
augmenter les dettes
.chaque jour. Il a signé sans difficulté notre compromis
en disant que " dès ce jour il n'aurait plus fait aucune
dépense sans nous en avertir. Parmi les enfants il y en a 24
qui ne touchent pas encore l'âge de dix ans; deux, trois, cinq,
six années voilà leur âge; et comme à cet
âge il leur faut avant tout, une assistance réellement
maternelle, nous nous sommes entendus qu'il les aurait renvoyés
à leurs parents. Cette ferme est de go hectares. Le terrain est
bon, mais envahi par le chiendent. Il y a defaut d'engrais, de pré
et de bestiaux.
Les choses sont mieux à la Navarre. Il y a déjà
7 mois que j'y ai envoyé d'ici deux prêtres et quatre clercs
qui surveillent une cinquantaine de, jeunes hommes dont quelques'uns
fréquentent les classes, ou les atéliers; les autres guidés
par des maîtres laboureurs travaillent à la campagne. On
y a acheté déjà une cinquantaine de têtes
dé bestiaux, mais c'est encore trop peu en rapport de l'extension
de la ferme, qui monte à 230 hectares. Le sol est très
bon,; le blé, le raisin, les oliviers, les quercus suber (chaine
à bouchons) y croissent à merveille.
Dans les deux fermes de S. Cyr et de Navarre, il y a beaucoup de dépenses
à faire pour quelques années, mais depuis elles suffiront
à entretenir et nourrir plus de Zoo garçons, sans avoir
besoin de recourrir à personne.
Très respectable Monsieur, j'ai desiré vous donner ces
renseigne
859
ments, pour vous mettre au courant de l'importance des œuvres
à qui vous avez si puissament prêté votre appui,
à pouvoir les dire, produits de votre grande charité.
je suis parti de Marseille, mais en
la quittant mort coeur est resté à l'Oratoire de St Léon.
Les pauvres orphelins recueillis, les ateliers commencés, la
Maîtrise qui augmente, nos projets qui nous poussent, exigent
des aggrandissements. Je ferais tout mon possible, je me confie sans
bornes dans vos mains; et dans vos mains est le bonheur de la maison
Beaujour.
Que le Bon Dieu vous bénisse, charitable Mr Jules Rostand et
vous conserve en bonne santé bien long temps, pour être
témoin des fruits de vos bonnes œuvres. Que le Bon Dieu
répande ses grâces sur tous les membres de la Société
Beaujour, et sur toute votre digne famille vers qui j'ai un grand. dette
de reconnaissance. je suis en route pour Rome, "où j'espere
de dire bien des choses de la Société Beaujour,. et obtenir
du St. Père une particulière bénédiction.
Veuillez bien agréer les plus sincères expressions de
reconnais-sance de
Votre très obligé Serviteur
Abbé JEAN BOSCO.
A Monsieur Jules Rostand.
IX.
Lettera al Direttore della casa di Parigi.
Mio caro D. Bellarny,
Vi mando qui copia della lettera che io conto di mandare ai nostri
Cooperatori di Parigi.
Io vi raccomando di leggerla, e se la trovate a proposito, la tradurrete
e poi me la manderete affinchè la stampiamo in buon francese.
In fine stampate e tutte da me firmate saranno a voi indirizzate affinchè
le mettiate alla posta con l'indirizzo a ciascun cooperatore.
Ho ricevuto a suo tempo le lettere che mi avete scritto, e mi avete
fatto un gran piacere. Io sono contento di quello che fate, ma abbiatevi
molto riguardo per la vostra sanità e per la sanità di
tutti i vostri confratelli. Quando avete occasione di parlare con qualche
nostro benefattore o semplicemente nostro cooperatore, voi lo saluterete
da parte mia assicurando tutti che io pregherò tanto per loro.
Dio vi benedica e con voi benedica tutta la famiglia dei nostri confratelli,
e vogliate tutti pregare per me che vi sarò ora e sempre in G.
C.
Torino, 18 - 85. Aff.mo amico
Sac. Gio. Bosco.
860
X.
Avvisi confidenziali di Don Bosco a due Direttori.
Il primo di questi due Direttori sembra che fosse quello di Varazze
e il secondo quello di Lanzo.
A.
1° Una predica sullo spirito di carità ed unione fraterna.
Un Dio, un solo padrone, un solo superiore, una sola Congregazione.
2° Il rendiconto mensile; convocare il Capitolo; fare e raccomandare
caldamente la meditazione pratica. P. e. non si conservi danaro a proprio
uso, nè si facciano spese senza il consenso del Capitolo.
3° Non mai biasimare ciò che si faceva prima nelle scuole
o fuori di scuola in Varazze. Non vantare in pubblico od in privato
quello che si fa o che si è fatto.
4° Evitare le conversazioni, le visite e le relazioni non necessarie,
fuggire la famigliarità colle persone di diverso sesso. Qualcuno
mi nota la tua troppo lungo dimora a Nizza.
5° Rispettare e temere molto il clero ligure (I); perciò
lodarlo, non mai biasimarlo, o vantarsi in qualche cosa sopra gli altri
nel pulpito o altrimenti.
6° Fare il bene che si può senza comparire. La violetta sta
nascosta, ma si conosce e si trova all'odore.
Leggi, pratica, e ce ne parleremo. Accetta tutto dal tuo
Aff.mo in G. C.
Sac. Gio. Bosco.
B.
Carissimo,
Nel corso di questi esercizi ho parlato con varii esercitandi dei
nostri collegi e notai quello che mi sembrò degno di seria osservazione.
Chiama pertanto il prefetto e leggete insieme:
1° Non dimenticare quello che ho caldamente raccomandato quando
mi avete accompagnato a S. Ignazio.
2° E l'uno e l'altro vi allontanate troppo facilmente dal collegio,
andate a casa dei giovani e dei privati.
3° Gravi lamenti sulla nettezza personale degli abiti e dei luoghi
dove si dimora. Gravi lamenti intorno alla disciplina. Sono due cose
(I) Per ben comprendere il valore di temere, qui e nei ricordi del
1875 ai Missionari (“ amate, temete, rispettate gli altri ordini
religiosi ”), bisogna mettere questo verbo in rapporto con la
frase aver tema, propria del dialetto piemontese popolaresco, quando
si parla del timore riverenziale che tiri subalterno qualunque deve
avere di fronte, a chi è da più di lui.
861
fondamentali. A chi sono affidati? Il Direttore ed il Prefetto fanno
la parte loro? Preferiscano questa ad ogni altra esterna occupazione.
4° Molti parenti si lagnano a motivo dell'amministrazione: molti
giovani troppo malcontenti, altri troppo accarezzati ecc. ecc.
Dio ci aiuti. Lavorate per le anime e specialmente per la vostra. Amen.
Vigilia dell'Annunciazione.
Sac. Gio. Bosco.
XI.
Argomenti pei predicatori dei nostri santi esercizi.
Don Rua incaricò, non sappiamo in quale anno, Don Barberis di
distribuire ai predicatori dei nostri esercizi questi argomenti, tratti
da una minuta di Don Bosco.
1. Pazienza nel sopportare i difetti dei Confratelli; avvisarli, correggerli
con carità, ma prontamente.
2. Evitare le critiche, il biasimo; difenderci a vicenda, aiutarci materialmente
e spiritualmente.
3. Non mai lagnarci nelle cose comandate, nei rifiuti o negli apprestamenti
di tavola, di abiti, nella scelta dei lavori, nei malori della vita,
nella qualità degli impieghi
4. Somma cura nel fuggire e far fuggire qualunque opera, parola scandalosa,
o che si possa interpretare come tale.
5. Non mai il Salesiano ricordi qualche ingiuria ricevuta per farne
rimprovero o vendicarla.
6. Le cose (passate e già quasi generalmente) (I) dimenticate
non vengano più richiamate per farne biasimo.
7. Sollecitudine e sforzo generale per rendere i Salesiani capaci a
compiere esemplarmente i doveri del proprio stato.
XII.
Trentotto brevi scritti di Don Bosco.
Questi scrittarelli furono copiati dal suo segretario Don Berto. Per
lo più il Servo di Dio li aveva apposti a immagini sacre, accompagnandoli
con la sua firma consueta.
I.
Dio benedica e ricompensi largamente la carità dei benefattori
dei nostri orfanelli.
Sac. Gio. Bosco.
(I) Le parole chiuse fra parentesi sono una glossa di Don Rua. Le cose
difatto dimenticate non si possono richiamare; ma qui s'intende di cose
che si è stabilito di non voler più ricordare.
862
2.
Noi pregheremo ogni dì per tutti i nostri benefattori.
Sac. Gio. Bosco.
3.
Donnez au orphelins sur la terre et le bon Dieu vous fera riche un
jour dans le Paradis.
Abbé Jean Bosco.
4-.
Les prières des pauvres seront toujours exaucées, et
trouveront misericorde.
Abbé J. Bosco.
5-.
Que Dieu bénisse vous, vos parents, et tous vos amis.
Abbé J. Bosco.
6.
Dio vi faccia tutti ricchi del santo timor di Dio.
7.
O Marie, protégez la France et tous les Français.
8.
Dio detesta il peccato e chi lo commette; ma la sua misericordia è
senza limite.
9.
Fate presto opere buone, perchè può mancarvi il tempo
e così restare ingannati.
10.
Chi fa bene in vita trova bene in morte. Qualis vita, finis ita.
II.
O Maria, otteneteci da Gesù la sanità del corpo, se essa
è bene per l'anima, ma assicurateci la salvezza eterna.
12.
O Vergine pia, l'aiuto tuo forte
Da' all'anima mia in punto di morte.
863
13.
O Santa Maria
L'aiuto tuo forte
Dà all'anima mia
In punto di morte.
14.
Chi ritarda di darsi a Dio, è in gran pericolo di perdere l'anima.
15.
Io prego ogni giorno per voi e voi pregate anche per la salvezza dell'anima
mia.
16.
I giovanetti sono la delizia di Gesù e di Maria.
17.
Se facciamo bene, troveremo bene in questa vita e nell'altra.
18.
In Paradiso si godono tutti i beni in eterno.
19.
O Maria, siate la salvezza mia.
20.
Il più gran nemico di Dio è il peccato.
21.
Que Dieu vous bénisse et que la Sainte Vierge soit votre guide
dans tous les dangers de la vie.
22.
Chi protegge i poveri, sarà largamente da Dio ricompensato al
suo divin tribunale.
864
23.
Beati coloro che si danno a Dio per tempo nella gioventù!
24.
Figliuoli miei, conservate il tempo e il tempo conserverà voi
in eterno.
25.
Date et dabitur vobis.
26.
Gesù sia nei pericoli sempre vostra guida fino al Cielo.
27.
Chi protegge gli orfanelli, sarà benedetto da Dio nei pericoli
della vita e protetto da Maria in morte.
28.
Quanti volevano darsi a Dio e restarono ingannati, perchè loro
mancò il tempo.
29.
In fine della vita si raccoglie il frutto delle buone opere.
30.
Dio benedica e ricompensi tutti i nostri benefattori.
31.
Che grande ricompensa avremo di tutto il bene che facciamo in vita!
32.
Dio ci benedica e ci scampi da ogni male.
33.
Al pensier di Dio presente Fa' che il labbro, il cuor, la mente Di
virtù seguan la via, O gran Vergine Maria.
865
34 (I).
Et cognovi quod non esset melius nisi laetari et lacere bene in vita
sua (Eccl., III, 12).
35.
Non nelle mie preghiere, ma confidate in quelle dei nostri orfanelli,
che sono in modo particolare protetti dalla S. Vergine Ausiliatrice.
Dio benedica e ricompensi largamente tutti i nostri benefattori.
36.
Maria ti porti la santa benedizione e ti difenda dai pericoli in vita
ed in morte. Così sia. (A Viglietti studente).
37.
Adde quotidie scientiam scientiae, virtutem virtuti, et dominus dabit
tibi mercedem magnam nimis (A Viglietti chierico, nel suo onomastico;
1884).
38.
Aiutami come figlio, io ti amerò sempre come padre e pregherò
molto che tu possa un giorno volare al cielo accompagnato dalle anime
da te salvate (A Don Viglietti prete, nel suo onomastico) 1887.
XIII.
Memorandum del Card. Cagliero.
Aurei consigli tratti dai ricordi e dall'esempio del nostro Venerabile
Padre Don Bosco, ed offerti al personale dirigente, insegnante ed assistente
nelle Case e Missioni della Patagonia.
I. Qui praesunt, ideo praesunt ut prosint (S. Aug.). Chi sta in alto,
vi sta, perchè sia di giovamento a chi sta in basso. - I°
Ciascheduno si consideri responsabile dell'ufficio che gli fu affidato,
e pensi al conto che della sua gestione deve dare a Dio ed alla Congregazione.
- 2° La previdenza, la vigilanza e la diligenza sieno le nostre
compagne inseparabili nella saggia direzione della casa, collegio o
scuola e loro retta amministrazione. - 3° La vita comune, la pre-
(I) Sopra un biglietto trovate nel Breviario del Servo di Dio (Nota,
del segretario).
866
ghiera, il lavoro ed il sacrificio: ecco le prerogative ed il privilegio
della nostra superiorità e della nostra punto invidiabile dignità.
II. Exemplum dedit nobis ut sequamur vestigia eius (S. Petr.). I°
Come quello del Ven. Don Bosco, il nostro, tratto sia sempre e con tutti
nobile, colto e benigno, non arcigno, nè volgare nè, maligno.
2° Il nostro parlare poi sia ognora dolce, grazioso e prudente;
non mai pungente, incolto od irruente. - 3° Ed ogni nostro atto
sia ancor esso molto e molto riservato; guai se irato, libero o smodato.
III. Apparuit benignitas Salvatoris nostri erudiens nos (S. Paul.).
- I° Più che testa di superiore, conviene avere cuore di
padre. 2° Procuriamo di farci amare piuttosto che temere. - 3°
Sappiamo farci ubbidire senza comandare.
IV. Charitas non agit perperam (non agisce sconsigliatamente). - I°
Non siamo precipitosi nel correggere. - 2° Non aspri, ma dolci nell'ammonire.
- 3° Non si umiliino, nè si mortifichino mai i subalterni.
V. Si vis amari, esto amabilis (S. Jo. Chys.). - Non conviene essere
troppo rigorosi nel pretendere l'obbedienza e la osservanza comune:
l'ottimo è nemico del bene. - 2° Sappiamo compatire e dissimulare
i difetti e il carattere dei nostri figliuoli. - 3° Non si facciano
le riprensioni, se non quando lo spirito sia calmo, l'animo tranquillo
ed il cuore in pace.
VI. Discite a me quia mitis sum (S. Matt.). - I° La commozione
nei Superiori è cattiva compagna e peggiore consigliera. - 2°
La mitezza, la pazienza e la indulgenza siano il distintivo della nostra
autorità. - 3° La nostra parola suona, il nostro esempio
tuona.
VII. Labia tua lac et mel, et eloquium tuum dulce (Cant.). I° La
orazione ci fa videnti e prudenti. - 2° La dolcezza ci rende accetti
e amabili. - 3° La bontà ci fa amanti e amati.
VIII. Magis docendo quam iubendo, magis amando quam minando. Nec aspere
nec duriter; si quid minarum, cum dolore, ne nos ipsi in nostra potestate,
sed Deus in nostro sermone timeatur (S. Aug.). I° Lo zelo sia sempre
accompagnato dalla dolcezza, sicchè nella nostra bocca sieno
amabili le stesse minacce. - 2° Tengasi sempre presente non potersi
con aspri modi, con durezza e con impetuosità correggere nè
il peccato nè il peccatore. - 3° E quando è pur forza
di usare le minacce ed il rigore, lo si faccia a malincuore e con pena,
dimostrando l'interno rammarico, per significare in tal modo che non
si vuole incutere timore di sè o della propria autorità,
ma del Signore cui si offende.
867
Poscenda fides, ut vincatur mundus cum suis erroribus, cum suis amatoribus,
cum suis tortoribus (S. Aug.).
Finis scientiarum est, ut aedificetur fides, ut honorificetur Deus,
ut componantur mores, ut haurientur consolationes, ut animae salventur
(S. Bonav.).
Charitas fraternitatis maneat in vobis (Ad Hebr, ).
S. José di Costa Rica, addì 22 marzo 1912.
+ Gio. Arcivescovo.
XIV.
Pubblica ritrattazione del can. Chiuso.
Il giorno di Maria Ausiliatrice, 24 maggio 1891, dopo il solenne pontificale
nel Santuario, S. E. Davide dei Conti - Riccardi, Arcivescovo di Torino,
fece trovare la sua carrozza vicino alla sacrestia in atto di volersi
recare immediatamente all'Arcivescovado. Io, che ero addetto all'anticamera
del Signor Don Rua, mi accostai alla carrozza per baciare l'anello all'amatissimo
arcivescovo, ma in realtà per sapere quali erano le sue intenzioni.
Appena egli mi vide, mi fece cenno di avvicinarmi: - Dica a Don Rua,
mi avvertì, che vado in Arcivescovado a prendere una persona
che mi aspetta e che a tavola tenga preparato un posto di più.
Avvisai subito il sig. Don Rua, il quale si mostrò un po' meravigliato,
non potendo immaginare chi sarebbe stato il compagno di S.E.
Intanto dopo mezz'ora circa ecco giungere la carrozza dell'Arcivescovo,
che sceso, si avviò direttamente all'anticamera del sig. Don
Rua seguito da un venerando sacerdote. - Io spalancai la porta: l'arcivescovo
abbracciò con effusione di affetto Don Rua. - Ho condotto, disse,
un sacerdote che da molto tempo non vede più, ma la sua presenza
quest'oggi le sarà molto gradita. - lo non sentii altro. Chiusi
la porta; tutti andarono a tavola ed io pure scesi nel mio refettorio.
Dopo pranzo mi incontrai col carissimo Ing. Rodolfo Sella. Era più
giulivo del solito. - Quest'oggi, mi disse, ho provato una delle più
grandi consolazioni che si possano provare su questa terra. Allevar
della mensa S. E. brindò con elevatissime parole al prodigioso
sviluppo della Congregazione Salesiana che sotto la illuminata e ferma
direzione di Don Rua continua le orme apostoliche di Don Bosco superando
ogni difficoltà conchiudendo: “ Godo, disse, immensamente
di presentare quest'oggi sacro all'Ausiliatrice in questa solenne adunanza
il Rev. Don Chiuso, il quale intende di chiudere un periodo quanto mai
spinoso e durato anche troppo a lungo, e dimostrare coi fatti il grande
suo attaccamento e la grande sua stima a Don Bosco, al degnissimo successore
Don Rua, a tutta la Congregazione Salesiana”.
868
Prese la parola in un religioso e commosso silenzio il Rev. Don Chiuso,
il quale fece una dignitosa e sentita ritrattazione dell'opera da lui
svolta nel contrasto doloroso che per lunghi anni mise a dura prova
la santità di Don Bosco e strappò lacrime di consolazione
a tutti gli astanti. Ma il più contento era Don Rua che vedeva
ancora. una volta esaltata la virtù di Don Bosco. Abbracciò
con affetto il Rev. Don Chiuso e corse al Santuario a 'ringraziare l'Ausiliatrice.
Torino-Valsalice
19 gennaio 1937-XV.
In fede
Sac. MAROCCO MELCHIORRE
XV.
Mi primera confesión general con Don Bosco.
Era el año 1882. En agosto llegó el P. Bosco á
San Benigno Canavese para los Santos Ejercicios de los novicios y hermanos.
El P. Director Don Julio Barberis nos avisó, y nos animó
ir á confesarnos con Don Bosco, proponiéndonos haceR los
que tuvieran deseo ó necesidad, la confesión general.
Yo que había entrado en San Benigno en abril de ese mismo año,
determiné aprovechar, aunque ignorara en aquel entonces los dones
que el Señor le concedía. Me preparé lo mejor posible,
y me presenté. Mis primeras palabras fueron: Padre, hacen unos
cinco meses que _entré, en el Colegio, y desearía hacer
mi confesión general para estar más seguro.
- Muy bien, me dijo el Padre. ¿Estás preparado?
- Creo que sí; contesté, he hecho cuanto he podido para
hacer el examen de conciencia.
- Bien, bien, Dime, ¿deseas decir tu los pecados ó quieres
que yo te diga los que has cometido?
- Mejor. me los diga Vd., estaré mas conforme. - Muy bien ¿como
te llamas?
- G. Z. le dije.
- ¿Como?
- G. Z.
- ¿No puedo comprenderlo bien, ¿como?
- G. Z.
- Tu vees, no puedo comprender, repítelo.
Y siguiendo así me hizo repetir el nombre unas siete u ocho veces.
Entonces fué que me vino la idea de hacerme conocer de otra manera.
- Vea, Padre, le dije, soy el sobrino del Cura Párroco del Sagrado
Corazón en Roma, D. Cagnoli.
- Ah, comprendo, ahora se quien eres. Pues, mira, tu has hecho el tal
pecado en tal lugar, con tal compañero.
869
- Es verdad, Padre. - De esta manera me dijo todos los pecados con
pelos y señas, circunstancias de lugar, tiempo y compañía.
Me dijo que la la Comunión la había hecho bastante bien,
pero que habría podido ser mejor y terminado la letanía,
a la que siempre tuve que contestar: Sí, Padre, es verdad, añadió:
Ya no tienes nada más, quédate tranquilo; ahora procura
portarte así y asá, haz esto y aquello, y estarás
contento. No recuerdo si me habló de mi porvenir, creo que no,
porque no me hizo ninguna impresión. Lo que tengo en confuso
fué que creo me dijo: Veremos lo que es capaz de hacer este hijo
de Dios-- En los seis años que pasé entre S. Benigno y
Turín me volví a confesarme con Don Bosco unas dos ó
tres veces, pero nada de particular. Creo haber sido el ultimo de los
jóvenes del . Oratorio que le besó la mano, aún
vivo, á las 8 de la noche del 31 enero de 1888.
Cuanto espongo es la pura verdad.
P. ZACARIAS GENGHINI
Salesiano nel Cile.
XVI.
Testimonianza sul " Grigio ".
Non bisogna lasciar cadere nessuna testimonianza di fatti riguardanti
le origini dell'Opera di Don Bosco. Questa sul famoso Grigio è
riferita dal salesiano Don Aliberti, presentemente Ispettore a Magallanes.
En vísperas de partir para Turin el año 192o, el P. Víctor
Durando, misionero en Magallanes, me encargó de llevar un saluto
a un hermano suyo, Don Felipe Durando, distinguido sacerdote turinés.
Llegado a Turín, fué mi primer cuidado ir a visitar a
dicho sacerdote en compañía del P. Mayorino Borgatello.
Don Felipe, que vivía en los altos de una casa en vía
S. Martino, nos recibió. con exquisita cortesía y nos
ofreció una copa de vino generoso. Entre tanto nos decía
como por su avanzada edad había conseguido del Cardenal Arzobispo
de Turín el privilegio de celebrar en su propia casa, pues apenas
podía caminar.
El venerando sacerdote hablónos con mucho afecto de Don Bosco,
á' quien había conocido y tratado familiarmente. Habiendo
caído la conversación sobre el perro « gris »,
nos dijo: - Yo alcancé a conocer ese animal misterioso; he aquí
cómo: Un día habiéndome encontrado Don Bosco en
la calle de la Consolata después de medio día me convidó
a almorzar con él en el Oratorio, a lo que accedí de buen
grado. Como llegamos tarde, hubimos de comer solos. Mientras conversábamos,
al levantar la vista vi de repente al lado de Don Bosco al perro gris
que lo miraba y meneaba la cola como
870
esperando alguna cosa. También Don Bosco fijó sus ojos
en el animal y diciéndole: - Muy bien, gris, te has portado siempre
bien con Don Bosco -, le dió un pedacito de pan. El' perro lo
olfateó y no lo comió. Tomó entonces Don Bosco
el pedazo de pan, lo empapó en el jugo de la comida y nuevamente
lo ofreció al perro, el cual por segunda vez se rehusó
a comerlo. - Ya comprendo, dijo entonces Don Bosco, ya comprendo, gris,
lo que quieres de-
cirme: Don Bosco no puede recompensarte como mereces, sinó que
' esperas galardón mayor, de aquel que te lo pueda dar.
Los dos comensales seguimos departiendo amablemente haciendo caso omiso
del perro. Acabado el almuerzo, no vi más al animal: había
desaparecido misteriosamente.
Don ALIBERTI
Ispettore salesiano di Magallanes.
XVII.
Per la storia della chiesa di S. Giovanni Evangelista.
Il Corriere Nazionale di Torino, nel numero del 9 febbraio 1888, in
occasione dei funerali di Don Bosco nella chiesa di S. Giovanni Evangelista,
pubblicava il seguente articolo:
Oggi, 9 febbraio, nella chiesa di S. Giovanni Evangelista ha luogo,
come sanno i nostri lettori, una messa di suffragio pel nostro venerando
Don Bosco, e subito dopo si farà la conferenza pei cooperatori
e cooperatrici salesiani.
È bene che i nostri lettori sappiano in parte quanti sacrifizi,
quante noie, e quante pene costò questa chiesa al pio sacerdote.
In quella medesima località anni prima esisteva per opera sua
l'Oratorio di S. Luigi, ove raccoglieva centinaia e centinaia di ragazzi.
Quando poi, crescendo Torino ed abbellendosi straordinariamente, venne
l'idea di far la chiesa di S. Giovanni Ev., come monumento a Pio IX,
che ne portava il bel nome dal S. Battesimo, Don Bosco, trovò
impedimenti da tutte parti. Una striscia di terreno apparteneva ad un
protestante, e non era possibile ottenerla per proposte che gli si facessero
e sotto mille forme, e da qualunque parte esse venissero. Finalmente
si ricorse alla ragione di utilità pubblica, e così obbligare
quel settario a desistere dalle soverchie esigenze.
A Torino imperava al Municipio Luigi Ferraris, ed alla Prefettura il
conte Zoppi, che aveva altro a fare con certa gente che fu poi portata
sul banco delle Assise, e nè l'uno nè l'altro vollero
vedere l'utilità pubblica, anzi con occhio maligno fecero gli
interessi dei Protestanti assicurando con regolare risposta al Ministero,
che nessuno voleva quella chiesa, se invece non era molto combattuta.
Dunque non se ne
871
parli più. Ma Don Bosco era il veramente tenax propositi vir,
di cui parlava Orazio, e disposto a sostenere anche le rovine del mondo,
non indietreggiava dinanzi a difficoltà, quando o la gloria di
Dio esigeva l'opera sua, o la carità del suo prossimo. Qui vedeva
l'una e l'altra causa impegnata.
Il Municipio e la Prefettura gli rispondono che il loro parere era di
desistere, ed il Ministero dei Lavori pubblici gli fa tenere una risposta
identica. Che fa Don Bosco? Ricorre al Consiglio di Stato... Ma questo
non riceve mai la sua memoria e non può trattarne, sebbene si
preveda che non sarebbe diversa la decisione. Don Bosco erasi recato
a Roma, se non erriamo, nel principio del 1876, e con altre faccende,
si studiava di penetrare nelle segrete cose, e venir a conoscere perchè
tanta opposizione, perchè tanta guerra. Sapeva che le carte spedite
per essere trasmesse al Consiglio di Stato si dicevano smarrite, anzi
perdute, e che qualcuno aveva interesse a lasciarle nel dimenticatoio.
Si cercava di addormentare Don Bosco, stancarlo e torgli dal capo l'idea
di edificare la chiesa di S. Giovanni Ev.
Un bel dì ei viene a conoscere, che le sue carte, malgrado i
buoni uffizi del ministro (Spaventa) dei Lavori pubblici di farne dimenticare
ogni traccia, erano arrivate al Consiglio di Stato, e che se ne doveva
trattare alla dimane. Prende allora coraggio, e, da uomo prudente, cerca
di sapere chi siano coloro che hanno a giudicare. Saputine alcuni ne
va a cercarli a casa, per raccomandar loro la pratica. Tra gli altri
un buon romano, che da tempo desiderava di conoscere Don Bosco. Chi
può dire le feste che egli fece quando se lo vide davanti e con
quella eloquenza semplice e persuasiva gli domandava il suo appoggio
per cosa tanto sacra e bella? L'esito fu favorevole, e due sere dopo
il Consigliere stesso di Stato glielo comunicava.
Io che scrivo mi trovai nell'umile cameretta di Don Bosco quando quasi
con il medesimo corriere riceveva una lettera da Roma, ed un'altra dalla
Prefettura di Torino. Quella di Roma veniva dal Segretario di Stato,
e gli annunziava che il S. P. Pio IX mandava l'offerta di due mila lire
per la chiesa di San Giovanni, e quella di Torino, scritta dal Zoppi
e passata credo dal Municipio, o viceversa, gli comunicava che il Governo
stimava di utilità pubblica la costruzione di quella chiesa,
e che si poteva procedere anche ad espropriazione forzata! lo vidi il
pio sacerdote contento e pieno di riconoscenza a Dio che finalmente
l'aveva tolto da quell'imbroglio. Mi venne voglia di interrogarlo come
quelle carte invita universa (sic) erano passate al Consiglio di Stato;
ed Egli, alzato gli occhi al cielo, disse che era opera di quel Dio
che suole scherzare in mezzo degli uomini
L'apostolo diletto, di cui fu così divoto il grand'uomo di Dio,
ascolti le preghiere che oggi si fanno nella sua Chiesa, monumento di
arte e di pietà, e se non fosse ancora tra gli eletti nel cielo,
lo faccia andare quandochessia fra le beate genti,
872
XVIII.
Storia interessante.
Tutto questo racconto fu steso da Don Lemoyne, che lo lasciò
in bozze con l'intenzione di farne un capitolo nel volume che avrebbe
chiuso le Memorie biografiche, se il Signore gli avesse lasciato il
tempo di condurle a termine.
Don Bosco aveva molta relazione col Marchese Ignazio Pallavicini il
quale aveagli promessa una somma per soccorrere la Casa di Sampierdarena.
Alcune persone influenti avendo saputo le intenzioni del Marchese entrarono
in mal punto a consigliarlo: non essere conveniente soccorrere uno straniero,
un piemontese a preferenza di un Genovese: essere meglio beneficare
una delle tante opere che vi erano in Genova. E infatti così
fu. Verso Don Bosco il Marchese conservò animo benevolo ma nulla
gli lasciò dopo morte.
Don Bosco venuto a Genova si presentò alla Marchesa sua figlia
che si era sposata col marchese Durazzo la quale era erede universale
dei beni del Padre e le disse: - Vengo da lei signora Marchesa per ricordarle
l'intenzione di suo padre di beneficare la casa di Sampierdarena. Io
non ho nessun diritto e non pretendo di averne Però lui sembra
che lei potrebbe in qualche maniera, come le pare meglio, venire in
aiuto di quei poveri giovani.
- Io rispose la Signora con un tono lui po' asciutto, so che mio padre
così aveva pensato, ma so anche aver egli poscia modificata la
sua volontà. Credo che si trattasse circa di un quaranta mila
lire.
- Io nulla pretendo: osservò Don Bosco: ma so certamente che
il marchese suo padre voleva fare qualche cosa per noi; non chieggo
quaranta o cinquanta mila lire, ma almeno qualche piccolo soccorso,
un due, un quattro mila lire, per onorare la memoria del Marchese e
perchè la casa di Sampierdarena si trova in grandi strettezze.
- Io, almeno per ora, posso fare nulla per lei.
- Lei è padrona: ma le dirò che così facendo non
si attira certamente le benedizioni di Dio e se ne accorgerà.
A questa misteriosa minaccia la Marchesa punta al vivo uscì in
qualche parola mordace, la quale se non poteva offendere l'amor proprio
di un santo, feriva però il cuore di chi chiedeva la carità
per i suoi poverelli.
Don Bosco uscì da quella casa e la Marchesa diede ordine che
se Don Bosco si fosse ancor presentato non venisse più introdotto.
Don Bosco giunto a Torino prese una lettera che il Marchese Pallavicini
gli aveva scritta con promessa di ricordarsi di lui nel testamento e
gliela mandò: la lettera non fu più restituita e non ne
ebbe risposta.
873
Da quel momento sembrò davvero che le disgrazie fossero entrate
in quella casa. Dopo una serie di cose spiacenti e dolorose il marito
divenne cieco, poi accadde la divisione (divorzio) tra suo figlio e
la marchesa sua moglie. Il Marchese Durazzo suo figlio implicato in
varie operazioni commerciali, e specialmente per gli affari della Veloce,
aveva fatto grosse perdite. La Marchesa fu obbligata a firmare cambiali
su cambiali. Si trattava di somme enormi, di milioni e milioni, sicchè
il notaio, che era un uomo espertissimo nel suo mestiere, le disse un
giorno che le presentava una cambiale da firmare, credo di un milione:
- Perdoni Signora Marchesa, sa Lei che cosa firma?
- Si, lo so, rispose.
- Quando è così; basta: conchiuse il notaio.
Intanto si era visto in Sampierdarena la necessità di comprare
una possessione del Marchese vicina all'Ospizio, perchè se altri
ne fosse venuto possessore avrebbe potuto innalzare una fabbrica e,
dominando i nostri cortili e la casa, renderebbe impossibile colà
la nostra permanenza.
Percìò bisognava indurre la Marchesa a vendere. Di ciò
fu incaricato il sig. De Amicis. Questo signore un giorno si presentò
adunque alla Marchesa e aspettato il momento opportuno le disse come
Don Belmonte Direttore di Sampierdarena fosse venuto a pregarlo di fare
questa parte: - Io rispose la Marchesa non voglio aver nulla da fare
con Don Bosco.
- E perchè?
- Perchè Don Bosco è una di quelle persone che... e usò
espressioni che indicavano non solo freddura ma disistima
- Ma se è lecito interrogarla, mi dica; su quali argomenti si
basa per pensare così sinistramente di Don Bosco?
E la Marchesa gli narrò il dialogo avuto con Don Bosco. De Amicis
ascoltava meravigliando senza darlo a divedere, di quella profezia di
Don Bosco che per la Marchesa era un argomento di sdegno.
- Signora Marchesa, io sono di opinione contraria alla sua, disse De
Amicis, Conosco Don Bosco, vedo le sue opere e non posso indurmi a credere
Don Bosco tale come essa mi dice.
- Ebbene; e lei si tenga la sua opinione ed io mi tengo la mia.
- Sì; ma veda io sono in unione con moltissimi, per non dire
con tutti nel pensare in favore di Don Bosco; mentre lei ha nessuno
o pochi che abbiano la sua opinione.
- Basta non me ne parli più; per Don Bosco farò nulla,
l'interruppe la Marchesa.
E il Signor De Amicis riferì a Don Belmonte il cattivo esito
della sua ambasciata.
Intanto avveniva la divisione del matrimonio La marchesa lo mandò
a chiamare in sua camera che, aveva l'alcova pel letto: era una magnificenza.
I mobili tutti indorati, sicchè, sembrava un tempio,
874
con candelabri, sete, damaschi, tappeti, e oggetti preziosi a profusione.
Essa era appoggiata sulla scrivania e piangeva dirottamente.
De Amicis entrò. La Marchesa gli disse: sono? - Vedete a che
punto
- Signora: comprendo tutta la forza del suo dolore; abbia pazienza,
rimettiamo le cose nelle mani di Dio: ora non c'è più
rimedio; si tranquillizzi, si rassegni, io però vorrei suggerirle
.....
- Non parlatemi di Don Bosco, scappò a dirgli la Marchesa, con
un gesto che significava: - Sta indietro dieci passi, ricordati la distanza
che corre tra te e me.
De Amicis si ritirò risoluto di non più presentarsi a
Lei se non chiamato. E solo dopo 15 giorni essa lo mandò a chiamare.
De Amicis vedendo la Signora Marchesa così ostinata, disse finalmente
a Don Bosco incontrandolo un giorno: - Non ne facciamo niente sa!
- Si sì rispose Don Bosco: il contratto si farà ma quando
io non ci sarò più; e lei servirà d'intermediario
De Amicis ritenne la frase, benchè in quel momento avesse perduta
ogni speranza.
Don Bosco intanto veniva ammalato. De Amicis partì subito per
vederlo e lo trovò che stava molto male. Nel congedarsi gli disse:
- Devo andare a Roma col pellegrinaggio italiano. Sono costretto a partire
e mi rincresce lasciarlo in questo stato. Ma tornerò a vederlo?
- E la sua frase indicava come temesse di non rivederlo più.
- Vada pure, rispose sorridendo Don Bosco. Stia tranquillo; mi vedrà
ed assisterà al mio funerale.
A questo Signore, che era ricco Don Bosco aveva già detto: -
Lei è destinato a fare molto bene. E altra volta che gli chiedeva
se si sarebbe salvato, - Sì, ma scenderà quasi sull'orlo
del precipizio e poi sorgerà e si salverà.
De Amicis adunque ritornava a Genova e si presentò alla Marchesa
che esso doveva accompagnare a Roma, e le disse: Vengo da Torino a visitare
Don Bosco.
- E come sta?
- Molto male.
- Poveretto me ne rincresce! - Questa signora era di fondo molto buona
e di carità, ma aveva troppe prevenzioni contro Don Bosco.
Andata a Roma entrava con De Amicis nelle sale Vaticane per l'udienza.
Appena il Papa vide De Amicis, avendo saputo che era stato a Torino,
gli chiese con premura: Ebbene mi dica come sta Don Bosco? - De Amicis
gli diede le notizie ed il Papa dimostrava vivissimo interesse per Don
Bosco. La Marchesa ne restò colpita e quando uscì disse
al De Amicis:
- Quale stima per Don Bosco il Papa!
875
- Giustamente Signora Marchesa, non mi fa meraviglia Il Papa conosce
chi è Don Bosco.
De Amicis tornato a Genova, si affrettò a venire a Torino a veder
Don Bosco che aveva saputo morto dai telegrammi e dai giornali. Si avverò
appuntino la predizione. Giunse pochi momenti prima che si chiudesse
la cassa, potè vedere le sembianze del suo amico, baciargli ancora
una volta la mano ed assistette al suo funerale,
Don Rua occupati i primi mesi del 1888 nell'ordinare gli affari materiali
della Congregazione e regolati i diritti di successione col governo,
rivolse i suoi primi pensieri alla compra della possessione Durazzo,
per liberare l'Ospizio di Sampierdarena da una vessazione che forse
non sarebbe stata lontana pel continuo crescere delle fabbriche in quella
città.
Don Bosco prima di morire aveva interposte altre persone influenti presso
la Marchesa per indurla a vendere. Essa prima rispose che intendeva
di vendere quel terreno come spazio fabbricabile. Poi che la somma infima
che esigeva erano duecento mila franchi da pagarsi in rogito. E si trattava
di vendere solamente una parte di quel terreno. Finalmente rispose a
chi la importunava che se avesse voluto vendere non voleva contrattare
se non a patto di vendere tutta intiera la possessione. La conclusione
però di questa proposta era sempre una negativa assoluta, e a
chi gliene chiese la cagione disse una volta: Perchè Don Bosco
promette di pagare e poi non pagherà.
Don Bosco finalmente aveva fatto proporre alla Marchesa che fissasse
una qualunque somma, anche calcolata sul prezzo d'affezione, che egli
immancabilmente l'avrebbe soddisfatta. Don Bosco era pronto a pagare
anche 300.000 lire. Diceva: - È spesa necessaria e la Provvidenza
provvederà. - La Marchesa non volle saperne.
Morto Don Bosco gli affari della Marchesa precipitavano. La Veloce per
varie cagioni era costata gravi sacrifizi al Marchese suo figlio. In
città si parlava e si sapeva anche di qualche suo fallimento
possibile.
Don Marenco chiamato da Don Rua nei primi mesi del 1889 venne a Torino
per vedere il modo di indurre la Marchesa a quella cessione.
Esaminato lo stato delle cose si concluse che trattare per lettera a
nulla avrebbe approdato e che era meglio Don Marenco si presentasse
in persona alla Marchesa. E così si fece. D. Marenco fattosi
annunziare fu subito ricevuto. E ciò recò sorpresa, perchè
si diceva che se fosse venuto lo stesso Don Bosco in persona non sarebbe
stato ammesso.
La Marchesa restò colpita dalle maniere del Direttore di Sampierdarena,
benchè intendesse subito qual fine lo avesse condotto. Don Marenco
espose lo stato della propria casa e disse senz'altro che era venuto
da Lei come quella persona dalla quale dipendeva l'assicurare l'avvenire
dell'Ospizio.
876
- Veda, rispose la Marchesa: benchè io non volessi vendere
a Don Bosco, pure intendevo come, vendendo ad altri, avrei rovinato
il suo Ospizio, e l'ho detto al marchese mio figlio: Poveri Salesiani,
se noi vendessimo ad altri quella possessione noi rovineremmo per sempre
l'Ospizio di S. Gaetano, e li costringeremmo a cercarsi altrove un luogo.
Non volli venderlo a Don Bosco, ma neppure l'avrei venduto ad altri.
Don Marenco la ringraziò vivamente ed instò nella sua
preghiera.
- Ma veda, rispose la Marchesa: nello stato in cui siamo e colle voci
che corrono di qualche nostro dissesto finanziario, se noi vendessimo
quella possessione, si direbbe che la necessità di aver danaro
ci costringe a privarci di quel terreno... che abbiamo incominciato
a vendere. Ciò metterebbe in allarmi i nostri creditori: sulla
piazza il nome di mio figlio sarebbe compromesso.
- Non è il caso questo, osservò Don Marenco, che altri
prendano come necessità di vendita, ciò che sarebbe una
vera opera di carità verso di noi. Tutti vedono, tutti conoscono
la necessità che noi abbiamo di quel terreno, e quindi non sarebbe
un guadagno, ma un sacrifizio da parte sua. Il Signore, si persuada,
la ricompenserà largamente.
- Quando è così, replicò la Marchesa, io non avrei
obbiezioni da fare. Tutto sta che mio figlio sia del mio parere. Se
esso acconsente, come spero, tenga la cosa per fatta.
D. Marenco si ritirò col cuore molto consolato.
Nella Signora Marchesa si era compito un cambiamento miracoloso istantaneo
Essa aveva negli anni prima esposta al figlio la domanda di Don Bosco
e quindi gli fece parola anche di quest'ultima. Intanto alcuni speculatori,
sapute queste pratiche, fecero varie volte progetti al Marchese per
comprare quel terreno. Erano pronti a dare 200.000 lire. Essi intendevano
di approfittarsi della necessità dei Salesiani per avere un guadagno
di 50 o 100.000 lire. Progettavano di incominciare a gettare le fondamenta
di una fabbrica cosicchè i Salesiani vedendo che si faceva davvero,
che presto sarebbero rimasti con inquilini vicini di ogni specie, i
quali avrebbero visto ed udito quanto si faceva in casa, avrebbero pagato
qualunque somma per liberarsi da un tale pericolo. E il capo di costoro
era uno in fama di buon Cattolico che frequentava la chiesa, che era
tutto Papa e religione. Questa maniera poco delicata non sembra conformarsi
ai sentimenti religiosi che professava. Il sensale manifestò
al De Amicis questo progetto tutt'altro che generoso.
Un bel mattino il Marchese Marcello Durazzo chiama a se De Amicis e
gli dice: - Venga, andiamo a Sampierdarena all'Ospizio di S. Gaetano.
Per quella nostra possessione ormai non mi lasciano un momento di pace;
prevedo che sono capaci di perseguitarmi finchè io viva. Ormai
voglio levarmi questa noia. Lei, che brigò già tanto come
intermediario in questo affare, abbia la bontà di accompagnarmi.
877
De Amicis salì sulla vettura già preparata e lieto in
cuor suo fu a Sampierdarena. Entrati nell'Ospizio si incontrarono sotto
i portici con Don Marenco che accolse il Marchese con molta cortesia
e gli fece visitare i laboratorii, le scuole, i dormitorii. Ogni cosa
piacque molto al Marchese che si dimostrò contentissimo. Quindi
salirono sul terrazzo sorretto dai portici e si fermarono quasi in faccia
alla camera di Don Bosco.
Qui il Marchese voltosi a D. Marenco: dunque quello là gli disse,
il terreno che le fa di bisogno?
- Sissignore, veda, dieci metri in qua di quelle colonnine che sorreggono
quel pergolato.
- Sta bene, facciamo dunque il contratto. Per 5o.ooo lire in rogito.
- Oh Signor Marchese, quanti ringraziamenti!
- E dica, Signor Direttore, ma perchè vuole comprare solo quella
parte di possessione. Non potrebbe comprarla tutta?
- Signor Marchese! Certo che sarebbe una bella cosa, ma intende bene
che i denari non saprei dove trovarli; fino ad un certo punto posso
andare e li ho! Ma più in là.
- Accetti, accetti, soggiunse De Amicis.
- Compri tutto le domando solo altre 5o.ooo lire da pagarsi in rate
per varii anni, nel giorno che fisseremo; replicò il Marchese.
Non so se D. Marenco abbia udite le ultime parole. Si sentì venir
meno, i suoi occhi per un istante più nulla videro e si appoggio
alla ringhiera per sostenersi. Il Marchese lo contemplava e due grosse
lagrime gli scorreano per le guancie.
Come D. Marenco fu rinvenuto da quello sbalordimento, il Marchese Marcello
- continuò: - Ma da buoni negozianti bisogna che trattiamo gli
affari in regola. Quale caparra mi dà?
- Oh signor Marchese, disse con prontezza di spirito D. Marenco. Quale
caparra potrò darle? Una sola Verrò un giorno a far colazione
con lei a Pegli.
- Benissimo e venga con tutti i suoi giovani.
E strettasi la mano si divisero; il Marchese e il De Amicis risalirono
sul landò. - Signor Marchese, gli disse De Amicis, ha fatto davvero
un'opera buona consolando i Salesiani. Sono certo che non potran mancargli
le benedizioni del Signore. Don Bosco come sarà contento!
A queste parole un fremito scosse tutta la persona del Marchese, e due
lagrime più grosse delle prime spuntarono sulle sue ciglia.
- Io non l'ho mai visto piangere, e credo che nella sua vita non abbia
mai sparso una lagrima, diceva De Amicis. Il Marchese si dimostrò
pieno di una gioia straordinaria in quel giorno e la manifestava in
molte maniere.
Venne intanto il giorno fissato per fare la colazione a Pegli. Tutti
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i giovani colla loro banda musicale salirono sul vapore. Furono accolti
con mille feste. Un lauto pranzo era preparato per loro. Le tavole distese
in luogo amenissimo di quel magnifico giardino famoso in tutto il mondo.
Il Marchese e la Marchesa sedettero con Don Marenco e con tutti i giovani.
Fu una giornata delle più belle. La stessa Marchesa era così
mutata che pareva aver sempre professato tutto il suo affetto per i
Salesiani e per i loro fanciulli.
Venne finalmente il giorno del contratto. De Amicis si vedeva un po'
contrariato, perchè non era stato invitato a presenziare il contratto.
Quando ecco comparire il Marchese: - Signor De Amicis; favorisca di
venire a passare la giornata con noi. Così presenzierà
il contratto, per condurre il quale a buon termine ha impiegato tanto
l'opera sua, e nello stesso tempo servirà di testimonio. Così
il suo nome sull'atto notarile sarà perpetuato a memoria e testimonianza
di questo fatto. - E De Amicis tutto contento andò.
D. Marenco aveva portati i 5o.ooo franchi. Il notaio lesse l'atto e
quando si venne al punto delle altre 5o.ooo lire da pagarsi in rate
divisi in dieci anni il Marchese rivolto a D. Marenco:
- Eh! già, gli disse: queste 50 lire posso far conto che non
mi saranno mai pagate, perchè essi non ne hanno da pagarmi, ma
non importa. Intendo però assolutamente che la prima rata nel
giorno in cui cade, lei Signor Direttore venga a pagarmela. 50.000 Con
ciò indicava essere sua intenzione favorire dell'altro la cosa.
E il contratto venne firmato. Così si avverarono le parole dette
da Don Bosco al De Amicis. - Il contratto si farà quando io non
ci sarò più, e lei sarà l'intermediario.
Ma il Signore in quello stesso giorno benediceva il Signor Marchese
in un modo strepitoso. Esso aveva azzardata una speculazione finanziaria,
che gli era riuscita bene. Col guadagno pagò tutte le sue cambiali
e quindi le estinse pel valore, si dice di circa otto milioni, e gli
restò in cassa il guadagno netto di un milione e trecento mila
lire in oro.
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