Dom Bosco Recursos

Don Alberto Caviglia - vita di Domenico Savio scritta da Don Bosco

OPERE E SCRITTI
EDITI E INEDITI
DI
“ DON BOSCO “
NUOVAMENTE PUBBLICATI E RIVEDUTI SECOND() LE EDIZIONI ORIGINAL!. E MANOSCRITTI SUPERSTITI
A CURA
DELLA PIA. SOCIETA SALESIANA
VOLUME QUARTO
LA VITA DI SAVIO DOMENICO
" SAVIO DOMENICO E DON BOSCO
STUDIO DI DON ALBERTO CAVIGLIA
TORINO - SOCIETA EDITRICE INTERNAZIONALE
Corso Regina Margherifa, 176

la Edizione: 1942-1943 Ristampa: giugno 1977
Propriety riservata alla
SOCIETA EMI-RICE INTERNAZIONALE Officine Grafiche SEI • Torino
M. E. 43053

doc   pdf   zip  


A
DON PIETRO RICALDONE
RETTOR MAGGIORE DELLA SOCIETA SALESIANA
CHE COLLA PI& CARA DELLE OBBEDIENZE
LEGO I MIEI ULTIMI ANNI
ALLO STUDIO DI DON BOSCO SCRITTORE
DEDICO RIVERENTE E GRATO
. IL FRUTTO DELLE MIE AMOROSE RICERCHE
SUL PENSIERO E SULL´OPERA
DEL SANTO EDUCATORE
QUALI SI RIVELANO
NELLE c VITE s> DA LUI DETTATE
DEI GIOVANI CH´ET FECE SANTI •
D. ALBERTO CAVIGLIA



LA VITA DI SAVIO -DOMENICO
SCRITTA DA DON BOSCO
INTRODUZIONE ALLA LETTURA
A) Ragguaglio hibfiografico.
A distanza d´un anno e none mesi dalla morte del Savio Domenico (9 marzo 1857), si pubblicava, nel gennaio 1859 la VITA, scrittane da Don Bosco, che raggiunse una decina di edizioni numerate fino al 1908, e in appresso numerose ristampe, variamente annotate e illustrate, rassegnate per migliaia fino alla edizione stereotipa del 1934, che riproduce fedelmente la quinta edizione.
La 1a edizione usci in Lett. Cattol., anno VII, fast. XI, gennaio 1859, col titolo: VITA - del giovanetto Savio Domenico - allievo dell´Oratorio - di San Francesco di Sales - per cura del Sacerdote Bosco GIOVANNI. - Torino, Tip. G. B. Paravia e Comp., 1859 (prezzo 1. it. o,zo). Nel fascicolo, di pag. i44, precedeva alla Vita (pag. 3-6), un Estratto di Lettera Pastorale di Mons. Gioanni Antonio -Gianotti, Arcivescovo e Vescovo di Saluzzo, ai Venerandi paroci della sua diocesi in favore delle Letture Cattoliche
L´interno del foglio di guardia era corredato dal ritratto del Savio in incisione (z) firmato: C. Tomatis, suo alnico dis. Il ritratto rappresenta it giovanetto sedutO accanto ad un tavolo, abbracciando con la sinistra una- statua di Madonna col Bambino, e tenendo nella destra un
(0 in data: Saluzzo, ii 9 ottobre 1858. t la chiusa della pastorale.
(a) Riprodotta fuori testo in questo volume. II LEMOYNE, Mem. Biogr., VI, 146, la dice impressa dal litografo Hummel, benche non ne rechi alcuna sigla e segno. II tratteggio del disegno none diverso da quello di una incisione, benche per avventura abbia servito per una litografia.

X
cartello con la scritta: La morte ma non peccati. Sotto la figura stava la scritta incisa (doe faciente parte della inciS lone):
SAVIO DOIVIENICO
a suoi amici
A questa Vergin d´ogni grazia plena Promettete di cuor, fratelli amati, Voter prima morir, the far peecati.
La prima edizione con la prefazione (pag. 7-1o) diretta ai Giovani carissimi, era in 26 capitoli, occupando col testa le pag. 11-136, net formato in-320 delle primitive Letture Cattoliche, e recando (pag: 137138) una PROTESTATIO AUCTORIS in Latino, sostituita poi nelle altre edizioni (ed anche nel Magone Michele, 1861) da una breve dichiarazione in italiano.
_Quest´ edizione usci a gennaio inoltrato, come ci fa intendere Don Bosco nella prefazione al Michele Magone, dicendo che questi pate appena leggere le prime pagine del libro desideratissimo, quando fu colic) dal male the la rapi in due giorni (19-21 gene.).
Il Lemoyne c´informa (t) delle varie contestazioni sorte nell´Oratorio circa la veracita dei fatti contenuti nella VITA, e gli apprezzamenti, non tutti rispettosi, che ne derivavano (a). Tanto pill che un giovane (sappiamo essere tal Giovanni Zucca) smentiva l´affermazione (capo IV, • pag. 24) the it Savio non si fosse lasciato indurre una prima volta dalle istanze d´un compagno che lo invitava ad andare a bagnarsi: giacche egli stesso ye lo aveva indotto, ed era andato con lui.
. Sappiamo come fini la cosa. Don Bosco si spiege, pubblicamente in in discorsino della buona notte, mostrando che cosi aveva scritto per risparmiare una trista figura al colpevole compagno li presente, che ora si scopriva da se, e « dopo aver tradito it compagno in vita, voile tradirlo dopo morte; allora si era messa a rischio l´innocenza, ora l´anore*. Le critiche e le dicerie cessarono.
Ma it Santo Scrittore ordinava la ristampa di quella Biografia, aggiungendo it fatto omesso, coi debiti commenti (3). Codesta ristampa
(1) Mem. Biogr., vol. VI, 1.4.6-14e.
(z) Forse it Lemoyne ha arnolificato it fatto del Zucca, facendone un punto d´appoggio a troppe altre critiche. I Processi dicono chiaro che non vi furono, all´infuori di quests, altre contestazioni: anzi nessuno trovo a ridire.
(3) Mem. Biogr., VI, 549.

c--4, XI
fu la 2a edizione, divenuta da gran tempo introvabile, tanto da indurre la Sectio Historica della S. Congr. dei Riti a dar name di Seconda a quella che usci nel 1861 dalla Tip. Martinengo, e thee titolata come terza edizione -accresciuta.
Ma la seconda edizione usci veramente, e non solo per ritoccare quella certa pagina, ma per dar luogo ad altri e non pochi ritocchi e aggiunte, di capitale importanza: tra cui un capitolo inter°, it XVI (portando i capitoli a ventisette), e poi l´Appendice, di cui diremo piu oltre. La troviamo annunziata sulfa copertina del fasc. di gennaio, anno VII (186o), delle Lett. Catt. (1), cosi: «Vita del giovanetto Savio Domenico. Edizione 2a. La prima edizione fu interamente esaurita: la seconda e in torso di stampa, e venne accresciuta di molte importanti notizie ». Nel fasc. di maggio (anno VIII, fasc. III, 186o), si annunzia: «Vita del giovanetto Savio Domenico. Edizione 2a, migliorata ed accresciuta. Cent. 30» (2). Poiche i fascicoli di febbraio e marzo non ne Bann annunzio, dobbiam credere the sia uscita a fine d´aprile pet mese di maggio.
E cid in grazia d´un altro argomento the ne dimostra l´esistenza. Gia nella 35 edizione la Relazione stesa dal Sac. Michele Rua della grazia ottenuta da Bechis Carlo di Chieri, recante la data 10 marzo 1861, dice the quella persona, leggendo la Vita di Savio Domenico, « al vedere come parecchie person travagliate da diversi mali, ed anche dalla sua medesima infermita, avevano a lui ricorso, ed erano istantaneamente guarite, sentissi ripieno di fede, etc... ». Con che si alludeva alla grazia ottenuta da Bellino Carlo, it 20 febbraio 186o, riferita nelrAppendiee sopra alcune grazie ottenute da Dio ad intercession di Savio Domenico: quale Don Bosco inseri dopo la Vita, e che dunque cominciO ad apparire nella seconda edizione, comprendendo ancora la Relazione di grazia ottenuta da Paira Maria, del lo aprile .186o (3).
Tutte le novita recate nella 2a edizione compaiono nella 33 edizione, uscita dopo l´aprile e prima dell´ agosto 1861, col titolo: 4 Vita del gio
(1) II momenta della grazia, o is uttime ore di un condaimato, Anonimo, trad. dal franc.
(z) Angelina, o la buona janciulla istruita nella vera divozione a Maria SS., Anonimo:
(3) t percie inesatto it recensore Arrnonia, 25 agosto 1861, quando at-.
tribuisce l´aggiunta dell´Appendiee edizione, che e la terza, uscita al
lora. — Cfr. Mein. Biogr., VI, 90. Toms a confer= della nostra asserzione la dep. France,sia al Proc. Apostolico: Somm. Proc., pag. 402. — Cosi la Relazione di Pastrone Giacinta, io marzo, 186T, dice dell´ispirazione aorta nel leggere le graottenute da altri: cib in III ediz., pag. 177.

xiv
trovandosi Don Stefano Trione, ancor chierico, ad Albano Laziale con Don Bosco, mentre questi correggeva le bozze di una nuova edizione della Vita di Savio Domenico, it Santo gli disse: « Non posso mai pensare alla Vita di Savio ed attendere alla correzione delle starve, senza piangere al pensiero di lui ».
Noi sappiamo eke cio fu nel 1878, e quelle erano le bozze della Quinta erlizione, che usci in quell´anno. Essa reca l´impronta di evidenti ritocchi autore, e fa piacere d´incontrarli, come segni della cura amorosa d´un uomo che vuol bene al suo libro, e che ha pure affinato it suo stile.
La Quinta edizione aceresciuta usciva con l´indicazione editoriale: 4 Torino, 1878. Tipografia e Libreria Salesiana, Sampierdarena, Nizza Marittirna ».
Formate, e caratteri bodoniani dei Classici della Bibl. della GioventU Itiliana, di pag. 3-156; si noti: senza it consueto ritratto del Savio. L´autore 0´ questa volta: Giovanni Bosco.
Essa riproduce la quartet edizione nella- grafia e nelle disposizioni; ma offre un certo numero di ritocchi verbali, e due aggiunte notevoli. Queste sono:
Cap. XIV, pag. 59-60: i due capoversi, Ia crisi degli scrupoli nel Savio, e Ia sua illimitata confidenza nel Confessore stabile. Dove si sente l´eco delle massime espresse nel Magone (1861) e pia precisamente nel Besztcco (1864);
Capo XVII, pag. 78-81: Ia lunga Nota biografica su Don Giuseppe Bongiovanni, collaboratore e amico del Savio. Forse fu preparata da Don Berto (v.. infra) come altre pagine di quegli anni, e poi ritoccata o rifusa da Don Bosco.
Degli emendamenti it pin significativo 0 quello del Capo XIV, pag. 61, M dov´e detto che it Savio teneva «un tenor di vita cristiana, quale si conviene a chi desidera di far la Comunione quotidiana»: la parola e mutate in « frequente. Fatto importantissimo, che si spiega storicamente dally circostanze in mezzo ale quali ii libro si pubblicava in quel 1878; e che farebbe credere che Don Bosco rinunci a S. Alfonso per tornare all´ Alasia. Ne daremo le proprie spiegazioni a suo luogo (i).
(r) Si osservi che iI Libro usci come edito a Sampierdarena e Nizza Marittima, non dalla Tip. dell´Oratorio di Torino. Cia per evitare le noie che tutti sanno.

xv
Nell´Appendice non fu aggiunta nessun´altra relazione di grazie, neppur quella del ch. Pellegrini di Como, ch´e del 1871 (r).
L´Edizione Quinta a l´ultima curata personalmente da Don Bosco. Essa fu stereotipata, e tale si mantenne rielle edizioni successive. Una sesta edizione non appare in nessun modo, mentre nel 1890 compare una ristampa, nel formula Letture Cattoliche di Torino, n. 71 (copertina gialla e contorno di fregi), eke porta in fronte: Ottava edizione; e nel frontespizio: Settima edizione: -core gia accadute per altre opere di Don Bosco, p. es. per la Storia d´Italia. Nella prefazione stan´z d´ora in poi:.. «in questa nuova edizione ».
Due novita in questa edizione: l´aggiunta della relazione del Ch.Pellegrini di Como (1871), e, a parte (pag. 154), con data 186o in testa, la Relazione di due grazie ottenute da Savio Domenico in mio favore, a firma di Don Garino Giovanni. Torino, 1889: Puna e l´altra non rife-rite nell´Indice, che 0 stereotipo dalla quinta edizione.
Una ristampa identica si fete nel 1893, col tit.: Nona edizione (senza raccresciuta). Torino, Libr. Sales., 1893. —Anche qui l´Indice e stereotipo.
Altre tirature si saranno fatte in seguito; ma la numerazione non va pia oltre.
Finalmente, pel cinquantenario della morte del Savio e l´apertura del Processo informativo, nel 1908, fu fatta una nuova edizione, a cura del diligentissimo D. Angelo Amadei, ehe vi appose opportune Note e Appendici, pubblicd alcuni facsimili documentarii, e diresse le illustrazioni di G. Carpanetto (z). Tale edizione si riprodusse find al 1931 (3).
(i) La serie delle grazie si chiude con la dichiarazione in italiano: a A quarto fu detto o scritto, ecc. a benche nel verso del frontispizio vi sia gia la dichiarazione di ossequio ai decreti di Tirbano VIII. In ediz. successive Ia dichiarazione prirnitiva scompare.
(2) VEN. GIOVANNI Bosco, Il Servo di Dio Domenico Savio. Con illustrazioni
originali di Giovanni Carpartetto. — Torino, 1908. La parte I del vol. con
tiene Ia Vita con 1´Appendice gia aggiuntavi da Don Bosco, e la Relazione Pellegrini; Ia parte II: Altre Memorie, tratte da varie pagine del Lemoyne e da altre fonti, anche inedite (tra I´altro: it Sogno di Don Bosco del 22 die. 1876 a Lanzo, detto del Glardino salesiano). Accedono le notizie sae Commemorazioni varie, e sulle vicende della tomba. — Questa edizione fu promossa dal Vice Postulatore Don Stefano Trione, she vi premise (pag. 5-6) un suo"A chi legge datato: a Torino 9 marzo 1928, 51° anniversario della morte del pio alunno di Don Bosco. Per iI Comitato Promotore: Sac. Stefano Trione s. Nelle repliche di questa ´edizione, l´.4 chi legge fu soppresso, e la numerazione anticipata di due su quella del 1908.
(3) Nel 1931 e nurnerata Sesta edizione, 2o0 migliaio. S´intende sesta ristampa della ediz. 1908.

XVI
L´Amadei dice (pag. 223-221) di avere u scrupolosamente seguito > la 3a edizione, quella del 186i, lodata dall´Armonia, etc. In realty l´ediz. Amadei non segue soltanto la edizione del 1861, ma accoglie tutte le innovazioni e aggiunte della 4a e 5a, e si attiene, quanto alle varianti formali, a tutte e tre. Tuttavia la fedelta sostanziale e osservata giacchh tutte le tre suddette edizioni furono curate diligentemente da Don Bosco, e nulls vi fu introdotto (cosa the di altre opere non si pith dire) the non _ sia sicuramente e tutto suo. Naturalmente, e per ovvie ragioni editoriali, prima tra tulle la comodita di chi Legge, furono adottate le osservanze grafiche pia indispensabili per un´edizione divulgativa: dico degli alinea nei capoversi e nei .dialoghi, le lineette, i virgolati, qualche interpunzione pits regolare, le maiuscole costanti e d´uso piii generale, e insomnia un ammodernamento non inutile, e del resto non lesivo della sincerity del testa.
Nel 1934 la Soc. Edit. Internazionale cure, un altro tipo di edizione per la serie delle Letture edificanti, alla quale appartengono le Vite del Comollo, del Magone, del Besucco (1).
Nelle sue modeste apparenze questa edizione e senz´altro la pit fedele, cinzi la sola veramente fedele all´ultimo testo iasciato dalr Autore (z). E un caso nonche raro, quasi unico nella storia delle edizioni delle opere di Don Bosco. Essa riproduce, con scrupolo quasi pedantesco, la Quinta edizione del libro, fino ad accettarne le inosservanze grafiche e distributive. Poco ci manta a fame, come si dice tra studiosi, un´edizione diplomatica. Nella collazione th´io feci di tutte le edizioni, compresa quella del 1908, ho sempre, trovato che la dove c´era una differenza tra essa e le altre, questa del 1934 era immancabilmente it ritorno alla 5a edizione, e i non mold ne apprezzabili scostamenti erano da ascriversi alle inevitabili sviste o licenze dei tipografi e del proto, facili a riconoscersi e ristabilirsi. — Per chi, come lo scrivente, si adopera da tempo a dare it testo genuino di Don Bosco, cercandolo tra le alterazioni e i rivestimenti subiti nel torso degli anni, questa 0 davvero una soddisfazione insperata,
(I) SAN GIOVANNI Bosco, Vita del Venerabile Domenico Savio, allievo dell´Oratorio di S. Francesco di Sales. Soc. Edit. Internazionale (seguono le sedi). La data di edizione e nell´interno: Scuola Tipograf. di S. Benign Canavese, 193411 volume contiene, oltre la Vita con l´Appendice, e le due Relazioni aggiunte, Tan´ Appendice II, intitolata: Carismi e visioni celesti, ch´e it Cap. XV del Domenico Savio del Salotti tora Cardinale) pubblicato: 1915, Torino, S. E. I. con illustrazioni di Mastroianni.
(z) S´intende, dopo quelle stereotipe del 189o-93, da tempo esaurite. Questa deI 1934 parte dall´edizione originale del 1878.

t"1, XVII
e non pith non dame lode al curatore dell´edizione. Che se, per le accennate opportunity editoriali, utili alla propaganda, si creda di dovervi
praticare le osservanze graficite edizione 1908, it testo dovra
sempre essere quell° di questa edizione del 1934 (I).
Noi percia riproduciamo questa, purgandola dalle ovvie mende tipografiche, sicuri di dare finalmente e senza dubbi di, sorts la vera e autentica edizione definitiva lasciataci dal Santo autore, colle parole sue e tutte sue.
B) 11 ritratto del Savio.
Rientra anche nel cameo critic& della tradizione, in quanto attinge la realty stessa delle case, r autenticita del ritratto. Se si pensa al giorno in cui l´immagine del santo fanciullo sara pasta sugli altari, e diffusa per divozione, non 0 di piccolo moment() poterne accertare la yenta (2). Come si apprende dal biografo (3), Don Bosco diede incarico a Carlo Totnatis, compagno ed amico del giovane santo, di disegnare o a memoria
o con r aiuto di qualcuno dei fratelli di lui, it ritratto del Savio, e quell´incisione (o lavoro a penna) impresses dal litografo Hummel, fu pubblicata insieme con la Vita fin .dalla prima edizione, e noi sappiamo che fino al 1866 (4a ediz.) sempre comparve nel foglio di guardia. Sappiamo anti che ne furono tirate copie a parte (d´ingrandimenti non consta), che si distribuivano ai giovanetti, ed anche a persone estranee all´Oratorio (4).
Che valore ha questo ritratto? E, anzitutto, a un ritratto?
(t) Circa i criteri seguiti e da seguirsi nel dare un´ediz. critica delle opere • leggasi quanto e detto in Civata Cattolica, a. 85-IV, 15 dic. x934, circa
la nuova edizione delle opere ascetiche di S. Alfonso M. de´ Liguori, pag. 614623. — Ivi pure e dimostrata la necessity di far la storia delle edizioni, e di valu
tarle secondo le abitudini e la diligenza e secondo le vicissitudini editoriali.
Quello appunto che facciamo noi.
(z) Son note le discussioni suscitate nel 1934 Fel vero ritratto di S. Alfonso M. de Liguori, esposte nel fascic. sopra citato della Civiltd Cattolica, pag. 624 segg. Quanto a Don Bosco, con tanti superstiti che l´han conosciuto e tante fotografie, si dovrebbe avere una iconografia sicura e costante, perche fedele al vero. Purtroppo non avviene sempre cosi, a quella care imagine paterna ci torna sovente innanzi nella figura di parenti lon.tani, o neppur tali.
(3) Mem. Biogr., vol. V, 733.
(4) Cfr. Vita, ediz. 3., Appendice, pag. 177: Pastrone Giacinta teneva in case appeso un quadretto con l´immagine di Savio regalata al suo figliuolo all´Oratorio. La sorella del Savio, Teresa Tosco-Savio, aveva distribuito alle sue colleghe della Manifattura Tabacchi l´immagine del fratello, e attesta che n´avevano divozione e .fiducia. Cfr. Somm. Proc.. pag. 378.
— CAVICUA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte IL

XVIII
Si noti bene. Carlo Tomatis, the a quei di continuava a studiar pittura all´ Accademia di Torino» none uno dei solid dilettanti genialoidi e autodidatti, che dram giu disegni e ritratti per amor di Dio: no: e uno studente autentico e regolare della ufficiale scuola di Pittura della R. Accademia Albertina di Torino, e di buona scuola, bisogna aggiungere, com´era allora universalmente stimata. Compagno suo di corso e d´iscrizione era, per esempio, Lorenzo Delleani. Io ho potuto rintracciare nei brogliazzi del bidello (che di quegli anti non si hanno altri registri) tutta la serie delle sue iscrizioni, anno per anno, fino al 186o. E fit inscritto ally Scuola di Pittura del prof. Arienti dal 1855 al 1859, e poi, come perfezionamento, ally scuola di Gaetano Ferri. Dopo it 186o (e i registri sono allora ben regolati e ben tenuti) non compare pit´s (1). Quando adunque disegno it ritratto del Savio (1858) non era neppure un principiante, ma gia allievo del quarto anno, e non respinto per insufficienza, se lo troviamo ancora ally scuola del Ferri.
Benche non disegnasse direttamente dal vero (ma allora gli allievi erano esercitati anche al disegno di figura senza modello e a riprodurre a memoria un tipo conosciuto), qui it Tomatis ritraeva un tipo rimastogli impresso per la frequenza quotidiana e pit ancora per l´aniicizia. E voile farlo intendere scrivendo sotto it ritratto a stampa: C. Tomatis, suo amico dis.
Ora, se Don Bosco fu coniento del disegno del Tomatis, bisogna dire cite ci vedesse it Savio quale egli conosceva e riconosceva, e the, se la rassomiglianza non era perfetta (noi non abbiamo it modo di controllarla) certamente doveva essere la men lontana dal vero. (z). E che it pittore amico del giovinetto abbia voluto essere vero al possibile, e rappresentarlo
(I) Archivio della R. Acead. Albertin.a: e Reale Ace. Albert. di Belle Arti. Nomi degli allievi che furono inscritti dal 24 ottobre a tutto it 28 novembre 1856, ecc., fol. 6°: Tomatis Carlo, gia ammesso con Carta domanda per continuare Ia scuola di Pittura. Prof. Arienti. Sotto: Valdocco, Casa Nuova Sac. Don Bosco. — Ibid., a. 1857-58, idem. — Ibid., z° quint., 1858, 22 ottobre, Regolarizzato 1858-59. Ibid., 3° quint.: a. 1859-6o, 22 ottobre: e Tomatis Carlo alla Pittura prof. Arienti.
Passato dal prof. Ferri, 5 nov. 1860 s. L´Arienti era it titolare di Pittura dal
1843 al 1859, e passe a Direttore della Accad. di Bologna. Suo successore fu Andrea Gastaldi.
Cfr. A. STELLA, Pittura e Ncoltura in Pienzonte 1842-1891, Torino, 1891; pag. 64 seg.
(2) Nel resto opera qui come nella maggioranza dei fatti analoghi, it process° psichico dell´integrazione rappresentativa, comune a tutte le figurazioni approssimative di cib che not conosciamo nella realty. L´essenziale e che la figurazione non sia la negazione assoluta del vero.

XIX
come egli to aveva veduto e tutti lo ricordavano, ce lo dice it verisrao
dei particolari: le case sono quad erano allora all´Oratorio: la sedia rusticana, it tavolo rozzo, it soffitto a travicelli (ce n´ erano ancora ai miei tempi), la statue di gesso della Consolata, imitate da quella celebre primitive della Cappello Pinardi: povere case, ma vere. Il vestito poi,
che non si dimentica, e quale soleva portarlo (e non n´ aveva troppi!), e nel costume del tempo; la capigliatura, appena rassettata da una spartita a sinistra, senza troppo studio, com´era di moda allora sotto Don Bosco; un insieme di poverta decorosa e nulla pit, come vuol intendersi ii detto dell´ Anfossi e altri coevi: pulito e di aspetto civile (1).
E it portamento none quello della pose eroica o assorta in rapimento, ma umile e dimesso, soprattutto naturale e senza intenzione: a it suo, cite tutti avevano ancora negli occhi. Le testimonianze dei Processi (e quelle del Cagliero hanno dei tocchi plastici molto suggestivi) ce lo danno piccolo e gramo, cioe gracilino e malaticcio, col capo un po´ sempre
· inclinato e l´espressione calma e sorridente (2). Dicono anche di quel certo non so che proprio dello sguardo e dell´ aspetto dei Santi (3), di e quella potente concentrazione o eccelso rapimento, cite doveva essere, negli occhi del fanci•allo santo» e che spiega l´immediata ammirativa impressione, ch´ egli suscitava, e cite it Cagliero esprimeva dicendo di vederlo come un angioletto (4). Ma sarebbe troppo pretenders da un modesto ritratto a penna.
Tonto sia detto per la storia. Purtroppo, con tutti codesti argomenti
- in favore, it ritratto, cosi com´ 0, none un capolavoro, ed e anti un lavoro non riuscito: oltrecch0 mel si adatta ells circostanze che lo rendono necessario; cite sono i due inconvenienti pit notevoli. Il primo difetto, o inconveniente, 0 grave. Chiunque abbia una qualche competenza di disegno, scorge senz´ altro che la figure (dico it volto e la testa) e mel discgnata, con scorrettezze di prospettiva facciale, di proporzione; di grafia pittorica. .1I disegno non 0.710 tutto di fronte ne tutto di quarto: it naso, gli occhi sono tracciati indipTendentemente della posizione; la bocca segnata calligraficamente di maniera: dubbia la simmetria, e forse troppo grossa la testa. Ne riesce una figure privet di carattere, e non dico di
(1) Somm. Proc., dep. Anfossi, pag. 78.
(2) Somm. Proc., Cagliero, 307-308; IVIelica, ivi, e a.
(3) CRISPOLTI, S. Luigi Gonzaga, pag. 25.
(4) Sown. Proc., Cagliero, pag. 288.

xx
vita, che sarebbe voter troppo. Per un quasi licenziando in pittura, un fatto grave (I).
Rimane tuttavia acquisito it tipo generale e i particolari accessorii, almeno per escludere le´ troppo arbitrarie invenzioni e imprestiti, che si potrelbero anche chiamare deformazioni.
L´altro inconveniente, ch´e di carattere sociale, sta nella troppo umile e meschina apparenza del povero figlio dell´Oratorio. Cosi come si presenta, ed a pure it vero, l´unico vero sicuro, non a di aspetto motto civile. Lascianio stare it moderno, che cambia con le mode, ma qui, nel suo costume, e pur sempre un abito pulito, si, ma di povero (2).
Sid creduto pertanto the per questo non riesca attraente e simpatico, e n´abbia danno l´esemplarita vivente e attuale, che s´ avrebbe da una figura pit civile e pit prossima alla vita del nostro tempo. E si a ricorso, per • necessity di circostanze, ad una figura convenzionale, ammodernata e ripulita o civilizzata. Vogliamo qui alludere alla figura ormai mondialmente divulgata in oleografie, stampe, immagini di libri e di memorie, in illustrazioni della stessa Vita, tradotta persino in plastica e in sta- ´ tuette._
quella che l´indimenticabile Don Stefano Trione, promotore prima e massimo della causa del Savio, fece eseguire in pittura net 1908 dal prof. Kirchmayr di Torino, ispirandola e quasi dettandola all´artista. Questa figura none un ritratto, e non ha che vedere con la realty storica: e una pretta invenzione, creata per stabilire, chiamandolo Savio Domenico, un tipo di giovane studente, moderno, civile, da presentare come modello dappertutto e ad ogni ceto di person, in ispecie tra le nazioni di carattere diverso dal nostro (3).
Dall´originale si e imitata soltanto la posa, doe l´atteggiamento del
(r) Pub dares che I´originale disegnato dal Tomatis fosse migliore, e che sia stato mal condotto dal litografo o incisore. Ma l´originale non esiste pin. Del Tomatis pittore non si ebbe mai notizia, e le Mem. Biogr., 1888, vol. XVIII, pag. 496, ricordano che versava in grave poverty. Come mai Don Bosco non lo chiamb a lavorare in Maria Ausiliatrice, o a S. Giovanni o a Roma, mentre diede lavoro a Rollini e a Reffo? Si noti che it Rollini entre nell´Oratorio e in Accadernia appunto nel 186o, quando Tomatis ne usciva.
(z) Somm. Proc., Anfossi, pag. 78. Altre deposizioni cit. a suo luogo.
(3) Per esempio, anni sono, fun pregato dai midi confratelli d´Inghilterra (Oxford) di far studiare da uno scultore un tipo di Savio Domenico che non fosse in figura di povero e inelegante, ma moderno e civile (un piccolo gentleman) perche grInglesi non si adatterebbero a venerate un santo popolano e dimesso. Lo volevano almeno come quello dell´immagine divulgata.

´---+., XXI
giovane seduto e volto a destra, che abbraccia una Bella statua della Madonna, e tiene dall´altra mano it cartello col suo motto tradizionale. Il resto: l´abito nero attillato, it colletto e la cravatta moderni, la persona slanciata, la statures di giovanotto (1) a tutta roba d´altri. E pit the mai d´altri sono la testa e le fattezze, riportate ingrandendo in giusta proporzione la fotografia di chissa chi. Tale era infatti la professione del Kirchmayr, non pittore, ma dipintore d´ingrandimenti fotografici. E come tale fece anche troppo bene, salvo, cone a naturale, quel manco di vita e di anirno a di espressione, the un tat genere di lavori non pith dare. La testa d´un altro non dares mai il sorriso del piccolo Santo di Don Bosco!
La storia era sacrificata, ma l´immagine era fatta, e fu accettata e diffusa. L´idea cite in astratto ci facciamo di un giovane studente di quindici anni e anche pit, Buono, mite e tranquillo (un po´ collegiate, none vero?) l´idea a quella, e l´immagine che vi risponde ha fatto for-tuna. La buona intenzione del taro Don Trione va rispettata, e in un certo senso gli si puo dar ragione, soprattutto pensando at moment° in cui promosse quell´opera. Ma non at punto da alterare la verita per sempre.
Il disegno del Tomatis deve rimanere a documento di questa, ed anche se l´ortografia a difettosa, it senso rimane. Bisogna studiarlo e integrarlo, o interpretarlo, seguendo i dati descrittivi dei Processi canonici. Ed é quello the si d fatto. Noi possediamo ora net quadro di M. Caffaro Rore (1941) it ritratto del nostro piccolo Santo, restituito secondo tale criteria cioe secondo la verita e secondo to spirito: spirito e vita che tutti sentiamo dover essere stati quelli del santo fanciullo. Con questa figura dinnanzi not possiamo intendere le pagine della Vita. Quanto all´abito, dipentlera dally destinazione dei quadri o immagini t´essere piic o meno elegante. Ma perche non si pu6 essere civili net costume del mezzo ottocento? (2).
(r) Eppure tutta Is distesa delle deposizioni processuali, cioe la tradizione de visa, ci parla del piccolo Savio, del Savietto (Don Bosco), del piccolo ma grande
. Santo (Cagliero d´una figura d´angioletto (id.).
(2) II ritratto e ormai accettato ufficialmente. II prof. Mario Caffaro-Rore, per mio suggerimento, ha restituita (e, nel caso, ricostruita) la figura del Savio studiando I dati positivi dell´incisione e del Processi; ma poi, con profonda intuizione e senso d´arte squisitissimo, ha inapresso nella sus immagine quella personality di Santo, calms e consapevole, e pronta al sorriso come alla preghiera, quella semplicita candida e profonda, senza della quale i1 Savio non si pub pensare. Ed ha evitato ingegnosamente it gesto un po´ volgare della presentazione del motto

XXII 4-,
ben vero che nello svolgersi della divozione, dopo che it Magistero della Chiesa si sara pronunziato, potra accadere al caro Santino quello the accadde a S. Luigi e a molti santi, che si bada pia al senso the alla lettera, e si regala Vilna o l´altra figura immaginaria: 1´ essenziale
che non sia discorde o addirittura contraddicente, come nel caso del Savio finora accettato e divulgato. L´umano e lo storico net Santo si
trasumana, e la divozione pith astrar-a dalle contingenze della figura terrena (r).
C) L´opera cello Scrittore.
Rinzane cosi aperta la via per la presentazione del libro come opera dello scrittore, quale e nostra consuetudine di fare, e ci sembra essere nostro dovere. E, nel caso, e veramente doveroso e necessario: perchO l´importanza capitale, quasi la personalita, the it libro riveste nella vita del pensiero di Don Bosco e nella sua opera spirituale, richiede che sia collocato net suo giusto valore e veduto nella lace pia adatta a comprenderne it contenuto.
La Vita di Savio Domenico, uno dei pochi libri di Don Bosco fatti senza libri, e cioe personali e originali, e, tra questi medesimi, it capolavoro, l´altro capolavoro del Santo scrittore. Per altro titolo, con altra
materia, con altro scopo, da quello della Storia un altro ge
nere di letteratura, e, nel fatto, un atteggiamento spirituale al tutto di-verso e distante, oltrecche, senza paragone, pia elevato, da quello delle opere di storia. In queste l´Autore, put mirando agli alti fini che a suo
con un cartello tenuto ostentatamente in. una mano: qui ii Santo studente tiene net libro aperto, come per segno, un foliolo su cui stanno le sue sante parole, e it gesto e naturalissimo e significativo. E dal tutto spira un´amorosa simpatia, ch´era appunto la prima e pia cara impression che it Santino lasciava di se. Sicche e per la realty della figura e per lo spirito the l´anima, ognuno che la vede puo credere ch´essa e la pia prossima alla verita fisica e spirituale del caro giovanetto. Quel fanciullo e it Savio, ed e un Santo.
L´aitista ha Iavorato nella tecnica e nello stile del mezzo ottoccnto, come se it ritratto fosse stato eseguito al tempo del Savio.
Io ringrazio da queste pagine ramie() pittore, gia mio uditore all´Accademia Albertina, a allora e poi stimato da tutti come anima d´artista e di cristiano.
(I) Non si vuol dire con questo che, per avere una buona immagine, un´iconografia devota dei Santi, bisogni astrarre daI vero e regalar loro le fattezze the meglio ci accomodano: si pub (e si dovrebbe!) unire una cosy con l´altra: e it- S. Filippo Neri di Guido Reni a Roma e un bel saggio di ritratto santOcato. Cosi vorrernmo the fosse di Don Bosco. Ma come di S. Luigi e di altri divulgatissimi Santi, assorti a simbolo, e invalso l´uso contrario, e del male non ne fa, e fa anti del bene. I.1 puro realismo fotografico non induce a divozione.

luogo ho messo in luce, dew per forza adattarsi al soggetto e dipendere dai libri e seguire in programma culturale. Qui non ci son libri di mezzo; la fonte e egli stesso, lo scrittore, the i fatti ha veduti e sovente ispirati, e it programma e quel ch´egli vuole per dar corpo alla sua idea. Qui non c´0 the Don Bosco, tutto e solamente Don Bosco. E una biografia veduta e narrata, per quanto fedelmente, alla luce d´una concezione the
fatta vita nello scrittore, ed e divenuta l´anima della stessa vita che narra. Il pensiero dell´ Autore s´immedesima coi fatti storici, perch questi, per quanto hanno di umano, sono ispirati da esso pensiero.
Oso dire che, in questo e per questa, its Vita del Savio si distingue dagli altri quattro scritti biografici affini, usciti dalla penna di Don Bosco. La Vita di Luigi Comollo (5844-1854), affettuosissima, rispecchia Don Bosco nella prima formazione del suo spirito. Quella di Magone Michele (1861), scritta (Fun sol getto, con una simpatia perfino umana per it campione dei quasi tutti, che impersona la potenza redentrice del suo sistema educative, e percorsa dall´idea della viral trasformatrice _ dell´educazione cristiana, ch´e per Don Bosco it principio organico della formazione morale: idea gia apparsa in altro campo, e per altra finality sociale, net Pietro o la forza della.buona educazione, uscito net 1855, originate soltanto nella meta che appartiene a Don Bosco (1). 11 Santo Pedagogo compare nella sua figura pia propria di educatore, e l´esito a cui perviene mette in chiara luce la religiosity sostanziale della sua concezione pedagogica_
La Vita di Francesco Besucco (1864), opera pensata con un ordine sistematico, ci mette in presenza delle idee di spirituality che Don Bosco offre come attuabili a tutti; ma it Santo Maestro vi figura phi con la didascalia, che non con la compenetrazione di se col soggetto, benche effettivamente sits esso a condurre quell´ anima alle alte time dell´interiorita. Ede da tenet conto dei due Elogi funebri del Cafasso (186o), sgorgati dal cuore commosso del Santo discepolo di un Santo: dove, nonostante le inderogabili necessity della forma oratoria, la medesimezza dei sentimenti e delle vedute tra it Santo che parla e it Maestro di cui traccia la magnifica figura, disegna net ritratto dell´uno it rispecchiamento dell´ altro: vicenda reciproca di quella del Savio, dov´e it Maestro che parla del discepolo. E per questo aspetto della medesimezza dell´uno colt´ altro, i due discorsi sono i Xis affini alla Vita del Savio.
(1) La prima meta e traduzione d´un opuscolo francese anoninao che lo stesso autore confessa nella Prefazione aver preso a guida.

XXIV
Ma questa nostra supera ogni altra. Non gia soltanto per l´eccellenza del soggetto (nel che sta in pan col Cafasso), ma principalmente e Veramente per la pat profonda ed intima relazione tra lo spirit° dello scrittore e quello del suo figlio spirituale. E, a dirla con payola tecnica, una relazione di causality: in quanto, come vengo dicendo, i fatti medesimi della storia biografica sono ispirati dall´idea e dallo spirit° dell´Autore maestro, e la forma della santita, veduta e vissuta dal Santo educatore,
divenuta r anima e la forma della santita vissuta dal discepolo. La Prefazione del libro ci fa pensare a questo, quando amorevolmente r Au-tore si spiega, e quasi si scusa, del parlare ch´egli dovra di se quasi sempre. E da cio credo posses spiegarsi quel torso dominante di tenerezza che vi si fonde con 1´ amoroso stupore ande continuamente e pervaso I´ animo di Don Bosco nel contemplare i fatti, un per uno, di quella vita notoriamente meravigliosa. Come babbo e mamma, teneramente stupiti delle rivelazioni impensate che si vengono palesando nei loro bambini. Tanto lo commuove, che non pito mai pensare ne rileggere it suo libro senza
lacrime codesto indefinito senso di paternity affettuosa the rende
cosi taro e cosi avvincente it libro a chiunque lo legga.
Piace raccogliere tutte le nostre suesposte vedute nelle parole autorevoli di un Eminentissimo, the fu dei pit efficaci promotori della gloria del Savio e di Don Bosco. 11 Card. Lucido M. Parrocchi, it 4 ottobre 1895, scriveva: a ... La Vita,... scritta con tanto affetto, tanta unzione, con tanto paterno compiacimento»...q nella quale non solo e espressa al vero l´immagine di quell´ innocente, ma limpida si rispecchia e fedele la fisionomia di Don Bosco ».
Possiamo anche dire che la composizione del lavoro troy° Don Bosco ormai fatto e formato all´ arduo mestiere dello scrivere come egli vuole, scrivendo come si deve. Noi sappiamo quale singolarissima fatica gli sia costata, quattro anni innanzi, la composizione della Storia d´Italia. Qui, libero dagrimpacci dei libri, detta di suo e col cuore intenerito, e detta bene, in quella difficile facility, che io ho gin detto inimitabile.
Dico, si noti bene, dello stile, del genus dicendi: che, quanto all´ economia della materia, egli non se n´e dato molto pensiero, e ad un ordine sistematico (com´e, ad esernpio, net Besucco) ha preferito al libero andamento dell´ associazione d´idee, ed invece d´una biografia cronografata (le date sono persino troppo rare) ci ha dato sin insieme di tanti quadretti
(I) Cfr. supra, fol. XIV.

XXV
che impersonano fatti spirituali. Come, se e lecito it confronto, avviene nei Vangeli.
Nessuno, a mio parere, strivers mai una Vita di Savio Domenico che valga quella di Don Bosco. Quella del Salotti, dettata con amore grande per al Santo educatore e con simpatia tenerissima verso it giovanetto che Don Bosco forma a santo, e assicurata coi dati dei Processi canonici, e opera solidissima,. e degna dello scrittore e del soggetto, ed
anche attraente, che non e merito secondario. Altre se ne scrissero, e se ne scriveranno, speriamo, anche da penne di prim´ ordine, con vario intento e in varia forma. Ma, com´a gin avvenuto, persino nel torso dei Processi canonici (dove i Capitoli della Vita sono addotti nei Sommarii a .conclusione e conferma di ogni articolo), sempre bisognera tornare a Don Bosco, trovandovi gin implicito ed incluso quel che altri avra pensato, e, senza voter esagerare, dovremo dire che ogni altro lavoro sara sempre una parafrasi della piccola simile Vita scritta dal Santo Maestro. Forse, ed e anche nostra intenzione di farlo, si potra condurre piu di uno studio, e almeno uno ben approfondito, sugli aspetti della santita del 4 piccolo, anti grande gigante dello spirit° » come l´ha definito Papa Pio XI, particolarmente su cia che in essa vi ha di piii squisitamente ed altamente spirituale: e it mio forse ha mate ragioni per diventare una realta. Una santita cosi singolare non pu° essere lasciata solo ai termini generali, ma vuol essere indagata profondamente a vantaggio della spirituality della Chiesa, nella quale essa apporta una nuova personality. Ma rimane sempre che la semplicita e it candore del piccolo Santo di Don Bosco non si puo rappresentare meglio che con it candore e la semplicita del biografo che aveva scritto nella vita vissuta di lui le pagine che ha scritte poi net libro.
Per merit° di questo piccolo libro, Savio Domenico a divenuto net mondo dells Salesianda interna ed esterna, e sta per diventare in tutto mondo, un tipo antonomastico, come San Luigi.
un libro che nella sua piccolezza di mole e nella senzplicita del suo dettato (1), e riuscito ad imporre at mondo, ai cuori, alla Chiesa stessa, al miracolo di un´ attrazione, d´un´ammirazione, d´una simpatia, anti
(i) Tra raltro: nessuno ha mai osservato quanto lo stile di Don Bosco sia adatto ad essere tradotto in ogni altra lingua, e riesca anche in quella sempre amabile e chiaro. Me lo dicono i Missionari d´F.stremo Oriente, come per le letterature europee possiamo constatare not stessi. C´e da fame, invece d´una postilla, una espressa trattazione, che rimetto a qualche bravo linguista.

xxvm
amoroso: vi 0 codesta visione unitaria della persona, la sintesi del tutto

in un principio che tutto genera e pervade della sua vitality?
Non aspettiamoci da Don Bosco rth parole solenni, ne proc. edimenti deduttivi: egli non si a tracciato un paradigma distributivo per far derivare da un concetto i suoi subordinati e da questi via via le altre dipendenze. Egli scrive con un ordine d´idee cite ha sua origine dal concetto della santita ch´egli vuole contemplare nel suo discepolo, e di cui vuol comunicare ai lettori la persuasion e quasi la sensazione: in altri termini, egli lavora a mostrare che it Savio 0 Santo e in qual modo a Santo e si e fatto Santo.
Non sta a definire it principio fondamentale di quella santita, e non insiste a costruire la sintesi personale del suo piccolo gigante dello spirito e; egli mira all´esemplarita di quella vita, che nella sua perfezione sublime addita alla gioventit la via che deve seguire e la mira a cui deve tendere e pith arrivare.
Ma non cite nella sua intima visione non si disegni la fisionomia propria, la personality del suo giovane santo; non ch´egli non vi senta e non vi leggy chiaramente it principio da cui tutto si origin, e che tutto pervade e informa. Oltre it principio essenziale e costitutivo d´ogni santita ch´e la Carita ossia l´amor di Dio eroico: egli vi fa sentire in tutta la tela della sua esposizione, e pis ancora nel tono del suo discorso, che obbedisce ad un´idea unitaria, non formulata in sentenza, ma permeata in ogni parte, e the vuol piuttosto essere sentita cite espressa. Egli clod non vuole che it suo racconto appaia come it riflesso d´un ragionamento cite gli darebbe l´ aria di tesi preconcetta e prestabilita (1): ma fa in modo che i fatti parlino da se, e it lettore concluda da se. e assorga alla ragione prinzaria e movente.
Invero not la troviamo quasi formulata, e del resto messa in rilievo nelle parole stesse del Savio, in due momenti cite it Santo Maestro di quell´anima considera come risolutivi per tutto it conseguente atteggiamento spirituale del suo discepolo.
Gia nei propositi della Prima Comunione it fanciullo, poco pis cite settenne, aveva pronunziata la parola che divenne it suo motto caratteristico: La morte ma non peccati (2). Ed era motto: non solo per
(i) Fu una pregiudiziale prospettata dall´opposizione nelle Animadversiones della Seetio Historica. Fu dimostrato, in risposta, che Don Bosco non fabbrica it santo secondo la sua tesi, ma dalla storia deI santo ricava is sua tesi.
(a) Vita, ediz. i´, III, pag. so.

xxix
Petit in cui fu pronunziata, ma pel suo valore intrinseco, e per l´esemplarita incisiva della sentenza, come monito capitale per la gioventit.
Dimino che questa 0 la sintesi personals del Savio? Si sarebbe tentati a crederlo, appunto perche la parola a divenuta it motto e l´emblema tradizionale del giovane Santo, e Don Bosco medesimo lo ha fatto scrivere sul cartello del ritratto, e ripetuto nel terzetto in rima apposto in calve all´incisione. Tuttavia, chi guarda pis a fondo, e si conosce delle case dello spirito, non esita a riconoscere cite, per quanto lo si voglia estendere, quello non pia essere, da solo, it principio costruttivo della santita; anche se si voglia, come nel fatto del Savio, vedere un motivo d´amore di alto grado. Esso sta al principio nell´ordine del tempo (1); e it primo gran passo, ed e decisivo e ardito, verso una vita che vuol es-sere di Dio: 0 la scelta della strada, e un atteggiamento, quasi un portamento, da forte. E cite un fanciullo di sette anni sia gin in grado"di esprimere in questa forma quel desiderio della santita ch´d it prima passo verso di essa (2), non pito essere che it portato d´un amore cite non trova altrimenti la sua espressione, ma cite intanto vine in viral della grazia abituale e d´una vocazione alla perfezione, e conduce per la via delle ascensioni spirituali, mentr´egli non ha .coscienza se non di voler amare: Iddio quanto piu puo. Voglio dire che nel nostro giovinetto 0 gia, per dono speciale della grazia, qualche cosa di piii che it primo grado della via di perfezione, ed 0, per l´eta sua, cosa non ordinaria e d´assai supe?ion (3).
Quando la medesima parola vien pronunciata a dodici anni, nel
fervore d´uzu2 consacrazione a Maria Immacolata essa e giti dive
nuta espressione consapevole d´un amore di dedizione: tanto consapevoli e la dedizione e l´orrore del peccato, da apparire anche alt´esterno come la rivelazione d´una trasformazione interiore, si che to stesso suo Maestro comincia da quel pinto a tenet- nota dei passi ch´egli muove (5). Passi da gigante, diremmo, cite pochi mesi dopo, nel marzo 1855, portano alla piena coscienza di se e di quel che vuole: ed e quando dice: o Voglio dire che ,mi sento un desiderio e un bisogno di farrni santo:...
(i) TANQUEREY, Comp. di Teal. Aseetica e istica, trad. ital., Desclee, 1932:
§ 341-342.
(a) TANQUEREY, op. cit., 409-412.
(3) TANQUERFy, op. cit., 343
(4) Vita, pag. 40: Bic. 1854.
(5) Vita, cap. VIII.

)0.:x
ho assolutamente bisogno di farad santo... voglio essere tutto del Signore, e voglio farmi santo, e sarel infelice finche non saro Santo r> (i).
Questa e la sintesi personale, it principio e it carattere individuo di quella santita. Una santita adunque mossa dal bisogno cosciente di es•-sere santo, e raggiunta col soddisfarlo. Pensiamo a quel che dice S. Teresa nella sua Autobiografia, at Cap. XIII, circa i desiderio di farsi santi (2).
E) L´esemplaria.
Codesto indirizzo del lavoro biografico che diviene, per la natura intrinseca del soggetto, un´ agiografia, non allontana e non infirma per nulla l´intento dell´ esemplarita o edificazione che l´Autore si prefiggeva. Don Bosco propane ad esempio dei suai giovani prima, e con essi a tutta la gioventia quella vita di giovane santo, che, vivendo la lard vita mede-, sima, in medesimezza d´eta, di condizione, di lavoro, di circostanze ambienti, ha percorso una via di virtu cristiana che to ha condotto alla santita. Diremo che la mira e troppo alta e it canunino troppo arduo per essere imitato?
Ma ogni vita di Santo serve all´ edificazione e esempio, anche se
non e raggiungibile nel grado e nei carismi; ne mai si pretende un´imitabilita minuta dei particolari individuali. E vero invece che resempio
tanto pits praticamente efficace, quanta pits la vita del modello e affine a quella di chi se to propane (3). La perfezione sublime, che it Santo raggiunge, addita appunto la mira a cui si deve tendere, e. dove pun arrivarsi, vivendo quella vita come it santo r ha vissuta. Ed 0 questo it pensiero a l´intento di Don Bosco, e fu persino preso ad argomenta di obbiezione contra la sua fedelta storica. Che poi, col suo piccolo libro,
· (i) Vita, edit. ra, cap. X, pag. 5i-52.
(2) a Crediamo fermamente che con i´aiuto divino e per via di storzi potremo col tempo anche not acquistare ci6 che tanti Santi, aiutati da Dio, potesono ottenere. Se non avessero mai concepiro simili tiesideri, e non li avessero adagio adagio rnessi in pratica, non sarebbero mai saliti cosi in alto! a. Cit. in TANQUEREY, op. cit., 456. — 10 cito da questo autore (che suol essere esattissimo) per agevolare i riscontri al Iettore.
(3) Cfr. Ie parole del Card. Maffi nella Lettera .Postidatoria, dove appunto
rileva in tale modello ii facto e della modernity. Cosi quelle del Card.
Parrocchi, the lo dice a modello imitabile di virtu agli studenti di Ginnasio, ed esemplare di perfezione alla gioventit dei nostri tempi a. — E quella del Card. Cavallari, che lo propone a a modello dello students cristiano dei nostri tempi a. E altri, tutti riferiti dal Salotti nella Responsio ad Animadversiones. Cfr. Positio, fol. 1-8o, a. 1913.

xxxi
egli abbia non soltanto ottenuta r edificazione degli altri, che fu e continua ad essere a penetrantissima a d´immensa vastita, ma insieme l´affermazione a l´esaltazione di una santita, e it merito, questo, d´una santita reale, die, in grazia appunto del suo libro, viene ora anche giuridicamente sanzionata.
F) La storicia.
L´esemplarita fu uno scopo, ma non fu una tesi prestabilita; voglio dire che ad essa non fu mai forzata tendenziosarnente, ne sacrificata la verita storica. E un´obbiezione the pith sorgere facilmente (1), al vedere come fin dalla Prefazione l´intento edificante e dichiarato, ed -e poi cosi spiccazzte nelle pagine del testa. E la Congregazione dei Riti, la quale nella sua disamina deve prospettare tutte le possibili, anche pits cavillose e artificiose, si direbbero persin malevole obbiezioni, affinche non resti alcun dubbio in chicchessia sulfa fondatezza giunidica e morale delle sue decisioni, aveva cosi sentita questa difficolta,. che diede incarico alla Sectio Historica di studiarla e proporla da risolvere alla Postulazione (2).
La question sarebbe stata agevolmente risolta se si fosse limitata a questi termini: bastando provare distintamente la storicita dei fatti. Ma la coca si complicava in grazia di an altro dubbio, soprannato sul prima. Le testimonianze acquisite al Processo hanno una tale conformity col contenuto del libro, e talvolta si esprimono con le parole medesime o poco divario, da far pensare che dunque, a tanta distanza di tempo quanta ne corre dalla rnorte del Savio (1857) e dalla pubblicazione della vita (i859) all´apertura dei due processi (19o8-1914-1921), i testi non . potevano non avere in mente le pagine del libro stesso, e parlavano non
(I) Ovvia del recto, a causa della tendenza al panegirismo miracolante, in materia d´agiografia, e, purtroppo, largamente fondata sts secoli di letteratura con.- venzionale.
(2) La Sectio Historica fu istituita da S. S. Pio XI col deer. a Gia da qualche tempo a del 6 febbraio 193o, per lo studio di quells cause per le quali non esistono testimoni coevi, ne alcuna testimonianza certa raccolta in tempo opportuno: nella sfera tuttavia limitata alla ricerca storica circa la vita, virtu, raartirio, culto antico del S. di Dio in discussion. Percib, a rigor di termini, it caso di Savio Doinenico non rientrerebbe nei compiti di tal commission. Ma la S. Congr. dei Riti voile interessarla, ttattandosi di sincerare it valore e l´efficienza del documento storico che sta a fondamento di tutto it processo. Fu un´eccezione felice, perch la causa ne guadagn6 in sicurezza, e ne guadagnb Fautorita del piccolo libro di Don Bosco.

mcKrf
di scienza propria, ma per influsso e suggestions della lettura di quello. E se it libro non fosse storicamente sicuro, in grazia della valuta esemplarita, che coca ne rimaneva?
E con cio it Processo era minato nella stessa sua base, infirmandosi it valore di tutte le testimonianze, anche piii prossime e autorevoli, delle -quasi appunto a materiata rindagine.
Qualcuno potrebbe pensare che una tale idea sia troppo ingegnosa, e sappia di cavillo: ma appunto e strettamente doveroso per it Magistero della Chiesa prevenire anche i cavilli, e ricercarli coscienziosamente in ogni parte (1). La Chiesa, per i suoi Santi, vuole non solo le prove, ma anch& la certezza giuridica e piena anche nelle prove (z).
La risposta all´ obbiezione primaria, e all´ altra che su di essa si fondava, fu, in ogni senso e in ogni minima particolare, esauriente, e la Magistratura della Chiesa lo riconobbe in pieno. E ne guadagrui la fede sicura nella storicita dei fatti narrati da Don Bosco.
Le deposizioni dei testi coincidono col libro (in certuni usque ad litterarn) perche essi erano coloro appunto che a Don Bosco avevano fornito, al tempo della redazione della Vita, le notizie a voce o per iscritto (3). E tutti dichiarano di riferir le cose di propria scienza, e non per influsso del libro, oppure dicono che it libro corrisponde appunto a cid ch´essi sapevano; pit ancora: che quando it libro fu pubblicato nessuno aveva trovato da dire in contrario (k).
Cid che deposer° in piu di quanto vi e scritto, non solo non contraddice mai, ma conferma it valore del contenuto, e ne d quasi un´estensione.
(i) ovvio che I Relatori delle Cause, quando per ufficio sostengono l´oppo
sizione, non hanno alcuna intenzione men the retta, a parlano non per demolire, ma per far rispondere in modo esauriente alle possibili difficolta e sgombrare ii terreno al trionfale cammino dei Santi. Afiehe S. Tommaso, nella Somma, si propane obiezioni che ci vuol proprio it suo ingegno per risolverle in beneficio della yerita. E cosi fa pur sempre ogni ragionatore serio.
(2) S. S. Pio XI, zi aprile 1929 (sul deer. de Tuto per la Beatificazione di Don Bosco).
(3) Lo dice l´Autore stesso nella prima pagina della Prefazione. singolare
II caso del teste Mons. Giacomo Piano, che in due distinte deposizioni attestava che un certo particolare da lui rivelato era narrato nella Vita testuaimente con un period.° di una sua lettera, scritta per invito di Don Bosco. Cfr. Somm. Proc.: pag. 295 e 293; e Declar. script., pag. 469.
(4) Somm. Proc. Apostolico: tit. III, Testitan scientiae causa: tit. XX, De fama etc., in vita et post mortem, pag. 371, seg. Ibid., Proc. Ordin., pag. z9 seg.: Testim. di D. Michele Rua. Nel Proc. Apostolico it teste Cerruti esponeva le ragioni da cui la Vita di Savio scritta da Don Bosco e u costituente Is fonte storica principals, trae tuna la sua forza s. Cfr. Somm., pag. I9.

´cum
I fatti marrati SOW) ore di vita vissuta da quelli stessi, che ora venivano a testimoniare (1). Sicche invece di credere ad un influsso del libro sulk loro notizie, si doveva, invertendo l´ordine, parlare della parte ch´essi avevano avuta nella preparazione di esso.
E pertanto la piit irrefragabile prova della storicita della Vita del Savio a venuta dai Processi Canonici; e giustamente, come s´g detto, l´estensore dei Sommari ha pensato di addurre, dopo le testimonianze riferite su ogni articolo, le pagine di Don Bosco che le confermano e le riassumono. La storicita della Vita scritta da Don Bosco ha per questo mezzo sines conferm-a giuridica della sua autenticita.
Essa e del recto tanto sicura anche agli occhi degli studiosi, che Accademico d´Italia, S. E. Alessandro Luzio, non esito, di fronte alle prospettate obbiezioni, dichiarare la sua piena fede nella veracita di Don Bosco (2).
L´esemplarita, a sua volta, non nuoce alla fedelta storica. Una Vita di Santo si strive non solo per far della stories, ma « per continuare calla biografia quell´efficacia del buon esempio, alla Speranza del quale gli
. stessi Santi piu umili non poterono mai rinunziare s, e a to scrittore intende di sollevare ed edificare it suo lettore eccitandolo all´imitazione * (3). Sono parole del Crispolti, che cita lo Schroeder, a proposito della Vita di S. Luigi scritta dal P. Cepari. Credo che it valoroso scrittore cattolico avrebbe potuto dire della Vita del Savio quel ch´egli dice di quest´ altra: it parallelo a strettissimo. A due scopi intese di soddisfare it diligentissimo storico del Gonzaga: quello dell´ esattezza storica e quello delredificazione. Ora in quell´ opera sotto ogni aspetto solidissima, l´intento edificativo non ha per nulla infirmato it vatore storico, e questo rimane irrefragabile, anche con tutti i progressi della critics. Anche P. Cepari era contemporaneo e amico del Gonzaga, e it suo lavoro fu pubblicato net 16o6 con autorizzazione- e per desiderio di Papa Paolo V, dopo cite quattro consultori indipendenti l´ebbero confrontato accuratamente col dati dei processi di canonizzazione. Ne, osserva bene it Crispolti (4),
(I) Basta pensare a Don Rua, Cagliero, Francesia, Cerruti, Piano, Anfossi, Melica, Carlo Savio, Roda, Conti, a agli altri che furono compagni di scuola, di collegio e di vita del Savio.
(z) II documento originale, the non si pubblica per delicati riguardi, fu nelle mani proprie di PP. Pio XI, a si conserva nell´Archivio Capitolare. Cosi e pure d´una dichiarazione del Prof. Costanzo Rinaudo, -Bliley° di Don Bosco dal 1858 al 1866, e mancato nel 1937, dopo una splendida carriera di studioso a di docentediStoria.
(3) CRISPOLI op. cit., pag. 25.
(4) Op. cit., pag. 25.
c CAVIGLIA, Don Basco, seritti. Vol. IV. Pert I.

XXXIV
le biografie successive, se anche arrecarono qualche contributo documentario, o presero una forma piit attraente, superarono (e un po´ anche scapitarono al confronto) it materiale raccolto dal Cepari. Non e di questo luogo insistere maggiormente a dimostrare it rigore della critica e della diligenza del pio biografo del Gonzaga (i): dico senz´ altro che in cio, come nel resto, possiamo usare le medesime parole per lo scritto di Don Bosco.
11 quale lo dice da se nella sua Prefazione, al secondo capoverso, come ce lo confermano molte testimonianze dei Processi (z). Alla possibile « critica cui va incontro chi scrive case delle quali avvi moltitudine di testimoni viventi}} risponde: Questa difficoltei credo di aver superato con farmi uno studio di narrare unicamente le cose che da voi o da me furono vedute, the quasi tutte conservo scritte e segnate di vostra mano medesima* (3). Altri documenti ebbe d´altronde, ch´egli stesso riferisce, integrandoli con le spiegazioni orali avute dagli scriventi o da altre persone. E i testi ci dicono della sollecitudine ch´egli ebbe d´interrogare persone che avevano conosciuto it Savio, i parenti, i suoi .compagni di scuola, i sacerdoti e i maestri del paese, e del terser conto degli aneddoti pit spiccioli; oltre alla cura che s´era data, fin dal dicembre 1854 in poi, di notarsi i fatti singolari del suo discepolo, corn´ egli stesso dice al Cap. VIII. In queste case Don Bosco, .stoffa di storico quale lo sappiamo, era scrupoloso, appunto perche c´entrava lo straordinario, ed egli non scriveva parola di cui non fosse sicuro. Invece di pensare ad esagerazioni panegiriche, si deve piuttosto parlare di ritegno cauto e prudente (4): tanto e vero Me dal Processo risultarono circostanze e fatti indiscutibilmente straordinari, che si sanno da lui conosciuti, e che egli non nferi nella Vita. Basti per tutti ii meraviglioso episodio dell´intervento del Savio al letto della madre, della quale aveva, per interna rivelazione, appreso it gravissimo stato (5).
(I) Op. cit., pag. 26.
(2) Somm. Proc. Apostolic°, tit. III, pag. rt-zz.
(3) Alcune (meno d´una ventina) si conservano e furono allegate ai Processi, e davvero coincidono qualche volta anche Ietteralmente con le pagine della Vita. Cfr. Somm. Proc., tit. XXII: Documenta vitam et virtutenz S. Dei spectantia (pag. 445-452) e Ntun. II: Declarations authenticae 15 super vita et virtutibus Servi Dei (pag. 453-481). — Cfr. sopra, n. (a).
(4) Nella Vita del Besucco, questa sua ritenutezza e dichiarata apertamente. Cfr. cap. XXXIV.
(5) Somm. Proc. Apostolico, tit. XVIII, pag. 316-31g: deposizione di Teresa Tosco-Savio.

ifiv
G) 11 valore documentario del libro.
bene che la storicita di questo libro sia states accertata e assicurata cosi solidamente e con l´Autorita della Chiesa. Perche da codesta che storia, e in essa medesima, scaturisce un altro valore del libro, ed appunto il pill importante, che ne fa il documento capitale tra quell lasciatici da Don Bosco del suo pensiero e della sua tradizione spirituale.
L´essere un capolavoro del suo genere, per quanto sia bello e caro it riconoscerlo, 0 un merito inferiore d´assai al valore intrinseco ch´esso ha per it suo contenuto. Direi ehe neppure la descrizione della santita del simpatico fanciullo sarebbe, per se, il massimo de´ suoi valori (giacchh rientrerebbe nel novero delle agiografie, e vi figurerebbe in ragione delle sue attrattive di edificazione e della penetrazione degli esempi): per se, adunque, non sarebbe quello it titolo massimo, se gift questa santita, descritta come fa Don Bosco, non costituisse precisamente it fondamento e la ragione del valore documentario del libro.
Che sia un documento cosi capitale dello spirito di Don Bosco, a un fatto d´un valore cosi alto e cosi prezioso, che solo pue) misurarsi pensando a che cosy ci mancherebbe se questo libro non fosse. Non solo nella trilogia biografica educativa di Don Bosco esso ci sta come uno, e, benche primo nel tempo, come il termine supremo a cui si puO giungere: ma ci sta came principale e dominante: ci sta come quello che, contenendo it termine ultimo d´arrivo, (la ragione del lavoro descritto negli altri, e lo alumina riverberandovisi in ogni sua pane e facendolo pit comprensibile.
Se Don Bosco parlo sempre del doversi far santi, e cerca di far santi, quanto e pit che pote in grado e in numero, quelli che gli furono figliuoli nello spirito, e chiaro che it mostrare di fatto che il Santo si fece e fu realmente, mette la corona a tutta la scaly delle ascension morali, alle quali si studia di avviare le anime dei giovani da lui indirizzati al bene.
C´e di pill. La forma di santita impersonatasi nel Savio non appartiene a lui solo. E certo (ed io almeno lo credo) che se la indefinibile
grazia di Dio doveva portare quell´anima alla santita, it giovanetto
poteva farsi santo anche in altra forma., ossia con un altro indirizzo: come, puts caso, se fosse stato educato tra i Fratelli delle Scuole Cri
stiane, o tra gli Scolopii e i Barnabiti, o presso i Gesuiti, che vantano tra Toro it Kostka, it Berckmans, e, sopra tutti, S. Luigi Gonzaga.
— CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol IV. Parte I.

XXXVIII
dirigeva, ma autonoma ed estranea al clima e alla vita the lo circondava: questa vita e questo clima erano ben quelli della Casa Nuova di Don Bosco; e se non in tutti « it tenor di vita fu notoriamente meraviglioso », non d detto che fossero pochi quelli che seguirono la via medesima, e Don Bosco non trascura di nominarne parecchi, fin dalla Prefazione del suo • libro. E chi, come me, ha conosciuto, e in buona eta, quelli che allora furono col Savio e, perche no? gareggiarono con ´lui net farsi buoni e santi (1), pu6 dire che di quel medesimo stampo erano tutti, e tutti portavano, diciamo cosi, la marca di fabbrica. It resto e questiane di grado, e in questo lasciamo fare al buon Dio.
Il Savio chiuse la sua vita nella prima adolescenza, fatto maturo supra l´ eta dalla grazia di Dio: non per questo lascio di essere l´espressione piu significativa e la impersonazione piii esemplare, la prima di tutte, dei modi della santita the Don Bosco ha insegnato.
So che tutto questa vuol essere dimostrato, e sara appunto l´oggetto dello studio the intendb dedicarvi, senza tuttavia rinunciare a mettere in lute quel the vi e di piit proprio e profondo nella storia rnirabile di quella vita che Don. Bosco disse meravigliosa: per ora mi contengo a proporre it terra, al fine di collocare nella sua capitale e ineguagliata posizione l´umilissimo libro della Vita di Savio Domenico.
E qui si rende necessaria una spiegazione, la quale torna essa medesima di sostanziale completamento dei valori del nostro piccolo libro.
H) 11 valore pedagogic° del libro.
La capitalissima e, in certi aspeiti, classica contenenza del libro che cosi si presenta, non deve far pensare ad una didascalia ascetico mistica, ne, poiche it Savio appare come it capolavoro educativo di Don Bosco, ad una tesi pedagogica, dimostrata impersonando nella figura e .nella vita del discepolo le membrature del sistema concepito dal Santo Educatore. Niente di tutto questo. Il tessuto del libro e una descrizione della santita mediante fatti contemplati dal Maestro con amoroso stupore: e le sue concezioni e i suoi indirizzi sono messi in lute non con didascalie
(i) Nomino: Don Rua, Cagliero, Francesia, Durando, Cerruti, Bonetti, Garin°, Buzzetti, Piano, Anfossi, Ballesio, ed altri nomi noti a chi legge la storia salesiana: per non dire di quern the vennero a Casa di Don Bosco negli anni immediatamente susseguenti, e sono i compagni di Magone e di Besucco. Ricordo, per es., Don Alliera e Don Giu3io Barberis.

?MIX
e spunti dottrinali, quali si hanno net Magone e net Besucco, venuti dappoi, ma come incluse e significate dai fatti stessi e dai motivi onde procedono.
Chi legge, con l´animo inteso a raccogliere quel che sta alla radice del fatti, non tarda a scoprire it lavoro del Maestro e it pensiero che lo
conduce, e cioe la dottrina della santita che e in Don Bosco la .ragione della forma ch´egli insegna. Io non dico neppure che to Scrittore Santo avesse l´intenzione di valersi della biografia del suo giovanetto per incarnarvi una dottrina, e lo consider°, almeno questa volta, come un artista di genio, che produce i suoi capolavori seguendo a l´intenzion dell´arte* senza pensare con essi ad insegnarne le ragioni e i secreti: ma poi gli altri ne ricavano i nuovi indirizzi e i precetti, ed o li seguono o li diffondono.
Anche per questa parte, anti in questa soprattutto, Don Bosco d un realista, ed insegna coi fatti a produrne altri: a un Santo ed 0 un Maestro e tipo di santita; ma non fa it dottore di ascetics o di mistica. In tutta la sua copiosa e varia letteratura non c´d uno scritto che tratti espressamente di tale santissima materia: eppure, oltre alle moltissime anime condotte ad alti gradi di perfezione, di santi formali ne ha prodotti parecchi gia di sua mano, e poi cogrindirizzi della sua tradizione spirituale: dei quail egli e Autore e Maestro appunto perche cosi h costrutta la santita di lui stesso (1).
Codesti indirizzi e concezioni noi, studiando it Savio Domenico, possiamo intendere ed esprimere con buona fiducia di rispondere al vero. Essi si presentano nell´aspetto di un lavoro educativo, ed anche, come dicono nelle scienze, in funzione di esso. E nasce allora la domcoula: pue) codesto lavoro. rientrare nella pedagogia?
Rispondiamo. Se l´esemplaiita d´una vita di giovane santo, che guidato da un grande Maestro, vale come dato pedagogico d´un´arte sapientissima net condurre un´anima alle pii4 alte sfere della virtu; o se ogni buon educatore pith additare a modello dei suoi discepoli una vita di giovanetto tutta sostanziata di virtu imitabili, la Vita di Savio Domenico a dessa medesima una pedagogia, ed d pedagogicamente efficace ed istruttiva la vita vissuta dal giovinetto modello.
(1) S. S. Pio XI, disc. 20 febbraio 1927, § 8: s Proprio egli continua ad es-sere it Direttore di tutto, non solo it padre lontano, ma l´Autore sempre presente, sempre operante nella vivacity perenne dei suoi indirizzi, dei suoi metodi, e soprattutto de´ suoi esempi 3 a.

XL
Ed-e appunto uno degli aspetti da stu iare nel tessuto di questo libro,
l´arte santissima di Don Bosco nel condurre l´anima del suo alum) per le vie e alle alte ascension della santita. Studiare, per ritrovare e scoprire: giacche il Maestro qui non formula principii e precetti, ma, come s´e detto, si fissa sui fatti. Vi troviamo adunque, inclusa e implicita, la pedagogia della santita.
E dico d´una pedagogia specifica: perche alla santita, ossia all´elevazione cristiana della vita morale (I), a volta tutta la pedagogia di Don Bosco, la cui santita fu specificamente ordinates alla vita educativa, fin dal primo sogno dei nave anni: mentre qui, col fatto del Savio, si dedica al suo lavoro supremo, e tocca it termitic ultimo di tutto it cammino.
In ordine di tempo vengono dopo, ma nell´ordine concettuale sono da collocare prima, come espressione di momenti intermedi di tale lavoro di spirituality elevatrice, le figure di Magone e di Besucco.
11 Magone d trovato monello, come i quasi tutti dei figli di Don Bosco, ed a condotto A ad un meraviglioso grado di perfezione» (Vita di Ma-gone, cap. IX); il Besucco, ch´d gia Buono e preparato, perviene ad un
· grado di spirituality e ad una forma cosi alts d´amor di Dio, da fame quasi un santo canonizzabile, al quale non manca neppure la sanzione d´zin fatto soprannaturale; it Savio, che comincia, si direbbe, dove il Besucco finisce, s´innalza a volo « oltre la sfera che pis largo gira» (2), e spazia nel cielo della sandhi confermata.
E, sia detto di passaggio, a provvidenziale che a toccare l´apice sia proprio primo nel tempo quel the in ordine di gradi dovrebbe venire per ultimo: cio persuade adunque, meglio d´ogni altro ragionamento, che it lavoro di Don Bosco intende a quel terrnine, e che it movente della sua pedagogia e la santita, ossia che, veduto con gli occhi di Lui, tutto it sistema a sostanziato di spirituality. E spero di dimostrarlo, trattando a suo luogo delle Vite degli altri due.
Dopo questi riflessi, a agevole vedere come, se la Vita del Savio e il documento classico della pedagogia spirituale di Don Bosco, essa non puO, per l´indole sua medesima, prestarsi a ricavarne dettami di quella pedagogia, che non so come chiamare, se scientifica, o pratica, o metodica;
(i) S´intende qui della santita doverosa per ogni cristiano, che deve vivere fuori del peccato, e in grazia di Dio. In tal senso eran detti santi i priori cristiani.
(2) DANE, Vita Nuova, son. XXV.

XLI
di quella insomnia che s´intende nei trattati e negli studi dei pedagogisti, e che, nel caso presente, cerca it Sistema.
Il sistema di Don Bosco vale per il Savio in quanto lo mette in condizioni di vita e di clima da poter svolgere i doni speciali della sua santita. Si direbbe che personalmente non ne ha pill bisogno: giaccha quello a cui, umanamente, intende it sistema, egli gia lo ha raggiunto e possiede, e la grazia di Dio ha gia fatto in quell´ anima i suoi lavori.
11 Savio non e un prodotto o, come nel Magone, una conquista del sistema: vine in quello, ma sta phi in alto, e cio che di esso lo attinge,
appunto it contenuto spirituale di esso, che non 0 pis la solo pedagogia, bensi coltivazione di anime per la santita. Cosi avviene che nel libro di Don Bosco gli accenni at sistema sono pochi e per indiretto, e in gran parte dobbiamo presupporlo, per inquadrare i fatti nelle opportune ccmdizioni storiche.
Il Sistema (insisto sully parola, perchh purtroppo it mondo dei profani non ha che la parola umana) appare, e si deve vederlo e contemplarlo, appunto in quei dati che i pedagogisti e gli studiosi, anche di buon conto, o mettono in disparte, o non hanno finora presi nella dovuta considerazione, mentre sono per l´ Autore, e nella realty effettiva, principii e fattori tanto essenziali, qualcuno anzi fine ad esserne la quintessenza, che senza di essi tutto quell´ altro complesso di cose, che chiamano it sisterna, non ha piit n0 mezzo ne ragione di esistere, e finisce nella irriuscita.
Accenno a tre case. Una O la funzione addirittura primaria e sovrana, diciamo senz´ altro essenziale e quintessenziale, della vita religiosa per mezzo dell´ eflicacia pratica dei Sacramenti; tanto che i1 libro conclude con un richiamo alla Confessione. 11 primo capoverso del capo XIV preannuncia da Ionian° la formulazione esplicita che verra cinqu´ anni dopo col capo XIX della Vita di Besucco: che senza la pratica dei sacramenti non 0 possibile una very e solida educazione, e the di tutti i sistemi, questo e l´unico capace di guarentire la morality. In una parola, la religiosity pratica, la pieta, 0 it sardine del sistema.
Non esposto in sentenze, ma reso evidente dai fatti, e a sua volta l´altro principio pratico di Don Bosco e classicamente suo, della vita comune coi giovani (in molta parte vita del cortile); cio0 it contatto fraterno e paterno dell´educatore coi suoi alunni nella convivenza quotidiana di famiglia, per la pratica del lavoro educativo personale: principio pratico che nell´idea di Don Bosco non avrebbe valore n0 effetto senza refficacia della vita gioiosa, dell´allegria, come dice il Santo

XLII ti
Maestro, sullo spirit° del giovane, che per essa si dischiude alla penetrazione del bene. Questo principio bisogna, nel libro, saperlo leggere
tra le righe e nel tono degli episodi: ma non occorre poi troppo sforzo a vedercelo, quando a to stesso Savio che dice al nuovo venuto, it piissimo Camillo Gavia: e Sappi che not qui facciam consistere la santita ?jell° star molto allegri... Comincia fin d´oggi a scriverti per ricordo: Servite Domino in laetitia» (capo XVIII).
Per terzo, e connesso, anti impostato in gran parte sul precedente, ma d´un valore non mend essenziale in se, e personalissimo di Don Bosco, a segno ch´io, la direi una seconds creazione del suo genio educativo,
rapostolato (eke cosi bisogna chiamarlo) dei giovani stessi tra i loro cornpagni: quel lavoro di correzione, esortazione, persuasione, invito, che
Don Bosco affida ai suoi migliori, e che completa, quando pure non sup
plisce, l´opera dell´ educazione dell´un per uno, che it Santo Maestro pone a base del suo sistema. Ecco, per it Savio: « La prima cosa che gli
venne consigliata per farsi Santo, fu di adoperarsi a guadagnare anime a Dio» (cap. IX). Che codesto apostolato mini soprattutto alle cose dell´ anima, non scema punto it valore morale di esso, se almeno crediamo che, appunto per nzotivo dell´ anima, si ha da essere moral e virtuosi.
Don Bosco e i suoi giovani apostoli con lui hanno sempre veduta la morale in questo modo, e nel mondo salesiano e it dato capitale della tradizione. Ed d it fatto pedagogico che ha nel Savio it suo piu luminoso documento; come quello che per it canto giovane e la piiz visibile, e, per av
ventura, la piis personale tra le attuazioni della sua santita, fino ad es
serne storicamente it suo merito piit glorioso. Pensiamo a quel che fu per lui e per il mondo in cui visse l´istituzione della Compagnia dell´Imma
colata, e l´opera di bene che questa esercitO visibilmente e in segreto, fino
ad apparire come una non lontana preparazione at costituirsi della Society Salesian. Savio Domenico e it Santo dell´ apostolato giovanile,
e per tale lo ha contemplato net suo static() discorso del 9 luglio 1933 it Papa Pio XI, the lo disse: a piccolo, ma grande apostolo, in tutte le occasioni».
Ai profani, che cercano it metodo preformato sul vocabolario dei trattati e voglion tutto ridurre alle formole preconcette, questo data pedagogico a sempre sfuggito, mentre ha, come gli altri rievocati prima, nell´umile libro di Don Bosco la sua piu luminosa affermazione.
La Vita di Savio Domenico, che abbiam veduta netts intenzioni e nelr opera dello scrittore risplendere della santita del soggetto e mostrarsi

XLIII
inoppugnabilmente forte della sua storicita, ci si e venuta per via di deduzione rivelando piu che preziosa per it valore documentario del contenuto, ed out ci appare nel suo valore pedagogico: piccolo libro the, se non fosse, force non ci sarebbe dato di comprendere quello che fu e quello che e Don Bosco nella vita spirituale della Chiesa.

I) Come deve leggersi ii libro.
Ecco adunque come io penso che debba leggersi questo prezioso libro di Don Bosco. Per comprendere, doe, quanto a consentito allo sguardo dell´uomo, e contemplare una santitd giovanile che deve stare a modello della gioventis, e vedervi, dopo it lavoro della grazia diving, it lavoro dell´ educatore the conduce quella santita per le vie divenute una tradizione spirituale della Istituzione che Iddio voile suscitata dal Santo Maestro: vie di santita e di santificazione´ vedute-da Lui ed insegnate con la sua vita medesima e con gl´indirizzi dad. alla vita spirituale dei suoi discepoli immediati o futuri, e per essi trasfuse nella vita cristiana modern e nella recente spirituality della Chiesa.
to riconosco bene, un lavoro che non tutti possono fare, e alla comune dei lettori basta sapere che vi e tra le righe qualche cosa che vorrebbe essere messo in luce, e intanto dd a quel che si legge un valore superiore alla pratica della lettura: ne e da pensarsi the in una Nota intro d uttiva, come la presence, possa collocarsi una analisi cosi ampia quale it libro richiederebbe. Ma, su queste line, e con piena liberty di movimento. , ho pensato di condurre uno Studio che uscira con questo volume stesso, intitolandolo Savio Domenico e Don Bosco, e spero che non sand condannato perche ampio e minuzioso (scrupolosamente minuzioso), quando si avra la soddisfazione di vedere come it contenuto della Vita — commentato coi dati dei Processi Canonici, — rimane intatto e graniticamente saldo, a provare quel che Don Bosco ha voluto dire col suo libro. Troveremo allora che la santita del Savio non puo essere genuinamente compresa se non vedendola con gli occhi di Don Bosco: cosi appunto come, e r abbiam delta ha fatto it Magistero della Chiesa, quando ha accettato come fondamento e guida del suo esame giuridico it libro scritio da Lui.





Giovani carissimi,
Vol mi avete piit volte dimandato, Giovani carissimi, di scrivervi qualche cosa intorno at vostro compagno SAVIO DOMENICO ; ed io ho fatto quello che ho potuto per appagare questo vostro pio desiderio.
Eccovi la vita di lui descritta con quella brevita e sernplicitci the so tor-mare a voi di gradimento.
Due difficolta si opponevano alla pubblicazione di questo lavoro; la prima a la critics a cui per to pit va soggetto chi strive cose delle quali havvi moltitudine di testimoni viventi. Questa difficolta credo di aver superato col farmi uno studio di narrare unicamente le cose the da voi o da me furono vedute, a the quasi tutte conservo scritte e segnate di vostra mano medesima.
Altro ostacolo era it dovere piis volte parlare di me, pereiocche essendo questo giovane vissuto circa tre anni in questa casa, mi tocca so-yenta riferire cose, a cui ho preso parte. Questo ostacolo credo pure di aver superato tenendomi at dovere dello storico the a di scrivere la verita dei fatti, senza badare alle person. Tuttavia se troverete qualche fatto, ove io parli di me con qualche conzpiacenza, attribuiteta at grande affetto the io portava all´amico defunto e ehe porto a tutti voi; it quale affetto mi fa aprire a voi l´intimo del mio cuore, come farebbe un padre, the parla a´ suoi amati figli.
Taluno di voi dimandera, percha io abbia scritto la vita di SAVI0 DOMENICO e non quella di altri giovani the vissero tra not con fama di specchiata virtit. E vero, miei cari, la Divina Provvidenza si degno di mandarci parecchi modelli di virtit: tali furono Fascio Gabriele, Rua Luigi, Gavio Camillo, Massaglia Giovanni, ed altri; ma le azioni di costoro non sono state egualmente note e speciose come quelle del SAVIO, it cui tenor di vita fu notoriamente maraviglioso. Per altro, se Dio mi dara sanita e grazia, ho in anirno di raccogliere le azioni di questi vostri

4
virtuosi compagni, per essere in grado di appagare i vostri ed i miei desiderii col darvele a leggere e ad imitare in quell° thee compatibile col vostro stato.
In questa nuova edizione poi, ho aggiunto varie notizie che spero la renderanno interessante anche a caw° che hanno gin letto quanto si nelle antecedenti edizioni stampato.
Intanto cominciate a trar profitto da quanto vi vertu descrivendo, e dice in cuor vostro quanto diceva S. Agostino: Si ille, cur non ego? Se un mio compagno, della stessa mia eta, nel medesimo luogo, esposto ai medesimi e forse maggiori pericoli, tuttavia trovo tempo e modo di mantenersi fedele seguace di Gesic Cristo, perche non posso anch´io fare lo stesso? Ricordatevi bene che la religions very non consiste in sole parole; bisogna venire alle opere. Quindi, trovando qualche cosa degna d´ammirazione, non contentatevi di dire: Questo Bello, questo mi piace. Dite piuttosto: voglio adoperarmi per fare quelle case che lette di altri, mi eccitano alla maraviglia.
Dio Boni a voi ed a tutti i lettori di questo libretto sanita e grazia per trar profitto di quanto ivi leggeranno; e la Vergine Santissima, di cui it giovane SAVIO era fervoroso divoto, ci ottenga di poter fare un cuor solo ed un´anima sola per amare it nostro Creatore, thee it solo degno di essere amato sopra ogni cosa, e fedelmente servito in tutti i giorni di nostra vita.

CAPO I
Patria. -- Indole di questo giovino. — Suoi primi atti di virtù.
genitori del giovinetto, di cui intraprendiamo a scrivere la vita, furono Savio Carlo e Brigida di lui consorte, poveri ma onesti con¬cittadini (I) di Castelnuovo d´Asti (z), paese distante dieci miglia da Torino. L´anno 1841, trovandosi i buoni conjugi in gravi stret¬tezze e privi di lavoro, andarono a dimorare in Riva (3), paese di¬stante due miglia da Chieri, ove il marito si diede a fare il fabbro-ferraio, mestiere a cui erasi nella sua giovinezza esercitato. Mentre dimoravano in questo paese, Dio benedisse il loro matrimonio con¬cedendo un figliuolo, che doveva essere la loro consolazione. La na¬scita avvenne il 2 di aprile 1842. Quando lo portarono ad essere ri
(T) Leggi contadini. L´errore tipogr. data dalla IV edizione (N. d. E.).
(2) Anticamente appellavisi Castelnuovo di Rivalba, perchè dipendeva dai conti Biandrate, signori di questo paese.
Circa l´anno 1300 essendo stato conquistato dagli astigiani, fu di poi detto Castelnuovo d´Asti. — In quel tempo era molto popolato di gente industriosa ed applicatissirna al commercio, che andavano ad esercitare in varie città d´Europa.
Fu patria di molti uomini celebri.
Il famoso Argentero Giovanni, detto il gran medico di quel secolo, nacque
iu Castelnuovo d´Asti nei 1513 scrisse molte opere di vasta erudizione. Egli era
molto pio ed assai divoto della gran Madre di Dio, ed eresse in di Lei onore la cappella della B. V. del popolo nella chiesa parrocchiale di S. Agostino in To¬rino — Il suo corpo fu sepolto nella chiesa metropolitana con una onorevole iscrizione, che tuttora si osserva. — Molti altri personaggi illustrarono questo paese.. Ultimamente fu il sacerdote Giuseppe Cafasso, uomo commendevolissimo per pietà, scienza teologica e carità verso gli ammalati, carcerati, condannati al pa¬tibolo ed infelici di ogni genere. Nacque nel 18/1 e morì nel 186o. (V. Casalis, dir.) (a). — "´ Ricordiamo a comodo dei lettori che il miglio piemontese equivaleva a km. 2,466 (N. d. E.).
(3) Dicesi Riva di Chieri per distinguersi da altri paesi di questo nome. E distante quattro chilometri da Chieri. L´imperator Federico con diploma del 1164 investì il conte Biandrate del dominio di Riva di Chieri. Di poi venne ceduto agli astigiani. Nel secolo decimosesto passò sotto al dominio di Casa Savoia. — Mon-signor Agostino della Chiesa e Bonino nella biografia medica parlano a lungo di molti celebri personaggi che ivi ebbero i loro natali (a).

8
generato nelle acque battesimali, gl´imposero il nome di Domenico, la qual cosa, sebben per sè indifferente, tuttavia fu soggetto di alta considerazione pel nostro fanciullo, siccome vedremo.
Compieva Domenico il secondo anno di sua età, quando per alcune convenienze di famiglia, i suoi genitori deliberarono di ritor¬nare in patria, e andarono a fissare la loro dimora in Murialdo, bor¬gata di Castelnuovo d´Asti.
Le sollecitudini de´ buoni genitori erano tutte rivolte a dare una cristiana educazione al loro fanciullo, che fin d´allora formava l´og¬getto ,delle loro compiacenze. Egli aveva sortito dalla natura un´in¬dole buona, un cuore propriamente nato per la pietà. Apprese con maravigliosa facilità le preghiere del mattino e della sera, ed all´età dí soli quattro anni già recitavale da sè. Anche in quell´età di na¬turale divagazione egli dipendeva in tutto e per tutto dalla sua geni-trice; e se qualche volta da lei si allontanava era solamente per met¬tersi in qualche cantuccio della casa e fare con maggior libertà pre¬ghiere lungo il giorno.
( Fin dalla più tenera età, affermano i suoi genitori, nella quale per mancanza di riflessione i fanciulli sono un disturbo e cruccio continuo per le madri; età in cui tutto vogliono vedere, toccare e per lo più guastare, il nostro Domenico non ci diede mai il minimo dispiacere. Non solo era ubbidiente, pronto a qualsiasi nostro co¬mando, ma si studiava di prevenire le cose, che egli scorgeva tornare a noi di gradimento ».
Erano poi curiose e nel tempo stesso piacevoli le accoglienze che faceva al padre quando lo vedeva giungere a casa, dopo i suoi ordi¬nari lavori. Correva ad incontrarla e presolo per mano e talor saltan¬dogli al collo, caro papà, gli diceva, quanto siete stanco! non è vero? voi lavorate tanto per me ed io non sono buono ad altro che a darvi fastidio; io pregherò il buon Dio che doni a voi la sanità, e che mi faccia buono. Così dicendo lo accompagnava in casa, gli presentava la sedia o lo scanno perché vi si sedesse; gli teneva compagnia e gli faceva mille carezze. Questo, dice il padre, era per me un dolce con¬forto nelle mie fatiche, ed io ero come impaziente di giungere a casa per imprimere un tenero bacio al mio Domenica, che possedeva tutti gli affetti del mio cuore.
La sua divozione cresceva più dell´età, ed a soli quattro anni non occorreva più di avvisarlo di recitare le preghiere del mattino e della sera, prima e dopo il cibo, dell´angelus; che anzi egli mede¬simo invitava gli altri di casa a recitare qualora se ne fossero dimen¬ticati.
(1*) Avvenne che un giorno i suoi parenti distratti da alcuni

9
schiamazzi si posero senz´altro a desinare. O papà, disse l´attento Domenico, non abbiamo ancora invocato la benedizione del Signore sopra i nostri cibi? Ciò detto cominciò egli stesso a fare il segno della santa croce e a recitare la solita preghiera.
Altra volta un forestiere accolto in casa sua si pose parimenti a mangiare senza fare alcun atto di religione. Domenico non osando avvisarlo si ritirò afflitto in un angolo della casa. Interrogato di poi da´ suoi parenti intorno a tale novità rispose: io non ho osato pormi a tavola con uno che si mette a mangiare come fanno le bestie.
CAPO II
Morale condotta tenuta in Murialdo. -- Bei tratti di virtù. -- Sua frequenza alla scuola di quella borgata,
Qui ci sono cose che appena si crederebbero se chi le asserisce non escludesse i nostri dubbi. Io mi attengo alla relazione che il Cap¬pellano di quella borgata (i) ebbe la cortesia di farmi intorno a quel suo caro alunno.
Nei primi giorni, egli dice, che io sono venuto a questa borgata di Murialdo, vedeva spesse volte un fanciullo di forse cinque anni venire alla chiesa in compagnia di sua madre. La serenità del suo sembiante, la compostezza della persona, il suo atteggiamento di-voto, trassero sopra di lui gli sguardi miei e gli sguardi degli altri. Che se giunto alla chiesa l´avesse trovata chiusa, allor succedeva un ameno spettacolo. Ben lungi dallo scorazzare o schiamazzare da sè
o con altri, come sogliono fare i ragazzi di tale età, egli recavasi sul limitare della porta, si metteva in ginocchio e col capolino chinato
e colle innocenti manine giunte dinanzi al petto fervorosamente pre¬gava finchè venisse aperta la chiesa. Si noti che talvolta il terreno era coperto di fango, oppure cadeva neve o pioggia; ma egli a nulla ba¬dava e vi si metteva egualmente ginocchioni a pregare. Maravigliato
e mosso da pia curiosità ho voluto sapere chi fosse quel fanciullo, che era divenuto l´oggetto della mia ammirazione, e seppi essere il figliuolo del ferraio Carlo Savio.
» Quando poi m´incontrava per la strada cominciava di lontano a dar segno di compiacenza, e con un´aria veramente angelica preve¬niva rispettosamente il mio saluto. Cominciò egli pure a venire alla scuola, e poiché era fornito d´ingegno e assai diligente nell´adempi
(i) Cappellano di questa Borgata era allora il sacerdote Zucca Giovanni di Moriondo, ora domiciliato in patria sua (a). (a").

TO ´4-,
mento de´ suoi doveri, fece in breve tempo notevole progresso nello studio. Egli era costretto a conversare con giovani discoli e divagati, ma non mi è mai accaduto di vederlo in contesa. Se poi fosse venuto qualche alterco, egli, sopportando con pazienza gl´insulti dei com-pagni, tosto da loro si allontanava. Nè mi ricordo di averlo veduto a prendere parte a divertimenti pericolosi, a dare il minimo disturbo nella scuola. Anzi molti compagni lo invitavano ad andare seco loro a fare delle burle a persone d´età avanzata, a scagliar sassi, a rubar frutta altrui o a cagionar guasti nelle campagne; ma egli destramente sapeva disapprovare la loro condotta e rifiutavasi dal prendervi parte.
» La pietà già dimostrata pregando sul limitare della chiesa non venne meno col crescere dell´età.- Di cinque anni egli aveva già im¬parato a servire la santa Messa e la serviva devotissimamente. Ogni giorno vi andava, e se altri voleva servirla, egli la ascoltava, altrimenti vi si prestava con un contegno il più edificante. Siccome era giovino d´età e piccolo .di statura, non poteva trasportare il messale; ed era cosa curiosa il vederlo avvicinarsi ansioso all´altare, levarsi sulla punta dei piedi, ,tendere quanto poteva le braccia, fare ogni sforzo per toc¬care il leggio. Se il sacerdote od altri avesse voluto fargli la .cosa più cara al mondo, doveva non già trasportare il messale, ma avvicinargli il leggio tanto che lo potesse raggiungere; ed allora egli con gioia lo portava all´altro lato dell´altare.
» Si confessava con frequenza, e come fu capace di distinguere il pane celeste dai. pane terreno, venne ammesso alla santa comunione, che egli riceveva con una divozione veramente ammirabile. Alla vista di que´ belli lavori, che la grazia divina compieva in quell´anima innocente, ho più volte detto tra me: Etco un giovinetto´ di ottime speranze. Dio voglia che gli si apra una strada per condurre a matu¬rità frutti così preziosi». Fin qui il Cappellano di Murialdo (3*).
CAPO III
È ammesso alla prima Comunione, -- Apparecchio. -- Raccoglimento e ricordi di quel giorno.
Nulla mancava a Domenico per essere ammesso alla prima co-munione. Sapeva a memoria tutto il piccolo catechismo; aveva chiara cognizione di questo augusto sacramento, e ardeva dal desiderio di accostarvisi. Soltanto l´età se gli opponeva, perciocchè ne´ villaggi ordinariamente non si ammettono i fanciulli a fare la prima comu-nione se non agli undici o dodici anni compiuti. Il Savio correva sol-tanto il settimo anno di sua età. Oltre la fanciullesca sembianza aveva

-
un corpieciuolò che lo faceva parer ancora più giovane; sicché il Cappellano esitava a promuoverlo. Ne dimandò anche consiglio ad altri sacerdoti, i quali ponderata bene la cognizione precoce, l´istruzione ed i vivi desideri di Domenico, lasciarono da parte tutte le difficoltà,
e lo ammisero a partecipare per la prima volta al cibo degli Angeli. E assai difficile esprimere gli affetti di santa gioia, di cui gli riempì il cuore un tale annunzio. Corse a casa e lo disse con trasporto alla madre; ora pregava, ora leggeva; passava molto tempo in chiesa prima
e dopo la messa, e pareva che l´anima sua abitasse già cogli angeli del Cielo. La vigilia del giorno fissato per la comunione chiamò la sua genitrice: Mamma, le disse, domani vo a fare la mia comunione; perdonatemi tutti i dispiaceri che vi diedi pel passato: per l´avvenire vi prometto di essere molto più buonp; sarò attento alla scuola, ubbi-diente, docile, rispettoso a quanto sarete per comandarmi. Ciò detto fu commosso e si mise a piangere. La madre che da lui non aveva ricevuto altro che consolazioni, ne fu ella pure commossa e ratte-nendo a stento le lagrime lo consolò dicendogli: Va` pure tranquillo, caro Domenico, tutto è perdonato: prega Iddio che ti conservi sempre buono, pregalo anche per me e per tuo padre.
AI mattino di quel memorando giorno si levò per tempo e, vesti¬tosi dei suoi abiti più belli, andò alla chiesa che trovò ancor chiusa. S´inginocchiò, come già aveva fatto altre volte, sul limitare di quella
e pregò finché giungendo altri fanciulli ne fu aperta la porta. Tra le confessioni, preparazione e ringraziamento della comunione la fun¬zione durò cinque ore. Domenico entrò il primo in chiesa e ne uscì l´ultimo. In tutto quel tempo egli non sapeva più se era in cielo o in terra,
Quel giorno fu per lui sempre memorabile e si può chiamare vero principio o piuttosto continuazione di una vita, che può servire di modello a qualsiasi fedel cristiano. Parecchi anni dopo facendolo par¬lare della sua prima comunione, gli si vedeva ancor trasparire la più viva gioia sul volto. Oh! quello, soleva dire, fu per me il più bel giorno ed un gran giorno. Si scrisse alcuni ricordi che .conservava gelosa¬mente in un libro di divozione e che spesso leggeva. Io ho potuto averli tra le mani e li inserisco qui nella loro originale semplicità. Erano di questo tenore: « Ricordi fatti da me; Savio Domenico, l´anno 1849 quando ho fatta la prima comunione essendo di 7 anni.
I. Mi confesserò molto sovente e farò la comunione tutte le volte che il confessore mi darà licenza.
z. Voglio santificare i giorni festivi.
2. I miei amici saranno Gesù e Maria.
La morte, ma non peccati».

12
Questi ricordi, che spesso andava ripetendo, furono come la guida delle sue azioni sino alla fine della vita.
Se tra quelli che leggeranno questo libretto vi fosse mai chi avesse ancora da fare la prima comunione, io vorrei caldamente raccoman-dargli di farsi modello il giovane Savio. Ma raccomando poi quanto so e posso ai padri, alle madri di famiglia e a tutti quelli che eserci¬tano qualche autorità sulla gioventù, di dare la- più grande impor¬tanza a questo atto religioso. Siate persuasi che la prima comu¬nione (4.*) ben fatta pone un solido fondamento morale per tutta la vita; e sarà cosa strana che si trovi alcuno che abbia compiuto bene quel solenne dovere, e non ne sia succeduta una vita buona e vir¬tuosa. Al contrario si contano a migliaia i giovani discoli, che sono la desolazione dei genitori e di chi si occupa di loro; ma se si va alla radice del male si conosce, che la loro condotta cominciò ad apparire tale nella poca o nessuna preparazione alla prima comunione. È meglio differirla, anzi è meglio non farla, che farla male.
CAPO IV
Scuola di Castelnuovo d´Asti. — Episodio edificante. — Savia risposta ad un cattivo consiglio.
Compiute le prime scuole, Domenico avrebbe già dovuto molto prima essere inviato altrove per proseguire i suoi studi, il che non
poteva fare in una cappellania di campagna. Ciò desiderava Dome-nico, ciò eziandio stava molto a cuore a´ genitori di lui. Ma come effettuarlo mancando affatto i mezzi pecuniari? Iddio, padrone su-premo di tutte le cose, provvederà i mezzi necessari affinchè questo fanciullo possa camminare per quella carriera a cui lo chiama.
Se io fossi un uccello, dicea talvolta Domenico, vorrei volare mat¬tina e sera a Castelnuovo e così continuare le mie scuole,
Il suo vivo desiderio di studiare gli fece superare ogni difficoltà e risolse di recarsi alla scuola municipale del paese, sebbene vi fosse la distanza di quasi due miglia. Ed ecco un fanciullo appena di dieci´ anni intraprendere un cammino di sei miglia al dì tra andata e ri¬torno dalla scuola. Talvolta vi è uh vento molesto, un sole che cuoce, un fango, una pioggia che opprimono. Non importa, si tollerano tutti i disagi e si superano tutte le difficoltà; egli vi trova l´ubbidienza ai suoi genitori, un mezzo per imparare la scienza della salute, e questo basta per fargli tollerare con piacere ogni incomodo. Una persona alquanto attempata vedendo un giorno Domenico solo andare a

13
scuola alle due pomeridiane mentre sferzava un cocente sole, quasi per sollevarlo gli si avvicinò e gli tenne questo discorso:
— Caro mio, non hai timore a camminare tutto solo per queste strade?
— Io non sono solo, ho l´angelo custode che mi accompagna in tutti i passi.
— Almeno ti sarà penosa la strada per questo caldo, dovendola fare quattro volte al giorno!
— Niente è penoso, niente è fatica quando si lavora per un pa¬drone che paga molto bene.
— Chi è questo padrone?
— È Dio creatore che paga un bicchiere d´acqua dato per amor suo.
Quella medesima persona raccontò questo episodio ad alcuni suoi amici, e finiva sempre il suo discorso dicendo: un giovinetto di cosi tenera età, che già nutrisce tali pensieri, farà certamente parlare (5*) di sè in quella carriera che sarà per intraprendere.
Nell´andare e venire da scuola egli corse un grave pericolo per l´anima a motivo di alcuni compagni.
Sogliono molti giovanetti nei caldi estivi andarsi a bagnare ora nei fossi, ora ne´ ruscelli, ora negli stagni e simili. Il trovarsi più fan
ciulli insieme, svestiti e talvolta in luoghi pubblici a bagnarsi, riesce
cosa pericolosa pel corpo, a segno che noi dobbiamo pur troppo spesse volte lamentare annegamenti di ragazzi e di altre persone
che terminano la loro vita affogati nell´acqua; ma il pericolo è assai maggiore per l´anima. Quanti giovanetti deplorano la perdita della loro innocenza ripetendone la cagione dall´essere andati a bagnarsi con que´ compagni in que´ luoghi malaugurati!
Parecchi condiscepoli del Savio avevano l´abitudine d´andarvi. Non paghi di andarvi eglino stessi, volevano condurre seco loro an¬ch´esso (6*) ed erano riusciti a sedurlo una volta. Ma essendo stato avvertito che tal cosa era male, si mostrò profondamente addolorato; nè fu mai possibile indurvelo di nuovo, anzi deplorò e pianse più volte il pericolo in cui si era messo riguardo all´anima e riguardo al corpo. Tuttavia due compagni dei più disinvolti e ciarlieri gli diedero un nuovo assalto, parlando così:
- Domenico vuoi venire con noi a fare una partita?
— Che partita?
— Una partita a nuotare?
— Oh no! io non ci vado, non sono pratico, temo di morir nel¬l´acqua.
— Vieni, fa molto piacere. Quelli che vanno a nuotare non sen

14
tono più il caldo, hanno molto buon appetito, ed adquistano molta sanità.
— Ma io temo di morir nell´acqua.
- Oibò, non temere, noi t´insegneremo quanto è necessario;
comincerai a vedere come facciamo noi, e poi farai tu altrettanto. Tu ci vedrai a camminare nell´acqua come pesci, e faremo salti da gigante.
— Ma non è peccato l´andar in quei luoghi dove sono tanti pe-ricoli? (7*).
— Niente affatto; anzi ci vanno tutti.
— L´andarvi tutti non dimostra che non sia peccato.
— Se non vuoi tuffarti nell´acqua, comincerai a vedere gli altri.
— Basta; io sono imbrogliato, e non so che dire (80). — Vieni, vieni: sta sulla nostra parola: non c´è male, e noi ti libe¬reremo da ogni pericolo.
— Prima di fare quanto mi dite, voglio dimandare licenza a mia madre: se ella mi dice di si ci andrò; altrimenti non ci vado.
— Sta´ zitto, minchione, guardati bene dal dirlo a tua madre; essa non ti lascerà certamente venire, anzi lo dirà ai nostri genitori e ci faranno passare il caldo con buoni colpi di bacchetta (e).
— Oh! se mia madre non mi lascia andare, è segno che è cosa malfatta; perciò non ci vado (10°); se poi volete che vi parli schietta-mente, vi dirò che fui ingannato e vi andai una volta sola, ma non ci andrò mai più per l´avvenire; perchè in tali luoghi havvi sempre pericolo di morire nell´acqua o di offendere altrimenti il Signore. Nè statemi più a parlarmi di nuoto; se tal cosa dispiace ai vo¬stri genitori, voi non dovreste più farla; perchè il Signore castiga quei figliuoli che fanno cose contrarie ai voleri del padre e della madre.
Cosi il nostro Domenico, dando una savia risposta a quei cattivi consiglieri, evitava un grave pericolo, in cui se si fosse precipitato, avrebbe forse perduto l´inestimabile tesoro dell´innocenza a cui ten¬gono dietro mille tristi conseguenze.
CAPO V
Sua condotta nella scuola di Castelnuovo d´Asti. — Parole del suo maestro.
Nel frequentare questa scuola, egli cominciò ad imparare il modo di regolarsi co´ suoi compagnia Se egli vedeva un compagno attento alla scuola, docile, rispettoso, che sapesse bene le lezioni, che facesse i suoi lavori, e che fosse lodato dal maestro, questi diveniva tosto

´--4-. 15
l´amico di Domenico. Eravi un discolo, un insolente, che trascurasse i suoi doveri, parlasse male o bestemmiasse? Domenico lo fuggiva
come la peste. Quelli poi che erano un po´ indolenti ei li salutava, loro rendeva qualche servizio, qualora ne fosse il caso, ma non con¬traeva seco loro alcuna famigliarità.
La condotta da lui tenuta nella scuola di Castelnuovo d´Asti può servire di modello a qualsiasi giovane studente, che desideri progre
dire nella scienza e nella pietà. Su tal proposito io trascrivo la giudi¬ziosa relazione scritta dal suo maestro D. Allora sac. Alessandro, tut
tora maestro comunale di questo capoluogo di mandamento. Ec
cone il tenore:
» Molto mi compiaccio di esporre il mio giudicio intorno al gio-vinetto Savio Domenico che in breve tempo seppe acquistarsi tutta la mia benevolenza, sicché io l´ho amato colla tenerezza di un padre. Aderisco di buon grado a questo invito, perchè conservo ancora viva, distinta e piena memoria del suo studio, della sua condotta e delle sue virtù.
» Non posso dire molte cose della sua condotta religiosa, perchè, dimorando assai distante dal paese, era dispensato dalla congrega-zione a cui se fosse intervenuto avrebbe certamente fatto risplendere la sua pietà e divozione.
» Compiuti gli studi di la elementare in Murialdo, questo buon fanciullo chiese ed ottenne distintamente l´ammissione alla mia scuola di za elementare, propriamente il zi giugno 1852; giorno dagli sco¬lari dedicato a S. Luigi, protettore della gioventù. Egli era di una complessione alquanto debole e gracile, di aspetto grave misto aI dolce con un non so che di grave e piacevole. Era d´indole mitissima e dolcissima, di un umore sempre uguale. Aveva costantemente tale contegno nella scuola e fuori, in chiesa ed ovunque, che quando l´occhio, il pensiero od il parlare del maestro volgevasi a lui, vi la¬sciava la più bella e gioconda impressione. Là qual cosa per un mae¬stro si può chiamare uno de´ cari compensi delle dure fatiche che spesso gli tocca di sostenere indarno nella coltura di aridi e mal di¬sposti animi di certi allievi. Laonde posso dire che egli fu Savio di nome e tale pur sempre. si mostrò col fatto, vale a dire nello studio, nella pietà, nel conversare coi suoi compagni ed in ogni sua azione. Dal primo giorno che entrò nella mia scuola sino alla fine di quell´anno scolastico e ne´ quattro mesi dell´anno successivo ei progredì nello studio in modo straordinario. Egli si meritò costantemente il primo posto di suo periodo, e le altre onorificenze della scuola e quasi sempre tutti i voti di ciascuna materia, che di mano in mano s´andava inse¬gnando. Tal felice risultato della scienza non è solo da attribuirsi

16
all´ingegno non comune, di cui egli era fornito, ma eziandio al gran¬dissimo suo amore allo studio ed alla sua virtù.
» È poi degna di speciale ammirazione la diligenza con cui procu¬rava di adempiere i più minuti doveri di scolaro cristiano e segnata¬mente l´assiduità e la costanza mirabile nella frequenza della scuola. Di modo che, debole quale egli fu sempre di salute, percorreva ogni giorno oltre quattro chilometri di strada, il che ripeteva pur quattro fiate tra l´andata e ritorno. E ciò faceva con meravigliosa tranquillità d´animo e serenità di aspetto anche sotto l´intemperie della stagione invernale, per crudo freddo, per pioggia, o neve, cosa che non poteva a meno di essere riconosciuta dal proprio maestro per prova ed esem¬pio di raro merito. Ammalando frattanto si degno alunno nel corso dello stesso anno 185z-53, ed i parenti di lui mutando successiva¬mente domicilio fu cagione che con mio vero rincrescimento, non ho più potuto continuare l´insegnamento di un sì caro allievo, le cui sì grandi e bellissime speranze andavano scemando col crescere dei ti¬mori ch´io aveva, che non potesse più proseguire gli studi per man¬canza di salute o di mezzi di fortuna.
» Mi riuscì poi di grande consolazione quando seppi che egli era stato accolto fra i giovani dell´Oratorio di S. Francesco di Sales, essendogli così aperta la via alla coltura del raro suo ingegno e della sua luminosa pietà». (Fin qui il maestro di scuola) (II*).
CAPO VI
Scuola di Mondonio — Sopporta una grave calunnia.
Pare che la divina provvidenza abbia voluto far vedere a questo giovanetto che cotesto mondo è un esilio ove andiamo di luogo in luogo pellegrinando: o meglio abbia voluto che egli andasse a farsi conoscere in diversi paesi e così mostrarsi in più luoghi esimio spec¬chio di virtù.
Sul finire dell´anno I852 i genitori di Domenico da Murialdo an¬darono a fissar la loro dimora in Mondonio, che è un piccolo paese confinante con Castelnuovo. Egli continuò colà nel tenor di vita pra
(i) Mondonio, e Mondomio, oppure Mondonc è un piccolo paese di circa 400 abitanti; distante due miglia da Castelnuovo d´Asti, con cui ha facile relazione per mezzo di una strada che ultimamente fu praticata mediante il traforo di una collina. — Vi sono memorie di questo paese che rimontano al 1034. Passò al do¬minio di Casa Savoia col trattato di Cherasco del /631. (V. Casalis, diz.) (a). — * Questa nota storica fu aggiunta dall´A. in IV edizione.

/7
ticato in Murialdo ed a Castelnuovo; perciò dovrei ripetere le cose che di lui scrissero gli antecedenti suoi maestri; giacché il signor Don Cugliero (i), che l´ebbe a scolaro, fa una relazione quasi simile. Io trascelgo da essa solamente alcuni fatti speciali, ommettendo il rimanente per non fare ripetizioni.
Io posso dire, egli scrive, che in venti anni da che attendo ad istruire i ragazzi non ne ebbi mai alcuno che abbia pareggiato il Savio nella pietà. Egli era giovane di età ma assennato al pari di un uomo perfetto. La sua diligenza, assiduità allo studio, e l´affabilità si catti¬vavano l´affetto del maestro e lo rendevano la delizia dei compagni. Quando lo rimiravo in chiesa, io era, compreso da alta meraviglia nel vedere tanto raccoglimento in un giovanetto di così tenera età. Più volte ho detto tra me stesso: Ecco un´anima innocente, cui si aprono le delizie del paradiso, e che coi suoi affetti va ad abitare cogli angeli del cielo ».
Tra i fatti speciali il maestro annovera il seguente:
« Un giorno fu fatta una mancanza tra i miei allievi, e la cosa era tale che il colpevole meritava l´espulsione dalla scuola. I delinquenti prevengono il colpo, e portandosi dal maestro si accordano di gettare tutta la colpa sopra il buon Domenico. Io non poteva crederlo capace di simile disordine; ma gli accusatori seppero dare tale colore di ve¬rità alla calunnia che dovetti crederla. Entro dunque nella scuola giustamente sdegnato pel disordine avvenuto; parlo al colpevole in genere: poi mi volgo al Savio, e questo fallo, gli dico, bisognava che fosse commesso da te? non meriteresti di essere sull´istan¬te cacciato dalla scuola? Buon per te che è la prima che mi fai di questo genere, altrimenti... fa´ che sia pur l´ultima. Domenico avrebbe potuto dire una parola sola in sua discolpa, e la sua in¬nocenza sarebbe stata conosciuta. Ma egli si tacque: chinò il capo e a guisa di chi è con ragione rimproverato, più non alzò gli occhi.
» Ma Dio protegge gl´innocenti, e il dì seguente furono scoperti i veri colpevoli e così palesata l´innocenza di Domenico. Pieno di rincrescimento pei rimproveri fatti al supposto colpevole, il presi da parte, e: Domenica, gli dissi, perché non mi hai subito detto che tu eri innocente? Domenico rispose: Perché quel tale essendo già col¬pevole di altri falli sarebbe forse stato cacciato di scuola; dal canto mio sperava di essere perdonato, essendo la prima mancanza di cui
(i) Il Sac. Cugliero Giuseppe, dopo aver passati alcuni anni in qualità di Cappellano beneficiato a Pino di Chieri, dopo una vita esemplare riposava nel Si¬gnore in quello stesso paese (a) (iz*).
a — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.

18 "+,
era accusato nella scuola: d´altronde pensava anche al nostro Divin Salvatore, il quale fu ingiustamente calunniato.
n> Tacqui allora, ma tutti ammirarono la pazienza del Savio, che aveva saputo render bene per male, disposto a tollerare anche un grave castigo a favore del medesimo calunniatore ». (Così D. Cugliero) (13*).
CAPO VII
Prima conoscenza fatta di lui. — Curiosi episodi in questa congiuntura.
Le cose che sono per raccontare posso esporle con maggior cor-redo di circostanze, perché sono quasi tutte avvenute sotto gli occhi miei, e per lo più alla presenza di una moltitudine di giovani che tutti vanno d´accordo nell´asserirle. Correva l´anno 1854, quando il nomi-nato D. Cugliero venne a parlarmi di un. suo allievo per pietà degno di particolare riguardo. Qui in sua casa, egli diceva, può avere giovani uguali, ma difficilmente avrà chi lo superi in talento e virtù. Ne faccia la prova e troverà un S. Luigi. Fummo intesi che me lo avrebbe mandato a Murialdo all´occasione che sono solito a trovarmi colà coi giovani di questa casa per far loro godere un po´ di campagna, e nel tempo stesso fare la novena e celebrare la solennità del rosario di Maria Santissima (149´).
Era il primo lunedì d´ottobre di buon mattino (I5*), allorchè vedo un fanciullo accompagnato da suo padre che si avvicinava per parlarmi. — Il volto suo ilare, l´aria ridente, ma rispettosa, trassero verso di lui i miei sguardi.
— Chi sei, — gli dissi, — donde vieni?
— Io sono, — rispose — Savio Domenico, di cui le ha parlato D. Cugliero mio maestro, e veniamo da Mondonio.
Allora lo chiamai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza egli con me, io con lui.
Conobbi in quel giovane un animo tutto secondo lo spirito del Signore e rimasi non poco stupito considerando i lavori che la grazia divina aveva già operato in così tenera età.
Dopo un ragionamento alquanto prolungato prima che io chia-massi il padre, mi disse queste precise parole: Ebbene che gliene pare ? mi condurrà a Torino per istudiare?
— Eh! mi pare che ci sia buona stoffa.
— A che può servire questa stoffa?
— A fare un bell´abito da regalare al Signore.

19
— Dunque io sono la stoffa; ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e farà un bell´abito pel Signore.
— Io temo che la tua gracilità non regga per lo studio.
— Non tema questo; quel Signore che mi ha dato finora sanità e grazia, mi aiuterà anche per l´avvenire.
-- Ma quando tu abbia terminato lo studio del latino, che cosa vorrai fare?
— Se il Signore mi concederà tanta grazia, desidero ardente¬mente di abbracciare lo stato ecclesiastico.
— Bene: ora voglio provare se hai bastante capacità per lo studio: prendi questo libretto (era un fascicolo delle Letture Cattoliche), di quest´oggi studia questa pagina, domani ritornerai per recitarmela. Ciò detto lo lasciai in libertà d´andarsi a trastullare con gli altri giovani, indi mi posi a parlare col padre. Passarono non più di otto ¬minuti, quando ridendo si avanza Domenico e mi dice: se vuole re¬cito adesso la mia pagina. Presi il libro e con mia sorpresa conobbi che non solo aveva letteralmente studiato la pagina assegnata, ma che comprendeva benissimo il senso delle cose in essa contenute.
— Bravo — gli dissi — tu hai anticipato lo studio della tua le¬zione ed io anticipo la risposta. Si, ti condurrò a Torino e fin d´ora sei annoverato tra i miei cari figliuoli; comincia anche tu fin d´ora a pregare Iddio, affinché aiuti me e te a fare la sua santa volontà. Non sapendo egli come esprimere meglio la sua contentezza e la sua gratitudine, mi prese la mano, la strinse, la baciò più volte e in fine disse: spero di regolarmi in modo che non abbia mai a la¬mentarsi della mia condotta.
CAPO VIII
Viene all´Oratorio di S. Francesco di Sales. — Suo pri´ino tenore di vita.
Egli è proprio dell´età volubile della gioventù di cangiar sovente proposito intorno a quello che si vuote; perciò non di rado avviene che oggi si delibera una cosa, dimani un´altra; oggi una virtù prati¬cata in grado eminente, domani l´opposto; e qui se non avvi chi vegli attento, spesso va a terminare con mal esito un´educazione -che forse poteva riuscire delle più fortunate. Del nostro Domenico non fu così. Tutte quelle virtù, che noi abbiamo veduto nascere e crescere, nei vari stadi di sua vita, crebbero ognora maravigliosarnente e crebbero insieme senza che una fosse di nocumento all´altra.
Venuto nella casa dell´Oratorio, si recò in mia camera per darsi, come egli diceva, intierarnente nelle mani de´ suoi superiori. Il suo

20
sguardo si posò subito su di un cartello, sopra cui a grossi caratteri sono scritte le seguenti parole che soleva ripetere S. Francesco di
Sales: Da mihi animas, coetera tolte. Fecesi a leggere attentamente,
ed io desiderava che ne capisse il significato. Perciò l´invitai, anzi l´aiutai a tradurle e cavar questo senso: O Signore, datemi anime, e prendetevi tutte le altre cose. Egli pensò un momento e poi soggiunse: ho capito: qui non havvi negozio di danaro, ma negozio di anime, ho
capito; spero che l´anima mia farà anche parte di questo commercio. Il suo tenor di vita per qualche tempo fu tutto ordinario; nè altro in esso ammiravasi che un´esatta osservanza delle regole della casa. Si applicò con impegno allo studio. Attendeva con ardore a tutti i suoi doveri. Ascoltava con delizia le prediche. Aveva radicato nel cuore che la parola di Dio è la guida dell´uomo per la strada del cielo; quindi ogni massima udita in una predica era per lui un ricordo inva-riabile che più non dimenticava.
Ogni discorso morale, ogni catechismo, ogni predica quantunque prolungata era sempre per lui una delizia. Udendo qualche cosa che non avesse ben inteso, tosto facevasi a dimandarne la spiegazione. Di qui ebbe cominciamento quell´esemplare tenor di vita, quella esat¬tezza nell´adempimento dei suoi doveri, oltre cui difficilmente si può andare (16*).
Per essere ammaestrato intorno alle regole e disciplina della casa, egli con bel garbo procurava di avvicinarsi a qualcheduno dei suoi superiori; lo interrogava, gli dimandava lumi e consigli, suppli¬cando di volerlo con bontà avvisare ogni volta che lo vedesse trasgre¬dire i suoi doveri. — Nè era meno commendevole il contegno che egli serbava coi suoi compagni. Vedeva egli taluno dissipato, negli¬gente ne´ .proprii doveri, o trascurato nella pietà? Domenica lo fug
giva. Eravi un compagno esemplare, studioso, diligente, lodato dal
maestro? Costui diveniva tosto amico e famigliare di Domenico.
Avvicinandosi la festa dell´Immacolata Concezione di Maria, il Direttore diceva tutte le sere qualche parola d´incoraggiamento ai giovani della casa, affinchè ciascuno si desse sollecitudine a cele¬brarla in modo degno della gran Madre di Dio; ma insistette spe¬cialmente a voler chiedere a questa celeste protettrice quelle grazie di cui ciascuno avesse conosciuto maggior bisogno.
Correva l´anno 1854 in cui i cristiani di tutto il mondo erano in una specie di spirituale agitazione perché trattavasi a Roma della
definizione dogmatica dell´Immacolato Concepimento di Maria. An¬che tra di noi si faceva quanto la nostra condizione comportava per celebrare quella solennità con decoro e con frutto spirituale de´ nostri giovani.

L 21
Il Savio era uno di quelli che sentivasi ardere dal desiderio di celebrarla santamente. Scrisse egli nove fioretti, ovvero nove atti di virtù da praticarsi, estraendone a sorte uno per giorno. Si preparò e fece con piacere dell´animo suo la confessione generale, e si accostò ai santi Sacramenti col massimo raccoglimento.
La sera di quel giorno, 8 dicembre, compiute le sacre funzioni di chiesa, col consiglio del confessore, Domenico andò avanti l´altare di Maria, rinnovò le promesse fatte nella prima comunione, di poi disse più e più volte queste precise parole: Maria, vi dono il mio cuore; fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei! ma per pietà, fatemi morir piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato.
Presa così Maria per sostegno della sua divozione, la morale di lui condotta apparve così edificante e congiunta a tali atti di virtù che ho cominciato fin d´allora a notarli per non dimenticarmene.
Giunto a questo punto a descrivere le azioni del giovane Savio, io mi veggo davanti un complesso di fatti e di virtù che meritano speciale attenzione e in chi scrive ed in chi legge.. Onde per maggior chiarezza giudico bene di esporre le cose non secondo l´ordine dei tempi, ma secondo l´analogia dei fatti che hanno tra di loro special relazione od hanno rapporto colla medesima materia. Dividerò per¬tanto le cose in altrettanti capitoli, cominciando dallo studio del la-tino, che fu motivo principale per cui venne e fu accolto in questa casa di Valdocco.
CAPO IX
Studio di latinità. — Curiosi incidenti. — Contegno nella scuola. — Impedisce una rissa. — Evita un pericolo.
Egli aveva studiato i principii di latinità a Mondonio; e perciò colla sua grande assiduità nello studia e colla non ordinaria sua capa¬cità ottenne in breve di essere classificato nella quarta, o come di; ciamo oggidì, nella seconda grammatica latina (17*). Fece egli questo corso presso il pio e caritatevole professore Bonzanino Giuseppe; imperciocchè allora non erano ancora stabilite le scuole ginnasiali nella casa dell´Oratorio, come sono presentemente. Io dovrei anche qui esprimere il suo contegno, profitto e la sua esemplarità colle stesse parole degli antecedenti suoi maestri. Laonde esporrò solamente alcune cose che in quest´anno di latinità e ne´ due susseguenti furono notate con particolare ammirazione da coloro che lo conobbero. Il professore Bonzanino ebbe più volte a dire che non ricordavasi di

22
aver avuto alcuno più attento, più docile, più rispettoso, quale era il giovane Savio. Egli compariva modello in tutte le cose. Nel vestire e´ nella capigliatura non era punto ricercato; ma in quella modestia di abiti e nella umile sua condizione egli appariva pulito, ben educato, cortese, in guisa che i suoi compagni di civile ed anche di nobile con-dizione, i quali in buon numero intervenivamo alla detta scuola, go-devano assai di potersi trattenere con Domenico non solo per la scienza e pietà, ma anche per le sue civili e piacevoli maniere di trattare. Se poi fosse avvenuto al professore di ravvisare qualche scolaro un po´ ciarliero, mettevagli Domenico a´ fianchi, ed egli con destrezza stu¬diavasi di indurlo al silenzio, allo studio, all´adempimento de´ suoi doveri.
Egli è nel decorso di quest´anno, che la vita di Domenico ci som-ministra un fatto che ha dell´eroismo, e che è appena credibile in quella giovanile sua. età. Esso riguarda a due suoi compagni di scuola che vennero tra di loro ad una rissa pericolosa. Il litigio cominciò da alcune parole dettesi scambievolmente in dispregio della loro famiglia. Dopo alcuni insulti si dissero villanie e si sfidarono a far valere le loro ragioni a colpi di pietra. Domenico giunse a scoprire quella discordia; ma come impedirla, essendo i due rivali maggiori di forze e di età? Si provò di persuaderli a desistere da quel progetto, facendo ad ambi-due osservare che la vendetta è contraria alla ragione ed alla santa legge di Dio; scrisse lettere all´uno e all´altro; li minacciò di riferire la cosa al professore ed anche ai loro parenti; ma tutto invano; i loro animi erano così inaspriti, che tornava inutile ogni parola. Oltre iI pericolo di farsi grave male alla persona, commettevasi grande of¬fesa contro Dio. Domenico era oltre modo crucciato, desiderava di opporsi e non sapeva come. Dio lo inspirò di far così. Li attese dopo la scuola, e come potè parlare ad ambidue. da parte, disse: Poichè persistete nei bestiale vostro divisamento, vi prego almeno di accet¬tare una condizione. L´accettiamo, risposero, purché non impedisca la nostra sfida. Egli è un birbante, replicò tosto un di loro: ed io non sarò in pace con lui, soggiungeva l´altro, finché egli od io non abbiamo rotta la testa. Savio tremava a quel brutale diverbio, tuttavia, nel desi¬derio d´impedire maggior male, si fermò e disse: La condizione che sono per mettervi non impedisce la sfida.
Com. Qual è questa condizione?
Sav. Vorrei soltanto dirvela al luogo dove volete misurarvi a sas-sate,
Com. Tu ci minchioni, o studierai di metterci qualche incaglio. Sav. Sarò con voi, e non vi minchionerò; state tranquilli.
Com. Forse tu vorrai andare a chiamare qualcheduno.

23
Sav. Dovrei farlo, ma nal farò; andiamo, io sarò con voi. Mante¬netemi soltanto la parola.
Glielo promisero, andarono nei così detti prati della Cittadella fuori di Porta Susa (i).
Tanto era l´odio dei due contendenti che a stento il Savio potè impedire che non venissero alle mani nel breve tratto di strada che era a farsi.
Giunti al luogo stabilito, iI Savio fece una cosa che certamente niuno sarebbesi immaginato. Lasciò che si ponessero in una certa distanza; già avevano le pietre in mano, cinque cadono, quando Do¬menico
parlò così: prima di effettuare la vostra sfida voglio che adem¬piate la condizione accettata. Ciò dicendo trasse fuori il piccolo Cro¬cifisso, che aveva al collo, e tenendolo in una mano, voglio, disse, che ciascuno fissi lo sguardo in questo Crocifisso, di poi, gettando una pietra contro di me, pronunzi a chiara voce ´queste parole: Gesù Cristo innocente morì perdonando a´ suoi crocifissori, io peccatore voglio offenderlo e far una solenne vendetta.
Ciò detto andò ad inginocchiarsi davanti a colui che mostravasi più infuriato dicendo: Fà il primo colpo sopra di me: tira una forte sassata sul mio capo. Costui, che non si aspettava simile proposta, cominciò a tremare. No, disse, e mai no. Io non ho alcuna cosa contro di te e vorrei difenderti, se qualcuno ti volesse oltraggiare.
Domenica, ciò udito, corse dall´altro dicendo le stesse parole. Egli pure ne fu sconcertato, e tremando diceva, che essendo egli suo amico, non gli avrebbe mai fatto alcun male.
Allora Domenico si rizzò in piedi, e prendendo un aspetto serio e commosso: come, loro disse, voi siete ambedue disposti ad affron¬tare anche un grave pericolo per difendere me, che sono una misera¬bile creatura, e non siete capaci di perdonarvi un insulto ed una de¬risione fattavi nella scuola per salvare l´anima vostra, che costò il sangue del Sal-sfatare, e che voi andate a perdere con questo peccato? Ciò detto si tacque, tenendo sempre il Crocifisso alto colla mano.
A tale spettacolo di carità e di coraggio i compagni furono vinti.
In quel momento, asserisce uno di loro, io fui intenerito; un freddo mi corse per le membra, e mi sentii pieno di vergogna per aver co¬stretto un amico sì buono, come era Savio, ad usare misure estreme per impedire l´empio nostro divisamento. Volendogli almeno dare un segno di compiacenza perdonai di cuore a chi mi aveva offeso, e pregai
(t) Quei prati ora sono tutti coperti di edifizi, ed il sito di quell´alterco cor¬risponde all´area sopra cui giace la chiesa parocchiale di S. Barbara (a). *(Nota
aggiunta in sa ediz.),

24
Domenico di suggerirmi qualche paziente e caritatevole sacerdote per andarmi a confessare. In questa guisa dopo di essermi novella-mente fatto suo amico fui riconciliato col Signore, che coll´odio e col desiderio di vendetta aveva di certo gravemente offeso ».
Esempio é questo ben degno di essere imitato da ogni giovane cristiano qualora gli avvenga di vedere il suo simile in atto di far ven¬detta, od essere da altri in qualche maniera offeso, oppure ingiuriato.
Quello poi che in questo fatto onora singolarmente la condotta e la carità del Savio si è il silenzio in cui seppe tenere quanto era accaduto. Ed ogni cosa sarebbe stata totalmente ignorata, se coloro stessi, che vi ebbero parte, non l´avessero ripetutamente raccontata.
L´andata poi ed il ritorno da scuola, che è tanto pericoloso pei giovanetti che dai villaggi vengono nelle grandi città, pel nostro Do¬menico fu un vero esercizio di virtù. Costante nell´eseguire gli ordi¬ni dei suoi superiori, andava a scuola,: ritornava a casa senza neppur dare un´occhiata, o porre ascolto a cosa che ad un giovane cristiano non convenisse, Se avesse veduto alcuno a fermarsi, correre, saltel¬lare, tirar pietre, o andar a passar in luoghi non permessi, egli tosto da costui si allontanava. Che anzi un giorno fu invitato ad andare a far una passeggiata senza permesso: un´altra volta venne consigliato ad omettere la scuola per andarsi a divertire, ma egli seppe sempre rispondere con un rifiuto. Il mio divertimento più bello, loro rispon¬deva, è l´adempimento de´ miei doveri: e se voi siete veri amici, do¬vete consigliarmi ad adempirli con esattezza e non mai a trasgredirli. Nulladimeno ebbe la sventura di aver alcuni compagni che lo mole¬starono a segno, che il Savio si trovò sul punto di cadere nei loro lacci. E già risolvevasi di andare con loro e così per quel giorno tralasciare la scuola. Ma fatto breve tratto di cammino si accorse che seguiva un cattivo consiglio, ne provò gran rimorso, chiamò i tristi consi¬glieri, e loro disse: Miei cari, il dovere m´impone di andare a scuola ed io vi voglio andare: noi facciamo cosa che dispiace a Dio ed ai nostri superiori. Sono pentito di quello che ho fatto; se mi darete altra volta somiglianti consigli, voi cesserete di essere miei amici.
Quei giovani accolsero l´avviso del loro amico; andarono seco lui a scuola, e per l´avvenire non cercarono più di distoglierlo da´ suoi doveri. Nel fine dell´anno, mediante la sua buona condotta e la sua costante sollecitudine allo studio, meritò di essere promosso fra gli ottimi alla classe superiore. Ma sul principio del terzo anno di gram¬matica la sanità di Domenico apparendo alquanto deteriorata, si giu¬dicò bene di lasciargli fare il corso privato qui nella casa dell´Ora¬torio, a fine di potergli usare i dovuti riguardi nel riposo, nello studio e nella ricreazione.

‘-‘, 25
L´anno di -umanità o di la retorica sembrando meglio in salute, fu mandato dal benemerito professore D. Picco Matteo. Esso aveva già più volte udito a parlare delle belle doti che ornavano il Savio, sicché di buon grado l´accolse gratuitamente nella sua scuola che passava fra le migliori approvate in questa nostra città (x8*).
Molte sono le cose edificanti o dette cr fatte dal Savio nell´anno di terza grammatica e di prima retorica; e noi Ie andremo esponendo di mano in mano che racconteremo i fatti che con quelle sono col¬legati.
CAPO X
Sua deliberazione di farsi santo.
Dato così un cenno sullo studio fatto nelle classi di latinità, par¬leremo ora della grande sua deliberazione di farsi santo.
Erano sei mesi da che il Savio dimorava all´Oratorio, quando fu ivi fatta una predica sul modo facile di farsi santo. Il predicatore si fermò specialmente a sviluppare tre pensieri che fecero profonda impressione sull´animo di Domenico, vale a dire: è volontà di Dio che ci facciamo" tutti santi: è assai facile di riuscirvi: è un gran premio preparato in cielo a chi si fa santo. Quella predica per Domenico fu come una scintilla che gl´infiammò il cuore d´amore di Dio. Per qualche giorno disse nulla, ma era meno allegro del solito, sicché se ne accorsero i compagni e me ne accorsi anch´io. Giudicando che ciò provenisse da novello incomodo di sanità, gli chiesi se pativa qualche male. Anzi, mi rispose, patisco qualche bene, — Che vorresti dire? Voglio dire che mi sento un desiderio ed un bisogno di farmi santo: io non pensava di potermi far santo con tanta facilità; ma ora che hp capito potersi ciò effettuare anche stando allegro, io voglio assoluta¬mente, ed ho assolutamente bisogno di farmi santo. Mi dica adunque come debbo regolarmi per incominciare tale impresa.
Io lodai il proposito, ma lo esortai a non inquietarsi, perché nelle commozioni dell´animo non si conosce la voce del Signore; che anzi io voleva per prima cosa una costante e moderata allegria: e consi¬gliandolo ad essere perseverante nell´adempimento dei suoi doveri di pietà e di studio, gli raccomandai che non mancasse di prendere sempre parte alla ricreazione coi suoi compagni.
Un giorno gli dissi di volergli fare un regalo di suo gusto; ma esser mio volere che la scelta fosse fatta da lui. Il regalo che domando, prontamente egli soggiunse, è che mi faccia santo. Io mi voglio dare tutto al Signore, per sempre al Signore (i910), e sento un bisogno di

26
farmi santo, e se non mi fo santo io fo niente. Iddio mi vuole santo, ed io debbo farmi tale.
In una congiuntura il direttore voleva dare un segno di speciale affetto ai giovani della casa e fece loro facoltà di chiedere con un bi¬glietto qualunque cosa fosse a lui possibile, promettendo che l´avrebbe concessa. Quindi può ognuno facilmente immaginarsi le ridicole e le stravaganti domande fatte dagli uni e dagli altri. Il Savio, preso un pezzetto di carta, scrisse queste sole parole: Dimando che mi salvi l´anima (2,0") e mi faccia santo.
Un giorno si andavano spiegando alcune parole secondo la etimo¬logia. E Domenico, egli disse, che cosa vuol dire? Fu risposto: Do¬menico vuoi dire del Signore. Veda, tosto soggiunse, se non ho ragione di chiederle che mi faccia santo: fino il nome dice che io sono del Signore. Dunque io debbo e voglio essere tutto del Signore e voglio farmi santo e sarò infelice finchè non sarò santo.
La smania che egli dimostrava di volersi fare santo non derivava dal non tenere una vita veramente da santo, ma ciò diceva, perchè egli voleva far rigide penitenze, passar lunghe ore nella preghiera, Ie quali cose erangli dal direttore proibite, perchè non compatibili colla sua età e sanità e colle sue occupazioni.
CAPO XI
Suo zelo per fa salute delle anime.
La prima, cosa che gli venne consigliata per farsi santo fu di ado¬perarsi per guadagnai. anime a Dio; perciocchè non havvi cosa più santa al mondo che cooperare al bene delle anime, per la cui salvezza Gesù Cristó sparse fin l´ultima goccia del prezioso suo sangue. Co¬nobbe Domenico l´importanza di tale pratica, e fu più volte udito a dire: Se io potessi guadagnare a Dio tutti i miei compagni, quanto sarei felice! Intanto non lasciava sfuggire alcuna occasione per dare buoni consigli, avvisar chi avesse detto o fatto cosa contraria alla santa legge di Dio.
(W") La cosa che gli cagionava grande orrore e che recava non piccolo danno alla sua sanità, era la bestemmia, o l´udir nominare il santo nome di Dio invano. Se mai nelle vie della città o altrove gli fosse accaduto di udire alcuna di somiglianti parole, egli tosto abbas¬sava dolente il capo, e diceva con cuor divoto: sia lodato Gesù Cristo.
Passando un giorno per mezzo ad una piazza della città, un com¬pagno lo vide a togliersi il cappello e proferire sotto voce alcune

parole: Che fai? gli disse, che dici? Non hai udito? Domenica ri¬spose: quel carrettiere nominò il santo nome di Dio invano. Se avessi creduto utile sarei corso ad avvisarlo di non farlo mai più: ma temendo di fargli dire cose peggiori, mi limito a togliermi il cappello e dire: sia lodato Gesù Cristo. E questo con animo di riparare qualche poco l´ingiuria fatta al santo nome del Signore.
Il compagno ammirò la condotta ed il coraggio di Domenico, e va tuttora con piacere raccontando tale episodio ad onore dell´amico e ad edificazione dei compagni.
Nel ritornare dalla scuola una volta udì un cotale di età alquanto avanzata che proferì un´orribile bestemmia. Il nostro Domenico tremò all´udirla; lodò Dio in cuor suo, dipoi fece una cosa certamente ammirabile. Con aria la più rispettosa corse verso l´incauto bestem¬miatore e gli domandò se sapeva indicargli la casa dell´Oratorio di S. Francesco di Sales. A quell´aria di paradiso, l´altro depose quella specie di ferocia, e non so, caro ragazzino, mi rincresce.
— Oh! se non sapete questo, voi potreste farmi un altro piacere.
— Dimmelo pure, volentieri.
Domenico gli si avvicinò quanto potè all´orecchio, e piano che altri non capisse, voi, soggiunse, mi farete un gran piacere se nella vostra collera direte altre parole senza bestemmiare il santo nome di Dio,
— Bravo, — disse l´altro, pieno di stupore e. di ammirazione; — bene, hai ragione: è questo un vizio maledetto che voglio vincere a qualunque costo.
Un giorno avvenne .che un fanciullo di forse nove anni si pose ad altercare con un compagno in vicinanza della porta della casa, e nella rissa proferì l´adorabile nome di Gesù Cristo. Domenico a tale parola, sebbene sentisse un giusto sdegno in cuor suo, tuttavia con animo pacato s´intromise tra i due contendenti e li acquetò; poi disse a chi aveva nominato il nome di Dio invano: vieni meco e sarai con¬tento. I suoi bei modi indussero il fanciullo ad accondiscendere. Lo prese per mano, lo condusse in chiesa avanti all´altare, di poi lo fece inginocchiare vicino a lui dicendogli: dimanda al. Signore perdono dell´offesa che gli hai fatta col nominarlo invano. E poichè il ragazzo non sapeva l´atto di contrizione, lo recitò egli seco lui. Dopo soggiunse: Di´ con me queste parole per riparare l´ingiuria fatta a Gesù Cristo: sia lodato Gesù Cristo, e il suo santo e adorabile nome sia sempre lodato.
Leggeva di preferenza la vita di quei santi che avevano lavorato in modo speciale per la salute delle anime. Parlava volentieri dei mis¬sionari, che faticano tanto in lontani paesi pel bene delle anime, e

28 ‘1--,
non potendo mandar loro soccorsi materiali, offriva ogni giorno al Signore qualche preghiera, e almeno una volta alla settimana faceva per loro la santa comunione.
Più volte l´ho udito esclamare: Quante anime aspettano il nostro aiuto nell´Inghilterra: oh se avessi forza e virtù vorrei andarvi sul momento, e colle prediche e col buon esempio vorrei guadagnarle tutte al Signore. Si lagnava spesso con sè medesimo, e spesso ne parlava ai compagni del poco zelo che molti hanno per istruire i fanciulli nelle verità della fede. Appena sarò chierico, diceva, voglio andare a Mondonio, e voglio radunare tutti i fanciulli sotto di una tettoia e voglio far loro il catechismo, raccontare tanti esempi e farli tutti santi. Quanti poveri fanciulli forse andranno alla perdizione per mancanza di chi li istruisca nella fede! Ciò che diceva con parole lo confermava coi fatti, poiché per quanto comportava la sua età ed istruzione faceva con piacere il catechismo nella chiesa dell´Oratorio,• e se qualcheduno ne avesse avuto bisogno, gli faceva scuola e lo am¬maestrava nel catechismo a qualunque ora del giorno ed in qualunque giorno della settimana, ad unico scopo di poter parlare di cose spiri¬tuali e far loro conoscere l´importanza di salvar l´anima.
Un giorno un compagno indiscreto voleva interromperlo mentre raccontava un esempio in tempo di ricreazione. Che te ne fa di queste cose? gli disse. Che me ne fa? rispose; me ne fa perchè l´anima de´ miei compagni è, redenta col sangue di Gesù Cristo; me ne fa perchè siamo tutti fratelli, e come tali dobbiamo amare vicendevolmente l´anima nostra; me ne fa perchè Iddio raccomanda di aiutarci l´un l´altro a salvarci; me ne fa perchè se riesco a salvare un´anima, met¬terò anche in sicuro la salvezza della mia.
Né questa sollecitudine pel bene delle anime in Domenico rallentava nel breve tempo di vacanza, che passava nella casa paterna (20). Ogni immagine, medaglia, crocifisso, libretto od altro oggetto che egli si fosse guadagnato nella scuola o nel catechismo mettevalo da parte per servirsene quando fosse in vacanza. Anzi prima di par¬tire dall´Oratorio soleva fare speciale dimanda a´ suoi superiori, che gli volessero dare simili oggetti per far stare allegri, come egli diceva, i suoi amici di ricreazione.
Giunto appena in patria, vedevasi tosto circondato da fanciulli suoi pari, più piccoli, ed anche più grandi, che provavano un vero piacere trattenendosi con lui. Egli poi distribuendo i suoi regali a tempo opportuno, eccitavali a star attenti alle dimande, che loro fa¬ceva ora sul catechismo ora sui loro doveri.
Con questi bei modi riusciva a condurre parecchi con lui al cate¬chismo, alla preghiera, alla messa e ad altre pratiche di pietà.

`--1, 29
Sono assicurato che egli impiegò non poco tempo per istruire un compagno. Se giungerai, dicevagli, a far bene il segno della santa croce, ti fo dono d´una medaglia, di poi ti raccomanderò ad un prete che ti doni un bel libro. Ma vorrei che fosse ben fatto, e che dicendo le parole colla bocca, la mano destra partisse dalla fronte, si portasse al petto, indi andasse a toccar bene la spalla sinistra, poscia la destra e terminasse col giungere veramente le mani dicendo: Così sia. Egli desiderava ardentemente che questo segno di nostra redenzione fosse ben fatto, ed egli stesso facevalo più volte alla loro presenza, invi¬tando gli altri a fare altrettanto.
Oltre l´esattezza nell´adempimento d´ogni più minuto suo dovere, egli prendevasi cura poi di due fratellini, cui insegnava a leggere, scrivere, recitare il catechismo e li assisteva nella preghiera del mat¬tino e della sera. Li conduceva in chiesa, porgeva loro l´acqua bene¬detta, mostrava loro il vero modo di far il segno della santa croce. Il medesimo tempo che avrebbe passato qua e là trastullandosi, egli Io passava raccontando esempi ai parenti, o ad altri compagni che l´avessero voluto ascoltare. Anche in patria era solito a fare ogni giorno una visita al Santissimo Sacramento; ed era per lui un vero guadagno quando poteva indurre qualche compagno ad andargli a tenere com-pagnia. Onde si può dire che non presentavasi a lui occasione di far opera buona, di dare un buon consiglio, che tendesse al bene del¬l´anima, che egli la lasciasse sfuggire.
CAPO XII
Episodi e belle maniere di conversare coi compagni.
Il pensiero di guadagnar anime a Dio lo accompagnava ovunque. In tempo libero era l´anima della ricreazione; ma quanto diceva o faceva tendeva sempre al bene morale o di sè o di altri. Aveva ognor presente que´ bei principii di educazione, di non interrompere gli altri quando parlano. Se per altro i compagni facevano silenzio, egli tosto metteva fuori questioni di scuola, di storia, di aritmetica, ed aveva sempre alla mano mille storielle, che rendevano amabile la sua compagnia. Se mai taluno avesse rivolto il discorso intorno a cose che fossero mormorazioni o simili, egli lo interrompeva e metteva fuori qualche facezia od anche una favola o altra cosa per far ridere, e intanto distoglieva il discorso dalla mormorazione ed impediva l´offesa di Dio tra´ suoi compagni.
La sua aria allegra, l´indole vivace lo rendevano caro anche ai

30
compagni meno amanti della pietà, per modo che ognuno godeva di potersi trattenere con lui, e prendevano in buona parte quegli avvisi che di quando in quando suggeriva.
Un giorno un suo compagno desiderava andarsi a mascherare, ed egli non voleva. Saresti contento, gli diceva, di divenir realmente quale vuoi vestirti, con due corna sulla fronte, con un naso lungo un palmo, con un abito da ciarlatano? Mai no, rispose l´altro. Dunque, soggiunse Domenico, se non desideri avere questo sembiante, perché vuoi comparir tale a deturpare le belle fattezze che Dio ti ha donato?
(z3´). Una volta in tempo di ricreazione accadde che un uomo si avanzò in mezzo ai giovani che si divertivano; e voltosi ad uno di loro si mise a discorrere, ma con voce alta che tutti i circostanti po¬tevano udire. L´astuto, onde trarli vicino a sè, da principio si diede a raccontare cose strane per far ridere. I giovani tratti dalla curiosità in breve gli furono attorno affollati, e attenti pendevano dal suo labbro nell´udire quelle stranezze. Appena si vide cosi circondato, fece cadere il discorso su cose di religione, e, come suol fare tal sorta di gente, gettava giù degli strafalcioni da far inorridire, mettendo in burla le cose più sante e screditando tutte quante le persone ecclesia¬stiche. Alcuni degli astanti, non potendo soffrire tali empietà e non osando opporsegli, si contentarono di ritirarsi. Un buon numero in¬cautamente continuava ad ascoltarlo. Intanto per caso sopraggiunse il Savio. Appena potè conoscere di che genere fosse quel discorso, rotto ogni rispetto umano, subito si rivolse ai compagni: Andiamo¬cene, disse, lasciamo solo quest´infelice; egli ci vuol rubare l´anima. I giovani ubbidienti alla voce di un sì amabile e virtuoso compagno, tutti quanti si allontanarono prontamente da quell´inviato del demo¬nio. Questi vedutosi così da tutti abbandonato, se ne parti senza più lasciarsi vedere.
Altra volta alcuni volevano andarsi a bagnare, la qual cosa, se è altrove pericolosa, lo è assai più nel circondario di Torino, ove, senza parlare dei pericoli dell´immoralità, trovansi acque sì profonde ed impetuose, che spesso i giovani restano vittima infelice del nuoto. Se ne accorse Domenico, e cercava di trattenersi con loro raccontando or questa, or quell´altra novità. Ma quando li vide decisi di volersene assolutamente andare, allora si pose a parlare risoluto: No, disse, io non-voglio che andiate.
— Noi non facciamo alcun male.
— Voi disubbidite ai vostri superiori, voi vi esponete al pericolo di dare o ricevere scandalo, e di rimaner morti nell´acqua, e questo
non è male?
— Ma noi abbiamo un caldo che non ne possiamo più.

31
Se non potete più tollerare il caldo di questo mondo, potrete poi tollerare il caldo terribile dell´inferno, che voi vi andate a me¬ritare ?
Mossi da queste parole cangiarono divisamento e si posero seco lui a fare ricreazione, e all´ora dovuta andarono in chiesa per assi¬stere alle sacre funzioni.
Alcuni altri giovani dell´Oratorio amanti del bene de´ loro com¬pagni si unirono in una specie di società per darsi alla conversione dei discoli. Savio vi apparteneva ed era dei più zelanti. Se avesse avuto
un confetto, un frutto, una croce, un´immagine o la riserbava
per questo scopo. Chi lo vuole, chi lo vuole, andava dicendo. Io, io, da tutti si gridava correndo verso di lui. Adagio, egli diceva, voglio darlo a chi meglio mi risponderà ad una domanda di catechismo. Intanto egli interrogava solo i più discoli, ed appena essi davano ri¬sposta alquanto soddisfacente faceva loro quel piccolo regalo.
Altri poi erano guadagnati in altre maniere: li prendeva, li invi¬tava a passeggiare con lui, li faceva discorrere, se occorreva, giocava con loro. Fu talvolta veduto con un grosso bastone sulle spalle che sembrava Ercole colla dava, giocare alla rana, volgarmente cirimella, e mostrarsi perdutamente affezionato a quel giuoco. Ma ad un tratto sospendeva la partita e diceva al compagno: Vuoi che sabato ci an¬diamo a confessare? L´altro per la distanza del tempo e per ripigliare la partita e anche per compiacerlo rispondeva di sì. Domenico ne aveva abbastanza e continuava il giuoco. Ma nol perdeva più di vista: ogni giorno o per un motivo o per un altro gli richiamava sempre quel sì - alla memoria, e gli andava insinuando il modo di confessarsi bene. Venuto il sabato, qual cacciatore che ha colto buona preda, l´accom¬pagnava in chiesa, lo precedeva nel confessarsi, per lo più ne preve¬niva il confessore, si tratteneva seco dopo a fare il ringraziamento. Questi fatti, che pur erano frequenti, tornavano a lui della più grande consolazione e di grande vantaggio ai compagni: perciocchè spesso avveniva che taluno non riportasse alcun frutto da una predica udita in chiesa, mentre arrendevasi alle pie insinuazioni di Domenico.
Avveniva qualche volta che taluno il lusingava tutta la settimana e poi al sabato non lasciavisi più veder per l´ora di confessarsi. Come poi lo vedeva di nuovo, quasi scherzando gli diceva: eh! biri¬chino! me l´hai fatta. Ma vedi, dicea l´altro, non era disposto, non mi sentiva... Poverino, soggiungeva Domenico, hai ceduto al demonio che era assai ben disposto a riceverti; ma ora ancor più sei indi¬sposto, anzi ti vedo tutto di mal umore, Orsù fa´ la prova di andarti a confessare, fa´ uno sforzo e procura di confessarti bene e vedrai di quanta gioia sarà ripieno il tuo cuore. Per lo più dopo che quel tale

32
erasi confessato andava tosto da Domenica col cuore pieno di conten¬tezza: È vero, diceva, sono veramente contento; per l´avvenire voglio andarmi a confessare più sovente.
Nelle comunità di giovani sogliono esservene alcuni che o per essere alquanto rozzi, ignoranti, meno educati o crociati da qualche dispiacere, sono per lo più lasciati da parte dai loro compagni. Co¬storo soffrono il peso dell´abbandono, quando avrebbero maggior bisogno del conforto di un amico.
Questi erano gli amici di Domenico. Loro si avvicinava, li ricreava con qualche buon, discorso, loro dava buoni consigli; quindi spesso è avvenuta che giovani, decisi di darsi in preda al disordine, animati dalle caritatevoli parole del Savio, ritornavano a buoni sentimenti. .
Per questo motivo tutti quelli che avevano qualche incomodo di salute dimandavano Domenico per infermiere, e quelli che avevano delle pene provavano conforto esponendole a lui, In questa guisa egli aveva la strada aperta ad esercitare continuamente la carità verso il prossimo ed accrescersi merito davanti a Dio.
CAPO XIII
Suo spirito di preghiera. — Divozione verso la Madre di Dio. — Il mese di Maria.
Fra i doni, di cui Dio lo arricchì, era eminente quello del fer¬vore nella preghiera. Il suo spirito era così abituato a conversare con Dio, che in qualsiasi luogo, anche in mezzo ai più clamorosi tram¬busti, raccoglieva i suoi pensieri e con pii affetti sollevava il cuore a Dio.
Quando poi si metteva a pregare in comune pareva veramente un angioletto: immobile e composto a divozione in tutta la persona, senza appoggiarsi altrove, fuorchè sopra le ginocchia, colla faccia ridente, col capo alquanto chino, cogli occhi bassi; l´avresti detto un altro S. Luigi.
Bastava vederlo per esserne edificati. L´anno 1854 fu eletto il Signor conte Cays priore della compagnia di S. Luigi, eretta in quest´Oratoria. La prima volta che prese parte alle nostre funzioni vide egli un giovanetto che pregava con atteggiamento così divoto, che ne fu pieno di stupore. Terminate le sacre funzioni volle infor¬marsi e sapere chi fosse quel fanciullo che era stato il soggetto della sua ammirazione: quel fanciullo era Domenica Savio.
La stessa sua ricreazione era quasi sempre dimezzata; una parte per lo più era passata in pia lettura, oppur in qualche preghiera che



`Th 33
egli andava a fare in chiesa con alcuni compagni in suffragio delle anime del purgatorio o in onore di Maria Santissima.
La divozione verso la Madre di Dio in Domenico era grande assai. In onore di lei faceva ogni giorno qualche mortificazione. Non rimirava mai in faccia persone di sesso diverso; andando a scuola non alzava mai gli occhi. Talvolta passava vicino a pubblici spettacoli, che dai compagni rimiravnnsi con tale ansietà da non saper più dove si fossero. Interrogato il Savio se quegli spettacoli gli fossero piaciuti, rispondeva che nulla aveva veduto. Di che quasi incollerito una volta un compagno lo rimproverò dicendo: Che vuoi dunque fare degli occhi, se non te ne servi a rimirar queste cose ? Io voglio servirmene, rispondeva, per rimirare la faccia della nostra celeste Madre Maria, quando, se coll´aiuto di Dio ne sarò degno, andrò a trovarla in pa¬radiso.
Aveva una speciale divozione all´immacolato cuore di Maria. Tutte le volte che recavasi in chiesa andava avanti all´altare di lei per pregarla ad ottenergli la grazia di conservare il suo cuore sempre lontano da ogni affetto impuro. Maria, dicea, io voglio essere sempre vostro figliuolo: ottenetemi di morire prima che io commetta un pec-cato contrario alla virtù della modestia.
Ogni venerdì poi sceglieva un tempo di ricreazione, si portava in chiesa con altri compagni per recitare la corona de´ sette dolori di Maria, o almeno le litanie di Maria Addolorata.
Non solo egli era divoto di Maria SS., ma godeva assai quando poteva condurre qualcheduno a prestarle pratiche di pietà. Un giorno di sabato aveva invitato un compagno a recarsi con lui in chiesa a recitare il vespro della E. Vergine. Questi si arrendeva di mala voglia, adducendo aver freddo alle mani. Domenico si levò i guanti dalle mani e glieli diede, e così andarono ambidue in chiesa. Altra volta si tolse il mantelletto dalle proprie spalle, per imprestarlo ad un altro, affinchè andasse volentieri con lui in chiesa a pregare. Chi non sentesi compreso d´ammirazione a tali atti di generosa pietà?
In nessun tempo Domenico appariva maggiormente infervorato verso la celeste nostra protettrice Maria quanto nel mese di maggio. Si accordava con altri per fare ogni giorno di quel mese qualche pratica particolare oltre a quanto aveva luogo nella pubblica chiesa. Preparavasi una serie di esempi edificanti, che egli andava con gran piacere raccontando per animare altri ad essere divoti di Maria. Ne parlava spesso in ricreazione: animava tutti a confessarsi e fre-quentare la santa comunione specialmente in quel mese. Egli ne dava l´esempio accostandosi ogni giorno alla mensa eucaristica con tal rac¬coglimento, che maggiore non si può desiderare.
3 — CPSWLIA, Don Bosco, scritti, Vol. IV, Parte I.

34 `´
Un curioso episodio fa vedere la tenerezza del suo cuore per la - divozione di Maria. Gli alunni della camera ove egli dormiva, deli-berarono di fare a spese proprie un elegante altarino, che servisse a solennizzare la chiusura del mese di Maria. Domenico era tutto in faccende per quest´affare; ma venendosi alla quota che ciascuno avrebbe dovuto sborsare: ohimè! esclamò, sì che stiamo bene! per questi affari ci vogliono denari; ed io non ho nessun quattrino in tasca. Pure voglio fare qualche cosa a qualunque costo, Andò, prese un libro, che eragli stato donato in premio, e chiestone il permesso dal supe¬riore, ritornò pieno di gioia dicendo: Compagni, eccomi in grado di concorrere anch´io per onorar Maria: prendete questo libro, cavatene quell´utilità che potete; questa è la mia oblazione.
Alla vista di quell´atto spontaneo e così generoso s´intenerirono i compagni, e vollero essi pure offerir libri ed altri oggetti. Con essi fu fatta una piccola lotteria, il cui prodotto fu abbondante per sop¬perire alle spese che occorrevano.
Terminato l´altare, i giovani desideravano di celebrare la loro festa colla massima sontuosità. Ognuno se ne dava grande sollecitu¬dine, ma non essendosi potuto totalmente terminare l´apparato, era mestiere lavorare la notte precedente alla festa. Io, disse il Savio, io passerò volentieri la notte lavorando. Ma i suoi compagni, perché aveva fatto poco prima una malattia, l´obbligarono di andarsi a cori¬care. Non voleva arrendersi, e solo andò a letto per ubbidienza. Al¬meno, disse ad uno dei compagni, appena sia tutto terminato, vienmi tosto a risvegliare, affinché io possa essere de´ primi a rimirare l´al¬tare addobbato in onore della nostra cara madre.
CAPO XIV
Sua frequenza ai santi Sacramenti della confessione e comunione.
Egli è comprovato dall´esperienza che i più validi sostegni della gioventù sono il sacramento della confessione e della comunione. Datemi un giovanetto che frequenti questi Sacramenti, voi lo vedrete crescere nella giovanile, giungere alla virile età e arrivare, se così piace a Dio, fino alla più tarda vecchiaia con una condotta, Che è l´esempio di tutti quelli che lo conoscono. Questa massima la com¬prendano i giovanetti per praticarla; la comprendano tutti quelli che si occupano dell´educazione dei medesimi per insinuarla.
Prima che il Savio venisse a dimorare all´Oratorio frequentava questi due Sacramenti una volta al mese secondo l´uso delle scuole. Di poi li frequentò con assai maggiore assiduità. Un giorno udì dal

35
pulpito questa massima: Giovani, se volete perseverare nella via del cielo, vi si raccomandano tre cose: accostatevi spesso al sacramento della confessione, frequentate la santa- comunione, sceglietevi un confessore cui osiate aprire il vostro cuore, ma non cangiatelo senza necessità. Comprese Domenico l´importanza di questi consigli.
Cominciò egli a scegliersi un confessore, che tenne regolarmente tutto il tempo che dimorò tra noi. Affinché questi potesse poi formarsi un giusto giudizio di sua coscienza, volle, come si disse, fare la con-fessione generale. Cominciò a confessarsi ogni quindici giorni, poi ogni otto giorni, comunicandosi colla medesima frequenza. Il con¬fessore osservando il grande profitto che faceva nelle cose di spirito, lo consigliò a comunicarsi tre volte per settimana e nel termine di un anno gli permise anche la comunione quotidiana.
(24.*) Fu qualche tempo dominato dagli scrupoli; perciò voleva confessarsi ogni quattro giorni ed anche più spesso; ma il suo diret¬tore spirituale nol permise e lo tenne all´obbedienza della confes¬sione settimanale.
Aveva con lui una confidenza illimitata. Anzi parlava col mede-simo con tutta semplicità delle cose di coscienza anche fuori di con-fessione. Qualcheduno lo aveva consigliato a cangiar qualche volta confessore, ma egli non volle mai arrendersi. TI confessore, diceva, è il medico dell´anima, nè mai si suole cangiar medico se non per mancanza di fiducia in lui, o perché il male è quasi disperato. Io non mi trovo in questi casi. Ho piena fiducia nel confessore che con pa-terna bontà e sollecitudine si adopera pel bene dell´anima mia; nè io vedo in me alcun male che egli non possa guarire. Tuttavia il diret¬tore ordinario lo consigliò a cangiar qualche volta confessore, special¬mente in occasione degli spirituali esercizi; ed egli senza opporre difficoltà prontamente ubbidiva.
Il Savio godeva di se medesimo. Se ho qualche pena in cuore, egli diceva, vo dal confessore, che mi consiglia secondo la volontà di Dio; giacche Gesù Cristo ha detto che la voce del confessore per noi è come la voce di. Dio. Se poi voglio qualche cosa di grande, vo a ricevere l´Ostia santa in cui trovasi corpus quod pro nobis traditum est, cioè quello stesso corpo, sangue, anima e divinità, che Gesù Cristo offerse al suo Eterno Padre per noi sopra la. croce. Che cosa mi manto_ per essere felice ? nulla in questo mondo: mi manca solo di poter godere svelato in cielo colui, che ora con occhio di fede miro e adoro sull´altare.
Con questi pensieri Domenico traeva i suoi giorni veramente felici. Di qui nasceva quella ilarità, quella gioia celeste che traspariva in tutte le sue azioni. Nè pensiamoci che egli non comprendesse l´im

36
portanza di quanto faceva, e non avesse un tenor di vita cristiana, quale si conviene a chi desidera di far la comunione frequente (z5*). Perciocchè la sua condotta era per ogni lato irreprensibile. Io ho invi¬tato i suoi compagni a dirmi se ne´ tre anni, che dimorò fra noi, aves¬sero notato nel Savio qualche difetto da correggere o qualche virtù da suggerire; ma tutti asserirono d´accordo che in lui non trovarono mai cosa che meritasse correzione, nè avrebbero saputo quale virtù aggiungere in lui.
Il suo apparecchio a ricevere la santa eucaristia era pio, edificante. La sera che precedeva la comunione, prima, di coricarsi faceva una preghiera a questo scopo e conchiudeva sempre cosi: Sia lodato e ringraziato ogni momento il santissimo e divinissimo Sacramento. Al mattino poi premetteva una sufficiente preparazione; ma il ringra¬ziamento era senza limite. Per lo più, se non era chiamato, dimenti-cava la colazione, la ricreazione e talvolta fino la scuola, standosi in orazione; o meglio in contemplazione della divina bontà che in modo ineffabile comunica agli uomini i tesori della sua infinita misericordia.
Era per lui una vera delizia il poter passare qualche ora dinanzi a Gesù sacramentato. Almeno una volta al giorno andava invariabil¬mente a fargli visita, invitando altri ad andarvi in sua compagnia. La preghiera a lui prediletta era una coroncina (i) al Sacro Cuore di Gesù per compensare le ingiurie che riceve dagli eretici, dagli infe¬deli e dai cattivi cristiani.
Affinchè le sue comunioni fossero più fruttuose e nel tempo stesso in ciascun giorno gli dessero novello eccitamento a farle con fervore egli si era prefisso ogni di un fine speciale.
Ecco come distribuiva le comunioni lungo la settimana.
Domenica. In onore della Santissima Trinità.
Lunedì. Pe´ miei benefattori spirituali e temporali.
Martedì. In onore di S. Domenico e del mio Angelo custode. Mercoledì. A Maria Addolorata per la conversione dei peccatori. Giovedì. In suffragio delle anime del purgatorio..
Venerdì. In onore della passione di G. C.
Sabato, Ad onore di Maria SS. per ottenere la sua protezione in vita ed in morte.
Prendeva parte con trasporto di gioia a tutte le pratiche, le quali riguardassero al Santissimo Sacramento. Se gli fosse capitato d´in-contrare il Viatico quando veniva portato a qualche infermo, egli si
(i) Questa coroncina trovasi stampata in molti libri e fra gli altri nel Giovane Provveduto (a).

37
inginocchiava tosto ovunque fosse; e, se il tempo glielo permetteva, l´accompagnava finché fosse terminata la funzione.
(26*). Un giorno passavagli vicino il Viatico mentre pioveva e le strade erano fangose. Non avendo miglior sito, si pose ginocchioni in mezzo alla fanghiglia. Un compagno ne lo rimproverò di poi, osservandogli non essere necessario imbrattarsi così gli abiti, nè il Signore comandare tal cosa. Egli rispose semplicemente: ginocchia e calzoni è tutto del Signore, perciò tutto deve servire a rendergli onore e gloria. Quando passo vicino a lui non solo mi getterei nel fango per onorarlo, sibbene mi precipiterei in una fornace, perchè così sarei fatto partecipe di quel fuoco di carità infinita che lo spinse ad istituire questo gran Sacramento.
In simile congiuntura vide un giorno un militare che se ne stava in piedi nel momento appunto che passava vicino il Santissimo Sacra¬mento. Non osando invitarlo ad inginocchiarsi, trasse di saccoccia il piccolo suo mocchichino, lo stese sul terreno insudiciato, poi fece cenno al militare a volersene servire. Il soldato si mostrò da prima confuso, poi lasciando a parte il moccichino, si inginocchiò in mezzo della medesima strada.
Alla festa del Corpus Domini fu con altri compagni vestito da chierico, e mandato alla processione della parochia. Egli vi andò con sommo piacere, ed ebbe tal cosa come prezioso regalo, che maggior ninno gli avrebbe potuto fare.
CAPO XV
Sue penitenze.
La sua età, la sanità cagionevole, l´innocenza dí sua vita l´avreb¬bero certamente dispensato da ogni sorta di penitenza; ma egli sa¬peva che difficilmente un giovane può conservare l´innocenza senza la penitenza, e questo pensiero faceva si che la vita dei patimenti per lui sembrava coperta di rose. Per penitenza non parlo del sopportare pazientemente le ingiurie e i dispiaceri, non parlo della mortificazione continua e compostezza di tutti i suoi sensi nel pregare, nella scuola, nello studio, nella ricreazione. Queste penitenze in lui erano continue.
Io parlo solamente delle penitenze afflittive del corpo. Nel suo fervore aveva stabilito di digiunare ogni sabato a pane ed acqua in onore della Beata Vergine, ma il confessore glielo proibì; voleva di¬giunare la quaresima, ma dopo una settimana la cosa venne a notizia del Direttore della casa, e tosto gli fu vietata. Voleva almeno lasciare la colazione, ed anche tal cosa gli venne proibita. La ragione per cui

38
non gli si permettevano quelle penitenze era per impedire che la sua cagionevole sanità non venisse rovinata, interamente. Che fare adun-que? Proibito di fare astinenza nel cibo, prese ad affliggere il corpo in altre maniere. Cominciò a mettersi schegge di legno e pezzi di mattone in letto per rendersi molesto il medesimo riposo; voleva por¬tare una specie di cilicio; le quali cose gli vennero eziandio tutte proibite. Egli si appigliò ad un novello mezzo. In tempo d´autunno e d´inverno lasciò inoltrare la stagione senza accrescere coperte al letto, sicchè eravamo a gennaio, ed egli era tuttora coperto da estate. Un mattino rimasto a letto per qualche incomodo, il Direttore l´andò a visitare. Al vederlo tutto aggomitolato gli si avvicinò, e si accorse che non aveva altro addosso che una sottile copertura. Perchè hai fatto così, gli disse? Vuoi morire di freddo ? — No, rispose, non morrò di freddo. Gesù nella capanna di Betlemme, e quando pendeva in croce, era meno coperto di me.
Allora gli fu assolutamente proibito di intraprendere penitenze di qualsiasi genere, senza prima dimandarne espressa licenza; al quale comando, sebben con pena, si sottomise. Una volta lo incontrai tutto afflitto, che andava esclamando: povero me! io sono veramente imbro¬gliato. Il Salvatore dice, che se non fo penitenza, non andrò in para¬diso; ed a me è proibito di farne; quale adunque sarà il mio paradiso? — La penitenza, che il Signore vuole da te, gli dissi, è l´ubbidienza. Ubbidisci, e a te basta.
— Non potrebbe permettermi qualche altra penitenza ?
— Si: ti si permettono le penitenze di sopportare pazientemente le ingiurie qualora te ne venissero fatte; tollerare con rassegnazione il caldo, il freddo, il vento, la pioggia, la stanchezza e tutti gli inco¬modi di salute che a Dio piacerà di mandarti.
— Ma questo si soffre per necessità.
-- Ciò che dovresti soffrire per necessità offrilo a Dio, e diventa virtù e merito per l´anima tua.
Contento e rassegnato a questi consigli se ne andò tranquillo.
CAPO XVI
Mortificazioni in tutti i sensi esterni (a7*).
Chi mirava il Savio nella sua ccmpostezza esteriore ci trovava tanta naturalezza che avrebbe facilmente detto essere stato così creato dal Signore. Ma quelli che lo conobbero da vicino, od ebbero cura della .sua educazione possono assicurare che vi era grande sforzo umano coadiuvato dalla grazia di Dio (z8*).

39
I suoi occhi erano vivacissimi, ed egli doveva farsi non piccola violenza per tenerli raccolti. Da prima, egli ripetè più volte con un amico, quando mi son fatta una legge di voler assolutamente domi-nare gli occhi miei, incontrai non poca fatica: e talvolta ebbi a patire grave mal di capo. La riservatezza de´ suoi sguardi fu tale che di tutti quelli che lo conobbero niuno si ricorda di averlo veduto a dare una sola occhiata, la quale eccedesse i limiti della più rigorosa modestia. Gli occhi, egli soleva dire, sono due finestre. Per le finestre passa ciò che si fa passare. E noi per queste finestre possiamo far passare un angelo, oppure il demonio colle sue corna e condurre l´uno e l´altro ad essere padroni del nostro cuore.
Un giorno avvenne, che un giovinetto estraneo inconsiderata¬mente portò seco un giornale sopra cui erano figure sconce ed irreli¬giose. Una turba di ragazzi lo circonda per vedere le meraviglie di quelle figure che avrebbero fatto ribrezzo ai turchi e ai pagani me¬desimi. Corre pure il Savio, pensandosi di lontano, che colà si facesse vedere qualche immagine divota.
Ma quando ne fu vicino fece atto di sorpresa, poi quasi ridendo prese il foglio, e lo. fece a minuti pezzi. Rimasero i suoi compagni pieni di stupore, sicchè l´uno guardava l´altro senza parlare.
Egli allora parlò così: poveri noi! il Signore ci ha dato gli occhi per contemplare la bellezza delle cose da lui create, e voi ve ne ser¬vite per mirare tali sconcezze inventate dalla malizia degli uomini a danno dell´anima nostra? Avete forse dimenticato quello che tante volte fu predicato? Il Salvatore ci dice, che dando un solo sguardo cattivo macchiamo di colpa l´anima nostra; e voi pascete i vostri occhi sopra oggetti di questa fatta?
Noi, rispose uno, andavamo osservando quelle figure per ridere. Sì, si, per ridere; intanto vi preparate per andare all´inferno ri¬dendo... ma riderete ancora se aveste la ,sventura di cadervi?
Ma noi, ripigliò un altro, non ci vediamo tanto male in quelle figure.
Peggio ancora; il non vedere tanto male in guardar simili scon¬cezze è segno che i vostri occhi sono già abituati a rimirarle; e queste abitudini non vi scusano dal male, ma vi rendono più col¬pevoli.
O Giobbe, o Giobbe! tu eri vecchio, tu eri un santo, tu eri op¬presso da una malattia per cui giacevi sdraiato sopra un letamaio; nulladimeno facesti un patto co´ tuoi occhi di non dar loro la minima libertà intorno alle cose invereconde!
A quelle parole tutti si tacquero e niuno più osò ´di fargli alcun rimprovero, neppure altra osservazione.

Alla modestia degli occhi era congiunta una gran riservatezza nel parlare,
O per torto o per ragione quando alcuno parlava, egli taceva e più volte troncava la propria parola per dar campo ad altri di parlare. I suoi maestri e gli altri suoi superiori vanno tutti d´accordo nell´asse¬rire, che non ebbero mai alcun motivo di soltanto avvisarlo d´aver detto anche una sola parola fuori di proposito nello studio, nella scuola, nella chiesa o mentre aveva luogo l´adempimento di qualche dovere di studio o pietà. Anzi in quelle stesse occasioni che riceveva qualche oltraggio, sapeva moderare la lingua e la bile.
Un giorno aveva avvisato un compagno di una cattiva abitudine. Costui invece di accogliere con gratitudine la fatta ammonizione si lasciò trasportare a brutali eccessi. Lo copri di villanie, di poi lo per¬cosse con pugni e calci. Il Savio avrebbe potuto far valere la sua ra¬gione coi fatti, poichè era maggiore di età e di forze. Egli per altro non fece altra vendetta se non quella dei cristiani. Divenne bensì tutto rosso nella faccia, ma frenando l´impeto della collera si limitò a queste parole: Io ti perdono; hai fatto male; non trattar con altri in simile guisa.
Che diremo poi della mortificazione degli altri sensi del corpo ? Mi restringo ad accennare soltanto alcuni fatti.
In tempo d´inverno egli pativa i geloni alle mani. Ma comunque ne sentisse dolore, non fu mai udito a fare parola o dar segno di la¬mento. Piuttosto pareva che ne avesse piacere. Più sono grossi i ge¬loni, egli diceva, e più faranno bene alla sanità, volendo indicare la sa¬nità dell´anima. Molti suoi compagni asseriscono, che nei crudi freddi invernali egli soleva andare a scuola a passo lento, e ciò pel desiderio di patire e fare penitenza in ogni cosa che gliene porgesse occasione. Più volte il vidi, depone un suo compagno, nel più rigido inverno squarciarsi la pelle ed anche la carne con aghi e punte di penna af¬finché tali lacerazioni convertendosi in piaghe lo rendessero più simile al suo Divin Maestro.
Nelle comunità di giovani se ne incontrano di quelli che non sono mai contenti di nulla. Ora si lamentano delle funzioni religiose, ora della disciplina, ora del riposo o degli apprestamenti di tavola; in tutto trovano di che disapprovare.
Costoro sono una vera croce pei superiori; perché il malcontento di uno solo si comunica agli altri compagni, talvolta con non piccolo danno della comunità. La condotta del Savio era totalmente opposta a costoro.
Non mai il suo labbro proferiva voce di lamento nè pel caldo del-l´estate, nè pel freddo dell´inverno. Facesse bello o cattivo tempo egli

41
sempre era ugualmente allegro. Checchè gli si fosse apprestato a mensa mostravasi in tutto soddisfatto. Anzi con un´arte ammirabile trovava ivi un mezzo onde mortificarsi. Quando una cosa era censurata da altri, perché troppo cotta o troppo cruda, meno o molto salata, egli all´opposto mostravasi contento, dicendo essere quello appunto il suo gusto.
Era sua pratica ordinaria trattenersi in refettorio dopo i suoi com¬pagni, raccogliere i minuzzoli di pane lasciati sopra la tavola o dispersi sul pavimento, e quelli mangiarseli come cosa saporita. Ad alcuni che ne facevano le maraviglie egli copriva il suo spirito di penitenza di¬cendo: le pagnotte non si mangiano intere, e se sono ridotte in bri¬ciole è già un lavoro fatto pei denti.
Ogni rimasuglio di minestra, di pietanza, di altra qualità di cibo era da lui colto e mangiato. Nè ciò faceva per ghiottoneria, perciocchè spesso egli donava la medesima sua porzione agli altri compagni. Interrogato perché si desse tanta sollecitudine per raccogliere quegli avanzi che avrebbero mosso taluno a schifo, egli rispondeva: Quanto abbiamo nel mondo, tutto è dono prezioso fattoci da Dio; ma di tutti i doni, dopo la sua santa grazia, il più grande è l´alimento con cui ci conserva la vita. Perciò la più piccola parte di questo dono merita la nostra gratitudine, ed è veramente degno di essere custodito colla più scrupólosa diligenza.
Il pulire le scarpe, spazzolare abiti ai compagni, prestare agli in-fermi i più bassi uffici, scopare e fare altri simili lavori era per lui un gradito passatempo. Ciascuno faccia quel che può, soleva dire: Io non sono capace di far cose grandi, ma quello che posso, voglio farlo a maggior gloria di Dio; e spero che Iddio nella sua infinita bontà vorrà gradire queste miserabili mie offerte.
Mangiar cose contrarie al suo gusto, evitare quelle che gli sareb¬bero piaciute: domare gli sguardi anche nelle cose indifferenti; trat¬tenersi ove sentisse ingrato odore: rinnegare la sua volontà; sopportare con perfetta rassegnazione ogni cosa che avesse prodotto afflizione al suo corpo od al suo spirito sono atti di virtù che da Domenico eser¬citavansi ogni giorno, e possiamo anche dire ogni momento di sua vita.
Taccio pertanto moltissimi altri fatti di questo genere che tutti concorrono a dimostrare quanto in Domenico fosse grande lo spirito
di penitenza, di carità e di mortificazione in tutti i sensi della per¬sona, e nel tempo stesso quanta fosse industriosa la sua virtù nel saper approfittare delle grandi e piccole occasioni, anzi delle stesse cose indifferenti per santificarsi ed accrescersi il merito davanti al Signore.

42
CAPO XVII
La compagnia dell´Immacolata Concezione.
Tutta la vita di Domenico si può dire essere un esercizio di divo¬zione verso Maria Santissima. Né lasciavasi sfuggire occasione alcuna a fine di tributarle qualche omaggio. L´anno 1854 il supremo Gerarca della Chiesa definiva dogma di fede l´immacolato Concepimento di Maria. Il Savio desiderava ardentemente di rendere fra noi vivo e durevole il pensiero di questo augusto titolo dalla Chiesa dato alla Regina del Cielo. Io desidererei, soleva dire, di fare qualche cosa in onore di Maria, ma di farlo presto, perché temo che mi manchi il tempo.
Guidato egli adunque dalla solita industriosa sua carità, scelse al
cuni de´ suoi fidi compagni e li invitò- ad unirsi insieme con lui a for-mare una compagnia detta dell´Immacolata Concezione.
Lo scopo era di procurarsi. la protezione,della gran Madre di Dio in vita e specialmente in punto di morte. Due mezzi proponeva il Savio a questo fine: esercitare e promuovere pratiche di pietà in onore di Maria Immacolata, e la frequente comunione. D´accordo co´ suoi amici compilò un regolamento e dopo molte sollecitudini nel giorno 8 del mese di giugno 1856, nove mesi prima della sua morte leggevalo con loro dinanzi all´altare di Maria SS. Io lo trascrivo di
buon grado nel pensiero che possa servire ad altri di norma a fare altrettanto. Eccone adunque il tenore.
Noi Savio Domenico, ecc. (segue il nome di altri compagni) per assicurarci in vita ed in morte il patrocinio della Beatissima Ver
gine Immacolata e per dedicarci interamente al suo santo Servizio, nel giorno 8 del mese di giugno, muniti tutti dei SS. Sacramenti della confessione e comunione, e risoluti di professar verso la Madre nostra una figliale e costante divozione, protestiamo davanti all´altare
di Lei e col consenso del nostro spiritual Direttore, di voler imitare per quanto lo permetteranno le nostre forze, LUIGI ComoLLo (i).
Onde ci obblighiamo:
io Di osservare rigorosamente le regole della casa.
2,0 Di edificare i compagni ammonendoli caritatevolmente ed ec¬citandoli al bene colle parole ma molto più col buon esempio.
(i) Lumi Comou.o nacque in Cintano l´anno 1818 e moriva l´anno 1839 in concetto di singolar virtù nel Seminario di Chieri in età di anni zz. La vita di questo modello della Gioventù fu la seconda volta stampata nell´anno I delle Letture Cattoliche (a).

43
30 Di occupare esattamente il tempo. A. fine poi di assicurarci della perseveranza nel tenor di vita, cui intendiamo obbligarci, sotto-mettiamo il seguente regolamento ´al nostro Direttore.
N. I. A regola primaria adotteremo una rigorosa ubbidienza ai nostri superiori, cui ci sottomettiamo con una illimitata confidenza.
N. a. L´adempimento dei propri doveri sarà nostra prima e spe¬ciale occupazione.
N. 3. ´La carità reciproca unirà i nostri animi e ci farà amare in¬distintamente i nostri fratelli, i quali con dolcezza ammoniremo, quando apparisce utile una correzione.
N. 4. Si sceglierà una mezz´ora nella settimana per convocarci, e dopo l´invocazione del S. Spirito, fatta breve lettura spirituale, si tratteranno i progressi della Compagnia nella divozione e nella virtù.
N. 5. Separatamente per altro ci ammoniremo di´ quei difetti, di cui dobbiamo emendarci.
N. 6. Procureremo di evitare fra noi qualunque minimo dispia¬cere, sopportando con pazienza i compagni e le altre persone moleste.
N. 7. Non è fissata alcuna preghiera, giacché il tempo che rimane dopo compiuto il dovere nostro, sarà consacrato a quello scopo che parrà più utile all´anima nostra.
N. 8. Ammettiamo tuttavia queste poche pratiche:
§ I° La frequenza ai SS. Sacramenti, quanto più sovente ci verrà permesso.
§ 2° Ci accosteremo alla Mensa Eucaristica tutte le domeniche, le feste di precetto, tutte le novene e solennità di Maria SS. e dei Ss. Protettori dell´Oratorio.
§ 30 Nella settimana procureremo di, accostarvici al giovedì, eccetto che ne siamo distolti da qualche grave occupazione.
N. g. Ogni giorno, specialmente nella recita del Rosario, racco¬manderemo a Maria la nostra società, pregandola di ottenerci la gra¬zia della perseveranza.
N. Io. Procureremo di consacrare ogni sabato in onor di .Maria qualche pratica speciale od atto di cristiana pietà in onor dell´imma¬colato suo Concepimento.
N. n. Useremo quindi un contegno viemaggiormente edificante nella preghiera, nelle divote letture, durante i divini uffizi, nello studio e nella scuola.
N. 12. Custodiremo colla massima gelosia la santa parola di Dio e ne rianderemo le verità ascoltate.
N. 13. Eviteremo qualunque perdita di tempo per assicurare l´a¬nimo nostro dalle tentazioni che sogliono fortemente assalirci nell´o¬zio; perciò:

44-
N. 14. Dopo aver soddisfatto agli obblighi che appartengono a ciascun di noi, consacreremo le ore rimaste libere in utili occupazioni, come in divote ed istruttive letture o nella preghiera.
N. 15. La ricreazione è voluta o almeno permessa dopo il cibo, dopo la scuola e dopo lo studio.
N. 16. Procureremo di manifestare ai nostri superiori qualunque cosa possa giovare alla nostra morale condotta.
N. 17. Procureremo eziandio di fare gran risparmio di quei per¬messi, che ci vengono largiti dalla bontà dei nostri superiori, imper¬ciocchè una delle nostre mire speciali è certamente un´esatta osser¬vanza delle regole della casa, troppo spesso offese dell´abuso di co¬desti permessi.
N. i8. Accetteremo dai nostri superiori quello che verrà destinato a nostro alimento senza mai muovere lamento intorno agli appresta-menti di tavola e distoglieremo anche gli altri dal farlo.
N. 19. Chi bramerà far parte a questa società, dovrà anzitutto pur¬garsi la coscienza col Sacramento della Confessione e cibarsi alla Mensa Eucaristica, dar quindi saggio della sua condotta con una settimana di prova, leggere attentamente queste regole e prometterne esatta osservanza a Dio ed a Maria SS. Immacolata.
N. 2,0. Nel giorno della sua ammissione i fratelli si accosteranno alla santa Comunione pregando Sua Divina Maestà di accordare al compagno le virtù della perseveranza, dell´ubbidienza, il vero amor di Dio.
N. 2,1. La società è posta sotto gli auspizi dell´Immacolata Conce¬zione, di cui avremo il titolo e porteremo una devota medaglia. Una sincera, figliale, illimitata fiducia in Maria, una tenerezza singolare verso di lei, una divozione costante ci renderanno superiori ad ogni ostacolo, tenaci delle risoluzioni, rigidi verso di noi, amorevoli col nostro prossimo, ed esatti in tutto,
Consigliamo inoltre i fratelli a scrivere i SS. nomi di Gesù e di Maria prima nel cuore e nella mente, poi sui libri e sopra gli oggetti che possono cadere sott´occhio.
Il nostro Direttore è pregato di esaminare queste regole e di mani¬festarci intorno ad esse un giudizio, assicurandolo che noi tutti intie¬ramente dipendiamo dalla sua volontà. Egli potrà far subire a questo regolamento quelle modificazioni che gli parranno convenienti.
E Maria? Benedica essa i nostri sforzi, giacchè l´ispirazione di dar vita a questa pia società fu- tutta sua. Ella arrida alle nostre speranze, esaudisca i nostri voti, e noi coperti del suo manto, forti del suo pa¬trocinio, sfideremo le procelle di questo mare infido, supereremo gli assalti del nemico infernale, In simil guisa da Lei confortati speriamo

"-. 45
di essere l´edificazione dei compagni, la consolazione dei superiori, diletti figliuoli di Lei, e se Dio ci concederà grazia e vita di poterlo servire nel sacerdotal Ministero, noi ci adopreremo con tutte le nostre forze, per farlo col massimo zelo, e diffidando delle nostre forze, illi¬mitatamente fidando nel divino soccorso, potremo sperare che dopo questa valle di pianto, consolati dalla presenza di Maria raggiungeremo sicuri in quell´ultima ora quel guiderdone eterno, che Iddio tien ser¬bato a chi lo serve in ispirito e verità.
Il Direttore dell´Oratorio lesse difatto il sopra esposto regolamento di vita, e dopo di averlo attentamente esaminato, lo approvò colle seguenti condizioni:
t. Le mentovate promesse non hanno forza di voto.
z. Nemmeno obbligano sotto pena di colpa alcuna.
3. Nelle conferenze si stabilisca qualche opera di carità esterna, come la nettezza della Chiesa, l´assistenza od il catechismo di qualche fanciullo più ignorante.
4. Si dividano i giorni della settimana in modo che in ciascun giorno vi siano alcune comunioni.
5. Non si aggiunga alcuna pratica religiosa senza speciale per¬messo dei superiori.
6. Si proponga per iscopo fondamentale di promuovere la divo¬zione verso Maria Santissima Immacolata, e verso il SS. Sacramento.
7. Prima di accettare qualcheduno, gli si faccia leggere la vita di Luigi Comollo (i).
(i) Uno fra quelli che più efficacemente aiutarono Savio Domanico nell´isti-tuire la Compagnia dell´Immacolata Concezione, e compilarne il regolamento, fu Bon¬gioanni Giuseppe. Questi rimasto orfano di padre e di madre, era stato raccoman¬dato da una zia al Direttore dell´Oratorio, che caritatevolmente lo accolse nel Novembre del 1854. Trovavasi allora all´età di /7 anni, e a malincuore sforzato dalle circostanze egli venne, ma ancora colla mente piena delle vanità del mondo e con vani pregiudizi in fatto di religione. Si vede però in lui chiaramente l´opera¬zione della divina grazia, giacchè in breve si afFer,ionò grandemente alla casa, alle regole e ai Superiori; rettificò insensibilmente le sue idee e diedesi con tutto ardore all´acquisto delle virtù e alle pratiche di pietà. Dotato com´era d´ingegno molto perspicace e di grande facilità ad imparare venne applicato allo studio. Con mirabile rapidità compiè gli studi classici, facendovi eccellente riuscita. For¬nito di fervida immaginazione spiegò una grande abilità nel poetare sia nell´italiana favella, sia in dialetto; e mentre nelle famigliari conversazioni serviva di diletto agli amici coll´improvvisare su argomenti scherzevoli, scriveva al tavolino bellis¬sime poesie, di cui molte furono pubblicate, come quella ad onore di Maria Au¬siliatrice che comincia: Salve, Salve, pietosa Maria ecc., che trovasi nel Giovane
promedu.to.
Avviatosi alla carriera ecclesiastica sempre si segnalò durante il chiericato per la sua pietà e fedele osservanza delle regole e zelo pel bene dei suoi com-pagni. Fatto sacerdote nel 1863, non è a dire con qual fervore siasi dato all´eser

46
CAPO XVIII
Sue amicizie particolari. — Sue relazioni col giovane Gavio Camillo,
Ognuno era amico con Domenico: chi non lo amava, lo rispettava per le sue virtù. Egli sapeva passarsela bene con tutti. Era così rasso-dato nella virtù che fu consigliato di trattenersi con alcuni giovani
tizio del sacro ministero. Sebbene poco fosse favorito nella voce, riusciva tuttavia di tanto gradimento nella predicazione per la bellezza della materia e pér l´unzione nell´esposizione, che era ascoltato molto volentieri e ne riportava copiosi frutti.
Dopo aver aiutato Savio Domenico, con cui era unito in santa amicizia, ad istituire la Compagnia dell´Immacolta, essendo allora solamente chierico, fondò col permesso del Superiore un´altra compagnia ad onore del SS. Sacramento che aveva per iscopo di promuovere il culto fra la gioventù e di addestrare gli allievi più noti in virtù al servizio delle sacre funzioni, formando così un piccolo clero ad accrescerne la maestà e la grazia. Tale compagnia continuò a coltivare con mag¬gior attività e con ottimi risultati quando tu sacerdote. E ben si può dire che se la Congregazione di S. Francesco di Sales potè già dare alla chiesa un bel nu¬mero di ministri degli altari, in gran parte si deve alle sante premure del Sac. Bongioanni intorno al Piccolo Clero.
- Nel i868 avvicinandosi l´epoca della consacrazione della Chiesa eretta in Val
docco ad onore di Maria Ausiliatrice, D. Bongioanni si adoperò con tutto l´im¬pegno per disporre le cose necessarie a tale funzione e specialmente nel preparare il Piccolo Clero a fare con edificazione la parte sua nel giorno della festa e nel¬l´ottava successiva, che dovevasi pur solennizzare in modo straordinario. Traspor¬tato da ardente amore a Maria SS. nulla risparmiò di sollecitudini, di fatiche e sudori, particolarmente nella vigilia che fu all´S di Giugno di tale anno. La Ver¬gine Ausiliatrice aggradendo la sua fervorosa divozione ed ossequio, gliene ottenne ben presto il premio. Prima però lo volle assoggettare a una prova che sopportata con rassegnazione riuscì certamente al buon sacerdote di gran merito. Egli che tanto erasi adoperato per la buona riuscita delle feste, al 9 Giugno, giorno della consacrazione, trovassi infermo, in modo da non potersi alzare dal letto. Pei giorni seguenti la malattia continuava. Esso desideroso di poter almeno una volta cele¬brare i divini misteri nella nuova chiesa, supplicò la SS. Vergine con calde istanze ad ottenergliene la grazia. Nella domenica fra l´ottava sentissi tale miglioramento di forze, che potè colla debita preparazione accostarsi all´altare e celebrare la santa Messa con immensa consolazione del suo cuore. Dopo la messa disse a qualcuno de´ suoi amici che era tanto contento che ben poteva intonare il Nane dirnittis. E cosi fu: giacchè sentendosi venir meno le forze ritornò a letto; nè più si rialzò. Al mercoledì successivo, essendo finita l´ottava, si fece un servizio funebre pei benefattori defunti; e nel pomeriggio, compiuta ogni funzione e so¬lennità, i giovani allievi de´ vari collegi che eran venuti a prendere parte alla festa, partirono per la loro destinazione.
Un´ora dopo il Sac. Bongioanni Giuseppe munito dei conforti della reli-gione, assistito dall´amato suo Direttore, circondato da una corona de´ suoi più cari amici e confratelli rese la sua bell´anima al Signore, andando come ferma¬mente si spera, a vedere come si festeggia in Cielo Colei, che formava l´oggetto della sua più tenera divozione (a)..

Q47
alquanto discoli per far prova di guadagnarli al Signore. Ed egli ap-profittava della ricreazione, dei trastulli, dei discorsi anche indiffe-renti per ritrarne vantaggio spirituale. Tuttavia quelli che erano in-scritti nella società dell´Immacolata Concezione erano i suoi amici particolari, coi quali, come si è detto, si radunava ora in conferenze spirituali, ora per compiere esercizi di cristiana pietà. Queste confe-renze tenevansi con licenza dei superiori; ma erano assistite e regolate dagli stessi giovani. In esse trattavano del modo di celebrare le no¬vene delle Maggiori solennità, si ripartivano le comunioni, che cia¬scuno avrebbe avuto cura di fare nei giorni determinati della setti¬mana, si assegnavano a vicenda quei giovani che avevano bisogno d´assistenza morale e ciascuno lo faceva suo cliente, protetto, e ado¬peravano tutti i mezzi che suggerisce la carità cristiana per avviarlo alla virtù.
Il Savio era dei più animati, e si può dire che in queste confe¬renze la faceva da dottore.
Si potrebbero accennare parecchi compagni del Savio che prende-vano parte a queste conferenze e che trattarono molto con lui, ma es¬sendo ancor essi tra´ vivi, pare prudenza non parlarne. Ne accennerò solamente due, che sono già stati chiamati alla patria celeste. Questi sono Gavio Camillo di Tortona, e Massaglia Giovanni di Marmorito. Il Gavio dimorò solamente due mesi tra noi, e questo tempo bastò per lasciare santa rimembranza di sé presso i compagni.
La sua luminosa pietà e il suo gran genio per la pittura e la scultura avevano risolto il municipio di quella città ad aiutarlo affinché potesse venire a Torino a proseguire gli studi per l´arte sua. Egli aveva fatto una grave malattia in patria; e come venne all´Oratorio, sia per essere convalescente, sia per trovarsi lontano dalla patria e dai parenti, sia anche per la compagnia dei giovinetti tutti sconosciuti, se ne stava osservando gli altri a trastullarsi, ma assorto in gravi pensieri. Lo vide il Savio, e tosto si avvicinò per confortarlo, e tenne con lui que-sto preciso discorso.
Il Savio cominciò: Ebbene, mio caro, non conosci ancora alcuno, non è vero?
Gavio. È vero, ma mi ricreo rimirando gli altri a trastullarsi.
— Come ti chiami?
— Gavio Camillo di Tortdna.
— Quanti anni hai?
— Ne ho quindici compiuti.
— Da che deriva quella malinconia che ti trasparisce in volto? Sei forse stato ammalato ?
— Si, sono stato veramente ammalato; ho fatto una malattia di

50
Alcuni mossi dal desiderio di progredire nello studio ed atten¬dere meglio agli esercizi di pietà preferirono rimanere all´Oratorio, e
tra questi furono Savio e Massaglia. Sapendo io quanto fossero an-siosamente aspettati dai parenti, e quanto essi medesimi avessero bisogno di ristorare la loro stanchezza, dissi ad ambidue: Perché non andate a passare qualche giorno in vacanza ? Essi invece di ri-spondere si misero a ridere. — Che cosa volete dirmi con questo ridere?
Domenico rispose: Noi sappiamo che i nostri parenti ci attendono con piacere; noi eziandio li amiamo e ci andremmo volentieri; ma sappiamo che l´uccello finchè trovasi in gabbia non gode libertà, è vero; è per altro sicuro dal falcone. Al contrario se è fuori di gabbia, vola dove vuole, ma da un momento all´altro può cadere negli artigli del falcone infernale (3I*).
Ciò non ostante ho giudicato bene di mandarli qualche tempo a casa pel bene della loro sanità, e si arresero alla mia volontà soltanto per ubbidienza, restandovi quei soli giorni che erano stati stretta¬mente loro comandati.
Se volessi scrivere i bei tratti di virtù del giovane Massaglia, do-vrei ripetere in gran parte le cose dette del Savio, di cui fu fedele seguace finchè visse. Egli godeva buona salute, e dava ottima spe-ranza di sé nella carriera degli studi. Compiuto il corso di rettorica, subì con esito felice l´esame per la vestizione clericale. Ma questo abito, da lui tanto amato e tanto rispettato potè soltanto portarlo alcuni mesi. Colpito da una costipazione, che aveva aspetto di sem-plice raffreddore, non voleva nemmeno interrompere i suoi studi. Fel desiderio di fargli fare una cura radicale, e per toglierlo dall´occa-sione di studiare, i genitori lo condussero a casa (32), Fu nel tempo di questa sua dimora in patria che scrisse al suo amico una lettera del seguente tenore:
Caro amico,
Mi pensava di dover passare solamente alcuni giorni a casa e poi ritornare all´Oratorio, perciò ho lasciato tutti i miei arnesi di scuola costi. Ora per altro mi avveggo che le cose vanno a lungo e l´esito di mia malattia rendesi ognor più incerto. Il medico mi dice che va meglio. A me sembra che vada peggio. Vedremo chi ha ragione. Caro Domenico, io provo grande afflizione lungi da te e dall´Oratorio, perché qui non ho comodità di attendere agli esercizi di divozione. Solo mi conforto rammentando quei giorni che noi fissavamo per prepararci ed accostarci insieme alla santa comunione.

5/
Spero nulladiméno che, sebbene separati di corpo, nol saremo di spirito.
Intanto io ti prego di andare nello studio e di fare una visita da questore al mio cancello. Ivi troverai alcune carte manoscritte, là vicino havvi il Kempis, ossia D3 imitationg Christi. Farai di tutto un pacco solo e me lo invierai. Bada bene che tal libro è latino; perchè sebbene mi piaccia la traduzione, tuttavia è sempre traduzione, ove non trovo il gusto che provo nell´originale latino, Mi sento stanco dal fare niente; tuttavia il medico mi proibisce di studiare. Fo molte passeggiate per la mia camera e spesso vado dicendo: Guarirò da questa malattia? Ritornerò a vedere i miei compagni? Sarà questa per me l´ultima malattia? Che che ne sia per essere di tutte queste cose, Dio solo il sa. Farmi di essere pronto a fare in tutti e tre i casi la santa ed amabile volontà di Dio.
Se hai qualche buon consiglio, procura di scrivermelo. Dimmi come va la tua sanità; ricordati di me nelle tue preghiere e special-mente quando fai la santa comunione. Coraggio, amami di tutto cuore nel Signore; che se non potremo trattenerci insieme lungo tempo nella vita presente, spero che potremo un giorno vivere felici in dolce compagnia nella beata eternità.
Saluta i nostri amici e specialmente i confratelli della compagnia dell´Immacolata Concezione. Il Signore sia con te e credimi sempre il tuo affezionatissimo
MASSAGLIA GIOVANNI.
Domenico eseguì la commissione dell´amico, e, nel mandargli quanto gli chiedeva, univa la seguente lettera:
Mio caro Massaglia,
La tua lettera mi ha fatto piacere, perché con essa fui assicurato che tu vivi ancora, perciocchè dopo la tua partenza noi non avevamo più avuto notizie di te e non sapeva se dovessi dirti il Gloria Patri o il De profundis. Riceverai gli oggetti che mi hai richiesto. Debbo sol¬tanto notarti che il h empis è un buon amico, ma egli è morto, né mai si muove di posto. Bisogna adunque che tu lo cerchi, lo scuota, lo legga adoperandoti per mettere in pratica guanto ivi andrai leggendo.
Tu sospiri la comodità che abbiamo qui per gli esercizi di pietà, ed hai ragione. Quando sono a Mondonio ho il medesimo fastidio. Io studiava di ´supplire con fare ogni giorno una visita al SS. Sacra-mento, procurando di condur ´ricco quanti compagni poteva. Oltre al Kempis leggeva il Tesoro nascosto nella santa messa del beato Leo

52
nardo. Se ti par bene fa´ anche tu altrettanto. Mi dici di non sapere se ritornerai all´Oratorio a farci visita; la mia carcassa apparisce anche assai logora, e tutto mi fa presagire che mi avvicino a gran passi al termine de´ miei studi e della mia vita. Ad ogni modo facciamo cosi: preghiamo l´uno per l´altro, perchè ambedue possiamo fare una buona morte. Colui che sarà il primo di noi ad andarsene al Paradiso pre¬pari un posto all´amico, e quando lo andrà a trovare, gli porga Ia mano per introdurlo nell´abitazione del cielo.
Dio ci conservi sempre in grazia sua, e ci assista a farci santi, ma presto santi, perchè temo che ci manchi il tempo. Tutti i nostri amici . sospirano il tuo ritorno all´Oratorio e ti salutano caramente nel Si-gnore.
Io poi con fraterno amore ed affetto mi dichiaro sempre
Affezionatissimo amico
SAVIO DOMENICO.
La malattia del giovane Massaglia dapprima sembrava leggiera; più volte parve perfettamente vinta, più volte ricadde, finchè quasi inaspettatamente venne all´estremo di vita.
Egli ebbe tempo, scriveva il teologo Valfrè, suo direttore´ spi¬rituale nelle vacanze (33*), di ricevere colla massima esemplarità tutti i conforti di nostra santa cattolica religione; moriva della morte del giusto che lascia il mondo per volare al cielo »
Alla perdita di quell´amico il Savio fu profondamente addolorato, e sebbene rassegnato ai divini voleri lo pianse per più giorni. Questa
(i) Il sacerdote teologo Valfrè Carlo nacque in Villafranca di Piemonte il 23 luglio 1813. Con una condotta veramente esemplare e con felice successo egli per¬correva la carriera degli studi: secondando la sua vocazione abbracciò lo stato ec¬clesiastico. Con zelo apostolico lavorò più anni nel sacro ministero, finchè in un concorso fu giudicato degno della parrocchia di Marmorito.
Era indefesso nello adempimento de´ suoi doveri. L´istruzione ai poveri ra-gazzi; l´assistenza agli infermi; sollevare i poverelli erano le doti caratteristiche del suo zelo. Per bontà, carità e disinteresse poteva proporsi a modello di qua-lunque sacerdote che abbia cura di anime.
Quando le cure parrocchiali il comportavano, egli andava altrove a dettare esercizi spirituali, tridui, novene, e simili. Il Signore benediceva le sue fatiche, le quali erano sempre coronate da frutto copioso.
Ma nel tempo che noi avevamo maggior bisogno di lui, Iddio lo trovò ma-turo pel cielo. Dopo breve malattia, colla morte del giusto, egli passava alla vita beata nella bella età d´anni 47, il Ia febbraio dell´anno 1861.
Questa perdita privò la Chiesa di un degno ministro, tolse a Nlarmnrito un pastore che a buon diritto chiamavasi il padre del popolo: ma Siamo tutti non poco consolati nella speranza di aver acquistato un benefattore presso Dio in
cielo (a). (34*).

53
è la prima volta che vidi quel volto angelico a rattristarsi e piangere di dolore. L´unico conforto fu di pregare e di far pregare per l´amico defunto. Fu udito talvolta ad esclamare: Caro Massaglia, tu sei morto e spero che sarai già in compagnia di Gavio in paradiso; ed io quando andrò a raggiungervi nell´immensa felicità del cielo ?
Per tutto il tempo che Domenico sopravvisse al suo amico l´ebbe ognor presente nelle pratiche di pietà e soleva dire, che non poteva andar ad ascoltare la santa messa, od assistere a qualche esercizio devoto senza raccomandare a Dio l´anima di colui che in vita erasi cotanto adoperato pel suo bene. Questa perdita fu assai dolorosa al tenero cuor di Domenico, e la medesima sanità di lui fu notevolmente alterata.
CAPO XX
Grazie speciali e fatti particolari.
Finora ho raccontate cose che presentano nulla di straordinario, se non vogliamo chiamare straordinaria una condotta costantemente buona, che si andò sempre perfezionando coll´innocenza della vita, con le opere di penitenza e coll´esercizio della pietà. Potrebbesi pur chiamare cosa straordinaria la vivezza di sua fede, la ferma sua spe¬ranza e Pinfiamínata sua carità e la perseveranza nel bene sino all´ul¬timo respiro. Qui per altro io voglio esporre grazie speciali ed alcuni fatti non comuni, che forse andranno soggetti a qualche critica. Per la qual cosa io stimo bene di notare aI lettore, che quanto ivi riferisco ha piena somiglianza coi fatti registrati nella Bibbia e nella vita dei santi; riferisco cose che ho vedute cogli occhi miei, assicuro che scrivo scrupolosamente la verità, rimettendomi poi interamente ai riflessi del discreto lettore: eccone il racconto.
Più volte andando in chiesa, specialmente nel giorno che Dome¬nico faceva la santa comunione oppure era esposto il Santissimo Sa¬cramento, egli restava come rapito dai sensi; talmente che lasciava passare del tempo anche troppo lungo, se non era chiamato per com¬piere i suoi ordinari doveri.
Accadde un giorno che man ò dalla colazione, dalla scuola, e dal medesimo pranzo, e ninno sapeva dove fosse; nello studio non c´era, a letto nemmeno. Riferita al Direttore tal cosa, gli nacque sospetto di quello che era realmente, che fosse in chiesa, siccome già altre volte era accaduto. Entra in chiesa, va in coro e lo vede là fermo come un sasso. Egli teneva un piede sull´altro, una mano appoggiata sul leggio dell´antifonario, l´altra sul petto colla faccia fissa e rivolta verso il ta

54
bernacolo. Non moveva palpebra. Lo chiama, nulla risponde. Lo scuote, e allora gli volge lo sguardo e dice: Oh è già finita la messa ? Vedi, soggiunse il Direttore, mostrandogli l´orologio, sono le due. Egli domandò umile perdono della trasgressione delle regole di casa, ed il Direttore lo mandò a pranzo, dicendogli: Se taluno ti dirà: onde vieni? risponderai, che vieni dall´eseguire un mio comando. Fu detto questo per evitare le domande inopportune, che forse i compagni avrebbero fatte.
Un altro giorno, terminato l´ordinario ringraziamento della messa, io era per uscire dalla sagrestia, quando sento in coro una voce come di una persona che disputava. Vado a vedere e trovo il Savio che par¬lava e poi si arrestava, come chi dà campo alla risposta. Fra le altre cose intesi chiaramente queste parole: Si, mio Dio, ve l´ho già detto e ve lo dico di nuovo: io vi amo e vi voglio amare fino alla morte. Se voi vedete che io sia per offendervi, mandatemi la morte: sì, prima la morte, ma non peccare.
Gli ho talvolta dimandato che cosa facesse in quei suoi ritardi, ed egli con tutta semplicità rispondeva: povero me, mi salta una di¬strazione, e in quel momento perdo il filo delle mie preghiere, e panni di vedere cose tanto belle, che le ore fuggono come un momento.
Un giorno entrò nella mia camera dicendo: Presto, venga con me, c´è una bell´opera da fare. Dove vuoi condurmi? gli chiesi. Faccia presto, soggiunse, faccia presto. Io esitava tuttora, ma instando egli, ed avendo già provato altre volte l´importanza di questi inviti, accon¬discesi. Lo seguo. Esce di casa, passa per una via, poi un´altra, ed un´altra ancora, ma non si arresta, nè fa parola; prende in fine un´altra via, io Io accompagno di porta in porta, finché si ferma. Sale una scala, monta al terzo piano e suona una forte scampanellata. È qua, che deve entrare, egli dice, e tosto se ne parte.
Mi si apre: oh presto, mi vien detto; presto, altrimenti non è più a tempo. Mio marito ebbe la disgrazia di farsi protestante; adesso è in punto di morte e dimanda per pietà di poter morire da buon cattolico.
Io mi recai tosto al letto di quell´infermo, che mostrava viva an¬sietà di dar sesto alle cose della sua coscienza. Aggiustate colla mas¬sima prestezza le cose di quell´anima, giunge il Curato della parrocchia di S. Agostino, che già prima si era fatto chiamare. Esso potè appena amministrargli il Sacramento dell´Olio Santo con una sola unzione, poiché l´ammalato divenne cadavere.
Un giorno ho voluto chiedere al Savio come egli avesse potuto sapere che colà eravi un ammalato, ed egli mi guardò con aria di do¬lore, di poi si mise a piangere. Io non gli ho più fatta ulteriore do¬manda.

55
L´innocenza della vita, l´amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti avevano portato la mente di Domenico a tale stato, che si po¬teva dire abitualmente assorto in Dio.
Talvolta sospendeva la ricreazione, voltava altrove lo sguardo e si metteva a passeggiare da solo. Interrogato perché lasciasse così i compagni, rispondeva: Mi assalgono le solite distrazioni, e mi pare che il paradiso mi si apra sopra il capo, ed io debbo allontanarmi dai compagni per non dir loro cose che forse essi metterebbero in ridi¬colo (35*). Un giorno in ricreazione parlavasi del gran premio da Dio preparato in cielo a coloro che conservavano la stola dell´inno¬cenza. Fra le altre cose dicevasi: Gli innocenti sono in cielo i più vi¬cini alla persona del nostro divin Salvatore, e gli canteranno speciali inni di gloria in eterno.
Questo bastò per sollevare il suo spirito al Signore e, restando im¬mobile, si abbandonò come morto nelle braccia di uno degli astanti.
Questi rapimenti di spirito gli succedevano nello studio, e nell´an¬data e ritorno dalla scuola e nella scuola medesima.
Parlava assai volentieri del Romano Pontefice, ed esprimeva il suo vivo desiderio di poterlo vedere prima di morire, asserendo ripe¬tutamente che aveva cosa di grande importanza da dirgli.
Ripetendo spesso le medesime cose, volli chiedergli qual fosse quella gran cosa che avrebbe voluto dire al Papa.
— Se potessi parlare al Papa, vorrei dirgli che in mezzo alle tri¬bolazioni che lo attendono non cessi di occuparsi con particolare sol¬lecitudine dell´Inghilterra; Iddio prepara un gran trionfo al cattoli¬cismo in quel regno.
— Sopra quali cose appoggi tu queste parole ?
— Lo dico, ma non vorrei che ne facesse parola con altri, per non espormi forse alle burle. Se però andrà a Roma, lo dica a Pio IX. Ecco adunque. Un bel mattino, mentre faceva il ringraziamento della comunione, fui sorpreso da una forte distrazione, e mi parve di ve¬dere una vastissima pianura piena di gente avvolta in densa nebbia. Camminavano, ma come uomini che, smarrita la via, non vedono più dove mettono il piede. Questo paese, mi disse uno che mi era vicino, è l´Inghilterra. Mentre voleva dimandare altre cose vedo il Sommo Pontefice Pio IX tale quale aveva veduto dipinto in alcuni quadri. Egli maestosamente vestito, portando una luminosissima fiaccola tra le mani, si avanzava verso quella turba immensa di gente. Di mand in mano che si avvicinava, al chiarore di quella fiaccola, scompariva la nebbia, e gli uomini restavano nella luce come di mezzogiorno. Questa fiaccola, mi.disse l´amico, è la religione cattolica che deve illu¬minare gl´Inglesi.

56
L´anno 1858 essendo andato a Roma, ho voluto raccontare tale cosa al Sommo Pontefice, che la udì con bontà e con piacere. Questo, disse il Papa, mi conferma nel mio proposito di lavorare energica¬mente a favore dell´Inghilterra, a cui ho già rivolto le mie più vive sollecitudini. Tal racconto, se non altro, mi è come consiglio di un´anima buona.
Ommetto molti altri fatti simiglianti, contento di scriverli, la-sciando che altri li pubblichi, quando si giudicherà che possano tor¬nare a maggior gloria di Dio.
CAPO XXI
Suoi pensieri sopra la morte, e sua preparazione a morir santamente.
Chi ha letto quanto abbiamo finora scritto intorno al giovine Savio Domenico, conoscerà di leggeri che la vita di lui fu una continua preparazione alla morte. Ma egli reputava la compagnia dell´Imma¬colata Concezione come un mezzo efficace per assicurarsi la prote¬zione di Maria SS. in punto di morte, che ognuno presagiva non es¬sergli lontana (36a). Io non so se egli abbia avuto da Dio rivelazione del giorno e delle circostanze di sua morte, o ne avesse egli solo un pio presentimento. Ma è certo che ne parlò molto tempo avanti che quella avvenisse, e ciò facea con tale chiarezza di racconto, che meglio non avrebbe fatto chi ne avesse parlato dopo la medesima di lui morte.
In vista del suo stato di salute gli si usarono tutti i riguardi per moderarlo nelle cose di studio e di pietà; tuttavia e per la naturale gracilità, e per alcuni incomodi personali ed anche per la continua tensione di spirito, gli si andavano ogni giorno diminuendo le forze. Egli stesso se ne accorgeva, e talvolta andava dicendo: Bisogna che io corra, altrimenti la notte mi sorprende per istrada. Volendo dire che gli restava poco tempo di vita e che doveva essere sollecito in fare opere buone prima che giungesse la morte.
Havvi l´uso in questa casa che i nostri giovani facciano l´esercizio di buona morte una volta al mese. Consiste questo esercizio nel pre¬pararci a fare una confessione e comunione come fosse l´ultima della vita. Il regnante Pio IX nella sua ´grande bontà arricchì questo eser¬cizio di varie indulgenze. Domenico lo faceva con un raccoglimento, ´che non si può dire maggiore. In fine della sacra funzione si suole recitare un Pater ed Ave per colui che tra gli astanti sarà il primo a morire. Un giorno scherzando egli disse: In luogo di dire per colui primo a morire, dica cosh,un Pater ed. Ave per Savio Do^ menico che di noi sarà il primo a morire. Questo disse più volte.

´s 57
Sul finire di aprile del 1856 egli si presentò al Direttore e gli domandò come avrebbe dovuto fare per celebrare santamente il mese di Maria.
— Lo celebrerai, rispose, coll´esatto adempimento de´ tuoi do¬veri, raccontando ogni di un esempio in onore di Maria, e procurando di regolarti in modo da poter fare in ciascun giorno Ia santa comu¬nione.
— Ciò procurerò di fare puntualmente; ma qual grazia dovrò
dimandare?
- Dimanderai alla santa Vergine che ti ottenga da Dio sanità e
grazia per farti santo.
— Che mi aiuti a farmi santo, che mi aiuti a fare una santa morte, e che negli ultimi momenti di vita mi assista e mi conduca
in cielo, •
(37*) Di fatto egli dimostrò tale fervore nel decorso di quel mese, che sembrava un angelo vestito di umane spoglie. Se scriveva parlava di Maria, se studiava, cantava, andava a scuola, tutto era per onore di Lei. In ricreazione procurava di aver ogni giorno pronto un esempio per raccontarlo ora a questi, ora a quegli altri compagni radunati. •
Un compagno un giorno gli disse: Se fai tutto in quest´anno, che cosa vorrai fare un altro anno?
— Lascia far da me, rispose: in quest´anno voglio fare quel che posso; l´anno venturo, se ci sarò ancora, ti dirò quello che sarò per fare.
Per usare tutti i mezzi atti a fargli riacquistare la sanità ho fatto fare un consulto di medici. Tutti ammiravano la giovialità, la pron¬tezza di spirito e l´assennatezza delle risposte di Domenico. Il dottor Francesco Vallauri, di felice memoria, che era uno dei benemeriti consulenti, pieno di ammirazione: Che perla preziosa, disse, è mai questo giovanetto!
— Qual è l´origine del malore che gli fa diminuir la sanità ogni giorno più? gli domandai.
— La sua gracile complessione, la cognizione precoce, la continua tensione di spirito, sono come lime che gli rodono insensibilmente le - forze vitali.
— Qual rimedio potrebbe tornargli maggiormente. utile?
— Il rimedio più utile sarebbe lasciarlo andare in paradiso, per cui mi pare assai preparato. L´unica cosa che potrebbe protrargli la vita si è l´allontanarlo intieramente qualche tempo dallo studio, e trattenerlo in occupazioni materiali adattate alle sue forze,

58
CAPO XXII
Sua sollecitudine per gli amirolati. — Lascia l´Oratorio. Sue parole in tale
occasione.
Lo sfinimento di forze in cui si trovava non era tale da tenerlo continuamente a letto; perciò talvolta andava a scuola, allo studio;
oppure si occupava in affari domestici. Fra le cose in cui si occu¬pava con gran piacere era il servire i compagni infermi qualora ve ne fossero stati nella casa.
— Io non ho alcun merito avanti a Dio, diceva, nell´assistere o vi¬sitare gl´infermi, perchè lo fo con troppo gusto; anzi mi è un caro divertimento.
Mentre poi loro faceva de´ servizi temporali, era accortissimo nel suggerire sempre qualche cosa di spirituale. Questa carcassa, diceva
ad un compagno incomodato, non vuol durare in eterno, non è vero?
Bisogna lasciare che si logori poco per volta, finché vada alla tomba; ma allora, caro mio, l´anima nostra sciolta dagli impacci del corpo vo
lerà gloriosa al cielo e godrà una sanità ed una felicità interminabile.
Avvenne che un compagno rifiutavasi di bere una medicina, per¬chè amara. Caro mio, dicevagli Domenico, noi dobbiamo prendere
qualsiasi rimedio, perchè così facendo obbediamo a Dio, che ha stabi
lito medici e medicine, perchè sono necessari a riacquistare la per-. duta sanità; che se proviamo qualche ripugnanza pel gusto, avremo
maggior merito per l´anima. Del resto credi che questa tua sia tanto
amara ed aspra quanto era amaro il fiele misto con aceto di cui fu abbeverato Gesù sopra la croce? Queste parole dette colla maraviglio
sa sua schiettezza facevano sì che niuno osava più opporre difficoltà.
Sebbene la sanità del Savio fosse divenuta assai cagionevole, tut¬tavia l´andare a casa era cosa per lui la più disgustosa, perciocchè gli
rincresceva interrompere gli studi e le solite sue pratiche di pietà.
Alcuni mesi prima io ve l´aveva già mandato, ed egli vi diniorò solo pochi giorni e tosto mel vidi ricomparire all´Oratorio. Io debbo dirlo,
il rincrescimento era reciproco; io l´avrei tenuto in questa casa a qua¬lunque costo, il mio affetto per lui era quello di un padre verso di un figliuolo il più degno di affezione. Pure il consiglio de´ medici era tale, ed io voleva eseguirlo; tanto più che da alcuni giorni crasi manifestata una ostinata tosse.
Se ne avverte dunque il padre, c si stabilisce la partenza pel primo di marzo 1857.
Si arrese Domenico a tale deliberazione, ma solo per farne un sacrificio a Dio. Perché, gli si domandò, vai a casa così di mal animo,

L", 59
mentre dovresti andarvi con gioia per godervi la compagnia de´ tuoi amati genitori? Perchè, rispose, desidero di terminare i miei giorni all´Oratorio.
— Andrai a casa, e, dopo che ti sarai alquanto ristabilito in salute,
ritornerai.
- Ohl questo poi no, no, io me ne vo e non tornerò più.
La sera precedente alla partenza non poteva levarmelo d´attorno: sempre aveva cose da dimandare. Fra le altre diceva: Qual è la cosa migliore che possa fare un ammalato per acquistar merito davanti a Dio ?
— Offrire spesso a Dio quanto egli soffre.
— Qual altra cosa potrebbe ancor fare ? — Offrire la sua vita al Signore.
— Posso esser certo che i miei peccati mi siano stati perdonati?
— Ti assicuro a nome di Dio che i tuoi peccati ti sono stati perdonati.
— Posso essere certo di essere salvo?
— Si., mediante la divina misericordia la quale non ti manca, tu sei certo di salvarti. —. Se il demonio venisse a tentarmi che cosa gli dovrei rispondere?
— Gli risponderai che hai venduta l´anima a Gesù Cristo, e che egli l´ha comperata col prezzo del suo sangue; se il demonio ti facesse ancora altra difficoltà, gli chiederai qual cosa abbia egli fatto per l´a¬nima tua. Al contrario. Gesù Cristo ha sparso tutto il suo Sangue per liberarla dall´inferno e condurla seco lui al paradiso.
— Dal paradiso potrò vedere i miei compagni dell´Oratorio, ed i miei genitori?
— Sì, dal paradiso vedrai tutte le vicende dell´Oratorio, vedrai i tuoi genitori, le cose che li riguardano, ed altre cose mille volte ancor più belle.
— Potrò venire a far loro qualche visita ?
Potrai venire, purchè tal cosa torni a maggior gloria di Dio. Queste e moltissime dimande andava facendo e sembrava una persona che avesse già un piede sulle porte del paradiso e che prima d´entrarvi volesse bene informarsi delle cose che entro vi erano.
CAPO XXIII
DA l´addio a´ suoi compagni.
Il mattino di sua partenza fece co´ suoi compagni l´esercizio della buona morte con tale trasporto di divozione nel confessarsi e nel comunicarsi, che io, che ne fui testimonio, non so come esprimerlo. Bisogna, egli diceva, che faccia bene questo esercizio, perchè_ spero

6o
che sarà per me veramente quello della mia buona morte. Ché se mi accadesse di morire per la strada, sarei già comunicato. Il rimanente della mattinata lo impiegò tutto per mettere in sesto le cose sue. Aggiustò il baule mettendo ogni oggetto come se non dovesse toc¬carlo mai più. Dopo andava visitando un per uno i suoi compagni, a chi dava un consiglio, avvisava questo ad emendarsi di un difetto, incoraggiava quell´altro a perseverare nel bene. Ad uno cui doveva rimettere due soldi, il richiamò e gli disse: Vien qua, aggiustiamo i nostri conti, altrimenti tal cosa mi cagionerà imbrogli nell´aggiusta¬mento de´ conti col Signore. Parlò ai confratelli della Società dell´Im¬macolata Concezione, e colle più animate espressioni li incoraggiava ad essere costanti nell´osservanza delle promesse fatte a Maria SS. ed a riporre in lei la più viva confidenza. Al momento di partire mi chiamò e dissemi queste precise parole: Ella adunque non vuole questa mia carcassa (carcame ovvero scheletro) ed io sono costretto a portarla a Mondonio. Il disturbo sarebbe di pochi giorni... poi sa¬rebbe tutto finito; tuttavia sia fatta la volontà di Dio. Se va a Roma si ricordi della commissione dell´Inghilterra presso il Papa; preghi affinchè io possa fare una buona morte e a rivederci in paradiso (38*). Eravamo giunti alla porta che mette fuori dell´Oratorio, ed egli mi teneva tuttora stretta la mano, quando sí volta ai compagni che lo attorniavano e dice: Addio, amati compagni, addio tutti, pregate per me e a rivederci colà dove saremo sempre col Signore. Era già sulla porta del cortile, quando lo vedo tornare indietro e dirmi:
— Mi faccia un regalo da conservare per sua memoria.
— Dimmi che regalo ti aggrada e te lo farò sull´istante. Vuoi tu un libro ?
— No; qualche cosa di meglio.
— Vuoi danaro pel viaggio ?
— Si, appunto: danaro pel viaggio dell´eternità. Ella ha detto che ha ottenuto dal Papa alcune indulgenze plenarie in articolo di morte, metta anche me nel numero di quelli che ne possono partecipare.
— Si, figlio mio, tu puoi ancora essere compreso in quel numero e vo subito a scrivere il tuo nome in quella carta.
Dopo di che egli lasciava l´Oratorio dove era stato circa tre anni con tanto piacere per sè, con tanta edificazione de´ suoi compagni e de´ medesimi suoi superiori, e lo lasciava per non ritornarvi mai più.
Noi eravamo tutti maravigliati di quei suoi insoliti saluti. Sape¬vamo che egli pativa molti incomodi di salute, ma poiché si teneva quasi sempre fuori di letto, non facevamo gran caso della sua malattia. Di più avendo un´aria costantemente allegra, niuno dal volto poteva scorgere, che egli patisse malori di corpo o di spirito. E sebbene quegli

61
insoliti saluti ci avessero posti in afflizione, avevamo però la speranza di rivederlo presto a ritornare fra noi. Ma non era cosi, egli era ma¬turo pel cielo; nel breve corso di vita erasi già guadagnata la mercede dei giusti, come se fosse vissuto a molto avanzata età, ed il Signore lo voleva sul fiore degli anni chiamare a sè per liberarlo da´ pericoli in cui spesso fanno naufragio anche le anime più buone.
CAPO XXIV
Andamento di sua malattia. — Ultima confessione, riceve il Viatico. — Fatti edificanti.
Partiva il nostro Domenico da Torino il ´primo marzo alle due pomeridiane in compagnia di suo padre, e il suo viaggio fu buono: anzi pareva che la vettura, la varietà dei paesi, la compagnia de´ pa¬renti gli avessero fatto del bene. Onde giunto a casa, per quattro giorni non si pose a letto. Ma veduto che gli si diminuivano le forze ´e l´ap¬petito, e che la tosse si mostrava ognor più forte, fu giudicato bene di mandarlo a farsi visitare dal medico. Questi trovò il male assai più grave che non appariva. Comandò che andasse a casa e si mettesse tosto a letto, e giudicando che ´fosse malattia d´infiammazione fece uso dei salassi.
È proprio dell´età giovanile il provare grande apprensione pei salassi. Verciò il chirurgo nell´atto di cominciare l´operazione esor¬tava Domenico a voltare altrove la faccia, aver pazienza e farsi co¬raggio. Egli si pose a ridere e disse: Che è mai una piccola puntura in confronto dei chiodi piantati nelle mani e nei piedi dell´innocentis¬simo nostro Salvatore? Quindi con tutta pacatezza d´animo, face¬ziando e senza dar segno del minimo turbamento mirava il sangue ad uscire dalle vene in tutto il tempo dell´operazione. Fatti alcuni salassi, la malattia sembrava volgere in meglio; cosi assicurava il me-dico, cosi credevano i parenti: ma Domenico giudicava altrimenti. Guidato dal pensiero che è meglio prevenire i Sacramenti, che per¬dere i Sacramenti, chiamò suo padre: Papà! gli disse, è bene che fac¬ciamo un consulto col medico celeste. Io desidero di confessarmi e di ricevere la santa comunione.
I genitori che eziandio giudicarono la malattia in istato di miglio¬ramento udirono con pena tale proposta, e solo per compiacerlo fu mandato a chiamare il Prevosto, che lo venisse a confessare. Venne questi prontamente per la confessione, poscia sempre per compia¬cerlo gli portò il Santo Viatico. Ognuno può immaginarsi con quale divozione e raccoglimento sfasi comunicato. Tutte le volte che

62
si accostava ai santi Sacramenti sembrava sempre un san Luigi. Ora che egli giudicava esser veramente quella l´ultima comunio¬ne della sua vita, chi potrebbe esprimere il fervore, gli slanci di te¬neri affetti che da quell´innocente cuore uscirono verso l´amato suo Gesù ?
Richiamò allora alla memoria le promesse fatte nella prima comu-nione. Disse più volte: sì, sì, o Gesù, o Maria, voi sarete ora e sempre gli amici dell´anima mia. Ripeto e lo dico mille volte: morire ma non peccati. Terminato il ringraziamento, tutto tranquillo disse: Ora sono contento; è vero che debbo fare il lungo viaggio dell´eternità, ma con Gesù in mia compagnia ho nulla a temere. Oh! dite pur sempre, ditelo a tutti: chi ha Gesù per suo amico e compagno non teme più alcun male, nemmeno la morte.
La sua pazienza fu esemplare in tutti gli incomodi sofferti nel corso della vita: ma in questa ultima malattia apparve un vero modello di santità.
Non voleva che alcuno lo aiutasse negli ordinari bisogni. Finchè potrò, diceva egli, voglio diminuire il disturbo a´ miei cari genitori; essi hanno già tollerati tanti incomodi e tante fatiche per me; potessi io almeno in qualche modo ricompensarli! Prendeva con indifferenza i rimedi anche i più disgustosi; si sottomise a dieci salassi senza dimo-strare il minimo risentimento.
Dopo quattro giorni di malattia, il medico si rallegrò coll´infermo, e disse ai parenti: Ringraziamo la divina Provvidenza, siamo a buon punto, il male è vinto, abbiamo soltanto bisogno di fare una giudiziosa convalescenza. Godevano di tali parole i buoni genitori. Domenico però si pose a ridere e soggiunse: il mondo è vinto, ho soltanto bi¬sogno di fare una giudiziosa comparsa davanti a Dio. Partito il medico, senza lusingarsi di quanto eragli stato detto, chiese che gli fosse am¬ministrato il Sacramento dell´Olio Santo. Anche quivi i parenti accon¬discesero per compiacerlo, perchè né essi, nè il prevosto scorgevano in lui alcun pericolo prossimo di morte, anzi la serenità del sembiante e la giovialità delle parole il facevano realmente giudicare in istato di miglioramento. Ma egli o fosse mosso da sentimenti di devozione oppure fosse così inspirato da voce divina che gli parlasse al cuore, fatto sta che contava i giorni e le ore di vita come si calcolano colle operazioni dell´aritmetica, ed ogni momento era da lui impiegato a prepararsi a comparire dinanzi a Dio, Prima di ricevere l´Olio Santo fece questa preghiera: Oh Signore, perdonate i miei peccati, io vi amo, vi voglio amare in eterno! Questo Sacramento, che nella vostra infinita misericordia permettete che io riceva, scancelli dall´anima mia tutti i peccati commessi coll´udito, colla vista, colla bocca, colle mani

1--1, 63
é co´ piedi; sia il mio corpo e l´anima mia santificata dai meriti della vostra passione: così sia.
Egli rispondeva a ciascuna occorrenza con tale chiarezza di voce e giustezza di concetti, che noi l´avremmo detto in perfetto stato di salute.
Eravamo al 9 marzo, quarto di sua malattia, ultimo di sua vita. Gli erano già stati praticati dieci salassi con altri rimedi e le sue forze erano intieramente prostrate, perciò gli fu data la benedizione papale. Disse egli stesso il Confiteor, rispondeva a quanto diceva il sacerdote. Quando intese a dirsi che con quell´atto religioso il Papa gli compar¬tiva la benedizione apostolica con indulgenza plenaria provò la più grande consolazione. Deo gratias, andava dicendo, et semper Deo gratias. Quindi si volse al crocifisso e recitò questi versi che gli erano molto famigliari nel corso della vita:
Signor, la libertà tutta vi dono, Ecco le mie potenze, il corpo mio, Tutto vi do, che tutto è vostro, o Dio, E nel vostro voler io m´abbandono.
CAPO XXV
Suoi ultimi momenti e sua preziosa morte.
È verità di fede che l´uomo raccoglie in punto di morte il frutto delle opere sue. Quae seminaverit homo, haec et metet. Se in vita sua ha seminato opere buone, egli raccoglierà in quegli ultimi momenti frutti di consolazione; se ha seminato opere cattive, allora raccoglierà desolazione sopra desolazione. Nulla di meno avviene talvolta che anime buone dopo una santa vita provino terrore e spavento all´avvi-cinarsi l´ora della morte. Questo accade secondo gli adorabili decreti di Dio, che vuole purgare quelle anime dalle piccole macchie che forse hanno contratto in vita e così assicurare e rendere loro più bella la corona di gloria in cielo. Del nostro Savio non fu così. Io credo che Iddio abbia voluto dargli quel centuplo che alle anime dei giusti egli fa precedere alla gloria del paradiso. Difatti l´innocenza conservata fino all´ultimo momento di vita, la sua viva fede, e le continue pre¬ghiere, le lunghe sue penitenze e la vita tutta seminata di tribolazioni gli meritarono certamente quel conforto in punto di morte,
Egli adunque vedeva appressarsi la morte colla tranquillità del-l´anima innocente; anzi sembrava che nemmeno il suo corpo provasse gli affanni e le oppressioni che sono inseparabili dagli sforzi che natu

64
ralmente l´anima deve fare nel rompere i legami del corpo. Insomma la morte del Savio si può chiamare riposo piuttosto che morte.
Era la sera del 9 marzo 1857, egli aveva ricevuto tutti i conforti di nostra santa cattolica religione. Chi l´udiva soltanto a parlare e ne mirava la serenità del volto, avrebbe in lui ravvisato chi giace a letto per riposo. L´aria allegra, gli sguardi tuttora vivaci, piena cognizione di se stesso, erano cose che facevano tutti maravigliare e niuno fuori di lui poteva persuadersi che egli si trovasse in punto di morte.
Un´ora e mezza prima che tramandasse l´ultimo respiro il prevosto l´andò a visitare, e al vederne la tranquillità lo stava con istup ore ascoltando a raccomandarsi l´anima. Egli faceva frequenti e prolun
gate giaculatorie, che tendevano tutte a manifestare il, di lui
desiderio di andare presto al cielo. Quale cosa suggerire per racco¬mandare l´anima ad agonizzanti di questa fatta? disse il prevosto. Dopo aver recitato con lui alcune preghiere, il parroco era per uscire, quando Savio lo chiamò dicendo: signor prevosto prima di partire mi
lasci qualche ricordo. — Per me, rispose, non saprei che ricordo la¬sciarti. — Qualche ricordo, che mi conforti. — Non saprei dirti altro
se non che ti ricordi della passione del Signore. — Deo gratias, ri¬spose, la passione di nostro Signor Gesù Cristo sia sempre nella mia mente, nella mia bocca, nel mio cuore. Gesù, Giuseppe e. Maria, assistetemi in questa ultima agonia; Gesù, Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l´anima mia. Dopo tali parole si addormentò e prese mezz´ora di riposo. Indi svegliatosi volse uno sguardo ai suoi parenti:
papà, disse, ci siamo.
— Eccomi, figliuol mio, che ti abbisogna ?
— Mio caro papà, è tempo; prendete il mio Giovane provveduto (I)
e leggetemi le preghiere della buona morte.
A queste parole la madre ruppe in pianto e si allontanò dalla ca
mera dell´infermo. Al padre scoppiava il cuore di dolore, e le lagrime gli soffocavano la voce; tuttavia si fece coraggio e si mise a leggere quella preghiera. Egli ripeteva attentamente e distintamente ogni pa¬rola; ma infine di ciascuna parte voleva dire da solo: Misericordioso Gesù, abbiate pietà di me. Giunto alle parole: Quando finalmente l´anima mia comparirà davanti a voi, e vedrà per la prima volta lo splendore immortale della vostra maestà, non la rigettate dal vostro cospetto, ma degnatevi di ricevermi nel seno amoroso della vostra misericordia, affinché io canti eternamente le vostre lodi; ebbene,
(i) Con questo nome indicava il libro totalmente diretto alla gioventù che ha per titolo: il Giovane Provvidirio per la pratica de´ suoi doveri, degli esercizi di cristiana pietà, per la recita dell´uffizio della li. Vergine, dei vespri di tutto l´anno e dell´uffizio dei morti, ecc. (a).

65
soggiunse, questo è appunto quello che io desidero. Oh caro papà, cantare eternamente le lodi del Signore! Poscia parve prendere di nuovo un po´ di sonno a guisa di chi riflette seriamente a cosa di grande importanza. Di li a poco si risvegliò e con voce chiara e ri¬dente: Addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro ed io non posso più ricordarmi... Oh! che bella cosa io vedo mai... Così dicendo e ridendo con aria di paradiso spirò colle mani giunte innanzi al petto in forma di croce senza fare il minimo movimento.
Va´ pure, anima fedele al. tuo Creatore, il cielo ti è aperto, gli an¬gioli ed i santi ti hanno preparata una gran festa; quel Gesù che tanto amasti t´invita e ti chiama dicendo: Vieni, servo buono e fedele, vieni, tu hai combattuto, hai riportato vittoria, ora vieni al possesso di un gaudio che non ti mancherà mai più: Intra in gaudium Domini tui.
CAPO XXVI
Annunzio di sua morte. Parole del prof. D. Picco ai suoi allievi.
Quando il padre di Domenico il vide proferire parole nel modo che abbiamo riferito, e poi piegare il capo come per riposare, pensa-vasi realmente che avesse di nuovo preso sonno. Lo lasciò alcuni istanti in quella posizione, ma tosto volle chiamarlo, e si accorse che egli era già fatto cadavere. Lascio ad ognuno immaginare la desola¬zione dei genitori per la perdita di un figliuolo che alla innocenza, alla pietà univa i modi più graziosi e più atti a farsi amare!
Noi pure quivi nella casa dell´Oratorio eravamo ansiosi di avere notizie di questo venerato amico e compagno; quando ricevo dal padre di lui una lettera che incominciava cosi: « Colle lagrime agli occhi le annuncio la più triste novella: il mio caro figliuolo Domenico, di lei discepolo, qual candido giglio, qual Luigi Gonzaga, rese l´anima al Signore ieri sera 9 del corrente mese di marzo dopo aver nel modo più consolante ricevuto i santi Sacramenti e la benedizione papale ».
Tale notizia pose in costernazione i suoi compagni. Chi piangeva in lui la perdita di un amico, di un consigliere fedele; chi sospirava di aver perduto un modello di vera pietà. Alcuni si radunarono a pregare pel riposo dell´anima di lui. Ma il maggior numero andava dicendo: Egli era santo, ora è già in paradiso. Altri cominciarono a raccoman¬darsi a lui come ad un protettore presso Dio. Tutti poi andarono a gara per avere qualche oggetto che avesse appartenuto a lui.
Recata quella notizia al prof. D. Picco, ne fu profondamente addolorato. Come furono radunati i suoi alunni, tutto commosso par¬tecipava loro il tristo annunzio con queste parole (39*):
5 CAVIGLIA, Doli Bosco, scritti, Voi. IV, Parte I.

66
Non è molto tempo, o giovani carissimi, parlandovi a caso della caducità della vita umana, vi faceva osservare come la morte non ri¬sparmi talvolta anche la vostra florida età, e per esempio vi adduceva, come, or sono due anni, in questi stessi giorni frequentava questa medesima scuola, sedeva qui presente ad ascoltarmi un giovane pieno di vita e di vigore, il quale, dopo l´assenza di pochi giorni, passava da questa vita, dai parenti e dagli amici compianto (i). Quando io vi rammentava quel caso doloroso era ben lungi dal pensare che il presente anno avesse ad essere funestato da un somigliante duolo, e che tale esempio si avesse a rinnovare sì presto in uno di quelli stessi che mi ascoltavano. Si, miei cari, io debbo amareggiarvi con una dolo¬rosa nuova. La falce della morte mieteva ieri l´altro la vita di uno tra i più virtuosi vostri compagni, del buon giovinetto Domenico Savio. Voi forse vi ricorderete, come negli ultimi giorni, in cui fre¬quentò la scuola, si mostrasse tormentato da una tosse maligna, onde nissuno di noi si stupì quando udimmo che era stato per quella obbli¬gato ad assentarsi dalla scuola. Per meglio curare il suo morbo, e già prevedendo, come replicatamente disse ad alcuni, il suo prossimo fine, egli secondò il consiglio dei medici e de´ suoi superiori, e andò in seno della famiglia. Quivi la violenza del male si sviluppò oltre modo e dopo soli quattro giorni di malattia rese l´innocente suo spirito al Creatore.
Io lessi ieri la lettera, con cui il desolato genitore dava la dolorosa nuova, e questa nella sua semplicità faceva tale pittura della santa morte di quell´angelo, che mi commosse fino alle lagrime. Egli non trova espressioni più acconcie a lodare l´amato suo figliuolo che col chiamarlo ún altro S. Luigi Gonzaga sì nella santità della vita come nella beata rassegnazione alla morte. Io vi assicuro che assai mi duole, che egli abbia frequentato si poco la mia scuola, e che in questo breve tempo la sua poca sanità non mi abbia permesso di conoscerlo e pra¬ticarlo più che si può fare in una scuola alquanto numerosa. Perciò io lascio a´ suoi superiori il dirvi quale fosse la santità dei suoi senti¬menti, quale il suo fervore nella pietà; lascio ai suoi compagni ed amici, che quotidianamente lo avevano seco, e con lui domesticamente con-versavano, il dirvi la modestia de´ suoi costumi e di ogni suo porta-mento, la severità de´ suoi discorsi; lascio a´ suoi parenti il dirvi quale fosse la sua obbedienza, il suo rispetto, la sua docilità. E che potrò io ricordarvi che a tutti voi non sia noto ? Io altro non dirò se non che sempre si rese commendevole pel suo contegno e per la sua tran¬quillità nella scuola, per la sua diligenza ed esattezza nell´adempimento
(x) Leone Cocchis studente dt Retorica, giovanetto di belle speranze, morto
il 25 marzo x855 in età di 15 anni (a).

67
di ogni suo dovere, e per la sua continua attenzione a´ miei insegna-menti, e che io sarei beato se ognuno di voi si proponesse di seguirne il santo esempio,
a Prima ancora che l´età e gli studi gli permettessero di frequentare la nostra scuola, essendo egli da tre anni annoverato tra quelli che hanno ricetto ed istruzione presso l´Oratorio di S. Francesco di Sales, io ne aveva più volte udito a fare parola dal Direttore di quell´Oratorio,
e lo aveva udito ad encomiare come uno tra i più studiosi e virtuosi giovani di quella casa. Tale era il suo ardore nello studio, tale il rapido progresso che aveva fatto nelle prime scuole di latinità, che sommo era il mio desiderio di porlo nel numero dei miei allievi, e grande era l´a¬spettazione che io aveva della felicità del suo ingegno. E prima di averlo in iscuola già l´aveva annunziato ad alcuno de´ miei allievi come emulo, con cui bello sarebbe stato il gareggiare non meno nello studio che nella virtù. E nelle frequenti mie visite all´Oratorio scorgendo in lui una fisionomia sì dolce, quale voi sapete essere stata la sua, scor¬gendo quel suo sguardo si innocente, mai nol vedeva che non mi sen¬tissi tratto ad amarlo e ad ammirarlo. Alle belle speranze, che io ne aveva concepite certamente egli non venne meno allorché nel presente anno scolastico prese a frequentare la mia scuola. A voi mi appello, giovani dilettissimi, che siete stati testimoni del suo raccoglimento
e della sua applicazione non solamente nel tempo che il dovere lo chiamava ad ascoltarmi, ma in quello eziandio, che per lo più non si fanno scrupolo di perdere molti giovanetti, che non sono privi di docilità e diligenza. A voi domando, che gli eravate compagni non solo nella scuola, ma pur anche negli usi domestici della vita, se mai lo avete veduto a far cosa che lo mostrasse dimentico di alcuno dei suoi doveri.
Parmi ancora di vederlo, quando con quella modestia, che era tutta sua propria, entrava nella scuola, prendeva il suo luogo e in tutto il tempo dell´ingresso, lungi dal vano cicaleccio consueto dei giovani della sua età, ripeteva la sua lezione, scriveva annotazioni, oppure si tratteneva in qualche utile lettura; e quindi cominciata la scuola con quale applicazione io vedeva quel suo angelico volto pendere dalle mie parole! Perciò non fa meraviglia se non ostante la sua tenera età
e la sua poca salute fosse grandissimo il profitto che col suo ingegno dagli studi ricavava. E prova ne sia che in un considerevole numero di giovani, la maggior parte di più che mediocre ingegno, benché già covasse in seno la malattia, che alfine lo trasse alla tomba, e fosse perciò obbligato a frequenti assenze, tuttavia egli tenne quasi sempre i primi posti della sua classe. Ma una cosa destava in modo affatto particolare la mia attenzione, e traeva a sé la mia ammirazione, ed era

68
il vedere come quella giovanile sua mente si mostrasse unita a Dio, ed affettuosa e fervida nelle preghiere. Ella è cosa consueta anche nei giovani-meno dissipati, che tratti dalla naturale vivacità e dalle distra¬zioni, a cui va soggetta questa fervida vostra età, pochissima rifles¬sione facciano al senso delle orazioni, cui sono invitati a recitare, e quasi con nessuno affetto del cuore le accompagnino. Onde avviene che in gran parte di essi niente altro vi ha che le labbra e la voce. Or se cosi abituale è la distrazione della gioventù anche nelle preghiere che indirizzano al Sigriore nel silenzio e nella tranquillità delle chiese, oppure nella solitudine delle proprie celle, nelle quotidiane orazioni, voi, o giovani, lo sapete quanto questo avvenga più facilmente in quelle brevissime preghiere che sogliono dirsi prima e dopo le lezioni della scuola. Ed è appunto in queste che mi fu dato di ammirare il fervore del nostro Domenico alla pietà, e l´unione dell´anima sua con Dio. Quante volte io l´osservai con quel suo sguardo rivolto al cielo, al cielo che sì presto doveva essere la sua dimora, raccogliere tutti suoi sentimenti, e con quell´atto offrirli al Signore e alla Beatissima sua madre, con quella pienezza di affetti che appunto richiedono le recitate preghiere! E questi sentimenti, o amatissimi giovani, erano poi quelli, che animavano i suoi pensieri nel compiere ogni suo dovere, erano quelli, che ogni suo atto, ogni sua parola santificavano, che tutta la sua vita interamente dirigevano alla gloria di Dio. O beati quei gio¬vani che a tali concetti s´ispirano! Faranno la loro felicità in questa vita e nell´altra, e beati renderanno i parenti che li educano, i maestri che li istruiscono, tutte le persone che si occupano dei loro bene.
» Dilettissimi giovani, la vita è un dono preziosissimo, che Iddio ci fece, per darci il mezzo di acquistarci dei meriti pel cielo, e così sarà se tutto quello che noi facciamo è tale che offerirsi possa a quel su¬premo Donatore, come appunto faceva il nostro Domenico. Ma che direm noi di quel giovane, che passa intera tutta la vita dimentico affatto del fine a cui Dio lo ha destinato, che mai non trova un mo¬mento, in cui pensi a dedicare i suoi affetti al Creatore, che nel suo cuore non dà mai luogo ad alcuna aspirazione che lo sollevi verso il suo Dio? Inoltre che diremo di quel giovane che fa quanto sta in lui per tenere da sè lontani simili sentimenti, o per combatterli e soffo-carli, se li sente vicini a penetrare nel suo cuore ? Deh! riflettete al¬quanto sulla santa vita e santo fine del carissimo vostro compagno, sulla invidiabile sorte, di cui possiamo avere fiducia che goda; e quindi ritornando col pensiero su voi stessi esaminate che cosa angora vi manchi per somigliargli e quali voi essere vorreste, se al pari di lui vi trovaste sul punto di dovervi presentare a quel tribunale ove Dio chiederà a tutti stretto conto di ogni più leggero mancamento. Quindi

69
se a questo confronto voi ritrovate che grande sia la differenza, pro¬ponetevelo per esempio, imitatene le cristiane virtù, disponete l´anima vostra ad essere come la sua, pura e monda agli occhi di Dio, acciocché all´improvvisa chiamata, la quale immancabile o tosto o tardi dovrà udirsi da tutti noi, le possiamo rispondere coll´ilarità sul volto, col sorriso sulle labbra, come fece l´angelico vostro condiscepolo. Ascol¬tate ancora un mio voto, con cui io conchiudo queste mie parole. Se io mi accorgerò che i miei allievi diano luogo nella loro condotta ad un notevole miglioramento, se li vedrò d´or innanzi più esatti nei loro doveri, e più compresi dell´importanza di una vera pietà, lo crederò effetto del santo esempio del nostro Domenico e lo riguarderò quale grazia di lassù impetrata dalle sue preghiere in premio di essergli stati per breve tempo Voi compagni ed io maestro ».
Così il prof. D. Picco esponeva ai suoi allievi la profonda e dolo¬rosa sensazione provata all´annunzio della morte del cari) suo alunno Savio Domenico.
CAPO XXVII
Emulazione per la virtù del Savio. — Molti si raccomandano a lui per ottenere celesti favori, e ne sono esauditi. — Un ricordo per tutti.
Chiunque ha letto le cose che abbiamo scritto, intorno al giova¬netto Savio Domenico non si maraviglierà che Dio siasi degnato di favorirlo di doni speciali, facendo risplendere le virtù di lui in molte guise. Mentre egli ancor viveva, molti si davano sollecitudine per seguirne i consigli, gli esempi ed imitarne le virtù; molti anche mossi dalla specchiata condotta, dalla santità della vita, dall´innocenza de´ suoi costumi, si raccomandavano alle sue preghiere. E si raccontano non poche grazie ottenute per le preghiere fatte a Dio dal giovane Savio mentre egli era ancora nella vita mortale. Ma dopo morto crebbe assai verso di lui la confidenza e le venerazione.
Appena giunse tra noi la notizia di sua morte, parecchi suoi com¬pagni lo andavano proclamando per santo. Si radunarono essi per recitare le Litanie per un defunto; ma invece di rispondere ora pro eo cioè Santa Maria, pregate pel riposo dell´anima di lui, non pochi rispondevano: ora pro nobis: Santa Maria pregate per noi. Perchè, dicevano, a quest´ora Savio gode già la gloria del Paradiso e non ha più bisogno delle nostre preghiere.
Altri poi soggiungevano: Se non è andato direttamente al Paradiso Domenico Savio, che tenne una vita così pura e così santa, chi potrà mai dirsi che ci possa andare ? Laonde fin d´allora diversi amici e

compagni, che ammirarono le sue virtù in vita, studiavano di farselo
modello nel bene operare e cominciavano a raccomandarsi a lui come a celeste protettore.
Quasi ogni giorno si raccontavano grazie ricevute ora pel corpo ora per l´anima. Io ho veduto un giovane che pativa maI di denti che lo faceva smaniare. Raccomandatosi al suo compagno Savio con breve preghiera, ebbe calma sull´istante,´ e finora non andò più soggetto a questo desolante malore. Molti si raccomandarono per essere liberati dalle febbri e ne furono esauditi. Io fui testimonio di uno che istan-taneamente ottenne Ia grazia di essere liberato dà gagliarda febbre (i). Ho sott´occhio molte relazioni di persone che espongono celesti fa¬vori da Dio ottenuti per intercessione del Savio. Ma sebbehe il ca¬rattere e l´autorità delle persone che depongono questi fatti siano per ogni lato degne di fede, tuttavia essendo esse ancor viventi, stimo meglio di ometterli per ora .e contentarmi di riferire qui soltanto una
grazia speciale ottenuta da uno studente di filosofia, compagno di scuola di Domenico.
L´anno 1858 questo giovane incontrò gravi incomodi di salute. La sua sanità fu così alterata che dovette interrompere il corso di filosofia, assoggettarsi a molte cure e in fin dell´anno non gli fu possi¬bile di subire l´esame. Stavagli molto a cuore di potersi almeno pre¬parare per l´esame di Tutti i Santi, perciocché in tale guiSa avrebbe
(i) Tale venerazione e confidenza nel giovine Savio crebbe grandemente da che fu ivi fatto un curioso racconto dal genitore di Domenico, che è pronto a confermare la sua asserzione in qualunque luogo e in presenza di qualunque per¬sona. Egli espose la cosa così:
t La perdita dí quel mio figliuolo, egli dice, mi fu causa di profondissima afflizione, che si andava fomentando dal desiderio di sapere che si fosse avvenuto di lui nell´altra vita. Dio mi ha voluto consolare. Circa un mese dopo la sua morte, una notte, dopo essere stato lungo tempo senza poter prender sonno, mi parve vedere spalancarsi il soffitto della camera in cui dormiva, ed ecco in mezzo ad una grande luce comparirmi Domenico con volto ridente, giulivo, ma con aspetto maestoso .e imponente. A quel sorprendente spettacolo io son rimasto .fuori di me. O Domenico l mi posi ad esclamare: Domenico mio! come va ? Dove sei ? sei già in paradiso ? Sì, padre, rispose, io sono veramente in paradiso! Deh io replicai, se Iddio ti ha fatto tanto favore di poter andare a godere la felicità del cielo, prega pei tuoi fratelli e sorelle affinché possano un giorno venire con te. — Si, si, padre, rispose, pregherò Dio per loro affinchè possano un giorno venire con me a godere l´immensa felicità del cielo (4.o*). Prega anche per me, re¬plicai, prega per tua madre, affinchè possiamo tutti salvarci e trovarci un giorno in¬sieme in Paradisi). SI, si pregherò. Ciò detto disparve, e la camera tornò nell´oscu¬rità come prima s.
Il padre assicura, che depone semplicemente la verità e dice che nè prima nè dopo, nè vegliando nè dormendo, ebbe ad essere consolato da somigliante apparizione (a).

impedito la perdita di un anno di studio. Ma, aumentandosi i suoi incomodi, le sue speranze andavano ogni più scemando. Si recò a passare il tempo autunnale ora coi parenti in patria, ora con amici in campagna, e già parevagli di avere alquanto migliorato nella sanità. Ma giunto a Torino e postosi per poco tempo a studiare, egli ricadde peggio di prima. « Io era vicino agli esami, egli depone, e la mia salute trovavasi in deplorevole stato. I malori di stomaco e di capo mi toglievano ogni speranza di poter subire il desiderato esame, che per me era cosa della massima importanza. Animato da quanto udiva raccontare del mio amato compagno Domenico, volli anch´io a lui raccomandarmi facendo a Dio una novena in onore di questo mio collega. Fra le preghiere che mi era prefisso di fare era questa: Caro compagno, tu che a somma mia consolazione e fortuna mi fosti con-discepolo più di un anno, tu che santamente meco gareggiavi per pri-meggiare nella nostra classe, tu sai quanto io abbia bisogno di subire il mio esame. Impetrami adunque, ti prego, dal Signore un po´ di salute, affinché io mi possa preparare.
» Non era ancor compiuto il quinto giorno della novena, quando la mia salute cominciò a fare così notabile e rapido miglioramento, che tosto potei mettermi a studiare, e con insolita facilità imparare le ma-terie prescritte e prendere benissimo l´esame. La grazia poi non fu di un momento, imperciocchè attualmente io mi trovo in uno stato di regolare salute, che da oltre un anno non ho più goduto. Riconosco questa grazia ottenuta da Dio per intercessione di questo mio com-pagno, mio famigliare in vita, mio aiuto e conforto ora che gode la gloria del cielo. Sono oltre due mesi che tale grazia fu ottenuta, e la mia sanità continua ad essere la medesima con grande mia consola-zione e vantaggio ».
Con questo fatto io pongo termine alla vita del giovane Savio, riservandomi a stampare più sotto alcuni altri fatti in forma d´appen-dice, nel modo che sembrano tornare a maggior gloria di Dio e van-taggio delle anime. Ora, o amico lettore, giacché fosti benevolo di leggere quanto fu scritto di questo virtuoso giovanetto, vorrei che venissi meco ad una conclusione che possa apportar vera utilità a me, a te e a tutti quelli cui accadrà di leggere questo libretto; vorrei cioè che ci adoperassimo con animo risoluto ad imitare il giovane Savio in quelle virtù che sono compatibili col nostro stato. Nella povera sua condizione egli visse una vita la più lieta, virtuosa ed innocente, che fu coronata da una santa morte. Imitiamolo nel modo di vivere ed avremo una doppia caparra di essergli simili nella preziosa morte.
Ma non manchiamo d´imitare il Savio nella frequenza del Sacra¬mento della confessione, che fu il suo sostegno nella pratica costante

72
della virtù, e fu guida sicura che lo condusse ad un termine di vita cotanto glorioso. Accostiamoci con frequenza e con le dovute disposi-zioni a questo bagno di salute nel corso della vita: ma tutte le volte che ci accosteremo al medesimo non manchiamo di volgere un pen¬siero sulle confessioni passate per assicurarci che siano state ben fatte, e se ne scorgiamo il bisogno rimediamo ai difetti che per avven¬tura fossero occorsi. A me sembra che questo sia il mezzo più sicuro per vivere giorni felici in mezzo alle afflizioni della vita, in fine della quale vedremo anche noi con calma avvicinarsi il momento della morte. E allora con ilarità sul volto, colla pace nel cuore andremo in¬contro al nostro Signore Gesù Cristo, che benigno ci accoglierà per giudicarci secondo la sua grande misericordia e condurci, siccome spero per me e per te, o lettore, dalle tribolazioni della vita alla beata eternità, per lodarlo e benedirlo per tutti i secoli. Cosi sia.

APPENDICE
SOPRA ALCUNE GRAZIE OTTENUTE DA DIO
AD INTERCESSIONE
di SAVIO DOMENICO
Fra le moltissime grazie che si reputano da Dio ottenute ad inter-cessione di Savio Domenico, io ne trascelgo alcune, che tra esse pre-sentano un carattere più ordinario. Di codeste grazie esiste nella curia arcivescovile di Torino una relazione autentica firmata da coloro stessi che hanno ricevuti tali celesti favori e che ne fecero pubblica deposi-zione. Affinchè poi ogni cosa si esponga con maggior esattezza e ve-racità, ho pensato di scrivere i fatti tali quali esistono nelle mentovate autentiche relazioni; sono come segue:
Guarigione da febbri maligne.
Se è proprio del Cristiano tenere nascosti i fatti che ridondano a gloria di se stesso, egli è però suo dovere il rendere manifeste quelle cose, che servono a glorificare i servi di Dio ed esaltar il santo di Iui Nome in faccia agli uomini.
Questo dovere è quello appunto che mi stringe a pubblicare un fatto riguardante al servo di Dio Domenico Savio, che io riconosco mio protettore dinanzi a Dio e benefattore di mia famiglia.
Io mi era già alcune volte raccomandata al giovane Luigi Comollo, siccome avevano, fatto altri; e Dio nella sua• grande bontà mi aveva sempre esaudita; più volte pure mi raccomandai a Savio Domenico, la cui intercessione mi fu ognor efficace presso al Signore. Motivi particolari mi persuadono a tacere vari fatti, ma per compiere la mia promessa, uno almeno io debbo rendere manifesto, sia per dare a Dio l´onore che gli è dovuto, sia per glorificare in faccia ai cristiani quel servo fedele che Dio stesso ha fatto depositario de´ suoi tesori.

74
Ecco il fatto: non racconto altro che la pura e coscienziosa verità.
Il giorno otto di ´settembre 1858 fui sorpresa da una costipazione, che dopo avermi legata qualche settimana al letto, degenerò in febbri.
Mi sono assoggettata ad ogni cura dei periti dell´arte, ma tutto inutilmente. Anzi la gracile mia complessione e la mia sanità già prima cagionevole, in breve mi condussero a grave debolezza e´ ad una pressochè totale prostrazione di forze.
Rimedi, visite, consulti, cangiamenti di aria e di paesi furono per me senza risultato. Ai malori del corpo si aggiunsero le afflizioni dello spirito che mi si andavano aumentando, perché non poteva attendere ai miei doveri di madre di famiglia. Povera me! Prostrata in un letto, perduta ogni speranza nei medici e nelle medicine, nulla più mi ri¬maneva che l´aiuto del cielo, e questo non mi mancò. Erasi da pochi giorni stampato il libretto che conteneva la vita del Savio Domenico; e mossa dalle belle virtù che in vita egli seppe praticare, -e mossa assai più dalle grazie che altri a sua intercessione avevano ottenuto, deli¬berai di raccomandarmi a lui per essere sollevata dalle mie angustie.
La notte adunque del 2,0 febbraio 1859, confidando nella potenza di Dio, che in copia concedei suoi favori per intercessione di coloro che gli furono fedeli in vita; spinta dal bisogno di qualche conforto nelle mie afflizioni ed un sollievo a´ miei mali, proferii queste parole:
Oh tu, Savio Domenico, che nei pochi anni di vita, sapesti giun¬gere a così alto grado di virtù, conferma la potenza e la bontà di Dio, fammi conoscere che tu sei ne´ cieli e che da quel luogo di beatitudine proteggi i tuoi divoti. Ottienmi dal Signore che io sia sollevata da´ miei mali, e possa riacquistare la mia primiera sanità. Io ti prometto che racconterò ovunque io possa, il favore che tu sarai per ottenermi dal Signore ».
Finiva appena le ultime parole, quando sentomi un brivido in tutta la persona. Il mio spirito rimane sull´istante sollevato: si calmano i miei mali, scomparisce la febbre, ed un dolce sopore mi invade per modo che riposai tranquillamente tutta la notte. Al mattino io era perfettamente guarita. Il dott. Frola, da cui era visitata, rimase non poco stupito di tale miglioramento. Non so, egli disse, quale rimedio le abbia potuto fare tanto bene. Certamente la mano di Dio ci ha preso parte.
Io mi levai dal letto, e mi trovai tosto in perfetta salute dopo una malattia, a cui non sarebbero bastati più mesi di convalescenza.
Scorsero già otto mesi da che sono guarita da´ miei malori, e finora, grazie a Dio, e all´intercessione del santo giovanetto Savio Domenico, non sono più andata soggetta ad incomodo di sorta. Quanto io qui racconto spontaneamente, desidero che sia pubblicamente stampato

75
ovunque si giudichi tornare a maggior gloria di Dio, a vantaggio delle anime: e son disposta di confermare le stesse cose in presenza di qua¬lunque persona. D´allora in poi feci altre volte ricorso a questo celeste benefattore, e ne fui sempre esaudita. Valgano questi fatti ad eccitare fiducia in altri fedeli cristiani onde facciano ricorso a questa fonte di benedizioni e trovare nei bisogni spirituali e temporali un efficace conforto in colui che santamente visse sopra la terra, e che ora glo¬rioso ci protegge dal cielo.
Torino, 15 ottobre 1859. Contessa BUSCHETTI
nata di Mezzenile.
Guarigione da grave mal d´occhi.
Era l´anno 1858 circa il finire di maggio, quando fui preso da forte mal d´occhi. Questo ora crescendo, ed ora diminuendo, mi tra¬vagliò sino a novembre del 1859. Cominciando poi da marzo di quest´anno crebbe a tale, che fui costretto da principio a lasciar quasi del tutto lo studio, in fine ad abbandonarlo affatto. Giunto però ai primi giorni di luglio il mio malore si aggravò a segno, che il collegio medesimo, dove scavasi molto bene, mi parve insopportabile.
Di modo che sia pel male che pativa, sia per un´afflizione che mi struggeva il cuore nel vedere i miei condiscepoli a faticarsi per un buon esito nei vicini esami, dovetti andarmene a casa. Credevami di trovare nel paese miglioramento, ed infatti migliorai alquanto. Ma questo fu di breve durata. Erano appena scorsi quattro o cinque giorni dacchè aveva cominciato a star meglio, che il male peggiorò, e non solo fui ridotto allo stato di prima, ma ad altro di gran lunga più de¬plorabile. Ricorsi allora ad alcuni dottori. Uno di essi mi ordinò di prendere 400 pillole di non so qual materia. Le ho prese secondo l´av¬viso datomi, ed ho fatto puntualmente tutto quello che mi fu detto di fare, ma sempre invano. Mi sono fatti fare quattro salassi ed il male era sempre allo stesso grado. Per cinque volte mi furono messi dei vescicanti dietro le orecchie, ma non si vedeva alcun giovamento. In questo tempo mi era anche fatto visitare da altri dottori i più accreditati in fatto di mal d´occhi, quali sono il cavaliere Sperini, il dottore Fissore ed il dottore Paganini, ma dopo avermi assogget¬tato a varie prove dell´arte, mi risposero chiaramente, che il modo di curare il morbo di cui io ero affetto, era almen per essi ancora sconosciuto, Allora io stanco di me stesso, non sapeva a chi rivolgermi. Passava i miei giorni sempre in una camera oscura. Ogni divertimento mi era venuto in abborrimento, ed intanto il dintorno degli occhi si

76
era fatto talmente rosso, che questi sembravano due gemme accer-chiate di scarlatto. Verso il fine però di ottobre mi pareva di sentir
qualche miglioramento. Perciò colla speranza di acquistare ben tosto
una perfetta guarigione mi recai al collegio. Ma non erano passate due settimane, che con tanta forza gli occhi mi si ammalarono, che Ia
sciaronmi incerto se ancor avrei potuto seguire i miei studi. Allora
mi son fatto mettere vescicanti alle braccia; li ho fatti rinnovare; così pure alle orecchie più volte, ma nullo era il profitto. Mi avvicinava
spesso al nostro Direttore (41*), affinché mi consolasse con quei detti che egli sapeva essermi di vantaggio temporale è spirituale, coll´inco¬raggiarmi ad aver pazienza, col darmi qualche speranza di presto guarire. Una sera fra le altre, mentre tutti i miei compagni radunati ciascun nella propria classe cantavano, io pensieroso e tristo, col volto tra le mani stava seduto ed appoggiato alla tavola presso cui era il Direttore. Quando egli alzandosi mi si accostò pian piano e, tocca¬temi le spalle, quasi ridendo mi fe´ questo motto: « Che non possiamo una volta liberarti da questo male ? La voglio finita. Voglio che pren¬diamo Savio Domenico pel ciuffo e non lo lasciamo più andare finché ci abbia ottenuto da Dio la tua guarigione ». A queste parole io lo guardai fisso in volto, e non aprii bocca. Allora egli seguitò a dire: « Sì, tu prega tutti i giorni di questa novena (era la sera del giorno prima che si incominciasse la novena dell´Immacolata Concezione) Savio Domenico affinché interceda per te e t´impetri questa grazia. Procura di trovarti in tale stato da poter fare la santa comunione ogni mattina di questa novena. La sera poi prima di coricarti digli così: Savio Domenica prega per me, ed aggiungi un´Ave Maria ». Io pro¬misi di fare puntualmente quello che m´aveva detto: Ed egli: « Bene, disse, tu fa´ quel che t´ho detto ed io in tutti i giorni di questa no¬vena mi ricorderò di te nella s. Messa. E chi sa, proseguì, chi sa che questa volta Savio Domenico non ci scappi prima che tu sia guarito ».
Il giorno stesso che ho cominciato a far la mia novena sentiva già qualche alleviamento nei mio male. Allora con maggior fervore con¬tinuai le mie pratiche di pietà. E qual ne fu il premio? Io ben lo vedo. Gli occhi miei furono in pochi giorni perfettamente guariti. Io durante la novena avevo promesso a me stesso, che se dopo un dato tempo non fossi ricaduto, avrei fatto il possibile per far palese in onor di Savio Domenico questa grazia da lui ricevuta. Ora man¬tengo la mia promessa, poiché il tempo fissato (i febbraio 1860) è corso, ed io sto benissimo. Spero che Savio Domenico vorrà conti¬nuare il suo favore ed io farò quanto posso per essergli riconoscente studiandomi d´imitarlo in quelle virtù che egli fece cotanto risplen¬

77
dere nella vita mortale. Siane intanto lode a Dio ed a Savio Dome¬nico, per la cui speciale protezione ho ottenuta questa grazia.
Torino, i febbraio 186o.
Grazie a Dio continuo tuttora nel buon essere di perfetta salute degli occhi miei e confermo quanto sopra
Torino, 20 marzo /861.
DONATO EDOARDO di Saluggia.
Guarigione istantanea da mal di denti.
Avendo letto la vita del santo giovanetto Savio Domenica, io me ne era scolpita una profonda venerazione.
Ma un fatto degno di osservazione che mi obbliga infinitamente verso questo Angioletto di paradiso è quello che sono per esporle, pregandola di dargli quella pubblicità che V. S. stimerà conveniente. Fin dal mattino del giovedì 7 aprile del corrente anno (1859) io mi sentiva affetto da un legger mal di capo. Non vi badai credendolo passeggiero, ma sentii che verso il mezzodì, e più verso sera andava aggravandosi, e non mi lasciò lavorare punto quel giorno, nè dormir la notte seguente. Alzatomi venerdì col dolore sempre crescente, mi si aggiunse un mal di denti così acuto, che malgrado mi sia sforzato di andare a scuola, non potei attendere nè allo studio, nè alle spiega¬zioni, nè ad altra cosa, tanto mi cruciava lo spasimo del dente. E. come aveva cominciato, così pure continuava a dolere non solo, ma ad. ac¬crescersi, finché la sera, reso io troppo esacerbato dell´acutezza della doglia, mi diedi ad un piangere dirotto. Era l´ora della scuola serale, io mi andava vagando per la casa dal dolore malmenato, quand´ecco mi sorprese in quello stato il Prefetto (4z*) mentre piangeva sul bal¬cone, che guarda il cortile rustico. Raccomandati a Savio Domenica, mi disse egli, poiché intese la cagione per cui mi doleva. Raccoman¬dati a Savio Domenico, egli può guarirti, se vuole. Ringraziai di cuore il prefetto di un tanto consiglio, e rimproverai me stesso di non averci pensato prima. Corsi tosto all´altare di Maria, m´inginocchiai in quel¬l´angolo della predella che era stata tante volte consacrata dalla pre
senza del Savio, dove egli si ritirava nel silenzio del santuario a spar¬gere le lacrime della sua filiale tenerezza verso la più cara delle madri,
e dove egli veniva ad attingere in tanta copia l´amore, lo zelo e la pietà che ora gli fanno bella corona in cielo. Colà prostrato feci il segno della santa croce, e cominciai a pregare, risoluto di ottenere

78
la guarigione ad ogni costo, purché fosse secondo la volontà di Dio. Il male aveva sempre più che mai infierito fino allora. Quando alle parole: Sed libera nos a malo sentii istantaneamente in un baleno cessarmi la doglia. Il sangue ripigliò il suo corso regolare, la guancia tornò al suo stato normale, ed io mi trovava bello e sanato e tranquillo, senzachè più traccia alcuna rimanesse a ricordarmi lo spasimo sof¬ferto!
Qual fu, qual è, quale dovrà essere la mia riconoscenza verso questo caro angioletto, che così prontamente mi ha esaudito ? e quanto più propenso non debbo stimarlo pel bene dell´anima mia colui che con tanta celerità guariva il mio corpo ? Voglia la S. V. prendere in considerazione quanto mi è accaduto ed usarne in quel modo che giu-dicherà più atto a promuovere la gloria di Dio e la confidenza verso del santo Savio Domenico.
Obbedientissimo figlio
GALLEANO MATTEO di Caramagna.
Deposizione d´una madre che aveva il suo figliuolo ammalato a Torino nell´ospedale de´ santi Maurizio e Lazzaro.
Contava già circa un mese dacché io aveva nell´ospedale de´ santi . Maurizio e Lazzaro il mio unico figliuolo infermo. Il suo male era prodotto dal sangue, che, essendogli furiosamente corso al cervello, lo faceva delirare. Fra le altre circostanze della sua malattia merita specialmente di essere notata questa, che egli si era messo in capo di non volere più proferire parola. Niuno può immaginarsi il dolore di una madre che mira l´unico suo figliuolo travagliato da malattia che non ammette più speranza di guarigione. Nella mia cadente età non avrei più avuto soccorso di sorta, prevedeva per me una vita infelice.
Un giorno che acerbo dolore mi opprimeva il cuore, mi recai al¬l´ospedale con alcuni miei parenti. Poiché fummo al letto dell´infermo, all´udire il gran numero di salassi a lui già fatti, al vederlo pallido e sfinito come un cadavere, diedi in dirotto pianto: nè cosa del mondo mi poteva consolare. Ma viva Dio, che si degnò di recarmi inaspet¬tato soccorso e cangiare i miei affanni nella più grande consolazione! In quel momento io vidi un giovane, avente un piccolo libro tra le mani; si appressa ad un letto vicino a quello del figliuol mio, ed aper¬tolo, mostra all´infermo ivi giacente l´immagine di un giovanetto, nell´età di quindici anni circa, di cui quel libro narrava le virtuose azioni. Egli consigliava´ ed esortava l´infermo a voler ben leggere, ed imitare le virtù di quel giovanetto che visse e mori da santo. Alla vista

79
di quel libro e di quell´effigie, credetti tosto che il giovane in essa rappresentato fosse qualche santo; ed avvicinandomi cogli occhi la¬crimosi: o caro giovane, dissi a quello che teneva il libro fra le mani, concedetemi per amore di Dio e della B. Vergine uno di questi libretti pel mio figliuolo. Egli rispose non avere difficoltà alcuna a donarmi uno di quei libri, ma essere cosa inutile il darlo a leggere ad un in-fermo delirante, esser meglio che si raccomandasse a quel giovanetto di santa vita, chiamato Savio Domenico, implorando da lui la guari¬gione. Approvai incontanente la proposta, e fattami all´orecchio del quasi agonizzante mio figliuolo, con voce tremante: caro figlio, gli dissi, ascolta, raccomandati al giovane Savio Domenico, affinehè ti ottenga da Dio la guarigione. A queste parole l´infermo non proferisce sillaba; volge occhio severo alla madre, e sta immobile alcuni momenti, quindi con grande stupore degli astanti, e .con grande mia consola¬zione, prorompe in questi detti: mi raccomando (4.3*). Non ho parole ad esprimere la gioia, il contento che provò il mio cuore all´udire la voce di un figliuolo, di cui aveva pressoché perduto ogni speranza di guarigione, all´udir quella voce che sià da diciotto giorni più non suonava all´orecchio. Allora feci ogni sforzo per fargli conoscere la santità e la virtù del Savio cui ci eravamo ambidue caldamente rac¬comandati.
Cosa meravigliosa! poco dopo sentissi quasi perfettamente risa-nato da una malattia per cui i medici l´avevano già condannato alla tomba o almeno al manicomio.
Ora sia ringraziato il cielo: colla più grande consolazione veggo in perfetta e florida salute quel mio figliuolo che mi trasse dal cuore tanti sospiri, e mi fece spargere tante lacrime.
Torino, io aprile 1860. PAIRA MARIA.
Altra guarigione da mal di dente.
Io sottoscritto udii una sera a leggere una lettera, in cui raccon¬tavasi come un mio compagno poco prima tormentato da gravissimo mal di denti, si era raccomandato a Savio Domenico, ed istantanea¬mente ne era rimasto affatto libero (444). Io trovavaeni pure tormen¬tato da parecchie settimane dallo stesso male, di modo che da molto tempo era costretto a tenere la faccia avviluppata, senza che però ne potessi ricavare alcun miglioramento. Animato dal felice successo del compagno, chiesi al Direttore: Dovrò pur io fare la prova di racco¬mandarmi a Savio ? Sì, fanne la prova, mi rispose quegli, digli di questa sera medesima un Pater ed un´ Ave e poi confida in lui. Reca

So 4-,
torni in camera, recitai l´orazione indicatami, quindi pieno di fiducia di rimaner guarito mi posi a letto. Mi addormentai ben tosto, ed in¬vece che le notti antecedenti doveva passarle in gran parte vegliando a motivo del dolore dei denti, questa notte la passai tutta intera dor-mendo saporitissimamente senza essere minimamente disturbato. Quando al mattino fui svegliato, subito secondo il solito presi il pan-nolino per avvilupparmi nuovamente il volto, ma che ? pensando come mai avessi potuto dormir si bene mi accorsi che io era perfet¬tamente guarito. Lasciato allora il pannolino, tutto allegro mi levai facendo noto ai compagni la grazia ricevuta, cagione della straordi¬naria allegrezza. D´allora in poi non ebbi più a provare mal di denti. Perciò riconoscente pel benefizio ricevuto da Savio Domenico, mentre di cuore lo ringrazio, ne fo la presente testimonianza.
Revello, zo aprile 1859. DEMATTEIS CARLO.
Altra guarigione da grave mal d´occhi.
Un altro giovane fa la seguente dichiarazione: Da più settimane travagliato da mal d´occhi, io mi trovava nella necessità di dover ab¬bandonare la scuola. Udite le pronte grazie ottenute da miei compagni, fui ripieno di gran fiducia nella protezione di Savio Domenica. Un giorno (era mercoledì santo 1859) dissi: debbo provare anch´io di raccomandarmi a Savio? ha guarito tanti altri che non l´hanno neppur conosciuto; ed io che gli era compagno non vorrà ottenermi la grazia di poter guarire dal mal d´occhi ? Io doveva lavorare pel santo sepolcro, che suole farsi il detto giorno. Il Direttore mi rispose: Bene, prova anche tu, recitagli un Pater ed un´Ave, e domani tutto confidando in lui fa i lavori che hai da fare: procura però di offerirli ad onore di Dio. Alla sera recitai la breve preghiera; e all´indomani mi sentii molto migliorato; di modo che potei compiere i miei lavori senza inco¬modo. Al sabato io era perfettamente guarito. Pieno di riconoscenza, ne fo la presente testimonianza, onde sia dilatata la gloria di questo servo di Dio, ed altri mossi dall´esempio ricorrano pure a lui con fiducia nei loro bisogni.
Torino, zo luglio r859. M.zzucco GIACINTO di Nucetto.
Guarigione repentina da gravi doglie intestine.
Fra le varie cose operate in favore di persone, che ebbero ricorso al giovane Savio Domenico, è degna di essere riferita la meravigliosa

Si:
guarigione di un giovane studente. Io stesso e una moltitudine di giovani fummo testimoni oculari. Ecco come egli stesso narra il
fatto.
Tre anni or sono, fui colpito da un´ernia, male terribile cagionato dallo spostamento di un viscere, per la cui guarigione ebbi a soffrire dolori acerbissimi. D´allora in poi nissuno indizio più si manifestò in me di quel male. Se non che alli 20 del mese di febbraio di questo anno 186o, mentre mi trastullava co´ miei compagni, fui colto dal malore medesimo. Non potendo più reggermi in piedi, fui costretto a pormi sull´istante a letto, travagliato dai più acuti dolori. Oppresso dal male e dagli affanni, non sapendo a qual partito appigliarmi, mandai a chiamare il Direttore, affinché mi suggerisse qualche rimedio, e mi desse qualche consiglio. Venne egli tosto presso al mio letto, e vedutomi straziato dai dolori, accondiscese aI mio desiderio, e mi con¬fessò. Intanto mandò a chiamare il medico, a comperare legacce, e per timore di troppo ritardo fu apparecchiata una vettura per condurmi, ove fosse d´uopo, all´ospedale, onde avere una pronta operazione. In questo mentre il dolore divenne così intenso, che io era fuor di me stesso e come in delirio. Anzi seppi poi che alcuni mi credevano moribondo e taluno anche morto, formandosi tale giudizio dal gran male che io pativa, Allora a caso il pensiero si portò sopra il defunto mio compagno Savio Domenico, di cui aveva letto la vita ed i favori che altri a sua intercessione avevano da Dio ottenuto, .e sentendomi crescere la fiducia in lui, proferii queste precise parole: Se é vero che tu sia in cielo, fa´ di alleggerire questo mio male, e recitai un Pater, Ave e Gloria a suo onore. Terminava appena la preghiera, quando m´invade un dolce torpore, che come un balsamo mitigò il male e quasi sull´istante presi sonno. Dormii circa un quarto d´ora. Di poi alcuni miei compagni mi svegliarono dicendomi essere pronti i le¬gami per l´operazione, ed anche pronta la vettura per condurmi al¬l´ospedale. Non ho più alcun male, risposi con grandissima mia e loro sorpresa, e di fatto io era perfettamente guarito, e mi sarei tosto alzato di letto, se la sera non fosse stata inoltrata, e non mi avessero consigliato a non farlo. L´indomani mi levai, tutto fu finito, ed ora sono in ottima salute.
Ciò tutto io debbo al giovane Savio Domenico, che intercedette per me presso il Signore Iddio, e mi ottenne un cosi segnalato favore, per cui conserverò la più viva gratitudine verso Dio e verso il celeste mio benefattore.
BELLINO CARLO
di Bard, provincia d´Aosta.
4 — CAVIOLIA, Don Bosco, scritti. Vol, TV. Parte I.

8z
Altra guarigione da acuto mal di denti.
Giacinta Patrone in attestato di riconoscenza verso Savio Dome¬nico desidera che sia conosciuto il seguente favore che ella stessa ot¬tenne ad intercessione di questo servo di Dio. Da buona pezza ella era molestata da grave mal di denti che non le lasciava più prender nè riposo durante la notte, nè ristoro durante il giorno e persino la di¬straeva dalle cure della famiglia. Provossi ad applicarvi quei rimedi che soglionsi suggerire per mitigare tali doglie, ma tutti le riuscirono inutili: perciocchè il suo male continuava a tormentarla colla stessa forza. Teneva essa appeso un quadro contenente l´immagine di Savio Domenico, immagine che era stata regalata al suo figliuolo nell´Ora¬torio da lui frequentato. La vista di quella immagine le fece venire in mente le grazie che aveva letto essersi ottenute a di lui intercessione. Chi sa, disse fra se stessa, se il Savio non vorrà pure far sperimentare a me Ia forza della sua protezione? Per tanto a lui si rivolse a fine di ottenere ciò che non aveva potuto ottenere coi temporali rimedi, ed inginocchiata si mise a recitargli un Pater noster. Non aveva ancora finita sì breve orazione, quando sentissi interamente libera dal suo terribile dolore in modo che in appresso non fu mai più da esso mo¬lestata. Riconoscente per tale favore, introdusse nella famiglia la pia usanza di recitare ogni giorno un Pater ed Ave in onore di Savio Domestico, e desidera che molto si propaghi la divozione verso di lui.
Torino, i marzo 186r. PATRONE GIACINTA.
Altra guarigione di un´ernia pericolosa.
Nella città di Chieri fu ad intercessione del Savio ottenuta una grazia degna di essere conosciuta. Certo Bechis Carlo di questa città da ben tre anni trovavasi gravemente indisposto della persona a ca¬gione di un´ernia. Egli non poteva più sostenere veruna fatica, perocchè il minimo sforzo che avesse fatto, tosto per acutezza di dolori veni¬vangli meno le forze, nè più potevasi reggere in piedi. Egli aveva già fatto uso di quanto l´arte medica e chirurgica sapesse suggerirgli; ma tutto invano, poichè l´incomodo invece di diminuire andava ognora crescendo. In principio di quest´anno medesimo mentre era tuttavia fortemente travagliato dal suo male, vennegli alle mani la vita del Savio Domenico. Egli che non poteva attendere ad altro lavoro, attentamente, e con gusto la lesse e rilesse. Al vedere come altre per-sone travagliate da diversi mali ed anche dalla sua medesima infermità

83
avevano a lui ricorso ed erano state istantaneamente guarite (45*), sentissi ripieno di fede e cominciò a sperare fermamente di ottener anch´egli dal Savio la sua guarigione. Senza frapporre tempo diè subito principio ad una novena in suo onore, diretta a tal fine. La novella consisteva in tre Pater, Ave e Gloria. Promise inoltre che ove avesse ottenuto il tanto desiderato favore, sarebbesi recato presso al sacerdote Bosco per fare la deposizione del fatto. Appena ebbe inco¬minciata la novena prese a migliorare. Dopo tre o quattro giorni, potè togliersi le bendature, che soglionsi usare per tale malattia, cui da lunga pezza non aveva più potuto deporre. Finita la novena egli pro¬vossi a lavorare, a far gravi fatiche e tutto gli riuscì benissimo senza più sentire il minimo dolore; egli era perfettamente guarito. Correva il mese di marzo e d´allora in poi non soffri più il minimo incomodo e potè riprendere i suoi lavori da agricoltore che da circa due anni aveva dovuto abbandonare.
Il medesimo attesta ancora che il Savio Domenico non si limitò ad ottenergli questa grazia temporale, ma gliene ottenne pure un´altra spirituale di gran lunga più considerevole. Egli da anni non si era più accostato al Sacramento della penitenza e di più vi sentiva tale un´av¬versione, che parevagli insuperabile senza un aiuto speciale del cielo. Per la qual cosa nel tempo che gli chiese la grazia surriferita, chiesegli pure la sua guarigione spirituale; ed il Savio mentre gli procurò la guarigione del corpo, gli compartì pure la guarigione dell´anima, o per dir meglio gli amministrò i mezzi per ottenerla, giacchè fece in lui svanire la grande avversione che sentiva riguardo alla confessione e lo riempì di una santa volontà di riavvicinarsi con Dio. Laonde il Bechis non appena si sentì liberato dalla sua infermità, per ringraziare il Signore e il santo suo servo Domenico, accostossi ai Santi Sacramenti della confessione e comunione con grande sua interna consolazione.
Il sottoscritto scrisse tale relazione raccolta dalla bocca stessa del Carlo Bechis che è pronto a fare qualunque deposizione.
Torino, so marzo 1861. Sac. RUA MICHELE.
Guarigione da grave mal d´occhi.
Un fatto che mi pare di somma importanza mi spinge a scriverle, ed è questo. Alli In gennaio di quest´anno, essendo da otto e più giorni tormentato da un grave mal d´occhi, ed avendo inutilmente provato ogni rimedio materiale, ricorsi ad uno spirituale, che solo fu quello che mi giovò. Imperciocchè venutomi in mente il suo antico allievo Savio Domenico, e le tante grazie da lui ottenute da Dio a favore di

84 `
chi l´invocava di cuore, medesimamente ricorsi a lui, ed ecco che nel momento della preghiera mi parve che mi avessero miracolosamente lavati gli occhi, e da quel momento mi svanirono i dolori e mi restò libera e chiara la vista.
Conobbi da ciò quanto siano vane le cose del mondo, e quanto fruttuose quelle del cielo. Questo desidererei ardentemente che lo aggiungesse, se lo fosse possibile, agli altri miracoli da Dio a gloria di lui operati, poichè me ne par degno.
Aggradisca i miei cordiali saluti, e mi creda sempre suo umile servo
Carmagnola, i aprile 1861. PELAZZA LORENZO.
A quanto fu detto o scritto intorno al giovane Savio Domenico l´Au¬tore non intende di dare altra autorità se non quella di semplice storico, rimettendo ogni cosa al giudizio di S. Chiesa, di cui reputasi a massima gloria ogni volta che si può professare umilissimo figliuolo (46*).
FIN QUI IL LIBRO DI DON Bosco IN TUTTE LE EDIZIONI CURATE DA LUI O PUBBLICATE DURANTE LA SUA VITA. (N. d. E.).
MOLTO REVERENDO SIGNORE (47*),
È la gratitudine e l´affetto inverso il benemerito di lei scolaro Savio Domenico che mi spinge a indirizzarle codesta mia. Sollecitato da non poche pie e dotte persone di rendere conscia la S. V. della gua¬rigione impetrata dal sullodato pio giovanetto, vorrei pregare la bene¬merita di Lei persona a rendere noto il sommo favore ricevuto, ag¬giungendolo alle altre grazie ottenute per intercessione del giovanetto Savio, Allo scopo di eccitare i pii fedeli, massime i giovanetti, a espe¬rimentare la di lui intercessione, ad eccitarli all´imitazione delle sue virtù e a diffondere vieppiù la proficua divozione a questo amabile di Lei scolaro, a cui vado sommamente debitore.
In sul principio di luglio dell´anno 1871 venni assalito da una tosse si ostinata che nè di giorno nè di notte potea trovare requie. Si andò pel medico, se ne esperimentarono tre, ma tutto indarno. Se non che passati alcuni giorni ed ornai rassegnato al beneplacito di Dio, sentitimi assai debilitato in forze, ed oppresso da un catarro che continua¬mente mi impediva la respirazione. La tosse inveterandosi avea guasto

85
i bronchi sicchè la malattia andava convertendosi in una pericolosis¬sima bronchite. La tosse va di male in peggio, il medico ormai mi spedisce. Mi si proibiscono libri meditativi e di scuola, e tanto per ingannare un po´ il tempo andava di quando in quando leggendo la dilettevole vita di Savio Domenico, resami famigliare da parecchi anni. La vita esemplare di questo giovanetto nonché i favori ch´egli accordò
ai suoi divoti, m´inspirano il pio sentimento di raccomandarmi a Lui. Feci un triduo recitando tre Pater, Ave e Gloria, colla fiducia d´esser esaudito. Tostochè il medico mi venne a visitare rinvenne si sensibile miglioramento di salute ch´egli non sapea credere che fosse accaduto per opera umana, ma divina. Mi pare un´illusione, egli così mi di¬ceva. In quell´istante si sciolse quell´ostinata tosse che mi tenne stra¬ziato per 3 mesi, cessò in un subito il repentino morbo che mi tradu-ceva quasi insensibilmente alla tomba, ed ora sano e robusto vo bene¬dicendo l´angelico Savio per sì strepitosa grazia ottenuta. L´inaspet¬tata guarigione colpì di meraviglia tutti i conoscenti, sicchè benedi¬cendo andavano Domenico Savio.
PELLEGRINI G. B.
Ch. nel ven. Semin. di Como.
i 8 6 o
RELAZIONE DI DUE GRAZIE
ottenute da Savio Domenico in mio favore (48*).
ra Era l´anno 286o ed io mi trovava affetto da un grave mal d´oc¬chi, e tale che più non poteva attendere allo studio. Al par di me sof¬frivano mal d´occhi alcuni miei compagni, i quali si affidarono a valenti dottori, da cui vennero curati. Io pure avrei dovuto mettermi nelle mani dei medici, ma non seppi decidermi, sentendo dai miei compagni quanto in tali cure dovevano soffrire. Allora palesai il mio male a D. Bosco, il quale mi disse che la signora madre di D, Rua, la quale stava nell´Oratorio, conservava qualche pezzo di seta nera, con cui Savio Domenico soleva coprirsi gli occhi, quando li aveva infermi. Tosto chiesi alla detta Signora, se conservasse tale pezzo di seta, ed avutolo, andai- a mettermi sul letto per riposare alquanto, mentre i miei compagni erano alla scuola. Mi gettai, così come era, sul letto come per dormirè, ma prima mi posi ben applicato ad am¬bedue gli occhi il pezzo di seta nera avuto dalla signora Rua. Contro ogni mia speranza presi subito sonno, e dormii saporitamente per

86
circa due ore, cioè sinché fui desto dalla campanella che indicava il fine della scuola. Appena svegliato, mi levo il pezzo di seta nera dagli occhi, e quindi me li lavo con acqua fresca. Da quel punto mi trovai guarito completamente, e cogli occhi così sani, come se nulla avessi dovuto soffrire. Ne fecero le meraviglie i miei compagni, i quali in¬tanto dovevano subire spesso dai medici curanti dolorosissime ope¬razioni. Tale grazia ottenuta così improvvisamente, io l´attribuii e l´attribuisco tuttora unicamente all´intercessione di Savio Domenico, da me in tale circostanza invocato.
2a Passarono pochi anni, ed ecco nei mesi più caldi dell´estate (mi pare che fosse il mese di luglio) fui colpito da altra specie di mal d´occhi, da cui vennero pur affetti altri miei compagni. Io non sof¬friva alcun dolore agli occhi, ma giunta la sera, e sull´imbrunire, più non ci vedeva, come se fossero già tenebre fitte, mentre restava tut¬tavia un po´ di giorno ben chiaro. Per questo, tanta io quanto altri miei compagni, all´approssimarsi della notte, dovevamo farci guidare per mano da qualche caritatevole amico. Or bene nello stesso anno avendo dovuto portarmi a Fossano, e quando appunto era soggetto a questo incomodo, una sera mi recai al duomo per ricevere la bene¬dizione che vi si dava col SS. Sacramento. Quando, impartita la bene¬dizione, uscii di Chiesa, sebbene non fosse ancora oscuro, mi accorsi del mio incomodo; ché nulla ci vedeva, come se fosse notte perfetta¬mente oscura. In tale stato, non sapéndo come fare, nè a chi racco¬mandarmi, ritornai in Chiesa, mi inginocchiai e pregai fervorosamente Savio Domenica, affinché, come mi aveva aiutato altra volta, così volesse aiutarmi anche al presente. Recitai un Pater, ed al dimitte nobis mi parve che i miei occhi divenissero di un tratto liberi da ogni incomodo. E lo furono veramente, perché, uscito di Chiesa, sebbene fosse già più presso a notte, tuttavia vedeva benissimo, e potei libe¬ramente da solo recarmi alla casa in cui dimorava. D´allora in poi più non ebbi a soffrire simile incomodo, da cui venni in tal occa¬sione liberato per avere invocato Savio Domenico.
D. CARINO GIOVANNI.
Torino, 1889.

NOTE AL TESTO
(i´.) .I due capoversi seg. sono aggiunti in 4a ediz. (1866).
(24i) Nella 35 ediz. (1861):... « ora dimorante in. Buttigliera d´Asti ».
(3*) La lettera del Cappellano Don Zucca si conserva ancora (benchè molto devastata per deperimento, e perciò lacunosa), ed è allegata agli Atti del Pro¬cesso Canonico. Il testo originale offre qualche divario non sostanziale da quello qui riferito. Cfr. Sanati. Proc. Inf. e Apostolico, pag. 445-446.
(4*) Nella i5-35 ediz.: « La prima comunione... è l´elemento di tutta la vita a. (5*) La 3a-45 ediz. dicono: « parlare molto ». La sa ediz. ha soppresso l´av-verbio.
(6*) Da questa parola fino a « due dei più disinvolti s il tratto fu aggiunto in z5 edizione (r86o) in seguito all´osservazione fatta a Don Bosco da colui ap¬punto ch´era stato l´invitatore in quella prima volta. Il fatto è narrato in Mem. Biogr. vol. VI, 147-149.
(7*) L´ultima proposizione è aggiunta in IV edizione.
(8*) La /5 ediz, diceva: « Se è male andare credo che sia anche male vedere gli altri. Basta, io sono imbrogliato, ecc, ».
(9") La i5-35 ediz. hanno: u lo dirà ai nostri genitori e saremo tutti casti¬gati ».
(io") Il seguito di questo periodo fu aggiunto in edizione, in accordo col
fatto accennato sopra (cfr. nota preced., n. 6").
(i V") La il edizione aggiungeva un capoverso: a Fin qui il mentovato suo maestro, il quale continua esprimendo il dolore grande da lui provato quando ri¬cevette la notizia dell´immatura sua morte a. Nelle edizioni seguenti il capoverso è soppresso, e nella 45è ´sostituito dalla parentesi qui riportata. Cfr. Somari. Proc., cit. pag. 449.
(12*) Così diceva la sa edizione. La 5a-35 avevano: « Il Sac. Cugliero Giuseppe, presentemente (1861) cappellano beneficiato a Barbasio, borgata di Moncucco, paese limitrofo a Castelnuovo d´Asti a. La 45 ediz. (1866); « ...presentemei te Cap¬pellano beneficiato in Pino di Chieri » .
(r3") La parentesi fu aggiunta in 45 ediz. — La lettera del Cugliero è ri¬ferita integralmente in Somm. Proc. Apostolico, ,pag. 450-452, con qualche divario dal testo qui riferito, che amplifica e completa con dati d´altra fonte (o forse ap-presi oralmente) la sostanza non discorde dello scritto. Il fatto a cui si allude è confermato e spiegato dal teste Carlo Savio, allora presente, nel Somm. Proc. cit,, pag. 98 e 336.
(I4*) Murialdo è il nome della frazione del Comune di Castelnuovo (ora Cast. Don Bosco) alla quale appartiene il gruppo di case detto dei BecChi, ov´era la casa di Don Bosco. I Becchi si chiamano ora Colle S. Giov. 110,sco,

(15") Dunque il z ottobre. La festa del Rosario (s" dom. di ottobre) cadeva quell´anno il lo ottobre.
(x6*) L´avv. « difficilmente » è della 5 ediz. Prima era: « oltre cui non si può andare », — Il capoverso seguente fu aggiunto in 45 edizione.
(17*) È la nomenclatura delle classi secondo l´ordinamento scolastico ante-riore al 1859. Gli epiteti attribuiti al prof. Bonzanino sono della 5a edizione, e il resto del periodo è della 41 edizione.
(18*) Nella 1a-35 edizione era: « nostra capitale ». Nel 1866, facendosi la 4a edizione, fu messo « città» perchè la Capitale era passata a Firenze.
(ig") I due primi incisi sono della 5a ediz., pag. 45. — Prima cominciava: « Io mi sento un bisogno di farmi santo, ecc. ».
(2c5) « Che mi salvi l´anima » è aggiunto in 4a edizione. La ediz. avevano
semplicemente: n Dimando che mi faccia santo ». Ed era più naturale, cioè in carattere.
(21") Da questo punto, fino a a vincere a qualunque costo * i due episodi furono aggiunti in z5-35 edizione.
(22*) Da questo punto fino a e gli altri a fare altrettanto e si ha una aggiunta (e quale !) fatta in 2a-3a edizione.
(23%) L´episodio fu aggiunto in 3a edizione.
(244) I due capoversi seguenti furono aggiunti in 5" ediz. (1878) pag. 59-6o. E arrecano una novità di gran momento.
(25*) Nelle edizioni ia-4a era detto: quotidiana. Ma nella 5a edizione (1878), pag. 61, l´Autore sostituì a frequente e. La variante ha una storia, che viene spie-gata nello Studio: ed è storia d´un incidente doloroso. L´intenzione però dell´A. fu sempre che quel frequente volesse dire quotidiana.
(26*) I due episodi seguenti furono aggiunti in 3" edizione.
(27*) Il capitolo presente (cap. XVI) fu scritto dopo la la edizione, e si trova già nella 3a. — Un capitolo intero!
(28*) Nell´ediz 1a-3a: e ..,era tutto sforzo umano e.
(29*) Questa lunga Nota fu ingerita dall´A. nell´ediz. (1878) a pag. 78-81:
edizione che sappiamo essere stata personalmente riveduta sulle bozze da Don Bosco ad Albano, e che in questa nostra si riproduce fedelmente.
(30*) È un evidente errore di scrittura, rimasto nella stampa. Ma è 29 di-cembre 1855. -- Cfr. SALOTTI, Savio Domenica, ecc., pag, zoi. Cfr. pure le nostre osservazioni nello Studio e le altre rettifiche cronologiche ivi confrontate.
(31*) Nell´ediz. I"-45 il testo finiva: e _negli artigli di quell´uccello di rapina. La nostra gabbia è l´Oratorio; qui stiamo sicuri: se usciamo di qui, temiamo di
cadAe negli artigli del falcone infernale ». Quest´ultimo periodo fu soppresso
in 5" edizione, restandone solo l´ultima frase messa al posto dell´uccello di rapina.
(32*) Si noti che da questo punto tutta la materia, fino alla ripresa della sto-ria della -malattia (e La malattia del giovane Massaglia dapprima sembrava leg-gera, ecc. ») fu aggiunta in 2" edizione. Così nella ra mancavano le due lettere del Massaglia e del Savio.
(33*) La 15 ediz, aveva semplicemente: « scrive il suo paroco ». — La 3" ediz. ha inserito la nuova persona del Teol. Valfrè; con la nota, etc., e per err. tip. ometteva il suo.
(34*) Questa nota biografica cominciò ad essere inserita nella 3a edizione, dove la morte era e dell´anno corrente > (186i). In seguito fu messo il millesimo.
(35") Il fatto che segue (rapimento di spirito, fino a n come morto nelle brac-cia di uno degli astanti e) fu aggiunto in a" ediz. (186o).
(36*) Il seguito del capoverso (fino a: e dopo la medesima di lui morte e) è aggiunto in 25,3a edizione.

89
(37*) Il tratto che segue, fino a e quello che sarò per fare » è aggiunto in
2"-3" edizione.
(38*) Il tratto che segue, fino all´e addio amati compagni » è aggiunta poste
riore al 186/, e precisamente della 5a edizione (1878).
(39*) Il discorso improvvisato fu messo .in iscritto dal buon Professore per
compiacere a Don Bosco, che voleva pubblicarlo, e lo riferì integralmente (cfr. Somm. Proc., dep. Francesia, pag. 398). — Nella 5a edizione appaiono alcune leggere varianti di pura forma (che= il quale; che= onde; questo= tale, ecc.). Notevole: « quando quel deplorabile caso io vi rammentava* migliorato in: a quan
do io vi rammentava quel caso doloroso u.
(4o*) Così hanno tutte le prime cinque edizioni (1859.78) che furono curate
da Don Bosco. Le edizioni posteriori subirono un evidente disturbo tipografico, che si è tramandato fino alla più recenti (Amadei). Esse hanno: o ...prega pei tuoi fratelli e sorelle affinchè possano un giorno venire con me (sic) e godere l´immensa felicità del cielo ». Come si vede, è il salto d´una riga. — Noi restituiamo il te¬sto autentico, sulla 5a edizione: come del resto è già nella ta ediz. pag. 532-133.
(41°) La 3" ediz. recava: e ...affinchè vedendomi, mosso a compassione, si esibisse spontaneo di pregare per me, ed anche affinchè, ecc... ». Nella 4" ediz. Don Bosco soppresse questo tratto, che alludeva evidentemente a Lui stesso. Giacchè il Direttore qui accennato non è altri che Don Bosco, essendo il Donato allievo dell´Oratorio, — Cfr. Somm. Proc., Relaz. di grazie, ecc., pag. 433-436, dove è riportato dall´originale il testo com´è nella 3" edizione.
(42") Era D. Vittorio Alasonatti, venuto all´Oratorio il 18 agosto 1854.
(4.3*) In 3a edizione: « mi raccomando, mi raccomando, mi raccomando *.
Cfr. Somm. Proc., cit., pag, 437.
(44*) Cfr. sopra la lettera di Galleano Matteo da Carmagnola (dopo 8 aprile
1859).
(45*) Allude alla grazia ottenuta da Bellino Carlo, zo febbraio 186o, pubbli
cata nell´Appendice aggiunta alla 2n edizione che uscì per il maggio 186o. — Que-sta è dunque inserita in 3a edizione.
(46*) Questa dichiarazione fu sostituita in 3a-55 ediz. alla Protestatio auctoris della I° ediz. (pag. 137-138): ma nella 5" edizione fu introdotta, subito dopo il frontespizio, altra dichiarazione di ottemperanza ai decreti di Urbano VIII, senza sopprimere, in fine dell´Appendice, la dichiarazione presente, che nelle ediz. suc-cessive fu omessa.
(47*) Questa relazione, benché appartenga,all´a. 187x (ma non risulta quando sia stata redatta), non compare ancora nella 55 edizione (1878), la quale si chiude come le precedenti con quella del Pelazza Lorenzo, e con la dichiarazione sopra riferita. La relazione Pellegrini compare nella VII edizione (189o), pag. 152-153: e non è rassegnata nell´Indico, essendo l´edizione stereotipata dal 1878, cioè dalla 5a ediz.
(48*) Questa relazione compare la prima volta nell´ediz. 7a (189o) a pag. 164 (non numerata), senza essere rassegnata nell´Indice, perchè tale edizione è la stereotipia ´della quinta.

INDICE
INTRODUZIONE ALLA LETTURA. — A) Ragguaglio bibliografico . . pag. ix
B) Il ritratto del Savio a XVII
C) L´opera dello scrittore » xxxx
D) La santità nel libro " » xxvi
E) L´esemplarità » xxx
F) La storicità » XXXI
G) Il valore documentario del libro n xxxv
H) Il valore pedagogico del libro xxxvin
I) Come deve leggersi il libro » XLIII
n VITA DI SAVIO DOMENICO
INTRODUZIONE pag. 3
CAPO
I. Patria. — Indole di questo giovane. — Suoi primi atti di virtù * 7
Morale condotta tenuta in IVIuriaido. — Bei tratti di virtù, — Sua
frequenza alla scuola di quella borgata *
III. t ammesso alla prima Comunione. — Apparecchio. Racco
glimento e ricordi di quel giorno u i o
IV. Scuola di Castelnuovo d´Asti. — Episodio edificante. Savia
risposta ad un.cattivo consiglio o 1 2

V. Sua condotta nella scuola di Castelnuovo d´Asti, — Parole del
suo maestro o 54
VI. Scuola di Mondonio. — Sopporta una grave calunnia . . .
VII. Prima conoscenza fatta di lui. — Curiosi episodi in questa
congiuntura n r 8
VIII. Viene all´Oratorio di S. Francesco di Sales. — Suo primo tenore
di vita »
IX. Studio di infinita. — Curiosi incidenti. -- Contegno nella scuoia.
— Impedisce una rissa. — Evita un pericolo n 25
X. Sua deliberazione di farsi santo n 25
XI. Suo zelo per la salute delle anime n a6
XII. Episodi e belle maniere di conversare coi compagni . . n 29
XIII. Suo spirito di preghiera. — Divozione verso la Madre di Dio.
mese di Maria

92
CAPO
XIV. Sua frequenza ai santi Sacramenti della confessione e della co
munione Pag• 34
XV. Sue penitenze è 37
XVI. Mortificazioni in tutti i sensi esterni D 38
XVII. La compagnia dell´Immacolata Concezione 42
XVIII. Sue amicizie particolari. — Sue relazioni col giovane Gavio Ca
millo è 46
XIX. Sue relazioni col giovane Massaglia Giovanni > 49
XX. Grazie speciali e fatti particolari è 53
XXI. Suoi pensieri sopra la morte e sua preparazione a morir santa
mente » 56
XXII. Sua sollecitudine per gli ammalati. — Lascia l´Oratorio. —
Sue parole in tale occasione » 58
XXIII. Dà l´addio ai suoi compagni > 59
XXIV. Andamento di sua malattia. — Ultima confessione, riceve il
Viatico. — Fatti edificanti » 6I
XXV. Suoi ultimi momenti e sua preziosa morte * 63
XXVI. Annunzio di sua morte. — Parole del prof. D. Picco ai suoi
allievi » 65
XXVII. Emulazione per la virtù. del Savio. — Molti si raccomandano a lui per ottenere celesti favori, e ne sono esauditi, — Un ricordo
per tutti » 69
APPENDICE -- Sopra alcune grazie ottenute da Dio ad intercessione di
Savio Domenico pag. 73
Guarigione da febbri maligne » 73
Guarigione da grave mal d´occhi . » 75
Guarigione istantanea da mal di denti » 77
Deposizione d´una madre che aveva il suo figliuolo ammalato a Torino
nell´ospedale de´ Santi Maurizio e Lazzaro » 78
Altra guarigione da mal di dente » 79
Altra guarigione da grave mal d´occhi » 8o
Guarigione repentina da gravi doglie intestine » 8o
Altra guarigione da acuto mal di denti » 8z
Altra guarigione di un´ernia pericolosa » 82
Guarigione da grave mal d´occhi » 83
Relazione di, grazia ottenuta nel 187r » 84
Relazione di due grazie ottenute da Savio Domenico in mio favore (G.
Garino) » 85

NOTE AL TESTO 9 87

SAVIO DOMENICO
E DON BOSCO
STUDIO
DI
D. ALBERTO CAVIGLIA
PARTE PRIMA
" I LINEAMENTI UMANI"
" ... il piccolo grande Servo di Dio "
(PP. Pio XI, g luglio 1933).
LIBRI I-1V
TORINO • SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE

AVVERTENZA. - Per i riferimenti dei due Processi, Ordinario e Apostolico, mi valgo della Positio Advocati super virtutibus in cui sta il Summarium, in quo testimonia et documenta integra referenda sunt (CIC., Can. 2106). — E cito semplicemente: Somm., nome del teste, pag. del vol.; p. es.: Somm., Cagliero, 289; oppure: Somm. Docum. I, II, etc., o Declaratio, n. r...14: pag. nn.
Non sono distinte le citazioni dal Proc. Ordin. o dall´Apostolico se non quando ciò torni utile o necessario.
L´AUTORE.

CAPITOLO I
Le virtù nate con esso ».
Due sentimenti s´ingenerano spontaneamente in chi legge la Vita di Savio Domenico scritta da Don Bosco: la meraviglia per le cose che vi appaiono, e la simpatia conquistatrice, quasi un fascino, per il santo giovinetto di cui è disegnata la figura. E l´impressione significata da tutti, senz´eccezione, gli alti personaggi che nel 1895 e 1908 e nei 1914, con loro lettere autorevolissime aderirono al movimento crea¬tosi in favore della causa di Beatificazione o la postularono presso la Santa Sede. Esse sono pubblicate in buona parte, e del resto elen¬cate (sono in tutto 58o!) nei Sommarii dei due Processi, e valsero anzi di buon argomento all´Avvocato Mons. Salotti per rispondere alle difficoltà del Promotore della Fede nel 1913: intanto le più notevoli formano una brillante antologia in appendice alle varie Vite scrittesi dappoi, principalissima quella del Salotti, e sono citate ad illustrare Io storico discorso commemorativo di Mons. Radini Tedeschi (i).
Né altro è, il sentimento che si esprime nelle parole di PP. Pio X, nel colloquio del 20 luglio 1914 con Mons. Salotti (a), e, in forma ufficiale, da PP. Pio XI nel discorso del 9 luglio 1933, per la defini¬zione del grado eroico delle virtù del Servo di Dio, divenuto perciò Venerabile.
Sono appunto i sentimenti che ispirarono e accompagnarono Don Bosco nel dettare il suo piccolo capolavoro: né altrimenti poteva essere, quando si sa che in ogni momento il Santo Maestro aveva contem¬plato il suo piccolo Santo con ammirazione e con santa simpatia. L´attrazione sentimentale verso l´angelico sorridente santino traspare, senza bisogno di apposite parole, dal tono dominante dell´esposizione e dai frequenti epiteti con che si ricorda la persona. Quando si vuol bene ad una creatura, e si nutre « un grande affetto « per essa, bisogna
(i) MONS. RADINI-TEDESCHI, Vescovo di Bergamo: Per Savio Domenica, Servo di Dio: r6 aprile 1914.. Torino-S. Benigno, 1914.
(2) Riferito dal Salotti in Appendice alla sua Vita citata, pag. 334.
7 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. W. Parte I.

6
fare uno sforzo per nasconderlo nel parlarne, e davvero Don Bosco non lo ha fatto.
La meraviglia o, se vuoi dirsi, lo stupore, non è solo nel tono del discorso, molte volte veramente ammirativo, specialmente nel
commentare certi fatti e parole: ma si esprime in sentenze, sulle quali il lettore affrettato passa via senza notarle, ed hanno invece un conte¬nuto profondo e possente. Si direbbe che il nostro caro Scrittore, coi suo fare semplice e piano, dove sembra timoroso del parlare non quo¬tidiano e comune a tutti, si lasci sfuggire, quasi da un lume nascosto, degli sprazzi di luce, che bastano da soli a illuminare tutto il quadro ch´egli fa contemplare, e sono cioè la parola adeguata della sintesi visuale, ond´egli apprende la storia dei fatti e la vicenda dello spirito che viene disegnando.
Di tali parole una compendia tutta la prima vita del suo santo fanciullo; un´altra la definisce nel tempo in cui fu suo alunno; una terza (non posta qui, ma nella Prefazione alla Vita di Michele Magone) dà in un tratto tutta la magnifica storia morale di quell´anima, dal primo inizio al culmine glorioso della santità.
AI chiudersi della prima età il santo Maestro rimane « non poco stupito considerando i lavori che la grazia divina aveva operato in quel tenero cuore » (i). Quando scrive la Vita richiama i suoi giovani let¬tori, ai quali è destinata, a ricordare le azioni del Savio, « il cui tenor di vita fu notoriamente meraviglioso » (2). E due anni dopo,. presen¬tando la Vita del Magone, segna la differenza da quella del Savio, nella quale « voi osservaste, dice, la virtù nata con lui, e coltivata fino all´eroismo in tutto il corso della sua vita mortale » (3). Aggiungete i miracoli, ed è la canonizzazione (4).
Su quest´ultima definizione non mi soffermo per ora, riferendo quel che i Processi hanno fatto conoscere del concetto ch´ebbe Don Bosco della santità del suo alunno: ne rilevo la parola della « virtù nata con esso » per aprirmi la via al tema di questa parte del mio studio che versa sulla prima età del giovanetto Venerabile.
· (i) Vita, cap. VII. — La parola ricorre anche, ma più debolmente, nella let¬tera del Cappellani) Don Zucca (cap. II, pag. 13, ediz. Is), ma è un imprestito
che Don Bosco fa al documento di cui rifà il periodo: « nel vederlo io ho più volte detto: Ecco un figlio di buone speranze ». Il periodo si continua in una serie d´idee fuor di proposito e non riferite. Cfr. Somm. Proc., tit. XXII, Documenta: pag. 446.
(a) Vita, Prefaz. pag. 5 (la ediz.).
(3) Vita di Michele Magone, (1861), prefaz., pag. 5.
(4) Infatti, senz´aver stabilito il grado eroico delle virtù, non si procede all´esame dei miracoli, e quando si giunge a quello, lo si dichiara g,i´a Venerabile. Così è avvenuto pel Savio il 9 luglio 1g33•

7
La prima età di Savio Domenico, fino ai dodici anni, quando Don Bosco lo divinò (è la parola più propria), è la storia d´una « virtù nata con esso » e dei « lavori che la grazia divina aveva operato in quel tenero cuore ». In questa luce dobbiamo vederlo noi, leggendolo nei primi sette capitoli della Vita, ed aiutandoci con i riferimenti dei Processi, i quali ne sono una conferma e una illustrazione. Una vi¬sione così penetrante e precisa non deve passare come detta senza un perchè fondato e convinto, e, più che tutto, illuminato dall´intuito di un Santo.
Il medesimo, fatte le debite proporzioni, avvenne per S. Luigi Gonzaga, anch´esso dodicenne, quando nel 1580 s´incontrò con San Carlo B.orrorneo, il quale, fattolo passare nella sua camera, si trattenne con lui, e restò meravigliato dei prodigi operati dalla grazia in questo fanciullo, senza l´aiuto di alcuna direzione esteriore (i). Il Santo co¬nobbe subito il Santo.
Veramente, ad una semplice lettura di queste pagine della Vita, non appare codesto tessuto di azione soprannaturale, né i testi dei Processi mostrano d´averne avuto sentore. Il piccolo Minot non ebbe la fortuna del Besucco, il quale, fisiche stette in paese, fu sempre seguito dall´occhio amoroso e sagace del suo buon padrino arciprete, che lo guidava per le vie di Dio, e, dopo la morte di lui, ne rese una relazione minutissima a Don Bosco, già intonata a sentimenti di or¬dine superiore: del Savio, i compagni di scuola e i compaesani non potevano vedere se non quello che ognuno vede nella piccola vita di un fanciullo, ed essi parlano di cose lontane di più che mezzo secolo, quand´esci erano fanciulli al par di lui.
Stanno, per buona ventura, le relazioni dei tre maestri di scuola, due dei quali sono pure Cappellani del paese, e per esse conosciamo qualche circostanza e qualche fatto di non secondario interesse. Ma e questo, e il resto che lo Scrittore ha potuto raccogliere e viene espo¬nendo, non avrebbe, cosa per cosa, quel senso di soprannaturale, che Don Bosco vi ha pur veduto, per giungere ad una conclusione come quella che leggiamo. Se anche non lo dice ad ogni passo, bisogna convenire ch´egli avesse l´intenzione di farlo sentire, non con un solo riflesso teologico, ma come un´azione della grazia in ogni fatto.
E qui mi giova un argomento, del quale mi valgo, per altro fine,
anche nello studio sulla Vita del Besucco. Dico dell´affinità che la fanciullezza del Savio ha con quella di molti Santi della Chiesa, dei quali il Breviario ricorda le virtù giovanili. Ne ho presenti una quaran¬tina tra i Santi confessori del Breviario Romano e del diocesano to
(i) MESCRLER, Vita di S. Luigi Gonzaga, trad. Testore, pag. 48.

8
rinese (i). Di essi le Lezioni dell´Ufficio ricordano, con poco divario di espressioni sinonime, che fin dalla prima età (infanzia e fanciullezza), diedero segno della futura santità (2): ricordano la pietà subito sboc¬ciata, l´amor della preghiera, l´animo alieno dalle divagazioni e allet¬tamenti puerili, la gravitas o compostezza, il raccoglimento, anche il precoce istinto di mortificazione; ricordano, più raramente, qualche atto particolare o abito di virtù: di molti la castigatezza dei costumi e l´abborrimento d´ogni cosa o parola men che onesta. Di parecchi si noti l´ammirazione che destavano le loro giovanili virtù e la divo¬zione del contegno. Non mancano fatti paralleli a quelli che incon¬triamo nel nostro santino, e che a suo luogo annoteremo.
Ma tutto questo è ordinato a mostrare che la santità di quei primi anni era già un indizio della santità che poi si maturò nella vita susse¬guente: non più, e non come una santità raggiunta nella giovinezza. Ed è naturale: santi fanciulli e santi di prima adolescenza se n´ebbero pochi, e solo quando fiorirono Stanislao K ostica, morto a 18 anni, Giovanni Berckmans, morto a 23 anni, e S. Luigi Gonzaga, morto
a 23 anni, ma santo qualificato già a 16 anni, quando entrò nella Com
pagnia. E per questi le lezioni del Breviario dicono della santità fan¬ciulla ben più che per tutti gli altri.
Tuttavia una santità compiuta, morendo a 15 anni, non è ancora registrata nel catalogo dei Santi, è dovrebb´essere quella del Savio.
Per lui le sante opere non sono futurae sanctitatis indivia, ma sono appunto la sua propria santità.
L´argomento di cui voglio valermi ci sta per questo, che dunque la fanciullezza di Savio Domenico è una fanciullezza di Santo, alla quale, secondo il sentimento della Chiesa per quegli altri Santi, con¬corre la grazia preveniente di Dio: ciò che dà ragione a Don Bosco
nello scorgere in quell´anima « i lavori che la grazia divina aveva operato ».
Ed anche mi giova a spiegare la stima dei coetanei e dei coevi: che tutti, o scrivendo o testificando giuridicamente, confermarono per sè e per altri, che fin da fanciulletto il Savio era tenuto per un piccolo santo. Carlo Savio, suo condiscepolo, dice appunto che vedendolo trattenersi dopo la funzioni a pregare davanti alla Madonna, i com¬pagni dicevano: « Savio è là che prega: egli vuoi farsi santo » (3). E il buon Cappellano maestro don Cugliero lo raccomanda a Don Bosco dicendo che « troverà un S. Luigi » (4).
(i) I Martiri e Ie Sante non fanno al caso nostro.
(2) Ab ineunte aetate futurae sanctitatis specimen (indivia) dedit, etc.
(3) Somm. Proc. Apostolico, pag. 47.
(4) Vita, cap. VII, ra ediz., 34.

9
Teniamoci adunque alla sentenza di Don Bosco: la prima età di Savio Domenico è intessuta dei « lavori della grazia divina ». Con quella della «virtù nata con lui» è un´idea che trasporta subito nella regione propria la vita del nostro giovanetto: il lato umano, laicizzante, della consueta psicologia è messo senz´altro da parte. Don Bosco inserisce tutto nel mondo dei valori divini; perchè a spiegare i Santi senza il soprannaturale non si riesce a nulla di concludente e com¬piuto (i).
Non occorre tutto il cumulo dei fatti prodigiosi che accompagna¬rono l´infanzia, e perfino il nascere, di certi santi (per stare in tema, ricordo S. Stanislao Kostka),- perchè la vita di questo, fanciullo appaia, come Don Bosco la vede, involta nel nimbo del soprannaturale. È, come disse il Card. Cagliero al Processo, sensibile in Iui la gratia praeveniens (2), ed egli è santo, come la teologia più profonda intende il termine, per una consacrazione della grazia di Dio, che lo fa suo e lo destina ad esser tutto suo (3). Anche di lui avrebbe potuto dire il Segneri quel che di S. Luigi, che Cristo cacciatore, anzi predatore di anime, lo predò dal nido (4), ed egli fin dai primi anni rimase preda di Dio.
Questa è, se posso dir cosi, una pregiudiziale da premettere a tutte le disamine e considerazioni che possono condursi intorno alla storia intima e spirituale, ed anche intorno alla vita esteriore, del nostro piccolo santo. Allora trova suo posto e la nozione della relatività nel¬l´eroismo e quella della natura e della personalità. La sentenza di Benedetto XIV è che l´eroismo vuol essere commisurato alle occa¬sioni che si offrirono di esercitare le virtù, alla condizione, rango, stato della persona (5), ed anzi non deve esigersi per ogni qualsiasi virtù, ma soltanto per quelle che il Servo di Dio potè, secondo sua condizione e stato, esercitare (6).
L´essere le cose e i fatti della vita di Savio di umile e comunale apparenza non vieta pertanto che ci si veda quel senso che la grazia divina dà alle azioni fatte per suo impulso. Ed anche la vita dell´in¬fanzia e quella della prima fanciullezza hanno un valore per la vita
(i) Così pure pensava il Crispolti rispetto a S. Luigi. Cfr. S. Luigi Gonzaga, Saggio. za ediz., pag. 157.
(a) Somm. cit., pag• 322.
(3) C. V. I-Ikus, O P.: Il mistero di Cristo, trad. ital., Brescia, Morcelliana, 1938: pag• 55-56.
(4) Panegirico di S. Luigi, arde. III.
(5) De Sanctorum beatificatione et canonizatione, lib. III, zr.
(6) Op. cit., III, 13. -- I due passi sono addotti dall´Avvocato difensore (Mons. Salotti) nella risposta alle Animadversiones del Promotore della Fede contro la Introduzione della Causa. Cfr. Somm. Proc., cit., pag. 32 e pag. 6o.

1z
0 0
Seguendolo adunque nella sua maniera (dicono in arte) o, per meglio dire, interpretando la sua intenzione di vedere nella vita che si svolge una storia di santità, che, non occorre ripeterlo, è sostanzial¬mente il prodotto della vita vissuta e della grazia di Dio, noi leggiamo quei primi sette capitoli della Vita per farne, non un racconto am¬pliato e postillato da commenti, ma una traduzione in lingua di santi.
È il periodo della fanciullezza, e, per questo primo momento, del-l´infanzia, fino ai sette anni. Età che non si contempla mai senza un sorriso di poesia, come la prima fioritura di primavera. Nessuno che abbia scritto di santità fanciulle ha potuto farne a meno, e iI Faber, nel suo Betlemme, ha genialmente irradiato di codesta bellezza gl´in-segnamenti dell´infanzia di Gesù. Cosi han fatto il Meschler per San Luigi, e il Radini-Tedeschi e il Salotti per Savio Domenico (i). E se il nostro compito di segnare linee costruttive non sembra molto propizio ad intessere poeticamente il discorso, non è detto che al lettore non si dia campo di vedervi almeno il soi-riso della simpatia.
Vorrei qui riportare le due pagine che il Faber dedica, nell´opera testè ricordata, alla parte che ha l´infanzia nella preparazione dei fat¬tori della vita intera, dicendo che quello è « il tempo dell´incessante imparare », ed è quello « il solo semenzaio delle molte mietiture della vita, dove le messi sono seminate ad un tempo e in una apparente confusione, ma nascono e crescono poi in una ordinata successione, che indica una legge, non però esente da influenza di circostanze ». « Ma nello scorrere della vita quella che soprattutto si manifesta è l´influenza del padre, di cui la voce prende il tono, e il portamento prende il garbo, e molti piccoli modi non sono che un´imitazione lon¬tana di uno che non è più presente: la famiglia e le eredità di essa si riproducono senz´avvertirlo, e vivono nei ricordi della casapaterna » (2).
Ricordo queste pagine perchè fanno mirabilmente al caso nostro: quando si considera quale fu la famiglia dalla quale uscì il nostro pic¬colo santo, e quale fu il clima nel quale fiorì la sua infanzia.
Umile condizione, di gente che vive del suo lavoro, e deve traslo-carsi o cambiar mestiere per trovarne; gente sana del buon popolo subalpino delle campagne: quella medesima da cui provenne Don Bosco. Altri osservò che qui non ci hanno che vedere né tradizioni storiche, nè la nobiltà di un nome, nè il censo, nè altro di quanto
(i) MESCHLER, op. cit., pag. 25. — RADEVI-TEDESCHI, cit., pag. 17. SA
LOTTI, cap.. I, pag. I-IO.
(2) FABER, Betlemme, pag. 102-103.

· 13
insomma fa una storia, e ne trasse argomento di contrapposti e di sentenze apologetiche (i). Con più alto pensiero PP. Pio XI diceva della « perfezione di vita cristiana in questo povero, umile figlio di modesta gente e di modestissima famiglia, non ricca che di aspira¬zioni cristiane, di vita cristiana vissuta, sebbene nelle più modeste condizioni, nell´esercizio ordinario, nel compimento degli ordinarli doveri di una vita comune » (a).
È uno scultorio elogio della famiglia dei Savio, dove i genitori sono « lodati dai vicini come cristiani esemplari » e si dice il Rosario a sera, e si va nelle stalle del vicinato a passar la sera col Rosario e con le buone letture, e il padre « assiduo cantore della parrocchia » era con¬siderato come « ottimo cattolico », e della madre, quando mori, disse il Parroco ai figliuoli: « Non state a pregare per vostra madre, perchè era una santa donna, ed ora è già in Paradiso » (3). In quella casa si respirava l´aria di Dio. E il primo capitolo ce lo fa sentire intorno al bimbo, che a quattro anni sa già tutte le orazioni, e ricorda agli altri le preghiere della mensa.
Bella figura quella del padre, e non si toglie valore alla santità del figlio, dicendo che da lui deve aver ritratto più che i lineamenti di famiglia. Intanto ebbe dieci figliuoli, di cui Domenico, se non fu, rimase il primogenito (4): segno di una moralità ispirata alla fede nella Provvidenza. Era agricoltore, e si diede a fare il fabbro per aver lavoro, e lo andò a cercare dal piccolo borgo di Mondonio a Riva di Chieri, dove-nacque il Nostro, e poi, nel 1844, a Murialdo, e di nuovo a Mondonio. La madre faceva la sarta di paese. Il pane in quella casa non mancò mai. Una circostanza singolare ci mostra l´intraprendenza e la sagacia di quell´uomo. Negli Atti di Matrimonio (i 840) esso è dato per illitterato, e. cosi pure nell´Atto di Battesimo del Domenico (184z) (5). Eppure quando il figlio è presso a morire, gli legge, sul
(i) Riamm-Tanasem, da, pag. 14 e pag.. (al Discorso del 9 luglio, art. 3.
(3) Somm., cit., pag. 43, 47, 50, 84.
(4) Ìc un fatto non conosciuto. Un primo figlio era nato il 3 novembre 1840 in Mondonio, a cui furono imposti i nomi di Domenico Giuseppe Carlo. Esso premorì (r8 nov. 1840) alla nascita del nostro, che ne ereditò i nomi. Così dai Registri Parrocchiali di Mondonio, cortesemente esplorati per me dall´attuale Par¬roco Rev. D. Pietro Trinchero. Ed è segno di buone tradizioni familiari iî fatto che al primogenito si impongono í nomi deí nonni paterno e materno, Dome¬nico e Giuseppe. Il padre era nativo di Castelnuovo, fraz. Ranello.
(5) I due Atti sono pubblicati in facsimile nell´ediz. AMADEI della Vita, 1908, pag. 22r e 23r. Al tempo del matrimonio il padre aveva 24 anni (n. 1816) e la madre zo (182o). — E però singolare (e lo osserva anche D. Trinchero) che nel¬l´Atto di Battesimo del primo figlio (4 nov. 184o) il padre firma di sua propria

14
Giovane Provveduto le preghiere della buona morte, e scrive di sua mano a Don Bosco la commossa lettera dell´annunzio, che ancora si conserva. Imparò dunque a scrivere quando già era padre di famiglia, a tempo perso, trammezzo alla vita faticosa. E mandò a scuola i figliuoli, tra i quali la figlia Teresa Tosco Savio, buona e stimata ope¬raia presso la Regia di Torino, dimostrò al Processo del fratello (1915) e in più altre circostanze un´intelligenza e assennatezza superiori alla sua condizione.
E poi quell´uomo e quella santa madre, pur nell´umiltà e povertà del vivere, dovettero possedere e trasmettere certe abitudini e ma¬niere, che nella vita rusticana non sogliono essere comuni. Per esem¬pio, una delle qualità di cui tutti i compagni del Savio, e perfino i maestri suoi di Torino, diedero testimonianza, fu la pulizia e il buon assetto della personcina, vestita, si, da poveretto, ma tenuta in modo da non spiacere neppure a condiscepoli di condizione elevata (i). E cosi tutti, senz´eccezione, hanno detto delle sue maniere cortesi e gentili, e « civile » è la parola che lo descrive d´un tratto. E questo fin dai primi giorni, e con un condimento di gaiezza e di naturalezza che formava l´incanto della sua compagnia (2). Sono qualità che non si acquistano in un giorno, e non mai tanto che non trapeli la rustica ori¬gine. Non era il villan che s´inurba. Il Besucco, santo fanciullo quanto si può dire, non riuscì mai a raffinarsi. E noi diciamo: dov´ha impa¬rato il nostro Domenico quelle maniere e quel contegno ? Si, la san¬tità trasforma, e rende buoni e amabili, ma il garbo non lo insegna, e dobbiamo convenire che in quella povera casa ce ne fosse lo stile. Anche tra la povera gente s´incontra quella lindura di assetto e quella semplice cortesia e garbatezza di maniere che, purtroppo, non si trova sempre nelle case dei fortunati, e che ce la rende tanto più degna di rispetto.
La madre di Don Bosco, anch´essa campagnuola e itlitterata, come la madre del Savio, fu povera, ma ordinata e pulita (3), ed egli vesti sempre poveramente, ma senza trascuraggini: e quanto a ma¬niere, chi l´ha conosciuto sa ch´egli era, con tutta naturalezza, ben educato e civile.
Non può applicarsi, nel fatto deI Savio, la celebre sentenza di
mano, come si vede nel Registro Nascite e Battesimi della Parrocchia. Segno in¬somma che sapeva leggere, ma poco scrivere, e non osò sempre farlo.
(r) Somm. Proc., cit., pag. 27r. Dep. di D. Rua Michele: u non ambiva ele¬ganza di abiti, sebbene amasse la pulizia, ed in questo, come in ogni altra virtù, era di esempio ai compagni ».
(2) Somm. cit., Dep. Anfossi, pag. 77; Ballesio, 373. •
(3) Mem. Biogr., cit., I, 72-73.

15
Ludovico Vives: Nam pauperurn jiliis nullum est inajus periculum quam a rudi, sordida et incivili educatione: in casa Savio si è poveri, ma non volgari, non sporchi, non grossolani. E vuoi dir molto.
Su questo tema della povertà dovrò tornar più oltre, per trarne un riflesso pedagogico. Ma qui giova averlo notato, per la ragione sopracz cennata del continuarsi nella vita ciò che s´è appreso nella fanciullezza e nell´infanzia.
Dai suoi genitori trasse il nostro santino la complessione fisica. Tutti lo ricordano coi diminutivi o accompagnano il nome coll´epi¬teto di piccolo, anche quando avrebbe dovuto essere grandicello (t). E mori a meno di un mese dai 15 anni: consunto o, pensando come il Dott. Vallauri, consumato dalla stessa nostalgia del paradiso. E se si pensa che dei fratelli suoi nati in quel tempo, quattro erano già morti, si è tratti a pensare che o il sangue o la povertà vi avessero parte. Lasciamo quest´ultima, che non c´entra, perchè a casa sua non si patì la fame nè la vera miseria: « qualche strettezza, si, della quale
mai non fece lamento » (2).
La complessione gracilina di Domenico non dipendeva dal sangue,
come non ne derivava la malattia che lo consumò giovinetto (3). Il padre visse fino ai 75 anni, e lo conobbi io, vecchio sì, ma sano e con le tracce della vigoria passata. La madre mori nel 1870, ed era sanissima. La sorella Teresa, nata nel 1859, era ben vegeta e sveglia a 56 anni quando testimoniò al processo, e lavorava ancora alla fabbrica.
E insomma non si può dire che il nostro santino sia stato votato alla santità da una debolezza nativa e da una complessione che con¬danna alla malinconia e all´impressionabilità, e rende proclivi all´esal¬tazione (4). Egli ha finito a quindici anni il suo corso, perché quel che crea la vita, ed è signore del tempo, ha voluto creare (la grazia non è anch´essa una creazione,?) (5) un tipo di santità capace di adem
(i) È perciò erroneo rappresentarlo sia pure per fine di edificazione, come fu fatto fare al Kirchmayr, in aspetto di giovanotto o di ragazzo ben maturo.
(2) Somm., 296: dep. Teresa Tosco-Savio.
(3) Il teste D. G. Branda (Somm., 3o9) depose d´aver udito raccontare nel 1869 da Don Bosco il fatto d´un piccolo trionfo di solista in una funzione celebrata alla Consolata di Torino, nel quale il Savio si sarebbe turbato per le lodi avute della bella voce e della buona esecuzione, con che la sua umiltà veniva messa a peri¬colo e si perdeva il merito della buona azione. Ma è evidente che il Branda attri¬buiva al Savio il fatto del Magone. (Cfr. Vita di M. Magone, cap. VI).
(4) Joi..y, ob. cit., pag. e pag. 52, ha riflessi di questo genere: può dirsi
anzi che la tesi del suo libro consista nel dimostrare che la santità non è il pro¬dotto d´una forma psichica morbosa come Ia pseudo-scienza del laicismo pretende
rebbe.
(5) FABER, Creatore e Creatura, pag. 158.

16
piersi in quella età, e non è troppo ardito pensare che l´abbia voluto per fini comprensibili anche a noi: primo tra tutti l´esempio per la gioventù.
Neppure deve credersi che la virtù, quella specialmente che si dimostra nei rapporti sociali, derivasse da temperamento poco suscet¬tibile di emozioni o timido o apatico: i Processi lo dicono (testi Don Rua, Cerruti, Cagliero) di « carattere vivace, indole pronta, sensibile alle contrarietà » che però « non fu mai visto alterarsi », e si che non ne mancarono occasioni anche eroiche (t).
Don Bosco dice che « aveva sortito dalla natura un´indole buona, un cuore propriamente nato per la pietà» (cap. I): altrove ci mette innanzi dei tratti di buon cuore, confermati con ricco apporto di cir¬costanze dai Processi (2), i quali danno pure ragione della nativa dispo¬sizione del cuore alla pietà (3).
E all´indole sua appartiene quel suo perpetuo sorriso, quella gio¬condità che, se nella coscienza della grazia di Dio trova la fonte che la ravviva, ha nel temperamento e nell´indole la sua prima radice. Nel
l´ « indole buona» del Savio si deve riconoscere codesta nota di letizia e di serenità, ch´è tanta parte e precipua della simpatia che conquista. Ed anche questa è voce unanime di quanti lo conobbero, e fa parte del ritratto che ne riesce. Segno, diciamolo ancora, che non era un essere malato.
Egli è un caro bimbo, vivo, sorridente, lieto, amoroso e amorevole, che si tira i baci (4), e ne dà a babbo e mamma, e sa star buono da se, senza bisogno di richiami. Don Bosco ha fatto parlare quei fortu¬nati genitori, e n´ha avuto quella risposta ch´egli scrive, e che ritrae, in tocchi ben fermi la bellezza dell´indole e la bontà precoce di lui (5). Essi gli dicono del cuore, del buon cuore. Sta sempre intorno alla mamma e non la lascia che per pregare; pel babbo, che torna a casa dal lavoro, il suo affetto trova gesti e maniere affascinanti. Don Bosco si compiace in descrivere come gli va incontro festoso (nel Processo è detto che gli toglieva i ferri di mano) e gli salta al collo, e gli di
(i) Somm. Proc., pag. 278 e seg.: art. XIII, De heroica fortitudine. — Così il Senerii nel Panegirico di S. Luigi, art. VI. — Cfr. Vita, cap. I, ediz. 1a, pag. 7.
(2) Vita, cap. IX, XI, XII. — Somm. Proc., tit. IX, De heroica caritate in pratimum.
(3) Somm., tit. VIII: De heroica caritate in Deum.
(4) La parola è di Mons. Meriano Soller, arcivescovo di Montevideo, set¬tembre 1907, in una lettera variamente pubblicata e allegata ai Processi.
(5) Vita, cap. I, pag. 9: Fin dalla più tenera età, nella quale per mancanza di riflessione i fanciulli sono un disturbo e un cruccio continuo per Ie madri: età in cui tutto vogliono vedere, toccare, e per Io più guastare, il nostro Domenico non ci diede mai il minimo dispiacere s. Si legga l´intera pagina.

17
mostra di capire che è stanco e che lavora per lui, e che pregherà per lui, e gli appronta lo scanno perché si segga, e lo copro di carezze,
e il buon uomo si rifà tutto in quell´amore (i). E la sorella attesta che già allora dava ai poverelli i pochi soldini avuti in regalo ed anche il pane che aveva tra mano (z).
E sono i genitori che dicono della piccola mente che si rivela. Più oltre si vedrà che Dio lo ha dotato di buona intelligenza: da bimbo egli la manifesta nell´imparare « con meravigliosa facilità le preghiere del mattino e della sera (in piemontese: dì ´I bin = dire il bene), si che a quattro anni già recitavale da sè ». E se non ne capiva tutto il senso, sapeva che con quello si parlava al Signore e, se in qualche momento si allontanava dalla mamma, « era solamente per mettersi in qualche cantuccio della casa a fare con maggior libertà preghiere lungo il giorno » (3).
o o 0
Con questo ricordo ci si scopre l´altro quadro. Fin qui s´è detto della natura; felicissima, si, ma non più che natura. Quest´altro tocco segna una nota che appartiene al mondo dello spirito, e, per dir breve, a quello della grazia di Dio.
Io non voglio qui applicare quel ch´è detto della fanciullezza di Gesù in S. Luca: non c´è proporzione (4). Ma il concetto serve a noi per vedere in ogni anima santa la legge del progresso della vita spiri¬tuale. È una crescenza soprannaturale in virtù della grazia santificante: crescenza in Cristo: uno svolgersi della grazia secundum mensuram donationis Christi (i). E vorrei poter trasportare qui. il capitolo del classico libro di Columba-Marmion, che svolge ampiamente e pro¬fondamente questo concetto (6).
Ma per l´economia del nostro discorso non occorre tanto. È dot¬trina della Chiesa, che il Battesimo, oltre a darci la grazia santificante, che ci fa amici di Dio, ci infonde anche i doni soprannaturali dello
(i) Vita, cap. I, pag. 9.
(a) &mut. Proc., Teresa Tosco-Savio, 217-218.
(3) Vita, cap. I, pag. 8. Lo dice anche il Segneri di S. Luigi: .3 Bambino di men che quattro anni è trasportato da interno istinto a congiungersi tanto stret¬tamente con Dio, che lo trovano spesso tutto intento a pregare nei canti della casa 1. Paneg., art. VI.
(4) Luc., II, .40: Pacar autem crescebat et confortabatur, plenus sapientia; et gratia Dei erat in
(5) EP», IV, 7.
(6) Le Christ vie de I´dme, p. II, cap. VI: » Notre croissance surnaturelle dans le Christ 5, pag. 278-313.

18
Spirito Santo: « abiti cioè, come dice S. Bonaventura, disponenti a seguire l´istinto dello Spirito Santo » (I). Cotesti impulsi della grazia (che sono altra cosa dallo stato di grazia) differiscono da uomo a uomo: appunto secondo il detto citato di S. Paolo. E se, come s´è veduto, nell´anima del caro bambino si, rivelano già i primi accenni delle virtù naturali, che noi chiamiamo i buoni istinti che perfezio¬nano l´essere naturale soprattutto nel fatto morale, è innegabile, per chi ripensi attentamente ai fatti dell´infanzia del Savio, che subito vi compare l´intervento delle virtù infuse o soprannaturali, che le in¬nalza e le trasforma: quelle che la grazia di Dio depone direttamente egli stesso fin dal Battesimo colla grazia santificante, e Sostiene poi con altrettante grazie speciali, che sono il lavoro della grazia di Dio. E se ciò si dice delle virtù teologali, può e deve dirsi parimenti delle virtù morali: quistione ardua in astratto, e risoluta praticamente nella storia d´una giovane anima di santo, dove si rivela, si sente, il digitus paternae dexterae (a).
Mettete accanto a queste elementari dottrine la parola di Don Bosco che dice della « virtù nata con lui e coltivata fino all´eroismo per tutto il corso della sua vita mortale », e di « quelle virtù che noi abbiam ´veduto nascere e crescere nei varii stadi della sua età» (cap. VIII), e quell´altra dei « lavori della grazia di Dio », e vedrete come il Santo biografo abbia intuito quella crescenza in Cristo nella quale si compendia la vita morale e soprannaturale del nostro piccolo Santo.
E, per esempio, se pensiamo che tra i sette doni dello Spirito Santo vi è quello della pietà, che può definirsi raggio divino che illu¬mina la mente e piega il cuore ad adorare Iddio come nostro amatis¬simo Padre, con una tenerezza che supera il solo fatto del culto for¬male (3): noi ci spieghiamo appunto quel primo istinto ed impulso a pregare che il bimbo rivela appena sa parlare, e lo porta a pregare da sè in disparte, e lo orienta insomma verso la divozione, che poi si specializzerà nelle diverse divozioni (4).
Don Bosco soggiunge: « La sua devozione cresceva più dell´età, e a soli quattro anni non occorreva più di avvertirlo di recitare le preghiere del mattino e della sera, prima e dopo il cibo, dell´Angelus: che anzi egli medesimo invitava gli altri di casa a recitare, qualora
(I) FABER, Progr. cit., pag. 351.
(2) COLUMBA-MARIVIION, Cit., pag. 154.
(3) COLUIVLBA-MARMION, op. cit., — FABER, Progressi dell´anima, pa
gina 351. Anche più espressamente affettivo è il concetto della pietà nella defi¬nizione del TANQUEREY, Compendio di teologia Ascetica e Mistica, n. 1325.
(4) FABER, Progressi, cit., cap. XXII.

19
se ne fossero dimenticati ». E in quarta edizione (1866) aggiunse i due aneddoti del rammentare ai genitori la preghiera, e il piccolo dramma di protesta per la trascuratezza d´un tale che si asside a mensa « come le bestie » (i).
Come per S. Luigi, avviene nel nostro una prima precoce rivela¬zione, come uno schiudersi della gemma che poi darà il fiore. La pietà prende una forma, e il cuore si dilata nell´amor di Dio, riflettendosi nella vita esteriore.
E si dischiude allora, tra i cinque e i sette anni, l´anima alle espan¬sioni dell´amor divino, alla pietà, che giunge al fatto eroico. Qui ancora
stanno le parole del Segneri: « Come l´eliotropio si volge al sole, come la calamita si volge al ferro,... C,Osi certe anime singolarmente elette da Dio sogliono avere non so quale occulta virtù, che interior¬mente trasportale a ricercarlo prima ancora che lo possano cono¬scere » (z).
E così il primo lampo di ragione che gli splende nella mente è quel¬lo che come da un alto sonno lo risveglia, e fa che con gran chiarezza
viene a conoscere Iddio e a dedicarsegli don altrettanto fervore. Egli,
come S. Luigi, può dire di aver cominciato ad amare Iddio nel primo istante che cominciò a conoscerlo (3). Prima lo riveriva e amava per
un istinto, ch´era una grazia di Dio: ora, con precocità di amore, si abbracciava a Lui, filialmente, come col padre suo. Dice bene il Ra¬dini-Tedeschi: « i cinque anni sono per lui il principio d´una precoce maturità» (4).
Non è una frase oratoria, è una realtà. Don Bosco nota senz´altro che « qui ci sono cose che appena si crederebbero, se chi le asserisce
non escludesse i nostri dubbi » (5). E riporta la relazione del cappel¬lano-maestro di Murialdo, dove ora stavano i Savio, che descrive il fanciulletto di forse cinqu´anni che va alla chiesa con la mamma: « la serenità del suo sembiante, la compostezza della persona, il suo atteggiamento divoto, trassero sopra di lui gli sguardi miei e quelli degli altri ». Com´è detto di parecchi santi, e dí S. Luigi (6).
Ma poi ci va da se, e se la trova chiusa, si reca sul limitare della
(i) Nel Processo (cfr. Sonno. cit., pag. 44, dep. Tosco-Savio) il fatto è anche più vivace: I Si allontanò da tavola, e andò con la scodella in mano a mangiare in un cantuccio
(z) Panegirico, cit., art. IV.
(3) SEGNERI, loc. Cit.
(4) 01. cita pag. 16.
(5) Vita, cap. II, pag. Io (ediz. 39-).
(6) Cfr. Lez. del Breviario per S. Leonardo da P. M., S. Giovanni Nepo¬muceno, ecc.: per S. Luigi, cfr. MESCFILER, Vita cit., pag. 24, dove cita i Boi¬landisti 924-F.

20
porta, si mette ín ginocchio, e col capolino chinato e le manine giunte innanzi al petto, prega fervorosamente, finchè sia aperta la chiesa. E talvolta c´è fango, o piove, o nevica: « Ma egli a nulla badava e vi si metteva ugualmente ginocchioni a pregare» (I).
É l´eroismo d´un fanciullino: tutto l´eroismo di cui è capace a qual-l´età l´amore di quell´anima. E proprio in quegli anni, circa il 1846-47, a Mornese, una fanciulla santa faceva il medesimo, portando in chiesa la neve sugli zoccoli, che si gelava stillando sul suolo. Era la B. Maz¬zarello (z).
E imparò a servir la messa, a cinque anni, e i graziosi aneddoti non mancano, a mostrare lo sforzo del piccino che non arriva all´altare e non regge al peso del messale: eppure, per fargli piacere, basta acco¬stargli il leggio perchè possa far da sè. E serve devotissimamente (3).
Qui si sente il soprannaturale, il lavoro della grazia di Dio. Sono anzi i misteri della grazia. Dei Santi noi conosciamo • solo la vita esterna: le operazioni intime della grazia rimangono un segreto, un mistero per noi: sono i modi di Dio verso l´anima umana, modi misteriosi (4). Ma i fatti esteriori ci fanno intendere che appunto vi deve intervenire un qualche cosa di misterioso, di cui non riusciamo a disegnare la forma, mentre ne sentiamo la presenza.
Ed è un´attrazione secreta, che rapisce l´anima del Santo oltre la sfera della vita semplicemente buona, e che nessun argomento psico¬logico riuscirà mai a spiegare. Qui vi è un fascino secreto in azione, niente meno di un fascino: ed è la bellezza di Gesù, ch´è la vita e la luce del cielo delle anime. Anche sui fanciulli agisce codesto fascino: fanciulli, come il Nostro, santi nell´infanzia, dei quali la ragione fu anticipata affinchè potessero amare Gesù: un fascino che li rapisce e porta fino agli atti eroici (5).
Solo il soprannaturale (e Don Bosco lo lascia intendere colle pa
(i) Vita, pag. rr. — La lettera originale di Don Zucca (riferita in Somm. Proc., pag. 445), alquanto racconciata da Dori Bosco (e ce n´era bisogno!) non ci dà questo particolare: ma l´Autore deve ´averlo saputo parlando con lui, ed è del resto accertato nel Processo dalla sorella: ci I cappellani e i devoti lo trovavano inginocchiato e intirizzito dal freddo sulla porta della chiesa ». Somm. Proc., pagi¬na 43. — Nelle Animadversiones della Sez. Storica si contestò all´Autore il rifaci-mento del documento originale (che non poteva inserirsi tale e quale), ma non il fatto come fosse inventato.
(a) E lo si leggerà ancora, pochi anni dopo, di Francesco Besucco in Ar¬gentera.
(3) Vita, pag. 12. — I Processi confermano e completano con vani partico¬lari i riferimenti dei Cappellano. Per S. Luigi, cfr. MESCtILER, cit., pag. 24.
(4) FABER, // SS. Sacramento, pag. 233 e 299.
(5) La dottrina è del FABER, Creatore e Creatura, pag. 407-409.

21
role che abbian ricordate) ci può spiegare ciò che avviene in questo fanciullo. E il soprannaturale lo circonda anche visibilmente_ fl padre di lui ricorda che, portandolo una volta ad una festa in un borgo vi¬cino, al ritorno si tapinava per la stanchezza del cammino: ed ecco un giovinotto gli compare accanto, che se lo piglia in braccio e lo porta fin presso casa, e scompare. E il buon padre pensa ad un fatto mira¬coloso (a).
Più tardi, ma forse non troppo, l´Angelo suo lo aiuta a trar fuori dall´acqua, ove rischia d´annegare, la sorellina Raimonda, certamente ben greve per le sue forze, ed alla meraviglia degli altri risponde: « Non è colle sole mie forze che son riuscito: perchè, mentre con un braccio tenevo la sorella, dall´altra mano ero aiutato dall´Angelo Cu¬stode» (2).
Quando si pensa a tale stato d´animo, quasi non meraviglia più o si trova naturale che la sua condotta esterna fosse quella di un caro fanciullino che non manca in nulla, e alla scuola, dov´è messo a sei anni, profitta per la sua diligenza ed è la consolazione del maestro. Comincia a manifestarsi la sua precisione nel dovere, che sarà ammi¬rata poi sempre anche dai condiscepoli, ed è il primo segno, più tan¬gibile ed indispensabile, della vera pietà; così si afferma la sua com¬postezza e, se può dirsi, serietà, nell´avversione alle consuete monel¬lerie, e peggio, dei compagni discoli e scioperati; già si delinea in quel primo vivere sociale il suo spirito alieno dalle contese, e più, la sua pazienza, che diventerà un giorno eroica, nel sopportare gl´insulti dei compagni e nell´allontanarsene senza ripicca. E non adduco, per brevità, ciò che si legge, nel Breviario, dell´infanzia di molti Santi, dei quali, con poca varietà,, si ricorda che gravem et a nugis alienam indolem puerili aetate ostendit (3).
Pensando a codesta infanzia, non si può non ricordare le parole del Cagliero, che conobbe ed amò teneramente l´angelico fanciullo, quando affermava che: « egli praticò le virtù teologali, carelinali e morali in modo non comune, e con tanta spontaneità e facilità, che fanno conoscere averne come un abito fin dalla prima infanzia » (4).
(I) SALOTTI, op. cit., cap. XV, 178. — Ricavato dai Processi. (z) Somm. Proc., pag. 218, dep. Teresa Tosco-Savio.
(3) S. Ben. jos. Labre, Lect. IV. Cfr. pure le lezioni di S. Giuseppe della Croce, S. Alfonso Lig., Raimondo di Pennafort, Brunone, Lorenzo da Brindisi, Ludovico da Tolosa, e a.
(4) Somm. Proc., pag. 102. — II medesimo asseriva (Ibid., pag. 99) D. Giovanni Melica: e Praticava le virtù con tanta naturalezza, da poter dire che erano già ra¬dicate in h, fin dall´infanzia. ».
8 VIGL1A, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.

CAPITOLO II
I sette anni: la sua parola.
I sette anni sono, per la breve e pienissima storia di Savio Dome¬nico, una data; la prima vera e grande data della sua santità. Don Bosco, il quale non si è dato troppo pensiero della cronologia bio¬grafica (e lo dice, al capo VIII) ha tuttavia segnato i tempi dell´anima, almeno nelle ore e momenti decisivi: segno che gli stava a cuore la storia intima non meno della vita esterna in cui quella si rifletteva e dimostrava.
t stato detto che le vere date della vita umana sono i giorni e le ore in cui si ebbe una nuova idea di Dio (i); e il sintomo più sicuro del crescere in santità è il sempre crescente sensibile amor di Gesù (2). L´uno e l´altro fatto si avverano in queste ore dell´anima: in Savio come in S. Luigi.
Il fascino di Gesù, che lavora l´anima prima della conoscenza, come ha notato il Segneri, diviene amore consapevole quando la co¬gnizione si dischiude nello svelarsi dell´intelletto; ai sette anni, per gl´individui meglio dotati, e nel caso nostro singolarmente privile¬giati, sembra quasi che il crepuscolo degli anni primi si apra ad una Ince, mattutina ancora, ma luce chiara. Ed è stupendo codesto illu¬minarsi del cielo dell´anima nelle creature di santità che non giunge¬ranno a sera: sembra che il Creatore vi disponga più serrate le ore e più vivido il chiarore, anticipando il meriggio. Gli è che alla luce del giorno di tutti si aggiunge, e a certo momento sottentra, una luce che non è più di natura, ma di cielo; e si fa il giorno della grazia pieno e radioso prima del meriggio degli astri.
Tra il Savio e San Luigi (ed io li ravvicino tanto più volentieri, perché in queste prime ore non può pensarsi ad una imitazione che il nostro faccia del Gonzaga) corre più di una somiglianza di fatti e di incidenze di tempi. Per S. Luigi, dopo i primissimi albori dei cinque
FABER, Il Prezioso Sangue, pag. 17. (2) Ihid., pag. 4o.

´-‘4, 23
anni, sono i sette anni, ch´egli chiamava il tempo della sua conver¬sione; i nove anni, in cui consacra a Maria la sua virtù angelica; gli undici anni, quando si dà alle penitenze più rigide; i dodici anni, al¬lorché, per la prima Comunione, egli apprende da S. Carlo la ´vita Eucaristica e la pratica dell´orazione. Non vado oltre, perché super¬fluo pel nostro confronto.
Nel Savio sono i cinque anni, colle prime tenerezze della pietà; i sett´anni, con la prima Comunione; i dodici, con la venuta all´Ora¬torio di Don Bosco, e qui l´Immacolata del 1854, la risoluzione di farsi santo nel marzo susseguente, e l´ultima, la più alta e radiosa delle sue ore, dopo l´istituzione della Compagnia dell´Immacolata Concezione. Sono, per la vicenda dell´anima che si santifica, altrettante ore e mo¬menti, e potremmo ben dire epoche, se si pensa al meraviglioso cu¬mulo di lavoro che la grazia di Dio opera in lui, e all´intensità di la¬voro ch´egli compie nel corrispondervi.
La santità consiste appunto nel corrispondere alla grazia. Nel fatto, una grazia prontamente corrisposta arreca un´altra grazia, e così di seguito, per una serie sempre crescente in numero, quantità, bellezza, efficacia, e l´irresistibile celerità del processo di santificazione, quale vediamo in questi santi di pochi anni, ci sí presenta come cosa da re¬starne sbalorditi. E se noi potessimo seguire nei singoli particolari, e ad una ad una, tali corrispondenze tra l´amor di Dio nell´anima e l´anima nell´amor di Dio, noi vedremmo come quasi inconsciamente essa è condotta ad altezze di santità, che la natura tremerebbe a con¬templarla quando è pervenuta all´elevazione per lei suprema, più che nella sua graduale ascensione: quella si vede finalmente; questa non si riesce a seguire, perché sono i modi di Dio segreti e miste¬riosi (t).
Codesto lavoro, percettibile almeno nei suoi effetti, si rivela, per il nostro piccolo santo, ai sette anni, e l´attrazione di Dio in quell´ora può dirsi che dia forma a tutta la vita.
o o 0
t l´ora della Prima Comunione. Noi sappiamo come quell´anima vi è disposta: Don Bosco (Capo III) dice pure che « ardeva dal desi¬derio di accostarvisi». Quel modesto cappellano di Murialdo, rude maestro della piccola scuola, ma buono e bravo prete, fu capace di
(i) Per la dottrina, cfr.: FABER, II piede della Croce, pag. 435-36; Betlemme, pag• 435-36; Betlemme, pag. 171; Il Prezioso Sangue, pag. 233 e pag. 299. (Ediz. Torino, Marietti).

24 `1--,
comprendere la cara anima del fanciulletto così sveglio nell´intelli¬genza e singolare nella devozione, nonostante l´apparenza troppo te¬nera del suo essere quasi di bimbo. E quell´aria e piccolezza infantile, aggiunta alla consuetudine dell´ammettere alla Comunione soltanto agli undici o dodici anni, era un ostacolo non lieve per adempiere al vivo desiderio del fanciullo e, perchè no ? a quello del maestro, che sentiva in lui qualche cosa che in altri non c´era. E si consigliò con altri sacerdoti, i quali considerando la cognizione precoce, l´istruzione (sapeva a memoria già tutto il piccolo catechismo) e i « vivi desiderii » di Domenico, « lasciarono da parte tutte le difficoltà e lo ammisero ».
La consuetudine adunque non era accettata formalisticamente (i), e i sacerdoti di quelle terre non erano rigoristi: diciamolo a loro me¬rito, e ad onore del clero dei paesi di Don Bosco. Si son dette tante inesattezze su questo proposito, perfino pensando a correnti gianseni¬stiche, da sentirsi ben lieti di poterle smentire coi fatti. Il Cagliero fu presente, tra gli undici e dodici anni, alla prima Comunione del Savio, facendo la sua terza Pasqua, e cioè era stato ammesso a nove anni (a), e non è detto che abbia incontrato difficoltà. Quei buoni preti seguivano appunto il criterio dell´ammettere alla Comunione « quando si sapeva distinguere il pane celeste dal pane terreno », come dice la lettera di Don Zucca, e come pensa Santa Chiesa (3).
Ritorno al concetto, espresso più sopra, dell´ardenza del desiderio ch´era nel fanciullo. Il fascino di Gesù, che davanti all´altare lo teneva assorto come in contemplazieine, era soprattutto quello che emana dal Magnete delle anime: Gesù presente nell´Eucarestia. L´idea di questa attrazione non è mia, e discende da due autori, ugualmente autore¬voli, e distanti fra loro: il Faber e il Columba-Marmion (4). Accet¬tiamola, che ci serve mirabilmente, traducendo la nozione del fascino
(i) La consuetudine, del resto, non era infondata, per quei tempi, molto an¬cora arretrati, quanto ad istruzione, rispetto ai nostri, specialmente nelle campagne. E non era del solo Piemonte, ma universale.
(2) Somm. Proc., Cagliero, pag. 533. La 55 Comunione del Cagliero era stata nel 1847, ed egli era nato nel 1838: nove anni. — Il Besucco, all´Argentera, dico. di Cuneo, fu ammesso alla Comunione a otto anni e mezzo, e pare che l´ottimo arciprete, suo padrino, non stesse a misurare i tempi col calendario neppur per gli altri.
(3) Decr. Quam singulari, di Papa Pio X (8 agosto 19/o): n ...aetatem discretio¬nis ad Communionem eam esse in qua puer panem eutharisticum a pane communi et corporari distinguere sciat, ut ad altare possit accedere s. E l´art. III ritorna nel concetto, collegandolo con la istruzione sufficiente e coi fine del ricevere l´Eu¬carestia colla miglior divozione possibile a quell´età.
(4) FABER, Il SS. Sacramento., lib. IV, cap. 6: Il magnete delle anime, 442¬46g. — COLUMBA-MARMION, op. cit., parte II, cap. VII. Ma il concetto e l´espres¬sione sono del Faber.

35
e dell´orientamento magnetico dell´anima nel fatto spirituale del¬l´anima di quel bimbo che da tempo, dal primo accostarsi con mamma e da solo all´altare, si sentiva attratto verso quello e come portato da una forza arcana ad avvicinarsi e ad unirsi al Gesù che sentiva pre¬sente. È una mistica anticipata, ma non impossibile, sia che la ve¬diamo secondo la grazia, sia, chi lo crederebbe? che la collochiamo tra i fatti psicologici della mistica incosciente (i).
Don Bosco ha segnato ben tre volte in un capoverso codesta at¬trazione, dicendo di ardore, di vivo desiderio, e, naturalmente, confessa dí non aver parole per dire della gioia in cui quel desiderio appagato si effonde. Ce ne dà però il segno: il bimbo corre a dirlo con trasporto alla mamma, e poi sembra non trovar più posa nè contenersi: ora prega, ora legge, e si trattiene a lungo davanti all´altare prima e dopo messa: l´anima di lui è presente al suo Dio nella letizia dell´attesa: « pareva, dice Don Bosco, che l´anima sua abitasse già cogli angeli in cielo ». È una preparazione alla quale nessun libro può suggerire nulla; essa viene dal cuore, che palpita del sentimento indefinibile della vici-nanza di Dio.
Anche il rito farnigliare del perdono (2), ch´egli la sera innanzi al suo giorno viene a domandare alla mamma, con parole d´uso, con promesse singolarmente comuni, si compie tra quel trepidare del cuore: ed egli dà in pianto di commozione, che intenerisce quella donna fortunata, e le fa dire: « Prega Dio che ti conservi sempre buono » perchè sente che non ha nulla da rimproverare.
E così la preparazione immediata: l´ansioso correre sul primo mattino alla Chiesa, e l´aspettare pregando su quel suo consueto limi¬tare: ed entra il primo, e ci sta cinque ore, e n´esce l´ultimo. Quel giorno vi era anche il Cagliero undicenne, e faceva Ia sua terza Pa¬squa. Ed egli ricordò al processo l´ammirazione del popolo di Caste!, nuovo « per la divozione con la quale (il Savio) fece nella Pasqua del 1849 la sua prima Comunione, sia per la compostezza, sia per la sua pietà e divozione non mai veduta, come per la poca età dei sette anni » (3).
Don Bosco non s´indugia in commenti e parole ammirative, per interpretare quel che si passa nell´anima d´un innocente che si comu
(i) Riserbando a più oltre una particolare spiegazione, mi limito ad accennare alla dottrina del TANQUEREY, op. cit., e di JuLEs SEcomp, La prière (Paris, Alcan, 1911), cap. II e VIII.
(2) Era d´uso una volta, e raccomandato anche, preparando i giovanetti alla prima Comunione. Cfr. D. Bosco, Pietro, o la forza della buona educazione (cap. III,
pag. z8. Edizione 1855), dove le ingenue parole del fanciullo toccano il cuore
del padre traviato.
(3) Senni. Proc., cit., pag. 133.

26
nica: ha così chiara la persuasione che quello scambio d´amore tra l´anima e Dio non si traduce colla parola umana, che qui e altrove (diciamo: sempre) evita ogni pia amplificazione (i). Ma una parolà basta .per tutte, e poi, si, viene la prova dei fatti nei quali quell´ora s´impronta allora e per sempre. « In tutto quel tempo, dice, non sa
peva più se fosse in cielo o in terra ». È l´esprimere con una frase fatta ciò che invece disegna uno stato d´animo misteriosamente oc
culto agli occhi, e che si avvera appunto nello stato mistico della consapevolezza dell´unione con Dio (a). L´età tenerissima del fan¬ciullo non è un impedimento a che l´anima privilegiata di lui non possa vivere misticamente quell´ora, come poi vivrà molte ore e molti giorni, in un assiduo senso della presenza di Dio e nel secreto collo¬quiare con Lui. Ce lo dirà a suo tempo Don Bosco stesso.
Intanto egli ci mette innanzi il valore capitale di quel giorno me¬morando per la storia spirituale del suo piccolo Santo. Capitale, di¬ciamo, giacchè « quel giorno fu per lui sempre memorabile, e si può chiamare un vero principio o piuttosto continuazione di una vita, che può servire di modello a qualsiasi fedel cristiano ».
Esso lo dice, e Savio lo sentì: « Parecchi anni dopo, facendolo parlare della sua prima comunione, gli si vedeva ancor trasparire la più viva gioia sul volto. Oh! quello, soleva dire « fu per me il più bel giorno, ed un gran giorno! ».
o o o
Che cosa dunque era passato, quel giorno, nell´anima di lui, da volgerlo per sempre verso le vie della santità, e segnare nella sua memoria intima quell´ora come una data memorabile e decisiva?
Quello che abbiam detto poco fa, e che la parola non descrive, e l´età, non aveva vietato che avvenisse: l´unione mistica dell´anima con
Dio, mediante un colloquio arcano e un patto secreto, e, si può dire, reciproco; una consacrazione offerta e accettata, con una sanzione divina e uno scambio di parola, quasi di firme, tra l´anima e Gesù.
Non è troppo argomentar così, per un fanciullo di appena sette anni. Chi può dire che cosa sia l´intelligenza d´un´anima permeata da Dio? E qui la precocità, anche umanamente parlando, s´era già affermata; tanto che, fuori d´ogni consuetudine, lo si era visto maturo e capace di tanto.
(i) Si confronti, per es., le pagine del Pietro (p. pr., n. 2) dove lo scrittore de¬scrive anche l´atto del comunicarsi; così quella del Besucco, dove D. Pepino s´in¬dugia in commenti. — Ma non sono pagine di Don Bosco.
(a) Lo vedremo a suo luogo, citando, per es. il TANQUEREY, 1448-r45o, e il SECOND, cit., cap.

27
Non è troppo; e la prova sta in quei Ricordi che le sue piccole manine vergarono sul foliolo che « conservava gelosamente in un libro di divozione, e che spesso leggeva ». Essi sono ad un tempo la formola d´una consacrazione e la parola dell´impegno preso nel patto ¬secreto con Dio: una parola ch´egli ripeterà altre volte, come a ricon¬ferma, nelle altre ore decisive della vita e fino alla morte.
È Don Bosco medesimo che vede in quei ricordi codesto signifi¬cato e valore di programma: « essi furono, scrive, la guida delle sue azioni sino alla fine della vita » (i).
E poniamo pure che qualche spunto di quei ricordi sia stato ispi¬rato da chi lo preparò, il buon cappellano, che non doveva essere un´anima volgare: ma la parola, quella antonomastica del Savio, no, non glie l´hanno suggerita. È troppo sua, per sempre. Essa è venuta da sè, in quel mistico dialogare della Comunione.
I primi due propositi sono il riflesso della sua preparazione cate¬chistica e spirituale: quella del confessarsi spesso e far la comunione tutte le volte che il confessore ne dia licenza, è indizio della sana dire¬zione (non giansenistica dunque, nè rigorista!) avuta e passata in con¬vinzione, così come quello del «.voler santificare i giorni festivi?) è un articolo di vita cristiana appreso già nell´aria di famiglia. Ma il terzo proposito: « I miei amici saranno Gesù e Maria », è più intimo, e se la formola può essersi trovata nel libro di divozione, non è rimasta, come di solito, una bella e divota espressione, ma si è fatta cosa tutta di lui, che l´ha sentita nel cuore in tutta la sua significazione.
Perché il valore di tali propositi non è tanto nella maggiore o mi¬nore originalità della loro formulazione, quanto nella scelta fattane da lui, come programma e visione della vita. Per questo e con que¬sto si accresce senza paragoni il valore della grande parola di quel giorno e di tutta la figura spirituale del Savio: La morte, ma non peccati.
Come gli sia venuta un´idea così possente e totalitaria, non è dato di rintracciare. Non consta che fosse tra le formole correnti nei libri di divozione, se non nell´Atto di contrizione in uso a quei tempi e per molti dappoi, fino ai giorni nostri (a); ad ogni modo la sua recet¬tività spirituale l´ha assorbita e quasi estratta, trasformandola nella formola che rimane tutta sua, e passerà nei secoli col suo nome.
(i) Tra l´altro, veda il lettore come Don Bosco, sente parole di lusso e pose dottrinarie, sa ben segnare i momenti psicologici e rilevarne i valori spirituali anche più intimi e squisiti. E si neghi poi che questo libro è un capolavoro!
(a) La formola dell´Atto di Contrizione in uso nella Diocesi di Torino, e ri¬portata nel Giovane Provveduto del 1847, diceva: a Vorrei prima esser morto che avervi offeso ».

28
0 o o
A questa, ch´è l´idea centrale di tutto il divenire del giovane santo, Don Bosco ha dato, e scrivendo la Vita. e sempre poi, parlandone, e perfino nel farne disegnare il ritratto, il massimo valore che si può dare ad un´idea madre, vedendovi il fondamento della spiritualità pratica cristiana e l´efficacia dinamica d´un assioma morale ed edu¬cativo.
Collocata nel suo giusto punto, nella storia dell´anima giovinetta del Savio, come nel quadro più ampio della spiritualità cristiana, essa non è una limitazione di orizzonte spirituale, come un semplice do¬vere e assunto di giustizia assoluta (i): bensì una forma dell´amor di Dio, che racchiude in sè le più vaste fioriture di santità. Il dovere di preferire la morte all´offesa di Dio è già chiaramente espresso da S. Agostino, commentando il Vangelo: Qui amai animam suam, perdei eam, e finisce con dire al cristiano: ibi eligat Deo diletto errori, quam offenso vivere: preferisca, morire amando Dio, che vivere offenden¬dolo (2). E il vecchio atto di Contrizione diceva: «Vorrei prima esser morto che avervi offeso ». Così la regina madre di S. Luigi di Francia gli diceva di volerlo piuttosto morto che vederlo offender Dio, come si legge dell´umile mamma del pastorello delle Alpi, Francesco Be-succo (3), e, perchè no ? forse fu detto dalla santa madre al nostro Savio: sono l´espressione del profondo sentimento cristiano.
Ma non è ancor tutto quello che dobbiamo saper vedere nell´anima del nostro santo fanciullo quando scrive quel motto. La sua non è mai una religione spaurita, e quelli che lo hanno ammaestrato nell´in¬fanzia gli hanno, con santo e verace senso della pietà, insegnato a voler bene al Signore e alla Madonna: una tenerezza verso Gesù, che porta ad operare con lui, com´Egli desidera, con l´istinto d´amore, e non con lo spirito angusto d´un obbligo da soddisfare e d´un castigo
(i) È l´errore spirituale di troppi buoni cristiani quello di a limitar la propria vita cristiana al solo evitare il peccato mortale od essere di edificazione a chi sta loro intorno, come se le dottrine di perfezione non lì riguardino, e iI servir Dio per solo amor di Dio fosse cosa d´una professione speciale. Pensare così è mettersi fuori di tono con una parte importante e considerevole del sistema cat¬tolico ». Cfr. FABER, Il Creatore e la Creatura, pag. 37. — L´andare alla buona che certuni hanno creduto di attribuire a Don Bosco, si risolve nella falsa disin¬voltura spirituale.
(a) Attuus-r., In Re. Joh., Tract. LI, in cap. XII, § so. Cfr. MIGNE, PL, XXXV, 1767.
(3) Vita, cap. I. Fil santo giovanetto, morente, manda a dire a sua madre che a la sua preghiera fu ascoltata da Dio i. Cap. XXIX.

29
da temere (i). «I miei amici saranno Gesù e Maria» dice il terzo suo proposito. E dall´amore non definito in parole, ma compenetrato nel¬l´anima, deriva quella parola. È appunto l´amore affettivo quello che ispira quegli atti e desiderii eroici, onde si forma una persona nuova e tutta pel cielo; e di tali desiderii è il proposito di evitare ogni sorta di peccato, a qualunque costo (a), nel che si avvera l´eroico dell´a¬more.
Ed è chiaro che ciò presuppone un´istintiva e crescente sensibilità di coscienza, che comprende sempre meglio che cosa sia il peccato (3), e conduce a vivere in uno stato di preventivo abborrimento di ciò che si oppone o rallenta la foga dell´amor di Dio: uno stato d´amore vivo e costante che detesta ogni deficienza (4). Io vorrei riportare qui per intero tutte le pagine profonde e divote del classico libro del. Columba¬Marmion, nel prezioso capitolo: Delicta quis intelligit? sulla morte al peccato e l´odio del peccato; e vi accosterei il magnifico Capo XIX dei Progressi dell´Anima del Faber, dove il tema del Dolore incessante del peccato si volge intorno al concetto iniziale dell´odio al peccato (5). Credo che ne verrebbe luminosa la prova che dunque il proposito del nostro piccolo santo è frutto di amore, e vive d´amore, come un portato della tenerezza per Gesù. È un dono che sta alla radice d´ogni perfezione, e forma il vigore soprannaturale della perseveranza: la più sicura ed efficace delle grazie speciali (6).
Ora intendiamo forse meglio perchè Don Bosco, santo alla sua volta, abbia dato tanto valore a quei propositi del suo piccolo futuro discepolo, e n´abbia veduta la continuità nella vita susseguente. Non un solo valore esemplare, ma intimamente e radicalmente effettivo di spiritualità. E non gliene son mancate le prove. Certamente quella prima volta che il Savio si disse quella parola, non era in lui che il portato di un amore ch´egli stesso non si definiva, mentre la grazia di Dio, che lavorava in lui, gli atteggiava la mente verso quel pen¬siero. Ma quando, più tardi, negli sfoghi dell´anima che si dedica al¬l´Immacolata (7), e finalmente nell´estasi d´amore, quando dialoga ad alta voce col suo Gesù, egli protesta ancora di amarIé- e volerlo
(I) FABER, Il piede della Croce, pag. 77.
(a) FABER, Tutto per Gesù; Pratiche di lode e di desiderio, pag. 347, e 356¬57, dove riporta il Lancisio.
(3) FABER, Progressi, cit., 311.
(4) FABER, SS. Sacramento, cit., 308.
(5) CoLont-BA-1VIARmioN, op. cit., pag. 205-227, — FABER, Progressi dell´anima nella vita spirituale, pag. 301-317.
"(6) FABER, Il piede della Croce, cit., 77. (7) Vita, cap. VIII, ediz. ta, pag. 40.

3o
amare fino alla morte, e domanda: « Se voi vedete che io sia per of¬fendervi, mandatemi la morte: sì, prima la morte, ma non peccare! » (i): allora il significato foratale della grande parola, ch´è tutta sua, appare luminosamente: ed è l´amore.
Dire che in quella scelta di propositi, nell´aver cioè a sett´anni ve¬duto in quello spirito la sua vita, non vi sia del soprannaturale, e un´illustrazione superiòre che inspira e guida quell´anima, mi sembre¬rebbe un disconoscimento dell´evidenza, e un´esagerazione quasi pela¬giana delle capacità di natura. Questo fu un lavoro, uno dei tanti, ma primario, della grazia di Dio.
Quei propositi, come ci ha detto Don Bosco, rimasero il pro¬gramma della vita, e, poichè sono l´espressione e il portato dell´amore, possiamo, guardando più all´interno, chiamarli il lievito, il fermento della vita vissuta. La sua storica parola non era sconosciuta a quelli che con lui trattavano più intimamente, e la sorella può dire al Pro¬cesso d´averla saputa dal padre e poi da Don Bosco (2). Ed essa mede¬sima soggiunge che nessuno l´ha mai visto commettere alcuna man¬canza neppure leggera. Ed è appunto l´affermazione unanime di tutti i testi che depongono sull´articolo De heroica caritate in Deum (a), e più d´uno ricorda in tal senso espresse parole di Don Bosco (4).
E l´essere tali affermazioni collegate con il tema dell´amor verso Dio (la deposizione del Cagliero, in questo senso, è categorica) (5), conferma la fondatezza della nostra dimostrazione. Quel fermento compenetra realmente tutta la sua piccola vita quotidiana, vissuta, non fuori del mondo, o isolata in mezzo ad esso (l´osservazione è di PP. Pio XI) (6), ma nel piccolo mondo della sua condizione e del suo dovere: semplicemente e alla luce del giorno. Ma in quel che appare al di fuori c´è il riverbero dell´interno, e questo interno, nonchè river¬berarsi, produce, più d´una volta, ed anche durevolmente, l´eroico. Nei cinque anni che intercedono tra la Prima Comunione e l´incontro con Don Bosco, noi assistiamo ad un intensificarsi ed accelerarsi del lavoro dell´anima, che svolge quel primo getto di grazia rivelatoci dai suoi propositi e dalla sua grande parola.
(r) Vita, cap. XIX (alias XX), ediz. 1A, pag. 95. (a) Somm. Proc., pag. 189.
(3) Somm. Proc., tit. VIII, 186-z11
(4) Somm cit., pag. 198 (dep. Barberis); pag. zoo (dep. Amadei, dalla Cro¬naca di Don Ruffino, coeva).
(5) Somm. Proc., pag. 193.
(6) Disc. cit., 9 luglio 1933, § ´ Un giovane che non passa i suoi anni
rinchiuso in una vita particolarmente custodita, ma, come appunto accenna il de¬creto, ma, prima in mezzo al mondo, poi, ecc. *.

CAPITOLO III
La fanciullezza e i « lavori della grazia di Dio ».
Don Bosco ha dunque dato al fatto della Prima Comunione tutto il rilievo che vi conviene, chiudendo la sua narrazione col riflesso del riverberarsi di quel giorno su tutta la vita del suo alunno. E per i fini del suo libro ne trae una didascalia educativa intorno al valore che ha, per le sorti della vita morale, la Prima Comunio ne. Ai giovanetti una parola sola: « farsi modello il giovane Savio ». Ai genitori inculca « di dare la più grande importanza a questo atto religioso « La prima Comunione, scriveva nelle prime edizioni (i), è l´elemento di tutta la vita »: nelle successive dice che: « la prima Comunione ben fatta pone un solido fondamento morale per tutta la vita ». E Chiama « cosa strana che si trovi alcuno che abbia compiuto bene quei solenne dovere, e non ne sia succeduta una vita buona e vir¬tuosa ». Laddove « si contano a migliaia i giovani discoli, che sono la desolazione dei genitori e di chi si occupa di loro »: ma se si va alla radice, si conosce che la loro condotta ha origine « dalla poca o niuna preparazione alla prima Comunione ». E conclude severamente che «è meglio differirla, anzi meglio non farla, che farla male » (2).
Nei tre capitoli seguenti è descritto il periodo della fanciullezza fino ai dodici anni, quando avviene l´incontro con Don Bosco. Qui l´Autore si vale massimamente delle relazioni avute dai maestri, e delle notizie dategli da quei di casa, ed anche dai compaesani e dai
(i) Vita, cap. III; 18 ediz., pag. 20-21; 35 ediz., 16-17.
(z) Oltre che in queste pagine del suo libro, Don Bosco volle anche molti-plicarne l´esemplarità con far eseguire dal Doyen di Torino, nei primi anni dopo il 1859, una suggestiva litografia in nero come Ricordo di prima Comunione, dove propone ai fanciulli un Modello di virtù in Savio Domenico, del quale ricorda la 1a Comunione a sette anni, e riporta i Ricordi ch´egli si scrisse quel giorno. Il testo è firmato: Un amico dei fanciulli. — Ne pubblichiamo un facsimile ridotto di 2/,, da un esemplare trovato a Chesio di Valstrona (Novara), presso la figlia della Comunicante ivi nominata. Era allora Prevosto il Cm. Carlo Primatesta, grande amico di Don Bosco.

32 **--,
compagni di scuola: notizie che ricompaiono nelle testimonianze dei
Processi insieme con altre da lui non riferite nel libro, ma certamente conosciute (i).
Ricchi di contenuto sono questi tre capitoli e il periodo della vita che vi corrisponde: ricchi di atti virtuosi, di particolari significanti un´ansiosa prosecuzione d´un alto ideale, e una osservanza e dili¬genza indefettibile e certamente straordinaria nell´adempimento dei doveri: il tutto irradiato dal riverbero di sentimenti eccezionali e di
fatti eroici, che scaturiscono da un´interiorità non conosciuta da al¬cuno e, per quell´età, non facile a presumere.
La vita di lui in quei cinque anni venne via via sempre meglio rivelandosi come non comune e, benché di cose interne e di virtù eroiche il mondo circostante non potesse intender nulla, c´era intorno a lui come la sensazione di un qualche cosa di speciale, d´una bontà particolare, che attirava l´attenzione e quasi il rispetto; certamente la simpatia, che anche dopo non gli mancò mai. Senza poterlo definire, era la presenza in lui della grazia di Dio che s´irradiava intorno. Nella loro semplicità i compagni lo stimavano perché era più buono di loro (2); le madri lo additavano a modello per i suoi diportamenti (3):
con giusta comprensione i tre maestri ne segnarono le virtù e le esal¬tarono.
È doveroso render merito (non dico giustizia) a quei tre bravi e buoni sacerdoti maestri. Essi capirono il Savio da educatori e da uomini spirituali, ed essi diedero alla sua anima religiosa indirizzi non superficiali e praticoni, non rigoristi e paurosi, ma nella soda sem¬plicità e praticità dei loro avviamenti, lo volsero alla visione amorosa della pietà e della vita cristiana. Don Zucca, la cui lettera, nella forma documentaria superstite, farebbe credere rude e fegatoso, scrive nella medesima pagina parole belle del suo piccolo alunno, e lo comprende tanto che lo fa ammettere eccezionalmente alla prima Comunione, praparandovelo piamente, come si vede dai propositi ch´egli ha segnato. E Io ha tenuto a scuola più di tre anni. D. Alessandro Allora, il mae¬stro di Castelnuovo, ci ha lasciato un ragguaglio minuto di tutte le belle qualità e abitudini del suo scolaro; al suo occhio sagace e pene¬trante non sfugge nulla di ciò ch´è in lui di veramente significativo, e il bene che gli vuole gli fa vedere cose che altrimenti non si note¬rebbero. Eppure non l´ebbe con sè che quattro mesi. È sua la parola che rivela lo spirito del prete educatore: quando segna con speciale
(i) Valgono specialmente le testimonianze di Carlo Savio, Francesco Desi¬deri, Domenico Molino, compagni di scuola, e della sorella Teresa Tosco-Savio. (a) ,Somm., Carlo Savio, 396.
(3) Sa.

33
ammirazione la diligenza del suo alunno nell´adempiere i più minuti doveri di scolaro cristiano; un´idea che fa tutt´uno del dovere e della religione.
Terzo ed ultimo viene Don Cugliero. Nonostante l´episodio che diede occasione al fatto eroico del Savio, esso ci appare come buon intenditore delle cose dello spirito, e uomo poi di buon cuore e cari¬tativo. L´ammirazione per lo scolaro solerte e pio gli fa dire parole che mostrano in lui la profonda intuizione della santità del suo disce¬polo, e quando ne discorre con Don Bosco per farlo accettare all´Ora¬torio, lo definisce senz´altro un San Luigi. E quella fu premura di carità, così come, da quanto si può intendere, fu carità l´averlo pre-parato, fuor della scuola, ai primi passi del latino. E Don Bosco ne ricorda la vita esemplare (i).
In una parola, quei tre maestri non sono mestieranti della scuola, ma buoni preti e buoni educatori di spirito cristiano. E quando c´è questo, la pedagogia non fallisce mai al suo scopo.
o o o
Del periodo di Murialdo, che va dal ´44 alla fine del ´52, la Vita non dice altro, dopo il racconto della prima Comunione. Ma dalla lettera stessa del Cappellano e dalle testimonianze si possono rica¬vare elementi bastevoli a darci un´idea del proseguirsi e dello svolgersi di quei felici cominciamenti. E intanto, nello scolaretto, l´assiduità, docilità e diligenza, notata dal maestro (2), avanzando nell´imparare, come appare dall´aver saputo, a sette anni, formularsi e scriversi da sè così ordinati e chiari i suoi Ricordi (3). E se il maestro (Don Zucca) non dice molto dello studio, gli è che questo merito viene da lui collo-cato soltanto tra altri particolari più adatti a mostrarne la virtù e la pietà. Non è senza importanza l´aver notato che tra quella rustica progenie di sbarazzini e di discoli, quali sono descritti nella lettera í suoi compagni (marmaglia), il piccolo Savio si tenga fuori dalle facili contese. Vi appare quella nota di carattere che, in età più inoltrata, nell´Oratorio, gli guadagnerà tanta simpatia: quella pazienza nel sop¬portare le ingiurie dei compagni altercanti, e l´allontanarsi da loro
(i) Vita, cap. VI, nota (i) della 5a edizione (1878).
(a) Somm. Proc., tit. XXII, Documenta, pag. 445-46. Lett. di D. Giovanni Zucca 5 maggio 1857.
(3) Il suo libro di divezione e il foglietto inseritovi non si san conservati. Può darsi che Eton Bosco abbia rettificato l´ortografia e messi in serie gli articoli, ma rispettandone la e originale semplicità ».

34
senza offendersi (/), che in un fanciulletto è ben altro che la consueta paura dei più forti, e in lui deriva da sentimenti che un giorno spie¬gherà in parole. E i compagni debbono avergli voluto bene pel suo buon cuore. Fu raccontato nel Processo che un giorno, avendo il Maestro castigati e scapaccionati due scolari (erano altri tempi), il piccolo Domenico se ne commosse fino a piangere, e diceva poi: « Avrei preferito che il maestro avesse castigato e percosso me>> (2). Più tardi, a Mondonio, quel medesimo sentimento lo indurrà ad un atto eroico.
È ancora il maestro che rileva la sua condotta morigerata e l´av¬versione alle monellerie e scapestrataggini dei suoi mal educati con¬discepoli, come pure il tenersi fuori dai « divertimenti smodati, peri¬colosi o indecenti »; segno, nonchè di costumata educazione, anche di quello spirito di raccoglimento e di custodia di sè; che la vita della grazia doveva inspirargli.
La quale, com´è evidente, lo portava alla pietà. E quella povera lettera non trascura di farci sapere, oltre alle cose maggiori già altrove considerate, che « l´amore alle funzioni religiose lo portava a servire la Benedizione col SS.mo Sacramento e cantar lodi ed inni con un compagno di scuola alternativamente col padre, il che praticava anche in casa e nelle stalle... ». E avrebbe potuto dirci di più, egli proprio che abitava vicino a lui, e Io vedeva, si può dire, anche in casa.
Ma dell´obbedienza e dell´affetto verso i suoi abbiamo notizie sicure da questi stessi. In casa « dipendeva interamente dalla ma¬dre » (3), e vi è la parola del padre, che al Cagliero diceva che « il piccolo Domenico non gli aveva mai dato un dispiacere, e che l´ob¬bedienza ai suoi ordini era sempre pronta e senza ripugnanze o ri¬luttanze » (4). E chissà quanto avrebbero potuto dire i fratelli e le sorelle: ma la sola sorella Teresa sopravvisse fino al tempo del. Pro¬cesso, e ricordò il salvataggio della sorellina Raimonda, al quale, come disse Domenica, diede mano il suo buon Angelo Custode, come più sopra fu accennato.
Era viva in lui la convinzione d´aver con sè il suo buon Angelo. Una sera, tornando a casa allo scuro, un uomo gli domanda: « Come
(i) Nel documento originale non c´è questa notizia, che Don Bosco deve aver attinto a vi-va voce dal Cappellano maestro, e qui inserita aI luogo opportuno.
(2) Sornm. Proc., 63-64: Dep. di Anastasia Molino, che apprese il fatto dal cognato Giovanni Savio, coetaneo di Domenico.
(3) SOMM. Proc., Francesia, 299.
(4) Soma. Proc., pag. 300. — Nel medesimo senso depose Don Rua al Proc.
Ordin., ibid., 308.

35
sei tutto solo? Non hai paura? — No, risponde; ho sempre l´Angelo Custode con me r>
· Messe insieme tutte queste circostanze e notizie, ci dicono che quegli anni di Murialdo furono vissuti così come il fervore della Prima Comunione dovette animarli, continuandosi nell´anima.
E siamo ai fatti nuovi e meglio descritti del periodo di Castel¬nuovo, breve, ma incisivamente significativo. Esso va dal 21 giu¬gno 1852 ai primi giorni del 1853; in tutto, quattro o cinque mesi scarsi di scuola. II fanciullo ha dieci anni e da tempo la scuola unica di Murialdo era superata (z); bisognerebbe andar altrove: lo vede e lo desidera anche il padre, ma difettano i mezzi. « Iddio provvederà, scrive Don Bosco, a che questo fanciullo possa camminare per quella carriera a cui lo chiama >>.
È questo il punto. C´è nel piccolo Savio una pietà, un´attrazione amorosa dell´altare, che lo chiama sempre più chiaramente a sè e lo trasporta verso una meta, ch´egli sente segnata da Dio: c´è la coscienza della vocazione e il bisogno irresistibile di seguirla. È un desiderio d´amore, per esser tutto di Dio e lavorare per lui: è un imperativo categorico (il termine qui sta bene) che gl´impone di adempiere alla volontà di Dio che ve lo chiama. è Se fossi un uccello, va dicendo, vorrei volare mattina e sera a Castelnuovo, e così continuare le mie scuole >>. Parole testuali (3).
La vita del peregrinante scolaro di Castelnuovo si spiega così. Non è, come si sa di parecchi grandi della storia e della scienza, il solo impulso dell´ingegno che vuol imparare e farsi la strada a qual¬che cosa che poi si rivelerà grande: chi porta qui il fanciullo fino all´e¬roismo, è la sua vocazione e l´amore dal quale essa deriva. Ed è l´amo¬re di un Santo, amore eroico.
o o o
Dalla borgata di Murialdo al capoluogo di Castelnuovo corrono poco meno di cinque chilometri: un´impossibilità per un fanciullo che voglia andare a quella scuola. Ma il Savio vuole studiare, e la lon¬tananza è superata giornalmente colla tenacia d´una volontà che so
Somm. Proc., Teresa Tocco-Savio, 122.
(2) Si ricordi che Murialdo non era che una frazione del Comune di Castei¬nuovo, e non aveva che una classe unica di scuola ausiliaria. Così non era Par¬rocchia, ma semplice Cappellania dipendente dalla Parrocchia di Castelnuovo. Così Don Bosco, nato e abitante ai Becchi, sottofrazione di Murialdo, appartiene a Castelnuovo, ora chiamato, per R. Decreto, Castelnuovo Don Bosco.
(3) Vita, cap. IV, pag. 22, ediz. la.

36
stiene quelle deboli forze. In questa pagina Don Bosco s´è indugiato a colorire il quotidiano eroismo del suo santino. Quel cammino era ben-noto anche a lui, che, già quindicenne (1830), non durò a lungo a fare ogni giorno, tra le due andate e ritorni, i venti chilometri di cammino (i), e dovette ridursi alla sola andata del mattino e ritorno della sera: per questo fa ben notare le sei miglia quotidiane (il miglio piemonteSe era di Km. 2,466) di cammino tra l´andata e il ritorno del povero bimbo. E nota il vento molesto e il sole cocente e il fango e la pioggia che opprimono: e mette là quel: « non importa » che lo immedesima col suo fanciullo, passando all´impersonale: « si tolle-rano tutti i disagi e si superano tutte le difficoltà ». E gli sovvenivano alla memoria le dure asprezze ch´egli aveva superate da fanciullo, condotto o trasportato ancor esso dai medesimi sentimenti del suo santo piccino. E se non lo dice di sè, lo dice di lui: « egli vi trova l´ubbidienza ai suoi genitori, un mezzo per imparare la scienza della salute, e questo basta per fargli tollerare ogni incomodo ». Motivi superiori adunque, come d´imparare la scienza della salute necessaria alla sua vocazione: motivi tanto superiori che poggiano immediata¬mente in Dio, e lo significa il dialogo ammirevole e la risposta che lo conclude. « Alle due pomeridiane » sotto la sferza del sollione di lu¬glio, là nella strada polverosa e scottante Io trova una persona che l´in¬terroga amorevolmente se non abbia timore a camminar da solo per quella strada per il caldo, e quattro volte al giorno. Le risposte sono superiori all´età e vengono da altra cognizione: « Non sono solo: ho l´Angelo Custode che m´accompagna; niente è penoso, niente è fatica, quando si lavora per un padrone che paga molto bene, Dio Creatore, che paga un bicchier d´acqua dato per amor suo ».
Pensiamo a quell´anima di fanciullo che si sente accompagnato dal suo Angelo: che dura una fatica superiore alle sue forze per nient´altro che servir Dio, lavorare per lui e lavorare per amor suo: che vive del¬l´idea di Dio e sopporta a lungo una grave fatica con lo stesso amore con che darebbe un bicchier d´acqua ad un assetato. La scienza della salute si è già compenetrata nel suo spirito ed è divenuta l´anima del suo operare. E sta bene l´inconsapevole vaticinio di quella persona: che « un giovanetto di così tenera età che già nutrisce tali pensieri, farà certamente parlare di sè in quella carriera che sarà per intra¬prendere ». Come avesse interrogato il Muratori fanciullo. Ma qui la carriera è quella del Santo, e di lui parla la Chiesa Cattolica.
(i) Mem. Biogr., I, zig-zzo. Il manoscritto Allora dà la distanza in oltre chilometri; ciò darebbe in totale più di 16 km. — La differenza da quella percorsa da Don Bosco si spiega dal fatto che le varie frazioni sono sparse largamente pel territorio.

"--4, 37
A me, se vale il dirlo, quasi fa più meraviglia l´eroismo (che così bisogna chiamarlo) di quei quattro mesi, che non altri fatti eroici, compiuti in breve momento. Non per nulla la Chiesa_ricerca l´eroicità delle virtù non solo nei fatti singoli ed eccezionali, ma nell´esercizio continuato e diuturno, anche delle cose più umili e ordinarie della vita. Savio si offre al nostro pensiero come un´anima eroica; anche nel senso umano della parola. Ma il suo è un eroismo che va dal fatto singolo del superamento drammatico al fatto continuo della vittoria sulla debolezza di natura. E perchè un fanciullino di dieci anni (i) sia capace di tanto, di superare cioè ogni giorno tutte le asprezze d´un compito che logorerebbe la pazienza, e fors´anche la resistenza, d´un uomo fatto, si deve supporre una tale attrezzatura dello spirito, che non può essere umana, ed è, come veniamo dimostrando, lavoro della grazia di Dio; che coltiva nell´anima l´amore.
0 •
Su codesto fondo di eroismo si svolge la vita di quei brevi mesi: vita di scolaro cristiano, come dice il bravo maestro di Castelnuovo. Don Bosco se ne vale, oltrecchè a dimostrare la virtù del suo futuro alunno, ed anzi col mostrarla, a scopo educativo, per l´esempio dei giovanetti: sicchè non manca qualche spunto didascalico. Il libro, anche se non fosse divenuto un´agiografia, doveva essere soprattutto un libro di edificazione.
Con una di tali didascalie, lo scrittore introduce l´episodio della superata minaccia all´innocenza; quella dell´invito a bagnarsi. Sap¬piamo che questa pagina fu dovuta ritoccare alla seconda edizione, inserendovi l´accenno ad un primo invito, fattogli da quel medesimo che poi, all´Oratorio, fece rimprovero a Don Bosco di averlo omesso. E le Memorie Biografiche ci danno anche d´avanzo i particolari di quell´incidente (2). Ma non bisogna dimenticare che nel volume pre¬cedente si legge il racconto della visione che quel medesimo Giovanni Zucca, il quale contestò a Don Bosco l´integrità di quella pagina della prima edizione, aveva avuto il 7 settembre 1857 all´Oratorio (3): il che
(i) I grammatici non vogliono che si scriva in cifre: ma qui un io ben chiaro non è di effetto più immediato?
(a) Men. Biogr., VI, r47-r1-9•
(3) 1lfem. Biogr., V, 720-723. — Non fu un´apparizione comechessia, seguita dalla guarigione. TI giovane ebbe commissione dalla Madonna di dire a ciascuno dei compagni, ed anche al suo Maestro e a Don Bosco stesso, cose del tutto se¬grete e personali, che furono ascoltate perchè vere e produssero buon effetto. Sin¬golare il fatto d´un tal Gastaldi che credette poter fingere d´aver ottemperato, e
g — CAVIGLIA, Dea Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.

38
sta a dimostrare che quel giovanetto potè essere imprudente nel discorrere, ma certamente non era, nè ai giorni di Castelnuovo nè tra la vita dell´Oratorio, un ragazzo guasto o cattivo, e doveva anzi appartenere al novero dei molti che Don Bosco riteneva capaci di santità e di favori soprannaturali.
Questo va detto, perchè non si pensi ad un qualsiasi intorbida¬mento dell´innocenza. Da quel fatto il Savio non imparò la malizia, ma apprese l´esistenza del pericolo. Bastava per quello l´abito del riserbo che le buone mamme insegnano ai bambini, senza discorsi e col solo trattarli e vestirli, e che passa in istinto di pudore. Al piccolo Domenico, come possiam credere del suo ingenuo compagno, deve aver fatto senso anche solo il trovarsi svestiti, e non ne fu altro. E il nostro lo disse subito a mamma, che, con la santa saggezza che Dio dà alle madri, capì e gli disse che non era bene, senza mettergli ma¬lizia.
Quando pertanto altri compagni, non certo ingenui come quel primo, vollero tirarlo con loro a bagnarsi, lo trovarono fermo al di¬niego. Il dialoghetto è disposto per gradazione, sia nel proporre la cosa, sia nelle risposte del Savio. Le quali, dall´obbiettare il pericolo di morire nell´acqua, passano a prospettare il male del peccato che vi può essere; e poi mette di mezzo la domanda del permesso alla madre e l´obbedire a lei. Gli dan del minchione, ed egli si rifà moralizzando sul pericolo che vi deve essere per il corpo e per l´anima: dichiarando che, quanto a sè, ingannato una volta, non sarà più per l´avvenire, ed inculcando a loro di non fare ciò che spiace ai genitori.
E certamente, con quella ragazzaglia, l´innocenza non sarebbe rimasta senza danno. Lo dice Don Bosco (i). E così possiamo acco¬stare quest´unico fatto della vita del Savio a quelli nei quali S. Luigi, con altro discorso e con altro gesto, si sottrasse e si ribellò al- pericolo che minacciava il suo candore (z); e l´uno e l´altro rimasero senza
il giovane Zucca dal suo /etto lo vide e al ritorno gli rinfacciò l´inganno e lo ri¬dusse a rifar la strada e confessarsi sul serio, e, dal suo letto, lo segui passo passo, finchè ebbe fatto il dovere.
(t) Del bagnarsi Don Bosco fece sempre un grave caso. Abborriva l´andarsi a bagnare insieme, secondo l´impudente costumanza dei villanelli e dei loro simili. E non si può dargli torto. Né si può fargli addebito come di poca cura dell´igiene, se si mostrò sempre avverso ai bagni non comandati dal medico. Ora il tenor di vita è mutato d´assai da quel tempo, e con esso le idee. Ma una famiglia per bene non andrà mai ai bagni di fiume (roba da suburbio!), e al mare si regolerà colla maggior prudenza. Su questo punto cfr. la esauriente risposta ad un que¬sito concernente l´accusa contro la Chiesa e i suoi riserbi, in Ami du Clerge, a. 5o´, serie 5a, 14 dicembre 5935, pag. 820.
(z) MESCHLER, cit., pag. 14. 6z, 92.

39
macchia, anzi splendenti di purezza per tutta la vita. Quanto al no¬stro, i compagni stessi n´avevano tale concetto e quasi sensazione, che, come scrisse Don Cugliero riferendosi a questo tempo, « al suo arrivo nella scuola i suoi condiscepoli si componevano a modestia ». E ne vedremo altre prove in altra parte del nostro discorso: per ora
basti riportare, tra le tante, la dichiarazione fatta da Don Rua al Pro¬cesso Ordinario: « Sono per credere che per singolare privilegio il
Servo di Dio non andasse soggetto a tentazioni contro la castità» (t). Il Cagliero ebbe allora un´espressione felicemente comprensiva, rile¬vando nel Savio « una riservatezza propria dei Santi ». Come fu detto di S. Luigi. L´uno e l´altro ricavarono dalla conoscenza dei pericoli
quella gelosa circospezione che il Segneri notava del Gonzaga nel .suo celebre Panegirico (2).
o o o
Rimane adunque stabilito che a Castelnuovo il piccolo Domenico doveva guardarsi dai compagni e far la scelta. È lo spunto che serve a Don Bosco per un´amplificazione d´intento didascalico, con che inizia il capo Quinto della Vita; e che ha suo fondamento in una notizia data, per il periodo castelnovese, dal maestro di Mondonio, D. Cugliero:, « Esso, sebbene amasse tutti, si teneva lontano da co¬loro ch´erano dati alla dissipazione ». Ci fa vedere cioè « il modo di regolarsi co´ suoi compagni »: quali sano quelli che divengono gli
amici di ]3omenico, che sono dunque i ragazzi buoni, docili, diligenti nei doveri di scuola, lodati dal maestro: quali sono coloro che egli
« fuggiva come la peste », e sono i negligenti, i malparlanti e bestem¬miatori: e quali egli salutava e compiaceva con qualche servizio, ma non contraendo « alcuna familiarità»: gl´indolenti. A suo tempo lo
ripeterà in altra forma (3).
E viene a descrivere la condotta scolastica: « una condotta, dice,
che può servire di modello a qualsiasi giovane studente, che desideri progredire nella scienza e nella pietà ». È la figura esemplare dello scolaro cristiano, non però costrutti da lui, ma storicamente documen
tata dalla relazione del maestro, Don Alessandro Allora.
Il bravo precettore, che risponde il 25 agosto 1857, con le forme di
un rapporto ufficiale, ha voluto ponderare le sue notizie e misurare le sue parole, mettendosi innanzi le Decurie e i Registri scolastici.
(i) Sonznz. Proc., D. Rua, pag. 291. Ivi pure la testimonianza dei Cagliero. (a) Cfr. pure MescHLER, cit., pag. 38, dopo iI voto di castità. Ma nel senso più prossimo al nostro, cfr. pag. ai: la vita tra i soldati.
(3) Vita, cap. VIII.

40
Ma se era stato invitato « ad esporre un suo giudizio, ovvero sempli¬cemente certificare intorno la condotta del giovinetto », non è però che nel suo scritto non compaiano espressioni affettuose e ammira¬tive, e non si senta l´amorosa paternità dell´educatore che ha com¬presa l´anima del suo alunno.
Le scuole di Castelnuovo erano complete secondo i Regolamenti vigenti prima della legge Casati, e la 2a elementare rispondeva alla nostra terza (i). A Murialdo il Savio aveva i due gradi della prima. Il Regolamento Albertino del 1831 comportava l´obbligo delle Con¬gregazioni Domenicali degli scolari, e della Messa quotidiana prima della scuola: dalle quali il Savio, « residente ai Cascinali » era dispen¬sato, benché da quanto fa supporre la relazione, si trovasse presente alla Messa (2).
Da cotesta relazione Don Bosco ha ricavato quanto faceva al caso suo, riordinando la materia ed uguagliando la forma, senza però alte¬rare la sostanza, e conservando al possibile il testo di quanto ne ri¬porta_ A noi, veramente, che in fatto di documenti abbiamo altre idee, piacerebbe meglio che questo fosse stato riferito qual era e quale è riprodotto negli Allegati del Processo (3): personalmente l´avrei pre¬ferito questa volta, non per uno scrupolo storico, bensì perchè nel¬l´originale, oltre a certi ravvicinamenti che paiono disordinati e di¬cono più che riordinandoli, si sente meglio lo sforzo del buon Don. Allora di tradurre nella forma burocratica le cose che gli vengono dal
cuore.
Perché in quella condotta straordinariamente irreprensibile ed
esemplare, in quella « meravigliosa tranquillità d´animo e forte buon volere che gli erano proprii » onde affrontava i disagi del venire alla scuola, non solo riconosceva « una prova ed esempio di raro merito »; ma sentiva che altro doveva racchiudersi, non valutabile coi soli dati convenzionali della scuola. Bisogna riportare il secondo capoverso del testo di Don Bosco nel mezzo (ed in parentesi) del periodo in cui si dice « specialmente degna d´ammirazione la diligenza con cui pro
(i) Castelnuovo ora capoluogo di mandamento, ed aveva diritto ai corsi com¬pleti: nella frazioni c´erano soltanto la prima inferiore e superiore (dette poi, dopo il 1889, prima e seconda), con un solo maestro.
(2) Di tali Ordinamenti scolastici si è discorso più minutamente nelle Note alla Vita di Luigi Cornelio. Essi risalivano ad età più antica, da Vittorio Amedeo II a Carlo Felice. — La Legge del 1859 abolì tutto questo.
(3) Somm. Proc., Docum. n. 2, pag. 447-450: Cenni biografici intorno Savio Domenico, alunno di 2a classe nel Comune di Castelnuovo d´Asti. L´Allora è però inesatto, quando (i° capoverso) dà il Savio defunto come o allievo del 30 corso di grammatica » mentre nel 1856-57 questi era già passato al corso di sa Rettorica (Umanità) presso il prof. Picco, e cioè faceva la IV Ginnasiale.

41
curava di adempire a tutti i doveri di scolaro cristiano », seguitando, dopo la parentesi, a ricordare « segnatamente l´assiduità e la costanza mirabile della frequenza alla scuola ». £, senz´altro commento, la prova che il suo eroismo e la precisione del dovere erano per lui in funzione (come si dice) del suo intimo spirito di pietà.
Lo riconosce il maestro stesso quando, poco prima, parlando del suo progredir nello studio « in modo straordinario » e delle alte ono
rificenze della scuola da lui conseguite, non attribuisce il risultato sol
tanto all´ingegno non comune, « ma eziandio al grandissimo suo amore per lo studio e alla sua virtù » (I).
Ed è così. Tutta la vita esterna del nostro giovanetto, anche negli anni susseguenti, è permeata dell´idea del servizio di Dio, come ap
pare già dalla risposta data per istrada. E Don Bosco assiduamente v´insiste, come vediamo anche nelle altre Vite, perché questo è un principio .e fattore essenziale del suo concetto educativo e del lavoro spirituale: la religiosità nel dovere, che ne fa un servizio di Dio e una prova, per avventura la più concreta e persistente, dell´amor di Dio. Non dimentichiamo mai che quando il santo Pedagogo racconta una Vita, egli vi sottolinea quello che fa maggiormente per la sua
idea e in cui la trova esemplata.
Il buon maestro disegna in pochi tratti la figura simpatica del suo
alunno; « complessione alquanto debole e gracile (il piccolo Savio!), di aspetto grave e piacevole a chiunque, d´indole mitissima e docilis¬sima, d´un umore sempre eguale ». Così come viene descritto nel Pro¬cesso dai testi di veduta. E aggiunge che « aveva tale un contegno, nella scuola e fuori, in chiesa ed ovunque, che quando l´occhio, il pensiero o il parlare del M.o volgevasi a lui, vi lasciava sì bella e gioconda impressione, che meritava registrarsi (sic) fra i rari (z) com¬pensi delle dure fatiche che spesso toccagli sostenere indarno nella coltura di aridi, ingrati, e mal disposti animi di certi allievi ».
E conclude: « laonde forse non vi sarà più da far le meraviglie se dicessi che esso, di temperamento sì felice e di nome Savio, tale sempre siasi dimostrato pure col fatto, vale a dire nello studio, nella pietà, nel
conversare co´ suoi colleghi, ed in ogni sua azione ».
Realmente la piccola persona del Savio non passò inosservata a
Castelnuovo: quando vediamo che della sua esemplarità era venuta notizia anche a Mondonio, dove il maestro Don Cugliero nella bre¬vissima relazione a Don Bosco (che è anteriore di quattro mesi a quella
(i) Il Maestro che vuole e certificare intorno la condotta» e riafferma nella chiusa della lettera di dare quei cenni a per debito di coscienza e di giustizia » cita qui in fede t le decurie e i Registri scolastici che tuttora si conservano 4.
(2) E non cari come, per riguardo ai lettori, ha trascritto Don Bosco.

di Don Allora) riparla del tempo di Casteinuovo nel tenore medesimo
di quello, ma con qualche nota particolare. Riferisco il passo: « Si
distinse sempre per la sua compostezza della persona, per la sua mo¬rale condotta; affabile con tutti, era da tutti amato, e al suo arrivo nella scuola i suoi condiscepoli si componevano a modestia. Ottenne sovente la medaglia d´onore, perchè alla pietà univa pure l´amore allo studio, ed il suo maestro era rapito dall´ammirazione nell´osservare iI corredo di virtù che adornavano l´animo giovanile di lui »
Sono virtù connaturate nel caro fanciullo, e il maestro di Castel¬nuovo vuole affermarlo quando ricorda nell´ultima parte, non pub¬blicata, del suo scritto (2) la sua visita all´Oratorio « forse nel 1854» (cioè nei primi mesi dell´entrata del Savio) dove con « grandissima contentezza » rivide questo ottimo discepolo, là, tutto intento allo studio, e seppe « che il già buon fanciullo non aveva per nulla lasciato la via della sapienza (sic), e che appunto per le sue egregie virtù e rari suoi meriti nello studio erasi cattivata la benevolenza dei supe¬riori e l´amore di qualche benefattore, che gli dava la mano per com¬piere la sua carriera ». Il Savio a casa di Don Bosco non ebbe che ad essere il Savio di Castelnuovo per essere subito un giovane mo¬dello. E Don Bosco segnerà a suo luogo codesta continuità, per farci sentire che la nuova forma più ampia e matura della santità di lui è la continuazione dei precorrenti lavori della grazia divina.
Tale ci è offerta da quello scritto la riposante figura, mite, amabile, « piacevole a chiunque », e insieme composta, padrona di sè e del suo carattere, « di umore sempre uguale », che si muove tra i suoi doveri quotidiani di scolaro e di cristiano. Ed ha dieci anni.
Io domando se così si possa essere, se sia possibile a quell´età una tempra capace di eroismi quali abbiam veduti, e di tanta serenità ed equilibrio, senza una vita interiore in cui siede la grazia di Dio, e lavora in modo non comune ad altri nella specie e nel grado. C´è la grazia e la coscienza della grazia: di qui quella gioia intima e profonda, tutta propria dei Santi, ch´è l´atmosfera delle virtù eroiche, ed è condizione indispensabile di azione generosa e costante, ed è l´aiuto più potente per mantenere in noi la cortesia, la soavità dei modi, l´equanime dolcezza, la serenità (3).
(i) V. infra, pag.. 45, la collocazione del passo.
(2) È il comma B) della Relazione, omesso insieme ad un altro periodo della conclusione. Cfr. loc. cit., pag. 449. Nella sa ediz. vi aveva accennato sommaria¬mente.
(3) Seguo la dottrina del FAME Betlemme, 413-414; .1-1 SS. Sacramento, 178¬179. Potrei citare molte altre pagine, giacchè questa è dottrina fondamentale per la vita dei Santi. Ma vi tornerò altrove.

43
Per me è meraviglioso. Solo i Santi sanno essere così e, intera¬mente, neppure tutti (i). Ma in questo il Savio è già, anche prima di conoscerlo, uno spirito tipo Don Bosco.
0
La nota della continuità nella santa condotta del nostro Domenico è rilevata dal santo biografo per annunziare l´ultimo periodo della sua vita di fanciullo, che si svolge nel terzo e definitivo domicilio, a Mondonio. Necessità famigliari portano la casa dei Savio al paese dove s´era formata la famiglia (2), e dove il piccolo figlio del fabbro irradiò fulgori di virtù e mori da santo. Don Bosco dice semplice¬mente che « egli continuò colà nel tenor di vita praticato a Murialdo • e a Castelnuovo » (3). Ma è continuazione e continuità di progresso, perchè la santità è cosi fatta, che non può fermarsi, a costo di tornar indietro o sfiorire (4). Dovremo dire di un altro grado raggiunto dal santo fanciullo? Certamente col crescere nell´età si avanza nello svi¬luppo della mente e della coscienza; è un fatto naturale e, nell´ambito della santità, attestato perfino da S. Luca in Gesù fanciullo precisa¬mente all´età del nostro santino, notando che « gratia Dei erat in filo » (5), come (non sia irriverenza il riavvicinarlo) Don Bosco ha detto dei lavori della grazia.
A guardarvi bene, nella vita finora vissuta dal nostro fanciullo, i gradi vi sono, e abbastanza visibili, tantochè ciascuno è accompa¬gnato, o meglio, segnato da un momento o fatto eroico. C´è il primo manifestarsi della pietà a cinque anni, col piccolo eroismo dell´aspet¬tare tra l´intemperie e il gelo alla porta della chiesa: poi il momento della Prima Comunione a sett´anni, con quel proposito antonomastico che segna un vero stato d´amor di Dio; e in terzo luogo gli eroismi di
(i) joLy, op. cit.. cap. II: La nature chez les Saints, pag. 45-57.
(2) II padre, nativo della frazione Rana° di Castelnuovo, si era sposato a Mondonio nel 5840, e vi aveva fatto battezzare il primo nato: poi era passato a Riva di Chieri, dove nacque Domenico nel r842, e di qui nel 1844 a Murialdo, dove stette fino all´autunno inoltrato del 1852, e donde tornò a stabilirsi a Mon¬donio, dove i Registri Parrocchiali notano i battesimi degli altri cinque figli, dal 1853 al 1863. Il paesello, che nel 1852 contava 372 abitanti, era Comune e aveva Parrocchia propria e proprie scuole.
(3) Vita, cap. VI, pag. 31, ediz.
(4) È ila Non progredi, regredi est )5 notissimo e quasi proverbiale tra le persone spirituali.
(5) Luc. Il, v. 40: Puer autem crescebat et confortabatur, plenus sapientia, et grafia Dei erat in illo. — L´altro testo, a v. 52, si riferisce all´adolescenza di Gesù dai dodici anni in poi: Iesus proficiebat sapientia, aetate et gratia apud deum et homines.

44
Casteinuovo per la vocazione indefinita ma già vivente nel fondo del¬l´anima. La vita a Mondonio segnerà un altro grado, continuazione, dice il Biografo, del precedente, e avanzamento che si manifesterà in un eroismo superiore, e darà a Don Bosco ragione di concludere con la grande parola dei lavori della grazia.
È il periodo in cui appunto questo lavoro si compie destando nell´anima chiaramente la conoscenza e la volontà della vocazione. « Desidero farmi prete, per poter più facilmente salvare l´anima mia e far del bene a molti altri » diceva in quei tempi all´amico Angelo Savio, chierico presso Don Bosco (i). La qual vocazione non è una risposta all´interrogatorio, sia pur precoce, della via che si seguirà: ma è l´esito inderogabile del moto d´amar di Dio, che vuole tutto l´essere dedito e consacrato a Lui nella forma più prossima a Lui stesso, ch´è il sacerdozio e l´apostolato delle anime. Anche Don Bosco, tra dieci e undici anni, aveva rivelato a Don Calosso la ragione per cui voleva studiare, ch´era di abbracciare lo stato ecclesiastico « per avvicinarmi, parlare, istruire nella religione tanti miei compagni, che non sono cattivi, ma diventano tali perchè nessuno ha cura di loro ».
E in seguito, alla cascina dov´era stato messo a lavorare, ripeteva di volere, di dovere farsi prete (2).
Di qui si spiega il lavoro interno di autoeducazione spirituale, per essere al possibile più degno di quella vocazione e più conforme al¬l´ideale di essa. La virtù, che esteriormente si palesa con una sempre maggior attenzione alla pratica quotidiana dei doveri e della pietà, ora si vien facendo più interiore, coi moti soprannaturali ispirati dal concentrarsi sulle cose di Dio. E la perfezione di quella piccola vita non rimane neppure un fatto isolato e personale; ma risplende agli occhi altrui, e se ne parla, senza ch´egli lo sappia. Quel suo vivere all´interno è significato dal suo spontaneo raccoglimento e perfino dal modo di « camminare a capo chino » (3); si vede in lui, nel piccolo scolaro, uno « che vuoi farsi santo » (4).
o o o
Noi possiamo parlar così, perchè i documenti ce ne danno ragione. Quel periodo della vita è documentato dalla Lettera o Relazione di
(i) Somm. Proc., Declarat. auth., n. 15: Lettera del ch. Angelo Savio a Don Bosco, 31 dicembre 1858, pag. 453.
(2) Mem Biogr., I, pag. 178, e pag. zoo e 107.
(3) Somm. Proc.; Carlo Savio, 47; D. Melica, 307.
(4) Somm. Proc., Carlo Savio, 8z. — Il eh. Angelo Savio lo conobbe allora a come un giovane di non comune virtù a. Cfr. sopra, not. a, loc. cit.

45
D. Giuseppe Cugliero, riportata da D. Bosco nella Vita, e dalle testi¬monianze dei coevi. Tra questi compaiono alcuni de´ suoi compagni e condiscepoli di quel tempo, e qualche altra persona che lo conobbe, come il detto ch. Angelo Savio e l´Anastasia Molino, oltre la sorella Teresa, che senti in casa quel che i famigliari dicevano di lui. A Mondonio i condiscepoli non gli erano estranei come a Castel¬nuovo: nel piccolo paese (372 anime!) tutti si conoscevano, e uno dei testi, il Desideri, gli era vicino di casa, ed i Savio andavano nell´in¬verno nella stalla dei suoi: un altro, Carlo •Savio, era di buona fami¬glia, amica dei Savio nostri; e, diciamolo subito, non era più il caso di doversi difendere da inviti pericolosi e da cattive compagnie, ap
poggiato com´era, in perfetta obbedienza, alla vita di casa sua, da tutti conosciuta per esemplare. Le testimonianze hanno perciò un carat
tere speciale di oggettività che pci bisogno nostro torna molto oppor¬tuno, e fa sentire il rincrescimento che la tardiva apertura del Processo ci abbia privati di tanti particolari che qualche decina d´anni prima
sarebbero venuti a conoscenza (t).
Don Bosco ricostruisce la vita di Mondonio sulla lettera 19 aprile
1857, del Maestro Don Giuseppe Cugliero; ma integrandola, com´è solito, con particolari avuti da collo quii con lo scrivente, e forse (ma il dubbio è molto tenue) da quei medesimi che poi furono testi al Processo: per esempio da Carlo Savio, che frequentò pure l´Ora¬torio. Egli lascia da parte quel tratto già sopra da noi riportato che ri
guarda il periodo di Castelnuovo, e l´altro che ricorda la Prima Comu¬nione e la specchiata virtù del fanciullino, e riporta senz´altro da quel
punto la continuazione della lettera, rifacendone la forma e interpre
tando i concetti (2).
Sono poche righe qùelle del Cugliero, ma piene di cose. In venti
anni d´insegnamento non ebbe mai chi « pareggiasse in pietà» il caro alunno, o che « sebben giovine, fosse assennato al pari di lui ». Il
premettere come nota primaria la pietà e connetterla con l´assenna
tezza superiore all´età, e, nel periodo testuale, il farla seguire dalle qualità di scolaro e dal carattere « che si cattivava l´amore di tutti »,
(s) È un´osservazione fatta dal Promotore della Fede, M0115. (poi Card.) Ales¬sandro Verde (30 ottobre 1913), a cui fu risposto dal Salotti, allora Avvocato della Causa. Naturalmente noi la rileviamo per una diversa ragione. Si ricordi che il Processo dell´Ordinario tu iniziato soltanto nel 1908 e l´Apostolico nel 1914; a distanza di più che mezzo secolo dalla morte del Savio.
(z) Somm. Proc., tit. XXII: Documenta, ecc., doc. n. 3, pag. 450-452: Cenni storici sulla vita del giovane Domenica Savio, nativo di Riva di Chieri, frazione bor¬gata S. Giovanni. -- Dall´originale, firmato: D. Cugliero Giuseppe, Mondonio, 19 aprile 1857.

46
ci fa vedere come il buon maestro intendeva che nel Savio la vita dell´anima era la vera fonte da cui derivava tutta la virtù che mostrava all´esterno (i).
E infatti prosegue: « In chiesa poi era modello di compostezza, e pareva che quell´anima innocente aprisse in essa il cuore alle celesti dolcezze che la religione piove sulle anime innocenti (che) ancor non aprirono il vergine cuore alle seduzioni del mondo » (a). Non sono ancora
i rapimenti che lo possederanno in appresso, ma è già la consapevolezza del parlare amoroso con Dio, che dà a tutto il suo aspetto la parvenza angelica propria delle anime semplici e senza macchia, alle quali è riserbato di veder Dio (3). Non vi è nulla di esagerato nelle parole del buon prete; il testo originale è, come si vede, sobrio e schietto, e d´una rassicurante oggettività; sicchè non è difficile commentarlo con le attestazioni del Processo, che provengono da testi di veduta.
Della sua vita di scolaro sappiamo che « nell´andare a scuola come alla Chiesa, e così nel tornare, camminava sollecito a capo chino » e che « intento interamente a studiare... evitava di accompagnarsi con altri per divertirsi »: sicchè le mamme lo additavano ad esempio: « Ecco, Savio Domenico non si ferma mai per. la strada a giocare e va subito a casa è. E nell´andare, se rimanevagli tempo e la chiesa era aperta, egli vi entrava a pregare (4). Nella classe sua (una terza e quarta elementare, vecchio tipo) primeggiava anche nel profitto: « abitualmente era lui il primo della scuola per la diligenza nello studio e nella condotta (5); e tra lui e Francesco Desideri, che occu¬pavano abitualmente i primi posti, il maestro diceva: « Desideri legge più correntemente, ma Savio intende meglio quello che legge » (6).
Notavano i compagni la sua pietà, chè lo vedevano « pregare da¬vanti alla Madonna prima e dopo le funzioni: questa devozione era notata anche da altri nel paese, ed io (dice Carlo Savio) ho pure udito allora persone che dicevano: Domenico Savio è là in chiesa che prega;
(i) Ecco il periodo testuale: « ...ed in verità posso dire che in 20 anni dacchè attendo ad istruire ragazzi, mai ne ebbi alcuno che Io pareggiasse in pietà, e che, sebbene giovine, fosse assennato al pari di Domenico Savio: diligente, assiduo, studioso, affabile, si cattivava l´amore di tutti: in chiesa poi era modello di com¬postezza, ecc. e.
(a) Dai passi che noi riferiamo in nota o in testo è agevole vedere che nella Vita vi ha piuttosto una traduzione che non una citazione documentaria dello scritto originale.
(3) Beati mondo corde, quoniam ipsK Deum ridebunt. MATT.u., V, 8.
(4) Si è già cit. più sopra, pag. zi, la nota delle lezioni del Breviario, che di più Santi rileva come Az a nugis puerorum alostinebat e.
(5) Somm., Cdrio Savio, 8z-98.
(6) Ibid.: Desideri, 51-52; Savio, 82.

47
egli vuoi farsi santo » (i). Anzi era già in voce di volersi far prete, e ci è riferito un aneddoto abbastanza significativo: « Essendo pas¬sato per istrada vicino al ballo pubblico, un compagno per scherzo lo invitò ad andare al ballo. Qualcuno li vicino esclamò: stiamo un po´ a vedere se il prete andrà a ballare. Ma egli abbassò la testa e se ne andò tosto lontano. Io credo che sia andato in chiesa » (a).
P uno scherzo bonario, se si guarda all´età di lui e alla buona compagnia che doveva avere: ma il suo contegno ricorda quello di S. Luigi in un casa consimile (3).
o o o
Altri riferimenti sarebbero superflui. E qualcuno, per esempio l´Avvocato dei Diavolo (Promotore della Fede), potrebbe dire che, veramente, in tali attestazioni non è detto nulla che ecceda l´ordinaria virtù di un buono e pio giovanetto: al più sarebbe da ripetere: fu¬turae sanctitatis indivia dedit. Ma, oltrecchè esse confermano la verità e la fondatezza del giudizio dato dal documento che Don Bosco ha fatto suo, convengono a mostrare come fosse attrezzata spiritualmente quell´anima, sempre e in ogni caso presente a se stessa, e le manife¬stazioni non ordinarie di pietà la fanno vedere intesa unicamente a dare ad ogni sua azione il significato di un servizio di Dio o, ch´è lo. stesso, d´un atto di amore. Egli doveva essere ormai tutto compe¬netrato dal pensiero di Dio e dal desiderio della santità, se lo vediamo ad un tratto capace d´un eroismo morale superiore, non dico all´età, che sarebbe pure assai, ma alla capacità di anime già erudite in cose di perfezione e maturate da lungo esercizio.
Alludo al fatto capitale che. Don Bosco ha ricavato dal Docu¬mento, facendone senz´altro l´oggetto primario. Don Cugliero lo espone in poche righe, trammezzo alle altre notizie che dà: il Santo biografo lo svolge in un drammatico racconto, valendosi, non si può dubitarne, di particolari e di dati appresi altrimenti o dallo stesso Don Cugliero o dai compagni del Savio (4).
· (I) SOMM., Carlo Savio, 47. Questo Carlo Savio fu poi dei notabili del paese e Consigliere Comunale, e cooperò nel 1914 a difendere la causa del trasporto della Salma di Domenico a Torino.
(a) Somm., Carlo Savio, 98.
(3) MESCHLER, eit., pag. 93. Ma S. Luigi aveva allora /6 anni, e fu invitato a ballare come ogni altro cavaliere. Si sdegnò perchè gli si era promesso di non invitarlo, e lo trovarono poi in una cameretta di servi genuflesso in preghiera.
(4) Somm. Proc., Docum. cit. — Scrive Don Cugliero: a Fatto speciale: aven¬dolo io un giorno rimproverato aspramente per una mancanza di cui era stato

48
A noi, più che la critica del racconto, sta a cuore la sostanza morale di esso, nella quale si accordano i testi scritti e le referenze del pro¬cesso. È una monelleria un po´ grossa (neve e sassi nella stufa), di cui il Maestro domanda chi sia il colpevole, e da qualche maligno si fa il nome del Savio. Il maestro, un po´ eccitato, passando sopra a tutti i precedenti d´uno scolaro come quello, vi crede senz´altro, lo redar¬guisce, e lo mette in ginocchio in mezzo alla scuola. Egli sopporta in pace la correzione, e, senza dir parola di discolpa, obbedisce al ca¬stigo. Il giorno dopo, il Maestro (a mente calma, non è vero ?) viene a conoscere i veri colpevoli, e domanda al piccolo santino perché non si fosse scolpato. « Egli rispose che preferiva far penitenza lui che veder puniti i suoi compagni è, oppure: « Ho taciuto perché non fos¬sero puniti gli altri ». Cosi riferiva il suo condiscepolo Carlo Savio due volte al Processo, aggiungendo: «A questo fatto fui io pre¬sente » (t). E un altro teste, il Desideri, lo riferì come udito da que¬st´altro (z).
Di tale risposta il Cugliero non parla nella lettera, ma Don Bosco la riferisce con qualche variante e con l´aggiunta d´un concetto, che dà al fatto un significato più alto, e che non poteva conoscere se non dallo stesso maestro (3). Il Savio adunque rispose: « Perché quel tale, essendo già colpevole di altri falli, sarebbe forse stato cacciato di scuola; dal canto mio speravo di essere perdonato, essendo la prima mancanza di cui era accusato nella scuola: d´altronde pen¬sava anche al Divin Salvatore, il quale fu ingiustamente calunniato (Cap. VI).
È, per ogni titolo, un fatto eroico: sia di carità, sia di umiltà, sia di mortificazione morale, sia, soprattutto, di squisita pietà. Ed io do¬mando quale e quanto cammino abbia percorso quell´anima, e quanto
a torto (è il testo che sottolinea) accusato, esso soffrì ogni cosa pazientemente, non proferì parola, e come fosse stato realmente colpevole non si scolpò, portando in pace la correzione pel supposto fallo, quale venne poscia a cognizione mia es¬sere stato commesso d´un altro condiscepolo ».
(i) Somm. Proc. Apostolico, De virtutibus in genere, pag. 98; De heroica humi¬Etats, pag. 313.
(z) Somm. Proc., Desideri, 51: e A Domenico Savio fu data la colpa, ed egli, innocente, non si discolpò ».
(3) Così dobbiamo arguire, vedendo che l´aggiunta introdotta nel documento, così come le altre varianti, coincidono con le attestazioni dei condiscepoli. Che poi certe circostanze di fatto siano o attenuate (al castigo, per es., non si accenna) o modificate, deve attribuirsi all´intenzione dell´Autore, che vuole da una parte allontanare ogni odiosità dal Maestro, dall´altra offrire un esempio di sana peda¬gogia. Così egli fa che il Maestro prenda a parte il Savio per interrogarlo deI perchè non si sia scolpato: è l´idea del tu per tu nel parlar con gli allievi dei fatti disciplinari: uno dei canoni del sistema preventivo.

49
lavoro si sia operato in lei, perché a undici anni fosse capace di toc¬care una tale altezza di eroismo morale.
Noi ricordiamo un analogo fatto di S. Luigi, che però si risolve altramente, a causa delle circostanze incombenti: quando cioè, già adulto e religioso, avendo per virtù accettato di far ammenda di man¬camenti attribuitigli per errore, ci pensò meglio, e deliberò che, se l´accusa fosse rinnovata, si sarebbe indotto a rivelare e difendere la propria innocenza, affinchè non nascesse scandalo, come se la Regola fosse da lui insistentemente violata (1).
Il senso della carità, che appare tanto nelle espressioni del teste oculare quanto nella redazione della Vita, era già nel caro Domenico fin da piccino, dai tempi di Murialdo, e n´abbiamo citato l´esempio (2): nel testo del libro appare anche più generosa, in quanto la spiegazione data dal santo discepolo riguarda espressamente il calunniatore, ren¬dendo ben per male; e in tal senso vien confermata in seguito dal commento che se ne fa: sia poi del Cugliero o dello scrittore, non im¬porta. La carità e la generosità del perdono avranno nella restante vita ancora altre prove, e molte.
Ma vi è un altro aspetto dell´eroismo in questo fatto. È il sacri¬ficio morale della propria stima, e di quella a cui quasi si è tenuti a non rinunziare; perchè la colpa tocca senz´altro l´adempimento d´un dovere inderogabile, e offende, sia pure involontariamente, la perso¬nalità del superiore, ed ha tutta l´aria d´un´azione impropria d´un cuore ben nato. Le frasi fatte qui non c´entrano: altro è che mi si con¬sideri da meno di quel che sono, e magari un nulla o un essere spre¬gevole: al che tutti i Santi hanno sempre avuto la mira, ed è la per-fezione dell´umiltà; altro è che mi si creda capace di un´indegnità o di una colpa vera e positiva. S. Luigi non l´ha voluto, a cagion dello scandalo; qui scandalo non c´era, perché Savio sapeva che gli altri sa¬pevano tutto (3), e rimaneva soltanto allo scoperto la colpevolezza. L´eroismo sta qui: nel comparir colpevole davanti al maestro, egli proprio che sapeva di non aver mai commesso mancanze. In un uomo fatto, ecco, Io capirei, perché può essere sostenuto da altri sentimenti a lungo maturati: in un fanciullo, che « non ha mai dato un dispia¬cere» ad alcuno, è difficile capirla, se non si ammette in lui una forza morale preparatagli nell´anima da una mano superiore, e sostenuta
(i) CRISPOLTI, Op. Cit., cap. VII, pag. 131. Nel fatto del Gonzaga appare prin¬cipalmente l´umiltà: non il complesso di circostanze che rendono più eroico d´as¬sai il fatto del Savio, fanciullo undicenne.
(z) Cfr. sopra, pag. ai.
(3) E nessuno fece segno di saperlo. Perchè ? Paura di vendetta, o paura del
Maestro infuriato ?

50
da un ideale che non si crea in un istante, ma vive e risplende assi¬duamente agli occhi dello spirito. « D´altronde pensava, egli dice, anche al Nostro Divin Salvatore, il quale fu ingiustamente calunniato ». Ecco l´ideale: somigliare a Gesù nel patire, e nel patire più delicato, qual è quello del buon nome.
Queste son cose da Santi. E che possano avverarsi in un fanciullo di undici o dodici anni quasi non si crederebbe, se non sapessimo che la grazia di Dio non guarda ai tempi e non misura le distanze, ma acce¬lera come vuole i suoi lavori.
Quest´atto eroico, che sta sopra ogni altro della vita precedente, perchè più intimo, e perciò più squisitamente spirituale di tutti, co¬rona i dodici anni della fanciullezza ed assomma in un punto tutto il lavoro fatto da quell´anima e fattosi in lei. E sta al termine e al culmine di quella prima stupenda età, la quale con esso non si chiude, ma si dischiude all´età nuova, nella quale la santità deve prendere finalmente la forma a cui la grazia di Dio l´ha preparata e predesti¬nata. Sarà un cammino fatto di voli, secondo la direzione segnata da una mano sulla carta di Dio con le linee dell´amore: Don Bosco.

CAPITOLO IV
Verso Don Bosco.
· L´anima di Savio Domenico era preparata a questo e, parlando secondo Dio, predisposta per questo. Le circostanze contingenti del suo venire con Don Bosco ne schiusero la via; ed egli vi entrò senza bisogno di rimutarsi in nulla, perchè quella era la via sua. Già lo sentiva quando esprimeva ad Angelo Savio « il gran desiderio di es
sere annoverato tra i figli (sic) dell´Oratorio » e con l´espressa inten¬zione « di farmi prete per salvare l´anima mia e far del bene a molti
altri » (i). Quello che per altri, per una gran parte degli altri, non era che un mezzo offerto ai non abbienti e ai poveri per studiare e per supplire o rimediare all´educazione della famiglia, era per Iui
un´aspirazione a trovare finalmente la via ben chiara per adempiere al bisogno di farsi santo: forse n´aveva un presentimento non del tutto
definito, ma pronto a chiarirsi al primo incontro. Don Bosco non gli era sconosciuto, giacchè nelle terre circostanti a Mondonio e a Mu¬rialdo del suo nome e della sua opera si parlava con ammirazione.
Ne parlava l´amico Don Cugliero (a), che diffondeva nel paese le iniziate Letture Cattoliche, e gl´indirizzava i giovanetti, dei quali il
Savio non fu forse il primo: ma il desiderio che il fanciullo aveva di venire da Don Bosco fa intendere che il buon prete gliene parlava come non forse ad altri; mentre lo preparava anche negli studi, inse¬gnandogli, fuori programma, i primi elementi del latino (3). Che ne avesse compresa tutta la virtù, e .presentito quel di più che non è
(i) Somm. Proc., lett. cit. di Angelo Savio, pag. 453.
(a) Di qualche armo maggiore di Don Bosco, e non compagno di Seminario, giacchè gli dà del Lei. Infatti nel 1857 era nel 20° anno d´insegnamento, che po¬teva aver assunto nel ´37, avendo suppergiù da 25 a 27 anni, ed essendo già prete.
(3) Non occorre qui ripetere le notizie date altrove sull´ordinamento scolastico del tempo. Ma in più luoghi nel 5° anno delle scuole elementari si dava qualche notizia di latino, sicchè si facevano poi le tre classi regolari di grammatica.

52
ordinario anche nei buoni, lo dimostrano le parole con le quali lo fece conoscere e raccomandò a Don Bosco: « Qui in sua casa può avere giovani uguali, ma difficilmente avrà chi lo superi in talento e virtù. Ne faccia la prova, e troverà un San Luigi ».
E non esagerava. In realtà, se raccogliamo quanto siam venuti dicendo, scorgiamo nel santo fanciullo una precocità spirituale che ha dello straordinario. Fin dalle prime manifestazioni dai quattro ai sei anni, e più dopo la Prima Comunione, si rivela in lui uno spirito di preghiera e un atteggiamento dell´anima, ch´è un´espansione del cuore che si dà tutto a Dio (i), e che si svolgerà nel tempo in un vero stato d´animo (z), ed è intanto raccoglimento e attenzione a Dio. Donde, ed insieme, la religiosa cura e scrupolosa diligenza nell´adempimento dei doveri, che, nella sua condizione, è la migliore, forse la sola, via per divenire santo (a).
Ed è, anche solo a guardar´ lo, un San Luigi per la modestia del portamento e la purezza che irradia dall´aspetto: lo sentono perfino
i compagni fanciulli. Non altrimenti dovette essere là pietà fanciulla di San Luigi, prima che S. Carlo, a dodici anni, gli schiudesse la via dell´orazione, ossia quella pietà più ordinata che s´apprende dallo studio di sè (4).
Gli orientamenti della divozione, sintomo della ispirazione indi¬viduale della grazia (5), hanno cominciato a delinearsi, con l´attra¬zione verso il Tabernacolo, con la tenerezza per Gesù, con la prefe¬renza al culto dell´Addolorata, con la familiarità coll´Angelo Custode, con la pratica del Rosario che dalla casa trasporta alla chiesetta sua, davanti alla sua Madonna.
Bisogna riconoscere da codesti lineamenti una spiritualità supe¬riore all´età sua, e che riveste di sè le azioni della fanciullezza: una psicologia di Santo, della quale si hanno ad ora ad ora i segni non dubbi, perché sono i medesimi che la significano nelle anime adulte. Pur¬troppo, quando si studia cotale psicologia, non la si considera se non negli uomini fatti o in giovani usciti dall´adolescenza (6). Ma io credo
(r) FABER, cit.: Tutto Oer Gesù, pag. 84; Creatore ecc., pag.
(2) In., Progressi, ecc., pag. 417.
(3) FABER, Progressi, pag. 3o.
(4) MESCHLER, cit., 48-49.
(5) FABER, Belle/Mite, 224.
(6) Anche iI Hertling, nella sua risolutiva monografia, non potè recare altri esempi che di giovani, come S. Luigi, Stanislao Kostka, Giovanni Berkmans: di fanciulli no; benché la dottrina ch´egli espone e difende voglia riferirsi anche a questi. Se il Savio fosse stato già elevato agli altari, certamente n´avrebbe fatto un caposaldo della sua tesi.— Così iI Joly, nel suo citato lavoro, sorvola sui santi fanciulli.

` , 53
che al nostro piccolo santo si debbano riferire, non meno che ad altri, le dottrine dei moti di grazia.e di preghiera, che fanno della persona un essere nuovo e un uomo soprannaturale. Basta leggere, pensando al Nostro, il celebre capitolo XV dei Progressi dell´anima del Faber, e ivi stesso il capo XXVI, che parla del Fervore (i).
Non è un´immagine esornativa, ma è buona teologia, pensare anche del piccolo Savio che « intorno all´uomo di preghiera vi stanno coa¬bitatori e gli son famigliari Dio, Gesù, Maria, Angeli e Santi » (a). Non li aveva egli già familiari, colla tenera confidenza del fanciullo, anche nei suoi primi anni ? La psicologia dei Santi trasportata nel mondo giovanile riesce appunto a ciò che la figura del nostro piccolo santo rappresenta nella innumerevole varietà dei Santi di Dio: la spe¬cie dei santi fanciulli. E se fin dapprincipio ho ricordato che di lui, come di S. Luigi, si può dire che l´amor di Dio lo predò bambino (3), la sua tenera età passata nell´amor di Dio ci fa pensare all´amor di Dio per lui: quell´amore che precede sempre colle sue grazie la corrispon¬denza dell´anima, onde s´avvera quello scambio che in parola di. Don Bosco si chiama lavoro della grazia (4). Non è necessario essere dotti di teologia per amare Iddio con tutta l´anima, come non occorre sa¬pere l´ottica per vederci bene.
Io insisto su questi concetti, perché, prima di sentire la storica parola di Don Bosco, mi pare necessario spiegare come mai, in un´età di fanciullo tra undici e dodici anni, il Savio sia potuto giungere a quell´atto eroico, che, come dicevo, corona tutta la vita precedente. Per me quel fatto, quei motivi, e più, quel motivo intrinsecamente derivato dall´amor di Gesù, indicano una, persino inconsapevole, ma non meno reale, preparazione interiore e un´abitudine ai pensieri d´a¬more, che si sono venuti svolgendo nell´anima, e formando la sua sem¬plice ma già ben segnata fisionomia spirituale: si chiami poi psicologia o altrimenti, è sempre una vita dall´interno che si rivela nei fatti este¬riori. E cioè, ancor nel piccolo mondo d´anima fanciulla, non è già un saggio di quello che S. Maddalena de´ Pazzi disse di S. Luigi, ch´egli fu santo perchè « operò dall´interno ? »
(i) Sono pagine ornai citate da tutti, dal Segond, ch´è uno studio della psi¬cologia della preghiera, al Don Columba Marmion, dotto e pio maestro di Teologia Ascetica.
(2) FABER, Progressi, XV (Preghiera), pag. zo6.
(3) CRisporri, op. cit., ros.
(4) FABER, Piede della Croce, 436.
(5) CRISPOLTI, cit., pag. 31. MESCHLER, op. cit., pag. zryi: Visione di Santa
M. de´ Pazzi, 4 aprile r600.
io — CAVIGLIA, D071 Basco, scritti. Val. TV. Parte I.

54
o o • o
Ed ora udiamo quella parola. Il a ottobre 1854, di buon mattino, là, in casa Don Bosco a Murialdo (i), « un fanciullo accompagnato dal padre si avvicina per parlare a Don Bosco; il volto suó ilare, l´aria ri¬dente, ma rispettosa » interessa subito il Santo dei fanciulli. Vi è già una mezza intesa solo in quel presentarsi, e la figura non selvatica e ritrosa, ma ilare e ridente è quella propria che sarà sempre del nostro santino una prerogativa. Don Bosco non parla al padre, fa parlare il fanciullo: tra il Santo dei fanciulli e il fanciullo santo vi è una sin¬tonia che li fa intendersi fin dal primo momento, come da lunga data. Infatti dopo la presentazione, il racconto continua: « Allora lo chia¬mai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino allora praticato, siamo, tosto entrati in piena confidenza, egli con me, ed io con lui ». Ed ecco la rivelazione: « CONOBBI IN QUEL GIOVANE UN ANIMO TUTTO SECONDO LO SPIRITO DEL SIGNORE, E RIMASI NON POCO STUPITO CONSIDERANDO I LAVORI CHE LA GRAZIA DIVINA AVEVA GI). . OPERATO IN COSÌ TENERA ETÀ » (2).
Che cosa si son detto? E che cosa si dissero, in quel luglio 158o, S. Carlo Borromeo e S. Luigi? Anche S. Carlo « fece passare Luigi nella sua camera, si trattenne a lungo con lui, e restò meravigliato dei prodigi operati dalla grazia in questo fanciullo, senza l´aiuto di alcuna direzione esteriore,» (3). Per l´uno e per l´altro la conclusione è uguale; meraviglia e stupore al vedere i lavori o i prodigi (è quistion di stile) operati dalla grazia di Dio in un fanciullo di dodici anni, qual è l´uno e l´altro dei giovani santi: e il Borromeo osserva che ciò sí è fatto « senza l´aiuto di alcura direzione esteriore » come Don Bosco, senza dirlo, poteva vedere anche nel Savio.
In quel colloquio; nel quale il giovanetto « apre interamente il suo cuore » a colui ch´egli conosce per Santo (4), è tornata nelle parole del
(a) La festa del Rosario (allora ia dom. d´ottobre) cadeva quell´anno il lo ottobre, e ai Becchi (Murialdo) novena e festa si facevano nella piccola cappella a terreno della casa di Giuseppe Bosco, com´è tuttora: di fronte a questa casa (sul cui fienile dormivano i ragazzi e dormii anch´io) sta la nota casetta nativa del Santo. Nel Processo (Somm. cit., 68) D. Barberia depose che qualche antico compagno gli indicò il posto ove stava Don Bosco parlando. col padre del Savio per l´accettazione, e che da Don Bosco stesso gli fu indicato il punto del colloquio con Domenico.
(2) Così l´ediz. 51. Ma le tre prime avevano: ‹, Conobbi in lui... in così tenero cuore h. Cfr. 11 ediz. pag. 35: 3a ediz., pag, 31-32.
(3) MESCULER, cit., pag. 48, che prende dal Cepari. —. Cfr. sopra, pag. 7.
(4) Cfr. MESCHLER, loc. cit.

55
fanciullo tutta la vita precedente, « il tenor di vita fino allora prati¬cato » dice Don Bosco, e le domande « in piena confidenza » vanno a
trovare quei sentimenti, quei motivi, quegl´impulsi, di cui s´intesse la storia meravigliosa di quell´anima, quale noi abbiamo finora de¬scritta, e che fa prorompere nello stupore Don Bosco.
Come l´esperto mercante, che sente al tocco la qualità del panno, Don Bosco al tocco dell´anima del Savio sente la stoffa del Santo.
Ed ora, alla fine d´ « un ragionamento alquanto prolungato » e ancora in confidenza, anzi con la confidenza più disinvolta, il fanciullo do¬manda (« precise parole » dice il testo): « Ebbene, che gliene pare? mi condurrà a Torino per istudiare? ». Traducetelo in piemontese, e sentirete la forza di quell´Ebbene?
E Don Bosco risponde bonariamente, ma con un senso più recon¬dito, ch´egli solo crede capire, con la metafora della stoffa: « Eh! mi
pare che ci sia buona stoffa! ». Il fanciullo, sveglio nell´ingegno e non meno nello spirito, afferra l´immagine e la segue: « A che può ser¬vire questa stoffa? ». «A fare, risponde Don Bosco, un bell´abito da regalare al Signore ».
Non dunque s´intende solo degli studi: il parlar chiuso, cioè per simboli, involge ben altro nel pensiero del Santo Maestro e ben altro
dice al cuore del piccolo santo: « Dunque io sono la stoffa: ella ne sia il sarto: dunque mi prenda con lei, e ne farà un bell´abito pei Si¬gnore ».
Ma sai, o buon lettore, che questa risposta è stupenda? Non ci vedi un´ispirazione, un qualche cosa come di profetico: come se in
quel punto egli abbia condensata la visione della vita che gli resta,
che vuol essere tutto un lavoro di santità sotto la mano di Don Bosco ? Quando, sei mesi dopo, il giovinetto dirà a Don Bosco: « Io voglio
farmi santo... mi aiuti a farmi santo », non sarà che la traduzione in termini proprii di quello che qui è l´intenzione espressa per im¬magini.
Il resto del dialogo è contingente, benchè consono alle persone e al tema: difficoltà di complessione e fiducia bene ancorata (Ia parola è di S. Paolo) nell´assistenza di « quel Signore che mi ha dato finora
sanità e grazia »: parole robuste da uomo maturo, che si assommano in un « non tema » detto da un ragazzino che a vederlo fa proprio temere. E poi la vocazione. Don Bosco la domanda sempre, anche quando la sa: vuol che sia il giovane a volerla, non che possa parere suggerita. Così farà con Magone e Besucco.
E così è del seguito del racconto. La prova della capacità allo studio superata vittoriosamente imparando in otto minuti le 28 righe di una pagina: l´anticipata risposta di « annoverarlo fin d´ora tra i miei

56
figliuoli »: l´esortazione a pregare Iddio perché aiuti lui educatore, e il figliuolo a fare la sua santa volontà. Dove, chi vuol guardar bene, vede come Don Bosco pensa che il lavoro dell´educazione, sia umana che spirituale, è opera di collaborazione, non meno di quel che sia collaborazione di Dio e dell´anima nel lavoro della santità. E il fan¬ciullo che queste cose intende col cuore, ringrazia con la tenera effu¬sione del suo gesto.
CAPITOLO V
Quel che vi era e quel che doveva venire.
Don Bosco ha fatto cosi acquisto della buona stoffa di Savio Do¬menico. Egli ha visto, dal racconto del tenor di vita condotto fino allora, e dalle altre confidenze del fanciullo, come quella stoffa sia stata in¬tessuta dalla mano di Dio, coi lavori della grazia. E l´ha detto a noi, come al fanciullo ha detto di volerne fare « l´abito- da regalare al Si¬gnore ».
Noi abbiamo, col nostro discorso, voluto descrivere quel che Don Bosco ha veduto in quell´ora: come si è intessuta di mano in mano (ripeto l´espressione perchè la dissi prima con intenzione) la storia di quell´anima fanciulla. E l´abbiamo voluta vedere quasi colla lente, come fanno gli esperti, filo per filo e passo per passo (del telaio). Ora sappiamo qual era il Savio al momento che la sua stoffa passava nelle mani di Colui che da giovanetto aveva fatto il sarto per procac¬ciarsi di che adempiere alla sua vocazione di operaio di Dio.
E se vogliamo «in un sol punto e in una vista » comprendere tutto il già fatto, ecco presentarcisi qual era in quel momento. Delle sue virtù abbiamo una definizione nella testimonianza di D. Rua al Processo: « Ciò che vidi durante la sua dimora all´Oratorio bastava a far conoscere quanto dovesse già essere avanti nella pietà, prima an¬cora che venisse da noi ». « ... Io argomento che fosse di speciale ingegno e di preclara virtù, anche prima di venire all´Oratorio, dal¬l´interesse non solo del padre, ma del suo Cappellano e del maestro di Castelnuovo per fargli continuare gli studi». « ... La prudenza usata nella scelta degli amici e nel modo di comportarsi coi compagni, fa credere che anche al paese natio abbia saputo evitare i pericoli delle cattive compagnie» (t). Il Cagliero diceva di « una spontaneità e fa- cilità nell´esercizio delle virtù, da far conoscere averne un abito già dalla prima infanzia » (a). E gli riconosceva una purezza che egli, Car
(i) Somm. Proc., pag. 80.
(2) Somm. Proc., Cagliare, roz,

58
dinale di Santa Chiesa, credeva essere in lui una prerogativa speciale, frutto della divina grazia, e l´anima sua essere stata esente da tenta¬zioni: il che Don Rua opinava che fosse un privilegio singolare (i).
Internamente egli era giunto ad un amore che fin dai sette anni gli faceva pronunziare la sua grande parola, che lo staccava ed oppo¬neva radicalmente ad ogni idea di peccato: ad un senso della preghiera che gliela rendeva spontanea e diveniva ormai un bisogno della pic¬cola anima, e ad un´attenzione a Dio che lo accompagnava in tutte le azioni, ad un´intensità di raccoglimento che atteggiava il suo contegno
e che nella preghiera meravigliava le anime divote.
E tutta codesta attitudine dell´anima si era prodotta in lui dall´ar¬resa al fascino di Gesù nel SS. Sacramento, che lo richiamava all´al¬tare ogni volta che potesse e ve lo teneva quant´era possibile; mettendo nella sua pietà quel moto d´affetti che lo avviava, come aduna mamma, alla Madre di Dio, e quasi fraternamente all´Angelo Custode: un moto di affetti, diciamo di affezione, che più teneramente si volgeva a sentire congiuntamente la Passione di Gesù e i Dolori di Maria: ch´erano il soggetto delle sue prime riflessioni. E tra tutto, e come ri-sultanza di tutta la sua devozione e pietà così immedesimata, la devo¬zione (quasi la diremmo divozione) a tutto ch´era un dovere, nelle osservanze precipue e nelle più minute: un modello di precisione.
In tali disposizioni di cuore e di anima, si era delineata e poi affer¬mata la voce di Dio che lo chiamava al sacerdozio, per essere santo ed apostolo: a quella voce egli aveva risposto con l´eroismo della fatica
e dello strapazzo diuturno per adempiere allo studio.
C´era già in lui una precoce maturità e una coltura di virtù interne: serietà schiva di cose aliene dal raccoglimento, fortezza nel respin¬gere le occasioni men sicure, carità e buon cuore verso gli altri, fino all´eroismo della generosità; fiducia in Dio semplice ed immediata; obbedienza a Dio negli uomini; umiltà eroica. Operava coll´interno, ed era giunto all´eroismo delle virtù interne e dell´affetto pel suo Gesù: uno stato eroico quasi non immaginabile per la sua età e cognizione,
e tanto più sicuramente eroico, perchè derivato da un animo sempre sereno e lieto e caratteristicamente amabile, vivente in uno stato di letizia propria dell´innocente che gioisce della grazia di Dio.
Tutti questi sono più che indivia o sintomi: sono principii o ele¬menti e fattori di santità, che devono ancora, senza rimutarsi, fornire materia .ad un lavoro ulteriore, pel quale, svolgendosi essi, e comple¬tandosi di nuove attuazioni non ancora offerte alla vita precedente, vengano ad avere la forma predestinata al tipo ch´è nel pensiero di
(T) Somm. Proc., Cagliero 291; z88; Rua, 291.

59
Dio. Sono, come dice la felice metafora, la stoffa con che deve farsi l´abito. Il sarto sarà Don Bosco: egli darà il modello e ritaglierà (mi si conceda il breve allegorismo, che a lui piacque sempre) dalla pezza vergine i pezzi di misura, e li cucirà al lume di Dio e col filo delta sua pedagogia, e vi metterà anche la finitura: così lo regalerà, regalo da Santo, al Signore, finito di tutto punto, agiato e giusto di taglio e bello di seria eleganza. I ritagli non andranno perduti: le individualità del carattere e della divozione serviranno di buona provvista per gli altri, perchè la stoffa è abbondante.
o o 0
Usciamo dalla metafora. Noi abbiam veduto quello che c´era nel Savio ai suoi dodici anni, e ci disponiamo a vedere che cosa vi sarà dopo e che allora non c´era. Non s´era ancora affermato quel pungente desiderio, quella ricerca studiosa, ingegnosa (la parola è del Segneri), della mortificazione, che Don Bosco dovrà frenare o volgere in altro senso. Ma non nasce da sè; bensì è il riflesso più immediato e più naturale della nuova essenziale e trasfigurante visione che il giova¬netto ha della sua vita: dovere e volere farsi santo. Questa idea vi è naturalmente in ogni santo, giacchè senza tale volontà santi non sì viene. Ma la novità è il definirselo e volerlo espressamente, è nell´e¬sprimere questa volontà. L per eccellenza la parola nuova di Savio Domenico, che finisce di farlo santo davvero. Ne diremo a suo luogo.
E non dico da questo, ma con questo, la forma d´attività interiore ed esterna, di sentimento, di pensiero e d´azione, che distingue la figura del giovane santo. Due attrazioni, collegate e interdipendenti, ma egualmente irresistibili, e a loro volta feconde, agiscono ora su quell´anima, occupandola tutta; la vita eucaristica, nella quale il gio¬vanetto s´immedesima fino all´estasi; e il culto di Maria Immacolata, che genera un´istituzione originata dal santo alunno: e tutt´e due, com´è loro natura, dispongono e muovono e accompagnano l´attività del Savio sulla via che Don Bosco vede essere la sua: l´apostolato. Il Santo Maestro glielo dice apertamente, ed egli diviene un grande piccolo
apostolo.
È un´altra grande parola che l´anima di Savio Domenica impara a pronunziare, e che lo occupa finalmente tutto di sè. L´apostolato dei prossimi e l´apostolato in grande, quello ch´è tutt´uno con gli interessi della Chiesa e cioè di Gesù: la conversione degli eretici e la conversione d´una nazione estranea alla Chiesa. Codesto grandeg

6o
giar d´idee soprannasce, quasi erompendo, appena l´anima si è dette le nuove parole della pietà.
Sono queste le attitudini, le vedute, le aperture dell´anima che prima non c´erano; la volontà definita di farsi santo, lo spirito ardente
di mortificazione, la vita eucaristica, l´aderenza al culto pratico di
Maria, l´istinto dell´apostolato, la devozione alla Chiesa: messe in¬sieme, esse appartengono ai caratteri della santità. E allora non c´è da
stupire che l´Autore della grazia circondi il piccolo santo d´una vita carismatica, che non è neppure di tutti i Santi, e nel Savio appare più che nello stesso San Luigi.
Diremo, dopo questo, che il nostro Savio è diventato un altro ? Si dice nel parlar corrente, quando alcuno si rivela altrimenti da prima, e non è sempre oggettivamente vero. Nel fatto nostro, i principii, gli elementi, i fattori vi erano prima dei dodici anni; essi hanno preso sviluppo e forma meravigliosa, che sembra nuova e non derivata, perchè i fatti soprannaturali hanno una loro logica e un loro modo di svilupparsi a cui la logica naturale non giunge. È Don Bosco stesso che ci fa notare, subito al cominciar della nuova età del suo discepolo, che « tutte quelle virtù che noi abbiamo veduto nascere e crescere ne´ vani stadi di sua età, crebbero ognora meravigliosamente, e creb¬bero insieme, senza che l´una fosse di nocumento all´altra» (i).
A codesto svolgimento o, diciamo pure, nuova produzione, con¬corrono, com´è davvero naturale, due fatti: l´età e il luogo. I dodici anni sono il trapasso dell´adolescenza: precisamente quell´età che Don Bosco, l´Educatore dell´Adolescenza, riteneva adatta per cominciare una vera educazione; fosse morale, fosse spirituale o di santo, non distinse (2). Ed è l´età in cui una guida è necessaria. Genii si nasce; ma senza una grammatica dell´operare, non si produce l´opera . del genio. E Santi si può essere fin dall´infanzia e si è poi sempre e sol¬tanto colla grazia di Dio: ma a un dato momento è d´uopo d´un po´ di grammatica della santità. S. Carlo si meravigliò dei prodigi dalla grazia operati nel Gonzaga fanciullo, « senza alcuna direzione appa¬rente »; ma allora gliela diede, indicandogli la vita eucaristica e la meditazione. Cosi Savio Domenico ha fatto stupire Don Bosco: ma appunto perché questi ha veduti in lui i lavori operati dalla grazia, appunto in virtù di questo l´ha preso con sè. Nell´uno e nell´altro dei due giovani santi, l´autarchia della santità non avrebbe dato frutti oltre un certo limite.
(i) Vita, cap. VIII, t ediz., 37.
(a) Citeremo a suo luogo le precise parole del suo primo _Regolamento, del 1852-54.

LIBRO II
A CASA DI DON BOSCO

CAPITOLO I
" Incipit vita nova ".
Non senza una profonda ragione attribuisco la storica parola del Poeta (i) al nuovo momento della storia del Savio. La venuta di lui alla Casa: di Don Bosco fissa una volta per sempre il luogo proprio dove si rivelerà la sua vera vita di santo. Quel Capitolo VIII della Vita, che sta quasi a preambolo del restante racconto, è già intessuto di cose e di sentenze di tanto valore, da gettare un fascio di luce sulla vita susseguente. Chi legge s´accorge subito che Don Bosco vede già il Santo, e nel nimbo della santità avvolge le singole manifestazioni della piccola persona del suo alunno. Sì, queste pagine furono scritte assai dopo ,ma, oltrecchè sulle note che poi egli venne segnando, ben più palesando l´affettuoso stupore da cui fu presa l´anima sua in presenza del rivelarsi quasi subitaneo della vitalità d´uno spirito che, per quanto nel primo colloquio di Murialdo gli avesse dimostrato °i lavori della grazia divina, egli probabilmente non credeva ancora così maturo e temprato. E così gli vengono sotto la penna sentenze di vasta comprensione e rilievi lumeggianti che trasportano il lettore in quella medesima atmosfera nella quale egli vede vivere il suo piccolo eroe.
Benchè Don Bosco veda, e lo dice, che codesta nuova attività dello spirito del Savio non è senza precorrimenti, ed anzi sono le virtù di prima portate a meravigliosa crescenza: non può non sentire, nell´atteggiamento di quell´anima, il fatto nuovo e come l´intervento di una nuova ed imprevista energia, o di una luce non prima accesa, che fa del suo fanciullo un altro da quello di prima_ E senz´altro ci mette in grado di riconoscere fin dapprincipio quella novità, ch´è per lui quasi una scoperta, e che distingue (vorrei dire separa) l´antece¬dente età dell´autarchia nella santità da quella che ora s´inizia e si maturerà nelle sue mani medesime.
Il nuovo sta in quel subito ritrovarsi di se stesso nella nuova vita, e viverla senz´altro in pieno, nella più desiderabile e ideale delle per
(i) DANTE, La Vita nuova, § i.

66
fezioni, senza esitane e senza ignoranze. È questo che colma di stu¬pore Don Bosco su quel principio.
Meravigliosa è infatti questa posatezza, questo equilibrio e padro¬nanza di sé, per la quale il nostro fanciullo si orienta e cammina riso¬luto verso la meta, seguendo un programma predisposto non si sa quando, ma sicuramente definito e posseduto. Nè può spiegarsi se non come un lume di Dio che accompagna la volontà della virtù già acquisita. Questo piccolo ometto che fa subito tutto bene, e con l´a¬nima protesa a fare e volere tutto il bene che può, non è soltanto un tipo precocemente riflessivo: è un piccolo santo: piccolo, ma Santo, come disse a quei tempi il Cagliero.
Sono cominciamenti; ma in quelli Don Bosco vede già delinearsi la figura del suo santo, nella bellezza della sua armonia spirituale: vede che non cominciamenti, ma sono principii attivi che si verranno armonicamente svolgendo e maturando. E contemplando già nel suo insieme tutta la vita decorrente, il Santo Maestro esce in una defini¬zione che, ad un lettore comune, sembra messa là a conferma d´una didascalia educativa, ed è invece atteggiata nella sua mente dall´emo¬zione destata in lui alla scoperta del nuovo santo. Leggiamo: « Tutte quelle virtù che noi abbiamo veduto nascere e crescere nei varii stadi di sua vita, crebbero ognora meravigliosamente, e crebbero insieme, senza che una fosse di nocumento all´altra» (i).
Orbene, che in un giovanetto che tocca appena la prima adole¬scenza, si possa vedere una temperie di spirito, per la quale le virtù, oltre ad una meravigliosa fioritura, crescano insieme senza che una sia di nocumento all´altra, cioè in un´armonia, che solo può essere data, e non sempre, da una lunga e non facile disciplina di sé: che la discre¬zione propria delle menti meglio illuminate e delle anime più fine¬mente perfette (z), faccia di quest´anima quasi un saggio estetico di santità, com´è avvenuto poi della S. Teresa di Lisieux (3), è cosa tanto straordinaria e sopraterrena, che non può convenire se non con l´idea e l´immagine di un Santo. La parola di Don Bosco tocca in questo punto una profondità e un´estensione, quale solo poteva provenire dalla mente e dall´intuizione d´un Santo di genio.
Nè la definizione di Don Bosco può farci pensare a quello svol¬gersi e crescere dal poco al molto che si avvera in chi deve quasi ope
(i) Vita, loc. cit.
(2) FABER, Progressi, XXVII, 424; 428, 3. Cfr. pure S. BERNARDO, Sup. Cant., Semi. XLIX: Auriga virtutum discretio est.
(3) e L´equilibrio stabile e armonioso di tutte le virtù fu l´aspetto più risaltante della santità della Teresa del B. G. ». PETITOT, S. Teresa di Lisieux, ossia una ri
nascita spirituale, pag. 125.

67
rare una graduale conversione, conquistandosi la virtù e il progresso spirituale a poco a poco, con diuturno lavoro e magari tra lotte e fa¬tiche. Ogni santità è per sua natura una continua non mai intermessa crescenza nella esperienza amorosa di Dio (ed è in ciò, come dicemmo altrove, il lavoro misterioso dello scambio nel regime della grazia), e Don Bosco non omette di riconoscere che le virtù del suo caro san¬tino « crebbero meravigliosamente «: ma esse erano già nate con lui e « cresciute nei vani stadi di sua vita », e non era nel caso del princi¬piante (i trattatisti dicono incipiente) che comincia a metter su qual¬che cosa, passando, se Dio l´aiuta, di grado in grado fino alla perfe¬zione della via illuminativa e della unitiva. L´ «a poco a poco » nel caso nostro ci sta molto a disagio: sia perché il punto da cui si parte è già un molto, e Don Bosco l´ha sentito fin dal primo incontro: sia perché il nostro piccolo ma grande gigante dello spirito, come l´ha detto Pio XI, comincia subito e forte con fatti che non sono semplici cominciamenti, e prosegue poi, per grazia speciale di Dio, in una forma che trascende le parziali gradazioni. Con lui il buon Dio ha fretta, perchè il tempo che gli ha segnato è breve; e quel che dovrebbe com¬piersi in lunga ora, Egli, con un tocco della sua grazia, Io rende pos¬sibile e fatto in pochi momenti. Sono, anche questi, misteri di Dio.
Con tale concetto la vita uova del Savio ha una ragione di conti¬nuità, anche se non in ogni parte esso venga rievocato. II racconto biografico della Vita non segue strettamente una cronologia, ed è fatto per buone ragioni, come dirà lo stesso scrittore. Perché la vera cronologia di questa santità, più che dal volgere dei giorni, è data dai momenti della grazia, che segnano _nuove e più ardue ascensioni e sempre più intensi addentramenti dello spirito in Dio.
Perciò il nostro studio vuoi essere condotto, in questa parte, così come nella mente del Santo Maestro restò figurata la storia del suo discepolo santo: su tre linee che s´intrecciano e interferiscono a vi¬cenda, riuscendo ad un medesimo e unico termine. E sono: la bio¬grafia esterna come traduzione plastica della vita interiore; la storia interiore, ossia la vita dell´anima in Dio e la vita di Dio nell´anima, ora fonte, ora oggetto dei carismi soprannaturali; il lavoro di Don Bosco che guida e segue ed inspira.
Codeste tre vedute non sono distinte nel dettato della Vita, e l´ultima rimane alquanto velata, perché s´incontra con la direzione interna, che rimane secreta: solo compare a quando a quando la sen¬tenza comprensiva del Biografo, a mostrare ch´egli le ha presenti e ne vede le concordanze e l´unità. Non è da trascurare il fatto che se, al primo aspetto, la materia del libro è di preferenza un tessuto di fatti esemplari, non si hanno qui gl´inconvenienti dello sminUzzarnento

68
episodico, onde si perde il senso dell´insieme giacché quegli episodi sono coordinati ogni volta ad un tema ed ad un´intenzione, e stanno a dimostrare un particolare aspetto della ;vita di santità e, in sostanza, a provarne l´esistenza e l´azione. E sono appuntd le sentenze e le os¬servazioni d´insieme che ne raccolgono il significato.
o o o
Un saggio molto persuasivo è questo Capo Ottavo, nel quale son descritti i cominciamenti della vita nuova. Don Bosco è tanto preso dall´idea di presentarli come annunzi e segni, più ancora, come rive¬lazioni di santità, che nemmeno si cura di segnare la data dell´ingresso del Savio nell´Oratorio, che fu il 29 ottobre 1854 (i).
Entriamo anche noi, per prendere conoscenza di quella Casa, materia e spirito, nella quale doveva avverarsi la vita nuova del no¬stro giovane santo. Don Bosco, scrivendo nel 18.57-58, mentre era ancora in atto il mondo di Savio Domenico, non aveva bisogno di richiamare circostanze d´ambiente, quali sarebbero occorse a distanza d´anni e di decenni, e quali perciò occorrono a noi, così lontani nel tempo e in presenza di condizioni del tutto mutate, se vogliamo in¬tendere, fuori del vago e del generico, che cosa fu la vita vissuta dal nostro giovanetto santo.
Quando il Savio venne a Torino, la Casa dell´Oratorio era ancora ai suoi esordii. Diciamo la Casa, perché questa fu sempre la parola usata da Don Bosco, annettendo alla parola un senso di convivenza famigliare, quasi d´intimità, quale intendiamo noi pure quando par¬liamo di casa nostra (a).
E, ripeto, nella Casa tutto era ancora agli esordii. Siamo al periodo delle origini: quando si vien costruendo la prima fabbrica, e mentre con l´accogliere un crescente numero di giovani, si vien via via ordi¬nando un regime di vita più regolato, benché, per parecchi anni an
(i) L´annunziò il Card. Cagliero al Processo Apostolico, osservando con parti¬colare tenerezza che e casualmente o provvidenzialmente la salma del Savio fu trasferita a Torino nella Basilica di Maria Ausiliatrice lo stesso giorno in cui 6o anni prima egli entrava all´Oratorio, alunno del Ven. D. Bosco ». (Somm. Proc., Cagliero, 341). Il trasferimento della Salma da Mondonio a Torino avvenne il 27 ottobre: ma nella Basilica venne riposto soltanto il 29 del mese medesimo. (Cfr.
SALOTTI, cit., pag. 248-49).
(2) Propriamente la Casa dell´Oratorio voleva indicare il piccolo fabbricato d´abitazione annesso` all´Oratorio, ch´era la primitiva e specifica fondazione dal 1846 in poi (e, quanto al nome, dal 1845), nei locali di Casa Pinardi. Insomma l´Oratorio di S. Francesco di Sales aveva una Casa, in cui abitava Don Bosco con sua Madre, e si allogavano i vani locali occorrenti al funzionamento dell´Oratorio
stesso, e poi, stringendosi bene, anche il primo Ospizio.

e, 69
cora (che nell´intenzione di Don Bosco avrebbero dovuto esser sem¬pre) non vi apparisse affatto lo stile collegiale. Possiamo dire anzi, che, come la Casa, così si veniva edificando nel pensiero di lui la con¬cezione organizzata del suo sistema: giacché proprio in quel 1854 egli fissava le sue idee nel Primo Piano di Regolamento per la Casa annessa all´Oratorio di S. Frane. di Sales: pensato e abbozzato in parte nel 1852, ma, dopo lunghe meditazioni, finito di elaborare nel ´54, e pensato, come si vede, per la Casa d´allora (i).
Io credo che non s´intenderà mai a fondo la ragione intima del suo sistema educativo, se non si tien conto della fonte prima della•sua con¬cezione, ch´era il ricordo e, diciamo pure, la nostalgia della vita di quei primi tempi. Eh! l´origine delle idee come dovrebbe valere a spie¬garle! Non è una parentesi oziosa, se pensiamo che appunto allora, nella formazione del Savio, si concretavano una volta per sempre gli indirizzi spirituali ch´egli ha lasciato in retaggio ai suoi e al mondo.
o o o
Diciamo intanto della Casa. Quando Savio Domenico vi entrò, della presente città salesiana in Valdocco non esistevano che la Casa Pinardi, la chiesa di S. Francesco (1852), e l´ala destra del fabbricato centrale, col breve e ristretto braccio trasverso, in capo al quale, al 20 piano, 33 stanza, dall´ottobre 1853, si era allogata la camera di Don Bosco, affacciata (cioè con l´entrata) sul balcone. Questa parte era stata costrutta nel ´53 (2), e aspettava di completarsi dell´altra _metà (dal portone-andito di mezzo verso sinistra), che fu fabbricata, presente il Savio, nel ´56, sul sito della primitiva Casa Pinardi. La vecchia tettoia-cappella serviva da sala di studio! (3).
E con quella prima costruzione il numero dei giovani fu portato subito a 65: nell´anno 1854-55 crebbero fino a 115, e nel successivo, a 153. Come ci stessero, è un miracolo! (4).
(i) Mena Biogr, IV, 542, e Appendice, 735.
(a) P, la Casa nuova del Soc. Bosco data come domicilio di Carlo Tomatis nei quaderni dell´Accad. Albertina di Belle Arti, anno 1855-56. — La prima fab¬brica giungeva fino alla scala e la comprendeva, poi, tirandosi su l´altra, fu lasciato il passaggio di mezzo, che ancora esiste.
(3) Cfr. F. GIRAT.3DI, L´Oratorio di Don Bosco: Inizio e progressivo sviluppo
edilizio, ecc. Torino, 2& ediz. rifusa, pag. 124-127. — opera capitale per la
storia Salesiana.
(4) Eppure nel ´57, con l´altra parte di fabbrica, il numero fu di 199, e c´erano già tre scuole interne e quattro laboratorii. La parola » non c´è più posto » il buon Padre non la volle mai sentire. Potrei dimostrarlo con fatti di veduta, anzi coI fatto persomile.
i — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.


. Anche col numero cresciuto e crescente, il tono della vita era pur sempre quello della famiglia, con un Padre che si spendeva tutto pei suoi figliuoli e viveva in mezzo a loro, e si tapinava in procacciare il pane, che nel 1854 costava 14. soldi al chilo (i): con una Madre, mamma Margherita, che ormai non bastava a tutto, ma il cuore e le buone
parole non le mancavano mai; con una disciplina che in mano di Don Bosco non andava più in là dell´ordine e dell´obbedienza amorevole
d´una famiglia cristiana. Il Patriarca dell´educazione cristiana (z) vo¬leva, e avrebbe voluto sempre, che ogni suo figliuolo si sentisse a casa sua (3). Un Regolamento c´era e fu terminato di scrivere in quel¬l´anno (.4.), come poi, in seguito,. l´esperienza e la necessità suggerirono qualche altra regola disciplinare; ma il tono paterno ed esortativo delle
regole stesse, e la loro evidente praticità e ragionevolezza, allontanava ogni idea di costrizione o d´imperio.
E poi questo amorevole codice era osservato non in forza d´una sanzione qualsiasi, ma per coscienza, e il testo di quella legge, che venne pubblicato con qualche ritocco nel 1877, non era che la for¬mula fissata degli avvisi che quotidianamente si davano a voce, in forma di consigli e di esortazioni, dal buon Padre di tutti.
Il motto Dio ti vede era sui cartelli un po´ dappertutto, e bastava.
Era questa spontaneità nell´obbedire alle poche regole e alle osser¬vanze comuni, che dava senz´altro l´aspetto della vita di famiglia a
tutta la Casa. Ed è il primo grande principio del sistema educativo di Don. Bosco: ottenere che i doveri, si facciano per coscienza.
Egli non aveva allora pressochè nessun aiuto: solo dal 15 agosto 1854 era venuto a star con lui D. Vittorio Alasonatti, disposto e pre¬sente a tutto e moltiplicato per tutto: una qualche parte di sorveglianza
potevano avere i primi chierici Rua, Francesia, Savio, e, dal novembre di quell´anno, il Cagliero: tutti dai sedici ai diciott´anni di età; e con=
siderati come allievi anziani: poca cosa adunque.
o o o
Ma, e per principio e per forza di cose, tutto il´ buon andamento
della Casa era fondato sul principio della presenza di Dio e della coscienza. L´aria di famiglia si compenetrava con l´aria di Dio
(i) Lascio al lettore esperto di fare il ragguaglio del valore della moneta d´al¬lora con quella presente: ne viene un costo carissimo. Ed era certamente pane tli 2a qualità.
(a) °RESTANO, Acc. d´Italia: Don Bosco Santo, Cagliari, 1934.
(3) Mem. Biogr., IV, 679.
(‘D Cfr. pag. prec., n. r.

71
a formare un clima da santi, ch´era in molta parte un clima di santi.
Non è una frase speciosa, nè un gioco di parole. Don Bosco aveva già creato in casa sua quello spirito di filialità verso Dio e verso lui stesso, che traduceva ogni fatto, buono o meno che fosse, in lingua di Dio; e se il bene, il dovere si adempiva per non offendere il Signore, la mancanza era un peccato e il richiamo era alla voce della coscienza e alle cose dell´anima. Chi legge nel IV volume delle Memorie Bio¬grafiche il capo LVIII, e vede come si viveva attorno a Don Bosco, ancora tutto solo, negli anni precedenti al 1854 e intorno a quello, egli sorriderà leggendo che, per esempio, ogni giovane segnava da se stesso la sua presenza alla Messa con un cavicchio infisso in una tabella ac¬canto al suo nome; e sparsamente, anche nelle Biografie, troverà che ciascuno prendeva in chiesa il posto che più gli piacesse (i). Ma tro¬verà pure che Don Bosco era sempre tra loro, e alla sera s´inginoc¬chiava in terra, in mezzo a loro, per dir le orazioni, e poi si alzava a tener loro il tipico sermoncino della buona notte; dopo di che, a molti, passando per salutarlo, diceva una parola all´orecchio, e non tutte di rimprovero: tantochè e dalle intenzioni delle preghiere rac¬comandate a tutti e dalle preghiere di qualcuno ch´egli conosceva più intimo con Dio, otteneva le grazie per la Casa e per le persone che gli si raccomandavano (2). Non mancavano piccoli santi: quel Giuseppe Morello, dell´Oratorio festivo, ch´egli prese a tipo del suo PIETRO O la forza della buona educazione, pubblicato nel 1855; quel Burzio, tosto passato al cielo; ch´egli chiamò un piccolo San Luigi e che ebbe una visione eucaristica palese con valore di profezia (3): e la serie dei Fascio, Rua Luigi, Gavio, Massaglia, ricordati nella prefazione alla Vita del Savio: nonché quella di giovanetti dotati di autentici carismi profetici, di cui discorreva il buon Padre allora e nel tempo prossimo
a quello (4).
Si potrebbe pensare che ciò fosse possibile finché i giovanetti
furono pochi, con le sole nove stanze e la ex-cappella di Casa Pinardi, che però, con le nuove fabbriche e il cresciuto numero degli accolti, un tal regime e il conseguente frutto morale avessero a diminuire assai
o a mancare. No: anche col nuovo incremento della Casa lo spirito non mutò, e si può, anticipando, affermate che piuttosto si venne in
(i) Ivi, pag. 677-679.
(2) Per quanto spetta al Savio, lo confermano i Processi. Cfr. Somm., Anfossi,
78; Francesia, 121.
(3) Mem. Biogr., IV, 3o3.
(4) Cfr. pel 1857, Mem. Biogr., V, 725; 72.0 e seg.; VI, 828, 968 e seg.: ri¬cordiamo la stessa visione del Zucca già citata

72
qualche parte intensificando: poniamo pure che a codesta nuova cor¬rente abbia avuto parte la presenza del Savio e il suo apostolato (i).
Ancora al tempo del Besucco (1863-64), quando ornai l´Oratorio s´era steso largamente nello spazio, ed esisteva una vita regolare d´Istituto, e la stessa Congregazione Salesiana aveva la sua forma, anche allora
non s´era peranco smentita la tradizione nè obliterata o svanita l´im¬pronta data da Don Bosco alla vita della sua Casa: e n´è prova la Vita
del Besucco scritta dal Santo, come le continue manifestazioni di vita • santa ch´egli vedeva avverarsi tra´ suoi.
Il capo XXXI del vol. V delle Memorie citate (2) c´informa delle felici disposizioni dei giovani nel tempo che ora noi consideriamo, rilevando lo studio che Don Bosco poneva nei mesi di novembre-di¬cembre dell´anno scolastico per preparare il campo all´opera educativa di tutta l´annata: notizia utilissima per noi, che vogliamo conoscere i cominciamenti del Savio, rivelatisi appunto in quel tempo. Ma non è da credere che ogni volta ci si dovesse rifar daccapo, come se nulla avanzasse del lavoro procedente. C´era un fondo, diciamo così, di giovani buoni e santi, che emergevano per la loro virtù, e c´era il tono dominante di quella sinfonia d´anime creata dal Santo educatore.
li Savio, entrando a fin d´ottobre, non veniva in un Collegio, ma
in una Casa, e la vita che gli si offriva non era una disciplina qualsiasi di ragazzi d´Istituto, ma una vita intonata e avviata alla santità da
Chi la dirigeva. Compagni che l´accolsero erano Rua, Cagliero, Fran
cesia, Savio, Reviglio, Piano, Anfossi, Tomatis, Massaglia, Vaschetti, Buzzetti, Enria (poco oltre vennero Bongiovanni, Bonetti, Durando,
Cerruti, Ballesio, e altri del medesimo valore): tutti nomi acquisiti alla storia di Don Bosco e dell´opera Sua di educatore e di apostolo. Alcuni di quelli poterono ancora, cinquanta e più anni dopo, testi- . moniare di lui e della vita ambiente dell´Oratorio nei due Processi
per la Beatificazione. Le loro parole dicono più d´ogni altro ragiona¬mento. Giovanni Molino, conterraneo del Savio, ci dice che « tanto
egli quanto gli altri compagni. che ivi ebbe, tutti erano buoni d´indole e osservanti del proprio dovere ». Dice anzi di più: chè quanto a va
lore eroico delle virtù egli non saprebbe discernere fin dove giungesse, « perchè fra tanti luminosi esempi di virtù che si osservavano tra i
giovani d´allora, non mi colpiva in modo speciale la figura del Servo di Dio, che era tra i più giovani » (3). Parole preziose, delle quali
(i) I fatti a cui si allude con le citazioni della Nota precedente appartengono a questo periodo.
(z) Cit., pag. 366-67.
.(3) Somm. Proc., pag. 96. — Il Molino fece poi gli studi teologici, ma non si fece prete, e fu Maestro nei suoi paesi. Egli non intende diminuire il valore

`n`, 73
terremo conto ancora altra volta. Di non minor valore è la defini¬zione che di quella vita ci dà Mons. Ballesio (i): « Nell´Oratorio, co¬minciando da Don .Bosco e venendo giù fino ai suoi figli, compreso il Servo di Dio tra i migliori, si viveva una vita ricca di virtù, di pietà, di allegria, di studio, e di lavoro (a); ma poverissima di tutto quello che si dice il confortabile. Tutto per amor di Dio e sperando il suo aiuto e il suo premio. Questa era la bandiera». E in altra deposizione metteva in evidenza lo spirito vivissimo di fede di Don Bosco e del suo Oratorio, aggiungendo che « la nostra vita era di somma vene¬razione alle cose sante, desiderio della parola di Dio, rispetto affet¬tuoso alla Chiesa, al Papa, ai Superiori ecclesiastici» (3).
Il Cagliero a sua volta ricordava che « al tempo deI Servo di Dio vi era uno slancio nei giovani più buoni di esercitarsi nella virtù in modo straordinario » spiegandosi poi con particolari che ci torneranno utili altrove (4).
Accenni consimili spesseggiano nelle testimonianze: ma questi, più significativi, bastano a farci intendere in quale atmosfera respi¬rava e si alimentò la santità del Savio fin dai primi giorni e nel resto della sua permanenza presso Don Bosco. Il soprannaturale aleggiava sull´Oratorio, e non erano neppure insoliti, come s´è detto, i carismi speciali, di visioni, discernimenti di spirito, profezia. V´era una cor¬rente di pietà che Don Bosco stesso diceva essere in taluni superiore a quella stessa del Savio (5).
o o O
Naturalmente, e sarebbe grave il trascurarlo, coi buoni c´erano, in una istituzione che sorgeva per la salvezza e redenzione « della gioventù povera e abbandonata », c´erano anche i non buoni e persino i traviati nella fede e nella morale. Pio XI, con delicatezza squisita, illumina d´un sol tratto la virtù e il merito del Savio, e la carità trion¬fatrice dell´azione educativa di Don Bosco, quando dice di « un gio
del Savio, che poi riconosce ampiamente; bensì intende mostrare quale fosse il tono della vita d´allora intorno a Don Bosco. Del resto egli fa ben notare che e l´età giovanile d´allora, íl poco spirito osservatore delle particolarità, l´applicazione agli studi e la distanza di tempo gli tolgono di poter specificare fatti partico¬lari, ecc... e.
(i) Somm. Proc., Ballesio, ´70.
(2) La formola che Don Bosco darà al Besucco nel 1863: e Tre cose: allegria, studio, pietà e. Cfr. Vita, cap. XVII, edit. ra, pag. go.
(3) Ibid., pag. 157.
(4) Somm. Proc., CaZlier0, 289. •
(5) Mem. Biogr., VI, 8z8: dalla Cronaca di D. Domenico Ruffino, i i genn. 1862.

74
vanetto che non passa i suoi anni rinchiuso in un orto particolarmente custodito: ma prima in mezzo al mondo, e poi là dove la Provvidenza l´aveva collocato, e quindi in mezzo a una gioventù che la grande anima di Don Bosco adunava e formava, e veniva formando e rifor¬mando, santificando: ma dove era tanta miscela di buoni e non sem¬pre buoni esempi, di buoni e non sempre buoni elementi. Era infatti il segreto del grande Don Bosco di mettere talvolta la mano proprio su elementi non buoni... era il suo segreto di mettere, allungare, al¬lungare talvolta la mano ovunque per trarre dal male il bene, proprio come fa la mano di Dio » (i). Parecchi degli atti eroici del nostro san¬tino, neppur tutti narrati nella Vita, hanno per cagione appunto le male azioni di giovani che Don Bosco, con una longanimità e una sapienza sovrumana, cercava di ridurre al bene. Non pochi dei rico¬verati, specialmente artigiani, venivano dalla strada e da condizioni famigliari di miseria e abbandono morale, quand´anche non era malo esempio, per cui il rimedio più urgente era di mettere il giovane al riparo, ritirandolo. Ce n´era perfino dei raccomandati dalla pubblica tutela, e qualche teppista in erba non mancava. La stessa povertà poi, ch´era un po´ di tutti, si trovava troppe volte associata alla volga¬rità, alla bassezza, alla grossolanità, ordinarie nel basso ceto, il che non era praticamente iI miglior aiuto per una educazione morale. Qui torna bene la sentenza, altrove citata, di Ludovico Vives: Nam pau¬perum filiis a nullo est nzaius periculura, quanz a vili, sordida et incivili educazione.
Gli elementi buoni si trovavano di preferenza tra gli studenti, sia perchè di questi si poteva far la scelta nell´accettarli, sia principalmente perché la maggior parte, e quasi di regola, venivano con l´intenzione di darsi alla vita ecclesiastica.
Il miracolo pedagogico di Don Bosco, che non può essere com¬preso nelle pedagogie di gran nome, è in questa trasformazione di mali elementi in buoni e morali, e dei meglio disposti in esemplari di vita santa fino all´autentica santità. E non so se sia minor miracolo d´esser riuscito a creare, tra una miscela così difforme, un clima e un tono di vita quale ci descrivono le testimonianze e ci confermano i fatti della storia.
o 0 o
Ho accennato alla povertà come ad una delle possibili cause predi¬sponenti del guasto morale. Vi ritorno per un altro aspetto, molto dis¬simile, ma non estraneo al mondo circostante al Savio Domenico, e
(i) Disc. del 9 luglio z933 § 3.

75
del resto intimamente connesso con l´opera educativa e il sistema pro¬prio di Don Bosco.
Povera e squallida era la Casa di Don Bosco in quei tempi, e po¬verissimo il tenor di vita che vi si corr.;-uceva, e se n´hanno parecchi accenni nello stesso Processo del Savio per parte di allievi superstiti. Il Santo Pedagogo non fa mai cenno espresso, nella Vita del Savio (e neppure nelle altre che la seguirono a breve distanza), di quel che fosse la vera condizione dei giovani da lui ricoverati, e la forma del¬l´educazione che conveniva pur adottare per quella folla di giovani poveri, ch´egli manteneva. Appena ne lascia travedere qualche cosa attraverso gli spiragli del racconto, per via dei fatti e delle circostanze che vi si leggono.
Non che gli mancasse il senso del reale; ma perchè, mentre tutta la sua vocazione e tutta la sua vita furono per la gioventù povera e abbandonata, e in nome di essa unicamente invocò sempre la-carità del mondo, non volle mai pronunciare la parola che sta all´inizio e dà lo stile alla sua più genuina pedagogia; che cioè la sua è e vuol essere la pedagogia del povero. Essa non sarebbe probabilmente stata compresa, mentre dell´opera sua non compariva se non la carità cri¬stiana in quella parte che la società non curava.
La spiegazione di questo concetto mi porterebbe ad una digres¬sione carissima, donde vorrei che risultasse ben chiara la differenza tra i sistemi o i metodi pedagogici anche celebri, concepiti quasi sol¬tanto per la società borghese e civile, e ad ogni modo senza tener conto delle condizioni del povero, e questa pedagogia, di cui Don Bosco è, si deve riconoscerlo, l´iniziatore e il classico modello. La quale non è solo il gesto caritativo del dare il pane al figlio del povero, nè la sola bontà che indulge e compatisce alla povertà: ma è un´intera sistema¬tica concezione, che parte dalla vita e dalla psicologia del povero e s´iminedesima con esso, per elevarne il livello morale e spirituale, ma-teriandosi di vedute, di precetti, di metodi, conformi alla psicologia e alla mentalità del povero. Ha detto bene Francesco Orestano (i) che la più vera benernerenza sociale di Don Bosco sta nella scoperta della legge dell´educare col lavoro e al lavoro. Potremmo dirla, un po´ ar¬ditamente, una pedagogia proletaria, o, quanto meno, la pedagogia del proletario, pensando che tale apparve, come dice Carlo Adam, la morale del Vangelo fin dalla prima delle Beatitudini (2).
Rinuncio alla digressione e vengo al concreto. Quei giovanetti, in buona parte raccolti o accolti di tra la gente più umile e povera,
W Disc. cit., pag. 22.
(2) Cuti.° ADAM, Gesù il Cristo (trad. ital.), capo IV, art_ n´, pag. z31

76
erano per lo più figli della campagna; e chiunque consideri la condi¬zione dei tempi, quando il progresso civile non poteva ancora diffon¬dersi molto all´infuori dei maggiori centri, intenderà bene che la vita rusticana non aveva peranco sofferto o ricevuto, secondo che si vuole, l´influsso della vita cittadina. Le maniere di quei poveri ragazzi erano naturalmente quelle della gente di campagna o delle più umili classi proletarie: e, salvo ad essere, massime tra i campagnuoli, anime so¬vente vergini e ingenue, nel resto erano sfornite quasi del tutto di coltura civile. Molti erano addirittura rozzi e grossolani: qualcuno, nella sua selvatichezza, finiva con essere anche rozzo di cuore. Quello a cui si dà nome di educazione, e che almeno suppone un certo assetto della persona e una cotale compostezza di atti e di maniere, era per loro un far come i signori, e ci riuscivano a stento o per caricatura (i). E se il Savio fu lodato dai maestri e compagni di scuola, anche di condizione signorile, -perchè era, nella povertà sua, assettato, garbato e civile, gli è appunto perchè tale dote non era comune agli altri.
Dire, come scrissi altrove (2), che lo stile di Casa Don Bosco è uno stile di terza classe, per quel tempo non è ancora esatto, o bi¬sogna pensare al regime più bassamente popolare delle terze classi nelle ferrovie dei primi tempi, che si protrassero fino alla memoria nostra. Ricordiamo, per esempio, che il piccolo Savio, come i suoi compagni, andavano d´inverno a scuola coperti con vecchi giubboni di rifiuto regalati dall´Amministrazione Militare, e che i professori Bonzanino e Picco glieli facevano deporre in anticamera, per non urtare troppo la sensibilità degli altri alunni di condizione nobile o agiata. E solo per suggerita indulgenza s´indussero a tollerare il tac¬chettio degli zoccoli.
Non mi soffermo a descrivere lo stato materiale della casa, anche dopo la-trasformazione di Casa Pinardi nella Casa nuova, e i sempli¬cismi abdicatarii a cui costringeva un´amministrazione che dipendeva giornalmente dalla carità; vita ridotta al puro indispensabile nelle cose e nelle forme. Ma quella sortita dello studente che va da Bonza¬nino col cucchiaio in tasca, e perchè, cadutogli in terra, i signorini e i suoi ne ridono, egli protesta: Già, debbo venire a scuola senza il cucchiaid, eh? » mi sembra che dica qualche cosa. A me fu raccontata dal Cagliero nel 1884. Io ricordo queste circostanze perchè, se non si hanno presenti, si rischia di cader nell´astratto, e non vedere la realtà che fu nella vita del Savio. Credo persino che, oltre al rico
(i) Quante volte abbiate sentito parlar cosi ancora noi di quasi trent´anni dopo!
(z) Don Bosco. Profilo storico. Ediz. 2a, 1934, pag. 13.

77
struirsi il mondo ambiente, torni utile l´esser vissuto, come lui, da bravi figli di Don Bosco, sotto gli occhi del Santo, in uno stile di
vita e in mezzo a un popolo, per quanto più numeroso, non dissimile per origine e condizione da quello di quei tempi. Quasi trent´anni
dopo io vissi quella vita appunto, che in molte cose, via, serbava an¬cora lo stile primitivo, conoscendo coloro che al tempo del Savio
erano giovani al par di lui. t una specie di nobiltà salesiana, della quale davvero non saprei adontarmi.
Dico che, per capire tante cose del Savio, giova moltissimo l´affi¬nità delle condizioni. Il Crispolti nel suo magistrale lavoro, ha potuto spiegare certi atteggiamenti dello spirito di S. Luigi, non mai com¬presi e persino alterati nella tradizione (i), e darci in molta parte la reale personalità del Santo, che fu umilissimo fino all´umiliazione, ma non poteva non essere quel che era, principe e colto e costumato nelle Corti, e cioè sentire ed operare sempre nobilmente e da nobile; ha potuto, dico, intenderne l´animo, perchè egli stesso, lo scrittore, è anche un marchese, e per nobiltà di carattere, di educazione e di pen¬samenti, predisposto a comprendere meglio d´ogni altro un nobile che si fa Santo.
o 0 0
Questo riflesso ne richiama un altro, affine e connesso, e quasi derivato dal primo. È la condizione mentale (la chiamano mentalità)
di quei buoni figliuoli di Don Bosco. È un orizzonte ristretto ad una coltura puramente scolastica, e questa, a sua volta, limitata al piccolo
ginnasio o scuola di grammatica: dove appunto tutto il lavoro è gram¬matica e altre cognizioni non c´entrano. Anche più innanzi, nelle co¬siddette Umanità e Rettorica (IV e V Ginnasiale) non si esce dall´am
bito dei pochi autori e della ancor píù poca teoria retorica e gramma¬ticale. E poi c´è da tener conto della provenienza di quegli scolari.
Vengono da scuole di paese, in un tempo che l´italiano era cosa di lusso anche per la gente di certa istruzione: del resto domina il dia¬letto, il piemontese, che, pure all´Oratorio, si parlò, persino dal
pulpito, fino al -1863. Poca istruzione plimaria, adunque, e confinata coltura secondaria: donde piccolo contributo allo sviluppo dell´intel
ligenza, e ristrettissimo ambito d´idee e di pensamenti. La vita am¬biente non ne fornisce di più, ridotta, com´è, allo scambio delle pie
(i) Si veda, per es., come spiega il non guardare in faccia a sua madre, che fu sempre portato a prova di quello che non può provare, e diede ansa, in ore di accanimento anticristiano, a basse insinuazioni e ad esplosioni di sentimentali¬smo posticcio. — Op. cit., cap. V: « Non guardava sua madre a, pag. 89-102.

78
cole idee d´una società composta di quei poveri giovani di cui si è
discorso.
Non dunque abbiamo da pretendere, o da aspettarci, levatura
d´idee e pensamenti espressi in forme squisite; se nei piccoli Santi di Don Bosco i sentimenti sono alti e spiritualmente superiori, non è frutto di coltura, nè di concezione di spirito geniale: è frutto della grazia di Dio. Tantochè sono espressi nella forma più umile e pede¬stxe, e riferendone le parole lo scrittore deve aggiustarne la gramma¬tica e la dicitura. Si può, lo sappiamo, esser Santi anche senza. saper di lettera: quel che l´uomo non sa, Dio glielo inspira; ma insomma, nel fatto comune, con la mediocrità e la limitazione dei concetti, non si riesce a formare una mentalità altrimenti che mediocre e limitata. È bene tenerlo presente, per spiegarci lo stile molto umile e popolano dei discorsi e delle sentenze che si leggono nel modesto dettato di Don Bosco, come uscite dai suoi piccoli santi, e del resto nel dettato stesso della scrittore, che parla ai giovani col linguaggio che solo pos
sono intendere (i).
Che di mezzo ad un genere e tenor di vita come quello sia potuto
uscire un Santo qualificato e molte santità, ed anzi vi si sia potuto formare un clima da Santi, quale troviamo descritto nelle citazioni
dei Processi, è precisamente la novità santa di Don Bosco, e, per dirlo subito, la realtà della sua pedagogia del povero e la verità della sua tesi
spirituale. È l´originalità storica di Don Bosco.
Da ciò si può anche dedurre che solo fino a certo segno (ed anche
superficialmente) è possibile accostare la figura di Savio a quella di San Luigi (2). Non dico della sostanza della santità e dei parecchi punti di affinità che possono intercedere tra i due santi: sibbene della forma della santità e della vita vissuta praticamente. Savio Domenico è un´altra specie di Santo, distinta da S. Luigi. Pure studiandosi d´i¬mitarlo (in qualche momento perfin troppo, e Don Bosco dovette moderarlo), il Savio rimase un altro, rimase se stesso. Qualche capo
(i) Il libro è dettato in italiano, e certamente in una forma più corretta di quanto ne vediamo nelle lettere dei Maestri del Savio allegate al Processo: ma per sentirlo ben addentro, bisognerebbe, in molte parti almeno, e nei dialoghi sempre, tradurselo mentalmente in piemontese. E se il linguaggio che si usa ha qualche influenza sull´indole delle idee, non è chi non veda che l´intellettualità di quel piccolo umile mondo non poteva essere molto raffinata.
(z) Un parallelo tra essi potrebbe formare un gran paragrafo, che, a cano-nizzazione avvenuta, sarà certamente opportuno per molti motivi, e dico che l´at-trazione è per me molto forte, ma ora me ne astengo, lasciando ad altri di farlo a tempo suo. Ma il parallelo non sarà esatto se non concluderà con la differenza tra i due esemplari. In Paradiso S. Michele, S. Gabriele, S. Raffaele, sono Ar¬cangeli tutti e tre, e, dicono, di specie diversa!

"-.+, 79
ameno è giunto a pensare che, col Savio sugli altari, i Figli di Don Bosco possano pretendere di far a meno di S. Luigi e, in volgaris¬simo parlare, far concorrenza al modello insuperato della purezza giovanile. Non diciamo di gradi, che quelli li vede solo il Signore: diciamo di specie, affini sì, ma distinte, e cioè pensate dal buon Dio per completare l´armonia delle sue creazioni.
A pari età, S. Luigi vive alla Corte di Firenze, e il Savio passa le sere d´inverno nelle stalle dei vicini; quello riceve un´educazione da cavaliere dí spada e cappa, ed un´istruzione accurata e personale, coi classici italiani e latini, e da maestri dotti: viaggia e vede cose, e tratta con personaggi d´alta condizione: riceve la. prima Comunione da un Santo, ch´è pure principe e Cardinale:- a dodici anni può entrare alla Corte di Filippo Il, al quale a quindici anni è in grado di presen¬tare, dicendola, una fortissima orazione latina da lui composta; poco dopo dimostra di possedere un patrimonio d´idee e una tempra d´in¬gegno capace di rappresentare suo padre in affari delicati: umana-mente parlando, è un tipo superiore.
Il piccolo Savio, povero campagnuolo, vive nello stile´ della più povera ed umile società: la sua istruzione, formata nella miscela d´una scuola di villaggio, non gli fornisce altro che le idee e cognizioni indi¬spensabili alla vita che l´attende nella sua condizione, ed anche quando giunge., sui quindici anni, alla classe di umanità, il suo sapere non eccede il contenuto dei pochi testi scolastici. L´educazione, come la diciamo, è, per fortuna, buona in famiglia, ed anche per l´innata bontà materna, più accurata che non si crederebbe; ma al certo non può essere di troppo più raffinata che quella della miglior gente rusticana, e solo la sua propria virtù lo renderà capace di quanto il suo povero mondo non gli aveva insegnato.
E basta un tratto a distinguere l´un dall´altro. S. Luigi pervenne quasi all´incredibile, certo all´inimitabile, nelle austerità e macera¬zioni, e seppe trovare umiliazioni eroiche, e finire con un gesto di carità che gli guadagnò l´ultima malattia. Ma non so se avrebbe mai praticato la ripugnante mortificazione del Savio, di raccattare gli avanzi di tavola mantrugiati, scalpicciati e rnorsecchiati, sporchi sem¬pre, e preferirli alle cibarie sane e pulite. Eroica mortificazione anche questa, ma d´una bassezza non pensabile in un ceto alcun poco civile.
O o o
Don Bosco ha sempre mirato, e lo disse sovente, a fare de´ suoi giovanetti altrettanti San Luigi, e non trovava miglior parola per dar l´idea della virtù d´un suo figliuolo, che dirlo un altro S. Luigi o un

8o
piccolo S. Luigi. L´ha detto anche del Savio, con qualche .concetto di più, che ricorderemo a suo luogo (i). Per il Santo E._iucatore del¬l´adolescenza, il culto di S. Luigi era quasi una necessità del suo apo¬stolato; quando si pensi che soprattutto si offriva a rr odello di suprema purezza in quell´età appunto alla quale Don Bosco si dedicava, e il problema primordiale e naturale dell´educazione dell´adolescenza non può essere che la disciplina del costume e il culto della virtù opposta agl´insorgenti richiami e ai pericoli della pubertà. Così l´ha inteso anche il Crispohi, ricordando la parte che il culto di S. Luigi ha, per merito di Don Bosco, nell´esemplarità della vita giovanile (z).
Ma non ha, per questo, modellato sul tipo di S. Luigi il suo si¬´itema spirituale e l´indirizzo che diede alla santità de´ suoi discepoli, e rimase anch´egli se stesso, nella sua pedagogia del povero elevata a pedagogia di Santi, facendone sorgere una nuova specie, nonché prossima, aderente alla vita meno alta e più generale dei figli del po¬polo, e imitabile perciò da tutti.
S. Luigi, anche presso di noi, seguaci di Don Bosco, sarà sempre, come prima, fin dai primi esordi dell´opera di lui, il santo ideale della gioventù: e un altare non gli mancherà mai nelle nostre chiese, e più nelle Cappelle destinate ai giovani; e se ne celebreranno le Sei Dome¬niche e la Festa nella forma più atta ad imprimerne nella mente il ri¬cordo e l´esempio.
Savio Domenico, una volta elevato agli altari, avrà il culto di fa¬miglia, e insegnerà ai nostri giovani a vivere da santi la loro piccola vita, ch´è quella vissuta da lui medesimo, sotto la guida e l´ispirazione di Don Bosco, che, anche al presente inspira l´educazione salesiana. In così pensare so di essere in accordo con gli eccellenti Gesuiti, i quali, come non hanno mai preteso d´aver essi fabbricata la santità del Gonzaga, sono i primi a dar merito a Don Bosco d´avere educato il Savio in modo, da farne, con la grazia di Dio, un Santo destinato a modello pratico della santificazione della vita ordinaria e comune. Rimangono due modelli, voluti e quasi costrutti da Dio per fini di¬versi dell´edificazione della gioventù.
Codesta distinzione, alla quale s´è accennato, si afferma concreta¬mente e chiaramente a cominciare appunto dalla vita nuova del Sa¬vio, quando cioè vien posto dalla Provvidenza nel suo luogo proprio. A cominciar da quell´ora, si vengono via via formando i lineamenti di quella fisionomia spirituale tutta di lui solo, che ne fa una persona di Santo non confondibile con quella d´ogni altro.
(i) SOMM. Proc., Amadei, 200.
(z) Cit., pag. 87.

8r
E se nella fanciullezza tra i due giovani santi ha potuto interce¬dere una certa somiglianza (avviene così di tutti i fanciulli), coll´inizio e il progredire dell´adolescenza, dai dodici anni in poi, ognuno segue una via sua propria, che se in qualche momento è parallela, non è mai che coincida con l´altra. I Santi hanno sovente di tali affinità, spiccatissime talvolta, specialmente. se il genere di vita sia il medesimo, come avviene di religiosi del medesimo ordine, e analogamente di altre circostanze: senza che perciò possan dirsi copie reciproche, o edizioni successive d´un medesimo dettato della grazia di Dio (t). Anche quando si propongono espressamente di imitare un modello, la loro santità, senza che se n´avvedano, ritiene la propria originale figura; chè altrimenti non sarebbe santità, mancando nientemeno che della spontanea corrispondenza ai moti della grazia, che son diversi e speciali per ogni persona, perché s´adatta alla natura e rispetta la libertà. E quando mai riuscirono grandi nell´arte gl´imitatori e i ma¬nieristi ?
(E) Ed è perciò un´espressione puramente letteraria dire d´un Santo ch´è un secondo questo, un altro quello, o il tal Santo del secolo suo. Sono antonomasie che non hanno altro valore da quello d´un traslato. Savio Domenico, e altri, fu¬rono detti, anche da Don Bosco, dei veri San Luigi: ma non pensò mai che fos¬sero una replica di lui.

CAPITOLO TI
La direzione di Don Bosco.
In questa vita nuova, e fin dalla prima ora, nell´orientamento dello spirito verso la sua propria via, e nel determinarsi (rapidissimo e so¬vente inatteso, e non umanamente spiegabile nelle sue affermazioni) della personalità del nostro Savio, entra Don Bosco e, dopo la grazia divina, il lavoro di lui.
Allora, nella Casa dell´Oratorio, Don Bosco era tutto, e su tutto aleggiava il suo spirito e la sua presenza reale o morale. Quell´essere quasi solo, ed anche se con qualche aiuto, sempre solo e unico nella figura di Padre di famiglia, faceva sì che tutto convergesse a lui e da lui s´inspirasse. Non era accentramento, ché gli altri o mancavano od erano ancor troppo manchevoli: era Paternità sentita da lui e da tutti. Il suo cuore lo portava verso ciascuno di quei figliuoli ch´egli aveva raccolti per una individua mossa di carità, amandoli un per uno, e volendoli un per uno condotti alla virtù: i figliuoli, i tutti, lo vede-vano, com´egli voleva, non altrimenti che nella figura di Padre di tutti e di ciascuno: convinti, un per uno, ch´egli volesse loro bene singolar¬mente in un modo e con un affetto speciale e tutto proprio.
Non è un´amplificazione discorsiva: è il senso che deriva dai Mol¬tissimi episodi che rivelano l´indole di quella convivenza familiare, fatta d´intercambio di paternità amorosa e di affetto filiale. Basta leg-- gere le tre Vite dei suoi giovani santi. Don Bosco era, secondo il linguaggio convenzionale (ed egli si nasconde per lo più sotto questo nome) il Direttore della Casa. E realmente dirigeva: colla pedagogia esteriore, intessuta di bontà e conquista dei cuori, e di spiritualità permeante la pratica delle azioni: dirigeva la comunità nell´amorosa disciplina familiare, come dirigeva l´uno per uno, educandolo e cor¬reggendolo secondo l´indole sua. Una dimostrazione tipica di quanto diciamo era, per esempio, la pratica serotina della buona notte, una creazione originalissima di Don Bosco. Col suo discorsivo detto dopo

L...„ 83
le orazioni (v´abbiamo già accennato) Egli indicava quale doveva es¬sere il pensiero e Ia pratica condotta di tutti: educazione collettiva che formava il clima ambiente. Ma poi, sceso dal suo rudimentale podio, ai giovanetti che gli si serravano intorno per baciargli la mano e salutarlo, egli diceva una parola personale all´orecchio, o si faceva capire con un´occhiata o una stretta significativa della mano; era «un eccitamento a virtù o una correzione amorosa ». Di questi momenti si valeva il Savio per attingere dal Padre tanti piccoli consigli, e si valeva il Santo Maestro per dargliene, e ciò con una frequenza così regolare, da aver l´aria d´una preferenza. « Noto, riferiva un teste coevo al Processo, in modo speciale la sollecitudine che il Ven. Don Bosco poneva nel suggerire ogni sera al Servo di Dio consigli in modo particolare opportuni al medesimo, il quale, a sua volta li accoglieva con profonda venerazione, e in assoluto silenzio si ritirava nel dormi¬torio, dimostrando col suo contegno che vi dava molta importanza e cercava di trarne profitto » (i).
0 0 0
Ma soprattutto, ed essenzialmente, come condizione inderogabile, la sua direzione era quella interna delle anime, e la sua opera educa¬trice e trasformatrice si compieva mediante quella, cioè con la Con¬fessione. Nessuno è mai entrato nella Casa di Don Bosco, senza che fin dai primi momenti non sia stato avviato verso la sede dov´egli,
confessando, dirigeva.
La sua effettiva pedagogia era qui: e non s´intenderà mai Don
Bosco educatore o formatore di santità, se non pensandolo confessore
dei suoi giovani.
Vi tornerò con maggior ampiezza in altro studio parallelo a questo:
per ora ci valga quest´idea per intendere come l´azione direttiva che il Santo Maestro ebbe esercitata sul Savio, fu principalmente, e con prevalenza assoluta, quella che si svolgeva nella direzione interna e secreta della Confessione. Per il nostro giovane santo Don Bosco con¬fessore fu tutto, e gli stessi momenti che segnano, nella sua brevissima vita, le vere grandi epoche della santità (z), non sono del tutto indi¬pendenti da quelle ispirazioni. Anche per questo il Savio sí distingue
(i) Somm. Proc., Anfossi, pag. 78. — Id. ricorda in sede d´altra materia, pag. 302. — Il Francesia faceva poi notare che egli, come chierico assistente, cer¬cava bene di liberare Don Bosco da quella ressa, ma che il Savio, caramente avido di quelle parole, girava la posizione, e da un´altra parte tornava a farsi dire qual¬che cosa. Cfr. Somm. cit., pag. tzt.
(a) Consummatus in brevi, explevit tempora multa. Sap., IV, 53.

84_ ´
da San Luigi, il quale, non solo prima dei dodici anni, come rico¬nobbe, meravigliandosi, il Borromeo, non ebbe direzione, ma nep¬pure dopo, a causa del mutar di luogo, potè valersi se non di confes¬sori occasionali e temporanei: quando a Madrid trovò il gesuita ita¬liano P. Paternò, egli era già avviato per una via autonoma, e non sembra che il suo direttore sia stato in grado di fargliela cambiare, come non lo ritennero dalle sue asprezze affiittive le letture spirituali, pure sodissime e quasi tutte uscite dalla penna dei primi figli di San Ignazio (i). E se nella sua santità autarchica, quale si mantenne fino ai diciassett´anni, trasmodò fin quasi a rovinarsi la salute, ciò è dovuto a difetto di una ordinata e autorevole direzione.
Il Savio invece ebbe una direzione, e in quella età nella quale più propriamente è necessaria. Ed egli sentì che quella di Don Bosco gli era data da Dio, ed era la sua unica e vera, e si arrese. Quest´arresa completa al suo Confessore e Maestro fu per lui la vera guida e il fattore precipuo della sua santificazione.
È Don Bosco medesimo che ce lo dice. In un sermoncino della sera, il 16 maggio 1857 (poco più di due mesi dalla morte del Savio), un giovane Io interrogò: Qual fu la regola e la chiave che Savio Dome¬nico usava per divenire cosi buono e santo da essere veramente un figlio della Madonna ? — E il buon Padre rispondeva: « La chiave e la serratura che usava Savio Domenico per entrare nella via del Pa¬radiso e chiudere il passaggio al demonio, era l´obbedienza e la gran confidenza nel direttore spirituale » (a). Cosi nella Conclusione della Vita (cap. XXVII) potè scrivere che: « La frequenza del Sacramento della Confessione... fu il suo sostegno nella pratica costante della
virtù, e fu guida sicura che lo condusse ad un termine di vita co¬tanto glorioso ».
Giacchè si trattava, in quella pratica, non solo dell´ovvio e comune ministero sacerdotale, che include i moniti e i consigli appropriati al caso di ciascun penitente: ma di una scuola e collaborazione spirituale intima, dove il discepolo dialogava col Maestro, e questi gli svelava le vie della perfezione e gl´infondeva l´ardore di seguirle. Vi aveva parte l´obbedienza e la confidenza: l´una allontanava i timori e le esitanze che ogni anima schiettamente santa può provare nel salire più in alto, dubitando delle proprie forze (a), ed incoraggiava e co
(t) MESCHLER, cit., pag. 55, 78, e a. — Quanto a letture: Loarte, pag. 37; Canisio, 47; Lettere dall´India, 4 7 ; Lippomano, 53; P. Granata, 77.
(2) Mem_ Biogr., V, 679.
(3) Potevano essere forse di tal natura gli scrupoli dei Savio, di cui si parla nella Vita, al capo XIV, ma, si noti, solo dalla 5a edizione in poi, essendo un´ag¬giunta fattavi da Don Bosco nel 1878. Vi torneremo sopra a suo tempo.

85
mandava di accogliere i nuovi impulsi misteriosi della grazia: l´altra, di questi impulsi e suggestioni, come dei moti dell´anima, rivelava il secreto, interrogando e raffermandosi nell´intendervi la voce di Dio che chiamava dall´alto verso l´alto.
La confidenza nel direttore spirituale, il bisogno di confidarsi con lui, non era, del resto, una prerogativa del Savio, per quanto in lui, totalmente devoto, si risolvesse in una più luminosa e trasparente apertura: era, si può ben dire, cosa di tutti coloro che si valevano del ministero di Don Bosco; giacchè la fiducia che la sua santità subito infondeva nel giovanetto che gli parlava era tanta, che nessuno faceva differenza dal parlargli, in confessione o fuori, delle sue cose più intime e delicate (t). Lo sanno per esperienza-tutti quelli che, come me, hanno avuto da Dio la grazia di essere figli spirituali di lui.
Quali fossero gl´indirizzi di quella secreta direzione lo rivela tutta la susseguente storia del santo giovinetto. Ma possiamo già antive¬derli nelle loro linee generali. Libertà di spirito e di movimento, rispetto alla libertà della grazia, pratica santificante del dovere, atten¬zione a Dio, orientamento verso Gesù Eucaristico e María, mortifi¬cazione della vita: in capo a tutto, fiducia in Dio, serenità, gioia, alle¬gria, senza terrori e scontrosità paurose, ma colla vista fissa al Para¬diso: tutto con amore e per amore, nell´interno come all´esterno. Non è tutto il Savio: ma è quello ch´egli ha di comune con tutti quelli che formano il clima dei santi in cui vive.
O o o
E qui sta un´osservazione, forse contrastante con l´idea più ovvia che ci si fa della convivenza del Savio con Don Bosco. Poichè sap¬piamo qual concetto n´abbia il Santo Maestro, e l´esito eccezionale, unico, dell´educazione che gli ha impartito, ci dipingiamo alla mente il Savio ad ogni poco, e più spesso e più a lungo che può, da solo a solo con Don Bosco. È un´immagine delle migliori per farne delle immagini e dei quadri, o altro di artistico. Ma la realtà è un´altra.
(i) Una postilla autobiografica forse non disdice, dacché faccio sovente ap¬pello ad esperienze personali. — Quando entrai all´Oratorio, vidi Don Bosco che stava confessando i giovani nell´antisacrestia di M. Ausiliatrice, e così seguitò tutto quell´anno, ed io era tra quelli. L´anno dopo (facevo la 32´ ginn.) si limitò a quelli dalla terza in su, e fui di quelli; l´anno seguente (facevo, modestia a parte, la sa l) si ridusse a quelli delle ultime due classi, e fui di quelli. E fu Don Bosco ad accettarmi salesiano, e in mano sua deposi la mia professione religiosa. Mi conosceva assai bene, e sul mio nome faceva, scherzando, una rima... non ancora avverata.
rz C.Avret2A, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.

86
Quei colloqui non erano nè frequenti nè lunghi, e Don Bosco rice¬veva il Savio come gli altri, salvo a dirgli quel che ad altri non diceva.
Lo sappiamo da un documento personale e autografo del Savio stesso (uno dei pochissimi scritti superstiti): una lettera scritta al padre, colla data (bollo postale) del 6 settembre 1855. Il nostro Do¬menico passava quasi intere le vacanze all´Oratorio (vedremo altrove perchè), e quell´anno ne aveva particolare bisogno permettersi a posto negli studi,.avendo fatto col prof. Bonzanino una specie di corso acce¬lerato, dove, con quel poca di latino appreso a Mondonio, era stato aggregato alla seconda- grammatica, e doveva rendersi capace di en¬trare, come poi fece, e non male, in terza grammatica regolarmente. A noi però quella data dice molte cose, o almeno le suggerisce. Il giovanetto santo si trova nel periodo dei cresciuti e crescenti fervori, che si accesero quand´ebbe preso la risoluzione di farsi santo, e Don Bosco glie n´aveva insegnato il segreto, lanciandolo nella sua voca¬zione d´apostolo, come sarà detto nell´altro libro. E più oltre dovremo vedere il suo stato d´animo, mentre ferve la collaborazione col Massa-glia, rimasto anch´esso col Savio in quelle vacanze all´Oratorio. Se vi è un tempo nel quale dobbiamo pensare Savio Domenica accanto a Don Bosco, è questo appunto, quando per il lavoro interno e per l´azione esteriore occorrerebbe una instante frequenza e diuturnità.
Ebbene, la lettera dice altrimenti. Ne adduco i passi opportuni, ri¬mettendo, pel resto, alla nota.
Carissimo padre, scrive il Savio, ho una novella molto curiosa da scrivervi, ma prima di tutto vi do delle mie nuove... La novella è che, avendo potuto stare un´ora solo con Don Bosco, siccome per io addietro non ho mai potuto stare dieci minuti solo con lui, gli parlai di molte cose, tra le quali di un´associazione per l´assicurazione dei colera... e mi ha anche associato, il che sta tutto in preghiere... » (i).
(i) Biogr., V, 342. — La forme genuina del documento è quella che
l´Amadei restituì correggendo dall´originale il testo del Lemoyne, che ha più cor¬rezioni formali e parecchi ritocchi verbali. Ma è strano che I´Amadei, nella sua edizione della Vita dei 1908, a pag. 213, ripeta il testo dei Lemoyne ¢ Come re¬ligiosamente lo trascrisse egli stesso dal foglio originale s. Credo non inutile ri¬produrre il testo genuino, con le sue scorrettezze e la propria forma, anche per¬chè sia documento della piccola letteratura dello scolaro di seconda grammatica, almeno a quei tempi:
Carissimo Padre,
Ho una novella molto curiosa da scrivervi; ma prima di tutto vi dò delle mie nuove. lo, ringraziando il Cielo, fin qui son sempre stato bene, e ancor godo una per¬fetta salute, come pure spero di voi e di tutta la famiglia; i miei studi vanno avanti progressivamente e D. Bosco ne ´è ogn´ora più contento. La novella è, che avendo

87
Dunque dopo quasi un anno dacchè il piccolo Santo sta con Don Bosco, quella è la prima volta che passa un´ora sola con lui, e gli parla di molte cose, tra le quali di un´associazione per la difesa dal co¬lera: cosa già esistente dal precedente anno ´54, che fu quello della più grave epidemia, e vi concorsero i primi giovani dell´Oratorio. A codesta associazione, ed è in questo anche la novità, Don Bosco ag¬grega anche il Savio, non perchè assista gli infermi, ma perchè, come altri e i più, formino una lega di preghiere. Veramente il piccolo santo sorpassò d´un balzo quella limitazione: giacchè proprio due giorni dopo questa lettera, l´8 settembre 1855, egli, per una interna rivelazione, scopriva là vicino, in via Cottolengo, quella povera cole¬rosa moribonda, che solo in grazia di lui potè ricevere i Sacramenti. Ma non è di questo luogo l´intrattenervisi.
Prima di quel giorno, poniamo il 5 settembre, salvo quei due o tre momenti che DOTI Bosco riporta nella Vita (Capo X, XV, XVII), dieci minuti da solo il Savio non aveva avuti per parlare con lui. Il fatto è significantissimo, tanto per la storia del nostro santino, quanto per la pedagogia di quella direzione, che ha fatto dei santi alunni e un allievo santo. E lasciamo al lettore di trarne le ovvie deduzioni.
potuto stare un´ora sol con D. Bosco, siccome per lo addietro non ho mai potuto stare dieci minuti solo, gli parlai di molte cose, tra le quali di un´associazione per l´assi¬curazione del colera, il quale mi disse che è in un buon principio e se non fosse del freddo che già s´inoltra, forse farebbe un grande guasto, e mi ha anche associato io, il che sta tutto in preghiere. Gli parlai anche di mia sorella come voi mi avete detto, e mi disse che la conduciate a casa sua alla festa della Madonna del Rosario, per vedere la sua cognizione e le qualità che ha, quindi ve ne intenderete. D´altro non mi resta che salutare voi e tutta la famiglia, il mio maestro D. Cugliero, ed anche Robino Andrea ed anche il mio amico Savio Domenico di Ranello e sono
il vostro
Agano ed amantissimo figlio SAVIO DOMENICO.
Il bollo postale ha: Torino, 6 settembre $5 - 8 m.: il che fa credere che la lettera sia stata scritta almeno al 5 settembre, perchè potesse partire colla prima
posta (Corriera) del mattino seguente.

CAPITOLO III
I fatti del cominciamento.
Invito ora chi mi ha seguito, a leggere il Capitolo Ottavo della Vita, quello dei cominciamenti. Al principio del primo capitolo ho
fatto notare come, fin dalla prima presentazione e poi dai primi fatti,
Don Bosco abbia avvertito con ammirazione e stupore nel suo nuovo alunno quella padronanza di sè e quel subito affermarsi e atteggiarsi in un programma predisposto, che l´anima, tutta protesa verso il suo
scopo, intraprende e segue, senza-esitanze e senza dubbi, nè adopran¬dosi a poco a poco, ma con mano sicura, come per un lavoro pensato e attrezzato (i).
Sale il fanciullo, quel 29 ottobre 1854., a quella cameretta del se¬condo piano, là, in fondo al balcone della Casa nuova. Viene « a darsi, com´egli diceva, intieramente nelle mani dei suoi superiori ». Non è una parola da ragazzo: è l´espressione d´un primo punto del pro¬gramma. Chi gli avrà insegnato a parlar così? Nessuno, io credo: perchè una volta detta Ia parola, egli resterebbe là, timido ed esitante, come tutti i fanciulli nel presentarsi a persona superiore. Ma questa presentazione vale ben l´altra di Murialdo: è la stessa apertura, lo stesso desiderio di essere veduto addentro, lo stesso donarsi tutto: le metafore giocano qui come l´altra volta, e sono intese con la stessa perspicacia e tradotte con la medesima volontà.
C´è, davanti a Don Bosco, quel cartello che poi, quando nel 1861 Ia stanza diventò anticamera, passò, come un´insegna, sulla cornice della porta, e ci sta ancora,, col_ medesimo senso e per lo stesso mo¬tivo: DA MINI ANIMAS, COETERA TOLLE. Il fanciullo vi si affisa, e Don Bosco, perchè « desiderava che ne intendesse il significato », l´aiuta a tradurlo e cavarne il senso ch´egli vuole, d´un´aspirazione dell´a¬nima: « O Signore, datemi anime, e prendetevi tutte le altre cose ».
Quel motto non è solo per Don Bosco: è anche per Savio, che il
(i) Cfr. sopra, pag. 65-66.

89
Santo, con una indefinita previsione, si disegna già come apostolo. Ma, nel momento, il giovanetto, con Ia mente nelle cose di Dio, l´in¬tende per sè altrimenti, come una delle anime che Don Bosco acquista pel Signore: « Ho capito: qui non havvi negozio di danaro, ma ne¬gozio di anime: ho capito: spero che l´anima mia farà anche parte di questo commercio ». L´idea di Don Bosco, per allora, non si dispiega altrimenti; ma tornerà più oltre come primo fattore della santificazione per il Savio, e allora il senso che il Maestro voleva che il discepolo intendesse, sarà espresso in parole proprie (Capo XI).
o o o
La vita nuova incomincia. E come nei veri santi, comincia senza parere, con la precisione nel dovere. È il primo articolo d´ogni san¬tità; così com´è per Don Bosco il primo postulato della spiritualità. La letteratura, diciamo noi, di tutti i suoi precetti e discorsi, è sostan¬ziata da questo principio, e si dovrebbe arrecare tutta la serie delle parole dette o scritte da lui sulla condotta morale e religiosa, e sulla vita spirituale che la compenetra, per dimostrare la fondamentale posizione di tale concetto nell´ordine del suo sistema educativo e re¬ligioso. Per parte del Savio è adunque un cominciamento significa¬tivo, tanto più che, come scrive il dettato, « il suo tenor di vita per qualche tempo fu tutto ordinario, nè altro in esso ammiravisi che un´esatta osservanza delle regole della casa. Si applicò con impegno allo studio. Attendeva con ardore a tutti i suoi doveri ».
È singolare la coincidenza, a distanza di quasi sessant´anni, delle parole del libro con le parole dei compagni che deposero al Processo; e la testimonianza di Giovanni Molino, che non sa distinguere l´eroi¬cità del Savio, perchè « tra tanti luminosi esempi di virtù che si osser¬vavano tra i giovani d´allora, non lo colpiva in modo speciale la figura del Savio ch´era tra i più giovani» (i). La sua condotta inappuntabile non compariva in modo speciale, perchè era già quella di tant´altri, che componevano il clima della Casa. E cioè, fin dal primo giorno, egli non è il nuovo arrivato, che deve mettersi .in ordine con la vita ambiente: ma uno di più tra quelli che il clima ha già formati. L´assi¬milazione del clima era immediata, perchè era già predisposta come primo punto del suo programma. È un principiante ben singolare, che agisce colla sicurezza e colla pratica d´un esperto.
Io lascio di commentare la preziosità di questo primo tocco bio¬grafico: di un ardente cercatore di santità che sa equilibrarsi tra un
(i) Cfr. sopra, pag. 72, nota (3).


piccolo mondo di virtuosi, senz´altro mostrare che « un tenor di vita tutto ordinario », e solo è ammirato per « l´esatta osservanza di tutte le regole della Casa ». O io mi sbaglio, o in un fanciullo di dodici" anni è cosa straordinaria.
o o o
Io non la credo istintiva, come effetto di bontà e docilità naturale: penso che fosse cosa voluta. Quell´anima era già aperta consapevol¬mente all´idea della santità, e si schiudeva a tutto che vi conferisse in ogni modo. Cosi si spiega la squisita recettività e l´intensa atten¬zione a ricevere ed assimilare ogni parola che venisse detta dal Santo Maestro. Il quale, allora, parlava egli in chiesa, e parlava delle cose di Dio con una comunicazione di spirito, quale sola può dare, a parte Funzione della santità, lo studio di parlare per quelli che ascoltano, scegliendo e disponendo ed esprimendo i concetti secondoché la loro mente e la loro condizione possono accogliere: non faceva la predica, ma parlava ai suoi giovani e parlava per loro. Ed .è un vero sacrificio, per chi scrive, non potere, per economia di condotta, rife¬rire quei discorsi. Ma legga, chi può, le parlate di Don Bosco, che non differiscono, se non pèr il luogo e la circostanza, dallo stile e dal tenore delle sue prediche, e si farà un´idea di quel che doveva essere l´effetto che producevano, incatenando e prendendo tutta l´anima dei giovani ascoltatori. Quanta pedagogia in quei discorsi e quanta auten¬tica sapienza oratoria!
Il Savio riceveva e assorbiva ogni massima come « un ricordo in¬variabile che più non dimenticava ». C´entrava la convinzione « che la parola di Dio è la guida dell´uomo per la strada del cielo »: centrava l´amorosa sollecitudine d´imparare le cose di Dio, ed era « una delizia » per lui ascoltarle, come si faceva uno studio d´intenderle, e ne doman¬dava spiegazione.
E poichè, com´è detto, procedevano dal desiderio della santità, quella recettività e attenzione si concretavano in valori pratici, into¬nando sempre più alto il tenore della vita, col renderne sempre più cosa di Dio le opere quotidiane (i). È una stupenda veduta, un´intui¬zione profonda di Don Bosco, quella di connettere, anzi di derivare da codesta assimilazione delle sante massime la perfezione insupera¬bile della condotta pratica: il suo di qui ha un contenuto che vale una dottrina, e le parole che lo seguono sono allo stesso tempo un pro¬gramma e una definizione di perfezione raggiunta dal giovane santo.
(t) Rimetto al cap. seg. le citazioni dai Processi che dimostrano la verità di quest´asserzione.

91
Ecco le parole: Di QUI EBBE COMINCIAMENTO QUELL´ESEMPLARE TE¬NOR DI VITA, QUELLA ESATTEZZA NELL´ADEMPIMENTO DE´ SUOI DO¬VERI, OLTRE CUI DIFFICILMENTE SI PUÒ ANDARE.
È lo stile della santità secondo Don Bosco: fatta di realtà sostan¬ziali e sostanziose: quella che Pio X nel suo colloquio zo luglio 1914 col Salotti, e Pio XI, colla sua ´incisiva formula dello « spirito di no¬bile precisione » hanno collocato nel suo giusto valore (i).
Con queste parole dinnanzi il lettore può ora, io spero, convincersi che tutto il nostro precedente ragionare sulle disposizioni dell´animo nei cominciamenti del Savio, che forse appariva suggerito da una qual¬che prematura veduta, ha invece un valore positivo e una ragione fon¬data. I cominciamenti del Savio sono tali, « oltre cui difficilmente si può andare ». È un´altra delle definizioni forti e comprensive, con le quali l´ammirato Maestro stampa i lineamenti di quella santità.
La quale stava allora, cioè in quei due primi mesi, contenuta e quasi nascosta in quel « tenor di vita tutto ordinario », mentre fer¬veva nell´interno l´alacrità dell´elaborazione di quello che lo spirito veniva di giorno in giorno apprendendo. Il fervore, ch´è lo stato dei santi sulla terra, incremento ad un tempo e forza per cui cresce la santità, compenetrava quello spirito che lavorava prontamente e senza posa al suo presente dovere, risollevandosi, dopo averlo toc¬cato, in alto, e librandosi nella sfera dei desiderii soprannaturali (z). La grazia di Dio maneggiava per un lavoro tutto speciale lo strumento comune a tutti, creando uno stato d´animo che non doveva tardare a rivelarsi.
0 0 0
Lasciamo di commentare un capoverso inserito tardivamente a scopo didascalico per l´esempio dei giovani lettori (3): vi abbiamo ac¬cennato altrove. È nulla più che una specificazione pratica dell´im¬pegno del giovanetto per conoscere i suoi doveri, e della prudenza già sempre usata nello scegliersi per amici i compagni migliori (4).
(i) SALOTTI, pag. 334: » Un adolescente che portò nella tomba l´in
nocenza battesimale. e che durante i brevi anni di sua vita non rivela mai alcun difetto, è veramente un Santo. Che cosa vogliamo pretendere di più ? ». Così Pio X. — Per Papa Pio XI, cfr. Disc. 9 luglio, 1933, cit., — Qui occorrerebbe addurre per intero tutta la serie delle testimonianze dei Processi, al tit. IV: De orto, pa¬tria et studiorum curriculo Servi Dei in Orat. Sales_ Pag. 35-82 del Summ. Proc. cit.
(a) FABER, Progressi, cit., pag. 41o.
(3) Nella 43 ediz. (1866), pag. 35-3z.
(4) Somm., pag. 80. D. Rua: » ...la prudenza usata nell´Oratorio nella scelta degli amici ed il modo di comportarsi con tutti i compagni, fa credere che anche al paese abbia saputo evitare i pericoli delle cattive compagnie s. Cfr. sopra, pag. 39.

92
Veniamo al nostro proposito. Qui appare evidente il legame che
congiunge strettamente l´opera educativa di Don Bosco e il cammino della santità nel suo alunno.
È lo storico dicembre del 1854: quando si prepara la definizione dei dogma dell´Immacolata Concezione. La divozione a Maria, che
nella Casa di Don Bosco si respira da ogni parte e s´intreccia a tutto il parlare e l´operare del Padre della famiglia (i), raggiunge in quei
momenti un´insolita intensità. Ce lo dice il Capo XV del Quinto Vo¬lume delle Memorie Biografiche, descrivendo l´infaticata intrapren¬denza del Santo Maestro nel disporre l´animo de´ suoi giovani a quella nuova esaltazione di Maria, e la corrispondenza di quelli ai suoi pii incitamenti. Tanto più che la celebrazione della solennità doveva si¬gnificare, nell´intenzione di Don Bosco e della sua Casa, un rendi¬mento di grazie a Maria per essere stati tutti miracolosamente immuni, dal colera, che in quel 1854 aveva infierito in Torino e nei pressi del¬l´Oratorio (2), e se n´aveva il ricordo presente nei venti e poi trenta orfani che, proprio in quel dicembre, il Municipio affidava alle cure di Don Bosco (a). A questo non accenna la Vita del Savio: ma certa-mente il biografo di Don Bosco ebbe presenti le poche linee di questo
capitolo della Vita, che trovano nell´ampia opera la conferma e la spiegazione.
Purtroppo delle « parole d´incoraggiamento ai giovani della casa », che Don. Bosco diceva ogni sera della Novena dell´Immacolata neI consueto sermoncino, non ci resta nulla: egli ci dà il senso dominante di quelle esortazioni a celebrar degnamente la festa della Gran Madre di Dio, e ricorda che « insistette specialmente a voler chiedere a que¬sta celeste protettrice quelle grazie di cui ciascuno avesse conosciuto maggior bisogno ». E appunto per l´eccezionale circostanza, -che te¬neva « in una specie di spirituale agitazione » i cristiani di tutto il mondo, rileva lo speciale impegno di tutta la sua Casa per celebrare quella solennità con decoro e con frutto spirituale dei giovani (4).
In mezzo a quella fervida alacrità, si moveva il Savio. Se altri asse¬condava le intenzioni e i suggerimenti del buon Padre, le sue parole trovavano nell´anima del Nostro una rispondenza più vibrante, e
(i) Mem. Biogr., V, 153. (a) Mem_ Biogr., V, 15r.
(3) Mem. Biogr., V, 132.
(4) Di quel fervido moto di pietà e della preparazione fattane da Don Bosco rimaneva memoria ancora due anni dopo, nel 1856, quando ne sentiva parlare il Cerruti, che poi rese testimonianza al Processo, aggiungendo che « uno dei più infiammati era iI Savio ». — Cfr. Somm. cit., pag. 5z. Vi è detto che. Don Bosco parlava ai suoi figliuoli, « eccitandoli ad onorar la Madonna colla fuga del peccato, la frequenza dei Sacramenti, la pratica costante della santa purità».

93
tutto il suo spirito era proteso, per una inconscia attrazione, verso un qualche termine che doveva essere raggiunto a un dato momento, ri¬solvendo quella tensione nell´acquiescenza d´una nuova conquista. È ben vero che, stando alla lettera del libro, egli è soltanto « uno di quelli che sentivnnsi ardere dal desiderio di celebrare santamente»
quella. solennità: e intanto (come forse altri: per esempio, Michele Rua) si scrisse « nove fioretti, ovvero nove atti di virtù da praticarsi,
estraendone uno ogni giorno », che potrebbero far pensare ad uno studio personale di perfezione, se non sapessimo ch´essi venivano as
segnati sera per sera da Don Bosco (i).
Nè troppo spiccante è il rilievo dato al fatto della Confessione
generale, di cui altra volta terrà gran conto, e così l´accenno alla co¬munione di quel giorno, che il suo giovanetto « fece col massimo rac¬coglimento ». Ben altrimenti parlava di quella preparazione, propo¬nendone l´esempio ai suoi giovani, la sera del z8 novembre 1876 (ch´era la vigilia dell´inizio della novena), con particolari che in parte spiegano, in altra amplificano o completano il racconto del libro. Di¬ceva: « Io mi ricordo ancora quel volto ilare, angelico, di Savio Do
menico, tanto docile, tanto buono. Egli mi venne innanzi il giorno prima della Novena dell´Immacolata Concezione (cioè 28 novembre),
e mi disse: " Io so che la Madonna concede grandi grazie a chi fa bene le sue novene. Io voglio fare una confessione generale della mia vita, per tenere ben preparata l´anima mia: voglio eseguire esat¬tamente i fioretti che per ogni giorno della novena si daranno la sera precedente. E poi vorrò regolarmi in tutto questo tempo in modo da poter fare la mia Comunione quotidiana ". " D´altro non hai più niente? " gli chiesi. " Si, voglio fare una guerra micidiale al peccato mortale ". " E altro? ". " Voglio pregar tanto e tanto Maria SS.ma e il Signore di farmi piuttosto morire che lasciarmi cadere in un pee¬cato veniale contro la modestia "» (2).
(i) Mem. Biogr., V, 153. Vi si dice che Don Bosco ne veniva assegnando ogni sera uno per tutti. Non abbiamo quelli proprio, ma di altre novelle Mariane, e dell´Immacolata possediamo quelli dati in anni posteriori, e pare che, da più a meno, si ripetessero. Sono tutti propositi pratici, e tutti terminano con la Con
fessione e Comunione.
(z) Mem. Biogr. cit., XII, 572. — Qualche variante di fatto o d´espressione
è probabilmente da attribuirsi all´intento esortativo del discorso. Così il voler esat¬tamente eseguire i fioretti, ecc., che sembra contraddire al testo, e, più ancora, il a voler regolarsi in modo da poter fare la Comunione quotidiana » ch´è un con¬cetto posteriore ai primi tempi del Savio (non ancora ammesso alla Comunione quotidiana: cfr. cap. XIV), e non accennato affatto nella Vita: mentre Io studio di evitare il peccato è qui amplificato al segno di voler evitare a qualunque co¬sto « un peccato veniale contro la modestia ».

94
o o o
Dobbiamo dire adunque che sotto quel che vi era di esteriormente comune o non del tutto particolare, ferve uno spirito che non è se
non suo e della grazia speciale di Dio che lo muove. Non sempre il lavoro di Dio si palesa con gesti appariscenti, e solo appare poi nel momento, in cui sí assomma quasi in figura di un moto improvviso (I). L´anima stessa, che pure inconsciamente vi tendeva, non saprebbe de¬finire in che consista la novità, salvo che si sente fatta maggiore da quella di prima (z). Ma nel guardare al suo santo discepolo, Don Bosco avverte così chiaramente il fatto nuovo, il momento, che ne fissa la data:
la sera di quel giorno, 8 dicembre, compiute le funzioni di chiesa ».
Si può dire che lo prevedesse. Perché ciò che il santo giovinetto fa in quell´ora avviene « col consiglio del confessore »: sia poi col con¬siglio o per consiglio, non cerchiamo: nell´un caso e nell´altro Don Bosco è presente a dirigere quel moto interiore. Ed io sto alla parola sua, che ci lascia travedere nell´anima del piccolo santo appunto quel lavoro e quella tensione che lo porta verso il fatto onde si adempie la nuova ascensione. L´anima sentiva di dover far qualche cosa, e se ne disegnava forse l´idea, e ne chiese consiglio e n´ebbe la conferma e la definizione: son due santi, maestro e discepolo, che dialogano del
modo di adempiere al moto della grazia di Dio. Fino a che punto giunge il consiglio di Don Bosco?
C´è la forma suggerita, e c´è, non so dire se l´esortazione o non piuttosto l´approvazione e l´incitamento a far quel passo: se cioè
Don Bosco abbia detto: « Fa´ questo » o, più sicuramente: « Fa´ pure! ».
La forma è, almeno in parte, suggerita. Le « precise parole » del Savio sono parallele all´esortazione con che Don Bosco terminava
quella sera il discorso ch´egli tenne ai suoi giovanetti prima d´into¬nare il Te Deum del ringraziamento: « cordiale e sincera promessa di consacrare a Dio solo il resto dei proprii giorni, amandolo da buoni cristiani, osservando i comandamenti, fuggendo il peccato mortale, ch´è un morbo infinitamente peggiore della peste e del colera» (a).
(i) Dice bene il sempre vicinissimo Faber: «Una dettagliata corrispondenza alla grazia nelle cose di nostra condizione ci condurrebbe quasi inconscii ad altezze di santità che la natura trema a contemplarle, quando le vede nella loro elevazione
assoluta, e non nella loro ascensione graduale Yì. Cfr. Betlemme, cit., pag. 171.
(z) Come avviene al buon Dante, allorchè passa dall´una all´altra sfera del
Paradiso:
E come, per sentir più dilettanza
bene operando, l´uom di giorno in giorno
s´accorge che la sua viriate avanza, ecc. (Par., XVIII, 38-6o).
(3) Mem. Eiogr., V, isz.

95
Il sentimento che Don Bosco nutriva in quel giorno trapassa nei con¬sigli dati in secreto al santo fanciullo, e si concreta nelle precise pa¬role che questi pronuncia appiè della Madonna, dopo che il suo Diret¬tore ne ha fatto un´esortazione per tutti. E la consonanza di quel che ascolta allora con quello ch´è stato un suggerimento, certamente più preciso, particolare per lui, non fa che confermarlo nel proposito e accrescere il fervore della risoluzione. Ed egli, dopo quella funzione, si porta appiè della sua Madonna, e Le si presenta colla sua storia passata e con l´offerta dell´avvenire.
Sa di compiere un atto formale e solenne, e vi dà la forma dovuta, iterandola per ogni miglior certezza: Rinnovò le promesse fatte nella prima Comunione: di poi disse più e più volte queste precise parole: Maria, vi dono il mio cuore; fate che sia sempre vostro! Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei! Ma per pietà, fatemi morire, piuttosto che mi ac¬cada la disgrazia di commettere un solo peccato!
È la storia sua dalla prima Comunione in poi, ed è, con più alto
e consapevole sentimento, la consacrazione della vita avvenire: è pur sempre, come dicemmo allora, il fanciullino di sett´anni che precoce¬mente si dà a Dio, e pronuncia il grande e tutto suo proposito, e a dodici anni, col proposito medesimo, ma con piena conoscenza di amore, non più nello scritto, ma nell´ardenza d´un´iterata preghiera
e nella luce che gli splende nell´anima, si consacra alla sua Madonna
e al suo Gesù (t). Nessuno può dire che cosa sia passato nell´anima di lui in quel momento: ma nel fatto edificante e semplice d´una fer¬vida preghiera è penetrato un soprannaturale più profondo e più forte, ed è forse balenato un bagliore di luce superna, che lo trasforma
e trasfigura. Cosa d´un attimo, che s´incide per sempre.
o o o
Non è una mia induzione o interpretazione mistica. È il fatto. Dopo quel giorno egli, il Savio, appare realmente un altro, più visi¬bilmente o straordinariamente virtuoso, più chiaramente permeato di soprannaturale; e Don Bosco, per la sua sensibilità delle cose di Dio, non può non avvertirlo, ed è costretto a tenerne nota, presentendo il Santo. Le parole sue, a questo punto della Vita, bastano da sole a fissare il nuovo momento di quella santità, e a dare il carattere a tutta la vita susseguente: PRESA COSI MARIA PER SOSTEGNO DELLA SUA DIVO¬ZIONE, LA MORALE DI LUI CONDOTTA APPARVE COSI EDIFICANTE E CON
(t) Non c´è da pensare all´Atto di consacrazione totale a Maria proposto dal B. Grignon de Montfort. (Cfr. Tanquerey, cit., 170-v76). Don Bosco non avrebbe-consigliato un voto così arduo ed esclusivo.

96
GIUNTA A TALI ATTI DI VIRTÙ, CHE HO COMINCIATO FIN D´ALLORA A NOTARLI PER NON DIMENTICARMENE (I).
Nella nuda semplicità di questo periodo si racchiude e si conchiude tutto quello che noi abbiamo trovato commentando chi nostro di¬scorso l´Incipit vita nova. Dopo neppur due mesi dall´ingresso del
Savio nella Casa dell´Oratorio, egli è pervenuto al momento, in cui la santità latente, e´ 1i1 cerca della sua parola (z), ha letto questa parola
in un raggio d´amore che lo ha folgorato, volgendo da quell´ora il suo desire e il vale nella sfera di Dio, onde procedono le virtù e lo spirito che le rende più che umane.
E una nuova data della vita: giacche le date più vere sono quelle segnate dai giorni e dalle ore in cui si ha una nuova idea di Dio, e nel mondo della santità ogni nuova idea di Dio si identifica con un crescente sensibile amore di Gesù (a). In questa trasfigurazione Don Bosco non è soltanto lo spettatore: è la mano che ha guidato in quel cammino il suo fanciullo, sentendo ad ogni passo il crescente vigore
di quella tenera vita, e consigliando infine, quando lo sente capace e temprato, il gesto della consacrazione.
Il resto è cosa di Dio, e Don Bosco lo sa, tanto da sentirsi costretto a notarne i portati. Che anzi l´idea di codesta novità, che s´afferma in quel momento, e gli trasfigura il suo giovinetto, è in lui così viva e si¬cura, che lo induce ad ordinare, seguendola, tutta l´economia del suo racconto. Son sue parole: « Giunto a questo punto a descrivere le azioni del giovane Savio, io mi veggo davanti un complesso di fatti e di virtù che meritano speciale attenzione e in chi scrive e in chi legge. Onde per maggior chiarezza giudico bene di esporre le cose non se¬condo l´ordine dei tempi, ma secondo l´analogia dei fatti ».
Ed io dico: Hanno mai pensato, quei che il libro di Don Bosco han letto, ed anche lodato, come non più che un simpatico profilo edificante, hanno mai creduto, dico, che racchiudesse tali finezze spi
rituali e profondità di vedute, quali il nostro discorso ha già potuto (e potrà in seguito), senza forzare mai nè imprestare nulla, rivelare
e dimostrare come contenute nella oggettiva concretezza del semplice racconto di Don Bosco ?
(i) Ciò è confermato dalla testimonianza di D. Michele Rua al Proc. Orditi.: se Ricordo d´aver inteso dal Venerabile (Don Bosco) che stava scrivendo la Vita di un giovane dell´Oratorio, mentre ancor viveva Savio Domenico... che poi si seppe essere il Savio Domenico... (il che) ci fa comprendere che per non lasciar sfuggire dalla memoria i tratti edificanti, ti andava raccogliendo mentre ancor viveva il Servo di Dio... v. Cfr. Somin., cit., pag. 3o-31.
(z) Cfr. sopra, pag. 91.
(3) FABER, Prezioso Sangue, cit., pag. 17 e pag. 4o. Cfr. sopra, pag. 22.

CAPITOLO IV
La vita del dovere.
Seguendo il suo programma « di esporre le cose non secondo l´or¬dine dei tempi, ma secondo l´analogia dei fatti «, l´Autore santo in¬tende a metterci sott´occhio i vari aspetti e le singole manifestazioni della santità, ch´egli ha già veduta nell´anima del suo discepolo. Non dimentica e non scema l´intento edificante e talora parenetico del suo libro: ma questo fa dipendere appunto dalla prosopografia della san¬tità in atto. Un intero mio studio sul contenuto spirituale della Vita di Besucco Francesco intende espressamente a dimostrare la spiritualità del sistema educativo di Don Bosco e della vita giovanile vissuta nel clima dei suoi insegnamenti e de´ suoi metodi. La Vita del Savio, col far vedere una santità autentica vissuta tra quella spiritualità e al con¬tatto più immediato della persona dell´Educatore, viene a sublimare il valore di quel contenuto, associandovi il fattore soprannaturale della grazia di Dio, che, compenetrando tutta quanta quella vissuta spiri¬tualità, la perfeziona e trasfigura, e stabilisce un intercambio di meriti personali e di moltiplicazione di doni superiori (i).
Non si può pertanto ridurre (che sarebbe diminuire) l´esposizione dei fatti esemplari all´interesse pedagogico di una personificata dida¬scalia morale: l´esemplarità, quand´è raggiungibile, viene come con¬seguenza spontanea della presentazione del bene operato, ma non limita nè altera il valore intrinseco della soprannaturalità della vita virtuosa. E se n´avessi l´agio, io vorrei ben richiamar l´attenzione di chi vuoi studiare Don Bosco educatore, a non valersi troppo—delle dottrine ora dominanti, ma non per questo integralmente sicure, del¬l´educazione della volontà e dell´autoeducazione pragmatistica: dot¬trine che, se non si collegano, o meglio, si fondano sui principii della vita spirituale cristiana, possono, inconsapevolmente presso molti,
(i) TANQUEREY, cit., n. 504 e n. 243.

98
riuscire ad uno stoicismo o ad un pelagianismo nient´affatto orto¬dosso (i).
Che non vi possa essere nè educazione nè conquista di carattere virtuoso senza che la volontà sia educata a volere il bene, e senza che sia richiamata la coscienza a lavorare in se stessa, è cosa ovvia, e Don Bosco, buon seguace di S. Francesco di Sales, l´ha sempre veduto: ma tanto egli quanto il suo ispiratore, come del resto la dottrina di S. Chiesa, han veduto che codesto lavoro della volontà non conclude senza l´intervento del fattore religioso e spirituale, e senza gli ausilii soprannaturali che la grazia di Dio e la Chiesa sua forniscono (2).
Tanto meno questa faccenda dell´educazione della volontà può invocarsi nel fatto d´una santità quale è quella del Savio, svoltasi nelle mani di Don Bosco e da lui praticamente modellata. I « lavori della grazia divina » hanno già educato la sua volontà e vengono educan¬dola, cioè elevandola e facendola più ardente, così com´egli, per corri¬spondere agl´impulsi di quella, si è autoeducato nel cuore e confermato nelle abitudini della vita santa: ha cioè costrutto in sè un carattere di santo. Egli vive di già in una sfera superiore alla comune formazione d´una volontà e alla costruzione d´un carattere; e per quanto venga progredendo e perfezionandosi sempre più nel fatto umano della vita esterna, i vari momenti che rivelano un apporto nuovo di grazie attuali e doni gratuiti, fanno intendere che in lui, nei suo intimo, germina e matura, con la celerità dei tempi della grazia, una vita che non si misura soltanto coi dati umani della pedagogia.
Tutto questo vuol tenersi presente nel seguire Don Bosco appunto nella prima presentazione che ci fa, col capitolo IX, dei fatti e delle virtù del suo alunno. Comincia dal più umano e comune degli argo¬menti: la vita del dovere nella vita del Savio scolaro. Salvo il fatto eroico che vi si innesta, il resto non è altro che la descrizione d´una condotta indefettibilrnente virtuosa nell´adempimento dei doveri del
(i) Il classico lavoro di JuLEs 13.kYoT, L´Éduration de la volonté, scritto inne¬gabilmente con buone intenzioni, anche ricorrendo non poche volte a citazioni da S. Francesco di Sales, rimane pur sempre un libro laico, e il pensiero della reli¬gione c´entra qualche volta, e non organicamente, come uno dei possibili coeffi¬cienti di persuasione. Così dicasi d4ell´altro pur classico lavoro di PIERRE 152~115SE, L´éime de l´adolescent, e così ancora degli scritti del FOERSTER, Ottimi e utilissimi, ma bisognevoli dell´integrazione dello spirito cristiano.
(2) In questo senso la direzione ascetica di S. Francesco di Sales, è quella della a éducation de la volonté 5, come appunto dice iI sottotitolo del fondamentale lavoro di FRANCIS VINCENT: S. Franfois de Sales directeur d´dmes. (L´education de la volonté). Paris, 1923 (5n ediz.). Vedasi quanto è detto nel mio studio sul Besucco, svolgendo il grande principio educativo di Don Bosco, enunciato al capo XIX della Vita.

`Th 99
proprio stato. Eppure anche questo, e prima d´ogni altro dato, ha valore di santità. Cosi l´intende Don Bosco, il quale ha poco prima annunziato che tutto quanto andrà dicendo è prova del fervore che arde in quell´anima, ed ha un valore che e merita speciale attenzione in chi scrive e in chi legge »; e così compare tutta quella serie di cir
costanze, e la condotta in genere, nei riferimenti dei due Processi, dove parlano i suoi condiscepoli e compagni (i). E Roma, nel rico
noscere il grado eroico delle virtù del nostro « piccolo, ma grande Servo di Dio », ha dato giusto valore al proposito di Don Bosco, tro¬vando tale merito soprannaturale nelle cose e nei fatti di quella vita,
che sembrano cose comuni o di non molta levatura. Dar valore di santità alla vita che si vive, è il tema e l´insegnamento delle pagine
di Don Bosco, confermato da Santa Chiesa! (2).
o o
Vita del dovere. Non faccio qui Ia teologia nè l´ascetica di questo
primordiale postulato della perfezione cristiana. Nello studio sul Be-succo mi vi sono intrattenuto quant´è sufficiente ad illustrarne il va
lore spirituale. Ma non è fuor di luogo domandare: Perchè, per de
scrivere una santità in azione, Don Bosco incomincia da questo sog¬getto, e non, per esempio, dalla pietà, o da altre virtù più ovviamente
pensabili in un santo? Ecco. Egli segue in questo il pensiero e l´indi¬rizzo del Santo suo modello. È un titolo specifico di S. Francesco di
Sales nella storia della spiritualità l´aver instaurato codesta nozione primordiale, che la santità dipende dall´umile e quotidiana osser
vanza dei doveri del proprio stato: la gran legge del dovere come su
premo regolatore della vita (3).
Chi conosce un po´ davvicino il Santo educatore, sa che questa
concezione stava alla base d´ogni suo lavoro educativo, tanto nell´am¬bito della vita comune, quanto nello spirituale. Alle stesse ostensioni
(i) Cfr. Somm. Proc. Ordin. e Apostolico, cit.: tit. IV, V, XVI, XVII.
(2) Si confronti, per l´affinità delle idee: FABER, Progressi, cit., cap. XVI, pa¬gine 251-253, ricordate e citate pure nel mio studio sul Besucco.
(3) FRANCIS VINCENT, op. cit., pag. 199. Potremmo, senza difficoltà, addurre molti passi degli scritti del Santo Dottore, e non di seconda mano: ma oltrechè sarebbero troppi, non è precisamente l´assunto e il merito capitale del suo libro più vivo e diffuso: Introduction à la vie dévote, l´aver insegnato che ci si può far santi in qualsiasi condizione della vita ? — Così pensa anche il FABER in ogni suo lavoro, e principalmente in Il piede della Croce, 447-449. Anche nelle sue Lettere v´insiste. Cfr. Vita e lettere del P- G. Faber del BOWDEN: Lettere alla Sig. M***, CVIII: pag. 372-373 (ediz. Marietti).

ioo `
della pietà egli non. credeva se non erano confermate dall´osservanza diligente e coscienziosa dei rispettivi doveri. È codesto spirito di con¬cretezza che la Beata Mazzarello, sua interprete fedelissima nella for¬mazione della salesianità femminile, esprimeva nel 1878, affermando che « la vera pietà religiosa consiste nel canipiere tutti i nostri do¬veri a tempo e luogo, e solo per amor del Signore ».
Ed è tanto cosa di Don Bosco, e perciò inerente alla santità che da lui s´inspira, che PP. Pio XI vi ha accennato in due momenti capi¬tali: quando, nel discorso per il Tuto della Canonizzazione, applicò al nostro Padre la dottrina del martirio del dovere nascosto, quella del piccolo martirio della vita quotidiana (3 dicembre 1933); e quando, appunto esaltando le virtù eroiche di Savio Domenico, trovava nella sua esistenza di soli quindici anni « una vera e propria perfezione di vita cristiana... vissuta con uno spirito di nobile precisione », e già, del resto, preparata dalla santa vita di famiglia, «vissuta nell´esercizio, nel compimento degli ordinari doveri d´una vita comune » (9 luglio
1933)
È un ideale per Don Bosco la compiutezza e la precisione nell´a
dempimento dei doveri della propria condizione. Non è superfluo ripetere qui com´egli abbia fatto risplendere tale carattere come pri- - mario nei giovani di cui ha narrato la vita: dal Coniano al Burzio, dal Savio al Magone e al Besucco: dal « non si poteva desiderare di più », del:Burzio, alr « oltre il quale non si può andare´», del Savio (i). E
poichè altrettanto fu detto di lui stesso, giovane seminarista (z), pos¬siamo ben dedurre che l´ideale non era solo nella teoria, ma nella propria sua concezione e attuazione della santità.
0 o o
Nel fatto di Savio Domenico dobbiamo tuttavia andar più oltre,
pensando che il santo Autore connette e coordina l´esposizione delle virtuose azioni del suo alunno a quel concetto ch´egli si è formato di
lui dopo il momento nuovo del giorno dell´Immacolata. Con che reser
(i) Anche per questo mi rimetto al mio studio sul Besucco, dove ricorrono anche i paralleli con la Teresa del Bambino Gesù: paralleli non derogabili, quando si pensi alla parallela modernità degl´indirizzi di Don Bosco.
(2) Mem. Biogr., I, 374: D. Bosco, nuovo seminarista, domanda - al prof. D. Temavasio una norma di vita per riuscire un buon chierico: « Una cosa sola, gli risponde: coll´esatto adempimento dei vostri doveri e. E nelle Memorie inedite egli dice di aver ottemperato a quel consiglio. Xbid., 4o9: la santa lega tra i quat¬tro amici di Seminario e per una esatta osservanza delle regole e l´adempimento esatto dei propri doveri di pietà e di studio s. E c´era il Comolio. Cfr. pure, op. cit., I, cap. LVI.

ior
eizio perfetto dei doveri dello scolaro diviene nel piccolo santo un motivo, cioè un valore di santità, perchè vi agisce il medesimo fattore d´ogni altra attuazione.
Mi spiego con la dottrina, salesiana in ogni senso, di S. Francesco di Sales: per la quale l´amore è fine e mezzo d´ogni valore di santità, e la qualità delle nostre azioni, qualsisiano, grandi o comuni, dipende dal motivo d´amore che le produce e le accompagna. L´atto in sè è nulla o poco: il motivo d´amore è tutto. La nobiltà del motivo d´amore nobilita le azioni anche meno cospicue, e il merito di esse non si mi¬sura dall´altezza e dall´ampiezza o da ogni altro valore umano, sibbene dalla fiamma segreta che la vivifica ed anima dal di dentro. Se anche non può dirsi che il principio-, come tale, sia quasi un´innovazione del Santo Dottore (lo troviamo enunciato chiaramente nell´Imitazione di Cristo, ch´egli maneggiò assiduamente) (i) è tuttavia da lui definitiva¬mente formulato e condotto a dottrina fondamentale di tutta la spiri¬tualità del Santo rinnovatore dell´ascetica moderna, e perciò squisita¬mente compenetrato in ogni suo scritto (2).
Ed è dottrina squisitamente salesiana, non più etimologicamente, ma in quanto fatta sua da Don Bosco. Egli ha insegnato a farsi santi in una vita d´intenso lavoro e di dedizione quotidiana alle opere di minore appariscenza, agli obblighi d´una vita che non conosce quasi nulla dell´apparato della grande ascesi. Ed ha prodotto dei santi, e messo semi di santità, coll´insegnare a far ogni cosa con l´intenzione e la consapevolezza d´un amoroso servizio di Dio (3).
L´aspetto pratico di questa santissima tesi salesiana, che ci stringe senz´altro al nostro tema, ci è dato dalle due lucidissime pagine del Columba Marmion, là dove mette a confronto ciò che dà valore sem¬plicemente meritorio alle azioni, con ciò che mentre aumenta il grado di esso, fa avanzare l´anima nell´unione con Dio. Due persone pie in istato di grazia, compiono fianco a fianco le medesime azioni mate¬riali: eppure agli occhi di Dio può esservi tra loro una stragrande differenza. L´una segna il passo, l´altra avanza a grandi passi nella via della grazia, della perfezione, della santità. Donde la differenza? Dalla perfezione interiore, dall´intensità dell´amore, dal grado di
(t) De imitatione Christi, lib. I, cap. xv, Deus siquidem magi: pensar ex
quanto quis desiderio et amore opus agat, quam quantum faciat».
(a) VINCENT, op. Git., Part. Deuxième, chap. III: L´arnour but et moyen. -Premier corollaire: e Latte en soi n´est rien: le motif d´amour est tout e. Pag. 178, seg. — Il riferimento dell´Imitazione di Cristo non è del Vincent; ma si deve aver presente perchè familiare a Don Bosco.
(3) Cfr. Disc. di Papa Pio XI, 3 dic. 1933. (disc. del Tuto), § 8: dove la vita quotidiana di Don Bosco è definita « un vero, proprio e grande martirio e.
13 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.

102
carità con che ciascheduna di esse compie le proprie azioni. Quella alla quale noi qui vogliamo alludere, sempre attenta a Dio, opera con un
amore alto e possente: opera unicamente per piacere a Dio, e rimane
intrinsecamente prosternata in adorazione davanti al Signore: la sua attività non procede, in radice, che da Dio: e per questo ogni sua azione
l´avvicina a Dio sempre più, ed ella progredisce celermente nell´unione con Dio. Qui sta il segreto di quella forte differenza, e questa è l´emi¬nenza della virtù della carità, la forza dell´amore, in quanto essa è che regola propriamente la misura della vita divina in noi (i).
Cosi ci è dato comprendere il pensiero di Don Bosco nell´inserire, in primissimo luogo, la modesta vita del dovere del suo piccolo santo nella serie delle virtù, per le quali si manifesta e svolge la sua santità. Non c´è che da attribuire al Savio quel che ci vien suggerito dalla pagina del pio benedettino. Non è una supposizione gratuita. Nel pro¬cesso dell´Ordinario Don Rua attesta che egli « compiva i suoi doveri per amor di Dio: studiava per dovere di coscienza, senza mira di su¬perare alcuno, giacché non ambiva di primeggiare ». Altrove un condi¬scepolo, autorevole assai, dice che « compiva tutte le azioni ordinarie con un fervore speciale «; e un altro: « L´ho sempre veduto compiere le sue azioni più comuni e ordinarie colla massima diligenza, con tale e tanta esattezza e semplicità, che tutti l´ammiravano e lo tenevano come un modello di giovane cristiano, sia nella pratica delle cristiane virtù che nei doveri dei proprio stato ». E che l´amor di Dio, la ca¬ritas, fosse l´anima di tutte Ie sue azioni, ce Io dice il Cagliero: « L´amor di Dio aveva compenetrato tutti i pensieri, affetti e atti del suo cuore... Quantunque il Savio si studiasse di non manifestare esternamente alcuna singolarità, tuttavia non poteva occultare il grande amor di Dio che infiammava il suo cuore » (2).
Su tali concetti mi è parso dovere d´insistere, perché in tutto questo io vedo (mi si conceda il termine) il Don Bosco numero uno. Voglio dire che gl´indirizzi capitali della spiritualità del Santo nostro Maestro qui si rispecchiano e affermano nel loro primo punto, quasi con un primo articolo: la santificazione della vita nell´adempimento del dovere, compiuto per servizio di Dio, ossia per amor di Dio. Che, per il genere e condizione di vita attuatasi intorno a Don Bosco e ordinata da lui, codesto dovere sia essenzialmente lavoro, è un dato
(i) COLUMBA MAAM!ON, op. cit., pag. zoo-zoz. — La derivazione da S. Fran¬cesco di Sales è qui evidente, cosi com´è evidente l´affinità e medesimezza con la dottrina del Faber su le azioni ordinarie, che citeremo a suo luogo.
(z) Somm. Proc., cit., D. Rua, 312; Piano, z x6; Melica, 47; Cagliero, 193, 195. Molte altre conformi affermazioni sotto i titoli: De charitate erga Deum; De fide; De Spe.

‘..4, 103
storico che mette capo all´essenziale principio spirituale salesiano for-mulato da PP. Pio XI: Qui laborat, orat. Il Savio nella sua piccola grande vita ne dà un primo esempio. La santità del Savio è la san¬tità salesiana.
o o o
Santità che non appare ad un occhio meno intento alle cose dello spirito, e che pure contiene nella continuità del suo esercizio un suo proprio eroismo, come appunto diceva PP. Pio XI nel citato discorso (t); che anzi predispone agli eroismi più visibilmente eroici (2). Don Bosco ha voluto farcelo intendere collocando, in mezzo alla descrizione della santa esemplarità nel dovere, l´atto per eccel¬lenza più eroico della vita del Savio. È un fatto forse unico nella storia della santità giovanile: certamente tipico nella storia del nostro gio¬vane santo. Esso lo scolpisce per sempre in una statura smisurata¬mente maggiore dell´età sua, e in un atteggiamento di forza morale, che nei valori umani non trova nè fondamento nè sostegno, e solo attinge da virtù superiori e non terrene la sua origine e la sua potenza.
Bisogna, perchè possa essere, che un´anima sia vissuta e temprata nel clima di Dio, in vista d´un modello continuamente contemplato, e tra un insistente travaglio d´amore che l´innalza sopra di sè nello sforzo di avvicinarsi e assomigliare a quell´Unico sempre presente e sempre invitante (3). Uno stato d´animo e un travaglio d´amore che non appare se non all´occhio di Dio, e che non è d´un momento d´e-mozione, neppure, direi, un tocco improvviso della grazia divina; ma, anche se rapidamente, maturato nel secreto dello spirito. Quand´è quel momento, tutta quella forza che si era venuta accumulando, si concentra in un punto, e si sprigiona nell´atto, che pare intuizione od ispirazione subitanea, ed è invece somma e risoluzione di continuo e assiduo lavoro (4_).
Stupisce che tanto si possa dire d´un fanciullo di forse tredici anni,
(i) Disc. cit., 3 dic. 1933; § 6.
(z) Anche questo ha dimostrato il Pontefice in quel suo discorso al § 5, e più con l´esempio di S. Fruttuoso, che prepara, nell´osservanza eroica della legge, l´eroismo del martirio. E faceva suo un pensiero del Manzoni, Oss. sulla Mo¬rale Cattolica, XVI. — Cfr. Disc. cit., § 7.
(3) Cfr. in COLUMBA MARMION, cit.: Notre croissance surnaturelle dans le Christ, § VIII-IX, pag. 305-352. — Il concetto è quello di S. Paolo: Dover occurramus omnes in virurn perfectum, in rnensurant aetatis plenituclinis Christi. (Fph., IV, 13).
(4) Non è questa pure la vicenda delle creazioni del genio? Così pensa an-che il Joly, pel quale l´ispirazione del genio è o de la reflexion accuraulée5>. Cfr.
op. cit., 156.

104
e la psicologia, sia pur dei Santi, lo supporrebbe al più in una vita matura (i); ma se il fatto è tale che appena lo penseremmo dopo anni
ed anni di allenamento morale, che vuol dire virtù, perchè non dob¬biam) vedere in colui che da un Pontefice fu detto « piccolo, anzi grande gigante dello spirito a 15 anni », un lavoro della grazia divina che ve lo ha preparato e fatto capace ? Non è questa la parola di Don Bosco?
Invero il fatto avviene « nel decorso di quest´anno» cioè del primo anno di vita nell´Oratorio. Noi dobbiamo collocarlo tra il dicembre e
il marzo (2), dopo il primo momento che, come s´è detto, ha trasfigu
rata l´anima del piccolo santo, e prima del secondo, che gli darà la coscienza definita della sua individua vocazione (3). Da quel primo
momento si origina e inizia l´interno lavoro che lo porta al fatto eroico; Don Bosco lo ha, se non preveduto, già incluso mentalmente nei fatti conseguenti a quel momento, ch´egli ha sentito il bisogno di subito notare.
È il fatto d´una rissa fra scolari, in cui gl´insulti reciproci toccano l´onore della famiglia, e ne nasce una sfida a duello, diremmo, in piena
forma: cavalleria rusticana, naturalmente, giacché l´arma saranno i sassi. Il Savio, che per la sua bontà è caro all´uno e all´altro, mette in opera ogni mezzo per stornarli da quel bestiale proposito: l´amor di Dio, lo zelo delle anime, la carità per le loro persone, gli suggeriscono argomenti di persuasione, ed egli parla, e scrive, e perfino severamente minaccia di denunziare: gli sta a cuore d´impedire l´offesa di Dio e il danno che alle due anime arreca quella vendetta e quel sangue. Ma ogni buon ufficio del piccolo Domenico s´infrange contro l´ostinata pervicacia di quei due bastraconi inviperiti (4).
E allora tutto il genio della santità dirompe nell´idea eroica: metter sè di mezzo, tra la battaglia: ed in nome di Gesù Crocifisso immolarsi in vece loro e per loro. Un´idea da martire.
(I) jOLY, Psychologie des Saints, cit., cap. IV e cap. VI.
(2) Cinque testi deI Processo, per diverso titolo, ricordano il fatto, ma nes¬suno accenna al tempo in cui avvenne, nè fa il nome degli attori di quel dramma, che certamente conoscevano. Cfr. Somm., cit., Cerruti, ..54; Cagliero, 021 ; Anfossi, 228; Rua, 113, 220, 287; Ballesio, 186, 203.
(3) Se il fatto fosse accaduto dopo di questo, Don Bosco l´avrebbe collocato al cap. XI o al XII, e non avrebbe mancato di connetterlo con l´azione di apo¬stolato e di zelo delle anime, che conseguitano al suo proposito di essere santo.
(4) Ed erano studenti di ginnasio, di quelli che Don Bosco manteneva per carità e mandava a scuola da Bonzanino l Non abbiamo dunque esagerato quando, nel descrivere l´ambiente dell´Oratorio, abbiamo accennato alla volgarità e bas-sezza di certi elementi. Mi contento di rilevarlo in nota: ma dovrebbe stare in testo.

105
Il dialogo della proposta e dell´impegno è storico (t). Savio li prega di accettare una condizione: l´accettano purché non impedisca la sfida, giacché non saranno in pace finché « o l´uno o l´altro abbia rotta la testa ». Ed egli consente alla sfida, ma la condizione si riserva di dirla sul posto. E non li minchionerà ín nessun modo (parlano in piemontese), e non chiamerà nessuno: basta che mantengano la pa¬rola. E vanno, i due cavalieri da strada, senza padrini e senza medico, col solo Savio, ai prati della Cittadella (2): si approntano con cinque pietre ciascuno, alla distinza stabilita.
Qui è il gesto eroico. Dichiara la condizione accettata: trae fuori il suo piccolo crocifisso, « e tenendolo in una mano: Voglio, dice, che ciascuno fissi lo sguardo in questo Crocifisso: di poi gettando una pietra contro di me, pronunzi a chiara voce queste parole; Gesù Cristo inno¬cente morì perdonando ai suoi crocifissori: io, peccatore, voglio offen¬derlo e fare una solenne vendetta ». E va ad inginocchiarsi davanti al più infuriato, e gli dice: « Fa´ il primo colpo sopta di me: tira una forte sassata sulla mia testa ». Che suono avrà avuto la sua voce, e che lume il suo volto in quel momento ?
È un gesto inatteso, che afferra il cuore, è un´angoscia: il ragazzo trema. « No, e mai no, dice. Io non ho alcuna cosa contro di te, e vorrei difenderti se alcuno ti oltraggiasse ».
Il medesimo avviene con l´altro: anch´esso trema, e ricusa di fargli del male, perchè suo amico. « A tale spettacolo di carità e di coraggio i compagni furono vinti* dice il libro, semplicemente.
E l´eroe si aderge con l´ardimento del martire e l´ardenza dell´a¬more, e, solenne ed autorevole, col crocifisso levato in alto, li urge e li serra nella stretta a cui non possono sottrarsi: « Come ? voi siete ambidue disposti ad affrontare anche un grave pericolo per difendere me, che sono una miserabile creatura, e non siete capaci di perdo¬narvi un insulto e una derisione fattavi nella scuola, per salvarvi l´a¬nima vostra che costò il sangue del Salvatore e che voi andate a per¬dere con questo peccato? ».
Son ragioni di Dio, che traggono forza dall´amore eroico di chi
(i) Don Bosco dice apertamente che ne seppe i particolari da uno dei due contendenti. E nel Processo´ il teste Anfossi, suo condiscepolo riferisce le parole: «Fate pure, a condizione ch´io rimanga con voi a e riporta altri particolari del
fatto eroico. — Cfr. Somm., cit., 228.
(2) La Nota del testo fu messa in 5" ediz., nel 1878. Ma al tempo del Savio, e del fatto (1855), la cittadella c´era ancora, e la spianata di fronte al Maschio (di cui esiste ancora il corpo centrale) era a prati incolti, lasciati ad 71S0 pubblico. La Cittadella fu demolita nel 1857, ed il suo tracciato si trova ancora disegnato sulle Carte Topografiche di Torino dei primi anni successivi. Cfr. per es. la
Pianta di Torino deI 186o, riprodotta nell´op. cit., di D. FEDELE GIRAUD1.

1o6
le dice e dal coraggio di chi è pronto ad ogni sacrificio; e quelle po¬vere anime di giovani, non cattivi del tutto, ma non ancora svestiti della nativa selvatichezza, le sentono addentro e si danno vinti. Vinti e convinti: uno di essi, supponiamo per primo, dipinge a Don Bosco il suo stato d´animo in quel momento, e dà prova della vittoria morale e della sua conversione strappata al suo ruvido cuore dall´eroismo del santo fanciullo. Conversione, dico: giacche entrandovi le ragioni di Dio e l´amore d´un santo, il fatto umano della pacificazione doveva operare in quella parte dell´anima dove giunge lo spirito di Dio (t). Il giovane perdona, e prega il suo santo amico di trovargli un confessore « paziente e caritatevole », e si riconcilia coll´offensore e con Dio.
Don Bosco ha, senza troppi commenti, messo in luce chiarissima l´eroismo del suo piccolo Santo, e certamente vi ha veduto ciò che vi abbiam veduto noi: « un fatto che ha dell´eroismo e che è appena credibile in quella giovane età» (2). Ma nel modo di collocarlo e pre¬sentarlo ha saputo rilevare tali circostanze e particolari, ha scorto tali sentimenti nell´anima del suo eroe, che non si può non vedervi quello che noi vi abbiamo contemplato. Ed aggiunge, a conferma della santità del fatto, il tocco dell´umiltà nella carità: « il silenzio in cui seppe tenere quanto era accaduto ». Anche nel Processo, un condi¬scepolo (estraneo ad ogni influsso della biografia scritta, perché vis¬suto fuori del mondo salesiano) affermava d´aver saputa la cosa dai compagni, perché « Savio soleva tacere ogni opera buona che fa¬cesse» (3).
o o o
Ripeto: il fatto eroico è collocato in mezzo alla descrizione della vita di scolaro. Vita, come s´è dimostrato, che, oltre all´essere esem¬plare, assume nella persona del Savio il valore di un fatto di santità. Egli non è solo un ottimo studente: è uno studente santo. I fatti spe¬cifici danno segno d´un´alacrità di spirito (la dévotion di S. Francesco di Sales) e di una forma esteriore della bontà che giustamente il santo
(t) Vivus est enim sermo Dei et efficax, et penetrabilior ornai gladio ancipiti; et pertingens usgue ad dizisionem animae et spiritus. Hebr., IV, z.
(2) *Il che dimostra, se ancora ve ne fosse bisogno, che anche in giovane età l´eroismo è possibile e son possibili le virtù eroiche, quali si vogliono per una canonizzazione. L appunto la tesi della citata dissertazione del .Fiertling.´ Se Dio vuole che vi siano dei santi anche tra i giovani e i fanciulli, deve dar loro la grazia di essere eroici.
(3) Somm. Proc., cit., De cantate in proximum, dep. Anfossi, pag. zz8. Cfr. sopra, pag. ro5, n. I, e le testimonianze dei testi indicati a pag. 104, n. 2.

107
Scrittore fa derivare dalla vita interiore, appunto come più sopra spie¬gammo dicendo della vita del dovere (i).
E i Processi confermano tale concetto. Le parole che si dissero in tali deposizioni, non derivano dal libro, perchè sono essi i testi che hanno dato materia allo scrittore; ma, quando non ripetono, confer¬mano e spiegano le linee del dettato. Si potrebbe postillarlo riga-per riga con altrettante espressioni eguali o sinonime dei testi.
Essi ci dicono intanto d´un t ingegno più che mediocre e soprat¬tutto equilibrato » (2); oppure, e sono i più, di « ingegno facile e pie¬ghevole », di «precoce e svegliata intelligenza » 9 addirittura « eletta » e di « accuratezza e perspicacia » (3). Ma tutti riconoscono che il suo profitto e i suoi avanzamenti nelle classi, giacche ne fece due in un anno (4), sono dovuti alla sua compostezza e diligenza esemplare, al¬l´applicazione e fiducia in Dio: sicchè teneva quasi sempre i primi posti, e il professore si volgeva a lui per i passi difficili e oscuri del¬l´autore, ed anzi gli commetteva la sorveglianza dei compagni nei mo¬menti di sua assenza, ed era sentimento comune che « l´alacrità, la diligenza, l´attenzione, il grande spirito di raccoglimento e di opero-sità », e il « compiere tutte le sue azioni con fervore speciale », gli da¬vano tale ascendente che « volgendo gli occhi a lui ognuno si sentiva incitato a compiere il dovere e attendere al professore» (5).
Ed era modello nel mostrarsi docile e rispettoso verso i Maestri,
(t) Cfr. sopra, pag. 100-103.
(2) Somm. Proc., cit., Cerruti, 52. Il Ballesio dice di una « capacità sufficiente s; pag. 36; e il Piano di « un ingegno non eccessivo s. pag. 84. Forse il più esatto è il Cerruti, benchè non compagno di classe.
(3) Somm. Proc., cit., per ordine: Francesia, 83; Cagliero, 57; Anfossi, 76; Cerruti, 5z. Ma bisogna tener conto anche dell´aprirsi della mente, dei primi inizi dello studio (preparato noi sappiamo come!) ai progressi dovuti ad una scuola ben fatta. Ei infine un buon ingegno adatto agli studi, anche se non de¬stinato a diventar celebre in questo campo.
(4) D. FRANCESIA, Somm. cit., pag. 40, dice che furono la ra e la 2a classe; Cagliero, pag. 58, che la 2a e la 3a. È più esatto il Francesia, giacchè, finito il primo anno scolastico, il Savio fu senz´altro ammesso alla terza grammatica, al¬lora appunto istituita nell´Oratorio, (e fu, per quella volta, unica classe), con lo stesso Francesia diciassettenne a Maestro. Insomma tra quel che aveva un po´ portato da casa, e la scuola dei Bonzanino, e un no´ di studio nelle vacanze, si trm.,ò all´autunno del ´55 in grado d´entrare in terza.
(5) Somm. Proc.: dep. Ballesio, i1, 35, 37; Molino, 46; Piano, 38, 84, 116; Anfossi, 76; Cerruti, 62; Melica, 47. L´Anfossi ricorda il Conte Bosco di Rullino, comune condiscepolo, il quale gli diceva molt´anni dopo: a Ricordo ancora il po¬sto che Savio occupava nel banco di scuola, e quante volte, volgendo gIi occhi a lui mi sentivo eccitato a compiere i miei doveri e a porre attenzione alle spie¬gazioni del professore a. (Pag. 77).

io8
obbediente, diligente e grato verso di essi; sicché questi avevano per lui una speciale attenzione a causa delle sue virtù (i).
Vedremo altrove quale fosse nella scuola la sua umiltà: non vi manca neppure qualche spunto di eroicità. Ma e compagni e maestri erano attratti dalla sua amabilità e dalla cortesia e gentilezza del suo contegno e perfino dalla sua presenza. Il Ballesio; vicino a lui nella sala di studio, « lo vedeva pulito, ordinato nei suoi libri, nelle sue
carte, e in tutta la persona. Egli era di aspetto civile, di modi semplici ed educati s (2). Cosa ripetuta da altri, e notata da Don Bosco. La
sua era una bontà garbata e cortese, tanto da piacere anche ai com¬pagni di condizione superiore o nobili di sangue: classica poi, bisogna
dire, la sua prerogativa d´essere, a scuola e a casa, il paciere de´ suoi compagni (3).
Codesta capacità di diportarsi senza scorrettezze e sgarbatezze nè rusticità, poteva essere in lui, povero figlio di campagna, un po´ il frutto della santa educazione familiare (4), e più, un istinto e una connaturata delicatezza d´indole; ma appunto perché non facile a conciliarsi con tale condizione, bisogna ben vedere nel bisogno del¬l´ordine e della compostezza, come, e più, nella cortesia e soavità di modi che lo resero accetto e simpatico a tutti, un fiore germogliato dall´interna germinazione che si produce nell´animo con la vita euca¬ristica (5). E il Savio è, per eccellenza, un´anima eucaristica.
L´idea della scuola (lo sanno maestri e scolari) non si scompagna dall´immagine della strada. Lo scolaro porta in classe poco o molto di quello ch´egli è stato per via; per altro verso, troppe volte il male della strada guasta il bene della scuola. Don Bosco lo ha voluto se¬gnare nella Vita del Savio, ad esempio dei suoi e di tutti i giovani. E si sarebbe tentati di pensare che qualche spunto sia stato messo per la sola esemplarità didascalica, se proprio quei particolari non si leg¬gessero nelle deposizioni, dei testi coevi e di veduta.
È intanto il giovanetto che, per non divagarsi, rivede per via le sue lezioni, o legge qualche libro istruttivo: il suo raccoglimento è tale che di due strade che conducono alla scuola egli ne sa una sola,
(i) Sornm. cit., Ballesio, 35; Melica, 47; Cagliero, 58.
(2) Somm. cit., Ballesio, pag. 78.
(3) Somm., cit. Uno per tutti, il Cav. Conti: « Egli era certamente il paciere di noi. Appena avveniva che qualche nostra discussione si accalorasse, egli si intrometteva, e cercava di calmare gli animi e rappacificare quelli che per avven¬tura avessero qualche contesa ». Pag. 6a.
(4) Cfr. sopra, pag. 54.
(5) FABER, Il SS. Sacramento, lib. Il, lez. VII, pag. 179-58o: i Fiori dell´al-tare. — Cfr. pure: Il piede della Croce, pag. 391; e Progressi, cit., pag. 63.

1o9
e la percorre macchinalmente senza saperne i nomi o ricordarne i par. ticolari; quando devono avviarsi, è il primo al cancello, e chiama i ri¬tardatari e li sollecita; nel tragitto cammina sempre con gran com¬postezza, collo sguardo rivolto a terra, e, se non ha libri per mano, colle braccia conserte. Al ritorno, per la via più breve, non esce di squadra (i), e se qualcuno scappa alla vicina piazza di Porta Palazzo, dov´era il mercato e giocavano i ciarlatani, egli anche da solo, vien dritto a casa (z).
Del resto i suoi compagni preferiti (e i testi non dicono di sè per • modestia) sono i più esatti nell´adempimento dei doveri, e, benchè amico di tutti, si tien lontano da qualche discolo, per sentimento del proprio dovere; salvo quando la carità o la prudenza gli suggerissero di dare un buon consiglio, il che faceva con belle maniere (3).
E a questo. proposito Don Bosco ricorda un momento, in cui la sua abituale precisione fu messa in pericolo: quando, dopo tant´altre volte ch´egli si era rifiutato, í compagni, dagli e ridagli, quasi lo tira¬vano fuor di strada per andarsi a divertire, marinando la scuola.
Un momento, non più: pochi passi di malavoglia, e poi la risoluta ripresa di se stesso gli fa stroncare il conato dei tristi consiglieri (così li chiama lo scrittore) e dichiarare: « il dovere m´impone d´andare a scuola ed io voglio andare: noi facciamo cosa che dispiace a Dio e ai nostri superiori: son pentito di quello che ho fatto: se mi darete altra volta somiglianti consigli, non sarete .più miei amici ». E, i compagni si riprendono anch´essi, «e per l´avvenire non tentarono più di disto¬glierlo dai suoi doveri ».
Ma egli n´ebbe un acuto rimorso, e chissà con qual commozione se ne sarà accusato con Don Bosco, confidandogli subito l´accaduto (4). Ed è bene che lo scrittore l´abbia ricordato, perché si veda che la virtù di lui era cosa della volontà, non abito incosciente nè privilegio di predestinato. Tutti sappiamo la dottrina delle tentazioni, e S. Paolo dice che il Signore facit etiam cum tentatione proventum (i). Ed è il
(i) Squadra per modo di dire: l´ordine era di tornare a casa insieme, e così di recarsi insieme a scuola: ma, come appare dagli episodi, c´era molta libertà.
Vedi poco oltre.
(2) Somm., cit.: Francesia, 83, 286; Piano, 38; Conti, 6z, 198; Anfossi, 76.
Queste deposizioni ci danno i singoli tratti sopra esposti.
(3) Somm., cit.: Francesia, 83.; Anfossi, 76. In questo tema il Piano e l´Anfossi come il Conti, possono dire di più, perché facevano parte del suo gruppo e an
davano a scuola insieme.
(4) Così dobbiamo pensare, giacché nessuno dei suoi consueti amici che lo accompagnavano (Anfossi, Piano, Conti) ne fa il minimo cenno. Forse quei giorno
non c´erano?
(5) I Cor., X, 13.

zio
concetto che il Columba-Marmion svolge ampiamente (ma per cose ben più gravi?) in una delle sue pagine più belle, confrontando lo stato d´un´anima fervorosa che cade in colpa e si risolleva, con quello d´una anima tiepida che non se ne risente. Lo ricordo, benchè il parallelo
del pio scrittore si adatti solo per lontana analogia al caso del nostro santo giovanetto (i).
La conclusione a cui vogliamo venire con le singole serie di rife-rimenti testimoniali non è la conferma della verità e serietà storica dello scritto di Don Bosco; sibbene è di dar Ia prova che nello sten¬dere questo capitolo della vita del dovere il Santo scrittore ha sopra
tutto avuto di mira la spiritualità funtale di tutto quel bene che dice. Perché tutte quelle testimonianze, cosi consonanti col testo del libro,
non provengono soltanto dall´interrogatorio sul titolo quarto del Pro¬cesso, che esamina la condotta esterna del Savio fanciullo e collegiale; bensì sono ricavate da altri titoli concernenti le virtù: dico dell´amor di Dio, dell´amor del prossimo, dell´umiltà, dell´obbedienza, della purezza, della giustizia, fino alle affermazioni sulla opinione di san¬tità, dove la precisione nel dovere è quasi sempre la prima ragione (2).
Vale a dire che i testi (e i giudici con essi) hanno veduta da sè, all´in¬fuori d´ogni idea preordinata, la dipendenza e la connessione di quei
particolari della condotta con le virtù e la spiritualità, o, diciamo, con la santità del loro eroico condiscepolo (3).
Appunto come noi abbiam voluto dimostrare che abbia pensato
Don Bosco, facendo, nello spiegare il Savio, un´affermazione della sua dottrina spirituale.
(a) COLUMBA MARMION, op. cit., pag. 221-222.
(2) Cfr. Somm. Proc.: Tit. IV, VIII, IX, X, XIV, XI, XVI, XVII, XXV.
(3) È dunque l´attuazione della dottrina del FABER, in Progressi dell´anima, Capo VI: Spiritualità della condotta esterna. pag. 58-7o. Id., cap. XVI, 251-253.

LIBRO III
FARSI SANTO

CAPITOLO I
Il secondo momento.
La santità del Savio, mentre è un tipo eccezionalmente ricco di vita cristiana, e perciò mirabilmente esemplare, è nel tempo stesso un capo¬lavoro di armonia tra le fonti personali e il lavoro esterno che le avvia per il cammino loro segnato da Dio nell´esuberanza della sua grazia e nel mistero della vocazione a quella luce di gloria, dove ogni santo è una stella che differisce da ogni altra (i). A questo io richiamo l´at¬tenzione del lettore, mentre m´accingo a lumeggiare un´altra pagina della Vita (Capo X), che segna un nuovo momento, il secondo, nello svolgersi del meraviglioso poema di questo « piccolo, anzi grande gigante dello spirito ».
Bisogna pertanto distinguere ciò ch´è la santità stessa come dono e svolgimento della grazia di Dio nell´anima, e come innesto sulla in¬dividua natura, che nella santità si eleva al soprannaturale, e ciò ch´è la forma e l´indirizzo, il tipo esteriore e l´attuazione pratica di codesta santità: le vie che segue, gli oggetti in cui si concentra, le scelte e gli orientamenti, il tenore della vita quotidiana: ciò che proviene dalla vita ambiente e dalla direzione del santo Maestro: in una parola, di¬stinguere ciò che è proprio personale del Santo, e ciò che a lui deriva dalla formazione, dagl´indirizzi, caratteristicamente salesiani, im-prontati da Don Bosco. Mi spiego.
L´aver rivelazioni ed estasi, il dono della profezia, il senso mistico della presenza, la vita interiore dell´unione permanente con Dio; inoltre la sensibilità all´attrazione, al fascino dell´amor di Gesù, la risoluta volontà del ben fare in ogni ora, la bontà e carità eroiche, l´istinto del sacrificio e della mortificazione, la serena gioia dello spi¬rito, le grazie del carattere, sono doti e doni personali, che in qualsiasi forma di vita si sarebbero esplicate. D´altra parte l´aver orientate tutte
(i) I Cor., XV, 41. L´immagine di S. Paolo è rilevata bellamente dal FABER, in Betlenzme, pag. 311. Cfr_ sopra, pag. a t.

I 14
le forze dell´anima verso il Gesù del Sacramento e verso Maria Imma¬colata, verso l´apostolato, verso gl´interessi della Chiesa e la salvezza delle anime: l´esercizio stesso dell´apostolato e dello zelo, la forma esterna delle virtù attuate, della divozione, della preghiera; i modi della mortificazione, la gaiezza nella convivenza sociale; sono cose di
Don Bosco, e proprie dei suoi insegnamenti o derivate da essi come naturale riflesso. L´unione con Dio, per esempio, che nei santi è uno
dei più essenziali fattori (altrimenti ragionando, può essere un pro¬dotto) della santità, è non tanto una pratica inculcata, quanto un pro¬dotto di tutto il sistema di educazione spirituale, che a Dio mira onni
namente ed esclusivamente. Lo stile della santità del Savio viene da Don Bosco.
L´armonia, di cui ho detto, tra queste due fonti si afferma anche nei momenti, ossia fatti determinanti del. corso della vita. Essi non sono
soltanto tocchi specialissimi della grazia attuale, come un gesto, un atto, una mozione di essa; ma sono favoriti e preparati dal clima am¬biente, e più, dall´opera del Maestro, e si svolgono nella sfera costruita da lui. Senza questa non avverrebbero. Lo abbiamo gíà traveduto al
primo momento, quello del giorno dell´Immacolata, e dobbiamo ve¬derlo nel secondo momento, che ha per Ia storia di questo giovane
santo un valore supremo, come quello che gli dà la coscienza della sua individua vocazione, ed esprime la parola antonomastica, che di¬viene la formola generatrice e attiva del suo lavoro di ascesa verso la
santità. E comprendiamo perché Don Bosco n´abbia fatto un capitolo apposito, come fondamento e ragione di tutto il susseguente dispie
garsi delle singole attuazioni delle virtù e secrete meraviglie del suo santo.
La genesi del fatto vuol ricercarsi in quel moto d´amore che si è
affermato nel momento della consacrazione a Gesù e a Maria, che ha quasi trasfigurata l´anima del giovanetto. L´amore di Gesù non può
mai essere stazionario, e il sintomo più sicuro del crescere in santità è nel sentir crescere in sè codesto amore (i). E se non è possibile seguire i modi misteriosi con che la grazia abituale e attuale agisce
sulle facoltà mentali, è vero che ad ogni anima spiritualmente aperta si rendono sensibili molti suoni, molte voci di Dio che altri non odono,
e sono come secrete profezie del Cielo (2). Ora le parole di Dio, quando
Egli stesso le dirige all´anima, sono sostanziali e creatrici: producono quel che esprimono, e Io producono perchè proferite (3).
(i) FABER, Prezioso Sangue, cit., pag. 40. -- Cfr. COLUMBA-MARMION, OP. cit., cap. cit.: Notre croissance en Jésus-Christ; passim, ossia generalmente.
(2) FABER, Il SS. Sacramento, cit., pag. 299. Id., Bettemme, cit., 229.
(3) FABER, Il piede della Croce, pag. 254.

L-4-> 15
O o o
Dopo quell´8 dicembre, nell´anima del Savio si era ingenerato uno stato d´animo che non può definirsi se non come di attesa e d´inter¬rogazione; e le voci di Dio trovavano aperto l´udito di essa, reso più sottile dal desiderio amoroso. Desiderio crescente, come ormai più forte si faceva sentire il fascino e l´attrazione del magnete delle anime, ch´è Gesù stesso nel suo Sacramento e nella inscindibile consocia¬zione della Maternità di Maria (i).
Che cosa aspettava, che cosa desiderava, che cosa, diremmo, an-dava cercando, quell´anima affascinata da Gesù e Maria? Aspettava una parola, quella che gli mancava per intendere le parole di Dio che lo chiamavano con insistenza sempre maggiore, e conoscere che cosa voleva il Signore da lui. La sua parola.
Non mi soffermo a spiegare come questo protendersi dell´anima
· verso una comprensione più intima e chiara dei desiderii di Dio, è già un avanzare in santità; giacché è per se stesso un desiderio amoroso che innalza e santifica col chiarore della prossimità di Dio. È il fatto dell´aspirazione espressa dal: Loquere, Domine, quia audit servus tuus (2). E la parola venne. Dío si serve delle occasioni, perchè no? comuni a molti, per gettare un suo raggio in un´anima a lui cara (3). Qui l´oc¬casione fu data da una predica di Don Bosco. Il fatto rimase, natu-ralmente, chiuso nell´intimità dei colloqui tra il Santo Maestro e il santo alunno, e i Processi quasi non parlano, o vagamente e solo di riflesso, ed un teste, Don Rua, sbaglia anche la data (4).
(1) Spiegheremo più oltre come il Savio, Santo della giovinezza, non è ela-borato al modo della maggior parte degli altri, che spesero in tale opera tutta una lunga vita: esso è un Santo elaborato dalla Comunione e dalla Vita Eucari¬stica. Quanto alla e consociazione » a cui accenno, cfr. FABER, SS. Sacramento,
cit., lib. II, Lez. IV, pag• 544-155-
(a) Gli studiosi di dottrine spirituali sanno che questo è quasi un assioma della scienza di perfezione. Rinuncio perciò ad ogni citazione di fonti: bisognerebbe dire: apud omnes.
(3) FABER, Creatore e Creatura, pag. 410: « Un testo della Scrittura preso a caso, udito nella chiesa o . fuori (io aggiungo: la parola di un predicatore) porta seco il tocco d´una potenza, e colla potenza un lampo di luce, e il Santo è fatto ». E più oltre: e ...l´opera è fatta, ed una sanità soprannaturale vibra nel nostro san¬gue, e noi tosto scaliamo un monte nella nostra via verso il cielo s. Per la realtà storica di tale idea, basta rievocare l´agiografia di S. Antonio abate e Francesco d´Assisi.
(4) Somm. Proc., tit. De Spe, pag. iRo: « Un impegno assunto in occasione che il giorno dei Santi (sic) udì una predica .suila facilità di farsi santi, ecc. — Il teste D. Barberis, pag. 199, dice soltanto: « L´impegno continuo di farsi Santo. e il tendere continuamente alla perfezione, indicavano in lui un amor di Dio straor¬dinario 0. Questo disse all´art. De caritate in Deum, ed è l´unico.

116
Questa fu a fin di marzo del 1855, secondo dice lo scrittore: « Erano sei mesi da che il Savio dimorava all´Oratorio (egli era entrato a fine d´ottobre), quando fu fatta ivi una predica sul modo facile di farsi santo... Quella predica per Domenico fu come una scintilla che gl´in¬fiammò il cuore d´amor di Dio ».
Per gli altri fu semplicemente un discorso edificante: nessun altro sentì in quelle parole un´espressa chiamata di Dio; nessuno n´ebbe quel tocco di potenza né vide quel lampo di luce che crea il Santo (1). E c´era pure un Michele Rua, del quale si sta ora trattando la Causa di beatificazione; c´era il Massaglia, che Don Bosco giudicò santo; ed altri ed altri vi erano, che respiravano il medesimo spirito e forma¬vano il clima santo dell´Oratorio. Per il Savio « fu la scintilla che gli infiammò il cuore di amor di Dio »: perchè, come diceva bene il teste al Processo, ciò « indicava in lui un amor di Dio straordinario » (2). L´amore aspettava, e cercava, e l´amore divampò.
Quella era la parola che aspettava, quella era la sua parola: Fusi
SANTO!
Salvare l´anima, farsi santo, essere santi, erano parole consuete a Don Bosco, e quasi un´espressione abbreviata del suo programma religioso e morale: le troviamo ad ogni passo nei suoi discorsi, e qual¬cuno di noi può ricordarsene. Ma in certi momenti esse prendevano un senso più profondo e un valore più alto: talvolta erano dette con tutto il calore concentrato d´un´ispirazione. Per non digredire inop¬portunamente, ometto di provarlo con citazioni, che sarebbero infi¬nite, perché continue, fino all´ultimo. Quella volta il farsi santo non fu solo una frase, fu il tema dell´intero discorso, e la cura ch´egli si dà di riferirne il contenuto nei suoi tre punti (anche predicando ai giovani Don Bosco non trascurava le buone osservanze dell´oratoria), dimo¬stra che quella era una predica pensata con le sue proprie idee e se¬condo le sue intenzioni. E veramente il tema risponde o, per dir me¬glio, esprime tutto lo spirito da cui procede la sua concezione della pedagogia spirituale e della stessa sua spiritualità.
Sono tre i pensieri ch´egli svolge: « è volontà di Dio che ci facciamo tutti santi: è assai facile il riuscirvi: è un gran premio preparato in cielo a chi si fa santo ». Il primo e il terzo punto sono di dottrina (3); ma il secondo è cosa sua, pensata da lui e materiata d´idee e riflessi
(i) Cfr. pag. prec., n. 3: citai_ dal Faber.
(a) Ibid., nota 4. — Test. Barberis.
(3) Per non eccedere in citazioni, rimando alle buone pagine del TANQUEREY, OP. Cit., n. 353-366: Dell´obbligo per i Cristiani di tendere alla perfezione. — Ma non voglio omettere le parole di Papa Pio XI, nell´Encicl. 26 gennaio 1923, so¬pra S. Francesco di Sales: e Nec vero grusguain putet ad paucos quosdam lectissintos

117
suoi proprii. Ed anche senza possederne il testo, possiamo conoscere in che senso abbia svolto quella sentenza.
È facile farsi santi. Leggete il. Giovane Provveduto (uscito nel 1847 e giunto in quell´anno alla 3a edizione), e riconoscerete subito, nella prima pagina della Prefazione, l´idea: « Io voglio insegnarvi un me¬todo di vita cristiana che sia nel tempo stesso allegro e contento, addi¬tandovi quali siano i veri divertimenti e i veri piaceri; sicchè voi pos¬siate dire col santo Profeta Davidde: Serviamo il Signore in santa allegria: Servite Domino in laetitia. Tale appunto è lo scopo di questo libretto: Servire al Signore e stare allegri! »,
Che questo sia stato il tenore delle sue parole, ce lo dice il Savio stesso nello spiegare a Don Bosco come sia venuto nella deliberazione di farsi santo, e ancora egli medesimo, quando, incontrandosi col Gavio (capo XVIII), gli dice: « Sappi che noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri... Comincia fin d´oggi a scriverti per ricordo: Servite Domino in laetitia: serviamo il Signore in santa alle¬gria ». E la spiegazione ch´egli ne dà in brevi parole, coincide col senso adombrato nella Prefazione e svolto nel testo del Giovane Provveduto,
o o
Ch´è appunto lo spirito di Don Bosco. Il santo Maestro non è un facilone o un minimista, e quando mostra facili le vie della santità, pei giovani e per tutti, non intende alla faciloneria e alla falsa disin¬voltura, ma soltanto ad escludere la melanconia, l´umbratilità (la pa¬rola mi viene da PP. Pio XI), le astruserie, nonchè le forme intempe¬ranti ed eccentriche o eccezionali della divoZione malintesa. N´è prova l´ultimo capoverso del capitolo che leggiamo. Il suo è lo spirito di San Francesco di Sales e di San Filippo Neri (i). « La vita spirituale, ch´è via di santità, non consiste tanto in una quantità di cerimonie e cre¬denze ed esercizi singolari, quanto nell´elevare all´ordine soprannatu¬rale la nostra vita comune (quella che Dio ci ha assegnata): in una pa¬rola, non consiste tanto in certe cose, quanto nel modo di fare ogni cosa » (2). E questo, cioè, per amor di Dio, servendo Gesù da amante, giacché il valore delle azioni dipende dal nostro grado d´unione con
id persistere, ceterisgue in quodanz inferiori zirtutis gradu licere consistere. Tenentur enim hac leve omnes, nullo excepto >).
(I) FARM, Tutto per Gesù, pag. 346: e Qualcuno che voleva farsi santo, si
sognò che il Padre Filippo lo trascinasse per aspri rovi e pungenti spine E
il Santo gl´insegnò ad amar Dio...
(a) FABER, Progressi, vit., pag. 281-
14 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.

118
Dio, che dall´amore scaturisce (i). È la forni. ola, se si può dire, essen¬ziale della salesianità, ossia di Don Bosco, ed è, adunque, la facilità
di farsi santi senza straniarsi dalla vita.
Concetto, questo della facilità, che domina tutto il pensiero di S. Francesco di Sales (a), e riappare quasi ad ogni pagina degli otto volumi del carissimo Faber, nel senso appunto che intendeva darvi
Don Bosco. E dal Santo di Sales fino al Nostro, sempre con un at¬teggiamento di antitesi contro gl´indirizzi rigoristici ed irreali, e pur
troppo inefficaci, di certe correnti che non mettono a primo fonda¬mento l´amor di Dio e il lavoro personale operato per esso. Certa¬mente la facilità di farsi santi non fa della santità un´impresa volgare, che non tutti son capaci di ascenderne le vette e giungere ai culmini, quando si pensi che a ciò è necessario un amore di Dio per vero non ordinario, e d´altra parte, anzi in precedenza, una specifica vocazione della grazia divina. La facilità consiste, ripetiamolo pure, nei mezzi
pratici, che sono alla portata di tutti, e cioè non straordinari e non difficili per una volontà ben disposta.
È quel senso della misura che contrassegna la forma di santità per¬sonale e la pedagogia spirituale di Don Bosco, ispirato dalla umiltà e
carità o, ch´è lo stesso, dall´amore. Lo insegna, si noti, Francesco Ore-stano (a).
E qui è bene intendersi sul significato del termine di santo, che forma il nostro tema, e diviene, d´ora in poi, per il Savio, l´espressione acuta-e mordente d´un indefettibile dovere ch´egli sente d´avere vers.) Dio. Ciascuno dovrebbe aspirare alla perfezione, ed essere santo, nel senso che intendono le sacre pagine; nessuno può legittimamente aspi¬rare a ciò ch´è tecnicamente la via dei Santi, e meno ancora ha l´ob¬bligo di farlo. E lasciamo in disparte la questione se la via dei Santi
debba o no passare per la via mistica: se anche non è indispensabile (per esempio S. Vincenzo de´ Paoli non ne ha dato segno evidente),
nel fatto non vi è santo canonizzato in cui non vi fosse qualche parte
di quella: ce n´è in Don Bosco, e ce n´è, come vedremo, perfino ad e.3u-beranza, nel nostro piccolo santo (4). Che per le vie della vita inte
(1) De Christi, I, xv, — Cfr. anche FABER, Tutto per Gesù, pag. 96;
Betlemme, pag. 15o, — Cfr. sopra, pag. ior.
(2) Per me, almeno stando alr Introduction à la vie dévote, è la scoperta spiri¬tuale del Santo Dottore. Almeno una delle scoperte, che n´ha parecchie.
(3) ORESTANO, Disc. cit.; pag. 18: e L´umiltà e la carità gli fecero trovare il giusto livello nelle sue relazioni con Dio e con gli uomini, ecc. n. Pag. 22: e Fin nell´istituzione religiosa, pur nella pratica frequente della Confessione e del culto Eucaristico, l´amore gli fe´ trovare la misura n.
(4) Per la dottrina, cfr. FABER, Creatore e Creatura, cit., pag. 35o.

1 rig
gralmente cristiana, quale s´intende con la parola usata da Don Bosco, si possa pervenire alla formale santità, nessun dubbio; giacché questa suppone quella, e la differenza è tutta nel grado: questo poi dipende dalla grazia, e qui sta precisamente il mistero di Dio nei suoi santi (i).
Mirare dunque a farsi santi e potervi riuscire con facilità è il di¬scorso di Don Bosco: voler esser santo, come furono i Santi, è l´idea che finalmente appare ben definita all´anima del. Savio, e gli si radica a fondo, germogliando nel fiore della santità. Volendo tradurre in parole povere, il caro santino non si contenta di riuscire un buono e bravo fanciullo, ma vuole il di più, vuole la perfezione e l´adempi¬mento dei suoi doveri d´amore verso Dio: non solo una vita santa, ma una vita da santo. Ed è appunto la definizione che Don Bosco stesso dà della vita del Savio nell´ultimo capoverso del capitolo!
C e, fl
Così intendiamo i fatti. Il discorso di Don Bosco lo ha trovato nel fondo dell´anima, ed egli « per qualche giorno non disse nulla, ma era meno allegro del solito, sicchè se n´accorsero i compagni, e me n´accorsi anch´io a. Ma non era turbamento. il desiderio indefi¬nito che gli vibrava nell´anima ora gli si precisava luminosamente, e diveniva un bisogno e una volontà, ravvalorandosi con la sicurezza della via a lui dischiusa nella stessa sua lieta giovinezza, senza compri¬merla o alterarla; e andava meditando come attuare quella parola, ossia quel bisogno e quella volontà trarnrnezzo a codesta vita e, se non lo vedeva, presentiva che qualcuno, Don Bosco, glielo avrebbe insegnato. E, tutt´altro che triste, stava raccolto e concentrato nella sua gioia, senza quasi accorgersi del moria() circostante. Non c´era la consueta allegria compagnesca: c´era la gioia interiore. Don Bosco non sapeva spiegarsi quel contegno, perchè a nessun altro quelle sue parole avevano suscitato alcuna commozione. « Giudicando che ciò provenisse da novello incomodo di sanità, gli chiesi se patisse qualche male a. « Anzi, mi rispose, patisco qualche bene a.
Questa risposta, perfino spiritosa, dimostra che l´animo era se¬reno e lieto. E viene la spiegazione. È la definizione netta, precisa, maturata in quei giorni, della sua vocazione ormai sicuramente cono¬sciuta e fatta risoluzione indeclinabile: a Voglio dire che mi sento
(i) Naturalmente non escludo il concorso dei doni gratuiti, nè la vita mi¬stica: ma tanto quelli quanto questa (quand´è vita con Dio, non fenomeno psi¬cologico) suppongono, a lume di buona teologia, una vita santa, ed anche una vita da Santo. Nè poi è detto che tutti coloro che furono santi, siano canonizzati.

120
un desiderio e un bisogno di ´farmi santo: io non pensava di potermi far santo con tanta facilità; ma ora che ho capito potersi ciò effettuare anche stando allegro, io voglio assolutamente, ed ho assolutamente bi¬sogno di farmi santo. Mi dica adunque come debbo regolarmi per incominciare tate impresa ».
Non gli si può togliere nè mutare una parola. Quei due assoluta¬mente vengono da una chiarezza e forza di convinzione, che nessuna altra parola riuscirebbe a scuotere o ad attenuare. E nella sua fiducia domanda a Don Bosco che, senz´altro, gl´insegni come si fa: quasi come dovesse imparare da un esperto un nuovo qualsiasi lavoro.
Un tal parlare, in un ragazzo di giusti tredici anni, od è un´allu¬cinazione d´incosciente od è un prodigio. Altri, che non fosse Don Bosco; avrebbe o data una crollata di spalle, o, ridendo di compas¬sione, avrebbe detto al ragazzo che quella non era roba fatta per lui. Cosi appunto accadde, tant´anni dopo, alla Teresa di Lisieux, quando ebbe detto a quel predicatore d´esercizi: « Padre, vorrei. diventare una santa: vorrei amare Iddio quanto e anche più di S. Teresa! ». N´ebbe una risposta acre e sprezzante, e il monito a moderare i suoi desiderii intemperanti. E non le valse ricordare le parole del Vangelo: Estote perfecti sicut et Pater vester caelestis perfectus est (i).
Don Bosco invece era partito proprio da questo punto nel fare la sua predica, e, per altra parte, conosceva• a fondo « i lavori della grazia divina » nell´anima del suo discepolo, di cui già annotava gli atti sin¬golari di virtù. Egli credeva alla santità giovanile, e ripetutamente n´aveva avute prove evidenti dalle manifestazioni soprannaturali di qualcuno dei suoi figliuoli, come in seguito, fino agli ultimi anni, atte¬stava di avere tra i suoi giovani qualcuno capace di doni straordinari e perfino di miracoli (z).
La posatezza del suo racconto ci dimostra ch´egli in quel punto, più che intuire, sentì ch´era passata nel suo piccolo santo la mano di Dio: non contraddisse, e come avrebbe potuto ? ma lodò il proposito, come se fosse una buona risoluzione presa alla predica fatta per tutti (3),
(i) PzrrroT, op. cif., pag. 14. — Del resto la grande Autrice delle Vie d´in¬fanzia non ebbe, in tutto il tempo della sua vita religiosa, la sorte di trovare un Direttore che la capisse. Quando ne incontrò uno, le venne proibito di tornare da lui. (fbid., pag. 148-149).
(2) Nelle Meni. Biogr., sovente, quasi in ogni volume. Nel Processo del Savio,
cfr. Somm.; Cagliero, pag. 31s, e a. Cfr. sopra, pag. 71. Ancora più tardi,
fatti straordinari tra giovani sono riferiti: cfr. Mem. Biogr., X (r871-74), pag_ 38-40.
(3) Quei che hanno trattato con Don Bosco sanno a prova l´arte squisita delle sue risposte e dei suo dialogare. Quando accettava ciò che gli era detto, e non credeva d´insistervi, continuava con un: u Ben L. Guarda, fa´ così... e. Foise col Savio parlò in queste maniera.

´-+, 121
e, avvertendo che nella voce del piccolo Savio tremava la commozione, e si faceva sentire l´ansia del cominciare, col tono più tranquillante 15 esortò « a non inquietarsi, perchè nelle commozioni dell´animo non si conosce la voce del Signore »; e subito soggiungeva, come appunto era lo stile della santità ch´egli insegnava (e ch´era già così ben pene¬trato nel suo discepolo), ch´egli voleva da lui « per prima cosa una costante e moderata allegria ». E poi il programma pratico: essere perseverante nell´adempimento de´ suoi doveri di pietà e di studio »; e la raccomandazione « che non mancasse di prender parte alla ri¬creazione coi suoi compagni ».
o o O
La sapienza psicologicae pedagogica di Don Bosco qui rifulge del più vivo splendore. Che cosa sarebbe avvenuto di quel primo santo fervore se il Maestro l´avesse o stornato o gettato in un prematuro ascetismo, che lo straniasse dalla vita e Io affogasse in chissà quali osservanze divote e solitarie ? La tenera pianta si sarebbe presto intri¬stita, e si guastava il carattere, senza speranza di ritorno (i). L´isola¬mento morale, la divozione contrastata dal dovere, l´intemperanza dei desiderii, la pretesa di riuscir subito, sono fattori di malinconia e di tristezza: e che cosa vi è di più deprecabile nella vita spirituale che la malinconia? S. Teresa non temeva di peggio per le sue figlie spiri¬tuali (z). E se questo è vero per le anime adulte, quanto più per un´anima fanciulla?
Il Santo pedagogo non contrasta a quella che sente essere una chiamata di Dio, e l´asseconda e coltiva, aiutandola ad effettuarsi; ma la volge all´unica via che sicuramente la porta al suo adempimento: Ia via della santità vissuta nella vita reale e per mezzo di essa (3).
È un punto vivo e primario della salesianità spirituale, così com´è il principio primo dell´ascetica di S. Francesco di Sales e della Via delle piccole anime della Santa di Lisieux (4). Codesta visione della
(t) Vedremo a suo luogo la dottrina del Faber sull´indirizzo della spiritualità. Ma non vi è trattato del dotto Teologo in cui non torni su questo disastroso malanno della divozione esagerata e malinconica. Don Bosco si mostra di questo retto spirito nei vari passi citati e nell´indirizzo dominante della Vita del Savio.
(a) Vi ricorre perfino il foLv, op. cit., pag. 187. — Vi torneremo sopra in altra parte di questo studio.
(3) fi il carattere della dottrina di S. Francesco di Sales. Eppure, osserva il PETITOT, pag. 53, e generalmente il FAISETt, si danno certi direttori di anime che. frustrano le autentiche chiamate di Dio con l´irreaItà della vita che insegnano. La deplorazione è in tutti i più sodi maestri di spirito, compreso S. Giovanni della Croce.
(4) PETITOT, Cit., pag. 75.

122
santità è per Don Bosco immedesimata con la visione lieta della vita. Stando allegri è la parola che muove il Savio, il quale dirà un giorno: « Noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri ». NeI fanciullo, nel giovane, la gioia è tutto: il bimbo di cattivo umore fa i capricci, e il giovane intristito sta di mala voglia in tutto. Nel mondo spirituale avviene lo stesso. Può dirsi che la contentezza è l´indole propria della santità: la tristezza (ecco S. Teresa!) è una specie di inabilità spirituale, e un uomo melanconico non può mai essere che un convalescente nella casa di Dio. La gioia è la freschezza del nostro spirito, è il mattino incessante della nostra anima, un´aurora abituale, dalla quale nascono culto di Dio e virtù eroiche (I). Perciò Don Bosco l´ha voluta ne´ suoi, e primamente nei giovani. Essa è l´anima del suo sistema educativo, com´è la condizionante della sua spiritua¬lità, ch´è a sua volta la ragione intima della sua pedagogia, come al¬trove ho dimostrato (a).
Dei due modi di guardare il mondo: quello molto fosco dei clau¬strali del Medio Evo e, diciamolo, di S. Bernardo (3), e quello, lieto e sereno, che ha il suo tipo in S. Francesco di Sales, il Santo dei giovani, che ha santificato la gioia di vivere (4), ha tenuto il secondo, come una base migliore per la perfezione della vita nel mondo e nel lavoro. Esso esclude la tristezza, pur deplorando il male che regna intorno, e guardandosene: e se è vero che le due visioni non debbono escludersi a vicenda, è pur vero che il tono lieto coi vantaggi spiri¬tuali della gioia deve dominare tutto il quadro (5). Con tal senti¬mento di giocondità interiore Don Bosco portava la gioia e la serenità dappertutto, e la voleva come mezzo spirituale e come indice del buono stato dell´anima nei suoi giovanetti (6): la gioia della santità, ch´è nelle anime sante, doveva risplendere negli occhi dei suoi figli¬uoli, e vedremo, in altra parte, che nel Savio, come in lui stesso, il raggio lieto della bontà era un mezzo potente di apostolato.
(i) FABER, Betlemme, pag. 196. Qui, come altrove, non sto a distinguere il mio e il suo: mi basta Ia medesimezza delle idee tra il grande Oratoriano e Don Bosco. Per S. Francesco di Sales, cfr. Introduction à la Vie Dévote, p. IV, cap. xu: De la Tristesse. Id. Lett. spir., 73, 39.
(a) La vita di Francesco Besucco scritta da Don Bosco e il suo contenuto spi¬rituale. È l´assunto di quello studio.
(3) « Un funerale in giorno piovoso in un desolato cimitero » chiama il Fa¬ber questo modo di vedere il mondo. Cfr. Creatore e Creatura, cit., pag. 375.
(4) ORESTANO, Disc. cit.
(5) Cfr. per questa dottrina: FABEEt, Creatore e Creatura, pag. 375-379.
(6) Così al Besucco, nel fissargli il programma (qui il termine è suo) indicava per prima cosa l´allegria. E tutti sanno che la prima domanda che faceva ai suoi giovanetti, era: o Sei allegro ? e. E se vedeva qualcuno immalinconito e scuro, du¬

123
0 0 0
Cosi si era avverato quel secondo momento, che diede al santo giovanetto l´idea unica per la quale visse il resto della vita. Vivere per un´idea e, come ora si dice, vivere un´idea: e l´uno e l´altro concetto si addicono pienamente al Savio. Egli n´è tanto penetrato, che, per del tempo parecchio, con Don Bosco non parla d´altro, e insiste, quasi dubitando di non essere stato compreso. Quando, poco tempo dopo, il buon Padre gli dice « di volergli fare un regalo di suo gusto, ma volere che la scelta fosse fatta da lui », egli risponde prontamente: « Il regalo che domando è che mi faccia santo. Io mi voglio dare tutto al Signore, per sempre al Signore. Sento un bisogno di farmi santo, e se non mi fo santo, io fo niente. Iddio mi vuole santo, ed io debbi farmi tale» (i).
Non è solo il bisogno imperioso; c´è l´Iddio vuole. Come avrà rico¬nosciuta la voce di Dio? I Santi, come ho detto sopra, odono voci e suoni che gli altri non percepiscono, e Dio parla alle anime nel si¬lenzio, ma parla chiaro. Quando altre volte Don Bosco domanderà al suo figliuolo come ha saputo qualcosa, egli abbasserà la testa, pian¬gendo, e tacerà: e Don Bosco avrà inteso. Ma la sua domanda è riso¬luta e rimarrà immutata: domando che mi faccia Santo. E la ragione è che, senza quello, la sua esistenza non ha scopo: « se non mi faccio santo, non fo niente ». Don Bosco non parla della sua risposta. Se la sarà scritta negli appunti, e messa nel cuore (z).
Dal marzo al San Giovanni il tema e il tono son quelli. Per l´ono¬mastico suo (3) il Padre, volendo dare un segno di speciale affetto ai suoi figliuoli, fa loro facoltà di chiedere con un biglietto qualunque cosa fosse a lui possibile, promettendo di concederla. Ed ecco il ce¬lebre biglietto del Savio: Dimando che mi salvi l´anima e mi faccia santo.
È l´altra parola antonomastica della sua santità, che sta insieme-con
bitava che il cielo di quell´anima non fosse limpido e chiaro. — Per le mie as¬serzioni, cfr. FABER, Betlemme, 383; Creatore e Creatura, pag. 300.
(i) Certamente egli non pensa a diventare un Santo da mettere sugli altari: pensa a divenire santo come quelli. La distinzione non è superflua, come sanno i buoni Maestri di spirito. Cfr. sopra, pag.
(2) Questa è anche, senza pretese, una pagina d´arte. Le psicologie della let¬teratura romanzesca non hanno, perchè la fallacia morale non glielo consente, una pagina così solida e possente nella sua evangelica semplicità.
(3) Mem. Biogr., V, 256: z4 giugno 1855. È noto che il nome di battesimo di Don Bosco era quello dell´Evangelista: ma i suoi figliuoli cominciarono a fe¬steggiarlo (cfr. vol. III, 534; a. 1849) alla solennità del Battista, e tale rimase l´usanza. — Le ediz, za r _hanno soltanto: Domando che ad faccia Santo.

124 `4>
la prima: La morte ma non peccati. L´una e l´altra, •a guardarvi in fondo, valgono spiritualmente lo stesso: l´una e l´altra sono, come si dice, dinamiche, come quelle che generano ed animano la santità di lui. Ma se quella sta alla radice, questa è la pianta germogliata e fruttifera;
ed è questa la parola che impelle ed accompagna l´ascesa verso le vette più sublimi.
Ancora altra volta, giocando sull´etimologia del nome Domenico, che vuoi dire, gli si risponde, del Signore, ancora riprende il suo tema: « Veda se non ho ragione di chiederle che mi faccia santo; perfino il nome dice che io sono del Signore (i). Dunque io debbo e voglio
essere tutto del Signore, e voglio farmi santo, e sarò infelice finchè non sarò santo!» (a).
Caro fanciullo e simpatico Santo! Infelice non sarai, perchè alla felicità, alla gioia della santità Don Bosco ti viene guidando. Tu non te n´avvedi, ed insisti a domandarlo; ma la mano di lui, santamente dotta nelle cose di Dio, ti conduce per la via dei Santi, e tu stesso andrai giocondandoti inconsapevolmente di quello ch´è nel tuo cuore
il lavoro di Dio e il cammino che Don Bosco ti fa seguire. La gioia nel tuo cuore non mancherà mai.
Quell´effervescenza di fervore, suscitata dal nuovo momento del¬l´anima, Don Bosco la chiama smania, e forse il termine parrà, più che improprio, stonato. Ma è un fatto che nei giovani il primo accen¬dersi di un nuovo fervore ha sovente l´aspetto d´uno zelo indiscreto, benchè sia incontestabile il loro alto sentire, e vi si avverta la dolce potenza di Dio che ha santificata l´anima, toccandola (3). -E qui tut¬tavia non si tratta dei primi sentimenti d´un convertito o poco ´più: sibbene di un accrescimento di luce e di grazia in un´anima santa. Lasciamo la parola, e teniamoci al concetto. Quello stato d´animo è fervore, lo stato dei santi sulla terra. Don Bosco, senza darvi il nome, ed anzi usando un termine meno felice, lo riconosce, con una di quelle espressioni che paiono messe là di passaggio, e che riescono ad una
(i) DANTE, per S. Domenico, Par. XII, 67-7o:
E perchè fosse, qual era, in costrutto, Quinri si mosse spirito a nomarla dal .possessivo di cui era tutto. Domenica fu detto;...
(a) Don Francesia colloca l´episodio in una delle consuete conversazioni del dopo pranzo o dopo cena, che Don Bosco teneva, stando a tavola, coi suoi gio¬vani che venivano finalmente attorno a lui: un´usanza che durò abbastanza a lungo, almeno coi primi Salesiani. Cfr. S´omm. Proc., pag. 121. — Ma io dubito di quella circostanza, perchè Ie parole del Savio non sono di quelle che si dicono forte.
(3) FABER, Progressi, cap. XXVI: Il fervore, pag. 4.22.

125
definizione formale: « La smania che egli dimostrava di volersi far santo non derivava dal non tenere una vita veramente da santo ».
Qtiello che, come si è detto più sopra (t), il giovanetto ora voleva, già si avverava, senza ch´egli lo credesse: viveva da santo. La cara im¬pazienza del giovane veniva dalla premura di apprendere l´arte di quel lavoro con che i santi si son fatti santi, ed è ciò che domanda a Don Bosco. Ed è anche questo un indice del suo buon criterio ed equilibrio: sentire il bisogno d´essere ammaestrato e diretto. Della direzione abbisognano tutti-per avanzare senza sviarsi nel campo della vita spirituale, e i perfetti non meno degli altri (a). Vi son volumi scritti su questo proposito, e non v´è trattato d´ascetica che non vi de-dichi una delle parti principali.
Il piccolo santo s´immaginava, nella sua naturalissima inespe¬rienza, che per essere santi bisognasse fare tutto quello che i libri dicono aver praticato i santi. È l´idea comune, che risponde a molta parte della storia agiografica, ma non contiene (e i panegiristi per lo più trascurano d´insegnarlo) quello ch´è lo spirito vitale della santità e -di ogni Santo.
o o o
Don Bosco non intende paralizzare gli slanci di quell´anima: pensa ad avviarli per la via più propria e più adatta al suo discepolo, ed in¬segna a lui _quello che insegnerà a tutti, e che forma la sua concezione spirituale. Essa è strettamente affine alla concezione della Teresa dí Lisieux: dalla quale concezione il Papa che la proclamò Santa si at¬tendeva « una riforma della società umana» e « una rinnovazione della vita cattolica-» (3). E fu il medesimo Papa a vedere nel tipo spi¬rituale formato da Don Bosco in Savio Domenico l´esemplare di quella vita d´azione cattolica della quale abbisogna la Chiesa. Non c´è sforzo a vedere cotali affinità: è lo spirito moderno della spiritua¬lità che si esprime nei Santi, e la Chiesa inculca per il bene delle anime e la rinascita spirituale del mondo. Ora lo spirito della Maestra delle Vie d´infanzia è contrassegnato dall´assenza d´ogni ascesi vio
(i) Cfr. sopra, pag. 119.
(2) FABER, Progressi, cit., cap. XVIII, pag. 278-304. — Per questa asserzione, cfr. pag. 291-292. La cara Teresa di Lisieux non ebbe la sorte d´incontrare mai un direttore che la intendesse, e avanzò da sola, come Caterina da Genova e po¬chissimi altri Santi. Ma a tali eccezioni fanno riscontro quasi tutti gli altri Santi. Pensiamo alla S. Teresa di Avila, alla Santa di Chantal: così come il Savio e Don Rua furono diretti da Don Bosco, e Don Bosco dal B. Cafasso.
(1) PETITOT, ob. cit., Prefaz., pag. it. E cfr. anche il discorso di Papa Pio XI, 9 luglio 1933, per Savio Domenico.

126
lenta, di mortificazioni eccezionali o supererogatorie, e da una spic¬cata diffidenza verso tutto ciò che io chiamerei lo stile dei virtuosi, quale insegnano troppi libri in cui la perfezione è mostrata attraverso mille impacci onerosi e non possibili che a pochissimi, quand´anche non n´è dubbia l´efficacia. È uno spirito di semplificazione (i), che rende la santità accessibile ad ogni anima, e la fa consistere, com´è di fatto, nell´unione con Dio e nell´amore con cui compiamo le nostre azioni comuni: dove la mortificazione sta soprattutto nell´accetta¬zione delle minime contingenze contrarie al proprio senso (2), e nella fedeltà, che può divenire eroica, ai proprii doveri: la pratica della divo-zione e della preghiera, quella possibile a ciascuna condizione di vita, ma divenuta parola dell´unione con Dio; semplificazione ch´è nella sua essenza l´antitesi del virtuosismo (3). Anche la cara Carmelitana, come il Savio, avrebbe dapprincipio voluto imitare i Padri del deserto; ma lo Spirito Santo che la guidava le chiuse questa via laterale, che non era quella per cui era chiamata (4).
Il piccolo Santo, a ritrarlo da un errore generoso, trovò Don Bosco, del quale si valse lo Spirito Santo. Lo spirito di Don Bosco è quello di Lisieux, di S. Francesco di Sales e del mio caro Faber, salesiano con lui e con il Santo Dottore: le citazioni sarebbero infinite, giacché nelle opere di tali Maestri questo è il pensiero dominante, ed anzi la concezione vitale.
Anche Don Bosco è un semplificatore realista, e il suo stile spiri¬tuale è per eccellenza estraneo e avverso ad ogni eccezionalità e ad ogni appariscente e ingannevole virtuosismo devoto e ascetico (5). Nel considerare gli aspetti particolari della santità del Savio e della corrispondente pedagogia del Santo Maestro, ne vedremo le prove.
Ma qui, sul bel principio, noi vediamo che agli slanci generosi del suo discepolo, che vorrebbe uscir dalle vie comuni e ricercare l´eccel¬lenza nelle cose straordinarie, egli oppone i dettami della discrezione, e gli proibisce tutte quelle cose è perchè non compatibili con la sua età e sanità, e colle sue occupazioni » (6).
(i) FABER, Creatore e Creatura, pag. 104.
(2) S. Francesco di Sales, per sè e per le anime che diresse, si attenne ti¬picamente alla mortificazione della propria volontà e, nel resto, all´accettazione della volontà di Dio. — Cfr. FABER, Tutto per Gesù, pag. 85.
(3) La dottrina della Santa di Lisieux è in PETITOT, op. cit., sparsamente esposta: cfr. pag. 23-24; 25-2,6; 53; 71-72; 73; 75; 163.
(4) PETITOT, cit., pag. 163.
(5) Anche in questo, Don Bosco si accosta a S. Filippo Neri. (Cfr. sopra, pag. 117, nota i.). Cfr. Faber, Tutto per Gesù, pag. 346.
(6) Singolare coincidenza con la Santa di Lisieux. La quale diceva alla sua sorella maggiore, Madre Agnese: « Il demonio inganna spesso certe anime generose

127

o o o
Con questa prima svolta s´incammina .per Ia sua via la santità del Savio. Lo diremo adunque fabbricato da Don Bosco a sua idea, impo¬nendogli la formola spirituale (i), e modellandolo in uno stampo pre¬concetto, come materia plastica dal formatore?
No, assolutamente: e il vedere altrimenti, vedere il contrario, .ci riserba una cara meraviglia.
La santità del Savio. ha potuto essere educata e coltivata secondo lo spirito del Santo Pedagogo, perchè essa medesima possedeva già nel suo essere le attitudini, le inclinazioni e quasi gl´istinti (il Faber li chiama così) che rispondevano ai lineamenti di quello spirito (2). Le due anime, quella del discepolo e quella del Maestro, si vennero in¬contro, trovando, nell´attuare quella scuola, l´una l´esito naturale delle proprie tendenze, l´altra la temperie espressamente creata per effettuarla. Don Bosco era fatto pel Savio, perchè il Savio era fatto per Don Bosco (3).
Osserviamo. I lavori della grazia di Dio hanno fatto germinare nel¬l´anima del Savio gl´istinti specifici dei Santi, e l´hanno preparato ad essere quel che sono i Santi. Noi vi abbiamo già letto l´obbedienza cosciente ai Comandamenti di Dio e della Chiesa, e perfino l´eroismo del dovere; vi scorgiamo gl´istinti energici e affettuosi, che toccano l´eroico, per quanto riguarda il Signore, la sua gloria, glinteressi, diremmo, di Gesù, la salvezza delle anime (basterebbe per tutti il fatto eroico della rissa acquietata): Don Bosco ci dice fin d´ora d´un amore intenso ai patimenti e alle austerità ch´esso dovrà moderare; cosi com´è innegabile fin dagl´inizi uno stato di preghiera assai pros¬simo al soprannaturale, e che si svolge in breve tempo in soprannatu¬rale autentico e in istati mistici. Non dico dei favori speciali e dei doni
ma imprudenti, spingendole ad eccessi che nuocciono alla loro sanità, e le impe¬discono di adempiere ai loro doveri ». Cfr. PErrror, cit., pag. 24. — Id., pag. 23.
(i) Non è qui iI luogo da ricordare il principio capitale che la saggia dire¬zione deve rispettare la libertà di spirito, e non impone la formola, forzando le innate tendenze dell´anima. Con che si educano non dei Santi, ma dei poveri abulici o ammalati spirituali. — Ne discorro più ampiamente nello studio sul. Be-succo.
(2) La recettività è in proporzione della omogeneità: e se, come stato passivo, è effetto d´un´azione causativa, non è escluso che anche l´effetto sia un´attività, perchè ogni effetto è un fatto, e ogni fatto è attivo. Così dicono le psicologie moderne. Più alla buona, la pianta attecchisce dove il terreno è fatto per essa, e, salvo l´erbe cattive, non ogni pianta attecchisce dappertutto. Il luogo proprio!
(3) Non è il fatto della Chantal e di S. Francesco di Sales ?

I28 `4"•-
straordinarii, che si riveleranno dappoi (i). L´attrazione, il fascino di Gesù sull´anima, che noi già conosciamo nel santo fanciullo, lo porta istintivamente verso il Gesù del Sacramento, così come alla insepa¬rabile divozione a Maria, sicché l´una divozione, che diventa dedi¬zione, s´immedesima con l´altra, e quasi non si riesce a distinguerle, nonché a separarle.
Che se entriamo a vedere quali siano quegl´interessi di Gesù, che sente per istinto l´anima d´un Santo, e sono: la gloria di Dio Padre, il frutto della Passione, ossia l´adempimento della Redenzione, l´onore e Ia gloria di Maria, la stima della grazia (2): noi li rinveniamo conna¬turati con l´anima del nostro fanciullo: il quale, fin quasi da bimbo, si scrive: La morte ma non peccati, e si consacra a Gesù e a Maria: più innanzi difende l´onore di Dio dall´offesa con atti eroici, e vuol dedicarsi al sacerdozio per salvare delle anime.
Orbene, quali furono gl´indirizzi che Don Bosco diede a quell´a¬nima, se non questi appunto, che -corrispondono agli elementi che stavano riposti, ed ora si venivano manifestando, a cominciare da quel¬l´istinto imperioso, che diventa bisogno, di guadagnare anime al suo Dio, fino alla dedizione completa dello spirito all´amore del SS. Sa¬cramento e di Maria?
La nostra esposizione farà vedere che, ad una ad una, le conce¬zioni spirituali (e perciò anche pedagogiche) di Don Bosco trovano nel Savio già preparato lo spirito ad effettuarle, e che la fisionomia di Santo che se ne viene improntando, è formata dai lineamenti che il Santo plasmatore di anime vi disegna, traendoli dalla vita propria deI suo figlio nello spirito. Nel fatto nostro le concezioni del Maestro sono anche le attuazioni e i lineamenti della sua stessa personale santità; e l´efficacia penetrativa e assimilatrice è di tanto più possente, perché vi ha parte un esempio e un potere in cui si sente la mano di Dio. E che il figlio somigli al Padre è la felice riuscita nel mondo della natura e in quella dello spirito.
(i) Cfr. per la dottrina qui seguita, FABER, Tutto per Gesù, pag. 85-93: pag. 344 e seg. — Le attuazioni ivi enumerate dallo scrittore Filippino corrispondono sin¬golarmente alla realtà della storia del Savio e di Don Bosco.
(2) FABER, op. cit., pag. 69-78.

CAPITOLO TI
Vocazione di santo:. l´apostolato.
« ...piccolo, ma grande apostolo s.
(PP. Pio XI).
. A questo punto la tesi che mi son proposta col presente studio, si ravvalora, quasi d´una forza probativa, d´un´autorità che più alta non può essere: quella del Vicario di Cristo, PP. Pio XI. Il discorso, più volte citato, intorno alle virtù del Ven. Savio Domenico (i) è appunto inspirato a questo concetto, che in Savio Domenico ritorna Don Bosco, « e proprio così come il suo piccolo discepolo ce l´ha ripre¬sentato nella sua breve esistenza ». E poiché in Don Bosco « tutta la vita, tutta l´opera sua fu sempre un apostolato,... e di spirito dell´apo¬stolato pervase tutta quanta la sua esistenza, già permeata dallo spirito che si esprimeva concisamente e completamente... in quella che fu la sua vera parola d´ordine: Da mihi animar, cetera tolte »: veniva spon¬taneo, e perciò fu voluto, l´assimilare in questa visione del Maestro anche quella del piccolo ma grande discepolo di lui, che, se nelle sue virtù appare « piccolo... anzi grande gigante dello spirito », « piccolo e grande cristiano », si rivela perciò anch´esso « piccolo ma grande apostolo », come quello che rivela « a quindici anni una vera e propria perfezione di vita cristiana, e con quelle caratteristiche che bisognano ai nostri giorni,... perché è una vita cristiana, una perfezione di vita cristiana sostanzialmente fatta, si può ben dire, per ridurla alle sue linee caratteristiche, di purezza, di pietà, di apostolato: di spirito e di opere di apostolato ».
C´è di più, anzi, e torna felicemente al nostro proposito. Codesto spirito attivo di apostolato appare, nelle parole del Sommo Pontefice, come il prodotto e l´esito di tutta la somma di lavoro compiuto nella santità dal nostro giovanetto; e questo riesce ad « una preparazione
(i) _Disc. 9 luglio 1933, per la definizione del Grado eroico delle virtù del S. d. D.

130
soprannaturalmente naturale » di quello che non è in sostanza se non « quella naturale tendenza del bene a diffondersi, a comunicare il più largamente possibile i proprii benefici, specialmente là dove n´è più visibile il bisogno e la privazione: tendenza che grandemente si riscontra nel caro giovanetto ». E allora eccolo definito e descritto nel¬l´esercizio del suo apostolato: « Piccolo, ma grande apostolo, in tutte le occasioni: attentissimo a coglierle, a crearle, facendosi apostolo in tutte le situazioni, dall´insegnamento formale del catechismo e delle pratiche cristiane, fino alla partecipazione cordiale ai divertimenti della prima età, allo scopo di portare dappertutto la nota del bene, il richiamo al bene ».
Savio Domenico è pertanto, nei limiti della sua giovinezza, un altro Don Bosco. Il Sommo Pontefice non poteva (per ovvia ragione di bre¬vità) indugiarsi a mostrare in qual modo e in qual misura l´opera edu¬cativa di Don Bosco fosse intesa e riuscita ad imprimersi « nei carat¬teri più cospicui della breve esistenza (i): ma il mostrarlo così for¬mato dagl´insegnamenti e dall´esempio del Santo Maestro, e più an¬cora il presentarlo quasi come un ritratto giovanile di lui, « proprio così come ce l´ha ripresentato nella sua breve esistenza », è più che bastevole ad assicurare la solidità di quanto una più minuta indagine potrà rivelare.
A confermarci nel nostro proposito interviene il fatto che questa dell´apostolato nel Savio è appunto la nota dominante nelle testimo¬nianze dei due Processi; la materia più estesa e ripetuta, quasi ad ogni articolo, dal principio alla fine: cosa del resto naturale, perchè più delle altre visibile a tutti e, per merito intrinseco, da tutti provata e sentita. Quasi non v´è teste che, volendo dire della santità di lui, non ne adduca a -prova lo zelo con che lavorava a far buoni o migliori i suoi compagni, oppure, da parte dei più vicini a Don Bosco, fatti e parole non comuni e d´indole più elevata (z).
Non potremmo desiderare di meglio per collegare quanto abbiam desunto dalle parole del Pontefice con-la più vera e prossima sostanza del nostro tema. Il quale vuoi essere veduto da due lati naturalmente convergenti: primo che la santità del Savio culmina e si raccoglie nello spirito e nell´azione dell´apostolato, perchè tale fu la via segna
(i) E l´avrebbe fatto, giacchè n´aveva l´intenzione: ma in quei giorni stava lavorando .al Concordato con la Germania, e non poteva occuparsi più a fondo, e con analisi accurate come soleva, di questo tema. Còsi disse ai convenuti Sale
siani dopo quel discorso.
(2) I testi, tra l´uno e l´altro Processo, sommano a 28 (io nel primo, 18 nel secondo). Io ho annotato le diverse testimonianze più significative in materia, oltre quelle dei Documenti scritti, che hanno soltanto valore di adminicula.

131
tale dalla mano di Don Bosco; e che, in secondo luogo, l´indole spi¬rituale del Savio e la forma che a codesta spiritualità impresse il Santo Maestro si coordinano a tale oggetto, come sostanza e rispecchiamento della spiritualità impersonata in Don Bosco e da lui lasciata in tradi¬zione. È il nostro tema generale, condotto qui ai più comprensivo dei suoi punti vitali.
G 0 o
Eppure è singolare, e vorrei dire strano, che quanti hanno scritto del Savio, abbiano dato un´importanza così poco notevole, perchè non principale, al primo precetto che Don Bosco dà al suo discepolo, quando, dopo così ripetute e calde insistenze, questi vuole una for¬male risposta che gli indichi come deve fare per farsi santo. Quella risposta è il cardine di tutto il sistema di formazione di quella santità, non già in ordine di tempo, ma in ordine di valori e di fattori. Don Bosco non intende con quel precetto, il primo assolutamente e il più esplicito, di dare una risposta che potrebbe dare ad altri, come indi¬rizzo generale. Essa è pensata e proposta espressamente per Savio Do¬menico. Non gli dice: Se vuoi farti santo, attienti a questa o a quella pratica, o segui questa o quella regola di condotta, o medita sempre questo o quello; e così via, come nelle storie dei Santi ne troviamo tante. Neppure gli assegna il trinomio proposto al Besucco, più tardi, è vero, ma tratto dal clima da lui creato in Casa sua. Allegria, studio, pietà, sono il programma di chi vuol esser buono, molto buono, ed even¬tualmente (nel fatto del giovane alpigiano, effettivamente) anche santo, almeno come istradamento. Qui Don Bosco dà la prima formula per farsi santo, nel senso più proprio della parola, e per tale l´accoglie, come appunto la desiderava, il Savio. Ecco: LA PRIMA COSA CHE GLI VENNE CONSIGLIATA PER FARSI SANTO FU DI ADOPERARSI PER GUADA¬GNARE ANIME A DIO.
È un balzo che oltrepassa tutte le graduazioni intermedie indicate dalle ascetiche; un sorpassare, come già posseduta, la tecnica, per di¬scoprire ed insegnare senz´altro i segreti dell´arte.
E che il Maestro di santità così la intenda, ce lo fa sapere egli stesso arrecandone la ragione: « perciocchè non avvi cosa più santa al mondo che cooperare al bene delle anime, per la cui salvezza Gesù Cristo sparse fin l´ultima goccia del prezioso suo Sangue ». Leggete neli Tutto per Gesù del Faber (che il nostro Santo Maestro non poteva ancora conoscere) quel ch´è detto degl´Interessi di Gesù, degli Elementi di cui son fatti i Santi, dei Tre istinti dei Santi, e la massima, tutta di Don Bosco anche nelle parole, che: « per salvare l´anima propria dobbiamo

132
studiarci di far anche qualche cosa per l´anima altrui » (i); e poi dite se la dottrina spirituale di Don Bosco sia una coserella superficiale e praticona, e non fondata su basi solidissime di-teologia ascetica; o se i pensieri, così semplicemente atteggiati che si leggono così ´di pas¬saggio in questo libro e in altri consimili (si vedano, ad esempio, il Magone e il Besucco) non siano appunto gli elementi sostanziali di tutto un proprio sistema di spiritualità (z). Anche qui è da dire: Don Bosco, bisogna saperlo leggere.
o o o
Per il santo giovanetto quelle parole furono una rivelazione. Da sè, per quanto predisposto, non l´aveva ancora veduta, e quella fu la parola vissuta della sua santità. Dice bene, nella sua semplicità, il libro: « Conobbe Domenico l´importanza di tale pratica, e fu più volte sentito a dire: Se potessi guadagnare a Dio tutti i miei compagni, quanto sarei felice! ».
E la massima passò nell´azione: « Intanto non lasciava sfuggire alcuna occasione per dare buoni consigli, avvisar chi avesse detto o fatto cosa contraria alla santa legge di Dio ». Sicchè, al capo seguente (XII) il Santo scrittore può affermare che il pensiero di guadagnar anime a Dio lo accompagnava ovunque.
Orbene, questo atteggiamento dello spirito nel quale si compone la santità del discepolo, è quanto di più essenzialmente e squisita¬mente proprio si può pensare del Santo Maestro e della sua conce¬zione spirituale. Nella parola da lui detta al giovane Savio c´è- tutto il Don Bosco che prende per suo stemma il: Da mihi animas, cetera tolie. C´è in questo -tutta la ragion d´essere della personalità storica del Santo autore della salesianità, e del suo lavoro, colossale lavoro! di apostolato nel mondo dei giovani e nel vasto mondo della vita. La
(i) Cfr. FABER, Tutto per Gesù, cit., pag. 69, seg.; pag. 346, seg; pag. 8o-93; pag. 255 (qui la massima citata). Di tali concetti dovrò naturalmente valermi a spiegare l´atteggiamento interiore e le fonti dell´azione missionaria dei Savio. Non credo d´essere il pericoloso 1/07710 unius libri nel senso che ha nell´ironia: sibbene desidero riaffermare che, tra i .tanti autori, quello che praticamente ho trovato più prossimo e parallelo a Don Bosco, è il suo coevo P. Faber, informato, come S. Francesco di Sales e Don Bosco, allo spirito di S. Filippo Neri. Quanto al¬l´apprezzamento del Faber per S. Francesco di Sales e la derivazione delle sue idee, cfr. Conferenze spirituali, pag. 173.
(z) È chiaro, a pensarci bene, che in questo genere non s´inventa nulla. Qual¬siasi autore di qualsiasi materia costruisce con materiali che poi, qua e là, gli eru¬diti riscontrano anche in altri: ma il merito è nella sintesi e nella novità creativa del concetto che aduna quei materiali per farne una costruzione non ancora pen¬sata. Come, nel caso di Don Bosco, deve dirsi (e l´ho detto nel mio Profilo Sto¬rico, pag. 29-30) della sua concezione pedagogica.

L-I, 133
concezione salesiana (cioè di Don Bosco) della spiritualità trae le sue origini e i suoi modi, e poggia sulla base di questo principio: Salvarsi e farsi santo salvando le anime. Tutta l´ascetica, non formulata in trattati, ma vissuta nella realtà quotidiana, dipende e si coordina a questo scopo, ch´è il lavorare per la salvezza delle anime: tutta la spi¬ritualità di Don Bosco, in una parola, è sostanziata dall´apostolato e
costrutta per esso. una concezione totalitaria, di cui è permeato
tutto il sistema educativo e tutto il sistema pratico, spirituale, ascetico, che procede da Don Bosco. Anche lo stile della vita religiosa e le Re¬gole della sua Congregazione furono da lui concepiti nella figura di una disciplina del lavoro, giacchè la sua Istituzione non ha altro scopo. La formola espressa da PP. Pio XI per definire la sintesi spirituale di Don Bosco e Io spirito dell´opera sua: Qui laborat, orat, prende suo significato e valore da questo spirito o istinto di apostolato, per il quale vive tutto ciò che a Don Bosco appartiene e da lui s´informa. Il la¬voro che il Santo creatore della nuova milizia spirituale ha segnato come vita dell´opera sua, non è altro che il lavoro delle anime e per le anime: lavoro di apostolato.
Nel fatto pertanto di additare al suo discepolo, come principio di santificazione, l´apostolato delle anime (e per lui, nelle sue condizioni, per il « guadagnar anime a Dio » il mezzo pratico era di « guadagnare a Dio le anime di tutti i suoi compagni »), si riflette o, diciamolo, si riversa tutto l´essere spirituale dei Santo Maestro, che, avuta tra mano un´anima da Dio predisposta ad essere formata da lui, vi getta la scin¬tilla della salesianità, e ne svolge la santità sul modello suo proprio e della sua concezione totalitaria. Per questo ho detto fin dapprincipio, ed ho ripetuto, che la santità del Savio, oltrecchè autenticamente pro¬pria della sua persona, è nelle forme e nello spirito, il tipo della san¬tità salesiana. E non ripeto che, per esser tale, è anzitutto la santità stessa personale di Don Bosco Santo, quale fu, dal Magistero infalli¬bile della Chiesa, canonizzata.
La statura spirituale del piccolo Savio qui grandeggia a dismisura: quando si pensa che a lui questo germine sacrosanto viene affidato mentre appena ha toccato i tredici anni. Veramente Don Bosco ha veduto in lui, come il Vicario di Cristo, un gigante dello spirito!
0 O 0
E qui apro una parentesi pedagogica. L´apostolato del Savio (come, del resto, quello del Magone e di quanti furono in mano di Don Bosco i missionari del bene tra i suoi giovani) non possiamo casi pensarlo fuori della scena del cortile: le poche eccezioni, i pochi episodii acca
15 -- CAVIGLIA, D073 Bosco, scritti. Vol. rV. Parte I.

134
duti altrove, non infermano la regola. Noi sappiamo qual sia la parte che nel sistema od organismo educativo di Don Bosco ha la vita del cortile, tanto per lui in persona (i), quanto nella sua tradizione. Dopo la confessione, non si può indicare altro centro più vitale e attivo di questo nel suo sistema (a). Poiché non solo nella spontaneità della vita gioiosa e famigliare del giovane si ha una delle fonti capi¬tali .della conoscenza degli animi (3); ma soprattutto si ha mezzo ed Occasione di avvicinare, senza soggezione e senza parere, un per uno i giovani, e dir loro in confidenza la parola che fa per ciascuno.
Torna qui il principio vitale della pedagogia, o meglio, dell´edu¬cazione vera e propria: quello dell´educazione dell´un per uno, sia pure respirata nel clima ambiente dell´educazione collettiva. Tutto deve cooperare all´educazione dei singoli, e la vera pedagogia perenni s, nel senso religioso e fuori di esso, sarà sempre quella che forma una per una le anime o, pei profani, gli animi. In tale lavoro Don Bosco non è solo: è il Maestro che lavora esso e fa anche lavorare. Bisogna lamentare che, da parte degli studiosi applicatisi a spiegarne iI sistema e le riuscite, non si è avvertita la presenza e l´opera d´uno degli stru-menti più consuetamente maneggiati e più redditizi per l´efficienza del lavoro di penetrazione e di coordinazione: uno strumento col quale il Santo poteva lavorare una per una le anime dei suoi alunni, ch´erano più centinaia. Nello studio sulla Vita di Magone Michele sarà dato il conveniente rilievo alla massima che Don Bosco seguiva nella sua Casa, e al fatto dell´assistenza messa intorno all´incauto monello che allora entrava all´Otatorio, e ne riuscì lo stupendo e classico esem¬plare che noi sappiamo. E il santo Maestro aggiunse appositamente nella seconda edizione che il fare a quel modo «è consuetudine di questa casa che, quando si riceva qualche giovanetto di moralità so¬spetta o non abbastanza conosciuta, si affidi ad un allievo dei più an¬ziani della casa, di moralità assicurata, affinché Io assista, Io corregga secondo il bisogno, etc. » (Capo II).
Non s´è tenuto conto che delle due braccia che lavoravano, uno
(i) Cfr. sopra, fol. 82.
(a) Un numero stragrande di episodi caratteristici della vita del Santo tra i giovani, e di quel che si legge in queste biografie_ hanno per scena il brulichio rumoroso e giocondo di una ricreazione; e i pochi momenti di conversazione tre i giovani e il Santo avvengono fuori della scuola e della Chiesa e fuori dalle poche ordinanze disciplinari. Anche le parole della sera, dopo le preghiere e il sermoncino, erano, diremmo, fuori d´ordinanza.
(3) Lo diceva anche Quintiliano: a mores in !udendo se simi´licius detegunt first. Orat., I, 2-13.

135
era l´apostolato dei giovani migliori tra i loro compagni. Don Bosco si moltiplicava in questi giovani con lo spirito missionario che in essi trasfondeva, e arrivava a tutti. Chi è stato a casa di Don Bosco ai tempi di Don Bosco (e anche adesso, dove le cose vanno com´Egli le voleva) ricorda con sicura precisione, ed anche con piacere, che molte e molte cose le ebbe apprese, od imparò ad evitarle, da un compagno amico, e che certe belle riuscite morali, singole o plurime e collettive, certe correnti di pietà e di pratiche buone erano mosse dalla mano di tanti giovani missionarii del bene (a).
o o o
In tale azione pedagogica viene a collocarsi la parte più estesa e più conosciuta dell´apostolato del Savio. Che fosse inteso a « guada¬gnar anime a Dio » nulla toglie al carattere educativo a cui nel regime dell´Oratorio esso doveva rispondere, se non vogliamo dimenticare che, per Don Bosco, l´opera educativa consisteva essenzialmente nel salvare le anime dei giovani; e sta anzi a dimostrar la natura tutta santa e spirituale della pedagogia del Santo Maestro, il quale si valse di lui come d´un missionario santo per conseguire appunto lo scopo ch´ei santamente si proponeva (z). Ne vedremo più oltre un esem¬pio, non molto dissimile da quello del Magone, in quel Giovanni Roda, che al Processo spiegò in qual modo il Savio lo convertì in ogni senso, nelle abitudini cioè e nelle cose di religione.
Siamo ad una reciprocanza stupenda: dall´una parte l´anima del
avio, temprata per qualche cosa che adempia all´amore che gli arde nel cuore: dall´altra la parola di Don Bosco che gliela rivela e lo mette in azione per adempirvi. È ancora il fatto della stoffa e dell´abito: c´era la stoffa salesiana, e l´abile Maestro ne fa l´abito sul taglio del costume salesiano.
Ed è bene, anzi è bello e caro, spiegarsi. Come ho detto più sopra, non si può, quando si parla di formazione e d´indirizzi, pensare per il Savio ad un adattamento che venga dal di fuori, e in cui il santo
(i) In ciò consistette principalmente il valore del piccolo Santo, Gidvarmi
. Meraschi da Alessandria, mio discepolo, del quale scrissi una memoria, non male accolta e persuasiva di bene a molti giovani. Fu l´apostolo dei suoi condiscepoli, dei quali convertì parecchi a miglior condotta, e fu, nel Collegio di S. Giovanni Evangelista, un apostolo della divozione a Maria Ausiliatrice. E morì a tredici anni e mezzo, neI 1919.
(2) 0 perchè l´apostolato della Chiesa è divinamente ordinato alla salvezza degli uomini, cessa forse d´essere insieme, e per questo, il solo vero e irrefraga¬bile fattore di civiltà?

136
giovane sia non altro che spiritualmente passivo (i). No: l´opera del Maestro non fa che aiutare e dirigere la spontaneità del suo divenire, salvo ad integrarlo con gli apporti che l´indole di quella santità ri¬chiede.
La santità del Savio era naturalmente missionaria (non v´è santità che non sia tale, in un modo o nell´altro: ma qui s´intende nel senso più concreto e specifico del termine), in virtù della sua nativa struttura psicologica (aiutata, com´è ovvio, dalla grazia di Dio che lavora), e in forza degli atteggiamenti della sua pietà.. Questi, sì, sono via via educati da Don. Bosco, non creandoli, ma facendoli svolgere: ed è anche questo un altro termine della reciprocanza che abbiamo se¬gnata. Voglio dire che e l´istinto di santità, ch´era, per grazia della sua particolare vocazione, nell´essere spirituale del nostro giovane, e d´altro canto, ma parallelamente, l´indole congenita alle forme di pietà da lui e in lui coltivate, contenevano di lor natura lo spirito missionario, e conducevano, portavano alla vita attiva di apostolato. Posto in altre mani da quelle di Don Bosco e in un clima differente, il nostro Domenico avrebbe forse assunto altri atteggiamenti e se¬guito, nella pratica, altre vie: ma, per quanto dipendeva dalla santità sua, ad un apostolato si sarebbe infine rivolto. Non tocca a noi imma-ginare quale sarebbe stato: ma se la stoffa era salesiana, non so se un taglio diverso avrebbe reso un abito di pari figura (2).
o 0 o
Lo spirito missionario trova la sua prima e vera fonte nell´amor di Dio, ed è un segno di poco amore personale verso di Lui il non pos¬sedere tale spirito. Senza ricorrere al nostro consueto Autore (3), ci bastino le parole di PP. Pio XI, più sopra citate, intorno alla na¬tura diffusiva dell´amore, e riferite appunto al nostro « piccolo ma grande apostolo ».
Nel quale tuttavia troviamo una nota spirituale, che si riscontra
(t) Cfr. sopra, pag. 127. — E cfr. a pag. 51 le parole dette al eh. Angelo Savio del desiderio di venire all´Oratorio, con l´intenzione a di farmi prete per salvare l´anima mia e far del bene a molti altri «.
(a) La vocazione della Santa di Lisieux non fu sbagliata in radice, e giovò poi a farne una Santa: ma certamente la sua creazione spirituale, in cui si rac¬chiude tanta e così vitale parte della rinascita della spiritualità moderna, non può dirsi un frutto prodotto dalla vita del suo convento. Ce lo attestano le pagine im¬mortali da lei lasciate, e la sua storia esterna e intima, confermata dai Processi.
(3) FABER, Creatore e Creatura, pag. 238; Progressi, pag. 69; Tutto per Gesù, pag. 218: ivi, pag. 89 e seg., la dottrina degl´istinti dei Santi.

137
in tutti i santi, ma in lui immedesimata a segno da divenire un linea¬mento caratteristico. È l´orrore del peccato. Noi pensiamo subito al suo motto antonomastico: La morte, ma non peccati, che inizialmente si riferisce agl´interessi dell´anima sua propria, cioè al non peccare egli stesso: ma poi si svolge e si matura dilatandosi nella sensibilità pei peccati che si commettono o possono commettersi nel mondo cir
costante, e, più vastamente ancora, fino a confondersi con gl´interessi della Passione di Gesù e coi dolori della Madre di Lui per il peccato del mondo (r).
È veramente la storia delle sue ascensioni. Dall´essere l´orrore del
peccato la sua passione dominante (2) scaturisce una crescente sensi¬bilità di coscienza, che comprende sempre meglio che cosa sia il pec
cato (3); tantochè nelle sue più inoltrate comunicazioni con Dio giunge a protestare di non voler neppure il più piccolo peccato ve¬niale (i), e a chiedere quell´odio vivo e cocente del peccato che di
stinse qualcuno dei Santi; un dono ch´è la radice d´ogni perfezione ed è la più sicura ed efficace di tutte le grazie spirituali (5).
E poichè tale sensibilità e consapevolezza è tutta cosa dell´amor di
Gesù, con lo svolgersi della conoscenza pratica di Dio e dei motivi di quell´amore, motivi che sono, si, di ragione ragionata, ma che in
un´anima fervente affiorano dal sentimento (il cuore arriva per intui¬zione più presto che la mente per ragionamento), viene spontaneo il
trapassare e il dischiudersi all´orrore del peccato altrui in quanto è
offesa di Dio, e perdita di anime che tutte a Dio son care. L´acu¬tezza di codesta sensibilità è nel nostro santino cosi pungente, da farlo soffrire e « recare non piccolo danno alla sua sanità». Donde
l´immancabile associarsi dell´un sentimento col desiderio della con¬versione dei peccatori e con l´apostolato che lavora ad impedire l´of¬fesa di Dio (6).
(i) Il piccolo, anzi grande gigante dello spirito » non è, come nell´idea di certi saputi superficiali, un innocentino incosciente, e tutt´al più un buon ragazzo simpatico e pio per istinto e per induzione, quasi da collocarsi tra i pargoletti che- sten sotto l´Altare dell´Agnello. È un bel posto, ma non il suo. Savio ha nel cuore la fiamma degli Apostoli.
(a) FABER, Progressi, pag. 36.
(3) Id., ibid., pag. 311.
(4) Cfr. sopra, pag. 93. Cfr. FABER, Progressi, pag. 36. Le deposizioni una¬nimi sul tit. VIII (De heroica caritate in Deuni) dimostrano la verità della nostra asserzione.
(5) FABER, Il piede della Croce, pag. 77.
(6) FABER, ibid., pag. 78. È uno spirito direttamente riflesso dal culto dei dolori di Maria SS., che fu fortissimo nei. Savio, e quasi parallelo (anzi precedente) a quello dell´Immacolata.

138
Tale genitura di sentimenti e di pensieri che metton capo all´a¬zione, risponde nel fatto a quanto fu detto del Savio nel Processo. Lascio, per brevità, di addurre le• 15 deposizioni sul titolo: De heroica caritate in Deum, dove l´amor di Dio è presentato come ragione del¬l´orrore del peccato, che, né grave né venialmente volontario, non toccò mai l´integrità di quell´anima, e che si manifestava sensibilmente
al conoscere il peccato altrui, e lo induceva ad operare per impedirlo: cito soltanto, a conferma di tutto il precedente ragionare le parole ivi
dette dal Card. Cagliero: « L´amor di Dio aveva occupato tutti i pen¬sieri, affetti e atti del suo cuore... unico timore, quello di offender
Dio... L´orrore del peccato alimentava in lui il desiderio di placare Iddio dei peccati degli uomini, e di adoprarsi per la conversione e ad impedire il peccato»
In codesto atteggiamento hanno grandissimo potere i sentimenti inspirati dalla divozione Mariana, e, nel nostro Savio, singolarmente dalla particolare divozione ai Dolori di Maria SS.ma. Ma di questo mi riserbo a parlare in altro luogo. Giacché le divozioni particolari non avrebbero in questa parte dato l´effetto pratico, se già l´anima non fosse altrimenti attrezzata, e più sostanzialmente, per questo.
o o o
La fisionomia spirituale del Savio è quella dell´anima eucaristica, e la divozione in cui si rispecchia è quella del SS.mo Sacramento.
Di qui dobbiamo derivare primamente gl´impulsi all´apostolato, così come ne deriva la forza d´azione e di resistenza. Lo spirito missionario,
ossia l´ansietà dell´apostolato, è un fiore dell´altare. A qualcuno potrà parere che il parlare di ansietà sia sproporzionato. Ma questo è il vero stato d´animo d´ogni tempra d´apostolo (e il Savio è ben quella), a cominciar dal Buon. Pastore che cerca e salva la pecorella smarrita. Don Bosco con le prime righe del Capo XII della Vita, e con la de¬scrizione che prima ha dato dell´attività febbrile del suo discepolo, quand´ebbe capito in che modo doveva farsi santo (2), non dice di meno di quanto spiccatamente ci fanno intendere i Processi. Rimanga
adunque il termine ad esprimere la natura dello spirito missionario nel nostro ‹s piccolo, ma grande apostolo ».
Cotale ansietà spunta ai piedi dell´altare, dove l´amore per Gesù
(i) Somm. Proc., Cagliero, 193 e 195. — Tit. VIII, De heroica charitate in Deum, pag. 186-2.15.
(2) Vita, cap. XII, pag. 57: a Il pensiero di guadagnar anime a Dio lo ac¬compagnava ovunque». — Cap. XI, pag. 53: a Intanto non lasciava sfuggire al¬cuna occasione, ecc. ».

139
è sostanziato dal culto della sua Umanità sacrificatasi per noi e per noi vivente è comunicabile, sotto i veli delle Sacre Specie, e sempre presente nel Tabernacolo (i). Il culto eucaristico è non solo affine, ma intrinseco al culto del Prezioso Sangue che ci ha redenti e continua a pulsare nella vita mistica del SS. Sacramento del Corpo e Sangue di Cristo (2). E insieme col fascino d´amore, con l´attrazione miste¬riosa che il Gesù dell´Altare esercita sulle anime in cui vive la grazia divina (più sopra l´abbiamo detto del nostro santino, ricordando il Beati munda corde), insieme adunque con codesta « corrispondenza d´amorosi sensi » deriva dallo spirito di tal divozione (duplice solo in apparenza di parole, una nella sostanza del culto all´Umanità di Cri¬sto) una grazia che, com´è comune all´istinto di tutti i Santi, così im¬plica il corredo del massimo numero di grazie e l´esercizio del mas¬simo numero di virtù.
È l´amore delle anime, ossia lo zelo per la salute delle anime: una grazia capace di arrecare alla vita di uno spirito una meravigliosa unità e consistenza, e che la corona con una riuscita certa e ammira¬bile. Nelle rispettive sue proporzioni è un rispecchiamento della grandezza e vocazione degli Apostoli, che vennero prescelti fra tanti nel mondo, e la cui santità dovette essere veramente singolare. Fra tutte le grazie, questa dello zelo per le anime e del lavorare in tal campo, è forse la grazia più diretta, naturale, immediata, della divo¬zione all´Umanità di Cristo, presente col suo Sangue Preziosissimo nel SS.mo Sacramento (3).
Nell´esporre questi concetti io sento ad ogni proposizione di ri¬trarre un lineamento e infine la fisionomia dell´anima eucaristica del Savio. Ne sono tanto più convinto quanto più vedo addentro nei pro¬gressi e nello svolgersi del suo apostolato. Tra poco vedremo le diverse fasi o momenti di esso. Ora codesti progressi od ascese e ampliamenti d´orizzonte sono in una cotale corrispondenza con la pratica della Comunione a lui accordata dal suo Direttore: dove la prima frequen¬tazione diviene frequenza settimanale e più ancora, fino a che, dopo un anno (spiegheremo a suo tempo questo fatto), è ammesso e inco¬raggiato alla Comunione quotidiana. Ebbene il crescere, l´ampliarsi, il culminare e sublimarsi dell´apostolato o, se si voglia, dello spirito
i FABER, Il SS. Sacramento, pag. 118.
(2)• FABER, Il Prezioso Sangue, pag. 245 e 299.
(3) FABER, Il Prezioso Sangue, pag. 295-298. Restringo, senz´alterare, una bel¬lissima esposizione che, con squisito apparato dottrinale, riesce a quello che Don Bosco dice nel dar ragione dell´aver anzitutto consigliato al suo discepolo, per farlo santo, 4 l´adoperarsi per guadagnar anime a Dio ». Doti Bosco parla alla sem¬plice, ma pensa profondamente e da Santo. Cfr. sopra, pag. 131.

40
missionario del. Savio, corrispondono con qualche prossimità alle sue epoche eucaristiche, fino a che l´istituzione squisitamente costruttiva
e spiritualmente missionaria della Compagnia si matura e si compie
e perfeziona nel periodo dei massimi fervori e delle estasi dell´Altare. Il suo spirito d´apostolato ha una genesi e una temperie che non pos¬sono altrimenti spiegarsi nello svolgimento e nella figura, se non con la carissima storia dei sentimenti che siam venuti contemplando, e che, ripetiamolo, ci danno in lui veramente quel che fu detto dal Sommo Pontefice un piccolo ma grande apostolo.
o o o
Risaliamo ora a quei principii foratali, che son comuni a tutti i Santi e in ciascuno prendono forma e attuazione dai motivi e moventi predisposti secondo la propria vocazione di ognuno: moventi che, per il Savio sono appunto quelli ora accennati. Quelle scaturigini ed ele¬menti onde son formati i Santi tutti noi li abbiam riscontrati nel Savio sul finire del capitolo precedente (i). Tra essi sono i tre istinti nativi d´ogni natura di Santo: lo zelo per la gloria di Dio, la sollecitu¬dine affettuosa per gl´interessi di Gesù; l´ansietà per la salute delle anime, dove torna il termine sul quale ci siamo fissati.
Il che viene o torna a dire che la simpatia per Gesù, generata dal fascino -ch´Egli esercita sulle anime sante, e che, in fine, è il proprio
e più vero carattere dei Santi (z), svolge nel fondo dell´anima (con la grazia di Dio e le virtù infuse, s´intende) quegl´istinti e tendenze connaturate e permanenti onde il carattere prende sua figura, e che, lo si vede chiaramente, si appuntano tutti nel vivere e operare per Gesù, secondo che s´apprendono i suoi desiderii.
Sono essi, quegl´istinti, ed è quel carattere, che orientano lo spi¬rito verso una direzione (che diviene, nelle anime più forti, l´idea dominante ed anche l´unica per la quale si vive la vita), nella quale direzione trovano posto le abitudini volitive che lo spirito viene edu¬cando in se stesso, col sussidio dei moventi e motivi estrinseci: neI fatto nostro è l´orientamento verso l´apostolato, verso il « guadagnar anime a Dio » che si precisa nell´indicazione di Don Bosco, e prende forza dallo spirito della vita devozionale che ne contiene i moventi. Non è, caro lettore, un ragionare troppo sottile per un santo ado¬lescente e quasi fanciullo, e per il caro Savio, al quale probabilmente non abbiamo mai pensato di attribuire una psicologia così logicamente
(i) Cfr. sopra, pag.
(2) FARER, ´lutto per Gesù, 83.

1+1
ordinata; come se l´anima d´un « piccolo, anzi grande gigante dello spirito » potesse pervenire alle altezze a cui giunse il Nostro, senza una logica della grazia e senza una consapevolezza, almeno intuitiva, di quello che avveniva in lui e di quello che voleva Iddio da lui e ch´egli voleva fare. Un discorso del nostro giovane missionario ci fa vedere in atto e in un sol punto la somma di tutti i sentimenti e di tutti i motivi che gli abbiamo riconosciuti. Ecco:
Quando., raccontando egli un fatto edificante, un ragazzo « indi¬screto» gli dice: « Che te ne fa di queste cose?» egli risponde con ca¬lore: « Che me ne fa? Me ne fa, perchè l´anima dei miei compagni è redenta col Sangue di Gesù Cristo; me ne fa, perché siamo tutti fra¬telli, e come tali dobbiamo amare vicendevolmente l´anima nostra; me ne fa, perché Iddio raccomanda di aiutarci l´un l´altro a salvarci; me ne fa, perchè, se riesco a salvare un´anima, metterò in sicuro anche l´anima mia » (i).
Chi non sente qui vibrare gl´istinti dei Santi per la gloria di Dio, per gl´interessi di Gesù: chi non scorge l´ansietà per la salvezza delle anime, e i motivi inculcati da Don Bosco?
o o o
Ancora una volta, adunque, diremo che Don Bosco, nel volgerlo all´apostolato, non fece che adempire a ciò ch´egli vedeva essere un istinto (latente prima, e da lui scoperto e messo in atto) della santità del suo giovanetto, e questi, nel darsi da quel momento con piena dedizione al compito che gli veniva additato, si trovò a suo agio per svolgere in pieno le doti della sua vocazione. E dico svolgere perché, come tra poco vedremo, la vita missionaria di quell´anima viene via via acquistando in ampiezza e in profondità di comprensioni, mentre a questo lavoro concorrono doni soprannaturali gratuiti, che suggel¬lano in modo non dubbio, colla. mano di Dio, quella vocazione.
Questa attuazione pratica dello spirito missionario mancò a San Luigi. Che il Principe dei Santi giovani sentisse, non solo perché santo, ma per carattere personale, una vocazione all´apostolato, e, si noti, nell´età più giovanile, è un dato storico legato perfino alla scelta da lui fatta della Compagnia di Gesù a preferenza d´ogni altro ordine religioso, perché quella era destinata al lavoro attivo per le anime, alle missioni, all´educazione della gioventù (2): e ancora, dalle
(i) Vita, cap. XI, 73 ediz. pag. 55-56.
(2) MESCHLER, op. cit., pag. 8z. — CRISPOLTI, OP. Cit., pag. 7s; 41-43. a E avrebbe desiderato di poter seguire le orme del Saverio, sia " per la sete del mar-tirio " sia " per la redenzione degl´infedeli" a. Ibid., pag. 38.

I42
notizie che si hanno delle sue volontà più, mature, appare che, ad ogni modo, lo spirito di conquista fu sempre vivo nelle sue intenzioni, com´era, del resto, nello spirito dei Santi del suo secolo. Ma, dice bene il Crispolti, a questa ulteriore esplicazione dell´anima di Luigi il tempo mancò (t).
Noi possiamo tuttavia soggiungere che non solo gli mancò il dopo, sibbene anche l´occasione del presente_ Il Gonzaga non ebbe intorno a sè la convivenza ch´ebbe il Savio, e la società che lo circondò nel secolo, fanciullo e adolescente, non offriva generalmente tali occasioni da richiedere un apostolato o uno stile di vita che potesse compor¬tarlo (a). Quando, più tardi, fu religioso tra religiosi (e quali!), poteva esercitar l´apostolato d´un esempio insuperabile di virtù, ma non altro che potesse dirsi una conquista. E nessuno disse mai all´angelico gio¬vane che per farsi santo bisognasse guadagnar anime a Dio. La figura spirituale di S. Luigi Gonzaga era un´altra, ed altra doveva essere per lui la parola della vocazione.
(i) Op. cit., pag. 32.
(2) CP1SPOLTI, OP. cit., cap. IV: La società che lo circondi nel secolo, pag. 71¬87. Sono pagine sensatissime, che dovrebbero far cadere tutto il barocchismo della rettorica panegirista, per la quale S. Luigi fu quasi un Santo in mezzo all´inferno.

CAPITOLO III
L´apostolato in azione.
Al Savio il campo dell´apostolato non mancò, ed è una delle mera¬viglie della sua brevissima vita l´operosità e l´intraprendenza ch´egli vi dispiegò nei men che tre anni che seguirono alla parola indicatrice di Don Bosco. E poiché s´è detto d´uno svolgersi, è bene fissarne su¬bito il senso e i momenti. Sta all´inizio il piccolo quotidiano lavoro morale religioso tra i compagni, e nella vita ordinaria, indicato dal Santo Maestro: la reazione e l´impedimento del male, l´opera di corre¬zione e d´incitamento al bene.
Ma poi, e presto, le viste si allargano, e dalla cerchia della convi¬venza giovanile si stendono ai più vasti interessi di Gesù nel mondo della Fede e della Chiesa, e lo spirito missionario prende la figura dello spirito cattolico: il giovane apostolo ha nel cuore l´ansietà di salvare chi è in pericolo di morte, e chi vive nel peccato, e chi è fuori della vera Chiesa, e dalle persone trapassa alle genti, e sente e solle¬cita la conversione dell´Inghilterra.
E finalmente, nell´ultimo appuntarsi dei desideri d´amore che sug¬geriscono e alimentano lo spirito di conquista per Gesù, l´apostolato si fa costruttivo, e crea un moto di pietà attiva, che si adempie in una missionarietà più elevata, dove si raccoglie e si fa più intenso il lavoro di penetrazione del bene..ù allora la creazione della Compagnia del¬l´Immacolata Concezione: sia essa tutta o in parte cosa del Savio, non importa: senza di lui non sarebbe.
Sono dunque tre momenti dello svolgersi di quella vita d´apostolato che, prima dall´indicazione di Don Bosco, poi dall´accrescersi dei lumi e del fervore, e infine dalla perfezione della pietà e della vita interiore, prendono impulso ed ispirazione, e passano dalle vie ordi¬narie dell´impedimento del male e della persuasione del bene alle più estese visioni della conquista fino alla costruzione del bene ed alla consociazione della pietà più fervorosa. Veramente non è da pensare che i tre momenti, le tre fasi, diciamo, di codesto lavoro, si succedano

1-1-4
con rigore di tempi, e neppure che la successiva faccia tacere o rallenti la precedente: è l´attività e la comprensione che viene non solo avan¬zando, ma sdoppiandosi e anche più, rimanendo tutte vive ed ope¬ranti. La distinzione cronologica ci sta storicamente, ma solo fino a certo punto: ed è piuttosto una distinzione logica di moltiplicità che a un dato momento si raccoglie nell´unità stupenda di quell´anima così giovane e così grande.
Così l´aveva veduta, nella profondità della sua intuizione, il Santo Padre Pio XI, quando la definiva l´anima del « piccolo ma grande apostolo », e la veniva proponendo ad esempio della Gioventù Catto¬lica, come destinata a sostenere l´apostolato gerarchico della Chiesa. Il Pontefice vedeva nel Savio l´apostolato quale Don Bosco aveva con¬cepito ed inculcato nel suo giovane santo, esso che appunto visse tutte le forme di apostolato. Il discorso tenuto dal Papa in quel 9 luglio 1933 è la più prossima spiegazione del Savio apostolo nell´aria di Don Bosco. Perché tutto ciò ch´è detto di codesta simpatica storia di conquiste, tutto si è avverato ed ha potuto avverarsi nell´alone di energia spri¬gionantesi dal Santo Maestro, e con l´intervento della sua parola e del suo consiglio.
La Vita non segue così strettamente quest´ordine d´idee, e tanto meno l´ordine cronologico, benchè da essa appunto noi li dobbiamo dedurre: all´infuori dei due capitoli in cui si tratta, senza darvi il nome, dell´apostolato del nostro giovinetto (cap. XI e XII), il resto è disseminato attraverso l´esposizione biografico-episodica, raccoglien¬dosi sotto vani titoli, e solo ritorna a questo tema quando (cap. XVII, alias XVI) è discorso della fondazione della Compagnia accennata. Ma, ripetiamolo, chi sa leggere trova sempre nelle parole dello Scrit¬tore i suggerimenti opportuni per una giusta comprensione d´in¬sieme (i).
Tanto meno tengono conto di tale coordinazione i Processi, dove s´incontrano, è vero, spunti chiarificatori e suggestivi, specialmente nelle parole del Cagliero e di Don Rua, che compresero meglio d´ogni altro l´anima del santo loro amico, il Cagliero poi con una simpatia tenerissima ispirata dall´affinità dello spirito: ma in genere la materia data dalle testimonianze, non tutte, per vere, superficiali, si limita al¬l´esteriorità dei fatti della vita comune, senz´altro legame d´idee.
Ma la concordanza tra la Vita scritta e le testimonianze è costante, e sta a prova della veridicità dello storico quanto ai fatti e quanto al sentimento comune: anche se non assolutamente tutto ciò ch´è scritto
(i) Lo si è visto poco sopra, quando si è addotto il discorso del Savio come sintesi di tutta la sua psicologia missionaria. Cfr. sopra, pag. 14r.

145
ritorna nelle parole dei testi, e, in cambio, non manca materia da aggiungere alle cose pubblicate. Anehe in questa materia i testi si mostrano indipendenti dal libro, salvo quando essi depongono preci¬samente quello di cui già avevano discorso con l´Autore per concor¬rere alla stesura del libro stesso (i).
Epperò, volendo e dovendo a questo punto disegnare concreta¬mente coi fatti la figura dell´apostolo nell´esercizio della sua azione, non vi è forse miglior via che di attenersi al parallelismo dei dati pro¬cessuali col contenuto della Vita, illustrando con quelli i dati e i con¬cetti di questa.
Sobrii ma significanti sono gli accenni sintetici del Santo Maestro allo spirito missionario istintivo prima ed effettuato poi dal caro alunno. Questi esprime più volte il suo desiderio di « guadagnare a Dio tutti i miei compagni » e e non lascia sfuggire occasione alcuna di dare buoni _consigli, avvisar chi avesse detto o fatto cosa contraria alla santa legge di Dio »: così come ancora conclude il medesimo capitolo (Cap. XI): « Onde si può dire che non presentavasi a lui occasione di far opera buona, di dare un buon consiglio, che tendesse al bene del¬l´anima, che egli la lasciasse sfuggire ». E leggeva di preferenza le Vite dei Santi dell´apostolato, e parlava volentieri dei missionari, e faceva settimanalmente una Comunione per essi: pensava alle anime che nell´Inghilterra « aspettano il nostro aiuto », e vorrebbe « andarvi
sul momento e guadagnarle tutte al Signore! a.
Don Rua dice che « fin d´allora i Superiori scorgevano che era già
guidato dallo spirito di zelo e dal desiderio di far del bene ai com¬pagni »: altri, che sovente diceva di aspettare il momento di potersi far missionario e predicare con maggior fervore la religione fra le genti; il Roda, un artigiano da lui convertito, afferma che « era ze¬lante non solo della propria, ma dell´altnii perfezione, facendola da vero apostolo fra i suoi compagni » (2). E il Cagliero, il quale, per dire del suo apostolato, legge in sede di Processo gran parte dei due capitoli XI-XII della Vita (3), ricorda aver udito da Don Bosco che, « sebbene giovanetto, il Savio desiderava ardentemente che tutti amassero il sua Signore, e che si convertissero, i peccatori e special¬mente gli eretici, e principalmente pregava per la conversione dell´In
ghilterra» (4).
A far breve, Don Rua conclude con questo pensiero: « Era vera
(i) Così avviene, per esempio, che iì Cagliero e Don Rua, per maggior pre¬cisione, leggono senz´altro quelle pagine. Cfr. Somm., cit., pag. 196-197 e pag. 304.
(2) Somm. P70C. cit. Per ordine: Rua, SI; Francesia, 95; Roda, zoo.
(3) Somm. cit., Cagliero, 196-z97.
(4) Suona. cit., Cagliero, pag. 1z9.

146
mente ammirabile che in un giovanetto di quell´età già regnasse tanto zelo per la gloria di Dio, in guisa da aver orrore e soffrire fisicamente se gli avveniva di sentir bestemmiare, o vedere in qualche altro modo offesa la Maestà di Dio » (i).
o o o
Il che c´introduce nella serie di episodi esemplari subito ricordati nella Vita. « La cosa che gli cagionava grande orrore e che recava non piccolo danno alla sua sanità era la bestemmia o l´udir nominare iI Santo Nome di Dio invano » (a). E seguono tre fatti, di cui i due primi aggiunti, come le citate parole, in seconda edizione (3). È il turbarsi all´udir quelle parole e abbassare il capo dicendo la nota giaculatoria; o scoprirsi il capo e dirla all´udir bestemmiare un carret¬tiere, spiegandone il motivo ad un compagno, che poi racconta il fatto: è l´accostare un vecchio incauto e con modo ingegnoso e garbato chie¬dergli segretamente per piacere che non faccia più così, ed esserne ringraziato; è il levare un fanciullino novenne da un alterco e con¬durlo in chiesa a far riparazione della bestemmia proferita (4).
Siamo nell´ambito dell´orrore pel peccato e dell´impedimento del male. Don Rua ricordava a tal proposito l´eroico dramma di quella rissa composta col Crocifisso: il Cagliero le industrie con che si ado¬perava a far evitare ogni sorta di dissensioni, ingiurie, risse e simili, oppure ad interdire certi crocchi pericolosi (5). Vi fu perfino un momento in cui s´impose arditamente a Don Bosco per far risolvere senza indugio una situazione pericolosa per la fede dei deboli e degli incauti (6). La Vita (capo XII) accenna all´arte d´interrompere di¬scorsi di mormorazione o simili; all´arguzia nel distogliere un giova¬netto dall´andarsi a mascherare; alla bonaria imposizione con che im
(I) Somm. cit., D. Rua, pag. t x t.
(a) Cap. XI: aggiunta• della za-3a ediz. alla pag. 53 della Ia.
(3) Forse da relazioni posteriori alla 1a ediz., come farebbe intendere la ci¬tata testimonianza di Don Rua.
(4) Il fatto è analogo, ma non identico, a quello esposto da G. Roda, avve¬nuto a lui stesso. Il Roda aveva allora 53 anni. Cfr. Somm. cit., Roda, pag. 220.
(5) Somm. Proc. cit., D. Rua, pag. 113, 282; Cagliero, pag. 42, 54, 59.
(6) Somm. cit., Francesia, pag. izo e 158: e lin giorno m´incontrai per caso vicino a Don Bosco che parlava col giovinetto. Io mi stupii nel´ veder lui, che pensava fosse timido, a parlare mettendo Ie mani sui fianchi, e dire a Don Bosco con aria tutta seria (sic): — Queste cose non si debbono tollerare all´Oratorio! ¬E dicendo Don Bosco: ---- Guarda: faremo: abbi pazienza! — egli insistendo re¬plicava: — E uno scandaloso, e non si può tollerare. — Era la prima volta che io sentiva quel giovinetto a parlare quasi con autorità a Don Bosco... e. Sembra che si trattasse d´un tipo irreligioso e provocante.

147
peci" a certi compagni di andarsi a bagnare chissà dove, e il dialogo è davvero curioso, con quel: « no, io non voglio che andiate », e con gli argomenti morali e religiosi che adduce.
C´è poi (Capo XII) l´intervento coraggioso ed energico del piccolo « guardiano dell´Oratorio » (i) a far allontanare i compagni incauti da un pervertitore irreligioso e beffardo penetrato nel cortile (2); come altra volta (Cap. XVI) strappa di mano ad un ragazzo esterno un gior¬nalaccio irto di caricature sconce ed irreligiose. Giustamente fu atte¬stato « ch´egli adoperò sempre grande fortezza per far evitare il pec¬cato e lo scandalo » e Don Rua diceva che di questo egli « fu sempre ammirato ed edificato » (3).
A questo lavoro, che diremmo, con termine tutto di Don Bosco, preventivo, si associava l´altro, più veramente attivo e missionario, della conversione degli sviati e del condurre a Dio gl´indifferenti (cosa, anche questa, salesianissima). Ed io vorrei riferire a questo, almeno in parte notevole, una circostanza di fatti, già altrove accennata (4), quella delle parole suggerite a ciascuno dopo il sermoncino della buona notte. Che cosa avrà detto Don Bosco al Savio in tali momenti? Tutto induce a credere che, oltre a qualche consiglio personale di per¬fezione, ci stesse l´indicazione di qualche lavora da fare tra i compagni
o di qualche compagno da lavorare. La Vita lo fa intendere in più punti (5), ed è attestato dalla tradizione delle maniere educative di Don Bosco (6).
0 o 0
Qui la santità aguzzava l´ingegno. Il santo Autore sembra si com¬piaccia (e certamente se ne vale a scopo educativo) in mostrare le
(i) La parola è del Francesia: cfr. Somm. cit., pag. 587: 1Don Bosco scrisse e sentii dire che era il fedele guardiano dell´Oratorio perchè colla vigilanza impe¬diva che persone estranee entrassero nell´Oratorio e diffondessero l´empietà». L´in¬tervento qui citato, dal cap. XII della Vita, fu aggiunto dall´A. in 2a-3a edizione.
(z) Somm., cit., pag. 461-6z: Declar, authent. n. 6: « Memorie del ch. Mi¬chele Rua, 1859 ».
(3) Ibid., dep. Barberis, 279, riferisce le parole di D. Rua.
(4) Cfr. sopra, pag. 83.
(5) Per es. al cap. XVIII: » Egli era così rassodato nella virtù, che fu consi¬gliato di trattenersi con alcuni giovani alquanto discoli, per far prova di guadagnarli al Signore ». E ciò è confermato dal Roda, che lo attesta già per il. 1854, quando entrò nell´Oratorio, e il Savio anch´esso c´era da poco tempo. Cfr. Somm. Proc., pag. 21-22. Possiam supporre che ciò avvenisse dopo l´Immacolata; n a è ur se¬gna ben chiaro della stima che fin dai primissimi mesi (o settimane) Dor Bosco aveva concepito di lui.
(6) Somm. cit., D. Rua, pag. 112. — Nelle Mem. Biogr. è frequente il fatto del suggerire a qualcuno di dire al tale qualche cosa o di seguirlo e tenerlo d´oc

148
abili e cortesi, ma persuasive, perfino irresistibili (e lo dice), maniere con le quali il giovinetto riusciva ad ottenere l´intento. I casi anno¬verati non sono molti, giacchè la prudenza non permetteva allo scrit¬tore di parlare di persone viventi e conosciute da tutti, e i Processi ci dicono molto di più; ma in ogni caso quella che appare è l´indu¬stria meravigliosa, certamente anche meditata, con cui il Savio ma¬neggiava la sua bontà, l´eutrapelia o giocondità, la disinvoltura, non di rado la sua positiva carità, per volgere al bene chi n´aveva bisogno. In ciò fare non era solo e non era il solo, e lo si vedrà nell´ultimo quadro del suo apostolato; ma in lui eccelleva e rimase tipica codesta attività, nella quale è riposto e stabilito un dato capitale del sistema educativo del Santo Pedagogo, il lavoro collaborativo dei suoi giovani stessi.
La Vita (capo XII) ci descrive il Savio come l´anima della ricrea¬zione, in una pagina che può servire di modello pedagogico a chiunque voglia capire lo stile salesiano della vita del cortile. Il santo giova¬netto, anima tutta e squisitamente salesiana (non per nulla il Papa ha visto in lui un ritratto di Don Bosco), se ne valeva ai fini dell´apo¬stolato: « quanto diceva o faceva, tendeva sempre al bene morale di sè .o degli altri ». Possedeva l´arte della conversazione piacevole e gar-bata (i), non interrompendo chi parlava, volgendo il discorso su cose d´interesse quotidiano, o spargendolo di amenità: voltandolo abilmente se piegava male: « l´aria allegra, l´indole vivace, lo rendevano caro anche ai compagni meno amanti della pietà, per modo che ognuno godeva di potersi trattenere con lui, e prendevano in buona parte quegli avvisi che di quando in quando suggeriva » (a).
Gli episodi del dissuadere dal mascherarsi o dall´andarsi a bagnare, dello stornare dall´intruso predicatore, del giornale strappato, rien¬trano in questo campo. Ma si hanno conversioni vere e proprie di costumi e d´idee. A non dire di Celestino Durando (divenuto poi una delle colonne della Congregazione), che, venuto all´Oratorio con tutt´altra idea, si volse alla vocazione ecclesiastica e salesiana (3), ri¬mane tipica quella deI giovane Roda, artigiano sperduto e mal avvezzo, che il Savio corresse a poco a poco delle abitudini volgari o irreli¬giose,. e portò a vita onesta ed esemplare; e il Roda fu a 74 anni
chio per correggerlo. o Guarda se puoi dire in bel modo al tale, che... » era la forma. Ai tempi miei lo faceva ancora, quando poteva.
(i) È l´urbanitas et comitas con che l´Ernesti traduce il greco EISTpar.EXía.
(z) Cfr. infra, pag. 155, il riferimento del FABER, Conf. Spir., pag. 39. — E con tutti questi dati, osiamo domandare, chi ravvisa qui il tisico che nella mente di taluni dovrebbe essere il Savio ?
(3) Somm. cit., Francesia, pag. 42.

149
buon testimonio al Processo Apostolico della virtù di chi l´aveva sal¬vato (i).
E come questo, altri molti. « Soleva, dice Don Rua, sia per pro¬pria iniziativa, sia per suggerimento avuto da qualche superiore (ma allora non c´era che Don Bosco) prendere di mira qualche giovinetto più discolo, più bisognoso di assistenza, per assistérlo in modo par¬ticolare, e trattenersi d´avvantaggio con esso al fine di condurlo col mezzo della carità e delle buona maniere a tener buona condotta >> (a). È quasi una replica, e cioè una conferma, della pragrnatografia della Vita, dove l´Autore lo mostra nella varietà delle maniere di guada¬gnarsi i giovani che l´interessavano; com´è l´episodio del gioco inter¬rotto ad un punto, per impegnar il compagno a confessarsi poi con lui.
E il Cagliero poteva dire: « Da parecchi fatti che vidi io stesso e da altri che mi narravano i compagni, il piccolo Savio ottenne per la sua virtù, buon cuore ed angelico aspetto conversioni subitanee di compagni di scuola e adulti coi quali si era incontrato per caso: smet¬tendo alle sue insinuazioni l´abito della bestemmia. Così pure consta :dalla biografia » (3).
Ed è la Vita che ci fa sapere (Cap. XII) d´una « specie di società » formatasi tra « alcuni altri giovani amanti del bene... per darsi alla conversione dei discoli; il Savio vi apparteneva ed era dei più zelanti ». Il buon Padre s´indugia a descrivere le amene industrie con che ri¬chiamava a sè i monellucci sventati, offrendo una coserella a chi ri
(1)"SOMM. Proc., cit., pag. 21-2z; pag. 55 e 220. — Diceva: « Nel /854 en¬trai all´Oratorio e Don Bosco mi diede per compagno Savio Domenico perché mi guidasse nei primi giorni e m´indicasse quello che dovevo fare o. Pag. 21-22.
Altrove: *Nei primi giorni della mia venuta all´Oratorio, giocando a bocce con lui, mi lasciai vincere dalla trista abitudine di bestemmiare, che aveva con¬tratto vivendo abbandonato e senza istruzione ed educazione alcuna. Appena udì la bestemmia, cessò il gioco, lasciò sfuggire una parola di doloroso stupore, e avvicinatosi a me, con caritative parole mi consigliò di recarrni subito in cerca di Don Bosco per confessarmi: il che io feci immediatamente, e quest´ammo¬nizione fu così salutare, che da quel tempo io non caddi in simili mancanze o. Ivi, zio. — Altrove (pag. 55); a Io debbo allo zelo del Savio se, appena arrivato all´Oratorio, mi diedi a frequentare i Sacramenti... Quando entrai all´Oratorio io non conosceva le preghiere del buon cristiano, nè mai mi ero accostato ai Sa¬cramenti ».
Altre positive deposizioni del medesimo si hanno su altre questioni; ma su tutte domina sempre il ricordo della sua conversione. Giovanni Ambrè Roda morì di 96 anni a Racconigi, e pochi mesi prima, presentato a S. A. R. il Prin¬cipe di Piemonte, come il decano della sua terra, non fece che gloriarsi di esser
stato allievo di Don Bosco. Pei vari riferimenti, cfr. sopra pag. 146, n. 4, e
più sopra, pag. 135 e 147, n. 5.
(z) Somm. cit., D. Rua, pag. 112. (3) Somm. cit., Cagliero, pag. 222.
16 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.

150
sponderebbe per primo a una domanda di Catechismo. Forse a tale società (lontano abbozzo della futura Compagnia organizzata dal Savio) si deve la conversione di quel giovane incredulo, che si strascinò per più settimane lungo i cortili dell´Oratorio senza voler sapere di reli¬gione, e finalmente, tra «i consigli dei nuovi e leali amici» e la forza esemplare del clima ambiente, piegò e fu reso un altro. L´episodio è narrato dal Lemoyne (t).
o 0 o
Per vero, quell´apostolato non fu sempre accolto benevolmente,
e non mancano le renitenze, le ripulse, le villanie e i piccoli martirii. Dei malcreati, tra quella miscela di buoni e men buoni, ce n´era forse più del bisogno, e l´abbiamo detto, coi rispettivi commenti or si or no confortevoli; e se Don Bosco non ha voluto insistere troppo sui par¬ticolari, non è già che non lo lasci intendere in più punti (2). Quelli che convissero con lui n´ebbero un ricordo dei più vivi, e lungo sa¬rebbe riportare le loro attestazioni e gli episodi da loro narrati, che la Vita non riferisce (3). « Talvolta era mal corrisposto dai giovani operai (si noti), che lo trattavano come importuno e cercavano sottrarsi alle amorose premure, ed egli, senza tener conto delle sgarbatezze usa¬tegli, non perdeva di vista i più bisognosi e ricorreva a nuove industrie per richiamarli sul buon sentiero » (4). « Egli soffriva con ilarità di animo e tanta calma le offese dei compagni, che li guadagnava col suo perdono sino a promettergli che si sarebbero confessati e cor¬retti » (5).
E non è senza un qualche significato .che tali fatti siano riferiti o
(i) Biogr., Vol. V, cap. XXXI, pag. 367-372. — Questo dato della
piccola società di apostolato non compare affatto nei Processi. E anche questo un segno dell´indipendenza dei testi dalla Vita scritta.
(z) Cfr. al cap. XVI: l´eccesso brutale di un compagno ammonito dal Savio, che non è insensibile, ma perdona e tratta con dolcezza l´offensore. Così altrove, come si vedrà.
(3) Somm. cit.: Francesia, pag. 42: n Io poi ricordo d´aver veduto il Savio ricevere un pugno da un compagno, senz´averlo provocato, con queste parole: Adesso va a dirlo , a Don Bosco. Ricevette quell´insulto senz´alcun lamento, e con mia meraviglia seppi che il Savio non andò a lamentarsi con Don. Bosco
o con altri, ma tutto in pace perdonò al compagno ». Forse perchè era buono
e assiduo con Don. Bosco, qualcuno (come accade nella vita collegiale) pensava che « facesse la spia».
(4) Somm. cit., ctep. D. Rua, pag. 231. Id., pag. z8z, dove parla chiaramente di s ingiurie e busse, come talvolta gli avvenne di ricevere ». Quanto ai n giovani operai* cfr. sopra, pag. 74.
(5) Smuri. cit., Cagliero, pag. 223.

151
rispondendo sull´eroismo della carità verso Dio, o sull´eroico amore del prossimo o, senz´altro, al titolo dell´eroica fortezza d´animo (i).
In realtà occorrevano tutte e tre codeste virtù, santità, bontà, ca¬rattere, a sopportare e perdonare ad un peggio che maleducato, che in faccia a tutti gli lanciava l´insulto: « Va là, che sei un tisiconel ». Ciò avveniva in un giorno d´inverno, in cui, attorno ad una stufa (la sola di tutta la casa!) messa in uno stanzone a terreno dove si fa¬ceva ricreazione, si trovava con tanti altri (tra cui i testimoni di veduta, del Processo) il povero Savio, tormentato dai geloni e mal coperto:
e un ragazzaccio (che si seppe poi essere un tal Rattazzi) lanciava dal di fuori palle di neve là contro. E il buon Domenico lo ammoniva, ricordandogli che solo la sera innanzi Don Bosco aveva avvertito di non farlo: e forse disse qualche altra parola di richiamo più personale alla disciplina e all´assennatezza. E fu una furia d´insulti volgari e di percosse: d´uno schiaffo almeno parlano tutti. E il piccolo santino si fece di fiamma in volto (che sangue nelle vene n´aveva), ma si contenne
e abbassò la testa, e rispose all´offensore: « Io ti perdono, hai fatto male: non trattare altri in simile modo ». E benchè sollecitato a rife¬rirne a Don Bosco, non volle farlo. Tutti soggiungono che poi, a mente calma, quel ragazzo si penti d´aver maltrattato quel santo fanciullo, ed anzi mutò condotta: il Cerruti aggiunge che, uscito poi rifatto dalle mani di Don Bosco, pervenne ad occupare un´importante carica dello Stato (2).
O o o
Queste erano vittorie ottenute colla forza della bontà nella lotta contro il male. C´è nello straordinario lavoro della carità spirituale del Savio un altro apostolato, ed è quello costruttivo del bene. In certi gesti, chiamiamoli cosi, del suo alunno Don Bosco ha veduto appunto un´opera di conquista, non certamente combattuta, ma ´penetrativa,
e sono i momenti nei quali agisce il buon cuore. Egli ci descrive (Capo XII) la sollecitudine di lui nel cercare, confortare, rasserenare gli animi di quelli che « o per essere rozzi, ignoranti, meno educati,
o crucciati da qualche dispiacere, sono per lo più lasciati in disparte dai loro compagni. Costoro soffrono il peso dell´abbandono, quando
(t) Cfr. Somm. cit. Tit. VIII, Tit. IX, citati: e Tit. XIII: De heroica forti-taciute, pag. 279-282.
(z) Somm. cit.: Cagliero, 193; Cerruti, 220 e 282; Francesia, 234. Cfr. sopra, pag. prec., n. 2: è probabilmente il fatto a cui allude la Vita. I testi danno nei particolari referenze diverse che poi ricompaiono qua e là nel racconto di Don Bosco; ma è facile accordarle tutte in un senso e fatto medesimo.

152
avrebbero maggior bisogno del conforto d´un amico. Questi erano gli amici di Domenico. Loro si avvicinava, li ricreava con qualche buon discorso, loro dava buoni consigli: quindi spesso è avvenuto che gio
vani, decisi di darsi in preda al disordine, animati dalle caritatevoli parole del Savio, ritornavano a buoni sentimenti ». Il ritornavano dice
tutto il pensiero del buon Padre, che non volle mai vedere in casa sua ragazzi isolati, appartati, abbandonati; e la vita del cortile doveva es¬sere la cura profilattica del male a cui conduce l´isolamento.
E il Savio era tanto con lui e compenetrato del pensiero del Mae¬stro, che esercitava in tal parte un efficace apostolato. Aggiungete a
questo la cura ch´egli si dava dei nuovi arrivati, per lo più sperduti e
nostalgici, e sovente, per le loro origini, grossolanamente scontrosi e selvatici. Il nostro santino era il primo a rompere il ghiaccio, e lavo
rava ad acclimatarli, a far loro piacere la vita dell´Oratorio; e il noi che allora usava voleva dire che egli e tutti facevano una casa e una famiglia sola; giacchè per Savio Domenico l´Oratorio era ormai casa sua e, scampando, non ne sarebbe uscito mai più.
È una nota di lode che risuona da capo a fondo nei Processi. Con rilievi molto spiccati Don Rua e il Cagliero ci fanno vedere il suo la
voro soprattutto al principio dell´anno scolastico, tra i giovani che tor
navano dalle vacanze, e « cercando nel cortile, per le scuole e nei na¬scondigli se vi fossero compagni isolati»; e coi nuovi poi, che maggior
mente sentivano la nostalgia, e con « qualche più timido e melanco¬nico che non osava »: e gli uni incoraggiava a riprender lo studio e la pietà; agli altri raccontava fatterelli, e dimostrava « la felicità di tro¬varsi nella casa del Signore, sotto la guida di un Padre tenero come Don Bosco »
Il Cerruti ricordava di se stesso il primo incontro col Savio. La sua deposizione ripete letteralmente quanto aveva pubblicato nel
1907 e fu riportato dal Salotti. E la conclusione di quel carissimo dia
logo dove, per distrarre il novellino dalle sue melanconie, il santino gli dava a risolvere l´etimologia di sonnainbalo, la conclusione fu un:
« Saremo amici, è vero? » (2). Altrettanto diceva di sè il Ballesio, che « la prima sera, solo e piangente » fu avvicinato da un giovane che io consolò della nostalgia della famiglia e del paese natio, e conobbe poi ch´era il Savio (a).
(i) Somm. cit.: Don Rua, pag. 112 e 231; Cagliero, pag. 59-6o: e tutti af
fezionava alla vita dell´Oratorio ».
(2) L´amico della Gioventù, 15 marzo 1907. SALOTTI, op. cit., cap. XI, 126-128. — Somm. cit., Proc. Apostolico, pag. 18-19: deposizione del 15 settembre 1915.
(3) Somm. Proc., Ballesio, pag. 1 e pag. z8. Cfr. anche ivi, Roda, pag. 55. -- Cosa singolare, che questa sia la prima notizia che ci dà il Sommario.

`-+; 153
Era gentilezza dei buon cuore che operava un vero apostolato di efficacia duratura. Lo dicono le parole di Don Rua che concludono questa serie di notizie: « Parecchie volte mi avvenne di sentir allievi che, divenuti chierici ed anche preti, accennavano che, se essi non si erano lasciati vincere dalla nostalgia, Io dovevano alle cure di qualche buon compagno, che fin dai primi giorni s´era interessato di Loro, e tra questi spiccava su tutti il buon Savio v (i). Che se, invece d´un solo, son parecchi gli apostoli del conforto in casa di Don Bosco, si fa tanto più evidente ch´essi erano ispirati dal Padre comune, e che dunque lo spirito del Maestro trapassava ne´ suoi discepoli, e più che mai nel -più perfetto di essi. I soliti pedagogisti non arrivano a queste finezze.
Più prossimo ancora al significato che noi diamo alla parola era l´apostolato delle opere di misericordia spirituale (a). L´Autore ac¬cenna in brevi tratti quella del consolare gli afflitti, riserbandosi a dirne di più quando vorrà lumeggiare le squisitezze di quell´anima bella e gentile (Capo XXII). Ma intanto, poiché discorre di conquista dei cuori, non lascia di mettere in luce anche questa, per la quale il suo giovinetto si veste di quella simpatia profonda onde a lui i cuori si aprono. Come consolava i sofferenti della vita collegiale, cosi «tutti_ quelli che avevan qualche incomodo di salute dimandavano Domenico per infermiere, e quelli che avevano delle pene provavano confoi-to esponendole a lui. In questa guisa aveva la strada aperta ad esercitare continuamente la carità del prossimo ed accrescersi merito davanti a Dio ». È, come diciamo, un´anticipazione, ma non uno spostamento di materia.
L´attenzione dello Scrittore si volge, con più stretta inerenza al suo tema, nei due capitoli a cui ci riferiamo (Cap. XI-XII), al fervore del discepolo per promuovere l´apprendimento del Catechismo: una vera vocazione. Ed apprendiamo che avrebbe voluto andar sul mo¬mento in Inghilterra a predicarvi la sana dottrina; avrebbe voluto, in chi doveva, maggior zelo per istruire i fanciulli nelle cose della fede; che già preannunziava ciò che, fatto chierico, avrebbe voluto fare al suo Mondonio: radunare tutti i fanciulli sotto una tettoia, e raccontare esempi, e farli tutti santi: perchè la perdizione di molti dipendeva « dalla mancanza di chi li istruisse nella fede ». E, come poteva per la sua età e statura, si prestava a supplire i catechisti mancanti all´Ora¬torio festivo, e tutti lo volevano per la sua amabilità, e vigilava contro l´intrudersi degli emissarii protestanti e li faceva allontanare: prendeva,
(i) Somm., cit., D, Rua, 112.
(2) La parola viene dalle deposiz. 1Vlelica, pag. 219, e dal Cagliero, pag. 22,2 dei Somm, cit.

154
non senza suo incomodo, in disparte qualche compagno nuovo ancora ignaro della religione e lo istruiva (i).
E mentre il suo fervore si dispiegava nelle opere dell´Oratorio in¬terno ed esterno, egli pensava già al lavoro delle vacanze tra i suoi piccoli conterrazzani. L´Autore si compiace in descrivere la cura che egli aveva di provvedersi d´un mondo di oggettini religiosi « da far star allegri i suoi amici di ricreazione ». Ma questa pel piccolo missio¬nario non era che l´occasione attraente per condurre al Catechismo, alle funzioni, o per fare egli stesso la dottrinetta, così, all´aria aperta. Nel tracciar queste linee Don Bosco non s´accorge di fare insieme (o piuttosto diciamo che rivive) il suo autoritratto: giacchè quello ch´è detto del Savio risponde appuntino a ciò che sappiamo della sua prima età, e il Savio ha il suo medesimo spirito, che a lui corrisponde in pieno in grazia d´una vocazione simile alla sua.
Così ci appare naturale che il buon Padre s´intrattenga a disegnare il suo bozzettino del Savietto che insegna ad un piccino il segno della Croce, promettendo un premio subito e uno poi, spiegandone e aiu¬tandone il gesto; così vien bene colloCato l´altro quadretto del buon Savio che fa il maestro ai due fratellini, e li porta con sè per la cam¬pagna e li assiste in ogni cosa per farli buoni e pii (a).
Per dir breve, tutto il tempo delle vacanze diventa una missione per il piccolo paesello, e il piccolo Missionario lavora tra i coetanei e i compaesani, e risuscita il Catechismo e la pietà, e la pratica delle Visite al SS.mo Sacramento. Bene conclude lo Scrittore dicendo « che non presentavasi a lui occasione di fare opera buona, di dare un buon consiglio che tendesse al bene dell´anima, ch´egli si lasciasse sfuggire >>. È anche questo un lineamento comune al discepolo e al. Maestro (3).
(i) È superfluo citare qui le testimonianze del Processo, le quali a ciò ch´è detto nel libro aggiungono pochissimi particolari, che abbiamo già inseriti di pas¬saggio. Ma tutti sono concordi sull´operosità infaticata e sagace del. Savio, e quel¬l´amabilità con cui faceva accogliere la sua intraprendenza e carità. Cfr. Somtn. cit., Francesia, zo; Melica, r24-125; Cerruti, 124-126; Lett. di Angelo Savio chierico, pag. 453, e passim.
(2) Lett. del eh. Angelo Savio (13 dic. 1858): « Alle volte per mano condu¬ceva due suoi fratellini, a cui indirizzava le più tenere parole, e diceva: — An¬gioletti son dessi! Saranno ben cari al Signore! — e cose simili. I vicini che lo sentivano erano meravigliati al vedere un giovanetto sì buono e giudizioso e. &min., /oc. cit., 453.
(3) Massima di Don Bosco giovane prete: e Un prete è sempre prete, e tale deve manifestarsi in ogni sua parola. Ora esser prete vuol dire aver per obbligo continuamente di mira il grande interesse di Dio, cioè la salute delle anime. Un sacerdote non deve mai permettere che chiunque si avvicini a lui ne parta senz´aver udito una parola che manifesti desiderio della salute eterna della sua anima e. (Mem. Biogr., cit., III, 74-75). Il Savio viveva già fin d´allora in questo spirito.

155
o o o
V´è ancora un altro tocco, che direi di fmitura, per questo primo quadro, ed è, come fu detto sopra, la penetrazione e l´attrazione al bene. Il santo Autore ne discorre sparsamente, giacchè in questo genere l´azione ha più stretto legame con.l´esercizio delle singole virtù, e più ancora col fervore della pietà, e perfino con la vita mistica, che pervade l´anima e il vivere del suo giovinetto santo, e insieme con l´attività dell´apostolato interviene l´efficacia dell´esempio e il concorso dei doni soprannaturali. Per questo il nostro discorso, se non vuol essere una rassegna inorganica di fatti, dovrà rinettere ad altro mo¬mento, e ai momento sovrano su tutti, la presentazione delle più alte e vaste attuazioni dell´apostolato.
Non però che le testimonianze dei Processi non ci offrano più che sufficiente materia a delineare nella sostanza quella che fu codesta permeazione, che da lui si estese nel mondo che lo circondava. L´in¬defesso apostolo del bene, sempre allegro e sorridente coi condisce¬poli (1) ci è presentato (e da una fonte davvero impensabile, quale il Roda) « molto zelante non solo della propria, ma anche dell´altrui perfezione, facendola da vero apostolo tra i suoi compagni, sia colle parole, sia cogli esempi, cercando di portare tutti al bene coi consigli, colle ammonizioni, colle preghiere. A tale scopo sapeva unire mira¬bilmente la giovialità alla pietà e modestia, per attirare i più discoli » (z). La giovialità, che lo Scrittore della Vita segna nel suo Capo XII, è notata da tutti, giacche è la veste più attraente dell´apostolato, com´è un elemento dell´aria di Don Bosco e una• proprietà del suo ritratto. Sbaglierebbe chi si figurasse la presenza dell´amabile santino e la sua attività come qualche cosa di uggioso, di molesto, di pesante. Come più volte s´è detto, e spiegheremo nel libro seguente, dicendo della simpatia, egli è soprattutto un tipo lieto e ingegnosamente gioviale, che attacca senza parere, e penetra amabilmente, e trova sempre l´ora più giusta e la parola più a proposito. È un piccolo genio, il genio della giovialità conquistatrice. V´è per questo una bella pagina del Faber, dove l´uomo gioviale e di umore lieto è definito un apostolo ed un evangelista (3).
Cosi il Savio potè essere considerato come uno dei primi e più
(i) Somme. cit., Cagliero, 6o.
(a) Somm. cit., Roda, roo-xot. Le deposizioni del Roda mostrano che, se all´Oratorio e dopo visse la vita del lavoratore, non rimase però un incolto, e l´educazione avuta da giovane fece di lui un uomo di non comune valore.
(3) Confer. Spir., ediz. cit., I, pag. 39. — Cfr. sopra, pag. 148:

156
forti promotori della Comunione frequente e quotidiana (i), e il vero iniziatore della Visita al SS. Sacramento dopo le refezioni (z). .E non è una lontana induzione di tempi posteriori: l´efficacia del suo agosto-lato era tanto sensibile, che già nel 1855-56, second´anno della sua vita oratoriana, « era voce comune che promotore principale della divo¬zione, che si manifestò in quegli anni, fosse frutto della sua devozione alla Madonna » (3). 11 medesimo teste dirà anche di più, dopo Visti¬íuzione della Compagnia.
Se vogliamo una parola che includa e concluda tutta questa splen¬dida storia di conquista d´anime, quale siam venuti leggendo, la tro¬viamo detta dal Cagliero, il quale, come abbiam fatto noi pure, ed ha fatto Papa Pio XI, vede in quella un riflesso di Don Bosco e della salesianità: « La salute delle anime gli stava a cuore, oltrecchè dal¬l´innato spirito dell´amor di Dio che vuole la nostra eterna salvezza, anche dagli sforzi del nostro Padre Don Bosco, tutto zelo e sacrificio per il bene e la salvezza dei suoi giovani» (4). E come Don Rua escla-mava: « Era cosa veramente ammirabile vedere in cosi tenera età sentimenti di un vero apostolo » (5), cosi PP. Pio XI poteva definirlo e descriverlo con tratti incisivi: « Piccolo, rna grande apostolo in tutte le occasioni; attentissimo a coglierle, a crearle, facèndosi apostolo in tutte le situazioni, dall´insegnamento formale del Catechismo e delle pratiche cristiane, fino alla partecipazione cordiale ai divertimenti della prima età, allo scopo di portare dappertutto la nota del bene, il richiamo al bene » (6).
(i) Somrn., cit., Francesia, zzo. Altrimenti citeremo altrove.
(z) Smnm. cit., Branda, 138. — Ma il Savio non si limitò a questo particolare.
(3) Somm. cit., Francesia, 159.
(4) Somm. cit., Cagliero, pag. 222. Per fedeltà al testo, lascio intatta la di-citura_ Il Cagliero faceva questa deposizione il 31 luglio 1916, tornato appena dall´America. — Si veda intanto come il Cagliero ha veduto nell´apostolato del suo amico Santo le medesime fonti delle quali abbiamo noi ragionato.
(5) Somm. cit., Don Rua, 232.
(6) Disc. cit., 9 luglio r933, n. 7. E al § zo lo ripresenta come rispecchiante Don Bosco « nei, caratteri più cospicui della sua esistenza »: che sono, in Don Bo¬sco, tutti i singoli modi dell´apostolato, il raccoglimento dell´unione con Dio, e lo spirito di mortificazione e di lavoro apostolico.

LIBRO IV
LA PERSONA

CAPITOLO I
La simpatia.
Le parole del Pontefice, ricordate alla fine del libro precedente, con alcuni tocchi di pratica realtà, ravvicinano a noi la piccola persona del nostro giovanetto, che ci si presenta viva e operante nella sua azione. E se la circostanza l´avesse consentito, non è da dubitare che non pochi, anzi quasi tutti, i commenti che vi si fanno alle virtù del Savio, avrebbero preso un consimile, ed anche più spiccato atteggia¬mento (i).
Voglio dire che l´attenzione alla realtà visibile e quotidiana della persona e del carattere nella vita vissuta si mostra necessaria ogni volta che si voglia effettivamente e concretamente intendere o spiegare che cosa fu quel vivere da Santo, che, dopo tutto, è il-dato essenziale di ogni santità. Come, al vedere il ritratto fedele di un personaggio, noi diciamo con Dante: « Or fu sì fatta la sembianza vostra ? » (2), e ri¬pensandone la vita, ci sembra di capirla meglio: così, per sentir più vera e prossima la santità del nostro eroe, è indispensabile (direi « quasi », ma senza convinzione) delineare la figura visibile e quoti¬diana dell´essere suo o, diciamo, il ritratto vivente.
Molte cose di più, se anche non tutte, si capiscono, quando la persona ci sta oggettivamente dinnanzi col suo aspetto, colla sua espres¬sione, colle sue maniere, con le abitudini e gli atteggiamenti, coi sen¬timenti; e, insomma, con la sua presenza fisica e con le manifesta¬zioni della sua indole propria e del suo carattere: tanto meglio se, come nel fatto nostro, e l´una e l´altre danno prova d´essere animate da uno spirito squisito di virtù. Nel Santo è bene vedere anche l´uomo ed è necessario vedervelo, se non si vuoi supporre che l´uno
(i) Se ne travede la tendenza in certi spunti e parole usate nell´accennare alla persona: per es. l´insistere sul piccolo, ma grande, ecc. (2) Par., XXXI, io8.

16o
e l´altro siano diversi e separati, e non anzi che il Santo sia l´uomo stesso che colla grazia di Dio s´innalza al sovrumano e al sopran¬naturale.
Volendo dir la cosa in parole più povere (che san poi le più co¬mode per farsi intendere) noi ci mettiamo in questa posizione: Se fossimo stati noi presenti all´Oratorio di Don Bosco quando c´era il Savio, quale l´avremmo veduto? Come ci sarebbe apparsa la sua per¬sona, il suo modo di trattare e di parlare, il suo diportarsi tra i com¬pagni e nella vita comune: che idea ci saremmo fatti della sua indole, del suo cuore, del suo carattere? E chiamati ad esprimere quel che pensassimo di lui, che cosa avremmo detto?
E abbiamo già bella e pronta la risposta. Noi avremmo ´ veduto, pensato, sentito, e avremmo detto precisamente quello che dissero i testi coevi e compagni rispondendo ai quesiti dei singoli Processi. Qualcuno, in sede di opposizione procedurale, osservò che veramente, a tanta distanza di tempi, i testi non potevano dare che notizie fram¬mentarie e fors´anche un po´ svanite: ma, oltrecchè non sempre è vero e non è di tutti, anche così, senza pretesa di sistema, esse no¬tizie sono vive e vere, e attestano un´impressione che neppur mezzo secolo era riuscito a cancellare o indebolire. Tantochè fu detto, in ri-sposta alla non pericolosa abbiezione, che, raccogliendo e ordinando quelle deposizioni, e neppur tutte, c´era da comporre, senz´altra fonte, uno splendido profilo di Santo, tale da bastare abbondevolmente ad una definizione canonica
La Vita scritta da Don Bosco appare tanto più autorevole, in quanto, senza mai soffermarsi a tracciare un profilo d´insieme, ne segna sparsarnente i lineamenti precisi e irrefragabili, concatenati e immedesimati coi fatti: sicché, quando ci si accinge a disegnarne la figura, mettendo insieme tutto quello che deriva dall´altra fonte, sem¬pre si trova, più che un riscontro, una medesimezza fontale, che di¬mostra come il santo Scrittore avesse presente il suo piccolo eroe, e come apparisse agli occhi suoi appunto quale gli altri lo videro. Non sono frequenti, o almeno non molto estesi, i tratti descrittivi dell´eto¬peia; ma gli spunti e i brevi accenni comprensivi gettano, come s´è veduto già di certe sentenze, chiara luce sul tutto, e valgono di buon tracciato per dar carattere alla figura. Si potrebbe dire, anzi, che, in grazia dell´esemplarità a cui mirava con quelle sue Vite, fosse in¬dotto a trattenersi di preferenza su ciò che nel suo giovanetto (e
(i) Non cito i documenti, che pure ebbi in mano, perchè stanno sotto riserva negli Archivi della S. Congregazione dei Riti. Modestamente, ci sta anche qual-, che mia pagina.

L-a 161
negli altri venuti dappoi) era virtù visibile, e cioè sui fatti e dimo¬strazioni esteriori: benché poi non abbia potuto esimersi dal se¬gnare anche quello che non era soltanto virtù esemplare, ancorchè eroica, ed abbia notato anche lo straordinario e il soprannaturale,
fino ai carismi proprii dei Santi, anch´essi, del resto, storicamente veri.
Al compito nostro è pertanto indicata e aperta la via dell´adem-- pierlo: raccogliere in sintesi tutta quell´ampia e molteplice somma di notizie che ci deriva dalle testimonianze dei Processi e dalle suggestive parole del santo Scrittore, per dare la sensazione viva della presenza del giovane santo nei fatti che compongono la storia e la prova della sua santità: vedere la persona di lui quale si offre al- lavoro inte
riore della santità stessa, che innalza l´essere umano all´essere dei Santi.
Chi bada agli schemi potrà pensare che, sotto altro titolo più lette¬rario, si voglia qui discorrere delle virtù morali, o naturali o infuse che siano, e, ad ogni modo, fuori del campo delle virtù teologali e dei carismi e doni soprannaturali. Non è precisamente questo il nostro assunto. Le virtù morali c´entrano anch´esse, appunto per la loro in¬trinseca connessione con la natura e il carattere personale nativo o acquisito: e non occorre sbandarci in dimostrare il nesso che tali virtù hanno con l´effettuazione della carità, che sta in capo ad ogni perfezione e n´è il principio vitale e indispensabile (i); ma esse non sono il tutto di una persona o d´un´esistenza, o, quanto meno, ogni persona le possiede, se ha un carattere, in forma e misura propria a se stessa: sicché l´articolo procedurale che le contempla, torna, pra¬ticamente, a far definire un aspetto del carattere stesso (a).
Dal che vede ognuno come non sia possibile, per questo aspetto, un parallelo, e anche meno un accostamento al tipo di S. Luigi Gon¬zaga. I due giovani santi (ma non si dimentichi, oltre al resto, che San Luigi mori a ventitrè anni studente di teologia, e diretto da una Re¬gola) possono assomigliarsi in certe cose e in taluni aspetti della santità; ma nel carattere personale e in ciò che ne deriva (anche per la diversità delle condizioni) non possono confrontarsi, se non per dire che son due personalità diverse come le loro due nature. Le figure . dei Santi differiscono tra loro come le fisionomie degli uomini, in terra e nell´Empireo.
(i) COLITIVERA-MARMION, OP. Cit., pag. 293-298. Cfr. ivi, pag. 295-97, dov´è spiegato s le service que les vertus morales doivent rendre à la charité ».
(z) C´è, p. es., l´umiltà in S. Francesco d´Assisi e in S. Francesco di Sales; possiamo dire che i due Santi siano umili allo stesso modo?

162,
o o o
Vi è tuttavia un riflesso da non trascurare. Quando si studia il nostro « piccolo, ma grande Santo » nei fatti, si è costretti a vedervi attuazioni e attività di Santi non fanciulli. Sovente di piccolo non c´è che la figura fisica e l´età verde: mentre il fatto, l´azione e il senti¬mento che l´inspira è grande, da uomo fatto e da santo lungamente maturato. Non per nulla Don Bosco, scrivendo dei suoi giovani santi, è molte volte indotto ad osservare che essi fanno o pensano o sentono oltre la loro età, e in fatto di progresso spirituale avverte che quanto è per dire del suo giovinetto è cosa da persone provette e temprate da lungo esercizio di perfezione (i). Così, e più d´ogni altro, s´ha da pensare del Savio. Non c´è da insistere troppo sull´essere suo di fan¬ciullo o poco più, se non per ammirare la maturanza celerissima della santità, che fa di lui, a 15 anni, un « gigante dello spirito ». Sono i precorrimenti della grazia, alla quale non tocca all´uomo segnare i tempi. Che se di virtù s´ha da parlare, nel fatto nostro presente quelle che c´interessano sono soprattutto le virtù esterne. Grave errore sa¬rebbe il trascurarle nello studio anche d´un Santo, come se, per es¬sere virtù naturali, fossero estranee alla struttura spirituale e meno atte a disporre alle ascensioni ´superiori. La bontà, la gentilezza, l´affabi¬lità, la cordialità, l´apertura sincera dell´animo, la gratitudine, il ri¬spetto, la sopportazione, la puntualità nei doveri, sono riflesso esterno d´una soda spiritualità, e talmente congiunta con essa, che non le tra¬scura se non chi è proprio all´infimo grado del cammino di perfe¬zione: quel grado che, per lo più, rende antipatica agli altri troppa gente che vuoi essere pia (z). Noi sappiamo ch´è merito di S. Fran¬cesco di Sales avere rimesso in valore codeste virtù nella vita spirituale, seguendo i dettami di S. Paolo, specialmente nel Capo XIII della Prima Epistola ai Corinti: e gli Indici come gli Estratti delle sue opere sono ricchi, quanto nessun altro, dei richiami e delle sentenze che a tali doti si riferiscono (3). E 1´Introduction à la vie dévote n´è il docu¬mento principe. E la dolcezza vorremmo dirla una piccola virtù, e un affare di buon garbo piuttosto che di santa vita, quando la vediamo sublimata e glorificata in un Santo come Egli fu? (4).
(i) Cfr. Vita di Besucco Francesco, capo XXII, pag. 118 (ediz.
(2) FABER, Conf. Spir., I, I, pag. 16-17.
(3) Cito, perchè ornai rarissima, la utilissima Somme ascétique de St. Fr. de Sales, ecc. dell´ab. NESTOR ALBERT, Paris, Oudin Frères, 1878.
(4) Per la dottrina sovra esposta, cfr. FABER, Conf. Spir., cit., pag. 44-45, 47-52. — È in sostanza appunto la dottrina di S. Francesco dì Sales in: baro¬duction à la vie dévote, Parte III, cap. I e II, e generalmente in tutta quella

16,3
E per non allontanarci da Don Bosco, non è forse uno dei più spiccanti caratteri ed anzi il tono stesso della salesianità (i), quello della santità casalinga, fatta cioè di forti ed elementari virtù, vestite e operanti nelle forme della vita ordinaria e nelle forme più ordinarie del vivere? (z).
o o o
Il libro di Don Bosco, nella semplicità e candore della sua forma, conquista ogni lettore, perchè rende simpatico il soggetto: come le Mie Prigioni di Silvio Peffico hanno commosso tutti i cuori e, anche fuori della sentimentalità romantica, hanno attirato su di lui una cor¬rente di simpatia che non sarà mai cancellata. I due più caldi amatori del Savio, Don Bosco e il Cagliero, l´uno scrivendo, l´altro descriven¬dolo al Processo, hanno, senza usare per sè la parola, fatto sentire ad un tempo la simpatia ch´essi provarono e quella che, da lui spirando, per lui nasceva (3). Non è dubbio che in questo avesse parte l´affi¬nità di animo e di spirito; e se, quanto al santo Maestro, è già cosa più volte affermata, non è meno vera per il grande Missionario, che trovava nel giovinetto rispecchiata tanta parte di sè.
D´altra parte, e parlando molto umanamente, se nell´intenzione dello Scrittore della Vita il suo eroe aveva ad essere un esemplare di vita cristiana per i giovanetti, avrebbe potuto pretenderlo, qualora il modello proposto fosse pure un santo, ma un tipo meno attraente? Di santi più ammirevoli che attraenti ve ne furono sempre: ma il Santo Maestro ha insegnato e messo a fondamento la pietà simpatica, la letizia, la serenità, il sorriso, e Savio rispondeva meglio d´ogni altro all´idea. Forse nella mente di molti, anche credenti, l´idea d´un Santo è quella d´una persona incomoda in società e, come si direbbe, pe¬sante. Si è detto già che pel Savio bisogna allontanare codesta idea. Egli è una figura sorridente.
In realtà la prima e incancellabile impressione lasciata dal piccolo
parte, rimasta classica e storicamente rinnovatrice, « contenant plusieurs avis tou¬chant l´eXercice des vertus ».
(i) In questo senso Don Bosco è salesiano con S. Francesco di Sales, da cui deriva l´appellativo.
(2) È il concetto che m´è parso incarnato nel tipo della B. Mazzarello, e vi ho accennato in qualche mio scritto.
(3) Nessun rigorista vorrà far colpa al Santo Maestro dell´aver sentita tale simpatia. Don Bosco non fu mai così alieno dai sentimenti del cuore come vor¬rebbero certe astruserie pseudo ascetiche. Seppe essere figlio, padre ed amico, e voler bene teneramente. Se no, come sarebbe stato il creatore d´un sistema che si fonda sulla bontà e sull´amorevolezza? Non sentì forse Gesù simpatia per quel¬l´adolescente (Msnc., X, 21), e non vi fu un discipulus quem diligebat jesus:´

164
erbe in quanti, poco o molto, Io conobbero, fu la simpatia. A scorrere le testimonianze dei. Processi, essa appare nel tono dei discorsi, che notano i particolari di fatti virtuosi e disegnano le belle abitudini con una tenerezza pari all´ammirazione convinta per la santità. Non possiamo qui trasportare, e basterebbero da soli, i discorsi del Cagliero: nel fondo dei quali i due motivi più forti del caldo suo sentire sono la maturanza della virtù in quel piccolo santetto (« piccolo » è sempre la parola che ricorre), e la serena e geniale ilarità, che in lui era natu¬rale, e che attirava subito le simpatie di tutti. Socievole e amorevo¬lissimo, mirabile coltivatore di bontà, virtù praticate piacevolmente, con facilità e spontanea volontà, serenità di animo, aspetto geniale ed ilare naturalmente, inalterabile carattere che appariva nativamente mite e pacifico e d´una dolcezza ammirabile; maniere belle e attraenti, umiltà schietta nel portamento e nel fare: in fondo a tutto, buon cuore e cor¬dialità generosa: sono i termini con che s´intesse il parlare del Grande amico (i).
o o o
E che non sia solo il sentimento d´un amico, ce lo conferma con una parola un documento degli Atti: « un modo di agire così bello, che sí procacciava i cuori» (z). Citazioni consimili sarebbero infinite. Dice il Ballesio: «Umiltà naturale e congenita nella sua persona lo rendeva caro e simpatico a vederlo e trattargli insieme ». E il Piano: « Amico di tutti, era da tutti riamato » (3).
Io non credo di esagerare riconoscendo in codesta cara personcina una specie di fascino che avvinceva l´animo di ognuno che lo avvici¬nasse. Mi pare (e tanto più tue ne convinsi dopo la lettura dei Pro¬cessi) che con quello si possa e si debba spiegare tanta parte dell´irre¬sistibile potere di bene e d´apostolato ch´egli diffuse intorno a sè, e che gran parte dí quello ch´è narrato nella Vita non trovi miglior ragione che questa dell´indefinito nimbo di attrazione della sua per
sona.
È la persona d´un fanciullo (l´età non appare, perché è piccolo),
d´un caro fanciullo che vuol bene a tutti e tutti gli vogliono bene: di quelli a cui non si può non sorridere, perché sorride a tutti, e vi guarda con quei suoi occhi chiari e vivi d´un´allegria che vien dal cuore e dimostra l´amore, e dice parole graziose con un accento di bontà
(i) Somme cit.: cfr. specialmente pag. 57, toz, 174, 221, 278, 308.
(2) &min. cit., Docum. n. 11, pag. 474: Relazione a Don Bosco di Luigi
Marcellino.
(3) Semm. cit.: Ballesio, 306. — Piano, 84.

t-% 165
semplice e nativa, che fascia l´anima di chi lo sente d´un´affettuosità calda e sentita, e alla quale si è quasi forzati a rispondere colla bene
volenza. Cose rare, e raramente continue, che in lui sono spontanee e naturali, come nel bimbo l´ingenuità, mentre una precoce assenna¬tezza, che regola il dire e il fare, rende tanto più bella e gentile l´espan¬sione della nativa bontà.
Queste creature sorridono. Non possiamo immaginarci il Savio se non sorridente. L´ineffabile sorriso della Santa di Lisieux, ch´è
rimasto un attributo della sua figura, e n´esprime da solo tutto il significato spirituale e mistico, risplende, giacché il sorriso è luce del volto, anche sul volto del nostro fanciullo: e se in quell´amabilissima tra le tante creature fu quasi un´invenzione creata da lei ad esprimere la sua intima e inoffuscabile gioia spirituale (i), e divenne, fra le -tri¬bolazioni per cui essa se lo venne formando, il suo vero e proprio eroismo: nel nostro Savio era la nativa fisionomia dell´anima semplice
e giocondante in Dio, e riuscì anch´esso eroico, quando rifulse tra le sofferenze del suo lento consumarsi e lo sconfortevole dileguarsi degli ideali della sua vocazione (a). Nel fondo, nell´intimo, era la gioia delle anime che sentono Iddio: nell´aspetto era il sereno limpido
e schietto della comunicazione, che traduceva l´amore e la bontà. Così l´hanno ritratto incancellabilmente quei che vissero con -lui,
e se la parola del « sorriso » non è di tutti, ne rimane però sempre l´espressione che .lo fa intendere: la perenne amabile allegrezza.
Con questo siamo ad uno dei lineamenti più caratteristici, tanto nell´umano che nello spirituale, del nostro Savio. Pensiamo ch´egli si decide a volersi far santo, perché si può farsi santi « anche stando allegri » (Cap. X), e che al Gavio spiega lo stile della Casa di Don Bosco, dicendo: « Sappi che noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri » (Capo XVIII): ed avremo l´idea di quel che fosse per lui l´allegria. Ma questa era anche nativamente in lui. Era, come Don Bosco, un santo lieto e gioviale, di buon umore, nemico delle malinconie tanto dell´umore che dello spirito. Non ritorno a spiegare quanto sia prezioso codesto stato d´animo (3).
(i) Lo scrisse ella medesima di sè, che questa fu una grazia accordatale sui quindici anni, e ch´essa si era studiata di acquistare. Cfr. PETITOT, op. cit., pa-gina zoo, e per l´eroismo, Parte seconda, cap. III, 199-207.
(2) Vita, cap. XXI: « Tutti ammiravano la giovialità, la prontezza di spirito
l´assennat~a delle risposte di Domenico ». Era il consulto dei medici. — Ca¬po XXIII: » aria costantemente allegra, che non lasciava immaginare le sue sof¬ferenze... ». — Cap. XXIV: » la serenità del sembiante e la giovialità delle parole lo facevano realmente giudicare in istato di miglioramento ». Ed era per morire!
(3) Cfr. sopra, pag. 121-122, e pag. 155.
17 — CAVIGLIA, Don Bosco, ante. Voi. IV. Parte II.

166
Qui la nostra attenzione si volge alla sua presenza tra il mondo • in cui vive. Dobbiamo dire ch´egli non è lieto solo per sé, ma porta in¬torno e diffonde ove compare la giocondità e la letizia, e induce al sorriso. È un guadagnatore di cuori, perché colla gioia li fa volgere a sé, e poi li volge dove vuole. Non è idea: mia: è la presentazione assidua che ne fa Don Bosco, il quale a codesta simpatia attribuisce le riuscite dell´apostolato (1). Ma poi è rimasta l´idea di tutti, che con universale consenso uniscono la nota della sua allegria con le notizie dei fatti e dello stile del suo vivere, e la vedono. come veste dei suoi atteggiamenti, e come fonte della simpatia e come indice di bellezza d´animo. E se vi fu mai chi abbia effettuato nella più larga e profonda comprensione e senza lacune il Servite Domino in laetitia, proposto da Don Bosco ai giovani fin dalla programmatica Prefazione del Giovane Provveduto, può ben dirsi che fu il Savio, il quale, come la Teresa di Lisieux, ne fece perfino una forma di eroismo (a). Se in tutti quelli che portarono la marca di fabbrica salesiana (ne ho detto altrove) questo segno non manca mai, nel Savio esso è nella freschezza del marchio originale.
(i) Vita, cap. XII: a La sua aria allegra, l´indole vivace, lo rendevano caro an¬che ai compagni meno arn.antì della pietà; per modo che ognuno godeva di potersi trattenere con lui, e prendevano in buona parte quegli avvisi che suggeriva ». Cfr. anche sopra, pag. 155 cit.
(z) La capiranno i pittori che Savio Domenico è un Santo sorridente? Così è riuscito nel ritratto ora restituito dal pittore M. Caffaro-Rore, e chiunque Io con-templa è obbligato a dire, prima di tutto: Caro e simpatico fanciullo!

CAPITOLO II
Il cuore.
Perchè in lui l´allegria non è solamente forma e colore, ma è parola dell´anima, che all´anima discende e la muove. Non è una veste, quale può usualmente vedersi nei tipi ameni e di buon umore, virtuosi o no che siano; ma sempre, nella memoria di tutti, è ricordata insieme e come un fatto dell´amabilità, bontà, buon cuore, semplicità e cordialità; sicchè gli accenni a questo carissimo tra i doni che Dio svolge nella natura appaiono non per un articolo particolare, bensì commisti e fusi con le altre memorie (t).
Vien pertanto naturale il volgerci a queste doti, le quali, nella vita vissuta, si palesano ad un tempo non solo come virtù, ma come modi di essere proprii del tipo personale. E mettiamo in primo piano, chè non si può altrimenti, la bontà e il buon cuore, facendo un po´ di forza per distinguerli.
La bontà, nella sua figura di affabilità, di amabilità, di dolcezza, di cordialità, è appunto nel Savio la potenza affascinante. Si può es¬sere pii, virtuosi, magari impeccabili: si può persino essere capaci di gesti generosi, e perchè no ? eroici, ed essere asciutti e freddi, e riu¬scire inamabili, perché manca la bontà. Ce lo dice nientemeno che San Paolo, nel celebre capo XIII della Prima ai Corinti (2). Non è facile definire la bontà. S. Paolo preferisce darcene una descrizione, sfaccettandola come un brillante, in quel tratto della suddetta Epi-stola che tutti conoscono (3). Ma in difetto di una definizione, pos¬siamo dire che la bontà si conosce soprattutto quando manca. E noi tutti abbiamo esperienza di persone, che avranno tante belle qualità, ma sono vestite d´una durezza e d´una freddezza che distacca da loro
(a) Il lettore mi dispensi dalle citazioni, che sarebbero troppe. Ricordo in particolare dai Somvz. cit.: Cerruti, pag. i8; Molino, 46; Cagliero, 103, 128, 174; e gente. t del Cagliero l´espressione citata dell´, aspetto geniale ed ilare i> (pag. 174), ed è nel titolo VII, De he-toica spe.
(2) Ep. I Cor , XIII, 1-3.
(3) Ihid., XIII, 4-7.

168
e le rende increscevoli e pesanti, quando pure non fa prendere in ug¬gia la stessa pietà che professano (I).
Io dico della bontà come sentimento che inclina noi verso gli altri, e che si manifesta nei pensieri e giudizi, nelle parole, nelle azioni e nel tratto: potremmo dirla benevolenza, se la parola bastasse per tutte le buone azioni e disposizioni che vi s´includono o ne deri¬vano (a). Che questa bontà o benevolenza attraente e confortevole, quando si esercita appieno, non possa confondersi con un qualsiasi sentimento del tutto umano, e non possa scaturire da bassa fonte, ma attinga e sia ispirata soprattutto da fini soprannaturali, come pro-mossa dal tocco di Dio, ch´è la carità cristiana, è cosa tanto evidente che, se potessimo supporre un pagano interamente buono e benevolo, dovremmo crederlo dominato dalla grazia di Dio, e collocarlo in cielo, come ha fatto Dante di Traiano e di Rifeo (3).
Nel nostro Domenico la bontà è apparsa in ogni forma. Era affa¬bile e caritatevole: un esempio abituale di amabilità, tanto-che tutti,
i fanciulli specialmente, lo volevano, e per la benevolenza verso i compagni, chè non si rifiutava mai di fare qualsiasi piacere, si atti¬rava l´affezione di tutti: un vero modello insomma di bontà e carità verso ognuno; e non c´è da meravigliare se, nel deporre intorno alla caritas heroica erga proximum, il Cagliero ne ha intessuto un ampio e splendido panegirico, nutrito di fatti concreti e di riflessi sapienti (4).
Dei fatti una parte sono quei medesimi che la Vita ricorda e dei quali già più sopra si è detto, parlando dell´apostolato: una parte sono definizioni comprensive di abitudini: come quando si attesta: « non diceva mai parola o faceva atto che potesse disgustare i compagni, e perdonava qualunque sgarbatezza o affronto ricevuto »; oppure « era mirabile nel praticare le opere di misericordia » e che « ottenne per la sua virtù, buon cuore e angelico aspetto (si noti l) conversioni subi¬tanee di compagni di scuola e di adulti »; e che « molti, tratti dalle
(i) FABER, Confer., cit., pag. 17-18. Ma l´Autore ha parole assai più forti.
(a) Su questo tema rimane classica Ia serie delle quattro Conferenze Spirituali del Faber: op. cir., 1-55, L´A. ha sviscerata la materia sotto ogni aspetto umano e spirituale, con una compiutezza e acutezza difficilmente superabili. E dove espone il lato positivo della Benevolenza (il traduttore Mussa ha preferito questo termine a bontà), sembra ritrarre molto sovente il nostro Santino, e le idee del Santo Maestro.
(3) Par., XX, 43-48. (Traiano che a la vedovella consolò del figlio n);• 67-72 (Rifeo troiano). Per i concetti sono con FABER, op. cit., 2r-23. Ed è chiaro che, se la pratica di questa preziosa dote sta tutta nella citata descrizione di S. Paolo, essa non può essere considerata come un semplice fatto umano.
(4) Somm. cit. Cito per ordine: Piano, 38 (id.: Molino, 46; Melica, 47; Cagliero, 59); 1VIelica, 124; Conti, 225; Piano, 234; Roda, • 220; Cagliero, 221-225.

169
sue belle maniere e candore del suo aspetto, venivano i giorni festivi per stare con lui » e che, povero com´era, « sapeva infondere negli al¬tri poveri l´amore del loro stato perchè voluto da Dio: sapeva insinuare ai miserabili, ammalati o rovesciati da infortuni, un naturale compa- -
timento che partiva dal suo cuore sensibile, e li portava a tutto sof¬frire per amor ,di Dio » (I).
o o o
Tante altre sfaccettature di codesta gemma potremmo far ri¬splendere, ricavandole dalle testimonianze e, voglio notarlo, mostran¬dole già descritte nelle stupende pagine del mio solito autore. Le ve¬dremo in altra luce. Una, tuttavia, domanda di non essere differita, ed è l´umiltà. La bontà rende umili, non foss´altro perchè non vi ha cuore così bisognoso di benevolenza quanto quello ch´è egli stesso bene¬volo ad esuberanza (2). È un tratto dei più simpatici nella figura del Savio, e l´umiltà è uno dei titoli specifici del Processo (3). Ma non può affatto immaginarsi disgiunta dalla bontà, della quale è l´espres
sione elegante, così come la semplicità ne è Ia condizione. Sono qua¬lità della S. Teresa di Lisieux (4).
Il Nostro tutti Io ricordano, quasi colle medesime parole, come schivo d´ogni ostentazione ed esagerazione, dell´esteriorità, del met
tersi innanzi, del farsi vedere, del far sentire che fa il bene, e Io di¬cono la semplicità in persona, contrario ad ogni artifizio od inganno; parlano di naturalezza, di spontaneità e facilità nel praticare il bene, dell´operarlo in silenzio e celatamente: sempre modesto, senza mai
assumere quell´aria di superiorità, così estranea al genio della benevo¬lenza (5). Poteva dirsi che l´aspetto di lui nei gesti della bontà fosse
più quello di ricevere un favore che conferirlo, e come gli si facesse un piacere a lasciarsene fare. « Oltre all´essere il dono di sè, vi era
(i) somm. cit. È il panegirico del Savio fatto dal Cagliero: pag. 221-225. Nessun altro lo ha saputo descrivere come il Grande amico. Anche altra volta lo disegna: e Già da Iungi mi parve di vedere un angioletto, tanto era sorridente e di aspetto angelico, coi- suo volto pallidetto, occhi cerulei, aspetto celestiale, e dissi tra me: Ecco un angelo in carne, come S. Luigi s. Cfr. Somm., pag. 288.
(a) FABER, OP. cit., pag. 7. E LACORDA1RE: a La bonté e l´humilité sont presque une mérne chose. Quand Fon est bon, l´on se cent porté à se donner, à se sa¬crifier, à se faire petit, et c´est là Phumilité... Sovez bon, et vous serez humbles infaillib]ement a. Lettres à des jeunes gens, n. XVI.
(3) Somm., Tit. XVII: De heroica humilitate. E_viè citato il cap. XVI della Vita.
(4) PET11,13T, cit., pag. 151, § r.
(5) FABER, op. cìt., pag. 38. — Per quanto è detto dai testi, cfr. Somm., pag• 93-99; pag• 102, 125; pag. 178 e seg.; pag. 251 (Cerruti); pag. 248 (Cagliero).

rio
in quella bontà una maniera di donarsi, una grazia, che pareva trasfi¬gurare il beneficio: una trasparenza che permetteva di vedere il cuore e di amarlo: un non so che di semplice, di dolce, di spontaneo e pre¬veniente, che attraeva l´animo altrui ». Son parole di Lacordaire, che, leggendole, mi han fatto pensare al Savio, vedendovi espressa la deli¬catezza della sua bontà (i).
La bontà così descritta è, fino a certo punto, l´aspetto visibile: al fondo sta il cuore. Santi senza cuore non ce n´è, ed è il cuore che ha fatto di Don Bosco quello ch´egli fu ed è nella storia della Chiesa; così come senza di esso non esiste la salesianità, cioè quello spirito di vita che si rivela così genuinamente nel Savio. Dico del cuore per dire del buon cuore, della bontà che mette gli altri al posto di sè, e com¬prende tutte le forme, ossia tutte le opere e le azioni e i sentimenti e le maniere, con che si fa agli altri il dono di se stessi (2).
0 0 0
Il tipo del Savio, tipo squisitamente pari a quello di Don Bosco, è quello dell´uomo di cuore e di buon cuore. Possono quei che lo conobbero aver scordato tanti particolari di virtù e di vita: ma, dallo Scrittore della Vita fino al più semplice e indotto autore d´un biglietto d´informazione (3), il ricordo e il sentimento che domina incancellato e vivo e palpitante, è quello del buon cuore di questo fanciullo. Don ¬Bosco ne sembra talmente dominato, che quasi non v´è pagina dove non lo faccia sentire (4): gli altri, tutti, a voce o in iscritto, se ne mo¬strano affettuosamente compresi. Come non voler bene a un fanciullo che voleva bene a tutti, .e che « giovane com´era, disse Don Rua, non viveva per sè, ma per il bene degli altri? « (5).
Appaiono in codesta attività del cuore tutte le maniere e gli aspetti in cui può esercitarsi e che il Savio esercitò; e a raccogliere quanto se
(i) LACORDAIRE, Pang. da B. Pierre Fournier; in Op. Orna., t. VIII.
(a) LACORDAIRE: a La charité est le don de soi A. Conf. XXIV di N. D., 1844. -- E ricorda il passo sopra citato.
(3) Alludo all´ingenuo, sgrammaticato biglietto di un artigianello, Duina An-tonio, da lui occultamente beneficato, che non ricorda altro se non due tratti di buon cuore, e nella sua schietta oggettività ha dei tocchi commoventi. Cfr. Somm. cit., Doc. n. 53, pag. 478.
(4) Vita, capo I, VI, IX, XI, XII, XVIII, XIX, XXI. I capi IX, XI, XII, XVI sono addotti nel Processo. -- Sarebbe qui il luogo d´innestare un riflesso suI valore che Don Bosco Educatore • diede al fatto dell´avere un fanciullo buon cuore o no. Ne discorro altrove (nel Proemio al Magone, e specialmente nello Studio sul Besucco). Qui ci troviamo più in su dell´ordinario fatto educativo.
(5) SOMM. cit., pag. 113.

171
ne venne a sapere ci sarebbe da farne un´esposizione meravigliosa. Vi accenno per sommi capi, per venire a ciò che vi è di più proprio e caratteristico.
È pertanto il ragazzo servizievole con tutti, che non si rifiuta mai di fare un piacere a chicchessia; disinteressato e generosamente condi¬scendente, affettuosamente partecipe e sollecito delle pene altrui, fino a piangere perchè un compagno è castigato, e a levarsi il pane di bocca per darlo agli altri; ed è classico il gesto del prestare i guanti ad un compagno intirizzito, esso che patisce terribilmente i geloni, e di mettere sulle spalle d´un altro il pastrano, rude ma buono, _perché possa pregare con lui, ed egli è un povero esserino malato! E poi c´è, quasi obbedendo ad una vocazione, lo spendersi per insegnare ai giovani tardivi o ignoranti, e sacrifica le sue ricreazioni più necessarie per un illetterato (Garzena Carlo: la descrizione minuta di Don Rua è eloquente), o per qualche povero artigianello di cui si conserva l´umile scritto (Duina Antonio): e lo si vede sovente nei cantucci a spiegar la lezione o ripassare gli autori ai compagni, o in disparte ad insegnar la dottrina ed anche l´ abbia a poveri figli del suburbio, e di questa caritativa pedagogia è rimasta profonda la memoria e la riconoscenza (i).
O 0 0
Su tutto, la sua gesta di carità è apparsa nelle tre figure del paciere, del consolatore, del generoso che perdona. La settima Beatitudine che i pacifici saran chiamati figli di Dio, e la seconda, che i mansueti (Beati mitesl) saranno i padroni della terra. Il fatto della pericolosa sfida a sassate impedita dal Savio col suo gesto eroico (Capo IX) si conclude,
nella Vita, con una raccomandazione ad ogni giovane cristiano di imitare quell´esempio « quando gli avvenga di vedere il suo simile in
atto di far vendetta od essere da altri offeso od ingiuriato ». E questa era una missione che il piccolo eroe si era assunta: sembra che, mentre era l´anima della ricreazione viva e rumorosa, e la vita delle compa¬gnie (2), avesse l´occhio attento ad accorrere dove fosse sorta una rissa o, tra gli amici, nascesse un diverbio (3). Cose naturali e consuete tra
(i) Somrn. cit., (per ordine): Conti, 21, 225; Ballesio, Piano, 216-217; Molino, 64; Anfossi, 229; Tosco-Savio, 217; Amadei, 227; Barberis, 226. Documenti: Rua, doc. 6, pag. 461: Duina, doc. 13. pag. 478; Reano, doc. 3, pag, 458; Vaschetti, doc. ro, pag. 474. — Le relazioni Rua e Vaschetti sono minuti ed eloquenti elogi della carità fraterna del Savio.
(2) Somm. cit., Don Rua, 8o; Cagliero, 59.
(3) Somm.: Cagliero, 59; ...e che evitassero ogni sorta di dissensioni, ingiurie e risse, e simili s.

172
ragazzi, e tanto più in mezzo ad un ceto piuttosto grossolano e biso¬gnoso di civile educazione, com´era quello che lo circondava. Sicchè gli accadeva perfino d´essere ricambiato de´ suoi buoni uffici con in¬giurie e peggio (a). Valga una citazione per tutte: « Egli era certa¬mente il vero paciere di tutti noi. Appena avveniva che qualche di¬scussione si accalorasse, egli s´intrometteva, e cercava di calmare gli animi e rappacificare quelli che per avventura avessero qualche con-tesa» (z). Il nome di paciere era veramente il suo, insieme con altri titoli laudativi, che lo fanno dire al Cagliero: « mirabile nel coltivare la vicendevole bontà, carità e amorevolezza» e più oltre: « santamente industrioso: e insuperabile nell´esercizio della carità fraterna» (3). Egli infatti non ví si adoperava per un semplice bisogno di tranquil¬lità, come accade consuetamente: sibbene per un moto di buon cuore e di carità cristiana delle anime, e appunto se ne discorre sempre per attestare il suo zelo per il bene e impedire l´offesa di Dio, come per mostrare nelle sue varie figure la carità verso il prossimo e il buon cuore verso i compagni, che non voleva vedere turbati o afflitti o molestati: e i fatti stanno in prova degli atteggiamenti che tali virtù prendevano nella vita quotidiana di lui (4).
o o o
Anche più alta, e genuinamente soprannaturale, era in lui la gene¬rosità del perdontn una dote di superiorità morale e di cristiana bontà, per la quale tutti rimanevano santamente affascinati per il piccolo santo. Tra ragazzi mille piccole cose valgono a conoscersi, e tutti sa¬pevano benissimo che la sua vivacità e l´aperta giovialità, come le spontanee e subite trovate del buon cuore venivano da un naturale vivo e sensibile, e pronto alle reazioni; glie lo vedevano in faccia quando, brutalmente ingiuriato e villanamente percosso (noi ne cono¬sciamo due casi classici (5), oltre a quelli generalmente fatti intendere dalla Vita e dai testi), stava un momento sopra di sè, colle fiamme al
(i) Somm. cit.: Francesia, 42; Melica, 47.
(a) Somm. cit.: Conti, 61. — Altri testi in proposito: Cerruti, 54; Francesia, 42; Melica, 47; Cagliero, 59-60; id., 174, 221.
(3)?Somm. cit., Cagliero, 59-6o.
(4), Infatti questa materia rientra quasi tutta sotto i titoli: De studiorum cur-riculo, etc., in Orat. Sa. (tit. 117); De virtutibus in genere (tit. V) ossia dell´eroicità; De fide (tit. VI); De spe (tit. VII); De caratate in proximum (tit. IX); e quanto all´offesa di Dio, in: De cantate in De:1771 (tit. VIII).
(5) Il fatto ricordato dal Francesia (cfr. sopra, pag. 15o, n. 3) e il fatto del Rattazzi (cfr. sopra, pag. r5t).

173
viso, e poi, diciamo pure eroicamente, rispondeva con la parola: « Io ti perdono: voglia il Signore perdonarti!» (i).
Questo nei momenti più gravi. Ma era di dominio comune l´opi¬nione (e affiora poi nelle memorie rimaste) che tutte le altre asprezze della convivenza o non lo toccassero al vivo o non le curasse: più
ancora, e fu scritto, che vi avesse piacere, per sua mortificazione, al punto da far smettere i rimproveri che si facevano a chi l´aveva of
feso (2). « Savietto non se la prende mai » era voce comune. Ingiurie, grossolanità, male parole, dispetti, cartoni, violenze (e le cattiverie in quel mondo così misto non mancavano), se erano offese di lui, senza
miscela di. esplicita offesa di Dio, passavano senza traccia: non si of-fendeva mai, non reagiva, non ricordava, non ne parlava neppure a
Don Bosco: agli offensori non voleva male, ed anzi diveniva più gene¬roso nel far del bene: li amava, scrive un suo illuminato amico e con
discepolo, Mons. Piano! Erano i momenti in cui il suo sorriso dive¬niva irresistibile.
E non si creda ad alcunchè di esornativo letterario: ad ogni mia espressione potrei apporre la postilla d´una testimonianza (3). Non era possibile cancellare dai cuori la commozione, la tenerezza, che il piccolo eroe destava con la bellezza dei suoi gesti di perdono. II vo
lergli bene, a cui sí era così caramente forzati, si fondeva allora con l´ammirazione.
o o 0
E non meno con la riconoscenza, quando il cuore mostrava d´im-medesimarsi col cuore altrui, e sentiva le altrui pene, ch´è proprio l´essenza della bontà (4). Il consolatore, il confortatore, è uno dei più
affettuosi titoli dati al caro fanciullo. Don Bosco ha ricordato, con particolare attenzione, l´apostolato di bene ch´egli compieva coi nuovi
venuti, cogli attristati, coi timidi spaesati (Cap. XII): il ricordo di quella carità finissima ritorna nelle parole dei superstiti fin dalla prima
(i) Somm. cit.: Don Rua, pag. 232. Si noti come il misuratissimo Don Rua lo presenta come un fatto abituale, appunto come noi facciamo.
(z) Somm. cit., Docum. n. 4: Relaz. Piano (186o), pag. 46o: (. grande ed eroica pazienza._ giacchè essendo non solo disprezzato con parole, ma ancora con atti da alcuni suoi tristi compagni, oltre il perdono che loro concedeva di tutto cuore, li amava, e se alcuno loro sgridava per quell´atto, Ii difendeva a tutta possa, di¬cendo ch´era meritevole d´ogni insulto )5.
(3) Somm. cit. Principalmente: Piano, 38; Francesia, 42; Piano, 84; Melica, 218-219; Tasso, zar; Francesia e Cerruti, 22o, 234, 283; Cagliero, 223; Don Rua, 23o; Cerruti, 277. Nei Documenti: Bonetti, 470; Roetto, 477; Duina, 478.
(4) Dolores nostros ipse tulit. la. LII, 17.

174
testimonianza, e si estende fino agli ultimi documenti allegati al Pro¬cesso (i). E se il consolare e rianimare gli afflitti era parte di quel¬l´apostolato delle anime che si era proposto, la tenerezza nell´accudire agl´infermi era, a detta di ognuno, una prerogativa dei suo buon cuore. Il Cagliero, nel tracciare il quadro dell´universa carità di lui, ricorda
che « era tutto sollecitudine per i suài compagni sofferenti e infermi, aiutandoli e confortandoli a sopportare con pazienza le infermità man
date da Dio, e servendoli in quanto poteva ». E non esita ad affermare che il chierico Savio, malato d´occhi nel 1856, confortato da lui, guarì per le preghiere dell´amico santo (z). Ed è un altro compagno dei più intimi, il Piano, il quale, all´encomio che tutti senz´eccezione danno al suo amico per cotale carità, aggiunge in prova che: « essendo io ammalato d´occhi, il Savio (Domenico) si privava della ricreazione per prestarmi i suoi servizi e per tenermi compagnia, rivolgendomi pa¬role d´incoraggiamento » (3). Bastava che vedesse un compagno indi¬sposto perchè domandasse al prefetto di camerata il permesso di assisterlo (4): in una parola, dice Don Rua, « occorreva che il Supe¬riore lo frenasse in tale pietoso ufficio, perchè non si privasse della necessaria ricreazione » (5).
Il suo stesso malfermo stato di salute gliene dava occasione. Allora, dice Don Bosco, « fra le cose in cui si occupava con gran piacere era il servire i compagni infermi, qualora ve ne fossero stati nella Casa ». E le parole che gli mette in bocca dicono la squisitezza dei suoi senti¬menti: « Io non ho alcun merito avanti a Dio nell´assistere o visitare gl´infermi, perchè Io fo con troppo gusto: anzi mi è un caro diverti¬mento ». L´Autore aggiunge che « mentre faceva loro dei servizi tem¬porali, era accortissimo nel suggerire sempre qualche cosa di spiri¬tuale » (Capo XXII). E la pagina continua con gli episodi. Qui noi possiamo coronare questa simpatica rassegna con le parole d´un´altra pagina del libro: « Per questo motivo tutti quelli che avevano qualche
incomodo di salute dimandavano Domenico come infermiere, e quelli che avevano delle pene provavano conforto esponendole a lui. In
questa guisa aveva la strada aperta ad esercitare continuamente la carità verso il prossimo, ed accrescersi merito davanti a Dio » (6).
(i) Cfr. sopra, pag. 152.
(z) Ricorda pure il fatto, non la guarigione, il medesimo chierico nella sua lettera 13 dic. 1858. Cfr. Somm., Declar. n. I, pag. 453. — Ibid., dep. Cagliero, pag. 22r-224.
(3) Somm., Piano, 234.
(4) Somm., Anfossi, 229.
(5) Samm., Don Rua, 230.
(6) Vita, cap. XII, fine.

CAPITOLO III
Il costume quotidiano della vita.
Parole nelle quali vibra ancora una volta quell´onda di simpatia che avvolge tutta l´angelica figura del piccolo santo. Tanto più che, come disse egli medesimo, senz´accorgersi di rivelare uno dei bei se¬greti dell´anima, tutto ciò scaturisce spontaneo dalla sua mirabile natura, che, nel mostrarsi buona, ci ha « troppo gusto ».
Codesta simpatia e tenera ricordanza, che appare in tutti, perchè è il tono dominante della conoscenza che ne ebbero, non fu tuttavia mai disgiunta, almeno nei più prossimi a lui e nei più capaci d´inten¬derlo, dall´ammirazione per le altre doti di un carattere, che più tardi conobbero essere più che di fanciullo. Quella gioia intima che per¬meava tutto il suo spirito, e si esternava per l´allegria vivace e comu¬nicativa: quella semplicità e naturalezza onde si vedevano rivestite le azioni anche non comuni o facili a tutti, e i discorsi pieni di senso gen¬tile e pio: la serenità, la calma pressochè impensabile in un giova¬netto di quell´età, come non pensabile era l´assennatezza e la pru¬denza o, diciamolo, l´equilibrio dello spirito: la sensibilità poi della gratitudine e l´affettuosità elevata dell´amicizia: erano, a volta a volta, altrettanti motivi di riconoscere nel Savio una bellezza d´animo e di costume d´assai superiore a quella degli ordinarii buoni giovani, e del resto non posseduta interamente da alcuno. Certi giudizi, certe im¬pressioni manifestate dai testi, che allora erano ragazzi o poco più, ci danno a divellere che nel loro concetto quel vivace e buon giovanetto non era come gli altri, e il ricordare che fanno i particolari dell´una
o dell´altra maniera, dà segno che adunque attiravano la loro atten-zione e si fissavano nella memoria. È un rilievo di non secondaria importanza. Si tratta di piccoli fatti
o maniere della vita quotidiana, e, sovente, più del modo di fare le cose che non delle cose stesse, e son notate da fanciulli e giovinetti, che poi non hanno nè acume eccezionale nè esperienza della vita, da far dei confronti conclusivi. E di queste cose è materiato in molta

176
parte il contenuto delle testimonianze, sulle quali si fonda il giudizio della superiorità morale e dell´eroicità, ossia della santità della vita vissuta. Occorre ancora ripetere, col Faber, che la vera vita spirituale e la santità della vita consiste nell´elevare al soprannaturale le azioni ordinarie e quotidiane, e che sta più nel modo di fare ogni cosa che non nel fare certe cose speciali e straordinarie? (i).
Questo è veramente il pensiero di Don Bosco quando, volendo in¬trodurre il racconto di « grazie speciali e fatti non comuni », fa notare che già potrebbesi chiamare straordinaria tutta la restante sua con¬dotta, quale egli è venuto descrivendo, e ch´è intessuta di « cose che presentano nulla di straordinario » (2).
· o o o
La più semplice ed elementare idea che potevan farsi del Savio, sta nelle parole d´un compagno artigiano, il Roetto: « Dacchè io lo conobbi mi feci un santo concetto di lui, e dicevo fra me: questo è proprio un giovane che ha un cuore ben fatto, e vive da buon cri¬stiano» (3). In tale sentenza s´accordano altri, con varie parole. Ed è singolare che, se vogliamo raccogliere le impressioni più immediate e comuni, sembra che l´attenzione dei giovani sia stata richiamata da atteggiamenti che per lo più non si rilevano come particolari: dico della giocondità e allegria tutta personale nella sua forma, e della serenità e calma, e, più ancora, della temperie o misura, ossia dell´as¬senza d´ogni esagerazione. Sono le doti che appaiono spiccatamente quando il tema degli articoli volge sulla vita di scolaro o, se può dirsi, di collegiale (Tit. IV): più ancora, quando si tratta delle virtù in ge¬nere (Tit. V), ossia dell´idea che se n´è prodotta vivendogli insieme.
Tra codesta singolarità è notevole l´osservare che fecero i più prossimi, che, nel dispiegarsi di quell´insieme di virtù, nell´apparire virtuoso, non si poteva pensare a « nessuna esagerazione od ostenta¬zione »i:(e lo dicono in due); e che « si studiava di menar una vita interamente regolare e senza esteriorità»; ed è una sorella che lo dice « mai_ esagerato nella pratica della virtù », eppure in famiglia e da Don Bosco, lodato come ammirabile; ed un coetaneo ne afferma la naturalezza senz´affettazione nella pratica del bene; fino al Cagliero che ne commenta la spontaneità e facilità e il praticare piacevolmente
(I) FABER, Progressi, cit., pag. 28.
(21 Vita, cap. XX, init.
(3) Somm., Declarat. n. 12, gag. 477. È un breve scritto, di singolare ingenuità di dettato, che ha servito a Don Bosco per scrivere la Vita. È intitolato: Doti dell´ottimo mio compagno Savio Domenico.

177
le virtù. Sicchè il Sommario comprende tutta codesta serie (non ho citato tutto) nel titolo marginale: Modum numouam excessit (i).
E che una dote in certo senso negativa, e così facile a sfuggire al-l´osservazione, sia stata avvertita da giovani di quell´età, è segno che
doveva ben apparire nel confronto con l´apparenza di altri. La tempra
del piccolo santo era appunto la semplicità in persona, contraria a
qualsiasi artifizio o inganno o ipocrisia: noi diremmo nemica d´ogni
posa e d´ogni ombra di vanità; la semplicità dei veri figli di Dio, che
sono lieti della grazia che sentono vivere in sè, e consapevoli esecu¬tori dei suggerimenti di essa (z).
E poi, ´in brevissimo tempo, apparve, ossia fu compresa, la sere¬nità, la calma imperturbabile di quell´animo. Fu la dote, o virtù, ch´è
lo stesso, più singolare in Don Bosco: quella sulla quale tutti i discorsi di PP. Pio XI tornarono con maggiore insistenza e ampiezza, facen¬dola derivare dalla intensa e abituale unione con Dio (3). E non si può neppure pensare altrimenti pel nostro Savio. Se fosse vissuto, egli avrebbe in questo, come in altre cose, rispecchiato fedelmente il suo Maestro e affine nel tipo di santità. Non abbiamo documento alcuno a provare che tale virtù di carattere gli sia stata insegnata, se pure può insegnarsi e non è piuttosto un dono di Dio: ma, senza dubbio, il
Maestro e il discepolo sono, anche in questo, una figura Medesima in due specchi.
È una dote o una virtù che non sfuggì a nessuno, e fu tenuta come una prerogativa della sua persona. Sulla fronte del Savio non apparve
mai una ruga e negli occhi non lampeggiò mai il lampo dell´ira. San¬gue nelle vene l´aveva, lo dicono bene quelli che lo conobbero davvi¬cino, e lo dice Don Bosco (Capo XVI); ma, come diremmo, non montò mai fino alla testa. Anche nel dispiacere, nel disgusto, nell´energia del
l´opporsi o impedire il male e la bestemmia, o di fronte alle scortesie, villanie e violenze di compagni malcreati, o tra le sofferenze, talora
pungenti, e nella dolorosa consapevolezza della sua infermità e della fine non lontana, Savio Domenico si è incontrato sempre uguale, calmo, sereno, perfino sorridente. « La prima volta che vidi quel volto angelico attristarsi e piangere di dolore » dice Don Bosco,, fu quando perdette l´amico del cuore e dell´anima, il Massiglia. Ne dolorò a lungo, fino a patirne nella salute. Ma non fu turbamento: l´anima del
(i) Somm. cit., pag. 93-103. -- Testimonianze per ordine: Ballesio e Piano, 93, 94; Francesia, 95; Tosco-Savio, 96; Melica, 99; Cagliero (cit.), .102-103.
(a) Idee del FABER, Confer. Spir. cit., Tratt. III, sez. Semplicità: pag. 1q.4
158. Ma poi, chi ha visto, anche una sol colta, Don Bosco a pregare, sa che cosa sia la semplicità dei Santi. Io l´ho visto.
(3) Cfr. mio Profilo Storico, ediz. pag. 104.

Q78
giovane santo trovò subito in quel dolore la via di Dio, e si nutrì di fede e di preghiera. Non son vietate le lacrime ai Santi: non a Gesù che piange l´amico Lazzaro, non a S. Agostino, non a S. Francesco di Sales, e non a Don Bosco, che piansero la madre: non a Savio Domenico, che Don Bosco fece ammirare nella santità del suo pianto di fanciullo.
Noi abbiam fatto sentire che, nell´aura di simpatia ch´egli moveva intorno a sé, l´angelica serenante presenza e la tranquillità dell´animo aveva gran parte, e ce lo conferma la frequenza e la concordanza delle espressioni che la rievocano, quasi sempre a prova della vitalità inte¬riore dello spirito di Dio. « Dalla serenità del suo animo e dall´aspetto geniale ed ilare che in lui era naturale, dice il Cagliero, deduco la sua intima e viva fiducia nella bontà e misericordia di Dio, e nella prote¬zione della Vergine e dei Santi... fiducia che non venne mai meno »
E continua, secondo il nostro proposito: « La semplicità del piccolo Savio era così patente e palese a noi, da arguire tutto il suo appoggio nella bontà e grazia divina: senza tener conto di alcun umano soccorso,
o della propria capacità, sempre fidandosi della Divina Provvidenza ». E tanto l´Eminente testimonio, quanto ogni altro, sono concordi nel dirlo sereno in volto, sempre calmo e ordinato, senz´averlo mai visto malinconico o abbattuto, nè impazientito, soffrendo con ilarità di animo e con calma le offese, e, come lo definiva Don Rua, « sempre calmo ed amabile, senza che mai abbia potuto vedere (e Don Rua era buon osservatore!) la sua fronte offuscata da tristezza o da collera »; una serenità che non si smentiva nelle sofferenze delle sue malattie, Che sopportava con pace e tranquillità e senza lamenti, serbandosi al¬legro, fino al punto che la sua serenità nelle ultime ore e nell´ora ul¬tima trasse in inganno i famigliari, il medico e il parroco, e il padre credette che avesse ripreso sonno, ed egli era spirato (2).
o o o
A tutti codesti dolcissimi lineamenti, che rendono davvero ange¬lica, come fu detto dallo stesso Don Bosco, la presenza del piccolo santo, io credo che si voglia aggiungerne altri due, che fioriscono dal
(i) S0712172., Cagliero, 174.
(2) SOMM, cit. Testimonianze: Cerruti, 18; Ballesio, 93; Cerruti, 18z; Conti, 6x; Cagliero, 223 ; D011. Rua, 8o; Francesia, 171; Melica, 173; Cagliero, 193, Barberis, 177. — Dalla Vita: cap. XXIII: « avendo un´aria costantemente al¬legra, ninno dal volto poteva scorgere ch´egli patisse malori di corpo o di spirito a. Per l´ultima malattia, cfr. cap. XXV-XXVI. Cfr. sopra, pag. 165, n. z.

179

Cuore e dall´anima, e ne sono la più nobile espressione: dico della gratitudine e dell´amicizia, sentimenti delicatissimi, che raggiungono, nel piccolo povero figlio del fabbro, un´altezza e finezza di sensi, e un´affettuosità virtuosa e gentile, propria soltanto delle anime più elette e generose degli uomini superiori.
Parrà singolare, forse strano, a chi non ha pratica di tali proce¬dure, che queste due doti (ma diciamole pure virtù, quali, nella loro forma più alta, sono veramente) siano ricordate sotto il titolo della giustizia (Tit. XI), dov´entrano l´osservanza dei doveri ed obblighi verso il prossimo, obbedienza, rispetto, riconoscenza, onestà, rettitu¬dine. Le esigenze della prassi canonica vogliono così, senza che ne venga nocumento al valore e all´indole dei fatti.
Volendo parlare della gratitudine, dobbiamo dire che, veramente, se s´intende della riconoscenza, essa è collocata a suo posto, giacché essa è, dopo tutto, giustizia. Ma qui non è solo conoscenza e adempi¬mento del dovere, bensì un sentimento vivente del cuore, del quale sentimento la riconoscenza è il principio necessario. Io vorrei qui ri¬portare le studiose sentenze del Tommaseo (un santo padre della lingua italiana), là dove nel suo Dizionario dei Sinonimi, spiega la distinzione tra riconoscenza e gratitudine (i). Non solo per farmi dar ragione del distinguere che faccio anch´io, ma principalmente perchè l´analisi acuta e positiva che vi si fa di tal nobile sentimento, sembra ritrarre fedelmente l´animo del Savio (a).
Se la riconoscenza è la rimembranza e la confessione del bene che ci si fa, e la si, esprime con rendere a chi lo fa le dovute osservanze, o, nel caso, il ricambio: la gratitudine è il sentimento che rende caro esso bene e caro chi l´ha operato, care le occasioni e i. modi di retri¬buirlo. É amare la memoria del beneficio e amare di farlo noto e di rimeritarlo. t insomma un´affezione che si desta nel cuore per il be¬neficio ricevuto, e che ci rende grato l´aspetto, il pensiero, la presenza del benefattore. La presenza di chi ha fatto il beneficio è sempre cara . alla gratitudine, sempre desiderata, e se, nel primo momento, questa non trova subito le parole, è abbondante di affetti e di quegli atti inimitabili che eloquentemente li esprimono, e del bene avuto ri¬porta in sè quella soavità che somiglia a tenerezza verso chi fece e
(i) N. TOMMASEO, Dizionario dei Sinonimi della lingua italiana. Ediz. prima, Napoli, 1859: n. 3154, pag. 72o-721.
(Z) Altrettanto potrebbe dirsi delle massime che S. Francesco di Sales esprime circa Ia gratitudine; le quali in gran parte concordano con quelle del Tommaseo (Opusc. spir., III, 38). Ma preferisco attenermi ad uno scrittore coevo e non re¬ligioso, per tenermi nel carattere di questa esposizione. È chiaro che l´una ra¬gione non esclude l´altra, anzi la conferma.

18o
volle il bene. E in un cuore ben fatto vive perennemente, e non può mai soddisfare a se stessa.
Sentenze autorevoli, che trovano, una per una, nella storia della Vita, come nella memoria dei coevi, la loro chiara ed effettiva rispon¬denza. Il primo incontro con Don Bosco ce ne dà un esempio. Quando il buon Padre gli ebbe detto che l´avrebbe accolto tra´ suoi, « non sa¬pendo egli come esprimere meglio la sua contentezza e-la sua gratitu¬dine, mi prese la mano, -la strinse, la baciò più volte, e disse: Spero di regolarmi in modo che non abbia a lagnarsi della mia condotta » (Cap. VII). Quella tenerezza rimase per sempre nel cuore del fan-ciullo, e la persona, la presenza del suo benefattore gli riusciva santa¬mente cara e soave, elevandosi ad una venerazione religiosa, che univa la gratitudine verso l´Uomo con la riconoscenza verso Dio che glielo aveva fatto incontrare: un insieme d´intimi sentimenti, che si riflet¬tevano nelle sue parole e nella sua vita. Lo vedremo confermato dalle parole dei compagni. Ma tutto il libro scritto da Don Bosco è la prova, e quale prova! che la prima parola della gratitudine, che il fanciullo potè dire nella commozione del primo momento, ebbe_ nella condotta di lui il suo avveramento. E quello fu il ricambio ch´egli volle e seppe dare al suo benefattore.
- E se, come dice ancora quel forte_ pensatore, « a un maestro, qua¬lunque siasi, si deve riconoscenza e quindi rispetto, e a maestro amico gratitudine »; il nostro faceva tutt´uno dell´uno e dell´altro senti¬mento, perché i suoi maestri gli erano, e lo dissero, veramente amici; ed egli- li considerava spontanei benefattori dei poveri figli di Don Bosco e suoi, che li curavano amorosamente e a lui mostravano par¬ticolare affetto (Capo IX e Cap. XXVI). Essi, i maestri, non solo lo vedevano rispettosissimo e ossequente come nessun altro, ma lo sa¬pevano e sentivano veramente grato. Per questo il Prof. Picco ne sentì la mancanza e ne tessè l´elogio.
Per parte sua, Don Bosco educava a tali sentimenti i suoi figliuoli. E, se non a punta di sinonimi, nel fatto distingueva i due termini. Egli rimproverava nei suoi discorsi, e anche in qualche pagina scritta, il manco di riconoscenza, ed esaltava il buon cuore di chi si mostrava grato ai benefizi della vita e dell´educazione: per lui un ragazzo sco¬noscente ed ingrato non dà speranza di buona riuscita. E come nella Vita del Magone (cap. XII) s´indugia a descrivere i modi della gra¬titudine del suo monello di buon cuore (e anche questi rispondono alle sentenze del Tommaseo), così nella Vita del Besucco (cap. XVI) la lode per il buon cuore del rude Pastorello delle Alpi richiama al contrapposto dell´ingratitudine e del suo sconfortante significato.-

181
Non meno visibile è la corrispondenza tra quelle sentenze e le parole degli antichi compagni del Savio. Tutti ne dicono-qualche cosa,
ma alcuni paiono inspirarsi a quei concetti. Due testi, a distanza d´anni, si esprimono quasi nel modo´medesisno. Don Rua (1908):
« Fui io stesso testimonio del rispetto e riconoscenza verso i pro¬fessori e superiori, parlandone con rispetto, lode e gratitudine, som¬mamente contento di poter mostrare la propria gratitudine col render loro qualche servizio ». E il Melica (1915): « Per dimostrare la sua ri¬conoscenza, parlava di loro con espressioni di lode, o ricambiava con qualche servizio, e pregava per loro, esortando i compagni a fare il
medesimo » (i). Significanti quelle del Cagliero: o Inappuntabile nel rendere omaggio di obbedienza e gratitudine: cercava anzi di preve
nire i desiderii, circondandoli di premurosa riverenza, che tanto era spontanea e naturale al suo cuore ». E più oltre: « La riconoscenza verso i suoi benefattori era grande, e la manifestava avvicinandoli con rispetto e venerazione, specialmente i maestri e il principale benefat¬tore, Don Bosco » (z). Vi è pure l´affermazione dell´altezza e religio¬sità del suo sentire: « Somma riconoscenza aveva e conservava per quanti gli facevano del bene: riconoscenza che in lui non aveva sem
plicemente un fondo umano, ma aveva origine da Dio, cui riferiva e derivava ogni cosa » (a).
E non mancano cenni più concreti. Per esempio, che « serbò sem¬pre riconoscenza per il suo Maestro Cappellano, che l´aveva promosso alla prima Comunione » e che « parlava sempre in lode dei maestri, specialmente del Bonzanino, del Francesia, di Don Picco, e nutriva un´affettuosa sconfinata riconoscenza per Don Bosco, sua guida, ve¬dendo in ciascuno un rappresentante di Dio » (4.). Più sensibile questo tocco di vita vissuta, datoci dal Francesia, che fu, giovane di dicias¬sett´anni, suo maestro: « Si mostrava sempre riconoscente verso chi gli avesse fatto qualche servizio; alcune volte, non potendo altro, li assicurava che avrebbe pregato per loro. Questo posso dirlo in modo particolare, perché, essendo quasi coetaneo, mi usava speciale defe-renza, non solo nella scuola, dov´era sempre rispettoso e docile, ma
anche nelle ricreazioni, dove quasi scomparivano le differenze so¬ciali» (5).
(i) Somm., D. Rua, 265; MAic2, 255
(2) Somm., Cagliero, 257.
(3) Somm., Cerruti, 256.
(4) Somm., Barberis, 258.
(5) Somm., Francesia, 262. — Allora ragazzi e chierici, ch´erano allievi più anziani, si davano del tu e si consideravano compagni. Il costume cambiò per ordine di Don Bosco, solo nel 1863, e gradualmente.
28 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.

r82
Io invito il lettore a rileggere le sentenze con che ho preparato questa esposizione, e, confrontandole con quanto ho riferito, appari¬ranno la squisitezza, la gentilezza, l´affettuosità, la nobiltà dei senti¬menti del piccolo Domenico in una luce che non ci saremmo forse attesa, e che dà nuova bellezza alla figura di lui.
o o o
A codesta bellezza ne ho associata un´altra, non so se maggiore, ma:certamente più sensibile e più largamente appresa come fonte di simpatia: l´una e l´altra provenienti dal cuore, ma questa in modo più palese. Dico dell´amicizia. Un´anima bella, come fu il Sa¬vio, non poteva mancare di questa, che il Lacordaire chiama il ter¬mine e la ricompensa suprema delle virtù della giovinezza cri¬stiana (I).
E fu davvero nella stupenda psicologia del giovane santo la dimo¬strazione più pura e più profonda del suo essere, fatto di bontà, come un bisogno del cuore e dello spirito. L´amicizia è comunione di anime,
e senza tale comunicazione non può né nascere nè sussistere (2), e un´anima che sentiva in sè la gioia della grazia e lo spirito comuni¬cativo dell´amore più elevato, non poteva in sè sola contenersi, senza condividere con altre anime quello ch´essa provava, e comunicar con esse le proprie ascensioni.
Non si pensi con ciò ch´io voglia subito portar tutto ad un piano di ascesi, che nulla abbia che fare con la vita reale e col sentimento
e bontà umana. Quello ch´era umano e gentile sentimento della bontà nativa, l´apertura, l´affettività spontanea e calda del cuore, il simpatico piccolo santo non l´abnegò nè represse, ed anzi lo dispiegò anche più apertamente tra la serenità e la giocondità del suo vivere e del convi¬vere: ma lo volse ed elevò negli oggetti e nei fini, formando nel suo essere l´abito dell´amicizia cristiana e valendosene per l´unione spiri¬tuale. Amico affettuoso e carissimo, e desiderato da tutti, e tale che ciascuno poteva dirsi amico suo (3), nel tempo istesso più intimo e più
(a) e L´amitié est, dans le ehristianisme, le terme et la recompense suprème... des vertus de la jeunesse e. LACORDAIRE. S. Marie Madeleine, chap. I: De
de N. S. y. Christ. Invito a leggere tutto quell´aureo capitolo, ch´è ad un tempo un inno all´amicizia e un profondo esame della vera amicizia cristiana. Paralleli a tali pagine sono non pochi punti delle Lettres à des jeunes gens: cfr. spec. Lett. 7,
35, 41, 42, 63, 81, 83.
(z) FRANCESCO DI SALES, Introduci., cit., P. III, cap. XXII. Cfr. perfino ARI
STOTELE, Etica, VIII.
(3) Somm., Piano, • 8.. e z93, cit. sopra.

183
sentitamente affezionato con quelli ch´erano più aperti alla comunione delle idee sante coltivate nel cuore.
C´è di più. Codesta bellezza morale, che fu nel Savio l´istinto e lo spirito dell´amicizia, dovette apparire in lui quasi un contrassegno,
o un lineamento così spiccato e personale della sua figura, che Don Bosco non potè non fissarvi lo sguardo e farne, nello scrivere la Vita, un tema di speciale considerazione. Si noti. In nessun altro dei gio¬vanetti santi, dei quali scrisse i Cenni (i), egli notò questa dote come un fatto speciale: solo per il Savio (che, come sarà detto a tempo suo, è per lui il più vero modello e, salvo il giudizio di Santa Chiesa, un santo autentico, il suo santo) ´solo per il SaVio sentì il bisogno di fer¬mar l´attenzione dei suoi giovani lettori sull´amicizia e sulle amicizie, e, oltre gli accenni antitetici del Capo V e del Capo XII, e quello predisponente del Capo XVII, dedica ben due capitoli, il XVIII e il XIX, a parlare delle « Sue amicizie particolari », fissandosi poi spe¬cialmente su quell´è da lui avute col Gavio e col Massaglia. E poichè il libro ha, insieme con l´intento celebrativo della santità, quello del¬l´edificazione, e cioè d´insegnare con l´esempio, quest´esaltazione e commento delle amicizie riesce ad una dottrina di esemplarità. Il pensiero del Santo educatore è, in questa materia, quello di S. Fran¬cesco di Sales. Tutti conoscono le classiche pagine della Introduction à la vie dévote, rimaste a fondamento d´ogni sensata trattazione del¬l´argomento, sia nel campo morale, come nello spirituale ed asce¬tico (2). Così Don Bosco non rigetta l´amicizia e ne riconosce la ne¬cessità per sostenersi nella vita morale ed aiutarsi nel progresso dello spirito; e ciò che inculca nelle sue massime, come ciò che loda nel suo piccolo grand´eroe, corrisponde esattamente alla dottrina del suo Pa¬trono. Estrarre dal Sales le sentenze capitali e collegarle idun profilo teorico è, come abbiam fatto delle sentenze del Tommaseo, delineare i sentimenti e la condotta del Savio.
o o o
Vi è innanzi tutto il fatto della scelta tra le amicizie buone e le cattive o pericolose, tra buoni e cattivi compagni, spiegata nel capo V e ribadita nel Cap. VIII della Vita (3); vi è espresso il precetto di
(a) Alludo alla Vita (Cenno biografico) di Michele Magone, 1861; e al Pa¬storello delle Alpi ossia Vita del giovane Besucco Francesco, 1864. E, se si vuole, al Pietro, ossia la forza della buona educazione, in quella parte (la sola storica) dove si inserisce il profilo di Giuseppe Morello; 1855.
(2) TANQUEREY, op. cit., n. 395-599.
(3) SALES, Introd., cit., P. III, cap. XXI-XXII.

i84
amar ognuno di grand´amore di carità, come ben faceva´ il giovanetto suo, tutto buon cuore; ma aver amicizia solo con chi può comunicare negl´intenti virtuosi, e aiutare nelle cose dello spirito, sì che più sa¬ranno elette le virtù, più unanime e profonda sia l´amicizia (i); ed oltre alla bontà amichevole e alla piena carità verso tutti, e le opere buone da ,questa ispirate (le abbiam viste nel Savio), questa vera e autentica sia l´amicizia spirituale che lega le anime in una comunica¬zione particolare di virtù e di perfezionamento (a). E Don Bosco ne fa argomento espresso nel suo capo XVIII, ricordando, sì, l´amiche¬volezza del suo alunno, ma subito venendo a presentarvi «i suoi amici _particolari », che vorrebbe nominare e non può, perché tuttora pre¬senti, e coi quali, appunto come dice il Santo Dottore, « si tira in di¬sparte », per soccorrersi, aiutarsi e assicurarsi scambievolmente (3) nell´opera del proprio profitto. Con questi che non nomina Don Bosco, ma che noi conosciamo benissimo, e più ancora col Gavio e col Mas¬saglia, si avvera quell´intera comunicazione delle anime, dell´una nel¬l´altra e con l´altra, di cui il Maestro della spiritualità moderna si esalta (4) e dimostra la necessità e la bellezza (5), mentre Don Bosco ne fa sentire la presenza e la preziosità nel tratteggiare in un commo¬vente capitolo, il XIX, l´intimità e la santità dell´amicizia tra il Savio e il Massaglia. Anime di santi, fatte l´una per l´altra, e scambievol¬mente necessarie a completarsi nelle ascensioni verso le vette della santità: sì che mancando l´una, l´altra, quella del Savio, si sentì come dimezzata, e sopravvisse (non molto, per vero) perfezionandosi in¬tanto nel ricordo di quella vita unanime in Dio, nell´attesa di rinno¬varla quanto prima.
Così era vissuto Don Bosco col suo Luigi Comollo, e quell´ami¬cizia, quella vita di due in uno, rimasta per sempre scolpita nel primo libro uscito dal cuore del Santo amico, lo preparò a comprendere tutto il significato e il valore delle amicizie del suo alunno. Anche il giovane Don Bosco, tra la vita regolamentare e raccolta d´un Semi¬nario, aveva sentito il bisogno di « tirarsi in disparte » con pochi, due o tre, per sostenersi e avanzare nel bene, e con uno, particolarmente, aveva´ condivise le più intime comunicazioni spirituali. Noi cono¬sciamo il santo consorzio dei quattro seminaristi di Chieri, Bosco, Comollo, Giacomelli, Garigliano, e sappiamo quale fu la virtù, varia ma solida, ch´essi dispiegarono nella vita. E, ancora una volta, ritorna
(t) Op. cit., cap. XVII, XVIII e cap. XIX, pag. 2.03-204 (ed. Nelson). (z) Op. cit., pag. 204-205.
(3) Op. cit., pag. zoè. — , Se tirer à part > è la frase.
(4) Op. cit., pag. 204.
(5) Op. cit., pag. zo5-zo6.

185
il pensiero del Sales, quando parla « de spirituelle, par la
quelle deux ou trois ou plusieurs ftmes se communiquent leur dé
votion, leurs affections spirituelles, et se rendent un seni esprit entre elles » (i). E l´aureo capitolo insiste sul fatto che tali amicizie o comu¬nioni d´anime sono di lor natura particolari; ma la partialité che ne viene è, nel caso, « une partialité sainte, qui ne fair aucune division, si non celle du bien et du mal, séparation nécessaire » (2), e reca l´au¬torità di S. Tommaso, non solo per dire che l´amicizia così intesa è una virtù, ma ben anche per confermare che l´amicizia perfetta non può estendersi a molte persone (3).
Credo superfluo l´osservare che questo fatto delle amicizie parti¬colari non ha che vedere con le affezioni ed intimità morbose degli adolescenti, e con le precauzioni della convivenza egualitaria della vita conventuale, specialmente nel periodo di formazione. Questa se¬conda eccezione è già proposta dal medesimo Dottore (4), ed è con¬tinuamente richiamata da tutti i trattatisti di spiritualità: benché per i religiosi maturi ammettano una mèno stretta dottrina (5). Quanto alla prima, se non è contemplata espressamente con tal nome, è in certo modo inclusa, per la sua affinità, nelle trattazioni degli altri cinque capitoli, particolarmente nel XVIII, dov´è detto delle ami¬cizie morbose (6).
Don Bosco, e come educatore e come fondatore e Maestro d´una Istituzione religiosa a scopo educativo, ha seguito, e con giusta com¬prensione, le massime del suo Santo Dottore. L´indole di questo studio non consente d´indugiarci sulla particolare e specifica peda¬gogia della convivenza educativa, quale scaturisce dai documenti pe¬dagogici e dalle tradizioni pratiche del Santo, ch´è detto Padre e Mae¬stro dell´Adolescenza. Ma dalle pagine stesse della Vita che stiamo studiando, appare ben chiaro tanto il precetto della discriminazione tra i compagni buoni e men buoni, quanto il tipo del minuto aposto¬lato dei buoni; condotto, per sua indicazione, mediante amicizie tem¬poranee, che diremmo a programma, e cioè intese a ricondurre sulla
(I) Op. cit., XIX, pag. 204. (a) Ibid., pag. 205-206.
(3) Ibid., pag. 207.
(4) Op. cit., pag. zos.
(5) TANQUEREY, sgg.
(6) Op. cit., III, cap. XVII, XVIII, XX, Il capo XVIII: Des
amourettes. — I precetti della Imit. Christi ci stanno per chi vive la stretta vita
monastica (cfr. lib. I, c. van; lib. II, c. ibid, c. tx), e c´entrano qui solo per
l´aspetto negativo. Da consultarsi: PJERRE MENDOUSSE, L´ame de l´adolescent, lib. II, cap. I, pag• 53-SI.

186
buona strada gli sviati (ce lo dice al Capo XVII, e per il Savio, al Cap. XVIII); così come, con cuore di uomo e saggezza di educatore, non disapprova nè contrasta la naturale amicizia tra compagni, quando si dimostra innocente e vantaggiosa: la incoraggia anzi, e la loda quando la cordialità e la familiarità, il volersi bene (anche questo fu attestato del Savio), sono un contrassegno di sana bontà, e l´amicizia dei due o tre diventa una lega del bene. Non era forse questo, in più largo campo, lo scopo delle sue Compagnie, e prima e soprattutto di quella dell´Immacolata Concezione, promossa dal Savio stesso ? (i). Alle astrattezze troppo ascetiche della disimpersonazione Don Bosco non ha pensato mai (forse non credette neppure alla possibilità ed all´effi¬cacia di essa), nè per i suoi giovani, nè per la sua stessa istituzione religiosa. E mi duole non aver campo di spiegarmi più oltre.
0 0 0
Così il Santo Maestro ha innalzato l´amicizia del suo santo alunno a tipica esemplarità. Non c´è in tale presentazione nè amplificazione nè adattamento didascalico: c´è il cuore nella sua natura gentile, collo¬candolo nella sua più vera luce d´una calda affettività, posta a servigio della virtù e dell´ascesa spirituale. Caro fanciullo e caro santino!
Le vedute del Maestro si riflettono nella memoria dei discepoli coevi, i quali a lor volta non poterono non essere attratti da quella personalissima prerogativa del compagno santo, che per essa appunto era loro amico particolare. Nelle loro parole l´amicizia del Savio si colora in vivi particolari e si concreta nei nomi di quelle persone che Don Bosco dice di non poter menzionare per varii riguardi, allo stesso modo che i superstiti non nominano se stessi, benché lo facciano poi intendere altrimenti. Nomi ripetuti da tutti sono quelli di Bonetti, Bongiovanni, Durando: altri ricorda il Rua, il Vaschetti (ancor vivente al tempo del Processo) con Anfossi e Piano: per non dire del Massa-glia, già messo in luce particolare nella Vita (z). Ma quei che li ricor
(i) Un´osservazione, che raccomando al buon senso di chi legge. Gli amici più stretti del Savio (Massaglia, Gavio, Rua, Cagliero, Bongiovanni, Bonetti, Du¬rando e qualche altro) erano maggiori di lui di parecchi anni e, fisicamente, dei grandi, mentr´egli era un piccoletto non senza grazia. Ordinariamente c´è da badare a codeste amicizie, e vigilarle o impedirle. Ma anche in questo la scuola di Don Bosco insegna a non tirar giù, tocca a chi tocca. Che ne sarebbe avvenuto nel caso del Savio ?
(2) Somm.: Francesia, 41; Cerruti, 54 e 292: D. Rua, 26o; Cagliero, 195, e a. Io che scrivo ebbi la fortuna di conoscerne parecchi, e non da lontano: D. Bo¬netti,- D. Durando, D. Francesia, D. Cerruti, Mons. Anfossi, Mons. Piano, e,

187
dano sono Don Rua, il Cagliero, il Francesia, il Cerruti, rimasti con Don Bosco dopo di lui a continuarne l´opera e lo spirito: sono il Piano
e l´Anfossi, che portarono nel clero torinese Paura allora respirata, e che dell´amicizia del Savio si gloriarono sempre. Di tali era composta la Compagnia dell´Immacolata, dove, come dice la Vita, il Savio aveva i suoi amici particolari (Cap. XVIII) (i).
Sono questi superstiti che nelle loro parole ci fanno quasi toccar con mano come si manifestasse nel Savio l´amicizia. E se l´Anfossi, anticipando di otto anni le parole del Cagliero, ci fa sapere che, man¬tenendo coi compagni i rapporti più amichevoli, adempiva ogni do¬vere di convenienza (z); il Piano, che si professa di lui « amico mentre viveva, e dal medesimo riamato sinceramente (e Io considera pur sem¬pre come un Patrono e ne tiene l´immagine sullo scrittoio) », dopo aver ripetuto anche una volta ch´era « amico di tutti e da tutti riamato », soggiunge: « peri) posso assicurare che la sua amicizia era rigorosa-mente cristiana e non ispirata da motivi sensibili » (3). Come appunto ci si fa intendere nella Vita. Ma ciò non significa che da quella fosse assente una calda affettuosità. E piace confermarlo con le ponderate parole di chi sapeva di rendere appieno il sentimento di Don Bosco, ed è l´austero Don Rua. Dice: «Era prudente nella scelta (degli amici), ma poi molto fedele e costante nel rendere quei tratti di familiarità che, senza ledere per niente il buon costume, servono a mantenere vivi i vincoli della fraterna carità » (4). Cioè il caro Savietto non temeva di far male con qualche gesto amabile e carezzoso, dal quale esulava ogni senso men che innocente, ma che esprimeva la tenerezza della sua affezione.
Quell´affezione che si definisce da sè nella squisitezza d´un senti
naturalmente, Don Rua e il Cagliero (che mi vollero un gran bene!): e Ii conobbi dalla loro mezza età fino al termine di loro santa vita. Al Piano e all´Anfossi sono anche debitore di carissimi tratti di bontà.
(i) Singolare: il Francesia non vi appartenne mai, e n´ebbe notizia vaga e tardiva, come appare dalle sue deposizioni. DeI Savio era amico, e lo dice; ma forse l´essergli «maestro a non consentiva l´intimità e confidenza che poteva in¬tercedere con gli altri. Ne abbiamo parecchie prove. Tra persone disuguali (cfr. Somm., pag. 262, dep. Francesia) vi può essere affezione, non vera amicizia. Lo diceva già S. Girolamo, nel Comm. a S. Matteo: Amicitia parem aut facit aut accipit, con quel che segue.
(z) Somm., Anfossi, 259: Cagliero, 257.
(3) Ibid., Piano, 84, 398, 293
(4} Somm., D. Rua, pag. z6o. Dell´amicizia sua col Savio dice (pag. 392): e Durante la vita del S. di Dio fui legato con Iui di fraterno affetto, e fin dalle
prime settimane di sua residenza all´Oratorio concepii grande stima... che andò crescendo quando fu istituita la Compagnia dell´Immacolata (di cui il eh. Rua fu confondatore) a.

188
mento profondo e interno che vuole non estinguersi mai, nè saprebbe far senza di coloro a cui s´è appreso, e che Don Bosco, artista più di cose che di parole, ci rivela con un tocco magistrale (Cap. XXII). Quando l´angelico fanciullo, ormai certo della sua fine imminente, sta per lasciare l´Oratorio divenuto casa sua, egli pensa alle persone più dilette, e domanda a Don Bosco: « Dal Paradiso potrò vedere i miei compagni dell´Oratorio e i miei genitori? ». E rassicurato che si, soggiunge: « Potrò venire a far loro qualche visita? ». Oh piccolo ca¬rissimo santo? chi ti ha fatto dire codeste parole se non il tuo tene-rissimo cuore?

CAPITOLO IV
Carattere.
In una nota di simpatia, per avventura la più tenera e compren¬siva, si assomma adunque tutta l´attraente umana bellezza di un´anima, come quella del nostro santo giovinetto, composta di amore appren¬sivo, che in sè accoglie e attorno a sè diffonde ogni raggio della pre¬ziosa gemma della bontà (t). Ciò vuoi dire che, presentandocisi la persona del Savio, si desta in noi spontaneo e irresistibile il fascino che spira dalla bellezza del suo animo. È gran cosa per un Santo, e quasi tutto per un Santo giovane, quasi fanciullo, dal quale non ci attendiamo, umanamente, le forti cose dei Santi adulti e ma¬turati.
Eppure nel Savio appaiono anche queste. Lascio per ora, senza escluderlo, quel ch´è proprio delle sfere superiori della grazia di Dio, e mi attengo agli atteggiamenti e virtù umane. Il nostro giovane, come s´è detto, è appunto singolare, anzi meraviglioso, perchè in così verde età dimostra un´altezza e un´energia di spirito propria del¬l´età matura. È non solo un essere gentile: è anche un forte. Ha un carattere.
E voglio dire, non già come comunemente s´intende, d´un tempera¬mento rassodato dalle abitudini, buone o no che siano, e divenuto costante o, se accade, incorreggibile: il temperamento e l´indole sono una cosa, il carattere morale è un´altra: è l´abitudine di volere e di ope¬rare secondo determinati principii, e qui si vuole forza e tenacia di volontà (a).
Che nel Savio i principii, che regolano il suo volere e il suo ope¬rare, siano quelli delle virtù morali e cristiane, non c´è da mettere in dubbio; e l´eroismo a lui riconosciuto dal Magistero della Chiesa sta
(i) Cfr. sopra, la citaz. da S. PAOLO, I Cor., XIII, 3-7.
(2) Si può citare Kant? Ebbene, sono concetti suoi: cfr. Krit. der reinen Ver-nunft, ed. Recluti, 433.E Critica della ragion pura1

190
appunto nell´eccezionale forza e costanza della volontà, protesa a conseguire le virtù medesime.
Ma, contemplandolo al modo che finora abbiam tenuto, per far¬celo più prossimo, più reale, più vivo di vita pratica e quotidiana, quale del resto è ricordato dalla maggior parte di quei che lo conob¬bero, il senso della figura morale, che noi chiamiamo carattere, ci si appresenta con spiccate note personali, che lo distinguono in indi¬viduo e, se è lecito dire, lo fanno essere lui.
o o o
Tali note di carattere sono intanto comprese tutte in un fatto pri¬mordiale, che sta come fondo comune, ed è, per l´età giovane soprat¬tutto, meraviglioso e, se non incredibile, certo impensabile. Dico di quella impeccabilità indefettibile, che fece stupire tutti i conviventi col Savio, e fu affermata nelle forme più assolute da tutti, a cominciar da Don Bosco. Nel senso spirituale è opinione che non abbia mai com¬messo ombra di peccato, non solo grave, che nessuno suppone, ma neppur leggero, ossia veniale, deliberato. Fuori di questo, e pratica-mente, è parola di tutti, che in Iui non si poteva trovare alcun difetto. Ed io domando quale presenza e dominio di sè, quale costanza, quale, insomma, forza e tenacia di volontà si richieda, in un giovanetto che muore a 15 anni, per vivere così, e se possa volersi dì più per dirlo e definirlo eroico!
Ebbene, è lo stesso Don Bosco che ce lo dice. Al Capo XIV esce in una affermazione che, ancor più dal punto in cui la colloca, ch´è quello della purezza di coscienza voluta dalla Comunione quotidiana, prende un valore supremo, congiungendo il pratico umano coi valori spirituali. Dice: « La sua condotta era per ogni lato irreprensibile. Io ho invitato i suoi compagni a dirmi se ne´ tre anni, che dimorò fra noi, avessero notato nel Savio qualche difetto da correggere o qualche virtù da suggerire: ma tutti furono d´accordo che in lui non trovarono mai cosa che meritasse correzione, nè avrebbero saputo quale virtù aggiungere in lui ».
Don Bosco dice iI vero. Quei ch´egli aveva invitato a dire del Savio, e dei quali riferisce la sentenza, sono precisamente quelli che nei due Processi Canonici hanno detto la cosa medesima: non perché letta nel libro, ma perchè già detta da loro affinché Don Bosco la scri¬vesse nel libro. E l´han detto quasi colle medesime parole, aggiun¬gendo, secondo l´incidenza del discorso, ch´era « opinione di tutti », « voce comune », e che « nell´Istituto si riteneva da tutti ». E Don Rua,

191
sempre così misurato nelle sue affermazioni, include il tutto in una sentenza anche più forte: che cioè, quanto alla fama postuma di san¬tità del Servo di Dio, « tanto meno si cercò di occultare i difetti: giacchè, se tutti i suoi giovani compagni, si diceva fin d´allora, si fos¬sero -messi insieme per trovarne alcuno, non avrebbero potuto riu¬scire » (i).
Non riferisco le attestazioni degli altri: sono una quindicina i testi coevi, e uno, Mons. Tasso, posteriore appena di cinque anni (a): di questi ben dodici affermano l´assoluta assenza d´ogni difetto anche minimo: cinque aggiungono esser quella l´opinione comune: sette vanno nel campo spirituale, escludendo anche ogni venialità volon¬taria. Non ne parlano quei pochissimi che su tal punto non furono in¬terrogati o non conobbero abbastanza la vita dell´Oratorio; mentre, presso i testi posteriori, si trova riaffermata la fama primitiva, quale ancora, e più viva e determinata, durava nell´opinione.e nei discorsi di Don Bosco (3).
E perchè non si creda ad una suggestione divenuta generale per il diffondersi d´una frase fatta (come capita, in bene o in male, nelle collettività e, purtroppo, anche nelle comunità), ci sta il fatto che quel
·l´idea di perfezione del Savio veniva messa in confronto con l´inecce¬pibile esemplarità del chierico Michele Rua, allora giudicato « mo¬dello di perfezione », col quale si diceva che il Savio gareggiasse e gli stesse alla pari (4). Ed anche l´altro fatto, che il Nostro non figurava l´unico santo giovane dell´Oratorio, ma si riconosceva comunemente che altri ve n´erano (lo nota anche Don Bosco), benché tra quelli il Rua e il Savio avessero il primato, e, se dobbiamo dirlo, il piccolo santino, più lieto e più amabile, raccogliesse maggiori simpatie (i).
Ed ora, caro lettore, mettiti in presenza di questo gentile, lieto, vivace, amabile giovinetto, e pensa ch´egli non manca mai, che non ha un difetto, che se c´è una virtù, egli la possiede: e dimmi se tu non vi senti il sovrumano, e non sei tentato a venerarlo come un essere « ve¬nuto di cielo in terra a miracol mostrare » (6).
(r) Somm. Proc. Ordire., D. Rua, pag. 394•
(2) Dei 28 testi (m + 18) citati, sette comparvero anche al Processo Aposto¬lico, sicché sono 15 testi su 21 che qui si adducono. Gli altri o sono posteriori,
o estranei all´Oratorio, o non vogati. Naturalmente tutti han parlato bene del Sa-vio: ma qui si citano le attestazioni formali del fatto. Indicare nomi e pagine delle singole testimonianze, mi parrebbe qui inutile pedanteria.
(3) Somm., Barberis, 598.
(4) Somm., Conti, 61 e 104.
(5) Somm., Baliesio, 371; Tasso, 56.
(6) DANTE, Vita Nova, Son. XV.

19z
o 0 o
Ma dirai pure: questo è carattere, è il carattere. Perchè quella forza e tenacia del volere e quella presenza di sè a se stesso, ond´è fatto
possibile un tale costante ed eroico tenor di vita, seno, sì, i contras
segni d´un carattere, ma si esercitano (direi che mettono in azione) sulle abitudini morali, che neI loro insieme danno la fisionomia della
personalità, .e nelle quali la morale umana riconosce particolarmente
il carattere stesso. Che tali doti morali siano virtù, acquisite umana¬mente o portate al valore di virtù infuse per grazia di Dio, già si è
accennato, e qui non c´entra se non perchè esse formano materia d´in¬dagine nei Processi: segno che non si può conoscere e giudicare nep¬pure d´una santità senza tenerne conto, se è vero che nel Santo c´è l´Uomo, ed è l´Uomo che si eleva a Santo.
Nel nostro Savio, insieme con tutte le altre care virtù che gli ab¬biamo riconosciute, spiccano appunto quelle particolari doti, per le quali chi le possiede è detto uomo di carattere. Il dirlo uomo non è qui troppo fuor di luogo, poichè veramente tutti gli hanno conosciuto una capacità morale superiore, quasi estranea, all´età sua. È un poco più che fanciullo che vale un uomo fatto.
Nella tipologia canonica tutta questa materia rientra nei titoli De prudentia, de justitia, de temperantia, de fortitudine, de castitate, de paupertate, de oboedientia, de huntilitate: doti o virtù pratiche, nelle quali ha parte, innanzi tutto, l´umano.
Appare intanto, in primo luogo, l´assennatezza, il criterio, la ponderatezza, la misura: altri dice, equilibrio, dominio di sè, saper tacere: un tutto che fa del nostro caro soggetto un tipo giudizioso, riflessivo, in ogni senso prudente. Il piccolo santino ha meravigliato ognuno per quest´assennatezza e prudenza, così in contrasto con l´aria e la statura di fanciullo, e con la gaiezza sua abituale. Quei che vissero con lui usano termini ben precisi e citano fatti di gran valore. Per non dire della misura nel bene, del non esagerare in nulla, che altrove ab¬biamo già considerato (i): i suoi antichi compagni lo fanno equili¬brato in tutto, prudente e riflessivo, di sapiente criterio (z): dicono che non si è mai osservata in lui azione o parola che dimostrasse leg¬gerezza di carattere (3). La sua « specchiata prudenza » lo induce, col Massaglia, a non volersi esporre ai pericoli delle vacanze, e lo. narra anche il Capo XIX della Vita, citato in prova negli Atti del Pro
(i) Cfr. sopra, pag. 176.
(2) Somrn., ´Ballesio, 245; Piano, ibid.
(3) Tbid., Piano, 252.

193
cesso (I): una prudenza che lo fa astenere da certe compagnie o, al caso, sventare i complotti dei male intenzionati (z). « Illuminata pru¬denza » vede in lui il Cagliero, perchè nulla fa senza consigliarsi con Don Bosco, o con gli amici più intimi, prima di operare: e « prudenza superiore all´età» la definisce insieme con Don Rua (3). Ed essi ed altri ricordano, cosa non ordinaria in quell´età, la riservatezza nei par¬lare e più ancora il saper tacere (4).
Un capolavoro, quanto meno, di senno e di prudenza è per tutti (le citazioni sarebbero molte) la formazione della Compagnia dell´Im¬macolata, preparata e condotta a compimento senza che nessuno,
all´infuori dei partecipanti, ne sapesse nulla, neppure il Francesia, che gliene dà lode (5).
La prova più luminosa dell´assennatezza e criterio del Savio è nel concetto che n´aveva Don Bosco. Il quale, come attestava la sorella superstite, « faceva gran conto dell´assennatezza e criterio di mio fra¬tello; tanto chè, come Don Bosco mi narrava, in qualche speciale ed importante circostanza si rivolgeva a lui, sebbene ancora così giova¬netto, per averne il parere... E tutte le volte, concludeva, non si era mai sbagliato nel seguire i suoi suggerimenti » (6).
Non occorre indugiarci a collegare questa preziosa dote con l´idea del carattere quale abbiamo esposta: è certo che mentre non la si crede cosa da giovani, il possederla a un grado che lo stesso Don Bosco è obbligato a notarla, e, più ancora, a valersene, dà ragione al giudizio della Chiesa di collocarla tra gli argomenti di eroismo, e dall´ambito puramente intellettuale portarla a quello delle virtù morali, perchè la sua eccellenza suppone l´opera d´una volontà. O non è la prudenza una delle quattro virtù cardinali?
o o o
Tanto più dobbiam dirlo di tutto ciò ch´è onestà, coscienza del. do¬vere, rettitudine o dirittura di sentimenti. Se si vuole, può chiamarsi
(i) Somm., pag. 252-253. — Il fatto è addotto anche dall´Anfossi, che ripete le parole della Vita; cfr. pag. 248-249-
(z) Somm., D. Rua, 250.
(3) Somm., Cagliero, 247; Rua, 250.
(4) Somm., Conti, 248; Francesia, 245.
(5) Somm., Francesia, 245.
(6) Somm., Tosco-Savio, 246. Le parole omesse dicono: e E quando Don Bo-sco mi diceva questo, soggiungeva: Non ti spiego le cose intorno alle quali io lo interrogava, perchè tanto non le potresti compiendere à. C´è da pensare a S. Luigi, che a sedici anni (1584) poteva trattare gli affari del Marchesato presso il Se¬nato di Milano. — Cfr. CRISPOLTT, cit., pag. 58.

194
col termine dottrinale di giustizia. Noi vedemmo, poco fa, che in questo titolo si son comprese quelle due preziose espressioni della bontà: la gratitudine e l´amicizia, che son cosa tutta del cuore. Ma, senza destreggiamenti dialettici, possiarn vedere che con quelle ci stanno anche le altre n´tanifestazioni del carattere giustamente equili¬brato (t). Ci sta la cura di non offender mai nessuno (a), e di tollerare e tacere i difetti dei compagni (3); ci sta l´esattezza nel corrispondere ai doveri della propria condizione (4), e il rispetto d´ogni persona, cosa subito notata da tutti, tanto da farne un merito personale, e dav¬vero non facile nè comune nel ceto tra cui viveva (5). C´era un´onestà generosa nel non riferire i torti e villanie ricevute, e dopo aver sedato quella rissa famosa: così come la parola data lo obbligava a veri sa¬crifizi, quando, impegnatosi ad aiutare alcuno nelle cose di studio, vi si prestava a tutte l´ore. Senso d´onestà era l´accettare con ricono¬scenza quel che la Casa somministrava, pensando alla propria po¬vertà e a quello che costava al benefattore, nè mancò di notarlo Don Bosco (6). Più pronto a dare che a ricevere (´i), si fa scrupolo di con¬correre con quel che può, un povero libretto, alla festa della Madon¬nina, e sul partire per l´ultima volta, si affretta a soddisfare un debito
di due soldi (8).
Questo senso di onestà, che gli uomini chiamano moralità delle azioni. (9), non è una dote da fanciulli, e c´è nel Savio, perché in questo genere un fanciullo non è. È una virtù naturale, umana, che nel vero cristiano non deve mancare, e che.S. Paolo vuol congiunta alla carità: Veritatem facientes in caritate (Eph., IV, 15). Nel nostro giovanetto la rettitudine delle intenzioni è appunto ispirata al pensiero di Dio. Vi¬vendo, la sua pietà non l´avrebbe mai distratto dai doveri umani, perchè era un carattere (1c).
(I) SALES, Introd. cit., III, cap. XXXVI: u Qu´il faut avoir l´esprit juste et
raisonnable n.
(z) Somm., Ballesio, 254; Barberis, 257: s Non aver mai fatto torto à nessuno
nelle piccole cose i.
(3) Ibid., Francesia, 114. — Ricordiamo i suoi diportamenti con gli offensori.
(4) Somm., Cerruti, 256; Anfossi, 259.
{5) Somm., Melica, 255; Cerruti, cit., 256; Cagliero, 256; Cerruti, 26r; Fran
cesia, 262.
(6) Somm., Cerruti, 297: ´( Dor, Bosco fa tanti sacrifizi per noi: facciamo an
che noi tutti ì risparmi possibili Cfr. Vita, cap. XVI.
(7) Somm., D. Rua, 259.
{8) Vita, cap. XIII e XXIII. -- Somm., Francesia, 255.
(9) Il suo contrario è l´essere amorale, un neologismo che purtroppo ha fatto
fortuna.
(Io) Vi è su questo tema una forte pagina del COLUMBA-MARMION, che invito
a leggere: op. rit., pag. 261-263, e per l´ultimo concetto, pag. 263-264.

195
o o o
Anche più evidente si rivela la forza della volontà e il dominio di sè nel superamento di se stesso quale importano altre virtù, dove lo spirito vince la materia e si rende indipendente da essa. Non parlo qui delle penitenze e mortificazioni, le quali sono più intrinsecamente connesse con le ragioni superiori dell´ascesi, o, per dir meglio, del¬l´ascesa verso la santità. Ne dirò a parte, come anche fa Don Bosco.
Ma la temperanza, il coraggio e la pazienza, l´accettazione della povertà, il padroneggiare il proprio temperamento, la modestia che fiorisce sulla purezza e la modestia che germina dall´umiltà sono an¬cora componenti del carattere o qualità di esso, e virtù dell´uomo: per quanto sia vero che ad essere come di fatto le troviamo nella persona
del Savio, la sola virtù naturale non basta, e vi concorre un fattore più alto. Ma quella ci vuole e quella vi è.
Un detto del Cagliero ci fa appunto vedere come stanno fra loro i due gradi delle virtù: quando, deponendo sul tema della temperanza, ci dice: « la temperanza cristiana guidò il Savio nella costante mortifi¬cazione dei suoi sensi, degli atti, della volontà. Egli fu costantemente parco neI vitto, nel vestito, e mortificato nella gola » (t). Nel resto egli fa sua la deposizione di Don Rua. Il quale entra in argomento di¬cendo: « non m´accorsi mai che secondasse l´avidità tanto comune nei fanciulli di procurarsi ghiottonerie ». E continua segnando che « mai fu inteso muovere lagnanze sugli apprestamenti di tavola » (a).
Parola classica e quasi di rito nel mondo di Don Bosco, questa del « contentarsi degli apprestamenti di tavola ». Il Santo educatore ne ha fatto un caposaldo e un criterio di giudizio per i suoi giovani e per i suoi figli spirituali; ne ha fatto una delle massime capitali del¬l´educazione morale. Sappiamo già che in tutti i suoi scritti biografici e in tutti i discorsi morali ai giovani, fin nel primo Regolamento, quel¬l´espressione ritorna invariata; e non ci meraviglieremo se dei testi dei due Processi non uno trascura di farne un merito per il Savio (3). Eppure ricordano Ia semplicità del vitto molto ordinario dell´Oratorio, e la durezza della vita di quei tempi (4), mentre il loro amico mai non dimostrava desiderio di cibi più delicati o di preferenze. Neppure le
(i) Somm., Cagliero, 259. (a) Somm., D. Rua, 27o.
(3) Uno veramente c´è: ed è Don Pastrone, parroco di Mondonio dal 187o in poi, che riferisce per udito cose attinenti alla condotta tenuta in paese: e cioè affatto estranee alla Casa di Don Bosco.
(4) Somm., Ballesio, Piano, pag. 263. Ordinario in pieni. -:— grossolano.

196
eccezioni ragionevoli, dovute al suo stato inferrniccio, avrebbe volute, e, pur soffrendo male di stomaco, non domandava « cosa da parte » che senza dubbio Don Bosco gli avrebbe concessa. « Bisogna mangiare cogli altri quello che ci danno a tavola » (i). Qui c´entra anche lo spi¬rito di mortificazione, e ne riesce provata la parola del Cagliero. Il grande amico aveva in questo tal concetto del piccolo Domenico, che, rievocandone fin le più fuggevoli manifestazioni, quali il moderarsi « anche nelle soddisfazioni lecite e giuste dopo la fatica », non poteva significarne il valore se non dicendo che tale virtù « era praticata in grado eroico, sommo, costante, spontaneo, naturale, quale non so¬gliono averla anime anche giunte a perfezione » (2).
o o o
Ed è davvero difficile sceverare e separare i due momenti; e Don Bosco infatti non li ha distinti. Non però che alcuni particolari non possano applicarsi alla sola virtù del carattere. Per esempio, quello dell´assetto nel vestire. Era povero e vestiva poveramente, senz´ambire eleganze mentitrici: ma « amava la pulizia, ed in questa... era di esem¬pio ai compagni; povero, ma decente, era accolto volentieri dai condi¬scepoli di più alta condizione » (3).
Non è piccola cosa codesta dignitosa sincerità del povero, e che indica altezza d´animo certamente non comune in quella condizione, e tra gli uomini troppo più rara che non si creda. Io vi insisto, perchè fu anche una virtù di Don Bosco. Nato povero, volle sempre essere e comparire povero, senz´affettazioni e trascuraggini, ma, come il suo alunno, semplice e dignitoso. Maestro e discepolo non si adontarono mai della povertà; possiam dire che, come Don Bosco aveva appreso da Mamma Margherita a non voler esser ricco (è nota l´intimazione di quella Madre al figlio novello prete), e del vivere povero fece anche una legge a sè e ai suoi: cosi il Savio, se fosse vissuto, sarebbe rimasto ac¬canto a Lui esemplare perfetto e assertore della povertà pratica e della povertà religiosa, come fu per antonomasia Don Michele Rua.
Né vi è solo la sopportazione e l´adattamento e il decoro della po¬vertà: buone cose, che già la sapienza umana e gli uomini della storia hanno umanamente insegnate e praticate. C´è il senso cristiano del¬l´amore della povertà. Il nostro giovane santo, non meno del suo Mae
(i) Somm., Docum. n. 8, pag. 469: Promemoria di G. Bonetti a Don Bosco, 1858.
(2) Somm., Cagliero, z66.
(3) Somm., D. Rua, 271.

197
stro, amò la povertà. E fu in lui tale virtù, che nel secondo Processo
· (Proc. Apostolico) si senti il bisogno di farne un titolo apposito: de heroica paupertate, che nel primo (Proc. dell´Ordinario) non c´era (i). Ed impariamo dà quello che non solo non´si lamentò mai della sua condizione familiare o del disagio della vita « piuttosto dura »
del
l´ (2); non solo « era sempre contento del suo stato » e non
ebbe mai desiderio di ricchezze o agiatezze (3): ma, « cosa a tutti no¬toria », viveva da povero e non voleva tener niente per sè, consegnando ai superiori anche quei pochi soldarelli, e studiandosi di risparmiare
e far economia di quello che Don Bosco procurava con tanti sa¬crifici (4).
C´è carattere adunque, ma più che il solo carattere. Giustamente diceva il Cagliero: « Il Savio prese pure amore alla povertà, che pra¬ticava costantemente con retto spirito d´imitazione di G. Cristo. Que¬sto spirito non era comune, ma aveva dello straordinario, e perciò dell´eroico, essendo anche in ciò guidato dalla grazia di Dio e da quello stesso ardore di farsi santo, che lo distaccava da tutto ciò che era umano e terreno, sollecito solo dei beni spirituali e celesti » (5).
Ed io non so se Don Bosco abbia pensata altrimenti la povertà religiosa dei suoi salesiani. Certo -è che, appunto nel 1858, parlando ai suoi più fidi, e cioè agli amici ch´erano stati del Savio nella Com¬pagnia, come a preparare la prossima futura Congregazione, usciva in quella memoranda sentenza: « La povertà bisogna averla nel cuore per praticarla ». E forse, perchè no ? l´avrà pronunciata anche prima, vivente e presente il suo santo discepolo (6). Ed è precisamente il distacco che sta alla base della dottrina alfonsiana alla quale Don Bosco si ispirò (7).
(i) Soma., tit. XV: De heroùa paupertate. — La famiglia del Savio era po¬vera, e la sorella ricorda « qualche strettezza »; ma non eran poi mendicanti, e il pane pei dieci figliuoli il buon padre e Ia madre, lavorando, lo trovarono sem¬pre. Don Bosco certamente accolse con generosa carità il fanciullo, tenendolo quasi gratuitamente, e coprendo lui e altri, divemiti poi qualche cosa (a me lo diceva D. Durando), dei giubboni avuti in dono dai depositi militari. Ma non è da credere che il Savio fosse il solo povero o il più povero dei figli della carità di Don Bosco.
(a) Somm., Piano, 276.
(3) Somm., Francesia, 272: r Frequentando le scuole private, cui intervenivano giovinetti di civil condizione, non si mostrava mai malcontento di sè, nè parlava di loro come più fortunati e.
(4) Somm., Francesia, 296; Tosco-Savio, ibid.; Conti, 297; Barberis, 298.
(5) Somm., Cagliero, pag. 297.
(6) 111ern. Biogr., V, pag. 67o. Del resto torna a proposito l´intero cap. LV.
(7) KEUTSCH, La dottrina spirituale di S. Alfonso M. de´ Liguori, cap. TI, pag. 290 seg.
Tq CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. VoL IV. Parte I.

198
o o o
Ma c´è un distacco anche più forte, ed è anzi, per antonomasia, il vero essere forti: quando si sta sopra e contro il proprio essere: quando si resiste al dolore e alle sofferenze o avversità, e quando si vince il proprio temperamento. I saggi hanno detto che il vincere se stesso è la massima delle vittorie, e la parola virtus include radical¬mente l´idea di forza. Tra le virtù morali la fortezza è una delle quattro cardinali, e nel concetto comune essa sta come fattore ordinario e, se si vuole, primordiale dell´idea di carattere.
Nella persona del giovane santo il carattere, anche umanamente inteso, vi è, ed è forza d´animo e fortezza in ogni senso. Stando alla
genesi psicologica, si poteva parlarne prima; ma è un crescendo espres
samente disposto per ottenere il massimo risalto della figura. Perchè non mai, come qui, appare così spiccata la persona, il se stesso, anche
se poi, immediatamente, venga ad avvolgerla il nimbo della santità.
Mi spiego. Per Don Michele Rua il Savio è il tipo della spiritua¬lità pratica: per il Cagliero è senz´altro l´angelico: per il Bonetti, che,
giovane di diciott´anni, ne scrive a Don Bosco, egli è QUEL FORTE (i). La parola non è di lui solo, ma è l´eco del sentimento comune, che trova in lui la sua espressione.
Così è: Savio Domenico, il sorridente amabile angelico fanciullo, è un forte. Per misurare meglio il valore del termine, pensiamo ch´è un fanciullo sulla soglia dell´adolescenza, delicato di fibra, presto in¬debolito da malattia assidua ed estenuante, che lo rapisce anzi tempo, - ed è poi di cuore tenerissimo, e dev´essere pertanto d´una sensibilità squisita al dolore fisico non meno che al contatto morale. Eppure su¬pera tutto questo, e si diporta come non fosse.
È un essere delicato, ma non un debole, e la sua vita, come la sua pietà, è ben lontana dal presentare la sentimentalità e la mèlanco
nia, l´impressionabilità e l´abulia, l´incostanza e lo squilibrio, l´esalta¬zione e la fantasticheria d´uno stato morboso (2). Analizzando i dati biografici e i fatti spirituali, nessun psichiatra troverebbe di che infe¬rire per una psicologia patologica, così come non riuscì all´Albertotti di riscontrarne nella persona di Don Bosco.
(i) Somm., tit. XXII: Documenta, ecc., n. 9, pag. 470. L una delle due let-tere di risposta del Bonetti alla richiesta di Don Bosco per aver notizie della
vita del Savio.
Jouv, op. cit., pag. 7. Potrei addurre, pagina a pagina, tutto quel classico lavoro che dimostra appunto che i Santi non sono quello che la scienza pura vor
rebbe.

199
Anche così., il sangue nelle vene al Savio non manca, ed è per na¬tura sveglio e vivace. Lo hanno visto tutti, così com´hanno visto la normalità, per non dir altro, dei suoi comportamenti. Hanno visto anche di più: il superamento di tutte codeste condizioni dell´essere fisico mediante l´energia dello spirito: per questo egli è ai loro occhi quel forte.
Don Bosco, nel rappresentarlo, mostra d´averne piena e profonda conoscenza, e lo comprende tanto, da fare di quella forza (ch´egli am¬mira) uno dei lineamenti più espressivi della figura ´che ne disegna. Egli ce lo ritrae pazientissimo non solo, ma sempre lieto e vivace in mezzo alle infermità, fino ad una serenità addirittura eroica nella sua volontarietà, nei momenti più -duri delle malattie, e perfino quando vede correre il proprio sangue (i). E non meno incisivamente segna il contrasto tra la vivacità dell´indóle e dello spirito, e la naturalezza d´un tenor di vita composto ed equilibrato: segna anche i momenti in cui affiora la tempra nativa, il cosiddetto carattere naturale, e il su-peramento che quel forte ne ottiene. Il Capo XVI è per questo aspetto il testo più eloquente. « Chi mirava il Savio nella sua compostezza esteriore, ci trovava tanta naturalezza, che avrebbe facilmente detto essere stato così creato dal Signore. Pure quelli che lo conobbero da vicino (sono appunto i testi del Processo), od ebbero cura della sua educazione, possono assicurare che era tutto sforzo umano, coadiuvato dalla grazia di Dio ».
P ben vero che il santo scrittore, vent´anni dopo, temprò l´espres¬sione dicendo che vi era un grande sforzo umano (V Ediz., 1878). Ma, lasciando stare che nel 1878 egli era costretto da certe circostanze sto¬riche a studiare più accuratamente le parole che stampava (a), il cam¬biamento non altera la sostanza del fatto, quando si vede che o tutto
o grande, lo sforzo umano vi è, ed è coadiuvato dalla grazia di Dio. Ed è in sorm-na la virtù cristiana della fortezza, che, secondo S. Tom¬maso (3), essendo sottomessa alla ragione, richiede una deliberazione e uno sforzo, e presenta pure nel suo esercizio una certa difficoltà. Che poi nel nostro Santino essa diventi un dono dello Spirito Santo, non ne mancheranno le prove.
È, come si vede, l´assunto che veniamo dimostrando. Il Savio è
(i) Vita, cap. XXI, XXIII, XXIV-MCV.
(z) Leggere nei vol. XIII-XV delle Mem. Biogr. (CERrA) le vicende deI con¬trasto con le Autorità Ecclesiastiche di Torino. Ne vedremo più oltre, e in ma¬teria ben più delicata, gli effetti.
(3) Summa Theol., q. ´23, art. 3-6. E il PETITOT, pag. AI, la rico
nosce nella Santa di Lisieux l

200 `1
quello che è, anzitutto per forza di carattere: per lo sforzo umano. E l´anzitutto mi salva dal cadere nel laicismo.
Il Santo scrittore ne dà due saggi significantissimi, oltrecchè dav¬vero eroici. « I suoi occhi erano vivacissimi, ed egli doveva farsi non piccola violenza per tenerli raccolti. Da prima, egli ripetè più volte con un amico, quando mi son fatto una legge di voler assolutamente dominar gli occhi miei, incontrai non poca fatica, e talvolta ebbi a patire grave mal di capo ». È il superamento di se stesso, voluto ed elaborato con tenacia di volontà fino alla sofferenza: è lo sforzo umano del carattere.
Lo sforzo è tanto più evidente quando la tempra naturale è colta di sorpresa, e bisogna chiamare a raccolta e concentrare in un punto tutte le potenze e le virtù acquisite. Ecco: « Un giorno egli aveva avvi¬sato un compagno d´una cattiva abitudine. Costui invece di accogliere con gratitudine la fatta ammonizione, si lasciò trasportare a brutali ec¬cessi. Lo copri di villanie (forse gli diede del tisicone?), di poi lo per¬cosse con pugni e calci. Il Savio avrebbe potuto far valere la sua ra¬gione coi fatti, perché era maggiore di età e di forze. Ma non fece altra vendetta, se non quella dei cristiani. Diventò bensì tutto rosso nella faccia, ma frenando l´impeto della collera, si limitò a queste parole: « Io ti perdono: hai fatto male: non trattar con altri in simil guisa » (i). L´episodio è addotto a conferma dél già detto, che « anche in quelle stesse occasioni in cui riceveva qualche oltraggio, sapeva moderare la lingua e la bile ».
Tutto il libro di Don Bosco è pervaso da codesta idea del coraggio, della forza d´animo, del superamento della natura. Si rilegga al Capo IX il coraggio della famosa rissa tra i due compagni; al Capo XI la fermezza d´imporre i suoi buoni discorsi; al Capo XII la risolutezza nell´affrontare l´uomo scandaloso; al Capo XV, la pazienza nel soppor¬tar ingiurie e dispiaceri; al Capo XXI la calma nel presentimento della morte, e « Ia giovialità, la prontezza di spirito, l´assennatezza » nel¬l´ora del consulto medico; al Capo XXIV la serenità e il coraggio, la pazienza abituale divenuta « modello di santità »; e la serenità degli ultimi momenti (Cap. XXV): il tipo rimane costante, e il carattere di quel forte illumina di sua luce tutta la vita.
Certamente tutti i Santi, per essere tali, han dovuto superare, lot¬tando, la natura, ed è la predica più comune che si fa: per non us::ir di casa, la virtù più lodata in S. Francesco di Sales è quella della dot
e) il fatto del Rattazzi, altrimenti narrato dai testi oculari, dai quali, e
non dal Savio, lo apprese Io scrittore. Ma nessuna testimonianza presenta la prima parte dell´episodio al modo della Vita.

2Q1
cezza, conquistata, come tutti sanno dalle sue proprie parole, vincendo, con lavoro di anni, il proprio bollente temperamento. Ma l´eroismo del Santo in tanto è tale, in quanto presume ed involge lo sforzo umano;
e questo sforzo è di troppo più ammirevole in un fanciullo che non in un uomo maturo, specialmente se, come nel fatto nostro, si giunge ad una perfezione superiore all´età, e il lavoro assiduo e diuturno si eserciti tuttavia in circostanze quotidiane e poco appariscenti.
o o o
il lettore dovrebb´esser grato a chi scrive (perdonandogli tutto il gravame restante) perché, a condurre il suo studio ha richiamato i dati dei Processi. Quella Relazione del Bonetti ci ha dato la parola che stampa il carattere: quel forte; e le testimonianze giurate c´illustrano
e concretano il concetto, e sono di quegli altri « che lo conobbero da vicino », i quali hanno, come dice lo Scrittore, potuto assicurare che « era tutto sforzo umano ». Non che si voglia laicizzare una figura di santo: ma nè il Santo scrittore nè gli altri hanno voluto, per esaltare la grazia di Dio, negare la personalità. Tutti i testi coevi riaffermano in vario modo, e con circostanze specificate, l´immutabile pazienza e serenità « nel sopportare la debole salute » e le malattie degli ultimi suoi mesi, non solo « con rassegnazione » ma « con ilarità costante »
e con « una pace e serenità che non las´ ciava conoscere quanto pa
tiva» E possiamo anche anticipare il punto ascetico delle peni
tenze e mortificazioni, ricordando sulle loro parole il sopportare senza lamenti « la vita piuttosto dura » dell´Oratorio, dove mancava affatto il riscaldamento (z), e la tolleranza tutta sua dei geloni, che più d´ogni altro gl´impiagarono le mani, ed egli (ma qui andiamo più in là) giungeva perfino a stuzzicarli (3): tutto insomma un insieme, quasi un sistema, d´indipendenza e di superiorità sulle sofferenze, che non potè sfuggire a nessuno (4).
Con pari unanimità tutti rammentano la pacatezza, la calma, la mitezza, la dolcezza ammirabile, con che si diportava in presenza delle ingiurie e maltrattamenti di ragazzi discoli e maleducati, quali ab¬biamo già ricordato: « conservando inalterata sempre, con grande sforzo della volontà, la pacatezza e la calma delle sue azioni, sebbene per
(i) Somm., Piano, 276; Melica, 276; Cerruti, 277; Cagliero, 277. (a) Somm., loc. cit., Piano, 276.
(3) Vita, cap. XVI. — Somm., Piano, 283; e Docum. n. 4, pag. 46o; Anfossí, 280.
(4) Anche qui verrebbe naturale il parallelo con Don Bosco: ma che cosa diventerebbe questo povero mio scritto, se vi mettessi tutto quello che si può dire ?

202
carattere (qui, nel senso di temperamento) fosse inclinato a un´indole
piuttosto vivace » (i). •
Parole d´un intimassimo e intelligente amico, alle quali s´accordano le definizioni dei tre più autorevoli relatori, il Cerruti, il Rua, il Ca¬gliero, le cui esperienze confermano il concetto espresso così giusta¬mente dall´Anfossi, e, prima, da Don Bosco. « A me parve sempre, dice il Cerruti, che il naturale del Savio fosse- piuttosto irascibile, e che quella calma, quell´equilibrio, quella padronanza che aveva acqui¬stato di se stesso, fosse effetto di un grande lavoro che in se stesso aveva operato ». Ciò gli pare dover dedurre dal caso Rattazzi: « Ho veduto in quel caso nel caro ragazzo un vero sforzo per reprimere se stesso » (2).
Don Rua: « Quanto all´indole, sebbene io non abbia avuto mai occasione di vederlo in collera, giacchè sempre lo vidi con aspetto calmo e sereno, sono tuttavia persuaso che tale sua calma e serenità fosse effetto di vera virtù: giacché seppi da altri che, in occasione ch´era stato ingiuriato e battuto... lo si vide accendersi in volto, non perdendo però la pazienza, e limitandosi a dire: Io vi perdono, voglia il Signore perdonarvi » (3).
La più completa, la più definitiva sentenza viene dal Cagliero: «Nei tre anni che lo conobbi all´Oratorio, durante i quali gli fui assi¬stente e maestro in molte attribuzioni, constatai che, sebbene fosse di carattere vivace, d´indole pronta e sensibile alle contrarietà, nondi¬meno non lo vidi mai alterato, nè sentii dire che siasi lasciato traspor¬tare dall´ira con atti o parole contrarie alla mitezza cristiana. Assicuro anzi che fu sempre mio convincimento che il suo carattere (leggi tem-peramento) fosse talmente da lui dominato, sino ad apparire naturalmente mite e pacifico, e d´una dolcezza ammirabile» (4).
Dòpo tali parole non c´è da soggiungere altro: il nostro ragiona¬mento e la sentenza di Don Bosco vi sono così armonicamente ri¬flessi e compendiati, da lasciare in noi la persuasione più convinta che il dolce, angelico piccolo santo è veramente quel che fu detto: QUEL
FORTE!
(i) Somm., Anfossi, pag. 280. L´Anfossi, se occorre dirIo, ricorda le cose della sua giovinezza vedendole ornai da uomo più che maturo (68 anni) e da per¬sona nutrita di forti studi. Io posso dirlo, che posseggo parte dei suoi libri, e perfino i suoi appunti universitari, scritti sul bianco dei temi de´ suoi scolari (oh povertà salesiana!) ricuciti in quaderni!
(z) Sonun., Cerruti, 277.
(3) Somm., Don Rua, 282. Si noti il plurale, o multiplo o generalizzante.
(4) Somm., Cagliero, 278. — Non s´è detto altrettanto di S. Francesco di Sales?

203
o o o
È una forza questa, che noi vediamo spesa quasi tutta in rendersi amabile, e dà un tono di simpatia affettuosa all´ammirazione che se n´è concepita. Tanto più perchè la dolcezza, che appare nativa e non è, s´immedesima con un modo di esercitarla (la parola viene da Don Rua) (i), ch´è alla sua volta una virtù, ed è tale perché il superamento di sè, quale prima si volgeva contro ogni sensibilità, ora si esercita sopra il concetto- di se stesso, quasi sul senso del proprio io, e com¬pone l´animo a quell´atteggiamento che si chiama umiltà, e che si ri¬vela nelle maniere della modestia.
Lascio (non senza difficoltà, come ho già detto) l´aspetto ascetico, e m´attengo ancora una volta al senso umano che noi diamo a queste parole: alla modestia, ch´è in antitesi con ogni, non solo orgoglio o alterigia o presunzione, ma presentazione e sentire di sè.
La figura del nostro giovanetto è, dirò con Dante, benignamente d´umiltà vestuta. I suoi sentimenti, il suo portamento, Ie parole, le maniere, hanno quel tono indefinibile a termini propri (e spiegabile solo per via di antitesi) che si chiama modestia. È un santo, ed è neces¬sariamente umile: ma non di quella drammatica e pittoresca umiltà dei santi cercatori di umiliazioni, bensì di quella che, accompagnata dalla bontà, dalla mitezza, dalla temperie e gentilezza dei modi, in¬spira e riveste ogni atto ed ogni azione. Quella di Don Bosco, che sta a tipo della virtù salesiana.
Le parole di Dante sono tanto più vere nella persona del nostro santino, quanto la bontà nativa glie inspiratrice d´umiltà, e questa
ne colora gli aspetti (z). Non è l´umiltà accorata di chi si pensa il gran peccatore: Savio Domenico non dice mai questo; l´umiltà di lui è quella serena e lieta di chi riposa nella grazia di Dio, e si espande nella gioia della sua coscienza (3).
L´umiltà è una perpetua presenza di Dio, e l´uomo umile è un uomo lieto, appunto come il fanciullo che solo vive ed espandesi ed esilara nella luce solare che l´avvolge, felice, forse senza saperlo; ed è il caso di chi è santificato dall´umiltà (4).
(I) Sonarla., pag. 258: sLa stima e l´affetto che Don Bosco e i giovani nutri¬vano per lui, non era solamente effetto delle virtù da lui esercitate, ma anche del modo con cui le esercitava e. Parole di D. Rua, riferite dall´Amadei.
(a) FABER, Confer: spir., cit., pag. 7. — Cfr. sopra, pag. 569, la citaz. da La¬cordaire.
(3) FABER, Progressi, cit. pag. 183: Creatore e Creatura, cit., pag. 300; Be¬tlèmnie, pag- 413-414.
(¢) FABER, Betlemme, cit., pag. 175.

2o4
M´accorgo d´essere uscito (ma è. inevitabile) dal puro umano; ma
per dar luogo ad un riflesso non superfluo. umanamente impossibile che un Santo, il quale per esser tale, deve onninamente operare colla propria coscienza interiore, sfugga alla consapevolezza della propria condizione rispetto a Dio, e alla coscienza, al senso della grazia vi¬vente in lui (I). Sarebbe come volere che un galantuomo non sappia d´essere un uomo onesto. I Santi vivono nella coscienza della propria indegnità; e si alimentano del timor di Dio; ma non possono, a meno d´essere incoscienti o ingrati, disconoscere i doni di Dio nella loro anima.
Ma ciò non è incompatibile con l´umiltà. Semplicemente, i Santi
riconoscono tutto da Dio e vivono di questa vita di ringraziamento (2), col solo timore di non corrispondervi abbastanza (3). L´umiltà della Teresa di Lisieux non le ha mai fatto dire nè credere d´essere una Maddalena, nè impedito di preconizzare la sua canonizzazione e di¬chiarare il suo programma di vita in Paradiso. Così il nostro santino va in deliquio al pensiero del premio degl´innocenti in cielo: confessa di patire « distrazioni » nelle quali « mi pare che il Paradiso mi si apra sopra il capo » (Capo XX), e nel momento di partire, domanda a Don Bosco se potrà dal Paradiso vedere i suoi cari e venirli a trovare!
questo, che gli dà quella gioia affascinante e inalterabile, che tutti gli hanno letto negli occhi, ed è questo che lo rende guardingo contro ogni spunto d´amar proprio, e lo fa essere umile nel sentir di se stesso, e singolarmente modesto nella vita esteriore.
Don Bosco non fa di questa virtù un tema particolare nella Vita:
la fa sentire implicitamente descrivendo la bontà, le maniere e la vo¬lenterosa sommessione, perfino un gesto eroico come il sopportare l´accusa immeritata della scuola di Mondonio (capo VI). E benchè dia a tutto un significato superiore, si attiene ai fatti umani che manife¬stano il carattere. Così il suo santino ha « ormai presenti quei bei principii di educazione di non interrompere gli altri quando parlano » (Capo XII); e l´idea è ripetuta a Capo XVI: « per torto o per ragione, quando alcuno parlava, egli taceva, e più volte troncava la parola per
dar campo agli altri di parlare ». E tiene per « gradito passatempo... il pulire le scarpe, spazzolare gli abiti ai compagni, prestare agl´in¬fermi i servizi più bassi, scopare e fare altri simili lavori ». E dice:
(I) JOLY, OP. eit., pag. 132.
(a) Cfr. in FABER, Tutto per Gesù, cap. VII, art. Lo spirito dei santi è
spirito di ringraziamento, pag. 266-271. Ivi tutto il capitolo è dedicato a questa vita di ringraziamento nella spiritualità cristiana.
(3) Mi pare che S. Paolo sia buon testimonio, e Don Bosco non sentiva al¬trimenti.

205
« io non son capace di far cose grandi, ma quello che posso voglio farlo a maggior gloria di Dio » (Capo XVI). E tutta la costruzione della Compagnia dell´Immacolata egli la conduce come fosse opera d´altri (Capo XVII) (i).
Quanto a sé, si stima bisognoso di correzione, e s´accorda col Massaglia (Capo XIX), ed insieme preferiscono la gabbia dell´Ora¬torio all´aria libera delle vacanze, perchè temono di cadere nei peri¬coli; i suoi rapimenti, il suo stato estatico, li chiama « distrazioni » (Capo XX), e del bene che fa dice non avervi merito, perchè lo fa « con troppo gusto ».
Sono i gesti umani delle virtù dei Santi. Il mio solito praticissimo autore mette appunto tali maniere in relazione con la più soda spiri¬tualità, notando che il difettarne non è buon segno. Egli commenda « il benevolo ascoltare », il « non interrompere a mezzo il parlare », il « saper ascoltare 5> (la grande virtù di Don Bosco!): deplora « l´aria di superiorità, estranea al genio della benevolenza » e ne fa una que¬stione di umiltà: « Quanto più saremo umili, tanto più saremo cortesi nel conversare, e quanto più benignamente parleremo, tanto più umili diverremo » (z). L´opposto di tale umiltà è l´amor proprio, che conduce all´ostentazione della pietà, ad una cercata opinio sanetitatis, e produce quell´irritabilità in fatto di reputazione, che non lascia tollerare nè le parole maldicenti, nè i torti che ci si fanno (3).
E perfino quella giovialità e allegria nel soffrire che fu una pre¬rogativa del Savio, tanto spiccatamente fatta sentire dal Santo bio¬grafo, viene riferita all´umiltà, nel suo aspetto del saper soffrire con garbo (4): quella che fu nella Santa di Lisieux, fatta santa dall´umiltà (lo disse perfino quella Priora!), una delle più belle gemme del suo gentilissimo carattere (5).
o o o
Questa parentesi spiritualizzante torna opportuna come premessa alle referenze dei coevi del Savio, dove ciò che finora è detto trova una luminosa conferma nei fatti osservati e ricordati dai compagni,
(i) È dottrina di S. Francesco di Sales, che dalla modestia interna deriva la forma ben composta del diportarsi con gli altri, che si chiama educazione. Un suo periodo dell´Entretien, n. IX, sembra esser stato modello a ciò che Don Bo-sco dice qui del Savio. Cfr. Entret. spirit., IX, in Op. Omn., VI, 142.
(2) FABER, Conf. Spir. cit., pag. 36-37; 38. Cfr. la precedente citaz. da San Francesco di Sales.
(3) FABER, Progressi, cit., 168, 7z -172 ; Il SS. Sacramento, 196, 177-585.
(4) FABER, Conf. Spir., cit., 49-3°.
(3) PETIT01-, op. cit., pag. 214 e Parte II, cap. III, pag. zoo e gente.

2°6
e nel concetto che se n´erano formato. Sta in capo a tutto l´esauriente definizione del Ballesio: « L´umiltà, naturale e ingenita nella sua per¬sona, lo rendeva caro ai suoi compagni, e simpatico a vederlo e trat¬targli insieme » (i). Una virtù adunque che si manifestava nel trattare col suo prossimo, ed era causa dell´essere amato da tutti (2).
Il portamento modesto, col capo un po´ chino,´ senza nulla di af¬fettato o di altero nelle maniere (3), andava di pari passo con la mo¬destia del parlare. Per l´orgoglio e l´amor proprio innato in ogni uomo, non c´è cosa che lo punga tanto, quanto il vedere altri mettersi in¬nanzi e parlar di sè con qualche compiacenza. Il Savio, dicono tutti, non parlava mai di sè, né per lodi che ricevesse nè per ingiurie o torti avuti. Schivo com´era dal vanagloriarsi delle rhiscite scolastiche sapendo di essere « benveduto dai superiori », non se ne faceva accor¬gere, e metteva innanzi di preferenza i compagni; non amando nep¬pure di primeggiare, benchè per la sua diligenza vi riuscisse (4). E non adduco la deposizione del Branda, che, se fosse sicura, sarebbe davvero edificante, se già Don Bosco non avesse narrato quel fatto come avvenuto al Magone, e con maggior fondamento, essendo questi ben più forte e capace di bel canto che non il piccolo gracile Sa¬vietto (5): si che con tutta probabilità dobbiamo pensare ad un errore di ´ memoria del teste, così prezioso per tanti altri rispetti (6). Già sappiamo, quanto al nostro Domenico, della sua sopportazione e buone maniere cogli sgarbati e i molestatori; vuole aggiungervisi, continuando uno spunto deI biografo, il riserbo modesto con che prendeva parte alle adunanze e convegni dei giovani: « un´umiltà così abituale, che molte volte non era avvertita la sua presenza » (7).
Vera umiltà di spirito era la sua, « cioè interna, sincera, profonda¬mente sentita e aliena da qualsiasi affettazione » (8). Si credeva real¬mente quale voleva apparire. Alieno da onori e lodi, quando, nel gen¬naio 1857, Don Bosco indisse il plebiscito pei giovani di miglior con
(i) Somm., Ballesio, 306.
(2) Ibid., Piano, 3o6.
(3) Somm., Melica, 306; Cagliato, 3o8; D. Rua, 3r2.
(4) Somm., Piano, 306; Melica, 3o6; Cagliero, 308; Francesia, 313; D. Rua, 312. ,
(5) Vita di Michele Magone, capo VI, r ediz. (186/), pag. 32-33.
(6) Il Branda, in età di a. 79 al tempo deI Processo (1921) riferiva il fatto come avvenuto per una solenne _funzione alla Consolata, e come narrato a lui da Don Bosco nel 1869. Nessun altro teste ha mai accennato nè a questo fatto (e c´era ben Cagliato!) nè alla voce del Savio. Somm., 309. Cfr. sopra, pag. 15.
(7) Somm., Cagliero, 308; Piano, 311. Cfr. FABER, Conf. Spir., cit., 36-37.
(8) Somm., Cerruti, 308, 313. Il med. teste pag. 124) diceva: « Non
ho mai notato in lui alcun´ombra di vanità ».

zo7
dotta, ed egli, Savio, fu il secondo dopo Don Rua (ch´era già chierico e maestro), non si riesce a descrivere la confusione che provò a quella proclamazione, e come « tutto rosso in faccia, muto e dimesso, a capo basso, si avanzò a prendere il premio (i).
La presentazione di sè era conforme al concetto ch´egli n´aveva. Parlando, non arrossiva di ricordare gli umili natali e la povertà dei parenti, e la gracilità sua stessa: si diceva buono a poco e da meno dei suoi compagni (2), nè il premio ottenúto gli fece mutar sentimento (3)! I maestri ricordano come accogliesse le correzioni con un: « Pazienza, non credevo d´aver sbagliato... farò meglio altra volta ». E si rimet¬teva (4).
E si rimise anche quel giorno che il giovane chierico Rua, facen¬dogli scuola, lo mise in penitenza perchè non riusciva a contenere il riso per una ridevolissima facezia d´un compagno, « ed egli pronta¬mente ubbidì, senza la minima difficoltà». « Un po´ sul serio, un po´ per mettere alla prova la sua virtù » diceva il teste ch´era lo stesso Don Rua. Ed aggiungeva che così avveniva per ogni avviso ed esorta¬zione (5).
Così pure, senza credersi gran peccatore (che la coscienza non glielo diceva) si stimava bisognoso di un ammonitore, e se ne raccomandava a compagni, e ne• troviamo espressa notizia nel dialogo col Mas¬saglia (6).
(i) Scanni., Cerruti, 313 e 308. — Il teste non era più sicuro del grado del premio: e Uno dei primi quattro * oppure « secondo o terzo e; ma di tutto il re¬sto è più che sicuro, perchè e era vicino a lui in quel momento e. Anche Ballesio lo colloca a tra i primi quattro » (pag. 37i). Il Barberis (pag. 106), su riferimenti posteriori, dice che a risultò il primo » ma egli è incerto anche nella data dell´anno. E fu obbiettato: Perchè secondo o terzo, e non primo ? Perchè il Rua, più an¬ziano e chierico, era anch´egli un santo e con lui paragonavano il Savio. — Se nel Carmelo di Lisieux si fosse fatta una votazione simile, neppure la Teresa del Bambino Gesù, così santa e così grande, avrebbe avuto il primo premio. È cosa notoria.
(2) Vita, cap. XVI. — Somm., Cagliero, 3o8.
(3) Sornm., Barberis, 310. Ma, storicamente, quella premiazione avviene nel-l´ultimissimo periodo della Vita.
(4) Somm., Francesia, 306. Ma è cosa ricordata da molti altri.
(5) Scanni., D. Rua, 312. — Il Rua chierico non era che un compagno an¬ziano (l´abbiam notato altrove), tantochè nella votazione del premio di condotta fu quotato anche lui, e riuscì primo. Ma in quel momento era in funzione di superiore, come il Francesia già ricordato. E si noti: e impose al Savio di met¬tersi in ginocchio e. Tutti sanno che D. Rua giovane era, quanto a disciplina, un po´ duretto, e non per nulla D. Bosco gli diceva di a comprar molto olio e.
(6) Somm., D. Rua, 31z; Cagliero 308; Anfossi, 3 i i, ricordando un articolo del Regolamento dell´Immacolata (Vita, cap. XVII, art. 5), Vita, cap. XIX. II

208
Vi è pure il lato commovente, e tutti lo serbarono nella memoria, anche Don Bosco. In una pagina già ricordata ce lo descrive tutto affannato a prestare in casa e ai compagni «i più umili servizi » (Ca¬pitolo XVI): in un altro ce lo mostra sollecito nell´assistere i malati 1 coi più bassi uffici» (Cap. XXII), studiandosi di dissimulare la virtù de´ suoi atti con ingegnose ragioni di umiltà, e mostrando di non avervi merito. Ma gli altri hanno inteso quel ch´egli era, e così lo hanno ricordato (i).
Dire che qui sia tutto puramente umano non si può: è un umano sorretto e ispirato dal soprannaturale, e la modestia fatta di spirito d´umiltà ascende fino all´umiltà dei Santi. Ecco: « Un giorno ho vo¬luto chiedere al Savio come egli avesse potuto sapere che colà eravi un ammalato; ed egli mi guardò con aria di dolore, dipoi si mise a piangere. Io non ho più fatto ulteriore domanda » (Capo XX).
Vaschetti, da lui assistito con assidua caritativa ripetizione, dice che si raccoman¬dava anche a lui! Docum. n. Io, pag. 473.
(i) Somm., Anfossi, 3o6; Cagliero, 308; D. Rua, 352.

CAPITOLO V
Il giglio salesiano.
Anche più sottile è la distinzione tra il fatto umano del carattere nativo o acquisito, e il fatto dell´ispirazione spirituale superiore (pra¬ticamente, il concorso della grazia divina), quando la modestia, che finora abbiam veduta come veste umana della cristiana umiltà (i), ci si presenta come veste della purezza e del candore dell´anima (2). Dal senso primario di sentimento opposto a presunzione o vanagloria, la parola è venuta, in bocca del popolo, a significare la virtù del buon costume. In realtà non so se possano così staccarsi l´una dall´altra, l´una e l´altra modestia, giacchè entrambe procedono dal dominio dell´io più intimo, e si manifestano nel riserbo esteriore (3). Perfino nelle deposizioni dei testi che continuamente adduciamo, il linguaggio per l´uno e per l´altro titolo è identico, e si parla di modestia nel con¬tegno, nel portamento, negli sguardi, negli atti, per l´umiltà come per la purezza (4).
Tutti sappiamo che, anche da buon italiano (5), Don Bosco ha preferito sempre (e io ricordo personalmente) la parola modestia alle altre di purità, castità, etc., come preferì sempre dire disonestà (6) piuttostochè i termini contrarii a quelli della virtù. Con nn alto ideale
(i) Tordylmno, Sinonimi, 3955.
(2) TOMMASEO, op. cit., 3953: e La modestia è nei sentimenti e negl´indizi di essi sentimenti ».
(3) Si osservi che nel concetto spirituale di S. Francesco di Sales, umiltà e castità sono inseparabili, e questa non può durare senza quella (cfr. Serm. sur l´Annonc., 25 marzo). Il che è verissimo non solo in via spirituale e ascetica, ma fors´anche nel fatto psicologico.
(4) Somm., cit., tit. XVII e tit. XIV.
(5) Ogni diziouario ammette ì due significati. Cfr. p. es. il Rigutini e il Pe¬trocchi.
(6) -E proprio il primo senso dato dal Rigutini. E TOMMASEO, op. cit., 3254: e Il disonesto offende la modestia, la castità, la decenza ».

2/0
di purezza, il Santo rievocava l´idea di S. Francesco di Sales, peI quale « la modestie est la fleur de la chasteté »: l´espressione più squi¬sita e più fine della castità, non soltanto esteriore, ma soprattutto interna (i).
È ben vero che, con gli elementi che prendeva ad educare, il Santo Maestro doveva anzitutto intendere a costruire il più elementare buon costume, ed insegnare il modo di difendersi dalle male abitudini e dalle occasioni pericolose, e combattè instantemente le cose contrarie all´onestà, cercando d´infondere un sacro abborrimento al peccato, ch´era, nella sua intenzione, principalmente il peccato dell´adole¬scenza. Ma poi additava, come ideale da raggiungere, la forma ge¬nuina della purezza, ch´è appunto la modestia. Nei migliori suoi, puri nel costume e nell´anima, che conservavano il fiore dell´inno¬cenza non ancora appassito al soffio corrompitore, il Santo educatore coltivava senz´altro la modestia più delicata ed interiore, che deriva dalla volontà di piacere a Dio.
Nel Magone, sano di costumi, ma non ingenuo nè dimentico del male conosciuto, e del resto di tempra infiammabile, egli fa rilevare l´attrezzatura difensiva, fatta di mezzi validi e ben maneggiati, ma non più che difensiva contro il male (a). Ma il Savio non ha bisogno di schierare i sette carabinieri: egli si riveste per innata virtù della delicatezza della più- squisita modestia. La sua persona ci appare in un alone di candori liliali, dove non è dato. scorgere il benchè mi¬nimo offuscamento, ed egli si muove, agli occhi di quelli che ancora ne ritengono la figura, come qualche cosa di consacrato, che inspira rispetto e venerazione.
Don Bosco (e qualcuno potrà forse farne meraviglia) non ha dedi¬cato un apposito capitolo della Vita per questa .fulgida parvenza del _ suo discepolo che, tutta immedesimata nella nativa innocenza, s´irra¬diava per ogni suo atto e atteggiamento (3). Ma ce ne ha dato pagine eloquenti, nelle quali si sente pulsare la vita d´un´anima che vuol su¬perare, e supera, il povero senso umano. La purezza, che si appalesa
(i) MA_NDRINI, La spiritualità di S. F. di Sales; Milano, 1938, pag. 132 e 137. Cfr. SALES, Entretiens spirituels, n. IX, in Op. Omn., VI, pag. 137 seg.
(z) Vita di Magone, ecc„ cap. IX: Sua sollecitudine e sue pratiche per conser¬vare la virtù della purità.
(3) Per S. Luigi n´aveva fatto una breve Considerazione per la Terza Dome¬nica (o terzo giorno della Novena) in onore del Santo; ma nei Brevi cenni, inse¬riti poi, dopo la IV edizione, nel Giovane Provveduto, non dettò un paragrafo speciale. Cfr. Le Sei Domeniche in onore di S. Luigi Gonzaga, Torino, 1846. ¬Il Cenno sopra la vita di S. Luigi Gonzaga fu inserito nel Giovane Provveduto soltanto a cominciar dall´edizione (detta Nuova) del 1863, che fu la prima stam¬pata all´Oratorio.

´Th 21/
nella modestia, è primamente, non diremo congiunta, ma immedesi¬mata con l´ideale della devozione a Maria: e voglio dire che la dedi¬zione alla Vergine Madre di Dio è per lui un ideale sublime a cui s´inspira la purezza del suo cuore. Per Lei egli custodisce, anzi ri¬serba i suoi sguardi: « Non rimirava mai in faccia persona di sesso diverso; andando a scuola non alzava mai gli occhi ». E quando i
compagni, straniati a certi pubblici spettacoli « con tale ansietà da non saper più dove fossero », gli domandano se gli eran piaciuti, ri
sponde che nulla ha veduto. Perchè « degli occhi voglio servir¬mene, dice, per rimirare la faccia della nostra celeste Madre Maria,
quando, se coll´aiuto di Dio ne sarò degno, andrò a trovarla in Pa
radiso ».
Il Cuore immacolato di Maria è una sua divozione. A Lei, così
contemplata, « tutte le volte che va in chiesa» si prostra « per pre¬garla ad ottenergli la grazia di conservare il suo cuore sempre lonta¬no da ogni affetto impuro ». E la sua preghiera è amorosamente forte: « Maria, io voglio essere sempre vostro figliuolo: ottenetemi di mo¬rire prima ch´io commetta, un peccato contrario alla virtù della mo
destia» (Cap. XIII).
È ancora la prima parola del fanciullo: La morte, ma non peccati,
che si determina nella concretezza della più nobile delle virtù.
o o o
Qualche critico diffidente (di quelli a cui talvolta pensa Io stesso Don Bosco) potrà ben osservare che i sentimenti e le idee del Savio,
quali il Biografo qui gli attribuisce, non sono in fondo che una replica di cose già dette fin dal 1847 nei Giovane Provveduto (t), che il gio
vinetto usava abitualmente e devotamente leggeva: e si va fino alla reminiscenza letterale. Colà noi troviamo la raccomandazione di chie
dere prima di tutto a Maria la grazia di non cadere mai in peccato mortale: s´intende, genericamente. Più prossimo al fatto nostro è il chiedere « la grazia di conservare la santa e preziosa virtù della pu¬rità », che pel Savio diventa una calda implorazione al Cuore di Maria. E praticamente s´insiste soprattutto sulla custodia degli occhi. Qui troviamo la similitudine tra gli occhi e le finestre per le quali « il de
(i) Il Giov. Provv., ecc., ediz. Ia, Torino, Paravia, 1847: pag. 51-54. Divo¬zione a Maria Santissima. Con la stessa paginatura e carattere, anche in 2,, ediz., 1851. Non c´è il riflesso inverso, cioè degli esempi di Savio Domenico, nelle edizioni posteriori alla pubblicazione della Vita. Le pagine del Giov. Provv. ri¬masero in questa parte sempre invariate

212
monio riesce a prender possesso dell´anima nostra» (I), come la rac-comandazione di non fermarsi a rimirare cose le quali siano anche per poco contrarie alla modestia. E, agli esempi tradizionali di San Luigi, soggiunge quello del giovinetto che, interrogato perché fosse così cauto negli sguardi, diede questa risposta: « Ho risoluto di non guardare sembiante di donna, per serbare gli occhi miei a mirare la prima volta (se non ne sarò indegno) il bellissimo volto della Madre di purità Maria SS.rna» (a).
Spero pertanto che nessuno penserà ad una personificazione di¬dascalica degli spunti del Giovane Provveduto nella storia di Savio Domenico. I fatti sono storicamente veri, e documentati. Per esempio, la tenera invocazione al Cuore di Maria viene da una lettera di Fran¬cesco Vaschetti, del maggio 1857, cioè anteriore di molto alla stesura della Vita (a). Si deve invece pensare, ed io ne sono felicissimo per l´assunto di questo mio studio, che adunque nel Savio storico e vi¬vente, che s´ispira al Giovane Provveduto, si riflette e si attua intera-mente e nella sua più alta efficacia, fino ai gradi della santità, l´educa¬zione di Don Bosco, e questi, trovando finalmente un campione insu¬perabile delle sue idee, lo esalta e propone a modello. Il Savio assimila ed esempla in se stesso tutta la pedagogia spirituale e morale, special¬mente quella più elevata, del suo Maestro, e la didascalia scaturisce dalla storia (4).
ca
L´ideale sovraterreno si riverbera sulla vita quotidiana, informan¬dola ad un costume di modestia, dove ha parte precipua la volontà e iI superamento di sè. Don Bosco vuol farcelo sentire, e appunto con tale concetto apre il capitolo dove tratta della mortificazione (Ca¬pitolo XVI). Nella compostezza esteriore di quella modestia altri « ci trovava tanta naturalezza » da credere che il Savio « fosse così creato dal Signore è. E allora soggiunge: « Ma quelli che lo conob¬(i) Giov. Provv., cit., pag. 53. — Vita, ediz. 3a, capo XVI, pag. 79.
(2) Giov. Provv., cit., ediz. la-4a, pag. 53. — Vita, capo XIII, gag. 64. Ediz. x a. Io: pag. 472-474- —
(3) Somm., tit. XXII, Docum., Salvo qualche ritocco
di lingua (le chiamava= chiedeva) il tratto è passato letteralmente nella Vita.
(4) In parole più povere, si deve dire che Savio non ha inventato tutto, ma ha imparato anche dal Giov. Provveduto, e cioè da Don Bosco, e dalla tradizione vivente intorno al Santo Maestro, l´arte della modestia. E a fatto uguale rispon-dono nel dettato del medesimo Autore parole uguali. Tanto meglio, dico, per il mio assunto!

La, 213
bero da vicino ed ebbero cura della sua educazione, possono assi
curare che vi era grande sforzo- umano coadiuvato dalla grazia di Dio » (I).
Qui sta il merito. Quella modestia è dunque opera personale, sforzo di conquista, superamento di sè: virtù di carattere. E ne arreca la prova. Quella, già altrove ricordata, della « non piccola violenza » fat¬tasi per tener raccolti gli occhi vivacissimi: una fatica, come confes¬sava ad un intimo, che gli cagionò perfino grave mal di capo. E quella legge di « voler assolutamente dominare gli occhi» si adempiva in modo che « di tutti quelli che lo conobbero ninno si ricorda d´averlo veduto a dare una sola occhiata la quale eccedesse i limiti della più rigorosa modestia » (Capo XVI). Virtù non solo voluta, ma ragionata: ed egli ne dava la spiegazione con la comparazione tra gli occhi e le finestre, per le quali « passa ciò che si fa passare, e noi per queste finestre possiam far passare un angelo oppure il demonio colle sue corna, e condurre l´uno o l´altro ad essere padroni del nostro cw5re ». Mettiamo questo sforzo umano accanto al proposito espresso nella dedica a Maria, di voler morire piuttosto che commettere « cosa con¬traria alla modestia » e serbare il cuore lontano da ogni affetto men puro; e le dolcissime intenzioni di risparmiar gli sguardi per con¬templar la sua Madonna in Paradiso ci appariranno non una qualsiasi
idea venuta da influssi devozionali, ma da un ideale consapevolmente inteso e virilmente raggiunto.
Tanto n´era compreso, che di quella custodia « delle due finestre »
si faceva propugnatore e apostolo. Don Bosco ricorda subito appresso l´episodio del giornale sconcio strappato di mano a un crocchio di
ragazzi inverecondi, con le sante proteste del casto giovanetto contro la profanazione di quel santo dono di Dio che son gli occhi in « mi
rare sconcezze inventate dalla malizia degli uomini a danno dell´anima nostra ».
L´episodio, che risponde alle intenzioni educative del Santo Maestro, involge la breve stringente discussione del piccolo ragiona¬tore (2),. che ricorda le parole del Salvatore per -« un solo sguardo cattivo », e ribatte la scusa del farlo « solo per ridere », ed esce nell´apo¬strofe a Giobbe, ricordando eufemisticamente iI sacro patto ch´egli
fece co´ suoi occhi « di non dar loro libertà intorno alle cose invere¬conde
(i) Così l´ediz. 4a-5a. Prima era detto: * era tutto sforzo umano ». Cfr. sopra, pag. 199.
(z) Un documento dice che in certi ragionati pareva un decorino ». Declar. n. 9, di G. Borsetti, pag. 47i.
so — Cavicue, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.

2r4
0 0 0
Il Santo biografo, più volte per questa materia, fa appello « a quelli che lo conobbero da vicino od ebbero cura della sua educazione » (i). La modestia del santo alunno era edificantemente conosciuta e notata.
Ed è quanto ci dicono i Processi, dove parlano appunto coloro ai quali si appellava Don Bosco. Non solo « spiccava in special modo in questo giovinetto la modestia » (z), ma « l´aspetto del Savio e il suo contegno erano un profumo di modestia e santità ». Lo dice il Ballesio, e si può dire l´impressione di tutti (3): tanto che altri può affermare che tutti i compagni magnificavano il suo candore e purità verginale (4). L´immagine di lui (per qualcuno fu quasi una sensa¬zione) dava l´idea d´un essere angelico, e lo dicevano i più intimi « un angelo in carne » e comunemente « un angelo di costumi »: il Cagliero, nel vederlo avvicinarsi per via, esclamava: « Ecco un angelo in carne come S. Luigi »: Don Bosco diceva alla sorella: « ch´era veramente un angelo » (5).
E come già Don Bosco, così gli altri notano i segni esterni della modestia, a cominciar dal portamento, che per il Santo di Sales è indice di modestia (6). Per esempio non andava correndo per via, ma con passo grave e moderato, in guisa che non pareva di giovane età (7). Il contegno di lui in ogni circostanza era sempre circospetto, riservato, delicatissimo, e lo notarono compagni e assistenti (8): per via, com´era noto, non guardava in giro, al punto da non sapere bene la strada e conoscere i nomi delle vie (9): tanto meno interessarsi di quanto accadeva, fosse pure attraente (io).
(t) Nei i° e zu capoverso del cap. XVI e ancora nel seguito del cap., dopo l´episodio accennato.
(2) Somm., Docutn. n. x t: Marcellino, pag. 474. Ricordo il docum. Vaschetti, cit. più sopra.
(3) Somm., Ballesio, 285. — Così il Melica, pag. 286: a La modestia traspa¬riva dalla persona a.-
(4) Somm., Barberis, zgo. La testimonianza d´un teste ex-auditu ha qui spe-cial valore, perchè attesta il perdurar della fama.
(5) Somm., Cerruti, 292; Cagliero, z88; Tosco-Savio, 286. L´epiteto di a An¬gelico » ricorre più d´una volta nel dettato della Vita e noi lo rileviamo sempre.
(6) « Celle cy compose les mouvements, les gestes et contenances du corps, évitant les deux extrémités, qui sont ces deux vices contraires, la légéreté ou dissolution, et la contenance trop affectée i. Entretien IX, cit., pag. 137.
(7) Somm., Docum. n. II, Marcellino, 474•
(8) Soinm., Cagliero, z88. E dice noi.
(9) Somm., Francesia, z86; Piano, 285. Il Piano andava sempre con lui. (io) Vita, cap. XIII, Somm., Conti, 289.

t_4 215
Nella condotta ordinaria nessuno ebbe mai veduto di lui un atto scomposto (d´indecente non si parla) (i), e il Cagliero, compagno assi¬stente, può dire d´una riservatezza propria dei Santi. Per esempio, lo vedeva «alzarsi da letto e coricarsi con tale una modestia e sempli¬cità, che ne restavano edificati gli stessi compagni di dormitorio;... e i vicini di camera, alle volte sbadatelli e poco circospetti, impara¬vano da lui ad essere più modesti » (a). .
Che se l´insieme del contegno, dove s´incontrano umiltà e mo¬destia, dava l´impressione d´un ripensato riserbo: soprattutto doveva la modestia apparire dagli occhi, che in questo genere son tutto, e da quelli subito si conosce. Don Bosco n´ha fatto qui, e sempre, il punto capitale della pratica (3); e come tale tutti, senza eccezione, i coevi, l´hanno segnalato come una prerogativa del santo amico.. Si va da chi ricorda semplicemente « gli occhi modesti » per via, o « la custodia che sempre aveva de´ suoi occhi », a chi osserva che « i suoi occhi non erano divagati nel conversare colle persone, specialmente se di altro sesso » (4): da chi osservava che « mai diede un´occhiata che potesse offendere la modestia », al Cerruti, al Piano, che vedono in quell´abito la mortificazione interna inculcata da Don Bosco (5), e a Don Rua che lo paragona con S. Luigi (6), e il confronto non è sproporzionato, quando si sa che cosi pensava Don Bosco (7). La « gelosa circospe¬zione » onde il Segneri definiva l´abito della modestia nel suo angelico Santo, sta in pari misura tra le definizioni che scolpiscono i modi della virtù liliale nel nuovo esemplare della gioventù.
Non meno impresso rimase il ricordo del suo contegno sociale, ed è quello del senso di rispetto che la sua presenza imponeva. Per parte sua cercava di allontanare dalla convivenza ogni pericolo di male (ricorda il fatto del giornale), fosse di parole, di gesti, o di li¬bri (8), e specialmente vigilava sui crocchi men fidati, ai quali il suo intervento faceva mutare il tono. E se dei discoli che Don Bosco gli affidava od egli si studiava di rimbonire, avvertì qualcuno di cose deli¬cate, non fu mai perché le avesse vedute, bensì per averlo veduto con quella gente (9). Quel suo abito di modestia e di purezza incuteva,
(i) Somm., Cerruti, 287.
(i) Somm., Cagliero, 295 e 288.
(3) Fin dal primo libro che stampò, e dal Giovane Provveduto, loc. cit.
(4) Somm.: Piano, 285; Anfossi, zgx ; Docum. p. r t, Marcellino, pag. 474: e l´osservazione non è volgare.
(5) Somm., Cerruti, 287; Piano, 285.
(6) Somm., Don Rua, 282.
(7) Somm., Amadei, zio.
(8) Somm., Amadei, 29o; Francesia, z86.
(9) SOMM., D. Rua, zgz. — L´osservazione è acuta_
ao — CAVIGLIA, DM Bosco, scritti. Vol. IV. Parte I.

2.16
come dissi, rispetto. Nessuno si sarebbe permesso parola men che corretta in sua presenza « per non farlo corrugato e triste » (i). Il Cagliero: « Mai che un compagno si azzardasse a dir parola men che casta in sua presenza, mai che si permettesse con lui atti meno mo¬desti o dissipatamente liberi (dei villanzoni non ne mancava); il suo contegno li premuniva, li ammoniva, li conteneva nella virtù » (a).
Tutta codesta opportunissima somma di fatti e di osservazioni (ed io ho voluto essere minuto e copioso e completo, perchè so di far piacere a Don Bosco e ai suoi figliuoli), ci spiega la conclusione, alla quale i più ponderati conoscitori del Savio furono condotti. Ed è che l´anima di lui non sia per alcun modo stata sfiorata dal male, ed abbia portata con sè l´innocenza del battesimo (a). « Le tentazioni non hanno certo osato assaltarlo, né tentato di entrarvi, perchè trova¬rono sempre chiuse le porte dei sensi » afferma il Cagliero (4). E al¬trove: « Non credo che il demonio abbia mai vessato il Savio con arte particolare, e le stesse tentazioni non potevano turbare il suo cuore innocente, e meno la sua mente, ignara affatto delle malizie umane » (i). Egli pensa che il suo amico « non abbia mai peccato neppur venial
mente in materia di castità, perchè semplice, ignaro delle malizie del mondo, e perchè prevenuto dalla grazia » (6).
Questa persuasione suggerisce a lui, come a Don Rua, l´opinione che il Savio abbia fruito del Privilegio di S. Luigi. « Si può dire, spiega il Cagliero, che questa virtù era in lui una prerogativa speciale, frutto della divina grazia ». Più esattamente Don Rua: « Sono per credere che per privilegio singolare il Servo di Dio non andasse soggetto a tentazioni contro la castità» (7). Nè altro fu il concetto che n´ebbe Don Bosco, il quale, se considerò il Savio come «il fiore bellissimo
(T) Somm., Melica, 288.
(2) Somm., Cagliero, 288. — Quegli ultimi tre verbi sono una icastica finita.
(3) Somm., Cerruti, 287; Melica, 286.
(4) Somm., Cagliero, pag. 289.
(5) Somm., id., 175.
(6) Somm., loc. cit., Cagliero, 289. — Al tempo di queste deposizioni il Ca¬gliero era già Cardinale di S. R. C. — Per conto nostro diciamo: Che valore hanno tutte quelle strutture scientifiche sulla psicologia dell´adolescenza, e tutte le agno¬stiche ipotesi che fanno dei Santi altrettanti esseri malati? Il Savio è al periodo critico dell´età e di salute sta come sappiamo: eppure niente avviene in lui di-- morboso, come si dovrebbe supporre. Vi è dunque in lui qualche cosa che la scienza non vede.
(7) Somm., Cagliero, 291; D. Rua, 291. È noto quel che il Bellarmino scrisse dei cinque privilegi di S. Luigi nella celebre lettera al P. Cenati, riferita in Bol¬land. jun., t. IV, 1037, C, D, F. — Nel Decreto della S. Rota è detto: u Non¬quam stimulos carnis passus est, nec cogitationem ullam in mente impuram habuit: quod in aliis Sanctorum historiis non legitur ».

´— 217
tra i belli » (i), diceva poi abitualmente che egli « riteneva le virtù del Savio per nulla inferiori a quelle di S. Luigi » (a).
(i) Somm., Cagliero. 288. — Piace ricordare che con questa immagine co¬minciavano le Aninzadversiones del Promotore della Fede per l´introduzione della Causa in Sede Apostolica: a E piae Sal. Societatis viridario primus flosculus sancti¬tatis odore flagrans depromitur Dontinicus Savio, qui tamquam angelicus iuvenis al¬terque .4loysius Gonwaga lede sacro Ordini exhiltetur » (30 ottobre 1913). — Il Pro¬motore (volg. Avvocato del Diavolo!) era allora Mons. Alessandro Verde, poi Card. S. R. E., non certo ostile alla Causa. Gli rispose l´Av. v. Mons. Carlo Sa¬lotti, ora Card. S. R. E. (8 dicembre 1913).
(z) Somm., Amadei, zoo, citando la Cronaca di D. Domenico Ruffino, autore¬volissima. — Il parallelo con S. Luigi è frequente, quasi generale, nei testi. Cfr. tit. XX: De fama sanctitatis in vita et post mortem. Cfr. ivi principalmente: Bal¬lesio, Cerruti (che ´riferisce da Don Bosco), Cagliero, e nel Proc. Orditi. il Cer¬ruti, pag. 395, che riferisce l´opinione dei compagni più insigni.

CAPITOLO VI
Savio, modello alla gioventù e tipo d´una tradizione.
Codesto nuovo S. Luigi, proposto a modello della gioventù mo¬derna, non può essere, anche nel tenore più umile della vita da lui vissuta, altrimenti che un lavoro della grazia divina, e verrebbe da sé, a questo punto, l´esaltazione evangelica della purezza: Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt (i). In questa luce ci si aprirebbe il cielo radioso della veduta di Dio nell´anima del nostro purissimo an¬gelico fanciullo. Ma questo è tal soggetto che richiede più ampio respiro, quale noi troveremo fra poco: mentre qui, per non uscire dallo stile più possibilmente umano della trattazione del corrente libro, credo opportuno un altro capitalissimo e finale riflesso.
La figura del Savio, in questa parte e nella totalità della sua per¬sona di Santo, assorge ad un valore capitale. Egli è ad un tempo un esemplare insuperabile per la gioventù dei tempi nuovi, ed un tipo che impersona una tradizione. Dell´esemplarità ideale del Santo hanno detto e diranno quanti ne parlarono e scrissero e ne dovranno parlare e scrivere in avvenire, giacchè in essa consiste la sua personalità. Dirlo il modello della gioventù moderna non è una nostra espressione enfatica: dal 1895, quando cominciò il primo richiamo dell´attenzione sulla figura di questo giovanetto (e fu, allora e poi, opera di D. Ste¬fano Trione, compianto eroico campione della salesianità), e poi alla vigilia dell´apertura del.Processo Diocesano e in seguito, e dagli scritti di Eminentissimi Cardinali ed illustri Prelati, fino al celebrato discorso di Mons. Radini-Tedeschi, si è proclamato da tutti (e quegli scritti sono allegati agli Atti del Processo) che Domenico Savio doveva essere il modello della gioventù dei nuovi tempi. E finalmente venne la parola del Vicario di G. C., PP. Pio XI, il 9 luglio 1933, a dire: «A quindici anni una vera e propria perfezione di vita cristiana, e con quelle caratteristiche che bisognavano a noi, ai nostri giorni, per
(r) MATTE., V, 8.

219
poterle presentare alla gioventù dei nostri giorni,... una perfezione fatta di purezza, di pietà, d´apostolato ».
Nella modestia della presentazione del Savio, fatta colla Vita, che mira all´edificazione cristiana dei giovani,. Don Bosco non ha
pensato altrimenti, mentre, bisogna dirlo perchè è attestato (i), sa
peva (e forse prevedeva) che il modello era tale da reggere al compito storico di così alta e vasta missione.
Per l´altro aspetto, onde il Savio ci appare come impersonante una tradizione, è bello soggiungere senz´altro il chiarimento. Si fece que¬stione, in sede di Processo Canonico, se il Savio avesse fatto dei voti,
qualche voto speciale: e chi disse di non crederlo, chi disse d´igno¬rarlo (2): un solo, ma incontestabile, lo affermò: il Cagliero. Cito,
per la ragione che fra poco vedremo, l´intero passo della sua dichia¬razione: « Ricordo che al tempo del Servo di Dio vi era uno slancio nei giovani più buoni di esercitarsi nelle virtù in modo straordinario:
come fare una mortificazione al sabato, usare piccoli cilizi al braccio, astenersi dalla frutta, fare preghiere con speciale compostezza; con
la santa obbedienza praticando specialmente la castità e la povertà, fa¬cendone voto temporaneo e secondo la portata dell´età nostra. Tra questi
era il piccolo Domenico, sempre dei più animati e dei primi a praticare i consigli evangelici» (3):
Le Memorie Biografiche ci danno la relazione e i nomi di coloro che il 18 dicembre 1859 costituirono il primo nucleo della nuova Congre¬gazione: ai quali pochi giorni innanzi Don Bosco la proponeva, anche alludendo a «promessa o voto temporaneo» che alcuni avevano fatto in mano sua (4). Sono questi gli amici intimi di Savio, quelli della
Compagnia dell´Immacolata, promossa da lui, che fu come il grembo spirituale della Congregazione.
Orbene io invito il lettore a pensare che nella modestia del Savio
(I) Somm., Ballesio, 373; D. Rua, 395. Dice: «Dichiaro averne opinione come di un santo giovane dato dalla Provvidenza a modello della gioventù dei nostri tempi». Altre deposizioni contengono sparsamente frasi di Don Bosco, che riu¬nite formano il discorso di D. Rua. — Ad ogni buon fine, si avverta che la de-posizione di D. Rua è del 23 giugno 19o8. Altre proclamazioni (p. es. di Radini Tedeschi) sono posteriori e certamente estranee alle dichiarazioni del Processo.
(2) Somm.: Il Piano (pag. 94) ignora; il Francesia (pag. 95) non crede; il Cerruti (pag. Tool dice: a Voti religiosi propriamente non n´aveva, e non mi con-sta: ma non mi stupirei che n´avesse fatti dí particolari al suo Superiore e al Confessore ordinario s.
(3) Somm., Cagliero, 289: al tit. XIV: De heroica castitate.
(4) 114em. Biogr., VI, 534-535. Dei 18 nomi ivi rassegnati, alcuni non sono di Soci dell´Immacolata o non erano al tempo del Savio: ma quelli dei suoi giorni vi sono tutti.

220
e di quelli che gareggiarono nell´imitarlo e così lo hanno ricordato, si vede esemplata, e quasi fissata tipicamente, la tracli7ione dello stile tutto proprio e caratteristico (in qualche parte persino singolare per chi non ne conosce i motivi e i fini) delle maniere del Salesiano edu¬catore, il quale con la forma della propria modestia (la forma casti¬tatis) insegna e insinua la modestia nei proprii alunni, e cioè con la castità della pedagogia esercita la pedagogia della castità.
Ed al medesimo lettore io dico ancora, concludendo: Metti in¬sieme quanto è stato trovato in questa lunga e minuziosa analisi della persona e del carattere del santo giovinetto figurato nelle pagine della Vita, e, pensando a Don Bosco, suo Maestro e modello, dimmi: vi è qualcuna di tali caratteristiche, qualcuno di tali lineamenti del ri¬tratto morale del discepolo santo, che non si possa e debba dire af¬fine, quand´anche non proprio e tipico, della figura morale di Don Bosco, e non appartenga vitalmente alla concezione che della vita morale e spirituale il Santo Maestro lasciò come sua? E ve n´è qual¬cuno che rimanga del tutto personale, e non sia invece innestato, nonchè nella tradizione spirituale, ma nello stile proprio della sale¬sianità, quale, secondo la tradizione, forma il clima e il modo di vi¬vere, l´abito del Salesiano di vera e buona stoffa? Per me e, credo, per quanti han conosciuto o studiato davvicino Don Bosco, e per quanti sanno che cosa sia iI genuino tipo salesiano, non vi è dubbio: la figura vivente del Savio e quella di Don Bosco si rispecchiano a vicenda, e danno l´idea di quello che deve essere il Salesiano vivente.

INDICE E SOMMARIO
LIBRO

LA PRIMA STORIA DI SAVIO DOMENICO
CAPITOLO I. — « Le virtù nate con esso » . . . . . pag.
sommmuo. — La meraviglia e la simpatia avvolgono la figura di Savio Domenico. — La sintesi di Don Bosco. — Come bisogna leggere la storia della prima età. — tt Virtù nate con esso e o la-vori della grazia di Dio s. — Il soprannaturale e la personalità. -Parallelo coi Santi: i segni di futura santità. --- Distinzione. — La relatività. — La natura e Ia personalità. — La Vita è una storia di santità.
o La prima infanzia. — Il padre. — La famiglia ordinata. — La buona educazione. — La madre. — La complessione. — Il bimbo sorridente. — Ricordi dei genitori.
o Virtù nate con lui. — Crescenza spirituale. — Come il Segneri
per S. Luigi. — Pietà eroica di binibo. Conte la Mazzarello.
— II fascino di Gesù. — Fatti soprannaturali. — L´abito delle virtù: parole del Cagliero.
CAPITOLO II. -- I sette anni: la sua parola » 2z
SOMMARIO. — La prima grande data. — Luce nuova nell´anima.
— Grazia .e santità. — Parallelo con S. Luigi.
o L´ora della Prima Comunione. — Il cappellano D. Zucca e le con¬suetudini del ritardo.
o L´orientamento dell´anima verso Gesù. — La preparazione. — Ca¬gliero fanciullo presente e ammiratore. — La sentenza di Don Bosco.
o Precocità spirituale. — I Ricordi della Prima Comunione: loro valore nella vita. — La parola antonomastica: 4 La morte ma non peccati ».
o Valore capitale di quella massima nel concetto di Don Bosco: h il programma e la guida di tutta la vita del Savio ». — Suo valore spirituale: atto d´amor di Dio. — Commento spirituale e storico. ¬i cinque anni seguenti: crescenza nella grazia.

222
CAPITOLO III. — La fanciullezza e i t lavori della grazia di
Dio » • pag. 31
SOMMARIO. — I capitoli IV, V, VI, della Vita: documenti e .testi¬monianze. — I tre maestri.
o A Murialdo: la lettera di D. Zucca. = Scolaro santo. — Figliuolo esemplare. — L´assistenza dell´Angelo Custode. — Necessità di scuole ulteriori: senso d´una vocazione.
o Il periodo di Castelnuovo. — Da Murialdo alla scuola: cammino eroico. — I motivi di quella fatica: una risposta per via: «L´Angelo Custode mi accompagna! ». — Valore di quell´eroismo nella storia spirituale.
o- La relazione del Maestro Allora. — « Scolaro cristiano ». L´epi
sodio del a bagnarsi e. — La contraddizione di Giovanni Zucca, e la correzione alla 22" edizione della Vita. — Altra volta, non più.
— L´innocenza intatta. — La e gelosa circospezione» come in San Luigi.
o Diportamento nella scelta dei compagni. — Lo scolaro esemplare.
— I Regolamenti. — La precisione inspirata dalla pietà. — Il ri¬tratto disegnato dal Maestro. — Virtù non inosservate. Attesta¬zioni del Maestro Cugliero. — Significato spirituale di quella con¬dotta.
o il periodo di Mondonio. — Puer autem erescebat. — I momenti della fanciullezza seguiti da altrettanti gesti eroici_ — Savio sente la sua vocazione. — Come Don Bosco. — Virtù più profonde e anche visibili: « Egli vuol farsi santo e.
o La Relazione del Maestro D. Cugliero. — Testi coevi e condisce¬poli. — .Le espressioni encomiastiche del Cugliero. — La pietà. — La scuola. — Il Cugliero e i testi. — Aneddoti: invito al ballo.
— Come S. Luigi ?
o Il fatto del grande eroismo. — Varianti dei testi di veduta. — Il perchè di quel gesto: carità per i compagni e ricordo di Gesù. — Commento morale e spirituale del fatto. — Il sacrificio della pro¬pria stima. — a Anche il Signore fu calunniato e. — L´atto eroico corona dodici anni di virtù.
CAPITOLO IV. — Verso Don Bosco » 51
SOMMARIO. — Il desiderio dì venire da Don Bosco: per la sua vo¬cazione. — Il Maestro Cugliero cooperatore di Don Bosco. — Pre¬sentazione: q Troverà un S. Luigi ». — Commento alla verità di tale
espressione. — Vita e spiritualità superiori. La specie dei « Santi
fanciulli — La preparazione interiore del Savio: psicologia di santo. — a Operar dall´interno » come S. Luigi.
o L´incontro con Don Bosco: intuizione di anime. — Il colloquio a
e in piena confidenza e. — La rivelazione: « I lavori della gra¬zia divina e. — Come S. Carlo e S. Luigi nel 1580. — Arguto dia¬logare: e Che gliene pare ? ». — La buona stoffa. — Il dunque del fanciullo: la stoffa e il sarto, e l´abito pel Signore. — Un programma di lavoro per la santità. — Le altre circostanze. — La salute e il

223
coraggio del fanciullo. — L´accettazione: il disegno della collabo¬razione.
CAPITOLO V. — Quel che vi era e quel che doveva venire . pag. 57
SOMMARIO. — Com´era quando venne all´Oratorio. — Parole di Don Rua e del Cagliero. — Internamente: l´anima che dice la grande parola. — Senso eroico della preghiera. — Il fascino del SS. Sa¬cramento. — La precisione nel dovere. — Senso eroico della voca¬zione. — Serietà. — Fortezza contro il male. — Carità eroica. — Virtù eroiche in un fanciullo. — Non indizi, ma principii e germi di santità. — La stoffa.
o Savio è un altro ?... Don Bosco vede il crescere meraviglioso e si¬multaneo, anzi armonico, delle virtù precedenti. — Funzione del¬l´età e del luogo. — Parallelo con S. Luigi. — Bisogno d´una di
rezione. Segneri e il luogo proprio. — Il luogo proprio del Sa
vio è l´Oratorio. — Adolescenza naturale e soprannaturale: la pa¬rola è: « Farsi santo ». — Chiusa del primo Libro: biologia della santità nei lavori della grazia divina.
LIBRO II
A CASA DI DON BOSCO
CAPITOLO I. — Incipit vita nova » 65
SommAkto. — Significato della parola nella storia del Savio. — Il capo VIII della Vita: come vi è presentato: novità per Don Bosco.
— Il Savio si ritrova subito nella nuova vita, e continua la sua cre¬scenza. — Una definizione: virtù che crescono meravigliosamente, simultaneamente e in armonia. —• L´armonia dell´anima. -- Pro¬fondità ed estensione di tal definizione. — Nel Savio non vi è l´in¬cipiente: fuori delle gradazioni. — Assenza voluta della cronologia.
— Linee del nostro studio. — Come appaiono nella Vita.
o Cominciamenti. — La Casa di Don Bosco. — La data dell´ingresso.
— La e Casa dell´Oratorio a. --- Il termine ha il senso di famiglia.
— Nostalgia di Don Bosco e spirito del suo sistema. — Casa Pi¬nardi diventa la Casa Nuova in quegli anni. — Stile di famiglia: un Padre e una Mamma. — Un Regolamento paterno.
o Aria di Dio e- clima di santi. — Felici condizioni attestate nel Le¬moyne e dalle testimonianze. — Molino, Ballesio, Cagliero. ¬Nomi della storia salesiana. — Il soprannaturale aleggia.
o Coi buoni, anche gli altri. — La sentenza di Ludovico Vives. ¬II miracolo educativo di Don Bosco.
o La povertà. — Quella di Don Bosco è la Pedagogia del povero. ¬Differenza dalle altre pedagogie. — Sentenza dell´Orestano. ¬L´origine di quei giovani e lo stile della vita. — Meno che di terza classe. — L´educazione rudimentale. — Il Savio lodato perché gar

224
bato, pulito e civile. — Come e da chi si comprende quella vita. Crispolti e S. Luigi. — Una nobiltà salesiana.
o La mentalità di quei giovani e la loro coltura. — Il o saper di Dio » nei piccoli santi di Don Bosco. — Lo stile umile e popo¬lare del Santo scrittore e Maestro. — Con tali elementi Don Bosco fa dei Santi: la sua novità. — Differenze e distanze tra il Savio e S. Luigi. — Un esempio.
o L´intenso culto di S. Luigi presso Don Bosco. — Un modello ideale di purezza. — In che senso il Savio sarà modello alla gio¬ventù: santificazione della vita ordinaria e comune. — Savio nel suo luogo proprio afferma e svolge la sua forma personale.
CAPITOLO II. — La direzione di Don Bosco pag. 8z
SOMMARIO. — Don Bosco nella Casa è tutto. — II Padre della famiglia. — Paternità e filialità. — L´un per uno. — La tipica Buona notte per l´educazione collettiva. — Il saluto della sera, per .ognuno.
o La Direzione vera ed essenziale: la Confessione. — L´effettiva Pe¬dagogia è nell´essere il confessore dei suoi giovani. — Per il Sa¬vio fu tutto. — Quel che mancò a S. Luigi. — Un sermoncino della sera e la conclusione della Vita. — Attività e confidenza. — Gl´indirizzi di quella direzione rivelati dalla storia della santità del Savio.
O Rari i lunghi colloqui esterni. — Una lettera singolare di -Dome¬nico al padre. — Dopo un anno, finalmente un´ora da solo con Don Bosco. — Mai dieci minuti da solo! — Il testo genuino di quella lettera (Nota).

CAPITOLO III. — I fatti del cominciamento » 88
SOMMARIO. — 29 ottobre 5854: il primo colloquio con Don Bosco
— Viene a darsi nelle mani dei Superiori. — Significato. — Il cartello: Da mihi animar, cetera tolte. — Traduzione e spiegazioni.
— L´applicazione del Savio.
O La vita nuova comincia colla precisione nel dovere. — Il primo postulato della spiritualità per Don Bosco. -- e Tenor di vita tutto ordinario » in questo senso. — Una testimonianza eloquente. ¬Lo straordinario di tale condotta.
o La recettività dell´anima del fanciullo santo alle parole di Don Bo¬sco. — La pedagogia in atto. — Assimilazione in progressi di per¬fezione. — Il di qui di Don Bosco: esemplarità ed esattezza « ol¬tre cui difficilmente si può andare *. — È la definizione dei co¬minciamenti del piccolo Santo. — La santità che ferve sotto il e te¬nore tutto ordinario ». — Spunti didascalici postumi.
O Il Dicembre del 1854. — Preparazione della Definizione dell´Im¬macolata Concezione. — Intraprendenza di Don Bosco per l´esal¬tazione di Maria: ringraziamento per Io scampato colera. — Corri¬spondenza dei giovani. — La tensione dell´animo nel Savio verso una nuova conquista. -- I fioretti della novena. — Don Bosco ri¬corda ventidue anni dopo (1876) le parole del Savio alla vigilia

`-h, 225
della novena. — I suoi propositi. — Preannunzio del momento spi¬rituale.
o Il PRIMO MOMFNTO. — Don Bosco ne segna la data: sera dell´8 dicembre. — o Col consiglio del confessore ». — La nuova ascen¬sione diretta o inspirata da Don Bosco. — Consonanza dell´esorta¬zione comune con le parole della consacrazione del Savio. — L´at¬to solenne del piccolo Santo. — La Prima Comunione ritorna con nuovo ardore e nuova luce. — Il soprannaturale.
o Il nuovo momento della vita, una nuova data: Don Bosco riconosce il nuovo Savio, e comincia a notarne i fatti. — Programma del libro dopo questo fatto, e ragione di essere. — Non più cronologia. — Profondità di vedute.
CAPITOLO IV. — La vita del dovere pag. 97
SOMMARIO. — Nella Vita del Savio l´edificazione deriva dalla sto¬ria della santità. — Differenza dalla Vita del Besucco. — Non è
una personificata didascalia pedagogica. — II pericolo di certe dot¬trine. — L´educazione della volontà: come va intesa. — S. Fran¬cesco di Sales. -- Nel Savio siamo ad una sfera superiore. — Il capo IX della Vita: il Savio scolaro. — Una premessa di Don Bo¬sco: anche l´umano è prova del fervore. — La Chiesa e il grado eroico dei fatti umani.
o Perchè Don Bosco comincia dalla vita del dovere. — La dottrina di S. Francesco di Sales: la santità nei doveri del proprio stato. — Don Bosco e la Mazzarello in quest´idea. — Due discorsi di P. Pio XI: « lo spirito di nobile precisione ». — Le biografie det¬tate da Don Bosco: dal Burzio al Besucco.
o Nel Savio, più oltre: è un motivo di santità. — La dottrina fon¬damentale del Sales: il motivo dell´amore santifica ogni azione. Questa è la dottrina e il pratico indirizzo di Don Bosco. — Una dotta pagina del Columba-Nlarrnion..— Così pensa Don Bosco del Savio. — Testimonianze autorevoli. — Don Bosco numero uno.
qui laborat, orat di P. Pio XI. — Savio è la santità salesiana.
o II grande atto eroico dimostra la santità e l´altezza della sua sta¬tura. — Il. lavoro secreto dell´anima da cui sgorga ed erompe l´atto eroico. — Significato del fatto in un fanciullo tredicenne. — Data del fatto: tra il primo e il secondo momento. — La narrazione del fatto. — Una sfida bestiale tra due scolari. — Il genio della san¬tità nell´idea eroica. — Il dialogo della proposta. — Il momento: il Ceocifisso in alto, e la formola che propone: e Il primo colpo sopra di me ». — I contendenti disarmati. — L´ardente perorazione sul perdono. — I compagni vinti e convinti. —La conversione: e tro¬vargli un confessore e. — Come lo ha narrato e contemplato Don Bosco: « eroico e appena credibile e. — Umiltà del Savio.
o Alla scuola. — Lo studente santo. Vita interiore riflessa nella
condotta. — L´ingegno, il profitto, la diligenza. — Testimonianze copiose. — Bontà garbata e cortese: soavità di modi: educazione ci¬vile. — Il paciere. — Un fiore della vita eucaristica. — La strada. — Diportamenti e compagnie. — Una tentazione superata. — Com¬mento. — La spiritualità fondamentale della sua condotta.

226 `-s-,
LIBRO III
FARSI SANTO
CAPITOLO I. — Il secondo momento pag. 113
SOMMARIO. — Altra pagina della Vita: capo X: il secondo mo¬mento. — Armonia nella santità del Savio. — Distinzione tra l´a¬zione della grazia nella santità e la vita pratica di essa: tra i dati e doni personali e gl´indirizzi ricevuti. — Spiegazione: quali sono gli uni e gli altri. — Lo stile della santità che viene da Don Bo¬sco. — Avverarsi dell´armonia tra i due fattori nel secondo mo¬mento. — La genesi del fatto nel crescere dell´amore destato nel primo momento: amore crescente. — Parole secrete di. Dio.
o Dopo l´8 dicembre: l´attesa di una parola: la sua parola. — L´oc¬casione: una predica sulla facilità di farsi santi. -- Fine marzo 1855.
— Per il Savio « Fu la scintilla che gl´infiammò il cuore d´amor di Dio i. — La parola: Farsi santo. — Particolarità di quel di¬scorso: i tre punti o pensieri. — Il secondo punto: e Facile farsi santi » e la prefazione del Giovane Provveduto. — Unione con l´al¬legria: « Servire al Signore e stare allegri a.
O Lo spirito di Don Bosco. — In che senso è da intendere la fa-cilità. — La salesianità da S. Francesco di Sales a ´Don Bosco.
— Il senso della misura di Don Bosco: sentenza dell´Orestano.
— Il termine di Santo. — Che cosa vuole il Savio: una vita da santo.
o La psicologia del santo fanciullo in quei giorni. — II dialogo con Don Bosco: la dichiarazione del piccolo santo definisce ogni cosa.
— I due assolutamente. — Esaltazione o voce di Dio ? La Santa di Lisieux. — Don Bosco crede al suo alunno. — Moderazione delle sue risposte: calma, allegria, e perseveranza.
o Sapienza psicologica e pedagogica di Don Bosco in questo fatto. — L´indirizzo pratico e la serenità contro la tristezza. — Due modi di guardare il mondo: tra S. Bernardo e Francesco di Sales, Don Bosco sta col secondo. — Parole dell´Orestano. — La gioia interiore irradiata nella vita.
o Il secondo momento dà al Savio l´idea unica per cui e di cui vive.
- Insistenze- con Don Bosco: a Domando che" mi faccia santo a.
— a Iddio lo vuole a. — Lo scopo dell´esistenza. — Il biglietto della fest. di S. Giovanni. — a Domenico a. — t Sarò infelice finchè non sarò santo a. (Nota: Pagina squisita di scrittore). — La smania è il fervore: «vita da santo a.
o Un rischio generoso. — Prudenza di Don Bosco. — Le vie indi¬cate dal Santo Maestro e la rinnovazione della spiritualità moderna.
— La Santa Teresa di Lisieux e Don Bosco nella Vita del Savio.
— Semplificazione nell´unione e nell´amor di Dio. — Don 13Q¬sco semplificatore realista. — Suoi fondamenti nelle dottrine dei Maestri.
o Le vie della santità dopo questo fatto. — Don Bosco educa un´a¬nima affine. — La realtà già concretata nel Savio e riconosciuta dal

227
Santo Maestro. — Gl´interessi di Gesù sentiti dal fanciullo santo. — Gl´indirizzi di Don Bosco vi corrispondono o li svolgono. ¬La formazione o educazione spirituale risponde alle disposizioni del
discepolo. — Il Maestro v´impronta se stesso.
CAPITOLO IL — Vocazione di santo: l´apostolato . . . pag. 129
SommAmo. — Il nostro assunto nelle parole di P. Pio XI: in Sa¬vio Domenico ritorna Don Bosco. — Perciò lo spirito d´aposto¬lato contrassegna il Maestro e il discepolo. — Tale spirito è l´esito di tutto il lavoro d´una preparazione «soprannaturalmente natu¬rale ». — a Piccolo, ma grande apostolo n. — Ciò che Pio XI non disse, ma fece intendere. — Le testimonianze adducono l´aposto¬lato a prova della santità. — Conclusione sul nostro assunto.
o Il primo precetto dato al Savio per farsi santo. — È un precetto tutto personale, che sorpassa le graduazioni ascetiche. — Idee del Faber. — Solidità delle idee di Don Bosco e del suo sistema spi¬rituale. — Per il Savio la parola rivelatrice diviene parola vissuta.
— Il Da mihi animar è per Don Bosco l´espressione della sua con¬cezione spirituale e la ragione della sua personalità storica. — La salesianità si fonda sul principio dell´apostolato. — Senso del la¬voro salesiano. — Valore della formola data al Savio, come espres¬sione della salesianità nel a piccolo, anzi grande gigante dello spi¬rito a.
o Parentesi pedagogica. — L´apostolato dei giovani nella vita del cor¬tile. — Che cosa è la vita del cortile nel sistema salesiano. — La
collaborazione nell´educazione l´apostolato dei giovani
tra i giovani. — L´esempio del Magone. — I piccoli apostoli. — Valore educativo dell´opera del Savio inteso a i guadagnare anime a Dio a. — Reciprocanza di spirito: santità missionaria per vocazione, chiarita e diretta da Don Bosco.
o Fonti dello spirito missionario. — L´amor di Dio diffusivo nei suoi aspetti di orrore del peccato in sè e nel prossimo. — Estensione di esso nei sentimenti personali e nell´apostolato. — Testimonianze sul titolo De charitate in Deum.
o Come lo spirito eucaristico generi l´ansietà per la salvezza delle anime. — Nessi col culto della Passione e del Prezioso Sangue.
— Lo zelo e amore delle anime intimamente collegato con la vita eucaristica: corrispondenza tra la frequenza alla Comunione e l´at
tività diffusiva. Espressione di Don Bosco.
o Il piccolo grande apostolo e i moventi della sua vocazione. — I tre istinti nativi dei Santi, e l´ansietà per le anime. — La simpatia per Gesù e sua relazione col carattere dei Santi: nel Savio l´orien¬tamento verso l´apostolato, nelle forme indicate da Don Bosco. ¬Psicologia e logica della grazia in questo « gigante dello spirito ».
— Somma dei sentimenti e motivi del suo zelo nel fatto storico della protesta contro un´insulsa parola.
o Conclusione: Don Bosco volge all´apostolato un istinto della san¬tità del Savio, che così vi svolge la sua vocazione. — Ciò che man¬cò a S. Luigi: commento del Crispolti.

zz8
CAPITOLO III. — L´apostolato in azione Pag. 143
SOMMARIO. — Lo svolgersi dell´intraprendenza del piccolo apostolo: dalla convivenza giovanile agl´interessi di Gesù e della Chiesa, e dalle persone alle genti: il culmine è l´apostolato costruttivo. — Momenti
o aspetti di progresso e di estensione. — Come Pio XI ha veduto l´apostolato del « piccolo, ma grande apostolo ». — L´apostolato nella Vita e nelle testimonianze: concordanze e conferme. — Come si rivela subito lo spirito e l´attività del piccolo apostolo. -- Sintesi del Cagliero. — Espressioni delicate di Don Rua sulla reazione al peccato.
o Episodi esemplari e probativi. — Contro la bestemmia. — Lotta contro il male: le risse, gli scandali, i pericoli, gli attentati alla fede e ai costumi. — « Fortezza contro il peccato e lo scandalo e.
o Conversione di sviati e persuasione di accidiosi. — Le parole se¬grete di Don Bosco alla sera. — Ingegnosi espedienti e bontà al¬legra. — Lo stile salesiano della vita del cortile. — La maniera del Savio: l´urhanitas e la comitas delle sue conversazioni. — Vere conversioni. —• Giovanni Roda. — I discoli, i monellucci e il Ca¬techismo. — Una società per la conversione dei discoli. — Un irre¬ligioso convertito.
o I renitenti e i malcreati: villanie e fatti di mano. — Sotto quali titoli li riferiscono i Processi. — Bontà, fortezza. — Il fatto Rat¬tazzi: sensibilità e perdono.
o L´apostolato costruttivo del bene. — Conquiste penetrative del buon cuore. — Atti di carità: gli sconsolati, gli sperduti, i nuovi, sono gli amici del Savio. — Contro l´isolamento. — Esempi attestati. — Parole di Don Rua e del Cagliero. — Le opere di misericor
dia spirituale. — 1 malati. Il fervore pel Catechismo: piccolo
catechista all´Oratorio. — A Mondonio, nelle vacanze: bozzetti. ¬Conclusione dello Scrittore.
o La permeazione del bene: la più alta attuazione dell´apostolato ot¬tenuta coll´esempio del fervore e colla Compagnia dell´Immacolata.
— Due testimonianze importanti. La giovialità colorisce tutta
l´azione. — Il Savio è il genio della giovialità conquistatrice. II tipo salesiano. — La vita di pietà ravvivata nell´Oratorio nel 1855-56. — Iniziative accolte e rimaste. — Somma di tutti i ri¬flessi sull´apostolato nelle parole del Cagliero, di Don Rua, di Papa Pio XI.
LIBRO IV
LA PERSONA
CAPITOLO I. — La simpatia a 159
SOMMARIO. — Necessità di vedere il Santo nella vita vissuta: l´uo¬mo nel Santo. — Se fossimo stati col Savio all´Oratorio, quale
l´avremmo veduto ? I testi: un profilo di Santo nelle deposizioni
dei coevi. L´etopeia nella Vita e l´esemplarità: lineamenti esterni.

`aia 229
— La persona quale si offre al lavoro della santità. — Come c´en
trano le virtù teologali e morali. Differenze che ne derivano tra
il Savio e S. Luigi.
o II piccolo Savio ha virtù da santo maturo: è un « gigante dello spi-rito ». — Le virtù esterne e la santità. — S. Francesco di Sales e la santità casalinga di Don Bosco. -
o Il tipo del Savio nel libro di Don Bosco. — Don Bosco e il Ca-gliero: la simpatia pel piccolo Santo. — Santo attraente. — Non è una santità austera e pesante.
o L´impressione generale delle testimonianze. — Nel Cagliero è la maturanza delle virtù e la serenità gioviale del Santetto. — Docu¬menti. — II fascino di un santino sorridente. — La Teresa del Bam¬bino Gesù e il suo sorriso. — Il sorriso del Savio, e sua sorgente.
— Perchè vuol farsi Santo. — Come vede egli la santità. — La sua presenza neI suo mondo. — Don Bosco ripone in ciò la riu¬scita dell´apostolato. — Servite Domino in laetitia.
CAPITOLO IL — II cuore pag. 167
SOMMARIO. — La letizia neI Savio è parola dell´anima. — Le sue virtù sono un modo di essere del tipo personale. — La bontà ama¬bile: la caritas di S. Paolo. — La trattazione del Faber. — Come s´intende la bontà. — Il panegirico dei coevi. — Il Cagliero.
o La bontà umile. —II Faber e un pensiero di Lacordaire.
o Il buon cuore: ricordo incancellato in ognuno. — Frequenza domi¬nante di accenni ed esempi nella Vita scritta. — I coevi e il buon cuore del piccolo Santo. — I fatti della Carità. — Testimonianze eloquenti.
O Il paciere.
o E generoso che perdona. — Fatti eroici. — Generosità quotidiana.
— « Amava i suoi offensori e. — Folla di attestazioni. Il Consolatore. — Apostolato del conforto. — Il. desiderato de¬gli infermi. — Tenerezze e riconoscenze.
CAPITOLO III. — Il costume quotidiano della vita . . . » 175
SOMMARIO. — Come lo ricordano i coevi. — Le virtù quotidiane dotate da giovanetti e non dimenticate. — Pensiero di Don Bosco: una condotta straordinaria fatta di cose ordinarie.
o Modum nunquam excessit. — Semplicità senza alcuna posa. — La calma e serenità: virtù di Don Bosco e del Savio. — Spiegazioni di PP. Pio XI. — Aspetto angelico non mai turbato. — L´unico pianto.
— Serenità perenne. — L´angelico.
o Nobili e delicati sentimenti. — La gratitudine: gratitudine e rico¬noscenza nella definizione del Tommaseo. — La definizione si ad¬dice al Savio. — Gratitudine per Don Bosco. — Il ricambio in santità. — Gratitudine per i Maestri. — Don Bosco e le sue sen¬tenze sul buon cuore, cioè sulla gratitudine. — Testimonianze di fatti concreti. — Nobiltà di sentire.
o L´amicizia. — Un aureo capitolo e una sentenza di Lacordaire. ¬Nel Savio è bisogno di condividere la vita dell´anima. — Il cuore e l´umano nelle sue amicizie. — Don Bosco insiste sulle amicizie del

230
Savio, a differenza delle altre Vite. — Don Bosco è con Francesco di Sales: ricorsi paralleli.
o La scelta degli amici. — Le * amicizie particolari * del Savio e loro spirito. — Il Gavio e il Massaglia. — Don Bosco e Comollo: sentimento di S. Francesco di Sales sulla pariia/ité. — Le ami¬cizie nella vita educativa e la discrezione di Don Bosco:
o L´amicizia del Savio esaltata dal Santo Educatore. — Le amicizie del piccolo santo secondo i testi coevi. Singolaxi_parole di Don Rua: i tratti di familiarità. — Un tocco magistrale di Don Bosco,
CAPITOLO IV. — Carattere pag. 189
SOMMARIO. - Il simpatico giovinetto ha carattere. — Distinzioni teoriche. — L´eroismo delle virtù e suo significato.
o Un fatto primordiale: l´impeccabilità. — Nel senso spirituale e nel senso pratico. — Eloquenti affermazioni del capo XIV della Vita. Nessuno gli riconosce un difetto. — Unanimità dei testi. — Pa¬ragone con Don Rua. — Cosa più che umana.
o Le doti del carattere e gli schemi canonici. — La pnidenza e as-sennatezza. — Testimonianze e fatti. — Fiducia di Don Bosco.
Valore spirituale. •
o Onestà e coscienza, rettitudine (iustitia). — Particolari di fatto. ¬Non dote da fanciulli.
o Il superamento di sè e la temperanza eroica. — La massima di Don Bosco per * gli apprestamenti di tavola ». — La definizione del Cagliero.
o Accettazione della povertà. — Povertà dignitosa. — Copia di Don Bosco. — Amore alla povertà. — De heroica paupertate: attestazioni mirabili. — II distacco.
o La fortezza d´animo. — Savio è un forte. — La parola di D. G. Sonetti. — Contrasto con le condizioni fisiche. — Contro la scien¬za. — Don Bosco ne fa un lineamento tipico. — La virtù del Savio è « sforzo umano ». — Le prove addotte nella Vita. — Il dominio degli occhi. — L´episodio del Rattazzi.
o Il coraggio. — Lo sforzo umano nei Santi. — La superiorità dello spirito sull´infermità della complessione. — Le testimonianze più autorevoli sull´equilibrio e dominio del temperamento: il e grande sforzo della volontà e. — Non fu mai veduto in collera. — Parole del Cagliero.
o La modestia. — e Benignamente d´umiltà vestuta e. — Le fonti e le maniere dell´umiltà nel piccolo Santo: come S. Paolo e Don Bo¬sco. — Come appare l´umiltà e modestia nella Vita scritta. — Ana¬lisi del contenuto spirituale.
o Come la videro i coevi. — Modestia sociale. — La causa del vo¬lergli bene. — Episodi di modestia e d´umiltà. — Il premio di condotta. — Umiltà fatta bontà e carità.
CAPITOLO V. — II giglio salesiano » 209
SOMMARIO. — La modestia come veste della purezza. — Il ter¬mine in entrambi i senqi, presso. i testi. — Don Bosco preferisce

"-io 231
questo termine. — L´idea è quella di S. Francesco di Sales. — II peccato degli adolescenti. — Don Bosco addita nella modestia la forma più squisita della purezza. — Differenza tra le Vite di Magone e di Savio in questo tema. — Don Bosco non ha pel Sa¬vio un capitolo apposito. — Come ne fa sentire la presenza. ¬La purezza immedesimata con la divozione a Maria. — La preghiera al S. Cuore. di Maria.
o Aderenza e coincidenze verbali col Giovane Provveduto. — Ma i fatti sono storici e non pure didascalie. — La pedagogia della ca¬stità assimilata dal Savio.
o I fatti celebrati da Don Bosco mostrano Ia volontà della virtù. ¬La e non piccola violenza » nel dominar gli occhi. — La metafora delle finestre. — Un atto coraggioso contro lo scandalo: l´eloquenza del piccolo Santo.
o La modestia dell´angelo in carne nelle parole dei coevi. — L´epi¬teto di angelo in tutti. — Contegno per via. — Riserbo negli atti.
— Modestia di sguardi. — La * gelosa circospezione » definisce i modi della virtù. — Contegno sociale: virtù che s´impone a tutti. — Concetto della sua virtù nelle affermazioni: prevenuto dalla gra¬zia, innocenza nativa, esente da tentazioni: il privilegio di S. Luigi.
— Concetto di Don Bosco: e fiore bellissimo tra i belli n. — e Non inferiore a S. Luigi ».
CAPITOLO VI. — Savio, modello alla gioventù, e tipo d´una
tradizione pag. zig
SOMMARIO. - Proclamazioni solenni. — Parole di PP. Pio XI. ¬Intenzione di Don Bosco nello scrivere la Vita. — II Savio im¬persona la prima tradizione salesiana. — Importanza delle dichia¬razioni del Cagliero: la pagina 289 del Sommario dei Processi. ¬Gli amici del Savio formano il primo nucleo della Congregazione il 18 dicembre 1859. — Lo stile del salesiano educatore nelle ma¬niere del Savio e suoi consorti. — La castità della pedagogia. ¬Tutto il ritratto morale del discepolo ripete la figura morale del Santo Maestro o appartiene alla sua concezione. — Tutto inne¬stato nella Salesianitd. — Le due figure si rispecchiano a vicenda.

Visto: nulla osta
Torino, 5 agosto 1942.
D. CARLINO, Revisore.
IMPRIMATUR
C. L. CoccoLo, V. G.´

SAVIO DOMENICO
E DON BOSCO
STUDIO
DI
D. ALBERTO CAVIGLIA
PARTE SECONDA
" LA VITA DELLO SPIRITO-"
... piccolo, anzi grande gigante dello spirito ".
(PP. Pio XI, 9 luglio 1933).
LIBRI V-XIII
TORINO • SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE

AVVERTENZA. — Per i riferimenti dei due Processi, Ordinario e Apostolico, mi valgo della Positio Advocati super virtutibus, in cui sta il Summarium, in quo testimonia et documenta integra referenda sunt (C. I. C., can. 2106). E cito semplicemente: Somm., nome del teste, pag. del vol.; p. es.: Somm., Cagliero, 289; opp.: Somm., Docum. I, II, etc., o Declaratio, n. 1...14: pag. nn.
Non sono distinte le citaz. dal Proc. Ordin. o dall´Apostol., se non quando ciò torni utile o necessario.
L´AUTORE.
Proprietà riservata alla
SOCIETA EDITRICE INTERNAZIONALE Officine Grafiche SEI • Torino
M. E. 43053

CAPITOLO I
Lo spirito di Don Bosco e il Savio.
L superfluo ripetere, per non so qual volta, che quando si parla di santità, s´intende d´una vita superiore dello spirito, tanto supe¬riore da doverla leggere nel soprannaturale; e ciò che vi appare di umano, l´umanità della vita, diviene come l´espressione sensibile, la parola, del discorso interno dello spirito, che non ragiona coi motivi dell´uomo, ma colle idee di Dio. Non è questo il luogo di una digres¬sione intesa a dimostrare che certi fatti, azioni, atteggiamenti, condi¬zioni psichiche, e va dicendo, possono essere comuni anche a non santi (i). Tutto si riduce, come diciamo, a questione di linguaggio: le parole son là, a disposizione di tutti: ma il discorso vien dal di den¬tro, ed ha il valore che prende dal nostro pensiero.
Noi entriamo a questo punto, in una serie di osservazioni di carat¬tere, più che prima, ascetico e spirituale e, se si può dire, agiografico.
Non può negarsi, e l´abbiamo detto, che, anche nello studio dei linea¬menti umani della nostra carissima figura, s´è dovuto fare uno sforzo per non dare troppo nello spirituale, e il ritratto umano ci è apparso più d´una volta in una luce che non poteva essere altrimenti che so¬vrumana: tantochè debbo confessare che la sola economia del lavoro mi ha trattenuto dal farne poi tutta una traduzione ascetica; e l´avrei potuto, commentando ogni punto con altrettanti riflessi di maestri di spirito.
Ma ín quest´altra parte i fatti che noi verremo considerando sono per se stessi d´indole essenzialmente spirituale, e perciò attinenti alla
(i) È appunto la tesi del jOLY, Psychologie des Saints: benchè, com´era giusto, l´A. vada anche più in là, dimostrando che non tutto poi è uguale nell´una e nell´altra condizione, e che le sublimazioni dei Santi non son da confondere con le psicopatie degli anormali e degli isterici. Cfr. particol. cap. IV e cap. V. — Anche il mio buon Faber segna più d´una volta tali differenze, e la ragione in¬tima della diversità. Cfr. p. es. Progressi dell´anima, pag. 146,

23 8
vita dello spirito nell´anima del santo giovanetto. Anche qui andiamo per gradi, e cioè dal più sensibile e visibile al più intimo e profondo, dove la mano di Dio adopera misteriosamente.
È ben vero che il libro di Don Bosco, con una disposizione con¬servata nella Vita del Besucco, condotta con più ragionato sistema, discorre prima dello spirito di preghiera e della pietà, e vi soggiunge poi le notizie sullo spirito di penitenza; ma, se nel libro più studiosa¬mente composto questo secondo tema è fatto chiaramente derivare dagli elementi animatori del primo, e cioè la mortificazione nel Be-succo è disegnata come un´espressione ed un´esigenza, anzi come un mezzo di attuare l´amor di Dio, che poi dà all´anima di quel beato fanciullo la sua grande parola finale (Capo XXIX): non così può dirsi della Vita del Savio, dove l´Autore non segna questi nessi, e non coor¬dina ancora in un insieme d´idee i gruppi di fatti che viene esponendo.
I capitoli XV e XVI sulla Penitenza e Mortificazione potrebbero be¬nissimo stare, senza disturbo, al posto dei due capitoli precedenti; e, sia detto con ogni riverenza, ne guadagnerebbe la condotta del libro, legandosi nello spirito quei due, sulla Preghiera e sulla Pietà,co1 capitolo ove tratta della fondazione della Compagnia dell´Immacolata.
In tal materia, come poi prevalentemente in più parti del suo libro, Don Bosco è ancora molto occupato-dall´intento edificante, e il senso spirituale e soprannaturale, o, diciamo, agiografico, traspare soltanto per forza di cose. Una sentenza, come quella che inizia il capo XXIII del Besucco, nella Vita del Savio non appare ancora. Ep¬pure è innegabile che nel pensiero del santo Autore, che sapeva di scrivere d´un Santo, la cosa non poteva presentarsi altrimenti; tanta è la cura con la quale rileva certi atteggiamenti e stati d´animo del suo figliuolo. « Quando l´amor di Dio prende possesso di un cuore, niuna cosa del mondo, nissun patimento lo affligge, anzi ogni pena della vita gli riesce di consolazione. Dai teneri cuori nasce già il nobile pensiero che si soffre per un grande oggetto, e che ai patimenti della vita è riservata una gloriosa ricompensa nella beata eternità» (/). E vi è poi, al Capo XXVI, quella chiusa e quell´insomma, che accostano
i sentimenti dell´umile alpigiano nientemeno che a quelli di S. Paolo, e iI desiderio di « voler separar l´anima dal corpo, per meglio gustare che cosa voglia dire amar Dio » (2).
Sono due tipi giovanili di penitenti, i quali imparano da S. Luigi, e cominciano suppergiù alla stessa età (3), ma non sono tali soltanto
(t) Vita di Francesco &succo, cap. XXIII, pag. 70, ediz. corr¬w ThW., cap. XXVI, pag. 86.
(3) Per S. Luigi, cfr. 114.EscHLER, cit., cap. V. pag. 43-44.

239
per imitazione, sibbene per proprio impulso interiore d´amor di Dio, che in parte l´induce ad imitare, ma più li conduce per se stesso; e se il Besucco si propone, come sappiamo, di ricopiare in sé il Sa¬vio, non è Ia sua un´imitazione esteriore ed incosciente, ma una assequenza di spirito che adotta alcune forme, fino all´eroica di
smisura.
Non vorrei che il lettore vedesse in questo alcuna velleità di cri¬tica, quando si pensi che la Vita del Savio rimane immortale perchè
scritta da un Santo per presentare un Santo, e contiene ad esube¬ranza gli. elementi d´una santità, come si viene col nostro studio di
mostrando (I): si deve semplicemente intendere che il premettere il
tema della mortificazione a quegli altri è suggerito da ragioni di con¬gruenza, o, ch´è lo stesso, da un ordine d´idee.
Purtroppo a noi manca quasi totalmente la conoscenza minuta,
quasi quotidiana, della vita vissuta dal nostro_ santino prima di venire con Don Bosco. Le relazioni scritte che noi abbiamo riferite, con le
attestazioni dei coevi e compagni di quel tempo, non toccano affatto codesti aspetti così delicati e intimi della spiritualità. Eppure se Don
Bosco, quando incontra primamente il Savio, é portato a scoprire « i lavori che la grazia divina aveva operati in quell´anima », bisogna con
venire che lo svolgersi dell´ari-10r di Dio e la pratica di ciò che l´accom¬pagna e conserva, fossero già ben superiori all´ordinario, e facessero
sentire la stoffa del Santo. Non era dunque supponibile che un amore vero e crescente, e sempre meglio illuminato, potesse vivere senza lo
spirito di mortificazione; giacché la vera idea di questa è ch´essa è amore di Gesù (2). E la sentenza di Don Bosco, dettata pel Besucco,
deve ovviamente intendersi anche pel Savio, nel quale l´amor di Gesù abbiam visto prender possesso fin dai primissimi moti del cuore e dell´anima. Basterebbe, per tutto, quel che sappiamo della sua prima Comunione, e della storica parola di quel giorno.
La sua vita in famiglia dovette essere, e questo, sì, appare dalle
testimonianze altrove addotte (3), intonata ad un´austerità e tenor di vita mortificato, che vuoi essere preso in quel senso più compren
sivo e totalitario, che difficilmente si definisce, e che dovrebbe spie¬garsi in una moltitudine di particolari negativi e positivi, i quali rive
(i) 11 libro del Besucco, pure scritto da Don Bosco, con tanto maggior copia d´idee e miglior economia della condotta, è rimasto infinitamente meno popolare che quello del Savio. Vi sono parecchi perchè, e li spiego a suo tempo: ma il principale è che nell´un libro si sente in ogni modo un Santo, nell´altro sembra che un secondo Savio non vi sia.
(2) FABER, Progressi, cit., cap. XI, pag. 132.
(3) Cfr. sopra, lib. I, cap. II e III.

240
lavo, in chi potesse osservarli, tutto un carattere, un habitus, ch´è precisamente quello del cristiano vestito della mortificazione di Cristo (i).
Mancano, ripeto, i particolari minuti che si leggono nella Rela¬zione stesa dall´arciprete Don Pepino per il suo Francesco Besucco; ma, oltrecchè da alcune delle testimonianze appare quale fosse il suo comportamento e la sua abituale, anzi esemplare modestia, e perfino la capacità dell´eroismo, si deve ammettere che quelle doti di carat¬tere (possiamo anche dirle virtù), delle quali è circondata la sua figura morale, non poterono essere improvvisate, e si eran venute prepa¬rando nella vita antecedente. Come appunto riconosceva D. Mi-chele Rua (2).
Sicché, lasciando pure di ricercare le prime scaturigini, ci è dato addentrarci nel fatto della vita di mortificazione, quale Don Bosco ha voluto descrivere. Tanto più che, se ben si osserva, tanto nel Santo modello di tutti i giovani, ch´è S. Luigi, quanto nei nostri due santi figliuoli di Don Bosco, quello spiccato e definito spirito di penitenza, e la ricerca studiosa della mortificazione, si rivela alla medesima età, dagli undici ai dodici anni (a): e si noti che congiungo in uno il Savio e il Besucco, pur così differenti in tante cose, perché il secondo, anche prima di venir da Don Bosco, che fu sui tredici anni, leggendo la Vita del Savio, allora uscita, si destò a nuovi sentimenti, e in seguito si volle, per-fin troppo, assomigliare a lui.
Per il nostro Savio, tutto quello ch´è detto del suo spirito di peni¬tenza e delle pratiche di mortificazione (Cap. XV-XVI) appartiene esclusivamente al tempo della sua dimora all´Oratorio; cose cioè sa¬pute o vedute da Don Bosco. E qui si vuole una distinzione. Nella materia, di cui stiamo occupandoci, non entra più tutta quella edifi¬cante quantità di fatti già da noi ricordati, secondo l´opportunità dei temi, per lumeggiare le attitudini e gli atteggiamenti virtuosi e belli dell´animo, e le energie del carattere; come il sopportare ingiurie e difetti, fino a tollerare l´intollerabile, l´eroica serenità nelle malattie, la temperanza e la dignitosa accettazione della povertà: l´abito della bontà e della compostezza, congiunto con la calma e l´allegria conti¬nua; per non dire della modestia nel senso dell´umiltà e in quello dei riserbo nel costume; tutte cose- che lo stesso Santo Pedagogo, con la profondità delle sue viste, aveva comprese in uno sforzo umano totale
o prevalente, sempre tuttavia dérivato da una volontà che, per riuscire,
(i) 11 Cor., IV, so.
(2) Cfr. Somm., D. Rua, pag. Si. Ióid., Melica, pag. 99.
(3) Cfr. sopra, pag. 238, n. 3.

241
deve superare un ostacolo, nel che consiste appunto la mortificazione del proprio essere (i).
Don Bosco non torna su tutto questo, e qui non lo richiama se non per necessità. Egli si appunta su ciò che più comunemente si chiama penitenza, inspirandosi al ricordo di San Luigi, innocente per privilegio e penitente per volontà. Ed ha voluto, già nella Vita di Co-mollo (capo VII), e poi in questa biografia, come in quella posteriore del. Besucco, dedicarvi un´apposita trattazione. C´è di più, quanto al Savio. Nella I edizione (1859) il capitolo delle penitenze era uno solo, il XV: Sue penitenze, rimasto invariato in tutte le edizioni. Ma nel 1860, ritoccando il libro per la edizione seconda (l´introvabile!) (2),
o che sentisse che quello non bastava, o che, come appare da qualche documento superstite (3), si trovasse con altra materia sotto mano, si vide r bbligato ad aggiungere un altro capitolo; ch´è il XVI delle edizioni correnti dalla II-III fino a noi, e che s´intitola: Mortificazione in tutti i sensi esterni.
Non stiamo ad indagare se quei fatti gli potessero essere prima ignoti (ed è ben difficile), o se, per sue viste personali, non avesse cre¬duto opportuno di addurli: il fatto è che quest´altro capitolo è mate¬riato di esperienze eroiche e continuative, che lasciarono nei coevi un´impressione profonda e un´ammirazione che non si cancellò più. Vi è qualche tratto, due specialmente, che afferrano tutta la sensibilità del lettore con la loro tremenda ripugnanza, e riportano al ricordo di tempi lontani, quando la penitenza e l´afflizione di sè erano tormenti spiegabili soltanto con l´eroismo dell´amor di Dio o con l´aspra puni¬zione dei peccati. Io credo che Don Bosco nello scrivere quelle poche pagine, e sempre poi, come disse un giorno, nel rivederle, non abbia potuto rattenere le lacrime. •
o o o
Anche così fatte, queste pagine, e aggiungendovi quanto è narrato nei Capitoli XXII-XXIV intorno a´ suoi giorni ultimi, rimangono capitali per gl´indirizzi di Don Bosco nella formazione spirituale de´
(i) TANQUEP,EY, op. cit., 754. E nel n. 753 il valente autore insiste appunto sull´idea dello sforzo, naturalmente intrapreso per fini e con aiuti superiori.
(a) Si potrebbe pensare anche alla 3a, del 186r, venuta subito dopo. Ma la lettera del Piano (Somm. Proc., Docum. n. 4. pag. 459) sembra piuttosto alludere ad una seconda edizione, di cui Don Bosco deve aver parlato per quella notoria correzione cagionata dal fatto del Zucca.
(3) Appunto la lettera del Piano e quelle di Don Rua, più volte menzionate, che sono, la seconda almeno, prossime alla nuova edizione.
2 - CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. TV. Parte

242
suoi. Qui è Don Bosco in persona quello che opera e dirige il moto spirituale del suo alunno; e l´insistere ch´egli fa sulla parte del Di¬rettore nel regolare e contenere, e, diciamo subito, nel volgere in altra direzione l´industriosa attività penitenziale del suo figliuolo spiri¬tuale, culmina infine nel dialogo concettoso tra Maestro e discepolo e nella conclusione di esso. Segno che, insieme con l´esaltazione della virtù del suo santino, lo scrittore Maestro mirava più oltre: e non dico dell´edificazione immediata dei giovanetti lettori della Vita, che si sarebbero formati sugli esempi del loro fratello nello spirito: bensì pensava a stabilire saldamente una disciplina spirituale, che avesse a servire dappoi agli eredi delle sue tradizioni.
Non è neppur questa un´argomentazione venuta in mente di chi scrive, come per dare non so quanto maggior valore alla tesi del suo tema: ciò è provato dal fatto che quel dialogo si ripete pressap¬poco nelle medesime forme, e certo con le ragioni medesime, cinque anni dopo, quando scrive il capo XV del Besucco, con intenti dida¬scalici manifesti e con ordine sistematico più ponderato, e, se non è troppo ardire, quando le sue idee appaiono assai più maturate e sta¬bilite per sempre.
Per questa ragione nello studio su Ia Vita del Besucco mi soffermo a commentare le idee del Santo Maestro, e in questo, come in altri punti, io dimostro che da quegli anni in poi Egli è rimasto fisso e de¬terminato nella sua dottrina. Ma qui è bene vedere che l´idea è già nata e formata, e se n´ha una prima attuazione nella formazione d´una santità, che anche per voce della Chiesa, è da riconoscere per au¬tentica. L´anima del Savio, se ha, per questo aspetto, i caratteri suoi, e colla grazia di Dio si sente, a quell´età, portata ad un nuovo fervore di penitenza (e diciamo nuovo, per la ragione, già addotta, che lo approssima a S. Luigi); se in quello spirito di penitenza egli si trova affine allo stesso Don Bosco (del quale, come uomo- di penitenza, parlano i capitoli XVIII-XIX del quarto volume delle Memorie); nell´attuazione degl´indirizzi non diremo che subisce il Maestro, ma ch´è formato da Lui, il quale volge in altra direzione le esperienze del santo alunno. Fortunato lui, diremo, che, al primo dirompere dei fervori ascetici d´austerità, ebbe una guida e un Maestro! Se S. Luigi, avesse avuto tale fortuna (l´ebbe, per poco tempo, a Madrid, in per¬sona del P. Paternò gesuita) (i), non si sarebbe ridotto come fu tro¬vato, quando entrò nella Compagnia a diciassett´anni, e si dovette subito incatenarne le esorbitanze.
(i) 1k´lPsCm.E.R, cit., pag. 78. Ma non consta che in materia di penitenze quel buon confessore abbia avuta molta ingerenza.

243
o 0 o
Le idee di Don Bosco, e la direzione ch´egli assegna a questa fun¬zione ascetica dello spirito, sono al presente, dopo tanti decenni, poco
men che un secolo, di esperienza salesiana, penetrate nella tradizione e nella vita che a lui ed ai suoi insegnamenti aderisce. Ed anche s´è detto qua e là, occasionalmente, qualche cosa dei suoi pensamenti, a volte perfino interpretandoli con una tal quale faCiloneria, confusa con una falsa nozione della libertà di spirito (t).
In primo luogo il Santo Don Bosco è diametralmente opposto alla visione nera e tetra della vita e alle idee terrorizzanti della Religione. La sua non è certamente una religiosità inzuccherata o frolla, ma so¬prattutto non ha niente di amaro o di rigido. Pensiamo alla predica sulla facilità di farsi santi, che ha segnato il grande momento nella storia spirituale del Savio (a). Se, predicando al popolo e parlando alle comune dei suoi giovani, fa pur sentire le tremende realtà dei quattro Novissirni, e dell´inferno ravvicina i bruciori (che cosa deli¬cata per certe morbidezze religiose!) (a), non è per altro se non perchè ad ogni fedel cristiano, e a certi, diciamo cosi, elementi della sua giovane folla, occorre quella prospettiva assolutamente paurosa perchè si scuotano dal torpore e si astengano dal male più grosso. Ma non è davvero Don Bosco, pure continuamente occupato a salvar le anime, • e ché in fin di tutto parla sempre di « salvarsi l´anima », non è Don Bosco il Maestro delle anime che pone nel solo peccato e nello Scampo dell´inferno il limite della libertà morale e i confini della pratica (la dicono anche esperienza) religiosa (4).
Dei due modi di vedere il mondo e la vita adoperati da coloro che si sforzano di servir Dio e amarlo con purezza: quello fosco e pauroso, malinconico e scoraggiante, del Medio Evo e di certi spirituali mona¬stici, o quello opposto, il modo lieto e bonario, compaziente e fidu
(i) Parecchie di tali interpretazioni sono già previste dal FABER, Progressi, cit., pag. 135-138: due specialmente sembrano tolte di bocca a chi interpreta così poco spiritualmente Don Bosco. — Potrei, se la modestia non l´impedisse, riferirmi a certe mie Istruzioni pei Confratelli Salesiani, che so essere state purtroppo! ste¬nografate e divulgate.
(a) E si consideri il ragionamento sereno e invitante della Prefazione al Giovane Provveduto/
(3) Per l´idea, cfr. FABER, Progressi, cit., pag. 129, e, in altro senso, Crea¬tore e Creatura, cit., pag. 37. Più precisamente, Ibid., 302-303: la falsa delica¬tezza dei tempi moderni.
(4) Vita e lettere di P. F. Faber, del BOWDEN (Marietti, 1884) pag. 437: dalla penultima predica del Faber.

244
cioso del bene: tra la veduta, per esempio, di S. Bernardo e quella di S. Francesco di Sales, Don Bosco preferisce la seconda, senza, com´è ovvio e doveroso, rinnegare il fondo di vero che vi è nella prima (i). E parimenti, dei due indirizzi della pedagogia spirituale, quello che presenta la vita, il vivere secondo Dio, come un assoluto e inderoga¬bile dovere di coscienza e di giustizia, il fare il bene perchè così deve essere, o quello che mette in capo a tutto l´amore, e da questo deriva naturalmente il dovere: fare il dovere perchè Dio ci ama e noi amiamo Dio: il Santo Maestro, che in questo, come prima, s´identifica col suo Santo Dottore (e possiam dire anche col S. Alfonso degli scritti asce¬tici), si attiene all´indirizzo più consono, oltrecchè al suo spirito per-sonale e alla modernità delle vie spirituali (di queste è personificazione la S. Teresa di Lisieux), anche all´intuizione ch´Egli ha dell´anima giovanile, che si muove nell´amore e nella gioia, e fa per amore quello che l´astrazione della legge da lei non otterrebbe. Insistendo esclusiva¬mente sul dovere, specialmente coi giovani o coi peccatori, può avve¬nire che i veri motivi del dovere non agiscano pienamente, e intanto il carattere proprio del Vangelo, ch´è l´amore, venga negletto o inade¬guatamente rammentato (a).
Pensiamo ora al nostro Savio. Per l´amor del cielo nessuno pensi a concezioni tetre o a principii astratti nella mente del caro fanciullo. Di tali idee non n´ebbe mai una! Basta leggere le deposizioni testi¬moniali al titolo De Spe, che lo dipingono come un´anima rapita nella visione del Dio che ama e del Paradiso bello, così come vedevano, prima degli spaventi medioevici, i cristiani dei primi secoli (3). Io invito a leggere, nel mio Faber, una pagina, che mi sembra essere la descrizione dello stato d´animo del nostro santino; che include ad un tempo lo spirito del desiderio dell´espandersi e diffondersi del-I´amor di Dio tra le anime, e vorrebbe, se potesse, l´impossibile:
o subire il martirio e convertire l´inferno e vuotare il purgatorio ». spirito di lode di Dio e di desiderio amoroso di Dio e per Dio, ben diverso da quello di sfuggir l´inferno, di star poco in purgatorio, di non aver tribolazioni, di morir pacificamente e arrivare alla pace del Paradiso per esser libero dalle asprezze della vita terrena: spirito non
(i) FABER, Creatore e Creatura, cit., pag. 375-379. — Cfr. sopra, vol. I, pa¬gina r
(z) È tutta una dottrina svolta dottamente e piamente dal FABER in Creatore e Creatura, cit., pag. 395-404. Pagine preziose per ogni pedagogia: tanto più per noi, figli di Don Bosco, che seguiamo quel tipo di spiritualità e dobbiamo infor¬marne la nostra opera educatrice.
(3) Abbiamo, a conforto di questa idea, tutta l´Archeologia figurativa ed api-grafica I

L-i, 245
erroneo, ma che non è lo spirito dei Santi, i quali, come il Savio, vi¬vono in un´atmosfera di lode e desiderio di Dio (pensiamo al ratto improvviso descritto nel Capo XX), onde si genera una spiritualità fatta di amore (i).
o o o
Parlando adunque di penitenza e di mortificazione secondo le idee di Don Bosco, si deve anzitutto rinunciare a tutto ciò che deriva dalle concezioni superate d´altri tempi, e del resto neppur gradite al suo Maestro, il Dottore di Sales. Praticamente, la sua direzione spirituale si esercitava tra giovani o, come indirizzo presente e avve¬nire, era intesa ad un ceto di lavoratori religiosi, quali dovevano es¬sere i suoi Salesiani, pei quali era da escludere ogni forma di peni-tenzialità espiatoria o claustrale. Ma, anche per principio, certe cose non le avrebbe mai accolte né inculcate.
Non è fuor di luogo, ed anzi torna più che opportuno, distinguere tra le forme specifiche o pratiche di penitenza o mortificazione ch´egli ammette ed inculca, e lo spirito di mortificazione ch´egli soprattutto inserisce nella sua tradizione spirituale.
Quanto al primo fatto, è più che evidente la sua attinenza con gli insegnamenti di S. Alfonso. Alludo particolarmente alla Praxis Con¬fessarii, che fu essenzialmente il libro maestro del nostro Santo Diret¬tore di anime (z). Anima incipiens vellet onerari mortificationibus: Director aegre illas permittat, dice il libro (3). Non riferisco il seguito della trattazione. Il regime in cui Don Bosco educa le anime de´ suoi più fervorosi e del suo santino, esclude senz´altro le penitenze afflit¬tive, inopportune pei suoi soggetti, mentre accetta, secondo la dot¬trina dei maestri di spirito, le mortificazioni esterne indispensabili alla mortificazione interna, che anzi debbono precedere (4). Ma codesta mortificazione sensibile è soprattutto ridotta alla mortificazione dei sensi e alle cosiddette mortificazioni negative che per S. Alfonso sono meliores et utiliores, et periculis minus obnoxiae (a). E quelle che il
(i) FABER, Tutto per Gesù, capo VIII, Lez. H: Che cosa intendesi per lode e desiderio. Pag. 323 e 324.
(z) Per questa materia, cfr. il cap. IX, De directione animarum spiritualiunt: dove il § III è De mortificatione, e comprende i tre articoli 145-147. Mi attengo all´Editto epica Vaticana del 1912, curata dal P. Blanc O. SS. R., ed estratta dal¬l´Eclitio critica Vat. curata dal P. Goudè, vol. IV (1912).
(3) Op. cit., n. ´45.
(4) FABER, Progressi, cit., pag. 132.
(5) Op. cit., n. 146.

246
Santo Dottore reca ad esempio sono precisamente -nel programma di Don Bosco, e sono da lui ricordate come personali e assidue pratiche del suo santino: privarsi di vedere cose curiose ed umane (i), parlar poco, contentarsi dei cibi qualichessiano, ch´è il proverbiale salesiano:
contentarsi degli apprestarnenti di tavola », e trovar buono anche il cattivo (z); non accostarsi al fuoco d´inverno, cercar per sè le cose più vili, esser contenti e rallegrarsi della mancanza di cose pur ne¬cessarie, ossia amore alla povertà; inoltre non lagnarsi degl´incomodi di stagione, del disprezzo di sè e delle molestie (3), sopportare gl´inco¬modi delle infermità: cose tutte enumerate nella suggestiva pagina della Praxis.
La dottrina di Don Bosco è pertanto sana e sicura. La mortifi¬cazione interna è la più importante (est quidem potissima, dice il Li¬guori), e nel nostro Savio l´abbiamo già luminosamente descritta quando si parlò di quel tenor di vita e di tutte quelle belle doti di carattere, che non eran tutte « senza un grande sforzo umano» (4). Non era quella un´estetica del carattere nè un sentimentalismo qual-siasi: era virtù solidamente fondata sul lavoro interno sostenuto da un assiduo esercizio di mortificazione esterna (i).
Ma il nostro Maestro (per non confonderci, ricordo che è Don Bosco) non cade nell´errore dei moralisti che rigettano la mortifica¬zione esterna. Ha con sè S. Alfonso, proprio all´art. I45, che cita la sentenza di S. Giovanni della Croce; e sta col suo contemporaneo, alfonsiano pur esso, il Faber, che per buone ragioni di opportunità combatte la sentenza contraria (6). Quanto a S. Francesco di Sales, nessuno deve lasciarsi fuorviare dall´inizio del celebre capo XXIII della Parte Terza della Introduction à la vie devote. Quel capitolo, nella sostanza, torna alla dottrina a cui accenniamo; e soltanto per contin¬genti circostanze del tempo suo combatte l´esclusiva prevalenza data ai gesti esteriori a detrimento dello spirito interno. E se leggete più avanti nello stesso, capitolo (7), trovate che cosa pensa della mortifi¬cazione esterna-. Lascio le citazioni dagli altri scritti del Santo Dottore
(i) Per esempio i testi ricordano che al paese rifuggiva dalle feste e dagli spettacoli: la Vita ci dice che non si, lasciava attrarre dalle divagazioni della strada, e cosi via.
(2) Loc. cit., 146: contentum esse cibis gustui minus acceptis et male conditis.
(3) Ricordiamo le ingiurie eroicamente sopportate dal Savio.
(4) TANQUEREY, cit-, 753-754-
(5) FABER, Progressi,´ cit, 145.
(6) Progressi, cit., cap. XI, 132-138. Ma a pag. 146 ha un´allusione o con-cordanza con quanto tra poco diciamo di S. Francesco di Sales.
(7) Nell´ediz. Nelson, pag. 218-19.

247
spirituale, che convergono alla sentenza di S. Giovarmi della Croce (i) e ricordo quanto, della pratica personale del Santo stesso, delle sue discipline, dice la vita scritta dal P. Hamon.
o o o
Lasciando adunque le mortificazioni strettamente affiittive e pe¬nitenziali (che S. Alfonso del resto sconsiglia pel primo), se noi enu¬meriamo le altre forme esterne di tali pratiche, troviamo che sono appunto quelle ammesse e consigliate dagli spirituali e da Don Bosco. Sono: la sopportazione di dolori e malattie, fino all´accettazione della morte; fatiche e sacrifici a beneficio altrui; pratica di doveri comuni quotidiani penosi; lavoro, povertà, disagio atmosferico (il freddo e il caldo), e così via: « cose tutte che possono divenire meritorie venendo sopportate con interno spirito di penitenza in unione coi patimenti sopportati da Nostro Signore ». Parole del Faber che coincidono, quasi alla lettera, con quelle di Don Bosco al Savio e al Besucco (Capi¬tolo XXIII) (2). Ed è più che _singolare che appunto S. Alfonso faccia capitale questione della gola, la più difficile a ottenere dagli spiri¬tuali (3). Il Faber ne fa anch´esso un tema analogo, con osservazioni non meno argute (4). E Don Bosco ha fatto di questo punto quasi il cardine della mal creduta piccola spiritualità salesiana-, traendone un criterio per giudicare di certe virtuose apparenze.
Il lettore dirà che parlo di Don Bosco, dimenticando che debbo discorrere del Savio. Ma non si può fare altrimenti, quando sia vero che e la direzione del Savio fu condotta da Don Bosco nel suo spirito, e la Vita ne deve essere, ed è in questa parte più che altrove, la di¬mostrazione. Invero con questa esposizione abbiam descritto già, per quanto lo siam venuti conoscendo, il regime del Savio. Ma lo vedremo tra poco anche per altro aspetto. Sta intanto un altro fatto, o meglio un altro fattore, ch´è quello dell´obbedienza: dico di quella dovuta al direttore di spirito in materia di mortificazione. È un principio vi¬tale posto da S. Alfonso, che il direttore ab initio exigat oboedientiam,
(i) A colui che riprova le penitenze esteriori, non bisogna credergli, anche se facesse miracoli. Cfr. Praxis., 545.
(2) FABER, Progressi, 146-147.
(3) Op. cit., 145.
(4) Op. cit., pag. 148. — Tutta Ia teoria e i motivi addotti dal Faber coinci¬dono con le pagine da noi citate di S. Alfonso. Cfr. p. es. i riflessi del Santo sullo spirito di unione con Cr. Cristo (art. 146), confortati da una citazione da S. Teresa, con la conclusione sopra addotta dal Faber. E il COLIRVIBA-1VIARMION, op. cit., pag. 247-249 dice forse altro ?

248´
e reca la sentenza di S. Giovanni della Croce che « chi fa penitenze
contro l´obbedienza, progredisce più nei vizi che nella virtù » Il
medesimo pensano í buoni Maestri, e naturalmente il Faber (2): cioè, come vedremo, Don Bosco, il quale ne fa anch´esso il punto
capitale.
Quel ch´era accaduto a S. Luigi, fattosi religioso, avviene anche al nostro santino: il contrasto fra l´impulso interiore dello spirito
che porta a sacrificarsi soffrendo per amor di Dio, e il limite imposto
dal precetto di chi dirige.
A me duole di non poter, neppure in appendice, riferire i para
grafi della Praxis e le pagine del mio consueto Autore: ne risulterebbe evidente il parallelismo con le concezioni e la pratica di Don Bo¬sco (3). Ma, sopra ogni altra considerazione studiosa, mi sembra doveroso determinare il concetto proprio e personale del nostro più vero e proprio Maestro, dal quale si origina la tradizione spirituale che noi seguiamo. E lo dico qui, e lo ripeterò altrove, se occorre, come dato e punto essenziale di tutta la spiritualità salesiana.
Il principio costitutivo della concezione di Don Bosco in fatto di mortificazione (diciamo adunque: la concezione salesiana) è che essa non dev´essere un´aggiunta alla vita, come un di più al tutto personale, e pertanto indipendente dallo spirito della vocazione professata: ma
deve provenire dalla vita stessa, ed è la vita che si vive, quale ch´essa sia, quella che deve mortificarci; e cioè il mezzo della mortificazione,
lo strumento, diremmo, della disciplina, dev´essere la vita stessa, che Don Bosco naturalmente concepisce austera, povera, limitata,
fatta di lavoro e temperanza, accompagnata da incessante e infaticata
sopportazione; vestita in tutto dall´abito della mortificazione, e cioè praticamente e consapevolmente mortificata (i).
La concezione che Don Bosco ha della vita dei suoi, è, bisogna dirlo, una concezione austera: non già nel comportamento esteriore,
che dev´essere, per sistema, alieno da rigidezze, accostevole e lieto: ma nella contenutezza e limitazione del tenor di vita, e nell´adatta
mento dello spirito a ciò che ne deriva. Sopra e fuori delle mortifi¬cazioni e della ricerca del soffrire, egli vuole spiritualizzare l´istinto
(I) Op. cit., art. 146.
(2) Progressi, cit., pag. 147 e passim, cioè un po´ dappertutto.
(3) Nello studio sul Besucco ricordo anche lo SCAVINI, Theol. Mor. Univ. ad mentem S. Alph., uscito nel 1847 e già pervenuto alla 4a ediz. nel 1854: opera che fu sempre presente a Don Bosco. Ma, pel momento, basta la fonte primaria, a cui sembra essersi attenuto di preferenza.
(4) L´esemplare più prezioso e tipico, dopo Don Bosco stesso, sarebbe Don Michele Rua. Ma non ne parlo, perchè pende la sua Causa di Beatificazione.

249
della penitenza con innalzarlo al superiore e più delicato lavoro della formazione interna, all´esercizio della vera penitenza spirituale. È la più sicura ortodossia in fatto di spiritualità, quando si pensa alla pre¬minenza che tutti i dottori (qui compreso S. Francesco di Sales) hanno dato al lavoro dello spirito in confronto delle forme esteriori, utili e necessarie, ma non superiori alla ragion di mezzo (I). A questo spirito, in pratica non facile davvero, egli informa i suoi primi, che, come dicemmo, dalla Compagnia del Savio assorsero a formare il primo nucleo della sua Congregazione.
Dobbiamo tuttavia portarci più in alto. La spiritualità cristiana, qualunque ne sia la forma, ha sua radice e suo termine in Dio, e nella immedesimazione dei membri della Chiesa col Capo, ch´è Gesù Cristo (2). È l´unione con Cristo che dà valore e significato alla nostra parte di sofferenze nella vita: praticamente l´imitazione di Cristo (3). È questa l´idea che spira dai ragionamenti-che Don Bosco tiene quando discorre della mortificazione, in qualunque modo s´intenda. « Tutto per amor di Dio » e « tutto in unione ai meriti di N. S. G. Cr. » sono le sue consuete parole. Il Colomba Marmion, nella sua classica opera: Gesù Cristo vita dell´anima, ha una pagina che sembra dettata da Don Bosco: la pagina 247-248, dove tra gli atti di penitenza sono appunto annoverate, coll´osservanza dei proprii´ doveri, tutte le contingenze della vita che devono accettarsi con quello spirito di autopenitenza che il nostro Santo Maestro ci ha inculcato. È difficile che uno scritto benedettino non concordi con lo spirito salesiano.
Portiamoci .più in alto ancora. Lo scopo della mortificazione, ch´è l´unione con Dio (4), non può essere conseguito ove questa non sia un´unione di amore: « La vera idea della mortificazione è che essa è amor di Gesù, che prende tal forma ad imitazione di Lui, sia per esprimere la veemenza di tal amore col distacco da quanto non è Egli stesso, sia per assicurarsene la continuazione e perseveranza » (5). La dottrina o, per dir meglio, l´enunciazione dell´amore come scopo e termine, e come effetto conseguito mediante la mortificazione, non è espressa formalmente nella Vita del Savio, come invece la troviamo nella posteriore Vita del Besucco, e l´abbiamo citata più sopra (6);
(i) COLUMBA-MARMION, op. cit., pag. 244 (ediz. francese, 1938).
(2) CoLumBa-Mmtmtopt, op. cit., specialmente pag. 248-250; ma tutto il libro, come dice il titolo. P il concetto Paolino per eccellenza, così come quello che segue.
(3) Ihid., pag. 247.
(4) TANQUEREY, op. C1t., n. 754.
(5) FABER, Progressi, cit., cap. XI, pag. 13z. É il concetto iniziale e fonda¬mentale, ed è il concetto medesimo del Columba-Marmion, sopra citato.
(6) Cfr. sopra, pag. 238.

25o
ma, dopo tutto, si può dire che, se nell´opera più sistematica il Santo scrittore ha potuto fermare più chiaramente le idee, qui, nel Savio, l´incanto della santità e della bellezza di quest´anima già tutta rapita (assorta, è dir poco) in Dio e nel Gesù dell´Altare, gli ha fatto trala¬sciare ogni studio di concetti, pensando a quella figura angelica già
tutta animata e mossa dall´amore che lo fa santo, e lo consuma nella nostalgia del Paradiso (Cap. XXI).
o o o
Ma che tutta la vita mortificatissima del Savio (nel senso inculcato dal Maestro e nelle industrie personali) conosciuta dagli intimi, dai,
diciamoli pure iri anticipo, Salesiani (i), apparisse come un lavorio dell´amore e un´opera d´amore, un qualche cosa di superiore alla co¬mune spiritualità de´ suoi emuli nel bene, ce lo spiega una definizione del Cagliero, dettata in sede di Processo: « L´amor di Dio aveva occu¬pato tutti i suoi pensieri, affetti, e atti del suo cuore... Avrebbe voluto far penitenze corporali, ma ne venne impedito. Era però tanto mortifi¬cato in tutti i suoi sensi, che c´incantava tutti nella pratica costante della._ pazienza, della dolcezza, esattezza e puntualità nei proprii do¬veri » (2).
E questo è detto al titolo VIII, de Heroica charitate in Deum, dove appunto si affollano, non meno che al tit. XII, De temperantia, le
testimonianze intorno allo spirito di mortificazione del santo giovi¬netto. Possiamo noi pensare altrimenti, se non che adunque l´amor
di Dio in lui si manifestava non solo nelle maniere espressamente
caritative, ma, e in modo visibile, con la pratica della sua imitazione di Cristo paziente? Questi riflessi ci approssimano alla persona del
Savio, quale ci viene, nell´aspetto ora considerato, offerta dal libro.
Don Bosco si trova qui in una situazione non poco dissimile da quella che ricorre nelle altre due Vite di suoi giovanetti. Dall´una all´altra
l´idea di penitenza cambia aspetto; e pel Magone è senz´altro quella della difesa; nel Besucco è prima semplicemente penitenziale e di¬fensiva (capo XIII), e solo quando la mano del Santo lo forma´ alla nuova più alta spiritualità, assorge a quell´altezza di sentimenti con la quale termina la sua vita (Cap. XXIII e Cap. XXVI) (3). Ma
(i) Il nome éra stato assunto dai primi quattro che si legarono con un im¬pegno speciale a Don Bosco la sera del 26 Gennaio 1854. Vi erano già Rua e Cagliero ancora studente. Cfr. Mem. Biogr., V, 9.
(a) Somm., Cagliero, 193.
(3) Si noti a capo XXII come il Besucco è descritto quale già pervenuto a ad un grado dì perfezione quale raramente si osserva nelle persone di virtù consumata ».

t-4, 251
quando il Savio entra nella sfera di Don Bosco, è già più in alto che
non il Besucco al medesimo tempo.
Per un po´ di economia mi spiego col Tanquerey. Il bravo trat
tatista distingue tre gradi nell´esercizio della pazienza: a principio (n. 1089) è l´accettazione del dolore come proveniente da Dio, con
intento penitenziale o purificatore delle passioni, per padroneggiar le tendenze e gli scoraggiamenti, per aprirsi la strada verso Dio: rasse
gnati in ogni baso al fiat voluntas tua. Nel secondo grado (n. 1090) (che, intendiamoci bene, non annulla quel che c´è di utile nel primo),
si abbracciano i patimenti con ardore, in unione con Gesù Cristo per
conformarsi a Lui: si gode di percorrere la stessa via sua; è il Christo confixus sum cruci (i), che fa rallegrare quando si soffre e quanto più
si soffre, perché, col sentimento dell´Apostolo, non solo si è partecipi, ma se ne compie la Passione (z). Di qui, coll´amore che vi ferve, si perviene al terzo grado (n. 1091), ed è il desiderio e l´amor del sof¬frire per Iddio e per santificare le anime e guadagnarle a Lui: t cosa che conviene ai perfetti, e cioè alle anime apostoliche, sacerdoti, reli¬giosi, anime elette ». E il doloroso battesimo della Passione, andato da Gesù (3).
Nella Vita del Besucco sono visibili, perché ben chiariti dal testo,
i tre momenti: nel Savio, bisogna almeno cominciar dal secondo e, se pure non è detto e distinto esplicitamente, è quasi immediato il passaggio e la permanenza nel grado dei perfetti. Si direbbe che co
desto spirito esplode nell´anima del piccolo santo, appena ha detto la sua grande parola: Voglio farmi santo. E si manifesta nella forma
aloisiana.
Non è il caso di distinguere, come fanno i Maestri della materia, una via illuminativa (della purgativa pel Savio non c´è da parlare)
e una via unitiva o mistica. Questi schemi non fanno per noi. Lo stesso Tanquerey, quando parla del dono di fortezza nella via unitiva, colloca,
tra le perfezioni a cui conduce, l´eroismo del sopportare lunghe e dolorose malattie, e l´osservare tutta ra vita, senza venirvi mai meno, tutti i punti della propria regola (n. 1331). Che sono caratteri propri del Savio, quali ampiamente abbiamo córnmentato con le parole di
quei che lo conobbero.
Per Don Bosco, dobbiamo dirlo ? è una rivelazione, che, se non fosse dell´economia del libro, egli avrebbe certamente annunciata su
(i) Gai. II, 19.
(2) Rom. VIII, 17; II Cor., XII, 9; principalmente Co/oss., I, 24.
(3) Luc. XII, so: Baptirnio habeo baptizarì, et quomodo coarctor usquedum perficiatur? Cfr. anche MARC, X, 38.

2,52
bito. Come già al primo incontro di Murialdo, quando scoperse « i lavori della grazia divina in quell´anima », qui si trovò in presenza, diremmo tra mano, un carattere aloisiano, che voleva 13 penitenza e la mortificazione così come le aveva apprese dal modello, unico fino allora per lui, del Santo della gioventù. E dovette, il Santo Pedagogo, lavorare a dirigerne gli accesi desiderii e i vividi impulsi, e a mode¬rarne le esuberanze, volgendone, senza reprimerlo o contrastarlo, lo spirito sulla via che egli, il Maestro, vedeva essere la più efficace e più spirituale, come fu fatto, tardi purtroppo, per lo stesso S. Luigi.
o O 0
Il Savio è tipo aloisiano. Ricordo le due belle pagine del Crispolti su questo tema (i), e mi pare che il Savio ci stia a suo agio, pur pen¬sando che dovremo aggiungere una nota di carattere, che il Segneri accenna felicemente, e Don Bosco richiama pel suo santino con buona sinonimia.
Che il nostro Savio pensasse a pene espiatorie per i suoi peccati, si può forse arguire dal principio stesso della fede che professava, ma nel racconto non è fatto apparire. Invece appare bentosto, e dalla Vita (Cap. XIII e XV) e da parecchie testimonianze (2), lo spirito di disciplina, quello della mortificazione preventiva e difensiva contro ogni ostacolo opposto alla virtù (3). Ma poi vi è l´afflizione di se stesso, voluta e cercata per soffrire, o sia per impetrare di amar sempre meglio il suo Dio, o sia per unirsi più strettamente al suo Gesù, e somigliare a Lui, e staccarsi da sè, e far sacrificio in omaggio alla sua Madonna (4), perchè il sacrificio è la suprema parola umana dell´amore. È la mortifi¬cazione unitiva che, sotto qualsiasi Forma, Don Bosco gli suggerisce come termine d´arrivo (Cap. XV).
È questa, non definita così, ma fatta chiaramente intendere dal Maestro dell´anima che ne detta la Vita, quella che gli fa sentire il godimento del soffrire in nome di Dio e per amor di Dio: che glielo fa cercare studiosamente o accoglierlo quando gli si offre; e se di San Luigi è detto che proibirlo di esercizi dí penitenza era privarlo d´una festa (5), del nostro Savio è detto: « la via dei patimenti per lui sembrava coperta di rose » (Cap. XV).
(I) CRISPOLTI, op. Cit-, pag. 113-115.
(n) Che io giudico in più d´un caso piuttosto interpretative che concrete. Cfr. Somm. Proc., tit. XIV: De heroica castitate.
(3) Cfr. anche TANQUFREY, Cit., 754.
(4) Somm. Proc., Cagliero, 289.
(5) CRISPOLTI, cit., pag. 114.

253
E allora si comprende quel di più, che il Segneri ha fatto intendere con quella parola di « ingegnosa mortificazione » (t), alla quale ri¬sponde quella di Don Bosco, quando, chiudendo il discorso sulle mortificazioni, fa pensare « quanto fosse industriosa la sua virtù nel saper approfittare delle grandi e piccole occasioni... per santificarsi ed accrescersi il merito davanti al suo Signore » (fine del Cap. XVI). Come S. Luigi, e prima dell´obbedienza e dopo di questa, s´ingegnava di trovare di che mortificarsi, così il piccolo Savio, nonostante e pur rispettando l´obbedienza del suo Direttore, era industrioso nella ri¬cerca dell´afflizione, e l´uno e l´altro godevano di riuscirvi: per l´uno era una festa, per l´altro un cammino di rose!
E non soltanto nel dolore cercato di rallegrava (abbiamo un fatto addirittura straziante, quello dei geloni tormentati), ma anche in quello che Iddio gli mandasse da sè, che non è eroico nella sua ori¬gine, ma che sopravvenendo in modi e tempi non prefissi dalla vo¬lontà, è spesso così difficile ad accettare, e diviene eroico a sua volta, se la pazienza si muta in compiacenza (z). L´allegria, autentica e vi¬vace, di quel povero malatino, fin nelle ore estreme, come la serenità e la dolcezza con che accoglieva e poi allietava gli scontri ingiuriosi e brutali di gente malcreata, sono il segno della visione amorosa ch´egli aveva del dolore. E pertanto non sentiamo il bisogno che Don Bosco ci traduca tutto codesto in grandi sentenze: qui parlano da sè e di sè i fatti stessi senza commento.
Così predisposta, la lettura dei due capitoli della Vita dedicati a questo tema ci riesce illuminata in pieno e fortemente suggestiva. Qui poi abbiamo una fortuna non comune ad altri argomenti: che i Processi non aggiungono gran che di nuovo, e quasi non fanno che ripetere ciò che leggiamo. Ciò è dovuto al fatto che le pagine della Vita derivano dal cumulo delle notizie dei coevi, comunicate a Don Bosco, e tornate (lo ricordino bene i critici) per le medesime persone a giuridiche testimonianze.
(i) Panegir., cit., p. V.
(2) CRISFOLTI, OP. Cit., 114-115.

CAPITOLO II.
La via dei patimenti.
Noi ci fermiamo principalmente sui capitoli XV-XVI, perché l´Autore vi ha voluto raccogliere i fatti che più comunemente espri¬mono la virtù della penitenza. Ma non sarebbe giusto trascurare certi fatti, ricordati prima o spiegati dappoi, che rientrano nell´am¬bito della volontà di patire. Il capo XIII, ad esempio, ci descrive la posizione, al certo incomòda, ma appositamente voluta, ch´egli te¬neva nel pregare, stando eretto, senz´appoggio nè mutamenti su quelle povere primitive panche della Cappella (i), e come, in onore della Madonna, « faceva ogni giorno qualche mortificazione » (a); e per amor di Lei, come dicemmo, conteneva i suoi sguardi, e non alzava gli occhi andando a scuola. E per farla onorare dai compagni, ad uno prestò i suoi guanti che gli riparavano le mani tormentate dai geloni, e ad un altro mise sulle spalle il suo magro mantelletto: non piccoli sacrifici d´un cuore che per Dio è sempre pronto a soffrire. E do¬vremmo parimenti rievocare tutti gli esempi, anche eroici, di cristiana
fortezza dei quali si abbellisce il disegno della sua figura morale.
A tutto questo allude il preambolo del Capo XV, intitolato: Sue
penitenze, e lo fa per poter raccogliere tutto in una espressione che dice di una continuità di spirito tutta propria della santità. Il discorso si apre con dire che il pensiero della penitenza, come indispensabile a conservarsi innocente,. era cosi vivo e operante nel Savio, che « fa¬ceva sì che la via dei patimenti per lui sembrava coperta di rose ». come fu visto poco sopra, un pensiero non dissimile nè distante da quello di S. Luigi. E l´accostamento è anche più stretto se, pensando a tutti e due i giovani santi, riflettiamo con lo Scrittore che «l´età, la sanità cagionevole, l´innocenza della vita, l´avrebbero certamente
(i) Somm., pag. 267: rif. notizie del Francesia e parole di Don Bosco, che attribuiva ciò a «spirito di penitenta ». Cfr. Ibid., Cagliero, pag. 195.
(z) Cosa divenuta comune, specialmente nei Sabati, tra i Soci della Compagnia dell´Immacolata, di cui fu ispiratore ed anima. Cfr. Somm., Cagliero, 289.

255
dispensato da ogni sorta di penitenza ». Non occorre commento, men¬tre sentiamo ora quanto sia giusto il parallelo che più sopra fu istituito per questo aspetto tra il Savio e il Gonzaga, ancorché l´Autore non vi abbia fatto espresso accenno.
.Si parla di penitenza, ed ovviamente noi v´includiamo la mortifi¬cazione. E questa comprende pure le afflizioni interne e le sopporta¬zioni dei disagi esterni e la contenutezza dei sensi, e tanti fatti in¬somma che non sono penitenziali nel senso più comune. Ora Don Bosco, riassumendo, come si diceva, tutta codesta somma di fatti (i), li separa dal suo tema. Ma con un´affermazione che getta una luce radiosa su tutta la vita, facendone sentire e vedere lo spirito: Queste penitenze in lui erano continue. Ripetiamolo: vivere cosi è da Santi.
0 o o
Il Santo Maestro si sofferma sulle « pene afflittive del corpo ». Sono quelle appunto ch´egli non vuole, secondo i principii che ab¬biamo già conosciuti per suoi, e non suoi solamente. Il giovinetto vor¬rebbe digiunare a pane ed acqua al Sabato, ma a lui viene proibito (2): vorrebbe digiunar la quaresima (citra aetatem!), e vi riesce per una settimana, ma il Direttore, saputolo, glielo proibisce: almeno lasciar la colezione, e gli è proibito. Al Besucco furono parimenti vietate tali ed altre penitenze, ma con qualche concessione (Capo XXIII). La ragione era evidente: non rovinare del tutto la già scossa salute (3).
E allora l´industriosa virtù del piccolo santo trova modo di afflig¬gersi da sé. Si rende molesto il letto con schegge e pezzi di mattone: vuoi portare una specie di cilicio (4): ma ne vien proibito.
Veramente l´obbedienza non fu completa, almeno quanto al tempo: giacché sappiamo che poi nelle vacanze, dove Don Bosco non coman¬dava più, affliggeva il suo riposo con sassi e rottami, a segno da con¬sumar le lenzuola (i), e ancora nell´ultima malattia serbava e si
(i) « Non parlo del sopportare pazientemente le ingiurie e i dispiaceri, non della mortificazione continua e compostezza di tutti i suoi sensi nel pregare, nella scuola, nello studio, nella ricreazione P. Vita, XV.
(a) La mortificazione al sabato era una delle pratiche dei giovani più buoni dell´Oratorio, probabilmente quelli della Compagnia, secondo la deposizione Ca¬gliero, pag. 289.
(3) _Praxis, cit., n. 145: anche concedendo qualche cosa, sempre « secundum christianam prudentiams.
(4) Questo facevano in parte anche altri della Compagnia. Dep. Cagliero, cit., 2.89.
(5) Sonora., cit.:. Tosco-Savio, pag. 45, e 172; Pastrone, rifer. parole della Molino, 272.

256
faceva dare i gusci di noci o nocciuole per metterseli sotto e averne pena (i).
Così credo poter collocare in questa serie di volontarie esperienze afflittive il fatto narrato da Don Bosco poco dopo la morte del gio¬vanetto: che una volta tenne per mortificazione (sie) un dito della mano destra sopra una candela accesa, per tutto il tempo che recitò l´Ave Maria: verso il termine della preghiera svenne, e fu ritirato dai compagni. A Don Bosco disse di aver voluto farlo in penitenza de´ suoi peccati! E il buon Padre ne lo sgridò, soggiungendo poi agli altri ragazzi: Non fate nulla di simile senza permesso dei superiori! (2).
L´ingegnosa mortificazione andò fino al pericolo, lasciando inol¬trare l´autunno e l´inverno senz´accrescere coperture al letto: a gen¬naio stava come d´estate. L´eroica penitenza viene scoperta da Don Bosco, andato a visitarlo perché incomodato; ed egli stava « tutto rag¬gomitolato» con addosso nient´altro che una sottile copertina. Do¬mandato del perchè ha fatto così, con pericolo di morir di freddo, dà una spiegazione che rivela tutti i perchè: « No, non morrò di freddo. Gesù nella capanna di Betlemme e quando pendeva in croce, era meno coperto di me ». Assomigliarsi a Gesù! Quando negli ultimi giorni vedrà fluire il sangue dalle braccia, avrà gli stessi sentimenti. Ecco il seme sublime e santificante del soffrire!
Noi sappiamo che la lettura di questa pagina è divenuta sett´anni dopo la causa innocente dell´eroica imprudenza che portò alla tomba il Besucco. Il forte alpigiano voleva ricopiare il Savio, e vestiva leg¬gero anche nell´inverno, e fu comandato di ripararsi: ma non si pensò a prevenire l´interpretazione troppo letterale della proibizione, ed egli non credette disobbedire imitando il gesto eroico del Savio (3). E la sua risposta ripeteva le parole del suo modello.
Con queste anime benedette ci vuole proprio la sottigliezza più acuta per aver ragione del loro bisogno di sofferenza e d´immola¬zione (4). Si conoscono le ingegnose trovate di S. Luigi, e si leggono dunque in Don Bosco le sue quasi irriuscite nel moderare i suoi gio¬vani santi. Ed egli ricorre finalmente al mezzo radicale, vietando « d´in
(i) Somm., cit., Anastasia Molino, pag. 105.
(2) Somm., dep. Cerruti, pag. 265. Riferisco alla lettera. Nella Vita non ne fa cenno, per ovvia precauzione contro il pericolo di improvvide imitazioni. Si pensi a quella del Besucco.
(3) Vita di Francesco Besucco, cit., cap. XXIII e cap. XXVII.
(4) S. Luigi morente vorrebbe disciplinarsi o che gli si desse la disciplina. Il P. Carminata spiritosamente gli fa osservare che egli è troppo debole per dar-sela bene, e che è proibito dai canoni di battere un chierico. E Luigi si con-tenta. Cfr. MESCHLER, cit., pag. 235.

2.5´j
traprendere penitenze di qualsiasi genere senza prima dimandarne espressa licenza». È pel Savio, come fu per S. Luigi (i), una pena, e soltanto l´obbedienza può valere, perché la spiritualità del giovane è giustamente costretta e porta alla santità (a).
o o o
Qui Don Bosco riferisce la santa discussione che ne sorge col di¬scepolo. Il quale concepisce lo slancio di penitenza suo proprio come nulla più che l´adempimento della penitenza imposta a tutti dalla legge cristiana: Si paenitentiam non egeritis, omnes similiter peribitis (Luc., XIII, 5). Non abbisogna certamente il mio lettore che io gli spieghi il senso di questa condizione necessaria della salvazione e del precetto che ne consegue. Sappiamo tutti che sono obbligatorie, nonché le opere penitenziali prescritte dalla Chiesa sotto pena di peccato, an¬che sovente le penitenze volontarie come unico mezzo di superar tentazioni o evitare il peccato, in circostanze individuali; è l´idea di penitenza in se stessa e la sua funzione nella Chiesa come istituzione fatta per salvare le anime (3). Il caro santino, come del resto han fatto tutti i santi (anche i santi teologi, perchè si credettero grandi pecca¬tori), estende il valore del precetto alle opere di supererogazione e di perfezione, salvo a coltivare nell´anima, insieme con l´incessante ti¬more del peccato e col dolore di esso (che sono fattori attivi di perfe¬zione) (4), l´ideale più alto dell´imitazione di Cristo e dell´unione amo¬rosa con Dio.
Così il fanciullo dice, tutto afflitto, a Don Bosco: « Povero me! io sono veramente imbrogliato. Il Salvatore dice che se non fo penitenza, non andrò in paradiso, ed a me è proibito di farne: quale sarà adunque il mio Paradiso ? ». La risposta di Don Bosco è la più ascetica e teolo¬gica ad un tempo che si possa pensare, ed anche, nel fatto, la sola con¬veniente e bastevole: « La penitenza che il Signore vuole da te è l´ubbidienza. Ubbidisci, e a te basta ». Non vi è più alto grado di virtù nel campo dello spirito, come non vi è più profonda mortifica¬zione che iI sacrificio della propria volontà. Quelli che citano come di S. Francesco di Sales la sentenza: « Assez meurt martyre qui bien se mortine» non dicono sempre che il Santo Dottore appunto per quello riporta da S. Pacomio tutto un tratto che continua: « ed è
( T ) MESCHLER, pag. 141.
(2) FABER, Progressi, cit. pag. 147. Cfr. gli altri Autori sopra citati: S. Al
fonso e Giovanni della Croce.
(31 FABER, Progressi, cit., pag. 134.
(41 FABER, Progressi, cap. XIX: pag. 201-217.
3 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte TI.

258
maggior martirio perseverare nell´obbedienza che morire tutto ad un tratto di spada » (i).
E il piccolo grande santo, persuaso sì, ma ardente d´amore e di unione, e bisognoso di concretarne Vespressione con qualche gesto di sacrificio, insiste: « Non potrebbe permettermi qualche altra peni¬tenza ? ».
Ed ecco lo stile di Don Bosco: « Sì: ti si permettono le penitenze di sopportare pazientemente le ingiurie qualora te ne venissero fatte; tollerare con rassegnazione il caldo, il freddo, il vento, la pioggia, la stanchezza, e tutti gl´incomodi di salute che a Dio piacerà di man¬darti ». È il principio alfonsiano che abbiamo ricordato: Meliores mor¬tificationes et utiliores sunt negativae. E fa ricordare quel che lo stesso Don Bosco rispose a un´ suo penitente, che voleva da lui il permesso di mortificarsi: « Oh! vedi: mezzi non mancano: il caldo, il freddo, le malattie, le cose, le persone, gli avvenimemti... Ce ne sono dei mezzi ´per vivere mortificati! ». E ai giovani diceva sovente: « Miei cari gio¬vani! non vi raccomando penitenze e discipline: ma lavoro, lavoro, lavoro!» (z).
« Questo si soffre per necessità», obbietta il Savio. Ed egli lo innalza al giusto livello spirituale: « Ciò che dovresti soffrire per ne¬cessità, offrilo a Dio, e diventa virtù e merito per l´anima tua ».
Con qualche variante esplicativa e specificante, leggiamo nella Vita del Besucco il medesimo dialogo: nella conclusione è più chiara: mente definito che « se tu aggiungi di soffrire per amor di Dio, di¬venterà vera penitenza », ma il senso propriamente non cambia. E di qui in poi le due figure si corrispondono, se non nei fatti singoli, nello stile della vita. Certamente il Savio, -c ,m´è presentato dallo Scrit¬tore nel capitolo che segue, appare più vivo ed efficacemente pene¬trativo, e in taluni fatti eroico: mentre molta parte di quel che avviene nel Besucco è rispecchiamento del Savio, finchè l´eroismo imprudente che gli costa la vita viene a mostrare dove può condurre quell´assiduo lavorio di sacrifizi, che Don Bosco propone a modello nel suo primo piccolo santo.
Io richiamo di proposito il lettore a questo confronto tra i due libri e tra le persone dei due tipi spirituali offerti dal Santo Maestro, non già, ch´è da escludere affatto, per vedervi una didascalia, prima abbozzata e poi rifinita, sull´educazione dello spirito nei giovani; sibbene per la dottrina, che così vogliamo chiamarla, della spiritualità
(i) Entret. Spir., n. XI. — Cfr. anche TANQUEREY, 1068-1071. Non parliamo . qui dell´obbedienza religiosa professata per voto. (2) Mem. Biogr. IV, pag. 216.

%-m-, 259
insegnata da Don Bosco e qui esemplata nei fatti, piuttostochè ragio¬nata con discorsi.
Sappiamo bene, dalle Memorie Biografiche, che quanto a sè, per¬sonalmente, in fatto di mortificazione, ed anzi di espressa penitenza, il Santo che fu Don Bosco non risparmiò a se stesso quasi nessuna forma di austerità e asprezze, comprese le discipline e il cilizio, salvo quando gli fossero d´impedimento al lavoro della sua propria voca¬zione. I capitoli XVIII e XIX del volume Quarto delle Memorie ci mettono sott´occhio non soltanto quello spirito di penitenza che l´ac¬compagnò sempre nel suo tenor, di vita e nei particolari quotidiani del vivere: spirito di penitenza divenuta parola sua, tanto da inserirla nelle biografie di giovinetti santi; bensì ancora ci dicono di asprezze e penitenze afflittive nascoste, delle quali si scoperse il fatto per casi fortuiti, ma che furono frequentemente praticate a scopo d´impetra-zione, nelle ore più difficili delle tribolazioni e opposizioni che l´osta-colavano .nel cammino del suo apostolato, e così bisogna intendere certe sue misteriose maniere di esprimersi quando parla di lotte e di sconfitte del diavolo. Giustamente l´Orestano riconosce che « la bio¬grafia di Don Bosco costituisce tutto un vasto capitolo di teologia mistica, nel significato che a questo termine hanno dato Padri e Dot¬tori della Chiesa ». E coi gradi della perfezione tutti da lui conosciuti a prova, egli vede che il Santo raggiunse quello stato di elevazione in cui entrano in azione i doni superiori dello Spirito Santo, con le ope¬razioni straordinarie preter e supernaturali (i). Orbene, in tali sfere la vita di penitenza percorre tutti i gradi e tutte le forme.
Ma il regime della vita da Lui dimostrato in sè (nè sempre avver¬tito) e insegnato agli altri, anzi esclusivamente ammesso per i suoi
seguaci, era quell´altro, del quale abbiamo già prima spiegato Io spi
rito e le forme, e che diventò lo stile spirituale della tradizione sale¬siana di mortificazione e di austerità: la vita, così come il buon Dio ce
la offre per mezzo delle cause seconde, vestita i cristiana austerità e
presa come strumento di penitenza elevandola ad atto di amor di Dio. Lasciamo, per brevità, tutte le considerazioni e i paralleli con Ia modernità della concezione spirituale, quale ci si offre sublimata nella
Santa Teresa di Lisieux, e quale venne ripetutamente commentata nelle parole dei Pontefici più prossimi a noi, Benedetto XV e Pio XI: quello per la Santa del sorriso tra i dolori, questo per Don Bosco e per Savio Domenico. Il pensiero di tale correlazione tornerà tra poco, a conclusione di questo tema.
(i) F. ORESTANO, Acc. d´Italia: Il Santo Don Bosco, discorso di Cagliari, 1934: Pag• 4-5.

26o
o o o
Dopo tali affermazioni e insegnamenti, lo scrittore Maestro può venire a descrivere il sistema di mortificazione seguito dai suoi alunni. Parlo per un momento in plurale, perché ciò che nel Savio viene a formare il nuovo capitolo XVI è nella Vita del Besucco esposto in continuazione. Siamo adunque, come il titolo dice, alla Mortificazione di tutti i sensi esterni. E l´Autore s´introduce con quella eapitalissima definizione, che la compostezza esteriore del santo giovanetto non era cosa di natura, ma frutto di un grande sforzo umano coadiuvato dalla grazia di Dio. Di questa sentenza noi ci siam valsi per la com¬prensione di tutto l´apparato di virtù esterne che brillarono nel ca¬rattere del Savio: ne abbiamo anzi messo in luce il valore pratico, ricordandone le attuazioni nei fatti singoli e nelle abitudini. Qui, punto per punto, ci accompagnano le testimonianze dei Processi, quali leg¬giamo sotto il titolo VIII, De heroica charitate in Deum, e. principal¬mente nel tit. XII, De heroica temperantia, e, per quanche spunto, in qualche altra parte.
Rimetto il lettore ,a quanto già fu citato altrove per l´eroico do¬minio degli occhi in sè e la cura ch´egli ebbe che altri non avesse nocumento dalla vista di cose illecite (i): parimenti ricordo i commenti fatti intorno al dominio di sé, temperanza nel parlare, equilibrio di carattere, freno di sentimenti, fino all´eroico dramma di quelle bru¬talità e ingiurie, da lui perdonate con parole scultorie (2). È tutto un complesso di azioni e di sentimenti che, direbbe altrove Don Bosco, « segna un grado di perfezione che raramente si osserva nelle persone in virtù consumata » (3). Qui sembra richiesto propriamente dal tema il quadro delle altre forme di mortificazione, quelle, dice l´Autore, « degli altri sensi del corpo ». Sono, in causa dello stesso tenore umile e povero della vita vissuta, episodi e pratiche umili e persino umi¬lianti: dove il senso cristiano sa dare quel valore che supera, contra-standovi, i pensamenti e gli apprezzamenti umani.
Vi è anzitutto la sopportazione del ´freddo. La Casa di Don Bosco, la sua camera stessa, non ha stufe, e bisogna andare a scuola fuori di casa, tra il gelo e le nebbie (4). Il Savio è, in una- parola, eroicamente forte, egli così gracile e cagionevole, contro la stagione., Ci fa pensare
(i) Cfr. sopra, Parte Prima, lib. IV, cap. V.
(2) Ibid., cap. IV.
(31 Vita di Francesco Besucco, cap. XXII. Il Cagliero dice senz´altro che tutto dimostrava nel Savio «un emulo delle penitenze dei Santi provetti s. Cfr.
Somm., cit., pag. 193.
(4) Somm. Proc., dep. Rua, pag. 282. Docum. Bonetti, n. 8, gag. 466.

...ai., 261
agli eroismi della Santa di Lisieux, che almeno si fece capire con quella parola: « freddo... quasi da morirne » (i). Del Savio si può dire che, proibito di far altre penitenze, lo cercava. D´inverno stava leggermente vestito (2), e se teneva le braccia conserte e riparava le mani sotto la giubba, ciò era più per sua abitudine, che non pei- difendere gli stra¬zianti geloni (3). Infatti proprio sotto il Natale del ´56, che fu anno rigidissimo, mentre il compagno Bonetti, che ce lo ricorda, quasi piangeva pel dolore, il piccolo Savio; con la sua tosse ostinata (4), andava a passo tranquillo come a un passeggio, senz´affrettarsi come tutti fanno. « Chiunque l´avesse veduto, facilmente giudicava che lo facesse a bella posta per patire il freddo per amore di Gesù Bambino ». «Aspettatemi, che andiamo insieme » disse ai compagni che lo stavano oltrepassando: ma essi lo lasciarono venire a scuola, così, da solo (5).
Tutti seppero dei geloni, che lo afflissero fino allo strazio, e tutti attestarono che non se ne lamentò mai, che anzi aveva piacere di sof¬frirne « dicendo che ne veniva vantaggio alla salute! » (6).
Vi fu in questa sofferenza l´atto eroico. È il teste Mons. Piano, che in uno scritto del 186o (che ancora possediamo) lo faceva noto a Don Bosco, il quale senz´altro lo inserì, con le proprie parole del gio¬vane condiscepolo e amico, nella seconda edizione del suo libro, al nuovo capo XVI: « Più volte il vidi nel più rigido inverno squar¬ciarsi la pelle ed anche la carne con aghi e punte di penna, affinchè tali lacerazioni, convertendosi in. piaghe, lo rendessero più simile al Divino Maestro » (7). E Don Bosco lo seppe soltanto allora!
o o o
Il Santo Maestro conosceva invece quello che distingue la vera pietà e la vera mortificazione, con dare uno stile alla vita quotidiana. È un contrassegno, notato da tutti i maestri di spirito, dell´autentico spirito di penitenza, e quasi un dovere primario della vita spirituale, quello dell´adattamento e della sopportazione dei minori o maggiori
PETITOT, cit., pag. 36.
(a) Proc. Somm., dep. Conti, z66.
(3) Somm. Proc., Anfossi, z80.
(4) Somm. cit., Rua, pag. 205, che riporta come detto dal Bonetti.
(5) Somm. cit., Docum. 8: Bonetti, pag. 466.
(6) Somm., cit.: Dep. Rua, pag. 206, che ricorda parole del Sonetti; Conti, 266; Cerruti, 283; Anfossi; z8o, dove sono addotte le parole citate; Piano, 285¬293. — E altri.
(7) Somm. cit., Docum. n. 4, pag. 459. — Il Piano nei due Processi (cfr. pag. 285-293) ricorda la cosa, e si gloria anzi che le sue parole siano passate te¬stualmente nella Vita.

262
disagi e spiacevolezze quotidiane e continue (i). In ciò rifulge di splendore tutto proprio la santità della Teresa di Lisieux, con la quale, episodicamente, molte volte concorda il Savio (2). Don Bosco, at¬tento e sagace osservatore, come educatore ch´egli era per istinto e maestro di anime per vocazione, non si lascia sfuggire questi segni. In contrasto con la difficile contentatura delle comunità (egli la rileva, anche a scopo educativo), la condotta di un Savio, che cercava la mortificazione in ogni cosa, doveva naturalmente spiccare, come « op¬posta a costoro ». Si noti che tutti i testi coevi ebbero cura di insistere su codesto modo di condursi, e se non s´indugiarono sui confronti, non pochi fecero sentire (che n´avevano buona memoria!) quanto la vita dell´Oratorio a quei tempi fosse dura, disagiata, sprovveduta quasi di tutto. Lasciamo stare il perché, quando ricordiamo Don Bosco che in quegli anni limosinava il pane e i vestimenti pei suoi figliuoli (3).
Sembra non accorgersi il Savio del caldo nell´estate (chi non ri¬corda le gocce di sudore non deterse della Teresa di Lisieux?) e del freddo d´inverno (l´abbiam già detto.. ma qui è pel confronto con le dita irrigidite della Santa delle piccole vie): neppur del tempo cattivo si curava, che con quel portico mezzo finito e un cortile, via, non ci¬vilizzato, doveva essere una bella molestia. Savio era sempre con¬tento (4).
La preziosa tavola (oh! potessi descriverla nel suo squallore!) era per il santo giovinetto, possiamo dirlo, il giardino delle mortificazioni. Già tutto andava bene per lui, proprio come per la Santa di Lisieux, e il salesiano «contentarsi degli apprestamenti di tavola » aveva in lui un esempio imitato certamente, ma non forse superato (5). Che anzi « con un´arte ammirabile trovava ivi un mezzo onde mortificarsi » (Cap. XVI). Quando una portata (diciamole cosi, per convenzione) era censurata perché mal riuscita di cottura o di condimento, egli n´era più contento che mai, « dicendo essere quello appunto il suo gusto » (ivi).
Piccoli fatti d´ogni giorno, senz´altro eroismo che quello della fe
(i) S. ALFONSO, Praxis, cit., 146; FABER, Progressi, cap. XI, cit.; TaNquEREv, n. cit.
(2) PETITOT, P. I., § 4, Pag• 33-38. — Per la Teresina tutto era buono, e si servivano a lei i piatti che Ie altre consorelle non avrebbero voluto!
(3) Cfr. Mem. Biogr., V, 261: proprio nel 1855, un miracolo per pagare il panettiere. Così, V, 131-132: M. Margherita e Don Bosco aggiustano i vestiti;
V, 676: il povero vestito di Don Bosco.
(4) È affermazione comune, e non cito i singoli testi.
(5) Alla pari con lui poteva stare il Rua, che, anche nella vita susseguente, e più da superiore, non cambiò mai. — P superfluo ripetere i richiami biografici di S. Francesco di Sales e di S. Teresa del Bambino Gesù. Sono noti a tutti.

263
deltà e perseveranza nelle piccole cose (I): e Don Bosco se ne vale per innestarvi un´altra forma, e questa forte davvero, di eroismo. Perché non l´ha messa nella prima edizione? Un fatto così generalmente noto ai suoi giovani non poteva sfuggirgli. Ma egli aspettò il tempo oppor¬tuno che gli desse il coraggio di raccontarlo. Perché è umiliante, è ripugnante, come l´altro dell´inciprignire i geloni fa ribrezzo: e solo può dirsi quando si è sicuri che sarà preso in buona parte, perché viene da un Santo (2). Ora nel 186o-61 (al tempo della seconda-terza edizione) e cioè a tre e più anni dalla fine del Savio, la fama sancti¬tatis era ormai tanto stabilita in casa e fuori, -che si ricorreva per grazie all´intercessione del piccolo Santo, e Don Bosco ne riferisce una ancor nella I edizione, al Capo XXVII. L´edizione seguente già è obbligata a riferirne parecchie in appendice. Lo stesso Don Bosco incorag-giava i giovani a ricorrere alle preghiere di Lui, e ciò pochi mesi dopo la morte (3).
o o o
Il Savio adunque, già temperantissimo per virtù, e per tale sti¬mato da tutti (4), che si priva del poco cibo e dell´unica porzione di pietanza non abbondante per rallegrar qualcuno (5), coltivando il rispetto della Provvidenza anche pei piccoli frustali dimenticati (6)
o trascurati, si vale di quella santa ragione e delle ingegnose spiega¬zioni che la Vita riferisce, per innestarvi una mortificazione, che, nei particolari, oltrepassa le più evangeliche intenzioni. Non solo raccoglie e preferisce i tozzi al pane intero, ma inosservato, o non credendolo (7), li raccatta da terra, di sotto alle tavole, così come sono sul lordo pavi¬mento e scalpicciati; e al più vi dà una botta per scuoterne la più
(i) FABER, Progressi, cit., pag. 251. E tutto il lavoro della Tesesa di Lisieux si esercita intorno alle « piccole cose a. Cfr. PETITOT, loc. cit., § 5.
(2) Cfr. Somm. tit. XX; De fama sanctitatis in vita et post mortem. Ibid.,
tit. XXI, De miracvlis post mortem. Ibid., DecIarationes, n. I.: Angelo Savio, 1858.
(3) Somin., pag. 424-425: Relaz. Vaschetti, che riporta un discorso di Don Bosco un mese prima degli esami 1857. Cfr. pure le deposizioni ai tit. XX-XXI.
(4) Somm. Pro c., tit. XII, De temperantía. Tutti i testi.
(5) Somm., cit., Cerruti, 53.
(6) Vita, cap. XVI. Somm., cit., Anfossi, 269: Ia ragione del rispetto alla Provvidenza (che appare nella Vita) è data da lui. Cfr. ivi dep. Melica, 264; Cerruti, 265; Rua, 27o. -- I3 Francesia, ivi, 264, lo dice fondatore della Compa¬gnia dei tocchi, una specie d´intesa tra salesiani di preferire i tozzi avanzati al pane fresco od intero. Certamente i Salesiani primitivi, di cui conobbi buon numero, compresi i compagni superstiti del Savio, praticavano quella legge, senza troppi scrupoli per l´igiene.
(7) Somm., cit., Anfossi, 269.

264
grossa sporcatura, o vi soffia via la terra; spazza sul legno della ta¬vola (tovaglie non c´erano!) e raccoglie anche le briciole: e quello è il pane che preferisce.- Quando gli altri se ne sono andati via, egli si sofferma, e con quella sorta di pane raccatta dalle scodelle abbando¬nate i resti delle minestre, e « i pezzettini di cado, gli avanzi, gettati
a terra sull´ammattonato umido, sudici, buttati via per disprezzo da qualcuno, che ripuliva e mangiava, rinunziando ad altro comparia
fico » (t).
Disgustosi particolari, lo so, caro lettore, e che con la magnilo
quenza dei panegirici si confanno poco; ma che vogliono essere co¬nosciuti, come Don Bosco li ha messi nella Vita del suo piccolo Do¬menico. Non sono avvilimenti da degenerato, come non sono frenesie da fachiro gli strazi dei geloni: sono eroismi d´una mortificazione cri-. stiana, che non potendo seguire l´enfasi del martirio (a), si martirizza nei sensi e nei sentimenti, per imitare tutto ciò che soffrì di più umi¬liante e disgustoso il Modello Divino. I compagni lo sapevano, e non l´hanno disprezzato per questo: solo non si san sentiti d´imitarlo.
o 0 0
Questi- eroismi il santo Maestro li offre come saggi del tenore di mortificazione dominante nel Savio: mortificazione assidua, inces¬sante, nelle piccole cose e circostanze della sua limitatissima vita. C´è un´intenzione, un principio (diremmo una tesi), in codesta maniera di Don Bosco. Ed è il principio che fa grande la Santa di Lisieux, che ha formulata la santità di piccolezza. In questa, la mortificazione, come in ogni concezione ortodossa di spiritualità, ha una parte pre¬cipua e, in certo senso, essenziale; ma, nel concetto della Santa come nell´idea e negli insegnamenti di Don Bosco, essa vuol essere morti¬ficazione della sensibilità in tutte le circostanze: una mortificazione assidua di tutti gl´istanti e di tutte le piccole cose (3). « Saper mortifi¬carsi nelle minime cose, fino in quelle infinitamente piccole, è più umiliante e non meno crocifiggente di quello esercitato nella ricerca delle grandi pene volontarie » (4). Ed è la splendida dottrina del Fa¬ber (5) sul valore delle piccole cose nelle vie della perfezione, che in
(i) somme cit., Cerruti, 53: ( L´ho visto io stesso... » dice. Cfr. anche dep. Rua, pag. 270, donde ho tratto la prima descrizione. Così Cerruti, 271.
(z) Fu il sentimento degli ultimi anni della Santa di Lisieux: « La follia del martirio », PETITOT, cit., pag. 178.
(3) PETITOT, cit., pag. 18o e pag. 32.
(4) Ióid., pag. 25.
(5) FABER, Progressi, cit., cap. XVI, pag. 551-253.

265
volge in una sostanziosa comprensione tutto il valore dell´umiliazione nelle cose che non si curano dai meno spirituali: dove noi portiamo invisibilmente in noi la mortificazione di Cristo, e « facciamo (si noti la coincidenza col fatto nostro) tanta varietà di cose triviali puramente per Iddio ».
E le parole più sopra riferite di Don Bosco a quel suo penitente, come quelle dette al suo piccolo Santo, concordano pienamente, come vi concorda il suo personale tenor di vita (t) mortificato in tutto, spe¬cialmente in cose minime e in minuti eroismi, che, come per la Santa di Lisieux, erano men conosciuti, perché velati dalla continua serenità e letizia (2). Così è del piccolo nostro santino. Ha dei gesti eroici, che paiono fatti strani, più che atti di virtù, e si esercitano in cose dove, ecco, non si è soliti cercare l´eroismo e quasi neppure la virtù. Ed ha un sistema (bisogna pure adoperare questo termine) di piccole, con¬tinue e assidue azioni mortificanti, che solo l´occhio d´un Direttore santo o di emuli virtuosi riesce a discernere.
Per questo, dopo i due eroismi che abbiamo spiegato, e proprio dopo il più umiliante, vedi collocato un saggio di umiliazione « in cose triviali », nel prestare che fa i servizi più umili ai compagni (3), e di mortificazione di sensi nel « prestare i più bassi uffici -» agli in¬fermi.
Ne ho parlato per il fatto dell´umiltà: qui torna il pensiero che eleva il tutto sopra la temuta sfera dei sentimenti di bassa condizione, e li porta in quella della gloria di Dio, al quale tutto si offre per amore (4).
Colla medesima intenzione il santo Scrittore s´intrattiene ad enu¬merare i tanti piccoli, e certamente non saputi da tutti, casi, in cui le piccole cose danno occasione al giovanetto santo di contrastare al senso: mangiar cose contrarie al suo gusto (5), evitare quelle che gli piacerebbero (6); domare gli sguardi anche sulle cose indifferenti (7); trattenersi tra odori ingrati (8); rinnegare la sua volontà (o); soppor
(i) Dovrei dire anche di Don Rua: ma qui e altrove ne taccio, per non disturbare il Processo in causa di Beatificazione. (a) PETITOT, cit., pag. 177.
(3) Sono i servizi di casa, comuni a tutti, e quelli verso i compagni, di cui si è discorso altrove per il buon cuore e l´umiltà. Cfr. Vita, cap. XVI.
(4) PETrrcyr, cit., pag. 41. Vita, cap. XV, parole di Don Bosco.
(5) Fumi:Yr, cit., pag. 23: dal Processo della Santa di Lisieux.
(6) Ibid., pag. 183: il sidro (le cidre doux), unica bevanda gradevole, rinun¬ciata a beneficio delle consorelle.
(7) Cfr. sopra, cap. XVI, init.
(8) MESCHLER, cit., pag. 233: S. Luigi tra gli appestati.
(9) Cfr. Soinna. cit., tit. VI: De Fide e passim.,

266
tare con perfetta rassegnazione ciò che portava afflizione al corpo o allo spirito (i).
· E l´enumerazione potrebbe continuare se citassimo tanti spunti dei Processi, che l´Autore forse avrebb´egli medesimo ricordati, se non gli fosse bastato quanto aveva detto «a dimostrare quanto in Do¬menico fosse grande lo spirito di penitenza, di carità, di mortificazione in tutti i sensi della persona, e nel tempo stesso quanto fosse indu¬striosa la sua virtù nel saper approfittare delle grandi e piccole occa¬sioni, anzi delle stesse cose indifferenti, per santificarsi ed accrescersi il merito davanti al Signore ».
Vediamo tra queste parole che Don Bosco ha la sensazione d´una santità. Ed è questa sensazione che il grande amico del Savio, il Ca¬gliero, esprimeva in una scultoria definizione al Processo: « Tutto questo (una serie di fatti ed esempi di fortezza e di mortificazione eroica) unito insieme alle piccole e continue astinenze nel mangiare e nel bere, nel soffrire il freddo senza pure accennarlo ai compagni, mostrava che il piccolo DomenicO non era solo un piccolo penitente, ma emulo delle penitenze dei santi provetti » (2).
Quella industriosa virtù, ch´è poi l´ingegnosa mortificazione di San Luigi,- e che fa dell´uno e dell´altro un martire incognito di se stesso (a), ci fa collocare nella sua giusta luce e posizione la sentenza di Don Bosco, che vale da sè sola un´intera santità, ed è per Lui, Maestro, e per la santità del Savio, come per l´idea della nostra spiritualità, do¬cumentaria ed essenziale; e cioè che codesta somma di minute mor¬tificazioni sono atti di virtù che da Domenico esercitavansi ogni giorno e possiamo anche dire ogni momento di sua vita (4).
Io non mi trattengo a commentarla, giacchè tutto il precedente discorso l´ha preparata_ Mi contento di metterla accanto alla defini¬zione data della Teresa di Lisieux, giovinetta: « la sua mortificazione era di tutti gl´istanti e nelle più piccole cose » (5). E poi elevarla al concetto che la Santa ebbe della vita vissuta in intima unione con Gesù (e qui son sue parole): Gettare a Gesù i fiori dei piccoli sacrifici (6).
(i) FABER, Progressi, cit., I48 TANQTJEREY, eh., n. 1091.
(2) Somm. cit, tit. VIII De Charitate in Deum: dep. Cagliero, pag. 193. Dalla medesima deposizione viene l´altra capitale sentenza sul senso d´amor di Dio che regge Io spirito del Savio: cit. più sopra.
(3) n Luigi fu martire incognito e si fece anche martire da se stesso h disse S. M. Maddalena de´ Pazzi nella sua estasi del 4 aprile 1600. — La parolà e la fonte sono ricordate dal SEGNERI, Paneg., cit., punto VII.
() Cfr. anche, sopra, pag. 255: e queste penitenze in lui erano continue e•
(5) PF.TITOT, cit., pag. 32.
(6) Storia d´un´anima, capo XII.

CAPITOLO I
L´anima con Dio.
« Lo spirito di fede e di unione con Dio era in lui abituale, sicché la sua vita era tutta una vita di fede viva, certa, e indubbia nel suo cuore semplice e tutto di Dio. Tutto ciò che faceva era accompa¬gnato da gran fede e sentimenti divini e soprannaturali, che lo im¬pulsavano e animavano con meraviglia di noi suoi compagni, maestri e assistenti, che godevamo della sua conversazione. NON VIVEVA CHE DI DIO, coN DIO, E PER DIO» (I). «E siamo testimoni, io e i miei compagni d´allora (seguono i nomi), sopra quanto scrisse Don Bosco: « Fra i doni di cui Dio lo arricchì era eminente quello del fervore nella preghiera. Il suo spirito era così abituato a conversare con Dio, che in qualsiasi luogo, anche in mezzo ai più clamorosi trambusti, raccoglieva i suoi pensieri, e con gli affetti sollevava il suo cuore a Dio » (a). Questo profilo spirituale è disegnato con le parole dette dal Card. Cagliero il 31 luglio 1916 al Processo Apostolico. Esse ci intro¬ducono nel tema più squisito della spiritualità e nel mondo della san¬tità in cui sí colloca: può dirsi che ci fissano incisivamente le linee e ci danno il tono delle nostre considerazioni.
Finora abbiamo veduto nella figura del Santo principalmente l´uo¬mo, e, come s´è già detto, fu, non poche volte, quasi sempre, difficile vedervi l´umano soltanto: ora abbiamo a vedere il Santo nell´Uomo, elevato alla sfera del contatto con. Dio. Le parole che abbiam riferite (e non sono d´un qualunque!) fanno appunto pensare che nel santo gio¬vanetto si avvera quel sesto elemento della santità, che il Faber giu¬stamente afferma come superiore alle più oneste aspirazioni d´un comune buon cristiano, ed è lo stato soprannaturale della preghiera (3). In quell´anima c´è Dio che lavora, e l´anima vive di Dio, con Dio, per Dio : e l´uomo, Ia persona, non sono obliterati, come trasumanati in
(i) somm., Cagliero, 129.
(2) Somm., Cagliero, 1gs. — Vita, cap. XIII, ira.
(3) FABER, Tutto per Gesù, pag. 344.

270
una trascendenza impalpabile, ma sono elevati, in tutto l´essere loro, e cioè con la consapevolezza e la volontà, ad una vita superiore, ch´è la santità dell´uomo.
Uno studio di questo genere potrebbe trasportarci nei campi di chissà quale ascetica e mistica. Non abbiam bisogno di tanto: la mi-gliore e più edificante delle ascetiche è la vita reale dei Santi, e la mistica, non indispensabile, del resto, alla santità (I), si afferma negli atteggiamenti e nei moti della vita vissuta da quello spirito. È quel-1´ estasi della vita >>, l´estasi perpetua dell´agire e operare in Dio e per Dio, che S. Francesco di Sales, nel celebre passo del Teotimo, premette come condizione inderogabile ad ogni altra manifestazione mistica, osservando che sono molti i Santi che non ebbero altro pri¬vilegio e dono d´orazione, se non la divozione e il fervore, ma non ve n´ha alcuno che non abbia avuto « 1´ extase et ravissement de la vie et de ropération, surmontant soy mesme et ses inclinations natur 1¬les >> (2).
E neppure può pensarsi l´anima, o la vita di essa, come costretta a traversare tanti compartimenti di atmosfere, che non si passa ad un altro senz´attemprarsi nel precedente (3): quando lavora di suo il buon Dio, tutta quella quadratura vale quanto può e quanto Egli vuole. La santità non si schematizza: ed ha ben ragione il mio solito Maestro a protestare contro l´effetto delle letture trattatistiche (i), mentre il passaggio dall´uno all´altro stadio di preghiere è un segreto dell´ami¬cizia che Dio ha co´ suoi Santi, e « i differenti stati di preghiera pas¬sano così insensibilmente l´uno nell´altro, che appena possono essere definitamente e distintamente riconosciuti, e sono considerati sepa¬ratamente soltanto per la convenienza della teologia mistica » (5).
II nostro compito è perciò stesso men che agevole, sia per la so¬stanza, dove tra i dati di fatto emerge qualche cosa di non empirico, sia nella distribuzione, dove si corre il rischio, già deprecato, di allo¬gare quei dati in compartimenti aecessorii ed esteriori, che fan di¬menticare l´unità della vita che li anima. A dir vero, l´unità psicologica di quella vita appare, se stiamo agli scritti, meglio nella Vita del Be-succo, dove lo svolgersi del senso d´amar di Dio è messo a suo luogo
(i) FABER, Creatore e Creatura, pag. 349: n. I, dove si reca l´esempio di
San Vincenzo de´ Paoli. •
(2) Teotimo, lib. VII, cap. VII. Op. orna., V. 27-28. -- Altri legge: «ses opératìons naturelles e. — Cfr. anche FABER, op. cit., pag. 349.
(3) Un po´ come nelle campane pneumatiche, nelle miniere e nei sottoma¬rini, ecc.
(4) FABER, SS. SaCr., I SI ^182,
(5) Id., op. cit., pag• 332.

271
in evidenza, che non in quella del Savio, nella quale il disegno pra¬tico, e cioè la materia esemplare dei fatti, nasconde e involge pro¬fondità e stati spirituali, che solo qualche volta trovano in espressioni comprensive quella luce che deve riflettersi sul tutto. Don Bosco ha offerto i fatti di un fanciullo santo, senza indugiarsi a darne ragione: per l´edificazione ciò era più che bastevole ed anzi affascinante, come lo prova la simpatia universale pel suo soggetto e pel suo libro; ma per chi voglia andar più a fondo, e vedervi quel che noi, per assunto, dobbiamo leggervi, la difficoltà della costruzione non è poca.
O o o
Ma il fondamento, sicuro e accertato anche da altre fonti, non manca, e l´unità spirituale (o psicologica) si travede nella serie come nell´indole stessa dei fatti. E allora ci si vede vivere l´anima con Dio, e una vita ch´è tutta in Dio e per Dio. In questo so di dar ragione a Jules Segond, classico studioso della psicologia della preghiera, che, pure in un senso più sottile e strettamente scientifico, viene a dirci che « les ouvrages d´édification sant une source documentaire pour le psychologue: il y trouve une réalisation des valeurs de la prière, une analyse de fait de la génèse de l´esprit de prière » (i). Noi non ab¬biamo nè assunti scientifici, nè, tanto meno, propositi semplicemente umani: ma, per quel tanto di ragionato che abbiamo ad offrire pel
nostro studio, vale, nella giusta misura, quella sentenza, e vi ci atte¬niamo.
Il nostro tema muove pertanto dai capitoli XIII-XIV della Vita, con ovvii riferimenti alle altre parti del libro (2), ispirandoci alla fondamentale definizione dell´amico Cardinale; ed abbraccia ne´ suo campo vastissimo tutto ciò che, in una parola, può chiamarsi il feno¬meno della preghiera, o, più religiosamente, la vita di preghiera: quella che Don Bosco suoi chiamare spirito di preghiera, divozione, e più generalmente e profondamente, pietà. Un campo, dico, vastissimo,
(i) JUT FS SEGOND, La Prière: Essai de psychologie réligieuse. Paris, Alcan, igrt. — Il Segond conosce perfettamente tutti gli scrittori mistici e ascetici cristiani, soprattutto S. Teresa, Giovanni della Croce, Francesco di Sales, Faber, nonchè S. Paolo, Cassiano, S. Agostino, ecc. Non certo si può aderire ad ogni pagina, benchè l´A. sia animato delle più nobili intenzioni, e, in fondo, riesca ad una prova della verità cristiana. Cito volentieri quest´opera fondamentale, ma ho voluto esplorare buon numero degli autori aventi riferimento al tema: purtroppo sono inservibili, perchè o materialisti, o agnostici o acattolici; e simili.
(z) P. es. cap. XVII; cap. XVIII; cap. XIX (l´amicizia col Massaglia); cap. XX (estasi e carismi).

272
perchè nel fatto della santità, una vita quale l´ha definita il Cagliero, che è tutta in Dio e- con Dio, se l´anima sia, com´è ealmente nel Savio, consapevole, vorrebbe essere veduta tutta quanta in questa luce, giacché questa è la santità. Ma, come nelle altre nostre precedenti ri¬flessioni non abbiamo, spero, mai trascurato di vedervi quel lume, così ora ci è consentito di attenerci specialmente al fatto proprio (altri direbbe fenomeno) della preghiera: sia poi orazione o preghiera for¬male o vita d´unione, non fa divario. E consideriamo l´anima del Savio con Dio, ossia la preghiera in ogni suo aspetto; e l´orientamento, le forme della sua vita esterna di preghiera, e la pietà interiore, che s´in¬nalza nello spirito eucaristico fino al sublime.
Sono tre aspetti, distinti solo per ragioni d´ordine: non per, come s´è detto più sopra, separarli. E bisogna vedervi non l´anima sola del piccolo Santo, ma la presenza morale e indicatrice di Don Bosco: l´educazione del santo alla vita di pietà. Il Maestro scopre nell´anima del suo alunno lo stato d´animo del Santo, e lo ravviva con l´esempio e la parola, ma poi lo indirizza versò forme di pietà che sono proprie di lui Maestro, e trovano nel discepolo la preparazione ancora inde¬finita, ma presto divenuta´ attuazione vivente della pietà, che ascende a sfere più alte, tracciate dalla mano di Dio.
o o 0
Quella che si usa chiamare vita interiore si esplica nonchè (come dev´essere, se realmente esiste) in tutto l´insieme della vita, partico¬larmente, anzi (ma non vi credo troppo) principalmente nel fatto della pietà e della preghiera: in quanto la vita interiore, ch´è permanente ed attiva coscienza dei nostri rapporti spirituali, trova in esse le sue espres¬sioni formali, e da queste si risale allo spirito che le informa.
Per questo aspetto, e lo notiamo subito, il Savio non presenta i sintomi dell´anima novizia, dell´anima bambina o convertita di fre¬sco, che non può ancor sciogliere l´alto inesprimibile cantico riser¬bato alle anime progredite e già formate da lungo tirocinio di lavoro interno (i): esso si presenta (l´abbiam pur detto) subito coi fatti della vita formata e adulta, quasi familiare nella conoscenza che ha con Dio. Non come il Magone, ch´è da sgrommare della ganga ignara e grossolana: non come il Besucco, avviato già in ottima scuola, ma bi¬sognoso di forma: nel Savio i gradi sono voli nell´aria di Dio. Non dico di mio: S. Teresa (quella di Avila) ricorda quelle due novizie » di poca età», che, l´una in tre giorni, l´altra in tre mesi, si mostrarono
(i) TANQUEREY, op. cit., 1399, cit. S. Bernardo.

L-4-, 273
ricche di beni così grandi, che solo essa poteva ritenere credibili. Sono anime privilegiate, che, condotte da Dio, fanno progressi che paiono
sproporzionati alla loro capacità (i).
Quei che scrissero di queste materie, anche Santi, anche secondo
le proprie esperienze, non ebbero mai occasione di considerare (né forse previdero) il fatto di un santo ancor fanciullo. La direzione in¬terna (ch´è tuttavia in stretta relazione con l´esterna) condotta da Don Bosco nell´anima del caro santino sorpassa per questo il semplice tema pedagogico del suo sistema educativo, ed appartiene ai segreti, che poi si rivelano, ed egli stesso, il Maestro, afferma essere stati la guida e il sostegno del Savio verso la perfezione (2), segreti d´intima personale direzione d´uno spirito eccezionale (3). Di tali impreviste ascensioni Don Bosco stesso stupiva, e l´accompagnava ammirando. Tante cose non le disse nel libro, perché non poteva dirle senz´apparire come un canonizzatone arbitrario; ed anche perchè, quando scrisse, pensava all´edificazione pratica dei giovani quali egli li conosceva, e, d´altra parte, gli spunti o le note di ascetica e mistica non sarebbero state comprese o potevano imbattersi in qualche diffidenza.
Non però che tra l´indole dei fatti e le sue poche sentenze non trasparisca il suo pensiero. Il quale era non altro da quello che, tanti anni dopo, espresse il Cagliero con le parole da noi ricordate, e forse apprese da lui nell´intima lunga consuetudine. Giacché quei pochi primissimi che, nel fatto, furono in sua mano i costruttori della sua Istituzione, non parlarono mai se non le parole che avevano da lui imparate. Bisogna averli conosciuti per esserne certi. E il Grande amico del Savio non avrebbe parlato così se, chissà quante volte, non l´avesse sentito dire da Don Bosco. Non adduco altri, Don Rua prin¬cipalmente; e invece mi giova far osservare che purtroppo, nella mag¬gior parte, le parole dei testi coevi rispecchiano le impressioni´della
- loro giovinezza: fedeli, perfino penetranti, ma non più che esteriori (4). Ma sono preziose, già come complemento e conferma di quel che dice la Vita, e poi perchè sono come la pronunzia segnata delle parole, che sono i fatti della vita.
(i) TANQUEREY, cit., n. 1408. Di qui la citazione da S. Teresa: Concetti sul¬l´Amar di Dio, cap. VI.
(2) Vita, cap. XXVII. Cfr. anche la citaz. della sentenza di Don Bosco: , Il segreto... fu l´obbedienza al suo confessore n. Cfr. sopra, lib. II, cap. II, pag. 84..
(3) Sappiamo già che il tormento della Santa di Lisieux fu di non aver tro-vato Un direttore che volesse capirla, uscendo dalle formole consuetudinarie. Cfr. TANQUEREY, op. cit.,- n. 1411, circa la materialità di certi direttori formalisti.
(4) Non tutti convissero così a lungo con Don Bosco o non così intimamente come quei due grandi collaboratori e qua´che altro rimasto salesiano.
4 — CAVIGLIA, Dan Bosco, scritti. Vol. IV. Parte II.

274
o o o
Il soggetto, santo soggetto! delle nostre considerazioni, così come le condizioni in cui si trovano le notizie che ne possediamo, non si adattano ai dettami e alle analisi scientifiche della psicologia, non meno che ad un disegno mistico tracciato a regola d´arte. In cotal genere di fatti, dice bene il Segond, il miglior metodo è di attenersi a ciò che ce ne danno « les hommes qui prient » (i). Non possiamo, neppur dalla lunga, tentare una specie di storia naturale della santità e della preghiera di Savio Domenico (ha ricusato di farlo, e per Don Bosco, l´Orestano) (2), e il nostro compito consiste nell´intendere i fatti, le esperienze, secondo il valore che hanno, al lume della scienza spirituale, per conoscere lo stato d´animo del santo fanciullo in pre¬ghiera e, fin dove si può, le vie dell´ascensione verso le sublimità dell´unione: mentre tutto ciò è collegato con l´indirizzo pratico della pietà avuto da Don Bosco_ Che di qui e in ciò si rivelino anche valori intimi e superiori, e in fin dí tutto la grazia di Dio, è cosa ovvia e tocca pure a noi indicarlo per una comprensione compiuta d´entrambi gli assunti. A suo luogo (e se occorrerà, le addurremo) possono venire le sentenze dei Santi e Maestri di spirito che, fondandosi sull´espe¬rienza spirituale, ne hanno disegnato la figura e lo svolgimento. Giac¬ché i veri psicologi, e, diciamolo pure, i soli scienziati della preghiera sono i Santi; e c´è più scienza nelle due Terese, e in Giovanni della Croce, Olier, Francesco di Sales, fflosio, e mettiamo anche Faber e scrittori affini, che in tutti gli Essais delle scuole scientifiche positi¬viste o agnostiche. E i più onesti degli scienziati, se vogliono dir qualche cosa di sodo, ricorrono a quelli e vi si fondano, come appunto fa il Segond, più volte ricordato (3). La scienza della preghiera è la scienza dei Santi, scienza sperimentale al cento per cento, perchè in-teramente sperimentata.
O0
Il tipo di Savio Domenico non è quello di un divotino (4), d´un pio ragazzo che prega volentieri bene, e si compiace delle cose di
(i) sEcoND,.op. cit., pag. 36, /1. I.
(z) Disc. cit., 1934, § t. — Il tentativo dell´Albertotti di spiegare Don Bosco colla scienza, è fallito completamente.
(3) Op. cit., — Cfr. i limiti e gl´intenti dell´A. nella Introduction, specialmente § IV-VII, dove accetta senz´altro (pag. 3z-33) la definizione romana ed ecclesiastica della preghiera data dal Damasceno e accolta da S. Tommaso, e su quella si fonda, come quella che in sè contiene tutta la psicologia della preghiera (pag. sz). A que¬sto autore ricorriamo qualche volta per la felicità delle definizioni.
(4) e Mica cattivo, quel poverino!9 diceva un buon prete che l´aveva un po´ conosciuto.

275
chiesa e, come altri per altro, vi mostra una preferenza: se n´hanno tanti tra le nostre popolazioni più semplici, o dove le mamme sono sante donne, i quali cominciano da quello a rivelare, perché no? una inclinazione a farsi preti. Quella del Savio è un´anima già orientata fin dalle prime ore della coscienza verso Dio e piena di Dio: non ade¬rente alla terra, e fatta per unirsi a Dio. Le parole del Cagliero e di Don Bosco, confermate quasi una per una dalle altre testimonianze riferentisi 0112 sua vita di fede (fede soprannaturale), di filucia in Dio, ch´è la speranza infusa, di amor di Dio tenero e personale, quelle parole ci hanno dato la definizione di quell´anima che sta unita con Dio in preghiera continua: attratta verso di lui, come per una gravita¬zione della mente verso Dio, che deriva dall´amore e dalla pratica della presenza divina nel pensiero (i). È una continuità di attrazione ( che stendesi dall´intercessione al ringraziamento, da questo alla lode, dalla lode alla domanda » (2), e ne avviene, e l´hanno detto in varie forme e in un medesimo senso (3), un visibile addentellarsi e quasi confondersi delle operazioni naturali con le soprannaturali, che aumenta man mano che i Santi si avvicinano, mediante la grazia di¬vina, alla primitiva, cioè più pura innocenza (4), e nel Savio tocca il suo apice nel palpito crescente della nostalgia del Paradiso (5).
Il senso di presenza continuamente vivente in lui lo conduceva ad un concentramento perfino visibile agli altri (le sue care distrazioni ne sono prova!), e ad ogni modo sempre nello stato di raccoglimento permanente, ch´è il contrassegno della sua interiorità. A lui Don Bo¬sco non vietò mai di concentrarsi, come fu invece creduto necessario per S. Luigi: ma il tipo aloisiano della preghiera continua siAipete in Iui quanto ad intensità (6), e quanto a costanza e letizia. Del Savio,
(i) FABER, Progressi, cap. XV, pag. 206: citato a prova da JULES.SECOND, op. cit., pag. 33.
(2) FABER, loc. cit.
(3) &rant.: Cerruti, 124; Conti (laico), 137; Dallesio, 149; D. Rua, 152; Ca¬gliero, 125. Del Cagliero ricordo qui la definizione citata: « Parole ed opere si può dire ch´erano tutte guidate dallo spirito di fede a. Cosi, pag. t95: Per quanto si studiasse di non manifestare esternamente... non poteva occultare il grande amor di Dio... Cosi, pag. zo3, zos, le conversazioni con Gavio e Massaglia.
(4) FABER, Prefaz. al volume della Vita di 5. Rosa di Lima (settembre, 1847), cit. in Vita e lettere di F. G. Faber, cit. pag. 299. — Ed è quanto disse ripetu-tamente di Don Bosco PP. Pio XI, nei suoi immancabili accenni allo stato di con¬tinua preghiera, presenza, unione CO/1 Dio. Ricordo in particolare: disc. zo febbraio 1927, n. Io; disc. Io nov. 1933; disc. 17 giugno 1932 ai Seminaristi Romani.
(5) Vita, cap. XXI. — Somm., Cerruti, 127; Cagliero, 133. Di questo la de-finiz. citata: e Non viveva che di Dio, con Dio, per Dio e, pag. 129.
(6) Per questo, dice il Cepari, fu imposto a Luigi di distrarre la mente dal pensiero di Dio, perchè vi si consumava...

276
come del Gonzaga, si può dire e fu detto (i), che non vi fu un´ora che non fosse di Dio, nè cosa, anche apparentemente estranea, che lo togliesse dal sentirlo presente e adorarlo; così come, e molto, molto più deve dirsi della gioia che faceva del caro santino.un tipo comuni¬cativamente lieto (2).
Codesta virtù della preghiera continua, che Don Bosco rileva con così forte sentenza nel Besucco (cap. XXII), dicendo che t( segna un grado di elevata perfezione, che raramente si osserva nelle persone di virtù consumata », e concludendo con un insomma che immedesima tutta la vita di lui con la preghiera: anche pel Savio, in forma più contenuta, ma non meno significante, è fatta spiccare (capo XIII), dicendo che « il suo spirito era cosi abituato a conversare con Dio, che in qualsiasi luogo, anche in mezzo ai più clamorosi trambusti, raccoglieva i suoi pensieri, e con pii affetti sollevava il cuore a Dio ». Possiam dire col Columba-Marmion che per tali anime cc l´oraison devient un état, et 1´k/1e peut trouver son Dieu quand elle veut, mème au milieu de toutes ses occupations » (3).
Non occupiamoci, che non è fattibile, dello scambio di affetti e di grazie e doni animatori che si avverano in codesti misteriosi modi della grazia divina (4), e pensiamo invece all´avverarsi di quell´ope¬rare coll´interno, che la M. Maddalena de´ Pazzi ha definito essere il segreto della santità di Luigi Gonzaga (5). Dovremo perciò attendere alla vita interiore, all´interiorità dell´anima del piccolo Santo? E, se mai, lo dovremo collocare tra le anime dei mistici e degli estatici, e, per così dire, indagarne le vie e i gradi, immaginando che per esser Santi sia necessario un corredo di fatti mistici e il raggiungimento d´una condizione spirituale che, se non è l´estasi permanente, ne dista di poco? No. La figura spirituale del Savio non si disegna con codeste linee. Non solo perchè, non c´è da dimenticarlo, egli è infine un giovane quasi fanciullo, al quale il buon Dio abbrevia il tempo del lavoro, dandogli in compenso le ali per volare e la spedi¬tezza del muoversi; ma anche perchè è un santo di Don Bosco, presso il quale la santità, se non cambia natura, che non potrebbe, prende altra fisionomia.
(i) Cfr. pag. preced. le citaz. alla nota (3) e nota (s).
(2) CR1SPOLTI, OP. Cit., 108-113.
(3) Op. cit., pag. 418. — Il santo abate Benedettino sembra quasi tradurre Don Bosco! Ad ogni buon fine, ricordiamo che il Col. Mar. nacque appunto nel 1858, l´anno in cui fu scritta e stampata la Vita.
(4) FABER, SS. Sacramento, pag. 299.
(5) MESCIILER, cit., pag. 27. — La visione e le parole son ricordate dal SE-ONERI, op. cit., e dal CRISPOLTI, op. cit., pag. 31.

277
La vita interiore, l´interno, del Savio non si manifesta se non con i segni della vita esterna (i), e la si travede, come han fatto i più autorevoli testimonii della sua giovinezza, deducendola dai modi onde operava e pregava. Una storia intima del Savio Don Bosco non ce l´ha data, e nessuno può costruirla. E di ciò egli, il Savio, non ha
mai detto nulla, salvo quando insistette per esser fatto santo. Il resto rimase nel secreto dei due cuori, il suo e quello di Don Bosco.
Ma poi, dato che se non vita di mistico, una mistica della vita deve pur trovarsi in ogni Santo (2), anche se non rivela un perma¬nente o intermittente stato estatico, noi troviamo che, sia in Don Bosco che nei santi formati da lui, come il Savio e la Mazzarello (taccio di Don Rua, per le note ragioni), quella mistica della vita non si traduce in vita mistica, così com´è offerta dai tradizionali dettami di tale dottrina. Vi appaiono, si, qua e là, spunti disseminati, sparsi segni, per lo più inattesi o non pensabili, che non formano visibilniente uno stato, e non si riesce a ridurre in gradi metodicamente disposti. Eppure il Santo Maestro conobbe e provò tutta la scala delle vie di perfezione e delle ascensioni mistiche, e l´abbiam ricordato con l´Orestano: ma nè si riesce a darvi l´ordine dottrinario classico, nè,
tanto meno, ne ha tenuto conto nello scrivere dei suoi giovani esem¬plari e specialmente del suo piccolo santo.
O o o
Forse, o senza forse, siamo in presenza d´un´ascetica e mistica nuova, dove la mistica appunto sembra sparire del tutto, come nella Mazzarello, e l´ascetica non è altro che l´azione santa delle anime sante, come in lui stesso e nella sua tradizione spirituale. E se in molta parte ciò è comune a molti santi d´azione, neI regime spiri¬tuale di Don Bosco tocca l´apice della semplificazione, dove tutta la vita è presa dal lavoro esterno del dovere e dell´apostolato, anche nei minuti ritagli e senza orario fisso: dove ci si fa santi senza parere, purché ci sia una vita interiore da santi e una vita esterna che la tra¬duce in piccole parole, che messe insieme fanno un gran discorso.
(i) Ciò rientra in parte nella stessa natura della vita interiore, come dice iI De-Guibert, che: Vita interiori.. actibus constituitur internis, actus vero hesterni va¬lorem hauriunt ex internis agentis dispositionìbus a. J. DE GLIMERT. Theol. spir. asce¬tica et inystica. Ouaestiones selectae, Romae, 1939. Ma nel caso nostro non è solo questione di valore.
(2) FABER, Creatore e Creatura, cit., pag. 349, dice bene che o tecnicamente la via dei Santi è la via estatica s; ma poi (come già notammo sopra, pag. 27o) in nota fa vedere che la manifestazione esterna non è necessaria per la santità: e reca l´esempio di S. Vincenzo de´ Paoli,

278
la squisita attività del santo moderno, che non ha parentesi o riposi ascetico-mistici, e si alimenta di che? Precisamente di quello in cui PP. Pio XI vedeva il segreto, la chiave del mistero di Don Bosco: « in quella sua perenne aspirazione, anzi continua preghiera a Dio.» che viveva trammezzo, o, diremmo, dentro a tutto il pondo colossale della sua attività e della sua opera: « giacchè egli identificava appunto il lavoro con la preghiera » (i). Ed io vorrei bene, se n´avessi l´agio, indugiarmi sul tipo della Mazzarello (che poi è donna, e naturalmente, dicono, disposta alle cose mistiche), nella quale la forma e la formola di Don Bosco trova la sua espressione più semplice e concreta (2). Del resto, l´elogio che il Santo fece del Cafasso, il zo luglio 186o, non si diparte in nulla da questa concezione (a). Si vede che fu buon discepolo di un Santo che comprese lui e ch´egli comprese.
o o o
Ritorno al Savio. Chi legge la Vita (che poi si dispensa espressa¬mente dalla cronologia: com´è detto a capo VIII) non trova alcun or¬dine tè graduazione nel disporsi dei fatti soprannaturali e di ciò che, in qualche modo, ha che fare colla vita mistica ed estatica. Forse una cotale graduazione vi fu, così come noi ne vediamo l´andamento nel disporre i momenti di quella storia di santità; ma, un per uno, i fatti appaiono sparsamente dislocati in momenti diversi. Non c´è dunque da pensare a scoprirvi le tracce delle vie di perfezione: se mai, la prima via, quella degl´incipienti, con tutte le sue buone qualità, non compare affatto, perchè già superata; il rimanente appartiene ora alla via illuminativa, ora, e anche più, all´unitiva. Ma non oserei dire che, per esempio, non vi siano già le proprietà dei perfetti nel primo periodo della vita oratoriana: quando Don Bosco sente senz´al¬tro il bisogno di notare i fatti del suo recente discepolo, nel quale al primo incontro ha scorto « i lavori che la grazia divina aveva già ope¬rato », e quando, come per deduzione storica bisogna ammettere, il giovanetto è già capace di un rapimento, come quello che gl´incolse in cortile alla presenza di Don Bosco, e che sembra non fosse il
solo (Cap. XX).
Se, come fanno i trattatisti moderni, si vogliono far corrispondere
(i) Dice. 19 nov. 1933, sui Miracoli.
(z) La formula della indotta Mazzarello: n La vera pietà religiosa consiste nel compiere tutti i nostri doveri a tempo e luogo, e solo per arnor del Signore» è precisamente quella dell´adattamento della pietà alle esigenze del dovere, spiegata dal Faber: cfr. Il piede della Croce, pag. 449.
(3) .11 Beato Giuseppe Cafasso. (Memorie pubblicate nel 1860 dal Sac. Gio-vanni Bosco) Torino, S. E. I., 1925, pag. 39-63.

279
ai gradi dell´ascesa le mansioni del Castello Interiore di S. TereSa, si può, senza tema d´esagerare, trasportare la vita intima del nostro santino in quello stadio dell´unione con Dio ch´è abituale bisogno di pensare a Dio, gran purità di cuore, gran padronanza di sé: dov´è sentita la presenza di Dio per via d´un certo gusto spirituale, e il raccoglimento è quale Don Bosco ci dice essere abituale nel suo disce¬polo: per S. Teresa è « la prima orazione soprannaturale » propria della Quarta mansione. È già lo stadio della contemplazione in¬fusa (i). Ma al vedere come si avverino certi momenti della preghiera (intesa nel suo senso più largo e comprensivo di ogni forma), sia come riflesso della perfezione morale, sia come effetto dei doni di Dio, non si esita a vedervi quello stadio dell´orazione di unione, unione piena delle facoltà interne, nel quale l´assenza delle distrazioni e della stanchezza, e la copiosa inondazione di gioia spirituale attestano che ogni avvicinamento del demonio si rende (per la paura ch´esso ha della presenza di Dio) impossibile (z). Ch´è appunto l´opinione, non mistica, ma praticamente fondata e tenuta dai testi più forti del Pro¬cesso (3). Possiamo perfino inoltrarci a quel grado che sí chiama del-l´Unione estatica, nelle sue varie fasi dell´estasi semplice, del rapi¬mento, fino al volo dello spirito: S. Teresa la direbbe Mansione se¬sta (4), e l´effetto ne deve essere, come vuole S. Francesco di Sales, una santità di vita che giunge sino all´eroismo, sì che, mancando questa, sarebbe da sospettare dell´autenticità di quello stato (5). Io domando in qual grado si ha da collocare un´anima che Don Bosco (Capo XX) descrive così: « L´innocenza della vita, l´amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti, avevano portato la mente di Savio Do-menico a tale stato che si poteva dire abitualmente assorto in Dio ». E domandato del perché di certi subiti allontanamenti, rispondeva: « Mi assalgono le solite distrazioni, e mi pare che il Paradiso mi si
TANQL-EREY, OP. cit., n. 1435-1436. — É certo che il Savio si rivela già oltre la terza mansione, in cui vedremo collocato .(sia pure facendo capo talvolta nelle altre successive) il Besucco: non si può dire infatti che il Nostro non fosse
ancor ben rassodato nella prova » e che al più attingesse la via unitiva semplice (cfr. TANQuEREY, Cit., n. 973 e 1303 -1304)-
(2) TANQUEREY, cit., n. 1449-1450.
(3) Cfr. Sonum, tit. V, De virtutibus; tit. VIII, De charitate in Deum; tit. XIV: De heroieci castitate; tit. VII, De spe, e qui: Don Rua, 18x, e Cagliero che dice: n Non credo che il demonio abbia mai vessato il Savio con atte particolare, e le stesse tentazioni non potevano menomamente turbare il suo cuore innocente, e meno la sua mente ignara affatto delle malizie umane a (pag. 175).
(4) TANQuEREv, cit., n. 1458-1460.
(5) Teotimo, cit., lib. VII, cap. VII .(cfr. sopra, pag. 270). Cfr. anche TAN¬QUEREY, n. 1461.

28o
apra sopra del capo, e io debbo allontanarmi dai compagni per non dir loro cose che forse essi metterebbero in ridicolo » (1). E non mi spingo fino al settimo grado, quello dell´unione trasformativa: chè di quello è meglio lasciar testimone Signore, che incatena l´anima in una intimità, in una serenità sopraterrena, in una quasi indissolu¬bilità, che fa quasi pensare ad una confermazione nella grazia. Di questo è impossibile aver prove esteriori (2).
o o o
Vorrà pensare qualcuno ch´io mi lasci trasportare all´esagera¬zione, attribuendo ad un santo fanciullo fatti e condizioni di spirito proprie di chi si è lungamente maturato nell´esercizio nonchè della perfezione, ma, e soprattutto, dell´orazione, nel senso più elevato della parola? Lasciamo di ripetere che quel fanciullo della vita non è un fanciullo nella santità: ma io invito il lettore accurato e studioso a fare un lavoro, un po´ materiale per vero, ma forse non infruttuoso, che gli—farà acquistare tangibilmente la convinzione medesima che io ho esposta. Provate a ritagliare, punto a punto, dal libro di Don Bosco (e, se fosse possibile, dalle testimonianze del Processo) ciò che vien detto di tutti i particolari di quest´ampia e delicata materia, e collocateli, frasi o periodi che siano, ciascuno a suo luogo tra i fogli del vostro trattato di ascetica e di mistica, secondo le affinità verbali e di fatto che intercorrcno tra gli uni e gli altri: e vedrete che Don Bosco, non so se volendolo, ma certo avendo cognizione delle cose com´erano, ci ha offerto una quantità di dati da costruirne il profilo interiore, sia poi d´una o d´altra figura, non conta. E così del Processo.
Ma non è del mio assunto, nè conforme alla maniera del santo Maestro il prender le cose tanto dall´alto e così in grande e, tanto per intenderci, diremo, con S. Francesco di Sales, che lo stato del¬l´anima del caro santino è « un´amorosa, semplice e pennianente at¬tenzione alle cose divine » (3). Si noti che ciò è detto della contem¬plazione infusa (4); eppure chi vorrà negarlo al nostro fanciullo, mentre Don Bosco lo dice, e con lui quanti lo hanno conosciuto ?
(i) Si noti che questo è detto nel Capitolo destinato espressamente a Grazie speciali e fatti particolari (cap. XX).
(2) TANQUEREY, cit., 1470-1471.
(3) Teotimo, cit., lib. VI, e. 3.
(4) TANQUEREY, Cit., n. 1386. — La contemplazione infusa è già un fatto so¬prannaturale, ed essenzialmente gratuita, come risultante da una grazia speciale, grazia operante, che s´impossessa di noi, e ci fa ricevere lumi ed affetti che Dio opera in noi col nostro consenso. Cfr. ivi, n. 13oo.

CAPITOLO II
Don Bosco nella " pietà " del Savio.
È invece mio espresso dovere mettere in luce quel che vi è di Don Bosco nella pietà del Savio, quale si ordinò e quale fu veduta. Ho detto più sopra che intorno a Don Bosco, e secondo i suoi indirizzi, la san¬tità non cambia natura, ma prende una propria fisionomia. Dovrei pertanto indugiarmi sullo spirito salesiano (ohl se si potesse dire: boschiano!) della pietà, e sugl´indirizzi del santo Pedagogo delle anime. Ne dirò di mano in mano che il tema ne offre l´occasione: qui mi re¬stringo a poche -osservazioni preliminari, quasi linee di massa o di
contorno.
Non è lecito trascurare il fatto che, per bocca del medesimo Don
Bosco, l´edificio spirituale del Savio fu costrutto nella confessione, ossia, mettendo a parte ciò ch´è proprio del Sacramento, dall´opera direttiva dello spirito che per mezzo o. in occasione della confessione si compieva. Il Savio è un capolavoro della confessione, « che fu il suo sostegno nella pratica della virtù e fu la guida sicura che lo con¬dusse ad un termine di vita cotanto glorioso » (Cap. XXVII) (I).
Nè s´intenda questo come una fabbricazione artificiosa, in cui il dirigente è tutto e il soggetto è ridotto ad un automa, o conte un lavoro di modellatore d´una materia molle ed amorfa, anzi inerte, che prende passivamente la forma che le si dà: Don Bosco fu per eccellenza, anche esteriormente (lo ricordiamo bene noi, che lo cono¬scemmo), l´uomo della libertà di spirito e del principio d´iniziativa. E il fine, lo scopo della direzione spirituale in tutte le fasi della vita
(i) Cfr. anche quanto è detto a lib. II, cap. II, di questo Studio, sulla Direzione di Don Bosco. — Non si vuol dire con questo, che,, per l´illimitata con¬fidenza dei figli nel Padre delle loro anime, una direzione non potesse effettuarsi anche fuori dell´ambito sacramentale, nelle consultazioni e colloquii confidenziali dei giovani col loro Direttore. Lo dice egli stesso, p. es., nel Besucco, cap. XIX..

28z
interiore ed anche della vita mistica (t), è unico,. solo, ed invariabile, ed è la libertà di spirito (2). « Il Direttore, scriveva il P. Liebermann, visto che abbia o accertato che Dio opera in un´anima, non deve far altro che guidare quest´anima in guisa ch´essa segua la grazia e le sia fedele » (3). E Don Bosco aveva ben veduto e accertato che Dio lavorava nell´anima del Savio!
Non dunque imponeva la formola, ma dirigeva per le vie sue un´anima conforme, che, inesperta dei mezzi, glieli domandava. E Savio rivela nel suo essere spirituale una piena agilità, solo compati- -bile colla libertà del movimento. Se uno che vuoi giungere ad un certo luogo mí domanda della strada che non sa, io gliela indico, e posso anche dirgli che per farla dovrà camminare con certa misura e, verso l´alto, in montagna (qui si tratta davvero di ascensioni), in certa ma
niera: non per questo io gli lego i movimenti o gli scemo la forza nativa.
Il Savio si diede a Don Bosco colla medesima fiducia che aveva in Dio, del quale sentiva nel suo Maestro la voce: « come un bambino nelle mani di sua mamma » dice il Cagliero (4). Don Bosco gl´insegnò a camminare, sostenendolo nei primi passi incerti, e gl´indicò le vie, che presto, inaspettatamente per lui stesso, divennero ascensioni e voli (5).
O o o
Domina in questa direzione lo spirito di confidenza e di amore, che trasporta affettivamente all´amore personale e filiale verso Dio. Altrove ho accennato ai due spiriti opposti, della visione lieta o trista della vita, e ancora ai due indirizzi della pedagogia spirituale: quello che insegna ad osservar la legge per amore, e quello che vi mette a
(i) S. Teresa e S. Giovanni della Croce vi insistevano. Cfr. TANQUEREY, cit., n. 14t Ibid., n. 548, le parole del Ven. P.-Liebermann, che rispecchiano esat-tamente il concetto della direzione quale vediamo in D. Bosco.
(2) FARER, Progressi, cit., c. XVIII, pag. 294-
(3) La direction spirituelle, d´après les écrits et les exemples du Ven. P. Lieber¬mann: ediz. 2a, pag. 12. Ed è il Lieb. che disapprova con forti parole chi im¬pone g i propri gusti e i proprii modi di vedere ». Anche Faber, nel cit. cap. XVIII dei Progressi, parla come il Liebermann, senza citarlo. Nè altro è il pensiero del COLUMBA-MARMION, spiegando la libertà benedettina: cfr. op. cit., X-11, pag. 407.
(4) È l´immagine che la Teresa di Lisieux si fece della dipendenza sua da Gesù, in mancanza d´un direttore che la comprendesse. Cosa nota.
(3) Dico questo, risalendo dagli effetti visibili alle cause e fonti secrete. Giac¬chè di tale direzione non si hanno i particolari. Non c´è nel caso nostro tutta Ia letteratura direttiva passata, p. es., tra il Sales e la Chantal; e un Direttorio Spirituale Don Bosco non scrisse.

`.--s 283
base il categorico dovere di giustizia verso Dio: ed ho concluso che Don Bosco induce ad una visione serena e all´amore, che fa osservare il dovere. Qui è il momento di distinguere anche una volta tra lo spirito di confidenza, cioè di amor filiale e timore affettuoso, e lo spirito dottrinario che misura le necessità e i limiti dell´obbedienza a Dio (i). Questo secondo non è affatto, almeno nell´ambito spirituale, lo spirito che Don Bosco infonde nel Savio, già per parte sua predi¬sposto e temprato a sentire amorosamente le cose di Dio. Il titolo VII, De Spe, nel Processo Canonico, ci fa conoscere un´anima tutta com¬presa di una fiducia, che s´avvicina alla certezza, e poggia sulla confi¬denza filiale. Le parole del Cagliero: « Ei si trovava nelle mani di Dio come un bambino nelle braccia della mamma sua» (2), sono più che bastevoli a ritrarre lo stato d´animo del giovane santo nella sua visione delle cose dell´anima propria. Certamente era costante nel suo cuore il dolore dei peccati, ossia il considerarsi peccatore agli occhi di Dio, che è il nisus formativus di ogni santità e suo principio di crescenza (3); ma il timor di Dio non fu mai per lui terrore di Dio. Non vi è culto degno di tal nome che non sia la voce della confidenza, come senza confidenza e fiducia non vi è amore, e confidenza non vi è senza sentimento filiale (4).
Nella voce del piccolo Santo trema l´amore, non la paura. Per esempio, non ebbe mai il dubbio, nonchè la paura, di non salvarsi l´anima. « All´Oratorio, dice il Cagliero, non lo vidi mai dubitare della sua eterna salvezza, che trovava sicura per sè e per i suoi com¬pagni, solo che fossimo fedeli all´osservanza dei Divini Comanda¬menti, i quali sono sempre, soleva dire, accompagnati dalla grazia di Dio, che non manca mai ». «E che Dio ci voleva salvi tutti: lo si amasse e servisse da buon cristiano, certi allora che saremmo tutti salvi in Paradiso! » (5).
E questo è lo stile di Don Bosco, chi lo conosce. Non dunque la religione terroristica, inquadrata nella prospettiva dell´inferno. Il Santo Educatore, come già si è detto, si valse di questo ricordo per
(i) FABER, Tutto per Gesù,´ pag. 322-325: a proposito dello spirito di lode e desiderio.
(z) Somm., Cagliero, 176.
(3) FABER, Progressi, cit., pag. 3o6.
(4) FABER, Tutto per Gesù, loc. cit., pag. 324. Tra le Confer. Spirit. del med. autore, una è: La fiducia è l´unico culto. Dovrei riportarla tutta. ( 5) Somm., Cagliero, 176. E quel concetto è nella deposizione Barberis, pa
gina 177: temeva sempre di non essere abbastanza buono; ma aveva tal con
fidenza nella bontà di Dio e nella protezione della B. V. che non dubitò mai della sua eterna salvezza Il Barberis l´aveva appreso da Don Bosco.

z84
necessità di muovere e commuovere chi n´avesse bisogno: ma non ne fece un articolo di regime spirituale. Nelle parole del Savio l´idea del¬l´inferno non torna che poche volte, e in caso di ammonizione grave per un male commesso o in pericolo di avverarsi (i); ma quanto a sé, egli non vi tornava, come non vi fosse interessato. La •sua visione perenne, pehnanente, direi congenita e spontanea, era quella del Paradiso. Se pensiamo quella santità com´era, fatta di nient´altro che d´amore e desiderio di Dio, non abbiamo difficoltà ad ammettere che, se non sempre, ma quasi abitualmente la sua mente pensasse il Para¬diso e, per cosi dire, se lo sentisse vicino e presente. Delle sue « di¬strazioni » dice: « Mi pare che il paradiso mi si apra sopra del capo». Quella, si, era la parola che ripeteva più volentieri, e l´idea che lo commoveva: e sei compagni non capirono che cose fosse quel deli¬quio o quel ratto che lo incolse in cortile a sentirne parlare da Don Bosco (Capo XX), e nessuno dei coevi ne ha parlato, tutti però sono concordi nel ricordare che del Paradiso parlava « con trasporto » e a quello conformava i suoi pensamenti (2). Della S. Teresa di Li¬sieux si è detto che visse di questo pensiero fino ad un anno avanti la sua morte. «Il pensiero del cielo formava tutta la sua felicità; anzi fin dalla prima fanciullezza questo pensiero era stato sempre una delle basi su cui fondava la sua pietà» (3). Ebbene, a svolger le pagine che riportano parole e discorsi di Don Bosco, si trova che quella del Paradiso fu la parola ch´egli ripeteva in ogni circostanza come argo¬mento animatore supremo di ogni attività nel bene e di ogni soppor¬tazione delle avversità. Le citazioni sarebbero infinite. E come fu questo il clima nel quale crebbe la giovinezza della Santa Carmeli¬tana, tanto da divenire un´idea connaturata e un « presentimento », e le dischiuse la via della santità (4), cosi crebbe nel clima di Don Bosco il Savio con questa veduta e se ne svolse e fissò nella sua mente l´in
tuizione. La religione, la pietà, la divozione, le ascensioni verso la

(i) Cfr. Vita: una volta, implicitamente, al cap. IX; due espressamente al cap. XII e XIII: sempre per ammonizione ai compagni.
(a) Soma,.: Tosco-Savio, 172; Melica, 173; Cerruti, 174: « L´ho veduto tal¬volta nominare con gran slancio il Paradiso, con gli occhi rivolti al cielo e. Ibid., Cagliero, 175: e parlava del Paradiso con trasporto e gioia di uomo provetto nella pietà e religione e. Ibid., Conti, r77; Barberis, ivi; Don Rua, 180. Può riferirsi qui ciò che il TANQUEREY, n. 1203, dice della speranza nei proficienti, benchè il nostro santino sia andato ben più in là nella perfezione: risa rimane sempre una virtù acquisita che si eleva a gradi superiori.
(3) PETITOT, op. cit., pag. 194-195. E noto che dalla Pasqua del 1896 al set¬tembre ´97, quando morì, la cara Santa sofferse dell´indicibile tormento del dub¬bio che le tolse ogni consolazione.
(4) Ibid., pag. 194.

285
santità, si coloravano dei raggi di quella luce. Di qui gli veniva quella letizia comunicativa che lo portava a parlarne a tutti « con grande slancio » e « levando gli occhi al cielo », e che fa pure una nota pro¬pria dell´anima di S. Luigi (i).
o o o
Codesta serenità, fatta di gioia dell´anima fidata in Dio e di vedute estatiche del Paradiso (Cap. XX), parrebbe che non dovesse lasciare luogo agli scrupoli e ai turbamenti di spirito. Invero tutti i testi lo escludono, perchè nessuno ne scorse il benchè minimo segno (2): lo videro sempre « sereno di animò e ilare di spirito » come « prevenuto dalla grazia e assistito dal suo direttore spirituale Don Bosco ». Pa¬role di Don Rua, intimo con lui e col Maestro. Eppure Don Bosco nel 1878 inseriva nella V edizione il capoverso: «Fu qualche tempo dominato dagli scrupoli: perciò voleva confessarsi ogni quattro giorni ed anche più spesso: ma il suo direttore spirituale nol permise, e lo tenne all´obbedienza della confessione settimanale » (Capo XIV). Fu una breve piccola prova spirituale, l´unica forse, con che il Signore volle temprare l´anima del santo fanciullo. Gli altri non se n´accor¬sero, perchè la sua virtù e l´indole de´ suoi scrupoli non lasciarono apparire il momento della vita interiore. Furono nulla più che una più accentuata delicatezza di coscienza, una passeggera, non febbrile, accelerazione del polso, procedente dall´incalzante volontà di accele¬rare la corsa all´amor di Dio. E. come non durarono a lungo, così non gli tolsero di continuare ad essere quello che era. Non ci è che vedere col tipo della scrupolosità ombrosa e scontrosa, che guasta troppe volte il concetto della pietà, e magari rende incomodi (noi di-ciamo pesanti) al prossimo i mezzo divoti (3): neppure con le nebbie e gli oscuramenti mistici, di cui ha scritto pagine celebri S. Giovanni della Croce nella Notte oscura; giacché la vita interiore del Savio è d´altra stampa da quella dei contemplativi (4). Non fu paura d´essere
(i) Somm.: Cerruti, 176. — CRISPOLTI, OP. Cit., pag. 112.
(2) Soma,., Don Rua, pag. « Non andava, che io sappia, soggetto a scru
poli, come pure ad altri disturbi spirituali: sempre si vedeva in lui un´ammirabile serenità, ecc, e. — Così il Cagliero, pag. 174, esclude i e timori spirituali », e il Melica, pag. 173, dice che e non andò mai soggetto a scrupoli, ma sempre... era sereno d´animo e ilare di spirito a. Tutti attribuiscono ciò all´essere e guidato da
· Don Bosco e.
(3) FABER, Progressi, cit., cap. XVII, pag. 254, seg.; Conto-. Spir„ cit., pa¬gina 182, sull´Illusione scrupolosa; id. pag. 289.
TANQuREv, cit., n. 1420-5434. Le indicazioni bibliografiche, ivi, pag. LI.

286
in peccato, ma (oh! n´avessimo un poca tutti!) il timore di non essere abbastanza buono e non corrispondere abbastanza alla grazia di Dio (i). E quando si è così, una parola ferma del confessore rimette in brevissimo tempo le cose in ordine. Qui Don Bosco fece uso del ri¬medio sovrano di tutti i direttori di spirito, l´ubbidienza, e tutto finì (2). Ma nel Santo Maestro ne rimase memoria, tanto da tornar sulla materia nel Magone, capo IV; dove,´ a dir vero, il monello con¬vertita e trasmutato vorrebbe confessarsi ad ogni momento, pel pia¬cere che vi prova, e il Santo direttore, per tema che ne vengano gli scrupoli, lo regola a dovere. E allora esce in una breve, ma solida e nitidissima didascalia sul pericolo di quel male e sui rimedi di esso_
O o o
E poiché siamo sul tema degl´indirizzi di Don Bosco, credo non debba omettersi quello, sostanziale ed efficientissimo, ch´egli diede alla collettività dei giovani suoi figliuoli. Il metodo educativo del Santo Pedagogo, mentre mira all´educazione dell´un per uno, si studia di creare un´educazione collettiva, dalla quale l´individuo è condotto a ciò che primamente dev´essere di tutti. L´abbiamo già detto, così come s´è detto dell´ambiente o clima dominante all´Oratorio intorno al Santo educatore: e le parole del Ballesio, del Piano e del Cagliero (3) ci han fatto sentire che vi spirava l´aria di Dio, propria di un clima da santi. Fra i molti che quell´aria respiravano (e qual¬cuno pienamente assimilò, come Don Rua), la piccola persona del Savio era nell´ora sua quella che Dio aveva destinato ad esserne come il frutto più squisito e, per così dire, il simbolo e l´espressione più
completa (4).
Simbolo ed espressione d´una socialità, prodotto dal fatto collet
tivo che opera sull´individuo, anche fuori della sua consapevolezza. Gli scienziati, anche delle migliori intenzioni, quelli che ricorrono ai Maestri e Santi della Chiesa, hanno studiato le origini della preghiera
(i) Somm.: Barberis, cit., pag. r77.
(2) Dell´aver tardato tanto a parlarne è inutile cercare il perchè: Don Bosco avrà avuto le sue buone ragioni. Ma questo valga di risposta a certi critici, i quali hanno detto che i testi parlarono sotto l´influsso della lettura della Víta. Se così fosse, come mai negarono così categoricamente iI fatto, che potevano leg¬gere nell´edizione definitiva, e cioè l´unica che ebbe corso nei trent´anni succes¬sivi, fino al 1908?
(3) Somm., cit.: Ballesio, 117; Piano, 1i8; Cagliero, 298. Come già s´è spie¬gato in lib. II, cap. I.
(4) Cfr. Deposiz. Cagliero, Somm., 289.


287
e l´indole della preghiera d´intercessione e la fonte della certezza nell´efficacia di essa; e come, onestamente, hanno riconosciuto nella preghiera d´un´anima che colloca tra sè e Dio la vita religiosa dello spirito, « una spiritualità cosciente e una religiosità individuale, che può determinarsi ogniqualvolta la preghiera è formulata e precisa >>; cosi hanno veduto, senza poterlo troppo delimitare, un che di sub
cosciente nelle origini della preghiera e nella certezza dell´efficacia della preghiera intercessoria: attribuendo ad un inconscio riflesso
sociale, e cristianamente al senso della Comunione dei Santi, il si¬gnificato e la forza di quella subcoscienza. Del che la preghiera col
lettiva e rituale è, a volta a volta, e anche ad un tempo, un prodotto e un fattore (t).
Non è questa la via che fa pel nostro discorso, e solo vi alludo per dare al lettore la persuasione che i nostri riflessi, ricavati dalla più oggettiva esplorazione dei dati di fatto, hanno un fondamento concet
tuale più profondo dei commenti esornativi con che si suole trattare questa materia.
La pietà, la divozione, il fervore e, quando viene, l´esaltazione so-prannaturale del Savio sono pertanto un fatto individuale e proprio della sua personalità: ma vi ha parte pure la socialità, ossia il clima in cui vive, creato e temprato dal Santo ispiratore di tutti. E quella
socialità s´immedesima in lui, che tutta l´assimila, fino a diventarne la più sublime espressione.
In altre e più semplici parole, il Savio è da solo (salvo, beninteso, i doni particolari della grazia) quello che gli altri sono tra tutti, o do
vrebbero essere nell´intenzione di Don Bosco. Per questo egli rimane il tipo del giovane santo quale il Santo Pedagogo contemplò nel suo ideale. Ch´egli n´avesse coscienza, non lo diremo, chè sarebbe far torto alla sua virtù: ma che n´avesse la volontà, e, secondo questa, ch´era di voler farsi santo coll´aiuto di Don Bosco, egli si studiasse, ad ogni momento e in ogni cosa, di essere come il suo Maestro inse¬gnava e desiderava, e lo seguisse con piena dedizione dello spirito, questo non può mettersi in dubbio. E la riuscita del Santo fanciullo
torna a merito di lui, come a gloria del suo Educatore spirituale, Santo formatore di Santi.
(i) jULES SECOND, La prière, cit., chap. VI, La demande et la prière d´inter¬cession: Eclarcissement, pag. 154, seg. — Chap. VII: La prière collective et rituelle. Chap. VIII, Les origines de la prière et le 5-ubcoscient, pag. 294, 305-309, 3r0, 313-315. — Chap. IX, La croyance d l´efficacité de la prière, pag. 324, seg. — Non entro nel fatto strettamente psicologico del riflettersi dell´ambiente religioso sul fenomeno individuale della preghiera. Mi basta l´accenno generico e l´indicazione d´una fonte. Circa il valore della preghiera orale collettiva, dirò più oltre.

CAPITOLO III
La preghiera vissuta.
Coi riflessi che siam venuti facendo, io credo che sia stabilito il livello al quale vanno portati i fatti che si riferiscono alla vita di pre¬ghiera del nostro Savio. N´abbiamo un corredo più che bastevole a costruire la figura dell´anima orante del caro santino, e illuminarla di splendori non comuni a chi non sia dotato dalla grazia divina di doni speciali. Non che quei fatti siano tutti straordinarii: sono anzi, « in una parte più e meno altrove », possibili e avverati anche in altri, anche in molti: così come avviene della vita vissuta da quei Santi che, come il Cafasso, la Mazzarello, la Santa di. Lisieux, han reso straor¬dinaria la vita ordinaria, vivendola con uno spirito che ordinario non è (t). TI fatto singolo e il singolo particolare prendono valore da due fonti: ch´essi sono parte d´un tutto indefettibilmente perfetto, peren¬nemente costante nella sua postura: da un sempre che non conosce lacune e ch´è per ciò stesso perfezione; e poi dalla vita intima che pervade, che permea di sè tutti i momenti dell´agire, e ch´è infine lo spirito interiore della santità, dando un significato e un merito a ciò che per altri parrebbe indifferente (a). Ed è ciò che porta ad un livello superiore i fatti concreti della storia. Per questo aspetto sta la sen¬tenza (ch´è pure una tesi) del Segond, che la preghiera reale o pregata non può considerarsi mai come estranea alla preghiera vissuta o vita
di preghiera (3).
Di codesta vita nella sua realtà vissuta e manifestata, noi ci occu
(i) « La virtù straordinaria del Cafasso fu quella di praticare costantemente
e con fedeltà meravigliosa le virtù ordinarie ». Biogr., I, 375.
(2) Cfr. sopra, pag. 277, nota t, la definizione della vita interiore data dal DE GUIBERT.
(3) Cfr. op. cit., pag. 33, nota i. — Ed è singolare che in ciò vadano d´accordo tutti gli studiosi odierni, ortodossi o no, in quanto nella preghiera vedono prima di tutto la vita della preghiera e la grazia o dono della preghiera. Si va dal Faber al Tyrrel, al Sabatier, ecc. Cfr. ivi, pag. 34.

z89
piamo ora. E, a pensare come questo fatto spirituale sia studiato da tutti quei che si occupano delle cose di spirito, e anche solo a quel che ne dicono i Maestri a cui son solito attenermi, c´è da tener forte contro la tentazione di postillare ogni dato con una parallela sentenza di quelli, o di lasciarsi indurre a didascalie, utilissime per vero, ma non consentite dall´indole e dall´economia di questo studio. I capitoli del Faber sulla Preghiera, sulla Devozione, sul Fervore, nei Progressi dell´anima, e il Tutto per Gesù, e le altre opere del medesimo, che tutti i moderni citano e. prendono ad. appoggio (compreso il Segond, che ne fa un caposaldo) (i), come le dotte e pie pagine del Columba¬Marmion (2), ci offrono un vero patrimonio di gemme da inserire nel¬l´aureo diadema della pietà del Savio.
O 0 o
Nel discorrere di questo argomento Don Bosco si attiene, lo sap¬piamo, piuttosto ai fatti che alle sentenze ed ai commenti, e molto dobbiamo attingere dalle testimonianze dei coevi. Ma, in capo a tutta quella serie episodica, sta la sintesi, con che inizia il Capo XIII: « Fra i doni di cui Dio lo arricchì era eminente quello del fervore nella preghiera ». Non dunque un abito, per quanto eccellente, sempre capace di una qualche superficialità o difetto di vita intima; ma grazia e dono di Dio: nella sostanza, il dono soprannaturale della pietà, che viene dallo Spirito Santo; nel fatto, una grazia speciale, propria di lui, che ingenera un istinto soprannaturale, onde, come per indole, l´anima è portata a far orazione, a pregare, a pensare a Dio, a pensar di Dio (a). « Quando la grazia spinge soavemente un´anima a dedi¬carsi alla preghiera, essa entra nel potere della preghiera, che fa di lei un essere nuovo, ed essa trova così completamente che la sua vita è preghiera, che alfine prega sempre, e la sua vita diviene una preghiera incessante; giacchè questa non risiede tanto nei metodi dell´orazione o nelle forme vocali, quanto nell´attitudine del cuore,
(i) Op. cit., Introduction, e cap. VII: Eclarcissement, e generalmente nel testo e nelle Note.
(z) Op. cit., cap. X, L´Oraison. Parimenti: Le Christ idéal do Moine, conf. XV e XVI; anche: Le Christ dans ses mystères, conf. XII, n. IV, e conf. XIX, o. IV-V, ecc. Il Faber vi è spesso citato, giacchè esso è, per parte sua, permeato di spirito benedettino. Cfr. Tutto per Gesù, cap. VIII, sez. VIII, Lo spirito bene¬dettino.
(3) FABER, Progressi, II, pag. r8; ibid., 30.2. PETITOT, cit., pag. 107-108.
MESCHLER, cit., pag. 157: una pagina che può applicarsi letteralmente al No¬stro.
5 -- CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Voi. IV. Parte II.

2go
per cui tutte le sue azioni e i suoi patimenti si fanno preghiera vi¬vente» (i). Il lettore vede da sè che nelle parole del classico libro sono comprese quelle del Cagliero con le quali abbiamo aperto questa parte dei nostri ragionamenti, e quelle di Don Bosco insieme ricor¬date, e che stanno all´inizio del capitolo sullo spirito di preghiera. E ci fanno vedere che il Santo Maestro del Savio ha saputo ben precisare il suo concetto, quando dice di dono e non di abito: sa-pendo che il puro abito di preghiera non rende, da sè, persona di preghiera (i); sibbene volendo significarci di quell´anima quella certa «gravitazione della mente verso Dio, che nasce dall´amore e dalla divina presenza » (3), ed è il pregar sempre, incessantemente, ossia la preghiera vissuta: uno stato soprannaturale che, se lo chiamiamo col nome di fervore datovi da Don Bosco, esprime ed è lo stato dei santi sulla terra, così come dovrebb´essere lo stato normale di quanto mirano alla perfezione (4). « Codesta forza vitale perma¬nente nell´anima, si apre la via delle ascensioni con potenza uniforme; con una pressione queta ed inavvertita, che ha la prova infallibile della sua potenza e della sua presenza nel fatto dell´attendere con perseve¬ranza, animandole d´un´indefettibile attenzione, a cose comuni e tri¬viali, delle quali si occupa e si diletta » (5).
Ho parlato ad un tempo con le parole del profondo teologo asce¬tico e con quelle di Don Bosco nella Vita di Magone al capo IX: le parole sottolineate sono in entrambi gli scrittori, che pure non si conobbero. E bisogna dire che, appunto per la semplicità, e quasi direi comunalità delle sue manifestazioni, e attraverso quell´andamento « quet o e non appariscente » del fervore, le anime migliori che gli stavano intorno avvertivano la presenza di quel fervore, del quale vedevano bene le prove. A mettere insieme le testimonianze dei più intimi, c´è da inferirne ch´essi abbiano intuito quel che stava al di dentro, e avuta la sensazione di aver tra loro l´anima d´un Santo. Un amico definisce la sua pietà umile e tranquilla; un altro, come « cosa connaturale » il suo « fervore intensissimo »; un terzo nota nella pre
(i) FABER, Progressi, XV, pag. zo6. — Questo passo è appunto addotto dal SEGOND (op. cit., pag. 47, nota t) per definire il senso ch´egli intende attribuire alla preghiera ed alle attività che formano la vita di preghiera. Ha perciò an¬che un valore scientifico, così come nelle definizioni romane e catechetiche della preghiera lo scienziato francese riscontra, e unicamente, il fondamento più sicuro di tutta la psicologia della preghiera.
(2) FABER, ibid., lo"c. cit., n. i.
(3) op. cit., pag. 207.
(4) Op. cit., cap. XXVI, 417.
(5) Op. cit., loc. cit., pag. 418. Qui s´intende parlare di pratiche pie comuni e diffuse tra la gente comune, non d´altre cose.

291
ghiera di lui « un fervore costante accompagnato da confidenza » e altrove « il suo pensiero abitualmente raccolto in Dio »: il Cagliero
dice che la pietà gli stava « scolpita nel cuore in grado sommo e pro¬prio delle anime adulte ed esercitate nella perfezione cristiana » (i). Dove il lettore vede affiorare, parte a parte, le idee che abbiam citate dal Faber.
I medesimi, anzi la maggior parte dei ricordatori, come lo Scrit¬tore della Vita nel secondo capoverso del capitolo, tutti ad una voce recano a prova il contegno del santo giovanetto in preghiera, la divo¬zione che traspariva dal suo modo di pregare. Dice Don Bosco: « Quando poi si metteva a pregare in comune, pareva veramente un angioletto; immobile e composto a divozione in tutta Ia persona, senza appoggiarsi altrove, fuorchè sopra le ginocchia, colla faccia ridente, col capo alquanto chino, cogli occhi bassi; l´avresti detto un altro S. Luigi. Bastava vederlo per esserne edificati». E ricorda l´ammira¬zione del Conte Cays, vedendo « un giovanetto che pregava con tale atteggiamento, che ne fu pieno di stupore », e volle poi sapere chi fosse. Anche la buona e sagace Mamma Margherita aveva scorto, in quel fanciullo che pregava così, un´anima più bella delle altre: « Tu hai tanti giovani buoni, diceva al figlio suo, ma nessuno supera la bellezza del-cuore e dell´anima di Savio Domenico... Sta in chiesa come un angelo che dimori in Paradiso » (2).
Invero le parole dello Scrittore (e di sua madre) tornano una per
una, frase per frase, nelle testimonianze, come ricordo personale dei
singoli, alcuni dei quali aggiungono: « l´ho visto pregare » (3), e uno ricorda « lo slancio degli occhi » in certi momenti, e senz´altro dice che pregando appariva un serafino (4). Il Cagliero, che nel Processo Diocesano (pag. 195) fa anche i nomi dei compagni d´allora ancora
viventi quali testi di veduta di ciò che Don Bosco ha scritto in quella pagina, e la cita come espressione di ciò che avrebbe a dirne egli
stesso (come s´è visto al principio del capitolo primo), altrove afferma che « il suo esteriore raccolto, devoto e pio era superiore alla sua età,
(i) Per ordine: Piano, x19; Cerruti, 125-126; Melica, 172, 19o; Cagliero, 132.
(2) Mem. Biogr., V, 207. Le altre parole di quel discorso saranno ricordate altrove. — Non c´è neppur da pensare che vi potesse entrare quella forma di rispetto umano a rovescio, ch´è la posa dell´edificazione. In un essere quale cono¬sciamo noi il Savio, non c´è posto per nient´altro che per la preghiera e umile e tranquilla ».
(3) Somm., Melica, 123; Cerruti, 12,6; Don Rua, zos, e Docum. VII, pa¬gina 464. Don Rua lo ricorda immobile e che e nel pregare s´inginocchiava sempre in modo da non appoggiarsi nè coi piedi nè colle mani e come dice Don Bosco, e come abbiam visto noi farsi dallo stesso Don Rua.
(4) Somm., Cerruti, 52, 191.

292´m
e quale si vede in anime provette e privilegiate nella divozione: il suo aspetto era pari a quello d´un angioletto nella preparazione e ringraziamento della Comunione». L´immagine dell´angioletto di¬remmo che rievochi la parola di Don Bosco, se il Cagliero, come già notavamo in altra sede, non l´avesse vista da sè nella figura del pic¬colo santino, di cui fu così tenero amico. E il confronto con le anime provette e privilegiate, che pure torna nelle parole di lui, è un riflesso di parole dette da Don Bosco parlando del Savio coi suoi più intimi. L´Anfossi ricorda il « commovente atteggiamento » del giovanetto davanti alla sua Madonna o dietro l´altare, presso il tabernacolo: « col capo leggermente inclinato, colle mani unite distese sul petto, con un aspetto sereno, che rivelava l´affetto grande che nutriva. In tale atteggiamento rimaneva immobile, senza dar a divedere che altri lo osservasse, e si allontanava lieto e col cuore contento » (i).
o o o
Di qui saremmo condotti agli atteggiamenti affettivi delle due di¬vozioni che dominarono quell´anima: dico dell´attrazione eucaristica e della finalità mariana. Ma ne dirò più oltre. Più prossima è invece la domanda che attinge più a fondo l´interiorità: com´era fatta la preghiera del Savio?
Non dobbiamo aspettarci dalle pagine della Vita una risposta espressa, giacchè lo scopo e l´andamento del libro non comportano di tali indagini. Ma la materia non manca, e sta a noi ritrovarla. Non andiamo negli stati vaghi e non sempre accertati della mistica, e tanto meno nel misticismo pseudo-religioso: teniamoci al concreto, quello della preghiera pregata, reale e positiva, quale comunemente s´in¬tende. Pel fatto nostro possiamo ravvicinare la definizione formale, che dice essere la preghiera « una elevazione della mente a Dio, per esporgli i nostri bisogni o domandargli le sue grazie » (2), con la´de¬finizione del Columba-Marmion: « un colloquio di un figlio di Dio coi suo Padre celeste » (3), che include l´affettuosa intentio di S. Ago
(i) Somm., Anfossi, 145.
(z) Tre definizioni ci presentano la preghiera in aspetti diversi: S. Giovanni Damasceno dscensus mentis in Deum et petitio decenti= a Deo (De Fide, III, 24) citato da S. Tommaso. — S. Agostino: Mentis ad Deum affettuosa intentio (Serm. IX, art. 13). — Gregorio Nisseno: Conversatio et sermocinatio cum Dea est (De orat. Domini, in Patr. Gr., 44, 1124): Singolare e interessante: su tali definizioni lavorano, con intento diverso, tanto il TANQUEttEY, op. cit., 501-502 e seg., quanto il SEGOND, OP. cit., Introduction, IV, pag. 32-33, Nota i.
(3) op. cit., pag. 400:t un entretien de l´enfant de Dieu avec son Père céleste ;>.

293
stivo. Se la preghiera è elevazione a Dio e domanda, ed è, come dice il Nisseno e ripete il Marmion, un parlar con Dio, è ovvio che non
è solo il monologo solitario, ma dialogo interiore, che qualche volta può anche esternarsi: soprattutto è sentimento della presenza di Dio qualunque ne sia il grado e la forma. Ed è perciò stesso compresa (dovremmo dire sostanziata) in un raccoglimento che separa o per abito o per volontà lo spirito dal mondo esterno (i). Non si discorre qui dell´oratio mistica, nè della meditazione raziocinante e metodica, nè dell´estasi contemplativa: una presenza di Dio c´è sempre in ogni preghiera, come, del resto, in ognuno dei tre stati suddetti una pre¬ghiera c´è sempre (2); e lo spirito della preghiera sta in questo.
La preghiera non è uno stato o una maniera di essere particolare; essa è un´attività che si realizza in faune diverse, come la vita (e qui è vita di preghiera, come dicemmo già col Faber) che si esterna nelle forme ed atti reali e concreti dell´esistenza (3).
o o o
Tutto questo non è astrazione: è tutta, punto a punto, descrizione della vita di preghiera e dei modi del nostro Savio. Dice bene il mio buon autore: « La preghiera che non sia un´espansione, una radia¬zione del cuore, non è preghiera » (4). E può essere altro il « colloquio d´un figlio del Signore col suo Padre celeste? ». Pensiamo al suo stato permanente di fede, da cui la preghiera deriva (5): pensiamo alla speranza e fiducia irrefragabile, onde « la preghiera fervorosa e co¬stante era accompagnata da una confidenza assoluta e ammirabile » (6): pensiamo a quell´amore tenero e filiale, che lo attrae continuamente e lo tiene raccolto abitualmente in Dio (7), e ne deriva lo spirito di orazione profondo e continua e il contegno raccolto e fisso in Dío nell´atto della preghiera (8): pensiamo, dico, a tutto questo, e ci appa¬riranno quasi naturali l´orientamento e le disposizioni del suo spirito
(i) È la teoria del Segond, fondata interamente sui testi ortodossi, in oppo¬sizione con le incertezze dei mistici e studiosi profani. Cfr. op. cit., pag. 37, 38-40, 42, 52-
(2) SEGONO, op. cit., pag. 43-45.
(3) SEGOND, OP. cit., pag. 46 e capo VII: Eclarcissement.
(4) Tutto per Gesù, pag. 84.
(5) Somm., Cerruti, 124: t Intera e profonda fede soprannaturale, di cui era prova la sua unione abituale con Dio, e il fervore intensissimo t. Cagliero, 129: « Spirito di fede e unione con Dio abituale t.
(6) Somm., Melica, 172.
(7) Somm., Melica, 190.
(8) Somm., Cagliero, 194.

294
a quelle intensità di preghiera, le quali non possono ritrovarsi se non in chi vive abitualmente nello spirito e dello spirito della preghiera,
e questa espande ed irradia dal cuore.
Lo scienziato annovera e studia nel fatto della preghiera (non di-ciamo di fenomeno, che non s´accorda con la spontaneità d´un atto vitale, e meno ancora con la religiosità a cui ci atteniamo) i singoli elementi, dai più essenziali a quelli che l´accompagnano o ne conse-guono, fino alle astrazioni della mistica areligiosa. Possiamo dire che, con ciò che sappiamo dell´anima e delle disposizioni del nostro santo fanciullo (ed è un fanciullo, e pure ci sta tutto quel che dice la scienza
e tutto quel che l´ascetica trova nelle anime provette e privilegiate dalla grazia di Dio! ») cotali elementi, veduti, ben inteso, nel senso cristiano, si ritrovano tutti. Sono essi il raccoglimento nella presenza di Dio, ch´è essenziale alla preghiera, e può esser pure conquistato con l´esercizio, ed è poi il fine delle aspirazioni d´un´anima amorosa che vuol trovarsi tutta e sola con Lui; è il senso della presenza di Dio col quale si parla, così chiaramente espresso nel Besucco (cap. IX),
e nel Savio, che parla addirittura a voce spiegata (cap. XX), e che fi-nisce con occuparne lo spirito fino ad astrarlo dalle cose, fino alle distrazioni, com´egli le chiama (cap. XX), ma porta seco la calma, la serenità, quel che si direbbe l´abbandono dell´anima alle espansioni del cuore ed alle attrazioni che l´avvincono; e in questo provare l´azione della grazia, e la confidenza del colloquio con Dio (i): collo-quio in cui si congiunge il raccoglimento e il tacito scambio, la con-versatio et sermocinatio tra l´anima e Dio: del che la Vita ci dà pa¬recchi documenti palesi, particolarmente nei dialoghi del Savio con Gesù, uditi da Don Bosco e ricordati al capo XX.
Ed è ovvio, nonchè per definizione, ma per intrinseca condizione, che la preghiera, qualunque ella sia, è sempre un atto di domanda (z): anzitutto (e non per una specie d´eccezione) d´ordine spirituale, e poi d´altra sorta, per sè o per altri: una domanda perciò, che facil¬mente diviene intercessione. E sotto queào titolo ci si dispiega un
(i) FABER, Progressi, pag. 32-34: Tutto per Gesù, pag. 108-113: cap. III, sez.: Dio è nostro Padre; Betlemme, pag. 431 e 469. — Cfr. COLUMBA-MARMION, de¬finiz. cit. — Seguo nell´ordine il procedimento del Segond, che fa di questi punti altrettanti capitoli: ma non posso dimenticare che il Faber, del quale tante volte egli si vale, ha primamente espressi i medesimi concetti, benchè, per l´indole dei suoi scritti, non li abbia assoggettati a sistema.
(z) SAUDREAU, Les degrés de la vie spirituelle: torn. I, p. Il, cap. 3, § 2, pa¬gine zzz-zz3: e Notons-le bien, la demande est la partie capitale de l´oraison ou, pour mieux dire, l´oraison ne commence que par elle. Tant que l´àtne ne se toume pas vers Dieu pour parler, elle peut, il est vrai, méditer: elle ne Arie pas, elle ne fair pas oraison s>. Son io che sottolineo le parole.-

295
vasto campo, che va dall´impetrazione di grazie per cose della vita quotidiana, per sè, come e più per i suoi compagni buoni e cattivi e pei benefattori, fino alle grandi comprensioni della conversione degli eretici, alla visione dell´Inghilterra in procinto di tornare alla Chiesa Romana, e, nel mondo delle anime, alla conversione dei peccatori e
al suffragio dei trapassati. Ed è, almeno per noi credenti, naturale che tale intercessione non sia poggiata soltanto sulla nostra preghiera, ma
si affidi agli intercessori, a quei che furono, fin dai primi secoli della
Chiesa, chiamati advocati: prima e superiore a tutti, Maria, advo¬cata nostra (i). Vi tornerò fra poco.
E poiché non si domanda né intercede se non si crede e non si ha fiducia nell´efficacia della preghiera (lo dice il Vangelo: Omnia quaecumque orantes petitis, credite quia accipietis, et evenient vobis) (MARc., XI, 24): è fuor d´ogni dubbio che un´anima orante, come quella di questo angelo o serafino che fu detto, abbia una tale ferma ed irrefragabile certezza del valore impetratorio, da farne senz´altro un tema delle sue conversazioni e un argomento della sicura salvezza dell´anima (a). E non occorre dire qui come, nella realtà, la sicurezza di tale efficacia fosse confortata dall´esito dell´intercessione. Era quella fede o fiducia, ch´è lo stesso, con che Don Bosco procedeva neI suo sicuro cammino, e il piccolo Domenico salvò la mamma sua miraco¬losamente dal pericolo di morire (3), così come, pregando, ottenne la
conversione di non pochi suoi compagni, e tante altre grazie che gli furono raccomandate o si assunse di ottenere.
Sono temi (e più spesso teoremi) della scienza psicologica appli-cati ad una figura storica, sia pure in misura e aspetto limitati, ma sempre nel vero e nel reale. Un´anima di Santo, veduta nell´alone della preghiera, sarà sempre un oggetto capace d´ogni più profonda rivelazione psicologica. Così, si noti, non intendo spingere l´analisi fino agli stati mistici: ci basta la realtà dell´esperienza vissuta, quale
praticamente si avvera nella vita che conosciamo del Savio che prega.
(i) Si noti che quest´idea è fortemente tenuta dallo stesso Segond, cap. VI, pag. 144-146. — Il Protestantesimo e il filosofismo anticristiano hanno disprezzato il culto dei santi e dei morti: lo scienziato onesto lo riconosce e lo studia. — Quanto all´antichità cristiana, ricordiamo che almeno dal III sec. si trovano le invocazioni ai Santi graffite nelle Catacombe; e poco dopo anche qualche figura di santi advocati (p. es. nel Cim. di Pretestato, la tomba di Celerina), e tutti conoscono la Madonna del Coemeterium maius (sec. IV).
(z) Somm., Cagliero, 195. Cfr. FABER, Progressi, cit., 228-229 (coincid. con SEGOND, cap. IX, La croyance à l´efficacité de la prière).
(3) Somm., Tosco-Savio, 316-319. Ne diremo ampiamente più oltre.

296
o o o
Egli non è un mistico, neppure nel senso più ortodosso della pa¬rola: è un´anima che « vive di Dio, con Dio e per Dio »: vive quella vita che abbiam descritta colle stupende parole del Faber. Non è un fenomeno per lui, ma una vita, il raccoglimento: non può neppure, nella breve rapidissima ascensione di lui, considerarsi come una con¬quista ottenuta per via di metodi e di sforzi: è, come dice bene il Marmion, uno stato dell´anima (1). Che così fosse, ce lo dicono le testimonianze. Oltre la definizione principe datane dal Cagliero, da noi addotta sul principio, ci stanno altre parole che dicono d´un « este¬riore raccolto e pio superiore alla sua età », e come « anche conver-sando palesava la sua intima unione con Dio »; fino a generare « la convinzione che la grande attenzione (noi diremmo: tensione) abbia contribuito ad estenuarlo » (2).
Don Bosco dice il medesimo (e quanto all´estenuarsi sta la sen¬tenza del dott. Vallauri, che ne dà causa alla « continua tensione di spirito *) (Cap. XXI); ma da buon seguace di Francesco di Sales, egli nota il fatto del raccogliersi a volontà « anche in mezzo ai più clamo¬rosi trambusti » (Cap. XIII). Ch´è appunto quel ritiramento spiri¬tuale (retraite spirituelle) così caldamente inculcato e spiegato in con¬creto dal Santo Dottore (3). Ed è il medesimo Dottore che subito fa seguire, derivandola da quello, la proposta, così originale nella storia della vita devota, dell´uso delle giaculatorie. Non v´insisto qui per teoria, chè basterebbero le pagine del Sales e quelle del Faber a dircene in abbondanza (4): sta il fatto che le giacuIatorie erano pel nostro fanciullo familiari, consuete, spontanee, come pensiero parlato, o, per dire più piamente, come espansione dell´amore interno.
o 0 o
Siamo, come comprendono gli esperti della materia, e come s´in¬tende dal termine stesso, nell´aria della preghiera affettiva. Anche qui
(i) Op. cit., pag. 4I8. — Cfr. quanto ai metodi e sforzi, FABER, Progressi, pag. 23. TANQUEREY, n. 1323-1373. — SEGOND, op. cit., I, pag. 78, 8o: « il rac¬coglimento come atto volontario ».
(2) Somm., per ordine: Cagliero, 133; Danesi°, 2o3; Cerruti, 527.
(3) Introduction, cit., p. II, cap. XII. Nel Besucco ritorno su questo con qual¬che commento in più.
(4) Introduction, cit., parte II, cap. XIII. FABER, Tutto per Gesù, pag. 246
e seg. — Chi direbbe che il Segond ne tenga tanto conto, e così salesianamente presenti la giaculatorie come un naturale sfogo del raccoglimento ? Cfr. op. cit., pag. 41, nota 3, e l´Eclarcissement del. cap. VII.

297
bisogna lasciar da parte le graduazioni ascetiche, per le quali alla preghiera affettiva si perviene disponendovisi con le meditazioni e simili (i). Nel Savio (che ad ogni poco troviamo definito in condizioni superiori all´età e, più ancora, al grado delle anime provette e privile¬giate) l´elevazione dell´anima e la radiazione del cuore sono, più che un atto riflesso, un frutto dell´amore affettivo, ch´è il postulato della vera pietà e il segno infallibile del dono di pietà (2). In lui è sentire Iddio, aver contatto con Dio (3): in una parola è amore, che non per¬mette di stornare l´occhio dell´anima da Colui che Io attrae, sicchè il pensare finalmente di Dio e a Dio, e parlare con Lui nell´intimo del cuore diviene lo stato abituale dell´anima del santo (4).
Dire che questo stato è un sogno vivente di quello spirito, parrà eccessivo e forse inclinante ad illusioni mistiche; ma se tu confronti le parole sue quando dice « In quel momento perdo il filo delle mie preghiere e panni di vedere cose tanto belle », oppure: « Mi pare-che il paradiso mi si apra sopra il capo »: se le paragoni con la splendida pagina del Faber sull´amore di adorazione, dov´è detto che « la vita di chi ama così è stupore, silenzio, estasi » e che « la mente sta in uno squisito riposo che non può venire se non dalla visione beatifica, che non sorse ancora nell´anima » (5): ne ricaverai l´idea di quel che fosse nel piccolo Santo l´unione amorosa con Dio. Unione e amore che sono tenerezza. L questo un contrassegno della pietà dei Santi ed il lineamento cristiano della divozione, e senza di essa non son possi¬bili gl´incrementi della santità (6), così come senza cuore e senti¬mento (la Chiesa incoraggia la tenerezza interna, insinuando di chie¬derne il dono) non vi è, non vi può essere vera devozione (7). Tutta la vita sentimentale del Savio viene concentrandosi sempre più in codesta affettuosa disposizione nel trattar con Dio, nè, del resto, potrebbe immaginarsi altrimenti la pietà di un fanciullo santo (8):
(I) TANQUEREY, op. cit., n. 975-997: cfr. spec. n. 977. — FABER, Progressi, cap. XV, pag. 223-224.
(2) FABER, OP. cit., pag. 49; Tutto pei. Gesù, pag. 364.
(3) FABER, Betlemme, pag. 43 -432: «Il divoto non è divoto solo quando fa le sue divozioni: è sempre attualmente divoto ». Cfr. ivi il ragionamento descrit¬tivo che prepara questa sentenza.
(4) MARMION, cit., pag. 418. FABER, Creatore e Creatura, pag. 104 e 216.
(5) FABER, Creatore e Creatura, pag. 216.
(6) FABER, Progressi, pag. 55-56.
(7) Op. cit., pag. 364-367. Il passo e le espressioni sono addotti a dimostra¬zione del pensiero cattolico sul senso della preghiera, dal SEGOND, op. cit., cap. VII: Eclarcissement, pag. 284-285: dove riassume il capo XXIII del Faber nei Progressi (retto uso dei favori spirituali).
(8) Neppure in una donna veramente santa: a meno di voler la santità di Ma¬dre Angelica e di Porto Reale!

298

e lo stupore commosso dei coevi era appunto nello scorgere l´inten¬sità affettiva e commovente ch´egli metteva nelle preghiere visibili e nell´accento delle parole che diceva delle cose divine (i).
Ci si domanderà a questo punto, qual parte vi abbia o vi possa avere Don Bosco, all´infuori di quella dello spettatore. Se si trattasse di Francesco di Sales o del La Colombière, potremmo dirne più che bastevolmente: nel caso nostro, Don Bosco, scrivendo la Vita, ha avuto uno scopo troppo distante dal fare la storia di un´anima, ed ha nascosto la mano che «guidava e sosteneva» lo spirito del Savio. Ma tutta la fisionomia del Savio in preghiera s´impronta dei lineamenti della spiritualità positiva di Don Bosco, che coltiva lo spirito d´amore nelle anime elette, e le educa ad inserirlo nella vita, vivendola per amore.
(i) Cfr. Somm. Proc. Dovrei citare tutti i testi ai titoli De Fide, de Spe, de Caritate in Deum. Richiamo, quanto ai discorsi: Anfossi, 2or; Cagliero, 203, e pag. 129, dove dice dei « sentimenti divini e soprannaturali che lo animavano con meraviglia di noi... che godevamo della sua conversazione ». Cfr. sopra, la citaz. ad init. cap. I. — Per la divozione amorosa: Cagliero, 195: a non poteva occul-tare il grande amor di Dio che informava il suo cuore » con il riferimento alla Vita (cfr. sopra init. cap. I). Ma il Cerruti, 52, notava a lo slancio degli occhi »: il Melica, l´Anfossi, il Barberis, ricordavano a in guai modo pregava, davanti alla sua Madonna e al SS.rno Sacramento ».

LIBRO VII
LA PRATICA RELIGIOSA

CAPITOLO I
La preghiera orale.
Le precedenti considerazioni non debbono indurci a credere che l´interiorità. e il raccoglimento interno, che teneva perennemente unita con Dio l´anima del Savio, si svolgesse, per naturale inclinazione e per una vocazione speciale della grazia, quasi da sé, come indipendente dalle forme di pietà esterna e pratica (i). Dobbiam dire´ senz´altro che avveniva il contrario. Non soltanto egli fu cosi intensamente raccolto in Dio nella preghiera, ma per mezzo di essa egli coltivò nel suo in¬terno e rese più forte la sua unione. Ed è la tesi positiva dello scien¬ziato che vo citando, che il fatto interiore, anche mistico, non è disso¬ciato dalla preghiera collettiva e dalla preghiera orale e comune, le quali, invece d´impedire il raccoglimento, il moto dell´anima e 1e sue
ascensioni, le aiutano invece e rinvigoriscono, perché sono esse stesse preghiera, e una necessità connaturata e spontanea (2). Non m´indugio
a dimostrare il valore spirituale della preghiera orale, rimettendomene ad altro mio studio (3). Sarebbe segno di errata spiritualità farne poco conto (4), o considerarla come un surrogato della preghiera mentale, fatto per le anime povere o impedite di attendere a- cose più alte. Non
(i) Sappiamo che vi furono dei Santi mistici, come l´Alacoque, S. Luigi Gonzaga (MESCHLER, cit., 152), ai quali la concretezza della pratica esterna, tanto più se comune e regolamentare, era d´incomodo al raccoglimento interno. Cfr. SEGOND, cit., VII, 183-184. Forse fu tale, fino a certo segno, la stessa Teresa di Lisieux, non studiata dall´Autore.
(z) SEGOND, op. cit., cap. VII, pag. 192 seg. E principalmente, nell´Eclar-cissement (pag. 194-2951), la storia di questa concezione è una prova della tesi, che, del resto, concorda con S. Tommaso.
(3) Cfr. mio studio: La vita di Besucco Francesco scritta da Don Bosco e il suo contenuto spirituale.
(4) FABER, _Progressi, pag. 225. — Ma io dico pure: segno di errata salesia-nità. Don Bosco non ha pensato ad un´accolta di contemplativi, ma di lavoratori. Nel caso, avrebbe consigliato di scegliere altro Istituto.

302
c´è idea più antisalesiana, e, nel fatto, più antistorica, visto che con i suoi indirizzi Don Bosco ha fatto dei santi, come il Savio, la Mazza¬rello, e (salvo il giudizio di Santa Chiesa) Don Michele Rua, e tanti altri, che se non avranno l´onor degli altari, hanno tuttavia lasciata fama di santità. E n´ha appreso anche e dottrina ed esempio dal suo Maestro, il B. Cafasso. Vorrei poter qui addurre le due belle pagine del mio buon Faber, là dove ricorda come si son fatti Santi i Padri del deserto, e quale fu il pensiero della Teresa di Avila, la dottoressa della potenza e delle prerogative della preghiera orale (I). E non ri¬corro a S. Tommaso (2); ma non posso non dire che in questo pensare Don Bosco, come sempre, sta con Sant´Alfonso, che fu, se altri mai, l´apostolo della preghiera.
Non solo perché il Santo educatore lavora anime non adulte in alcun senso (3), e nella maggior parte anime ignare di tutto, e non tutte pie e dívote: ma perchè il suo spirito lo conduce ad una conce¬zione diversa, eminentemente pratica e possibile a tutti. Nè solo perché, almeno al tempo del Savio, quelli ch´ei dirigeva erano giovani e fanciulli, a cui bisognava adattare quel tanto che permetteva la loro età: chè, come s´è detto, il Savio nelle cose della santità è tutt´altro che fanciullo, e non ha mai l´aria del principiante e del novizio. Se mai, il Santo Maestro avrebbe dovuto volgere in altra direzione, in quell´altra, il suo indirizzo spirituale, quand´ebbe intorno a sè uomini fatti, cioè quei giovanetti medesimi fatti anime adulte. E non consta, come sappiam bene noi tutti della terza, sesta e nona ora (l´undecima auguriamoci che sia ancor lontana). La spiritualità di Don Bosco è sempre una, pei giovani come per noi, salvo in quanto dipende dallo stato canonico della vita religiosa, la quale tuttavia deve, nel suo pen¬siero, essere vissuta col medesimo spirito.
Tutto perciò lo conduceva a preferire e, pei giovanetti, prescrivere e promuovere la preghiera vocale: collettiva, se riuniti, personale, se isolati: ma sempre preghiera detta, formulata, verbale. Non poteva di certo pensare ad una meditazione od orazione metodica per gli allievi: mentre io vediamo inculcare e volere, con crescente insistenza, la meditazione quotidiana pei suoi salesiani, benché limitata alla mi
(I) Progressi, pag. 247-248.
(z) Summa Theol., quest. 81-86: particolarmente q. SI, art. VII; q. 93,
art. I; q. 91, art. I-II: per il canto, q. 91, art. I.
(3) Le idee di S. Francesco di Sales sono appunto ordinate all´educazione spirituale ed interiore di anime adulte. Cfr. VINCENT, op. cit., pag. 355. La dot¬trina del Santo Dottore è studiata in quest´opera in parte III, cap. V: L´oraison mentale; cap. VI, Les moyens de culture auxiliaire: § 2: Les prie´res vocale:. — Del Santo, cfr. Introduct., cit., parte II, cap. I, XV, XVI.

3o3
sura consueta (mezz´ora) tra gli ecclesiastici e le persone per qual¬siasi titolo avviate a vita di devozione (i).
E pertanto, in quel Capitolo XIII della Vita del Savio, mentre ha segnato con parole incisive la vita indefettibile del pensiero di Dio nell´anima del suo discepolo, egli passa drittamente a mostrare in qual modo quella vita interiore si manifestasse negli atti visibili della pratica religiosa e devozionale.
o o o
Di meditazioni non parla. Vi è un´asserzione dell´Anfossi, non sola coevo, ma intimo amico e condiscepolo del Savio, che « secondo il Regolamento, ogni giorno al mattino si attendeva alla meditazione, alla quale il Servo di Dio dava grande importanza »; che anzi « posso affermare di averlo veduto dopo questa meditazione fatta in comune, ed anche in altre ore, genuflesso, raccolto, fisso in profonda medita¬zione e contemplazione, senza movimenti delle labbra » (2). Ma non si sa come conciliare questa notizia così precisa con le testimonianze degli altri che vi hanno accennato. Il Cagliero dice che « non era in uso la meditazione per i ragazzi » (3): altri o non ne sanno nulla (4),
o parlano di orazione mentale in quanto il raccoglimento abituale tra¬passa nella preghiera (5): o, finalmente, Don Rua pronuncia: « Che facesse meditazione, non credo colla regolarità delle Comunità reli¬giose (giacché allora non esisteva ancora Ia Società di S. Francesco- di Sales) »; ma dalla Vita si vede che egli aveva « mente e cuore sovente astratti in Dio » (6). Nè si vede come c´entri il Regolamento: giacché non n´è parola nè in quello allora vigente nella «Casa annessa all´Ora
(i) Del resto, molte pratiche in comune, di carattere congregazioaistico, non volle inserire nella sua Regola, perchè, come dice già fin dal primo schema del 1858 (la data coincide coi tempi di cui discorriamo): it la vita attiva a cui tende la nostra Congregazione, fa che i suoi membri non possano aver comodità di far molte pratiche in comune s. — Si noti: in quel primo schema delle Regole pre¬sentato a Roma, al cap. Pratiche di pietà, art. 3, era detto: *Ogni giorno vi sarà non meno di mezz´ora di preghiera tra mentale e vocale, a meno che uno sia
im¬pedito dall´esercizio del sacro ministero* e art. 4: a Ogni giorno si reciterà la terza parte del Rosario e si farà un po´ di lettura spirituale ». Nelle successive redazioni, e nella definitiva, la mezz´ora fu portata ad *un´ora tra mentale e vo¬cale* e cioè a mezz´ora di vera meditazione. — Cfr. Mem. Biogr., V, 940-
(z) Somm., pag. 201-
(3) Somm., Cagliero, 593.
(4) Ibid., Ballesio, zo3; Cerruti, 208. (3) Ilrid., Melica, 19o. (6) Ibid., D. Rua, 206.

304
torio di S. Fr. di Sales » (i) e neppure nel Regolamento della Com¬pagnia dell´Immacolata Concezione. Probabilmente l´Anfossi, a di¬stanza di mezzo secolo, ha confuso la pratica della breve lettura che si faceva in fin di messa, e ch´era una piccola meditazione (2), con la meditazione introdotta per regola tra i primi salesiani, ai quali egli appartenne per parecchi anni e fin dal primo inizio, cioè dal 1859 (3)•
In realtà le disposizioni dello spirito nel Savio erano tali che ben fu potuto dire che « le sue orazioni erano più mentali che orali » nel senso che il « raccoglimento abituale », l´avere « il pensiero abitual¬mente raccolto in Dio » (4) faceva sì che la parola esterna della pre¬ghiera esprimeva la parola interiore. Ognuno sa che io parlo con le parole del Sales, il quale vuole nella preghiera vocale l´attention du coeur (5), giacchè ogni orazione dev´essere soprattutto « l´oraison de l´esprit et du coeur » (6). Debbo aggiungere che questo è appunto il pensiero di S. Tommaso ? (7).
O o o

Anche se non in tutti ricorrono i termini specifici che abbiam ci¬tato, può dirsi che tutti, senza eccezione (e non poteva essere altri¬menti), quei che videro il Savio in preghiera n´ebbero profonda im¬pressione, e intesero che quella era una prerogativa dell´essere suo di fanciullo santo. Alcuni hanno notato il fatto, specialmente nel « pre¬gare in comune »: altri nel pregare da sé attendendo alle sue personali
(i) Mem. Biogr., IV, pag. 735 e seg. È il Regolamento a cuí si è alluso più volte, redatto tra il 1852 e il 5854.
(z) Cfr. Giovane Provveduto, Parte prima: Sette considerazioni per ciascun giorno della settimana. Nel preambolo: «Postivi pertanto ginocchioni direte: Mio Dio, mi pento con tutto il cuore di avervi offeso: fatemi la grazia di ben conoscere Ie verità che io sono per considerare ». (Ediz. 1a-45, pag. 3z). E sono veramente temi da meditazione: le verità eterne e i Novissimi. Il Barberis sapeva da Don Bosco che il Savio si valeva « delle Letture e Meditazioni del Giov. Provveduto s.
pag. 198.
(3) Mem. Biogr., VI, pag• 335.
(4) Somm.: Melica, 19o; Cagliero, 194. Le espressioni citate sono comuni ad entrambi nel senso, e la prima anche nella lettera.
(5) Serm. in Dom. Pass., 5 aprile 1615.
(6) Introduction, cit., parte II, cap. I. — Il passo è anche riportato dal SE¬GOND (op. cit., pag. 263). Cfr. su questo tema: VINCENT, op. eit., pag. 360 seg.
(7) Cfr, II-II, q. 83, art. XIII, e q. 84, art. II. Il Segond raccoglie lucida¬mente le idee dell´Aquinate su questo proposito. Cfr. pag. 249-251. Non m´indu¬gio a citare i pensieri del. Faber. Si veda: Tutto per Gesù, cap. VI, sez. VIII: Giaculatorie ed attenzione, dove si riguarda specialmente alle preghiere vocali (pag• 247-249).

305
divozioni: altri poi, e sono tutti, ricordano l´assiduità e la frequenza delle divozioni e del pregare.
Tra i primi, il primo è Don Bosco stesso, che non adduce altra prova della vitalità dell´unione con Dio, se non la maniera edificante
con che « si metteva a pregare in comune ». E lo descrive: «Pareva veramente un angioletto: immobile e composto a divozione in tutta la persona, senz´appoggiarsi altrove, fuorchè sopra le ginocchia, colla faccia ridente, col capo alquanto chino, cogli occhi bassi: l´avresti detto un altro San Luigi. Bastava vederlo per esserne edificati » (Cap. XIII)_ E adduce in prova il fatto che il Conte Cays, Priore della Compagnia di S. Luigi, « la prima volta che prese parte alle nostre funzioni, vide un giovanetto che pregava con tale atteggiamento che ne fu pieno di stupore », e-volle poi sapere chi fosse. « Qual fanciullo era Domenico Savio » (I). Quel che dice Don Bosco è ripetuto, quasi a lettera, dal Cagliero, pel quale, come sappiamo, non c´era altra parola per ri¬trarre il piccolo amico suo che quella di angioletto (2). E poco prima aveva detto che dello spirito di orazione profondo e continuo argo¬mentava dal modo con cui attendeva alle pratiche di chiesa: « dal suo contegno raccolto e fisso in Dio nella preghiera detta in comune »; né solo in chiesa, ma in ogni altro luogo e momento: nelle piccole preghiere dello studio, del- refettorio, nelle orazioni della sera (3). Con lui consuona il Cerruti, che lo dice « un serafino nella pre¬ghiera » e nota la divozione nelle pratiche della comunità (4), così come attestano Don Rua e il Barberis, che dai compagni sentiva dire della sua assiduità (5). Anche la posizione, non certamente comoda, è documentata, e fu anche commentata nel Processo quale atto di penitenza (6).
Altri, in secondo luogo, ci dicono dell´intensità affettuosa e ardente con la quale si concentrava o, per dir meglio, s´infiammava nel pregar da solo là, presso il Tabernacolo e all´altare della sua Madonna, in quel cantuccio della cappelletti, « più prossimo che poteva alla sua
(i) So di ripetere qui il tratto già riferito altrove. Ma qui la cornice del qua-dro è un´altra, e l´effetto è diverso. E poi il lettore mi sarà grato del non obbli-garlo a risalire il libro.
(2) Somm., Cagliero, 195.
(3) Samna., Cagliero, r94.
(4) Ibid., Cerruti, 192 e 190.
(5) Somm., D. Rua, zo6; Barberis, 198. C´era qualche libertà nell´intervenire alle pratiche comuni e nello scegliersi il posto in chiesa; niente di regime col¬legiale.
(6) Somm.: Declarat., n. 7: II, Relaz. deI ch. Michele Rua, pag. 464. — Il Branda, pag. z68, attribuisce a Don Bosco l´idea di penitenza nella posizione in¬comoda.
6 — CAVIGLIA, Den Pesca, unir. Vol. IV. Parte II.

306
« Mamma celeste» (I), quel cantuccio che rimase lungamente ricor¬dato e quasi venerato, tanto che il Besucco, pochi anni dopo, voleva sempre collocarsi là dov´era solito mettersi -il Savio (z). E con quale. sentimento pregasse la sua « Mamma » ce lo dice un suo intimo, l´An¬fossi: « col capo leggermente inclinato, colle mani unite distese sul petto, con un aspetto sereno che rivelava l´affetto grande che nutriva... in tale atteggiamento rimaneva immobile, senza dar a divedere che altri lo osservasse... e si allontanava lieto, col cuore contento » (3).
Altri, finalmente, osservarono l´assidua frequenza di lui nelle divo¬zioni. Lè praticava, per esempio, impiegando le ore libere per recarsi in chiesa da solo o con altri da lui invitati (era una delle forme del suo apostolato), così come vi dedicava i momenti liberi di tempo: il Cagliero ricorda ch´esse davano materia alle sue conversazioni, e Don Rua lo vede « attento alle pratiche e preghiere supererogatorie » (4).
A tale frequenza, quasi rubata sul tempo, accenna la Vita, quando ci dice che « la sua stessa ricreazione era quasi sempre dimezzata: una parte per lo più era passata in pia lettura, oppure in qualche preghiera ch´egli andava a fare in chiesa con alcuni compagni in suf¬fragio delle anime del purgatorio o in onore di Maria SS.ma » (Capo XIII).
o 0 0
Quest´ultima parola è l´unico legame tra quanto l´Autore ha detto dello spirito di preghiera e il discorso sulle divozioni particolari e le pratiche ed esperienze più alte della vita religiosa, che si estende pure al capitolo successivo. Già l´abbi= detto: nella Vita del Savio l´or¬dine e la concatenazione metodica non sono il primo pensiero dell´Au¬tore. Nel Besucco, dettato con più evidente preordinamento (dico della seconda parte, ch´è tutta di Don Bosco), si discorre della divo¬zione Mariana ed Eucaristica prima (Cap. XXI) dello « Spirito di preghiera » che forma il Capo XXII; e ciò non solo per riassumere, ma per internare maggiormente il soggetto. Ma con questo trapasso che vediamo nella Vita del Savio, egli c´introduce in un campo che vuol essere esplorato con certa cura, giacchè nella sua parte massima e sostanziale è tanto strettamente connesso con tutte le sue con
(i) Somm., Cagliero, 135. — Cerruti, iz6; Melica, 123-124: non usciva
mai dalla Visita al SS.mo Sacramento senza portarsi all´altare della Vergine, sup-plicandola di riceverlo tra i suoi figli e santificarlo a. (a) Vita di Besucco, cit., cap. XXII.
(3) Somm., Anfossi, 145. Già citato più sopra.
(4) Somm., Cerruti, i9o; Cagliero, zos; D. Rua, 207.

3o7
cezioni, quanto può essere uno dei dati essenziali della spiritualità da lui infusa nella sua più genuina e profonda tradizione.
Anche noi seguidnao l´Autore, parendoci d´aver detto quanto ba¬sta, ed anche più, sul primo spunto del tema. È tuttavia opportuna un´osservazione che vale per le cose precedenti, e più ancora per quelle che seguono. Essa viene a continuare e completare quanto s´è detto poco innanzi circa l´indirizzo che Don Bosco diede alla vita della
pietà e che dà ragione, in certo modo, del trapasso, apparentemente inatteso, poco fa accennato.
Ed è che, contro la preferenza troppo spiccata e unilaterale degli incipienti per la pietà interna, nel concetto di Don Bosco le pratiche esterne di religione e di divozione, compresi i Sacramenti, assumono il loro vero aspetto di cose interne, la preghiera vocale prende la sua vera importanza, e le divozioni, con le piccole cose che vi stan con¬nesse, fanno nelle anime un lavoro che può dirsi ascetico: un lavorio profondo ed interno, finchè, quando si è pervenuti (è il caso del Savio, di Don Rua e della Mazzarello) ad una santità eminente, le pratiche esterne diventano vasi ricolmi, nei quali Gesù ha mutato l´acqua in vino, ch´Egli si compiace di versare continuamente nell´anima (t). Ho parlato colle parole del mio Autore, il quale, qui e altrove, inter¬viene a dar ragione a Don Bosco.
0 0 o
E cioè non solo nel fatto del valore delle cose esterne, ma non meno in quello delle piccole cose e comuni della pratica religiosa. Il nostro _Santo Maestro ha scritto nel Magone al capo IX: « Teniamoci alle cose facili, ma si facciano con perseveranza ». Ciò rispondeva ad un´obbiezione, che quelle pratiche seguite dal suo singolare figlio spirituale erano cose triviali. E il Faber, nel capitolo più caloroso dei Progressi dell´anima (quello del Fervore, cap. XXVI), ci dice ap¬punto che l´anima compresa dal fervore « dilettasi delle cose comuni e triviali, alle quali attendasi con perseveranza, e che siano animate da costante attenzione: il che è prova infallibile della sua potenza e della sua presenza » (a). E, per tornare al concetto precedente, della intrin¬seca spiritualità delle cose piccole comuni, è ancora il medesimo au¬tore che, in altra opera, osserva: « È meraviglioso il vedere come
(i) FABER, Il Piede della Croce, pag. 149-15o.
(a) Op. cit., pag.- 458, ediz. Marietti, 1889. ´Don Bosco non potè certamente conoscere quel libro, scritto nel 1854, ma rifuso nel 5859 e tradotto nel 1889. Cfr. sopra, lib. VI, cap. III, pag. 290.

3o8
Santi nella loro sublimità ritornano sempre alla sapiente piccolezza e alle trivialità (sic) infantili, colle quali iniziarono la loro carriera r> (t). C´è da pensare a Don Rua, a Don Bosco stesso, che, già pervenuti ad età avanzata e addestrati (povera parola!) nelle ascensioni dello spirito, mettevano una cura studiosa nelle pratiche più comuni del buon cristiano, e, per esempio, non avrebbero cominciata e finita la
loro giornata senza dire le orazioni imparate da mamma.
È bene insistere su quest´idea, al fine di aver preparato il terreno
a tutta la serie dei fatti in cui tali indirizzi si manifestano. Perchè è solidamente vero che colui che riflette ed ama, trova nelle cose più comuni della fede maggior attrazione (e molte volte maggiore) che non per le manifestazioni straordinarie del soprannaturale, e per lo più tali cose sono per lui non meno prodigiose. Non occorre enume¬rarle. Le cose che sono partecipate dalla maggioranza dei fedeli do¬vrebbero essere da noi amate ed apprezzate più di quelle che sono partecipate da pochi, o che sono singolarmente in noi. In religione ciò che è comune è migliore di ciò ch´è particolare, perchè ciò ch´è comune è universale. Nella vita divota le persone savie apprezzano sempre più la tendenza a questa stima, a questo amore per le -cose comuni della fede. Anche qui parlo col mio autore, che questo scri¬veva precisamente quando Don Bosco dettava il Magone, e preparava la nuova edizione del Savio: quando cioè riaffermava anche con gli scritti il suo pensiero (2).
0 o o
Ci è cosi aperta la via alla disamina della vita devozionale del pic
· colo Santo: la seconda vita della sua personalità spirituale, della quale essa ci presenta con chiarezza di contorni e splendore di tinte gli at¬teggiamenti in cui si dispone, quasi fossero le parole con cui si esprime. E s´intende senza fatica, quando si pensi che codeste anime tutte di Dio hanno da Dio ricevuta. una seconda vita, ch´esse vivono pri¬vatamente con Lui, e che è come una legge divina alla loro vita eterna: un´attrazione individuale della grazia che si scorge, più che altro, nelle divozioni dell´individuo, ed in nulla è più importante che nelle divozioni, per la relazione che corre tra la divozione e la virtù. (3). Divozioni differenti connettonsi con differenti virtù, ed hanno pel
(i) Il piede della Croce, cit., pag. 555.
(2) Cfr. FABER, Il Prezioso Sangue (pubbl. 586o), pag. 292-293.
(3) FABER, Betlemme, pag. 224. — Altrove: it Non v´ha dubbio che ciascuno ha una vocazione: parimenti ogni persona spirituale ha un´attrazione devozionale od una successione di tali attrazioni n: pag. 2,28.

3o9
conseguimento di quelle dei doni speciali omogenei al loro spirito, alla loro indole. Lo Spirito Santo guida anche le diverse anime o per mezzo deI carattere naturale, o per attrazione sovrannaturale verso le differenti divozioni, ed invia all´anima diversi lumi riguardo alle medesime. E la divozione tenera, anzi la tetterezza indispensabile
ad una vera divozione, è appunto il frutto dello spirito di pietà, dove la tenerezza specializza, ossia sceglie un oggetto, e vi si affissa parti
colarmente « come nel cielo ci si affissa specialmente su una costella¬zione od una stella» (i).
Nè, dicendo questo, veniamo in contrasto con quanto dovremo dire fra poco degl´indirizzi di Don Bosco. In tal parte, più che al¬trove, anzi massimamente, si concreta ed appare quell´identità di spirito che noi abbiam posto a fondamento del nostro studio: che cioè il Savio riuscl formato nel tipo più genuino concepito dal Santo Mae¬stro, perchè già egli stesso era fatto per essere tale, e, come si disse altrove in tal proposito (a), Don Bosco era fatto pel Savio perchè il Savio era fatto per Don Bosco. L´esito soprannaturale di quell´in¬dirizzo, quale la Vita ricorda, e i carismi concomitanti e l´elevazione morale a cui conduceva, ci convincono che a quell´età e con lo svi
luppo che la santità prese in lui; non poteva avere altra via, perchè quella era la sua vocazione (3).
(i) FABER, Progressi, pag. 352 e seg. Qui sì compendia in. breve la dottrina teologica delle divozioni speciali, generate dai doni dello Spirito Santo, special¬mente dal dono di pietà, quale il nostro Autore svolge dottamente nel luogo in¬dicato. A quello rimetto il lettore, non essendo mio compito farvi delle tratta¬zioni dottrinali, bensì di valermi delle dottrine a spiegare i fatti spirituali.
(2) Cfr. sopra, lib. III, cap. I, pag. 527.
(3) FABER, Betlemme, pag. 328.

CAPITOLO II
Divozione e dedizione a Maria SS.
Sul concludere del primo Libro di questo studio ho spiegato quale fosse la disposizione spirituale del santo fanciullo al momento in cui venne nelle mani di Don Bosco, e come non gli mancasse che la pa¬rola indicatrice del Maestro, perchè si affermasse prodigiosamente in lui quel che prima era appena adombrato in forma indefinita: là avevo raccolto, dirò, quello che c´era e quello che non c´era, e che Don Bosco avrebbe messo, svolgendo nelle forme sue quella voca¬zione: e dico sue tanto per la vocazione quanto per Don Bosco, perchè, secondo il mio concetto, esse coincidono (i).
Entrando nella´ sfera spirituale di Don Bosco, il santo giovinetto si trovò per ciò stesso nel clima devozionale del Santo Pedagogo, e lo assimilò tanto, da farne la -vita della sua santità: visse di amore affet¬tivo, o, diciamo, di tenerezza per Maria, e visse di vita eucaristica (z). Sono questi i due poli dell´indirizzo devozionale di Don Bosco: un indirizzo sostanziato della più ineccepibile teologia, e permeato di quel senso dell´universalità, che contrassegna lo spirito della Chiesa e di quanti alla Chiesa sono più profondamente e convintamente de¬voti (3).
Il Santo Pedagogo delle anime, con una veduta che quasi è vi¬sione, ha intuito come fosse assolutamente necessario poggiare tutta Ia vita dello spirito, e la genuina cattolicità di essa, sui due principii primordiali, che, per loro natura, sono anche inscindibili; e, lasciando di concentrarsi in una particolare forma di divozione, come altri Santi
(i) Cfr. sopra,- lib. I, Cap. V.
(z) Somm., Cerruti, 126: «Le due principali divozioni erano per la SS. Euca¬restia e per Maria Immacolata ».
(3) E cfr. con quanto si è detto poco sopra (pag. 3o8) circa Ia preferenza della vera divozione per ciò ch´è comune a tutti i fedeli ed è universale.

3"
che ne crearono delle bellissime (i), si dedicò a quella concezione devozionale ch´era ad un tempo un´espressione totalitaria della fede, e una fonte indefettibile della vita affettiva, che dev´essere l´anima propria della vera spiritualità. Non è qui il luogo di spiegare come e quanto la teologia dogmatica sia la legge latente e l´infallibile unità di tutta la multiforme divozione della Chiesa: è un fatto, e lo vediamo nei Santi, e in Don Bosco più davvicino, che essa tende a conver¬tirsi in amore, e l´amore, ricevendola, la trasforma in divozioni (z). Don Bosco va senz´altro ai primi elementi di codesta teologia: e come il culto di Maria e quello del SS. Sacramento sono indivisibili e paralleli, e nel fatto « è quasi sinonimo il dire che uno è gran divoto della Madonna e che è gran divoto del SS. Sacramento » (3), così, per questo senso d´intima comprensione praticò ed insegnò paralle¬lamente e congiuntamente le due divozioni (4).
Tale indirizzo era per tutti, fossero i fedeli comuni o fossero i giovani da lui educati. Per tutti egli vedeva una ragione intrinseca di rinascita spirituale, che rifletteva il richiamo della società alle vie della fede e della vita cristiana, promosso, dopo la Rivoluzione, da Pio VII e culminato con Pio IX nella definizione dell´Immacolata (a). Per i - suoi giovani quelle due divozioni erano il principio vitale della pietà educativa e formativa, tanto nel senso d´una giusta formazione cri¬stiana, quanto nel superiore intento d´una più fondata spiritualità, capace di elevarsi, come si vede nei suoi giovani santi, ai sommi gradi.
Codesta visione della santa pedagogia appare soprattutto in ciò che si appartiene alla vita Eucaristica, e lo vedremo fra poco: ma in mano sua anche il culto affettivo di Maria aveva i suoi riflessi profon¬damente educativi e fecondi per Io spirito.

(i) FABER, SS. Sacramento, pag. z63. — Don Bosco non ha introdotta nes¬suna nuova forma devozionale: come il S. Rosario, la Via Crucis, la divoz. ai Sette Dolori di Maria, la divoz. al SS. Cuor di Gesù, la Visita al SS. Sacra¬mento, ecc. Neppure una foratola di preghiera, come la´ Salve Regina, il Memo¬rare, l´Anima Christi, ecc. — La devozione a Maria Ausiliatrice è il culto d´un titolo e d´un Santuario, non una pratica formale.
(2) Op. cit., pag. 252.
(3) Op. cit., pag. 154-155. — Solo la buona intenzione o l´ignoranza possono scusare gli esclusivismi della genterella, che non può prendersi a tipo di giusta divozione.
(4) Se ne ha una prova nel vedere che, nelle pratiche da lui proposte o nei suoi libri o per impetrazioni particolari, non digiunge mai l´una dall´altra. Non mai la Madonna da sola, nè da solo il SS. Sacramento: fosse pure con l´aggiunta d´una giaculatoria ripetuta.
(5) È un riflesso del Faber, coevo di Don Bosco. Cfr. Progressi, pag. 356.

312
0 0 0
La divozione a Maria non è un di più della vita cristiana: essa è parte integrale del Cristianesimo, congiunta com´è alla storia dell´In¬carnazione e alle operazioni della grazia di Dio, e senza di essa, stret¬tamente parlando, una religione non può dirsi neppur cristiana: tanto meno può esistere una qualsiasi legittima spiritualità (a). Senza questa divozione la vita interiore, che non sia una mistica stoica, è impossibile, ed è essa stessa il consolidamento d´ogni divozione (2). Don Bosco non poteva pensare che così, e vi annetteva poi l´altra veduta spirituale, non meno reale e sicura, ch´egli appunto sperimentò nei suoi indirizzi, che le divozioni sane e fondate hanno una vita in¬terna loro propria, un forte spirito secreto, con cui possono impri¬mere un carattere spirituale positivo loro proprio nelle nostre anime. Esse sono qualche cosa di più che la bellezza della santità: sono parte integrante della sua vita. Esse non solamente fioriscono, ma fruttifi¬cano in frutti abbondanti (3). La loro efficacia spirituale è tanto mag-giore quanto più sono collegate alla divozione suprema della Fede, ch´è il culto dell´Incarnazione, il culto di Gesù stesso: sicché, anche per quest´aspetto, le due divozioni parallele ci appaiono sentite da Don Bosco nella loro intima vita di sovrani moventi e fattori spi¬rituali.
Non sia questa un´idea di chi scrive (4), come per innalzare tutto l´insieme delle divozioni ad una sfera d´idee speculativamente vera in sè, ma che forse non fu presente allo spirito del Santo. Noi siamo ormai avvezzi a leggerlo rispecchiato nello spirito del suo santo alunno, e qui possiamo averne le prove convincenti. Il Savio segui Don Bosco non solo nel fatto esterno delle pratiche, ma ne assimilò, senza ragio¬narvi, ma per intuizione istintiva, le più alte e secrete ragioni, e, pos¬siam dire fondatamente, in grado superiore alla sua età e non dissi¬mile da quello delle anime adulte. Egli ebbe un´attrazione specialis¬sima per i misteri dell´Incarnazione e della Redenzione, quelli fonda¬mentali della Fede cristiana: un´attrazione che diveniva gioia interiore e sentimento svelato. Ci basti, a prova, una luminosa e precisa affer¬mazione del Cagliero: s Aveva scolpito nel cuore in grado sommo e proprio delle anime adulte ed esercitate nella perfezione cristiana, il ricordo dei Misteri di nostra Santa Religione. A Natale, Risurre
(i) FABER, Progressi, pag. 48.
(2) Op. cit., pag• 47.
(3) FABER, SS.mo Sacramento, pag.
(4) Del resto, la derivo dalla lettura del Faber e del Columba-Marmion. Non cito luoghi, che sarebbe lungo e superfluo.

313
zione, Pentecoste; era più del solito giubilante e pieno di santi affetti: ne celebrava con noi le novene in preparazione. Ricordo come ne par¬lasse ai compagni per infervorarli, come dimostrasse uno straordi¬nario trasporto di fede » (I).
o 0 o
La divozione a Maria non era adunque un semplice fatto senti¬mentale, appreso dalle tradizioni e costumanze del popolo credente, e come un ornamento e una bella concomitanza della vita cristiana comune: era una realtà spirituale congenita alla fede e passata nella coscienza, per l´intuizione che le anime privilegiate hanno in dono da Dio, ed è prima un´attrazione inconscia, ch´è quasi l´intera vita spirituale dell´anima, e sta all´inizio della vita che poi se ne svolge quando è divenuta cosciente (2).
Lo dico di Don Bosco e lo dico del nostro piccolo santo. Del Santo Maestro tutti sanno la storia giovanile (benchè non sia ancora stata illustrata per questo aspetto la vita spirituale di lui), così come tutti sanno che Maria fu la prima ispiratrice e la perenne cooperatrice d´ogni opera sua: del nostro santino abbiamo ben veduto quali fossero nella prima fanciullezza gli orientamenti dello spirito in tanta parte ancora inconscio, ma già intensamente penetrato di divozione e, so¬prattutto, di affezione per la Madonna. Quando venne da Don Bosco egli era già un divoto edificante, e non ci volle altro che la parola del Maestro a dare una forma e una consistenza ad una divozione che si tramutò, nell´anima angelica di lui, in una luce e in un moto di spiri¬tualità, così come apparve all´esterno, all´occhio dei presenti, una nota caratteristica del suo vivere cristiano e della santità che gli si ricono¬sceva.
Era, per esempio, notato da ognuno il fatto che egli non faceva una visita in chiesa, nè usciva dalla Messa o da altre funzioni, senza pas¬sare all´altare della sua Madonna, come già faceva da fanciulletto alla
(a) Somm., Cagliero, 132. — Analogamente parlano Don. Rua, pag. 154, che, dal vederlo animato sempre dallo spirito di fede e dal fervore della sua vita Eu¬caristica deduce che a andasse ruminando sempre i misteri di nostra Santa Reli¬gione e li meditasse attentamente e divotarnente Il Cerruti, pag. 126: e Sentiva profondamente sui misteri della Religione, e ne parlava con la più profonda e intima convinzione s. Sentire profondamente sui misteri, non è cosa da anime bambine !
(2) Seguo un pensiero del FABER, SS. Sacramento, pag. 109, parendomi che quanto dice della divozione al SS. Sacramento si possa giustamente pensare anche dell´altra divozione. Nel fatto, la prima sensibilità devota della nostra vita fu per la Madonna.

314
sua Parrocchia, ed ivi si tratteneva a lungo, mettendosi più prossimo che poteva all´immagine scolpita, levando gli occhi alla Gran. Madre, e vi restava tutto il tempo diSponibile, e talvolta anche oltrepassando l´orario. Il Cagliero ricordava: « ... dava edificazione a noi, ch´era¬vamo suoi assistenti, il modo col quale diceva l´Angelus »: la preghiera così facile e bella, e che così raramente e difficilmente si dice bene o con appena sufficiente avvertenza (i). Un teste rammentava la voce che correva: « il chierico Rua e Savio sono sempre gli ultimi ad uscir di chiesa ». E Mamma Margherita, parlandone al figlio Santo lo racco¬mandava alla sua attenzione, perchè lo vedeva, dopo la Comunione e le altre pratiche, « fermarsi a recitare la sua parte di Rosario circon¬dato da gruppi di compagni all´altare della Madonna » (2).
o o 0
Si noti. Parlando della divozione a Maria, noi lasciamo da parte ogni titolo celebrativo, esomativo o devozionale. È Maria, la Madonna, senz´altro. Volgarmente diremmo: Quale Madonna indicava Don Bosco, e di quale era divoto il Savio ? Tutte e nessuna. Nel primo sogno dei nove anni, a Don Bosco fanciullo apparve non una Ma¬donna, diciamo così, titolata, ma la Madonna, Maria, la Madre di Gesù. Al tempo di cui discorriamo il Santo Maestro era divoto della Consolata (la prima statuetta della Cappella Pinardi è quella), la Ma¬donna dei torinesi: e intanto col moto religioso che condusse la Chiesa alla definizione dell´Immacolata, si venne orientando verso questa e, con spirito squisitamente cattolico e con profonda lucida com¬prensione, volse l´articolo di fede in amore e divozione (3), e questa divenne per lungo tempo, e per certi aspetti, la sua Madonna (4). E questa additò al Savio fin dapprincipio; a segno che il santo disce¬polo ebbe in quella prima celebrazione il suo primo momento, e dal¬l´Immacolata Concezione denominava la storica Compagnia da lui
iniziata.
( i) FABER, Confer. Spirit., cit., pag. 226-227.
(2) Somm.: Melica, 124; Cerruti, 127; D. Rua, 153; Francesia, xar, e Carlo Savio, 158 (per la divozione in paese); Anfossi, 145; Cagliero, 135-136; Conti, 137; Amadei, 145.
(3) Cfr. sopra, pag. 311.
(4) È nota l´importanza ch´egli diede al culto dell´Immacolata nel suo regime, volendo per quella, anche esteriormente, una festa primaria, e come tutti i docu¬menti capitali della sua Congregazione volle datare dal giorno dell´Immacolata. E 1´8dicembre 1847 apriva il suo secondo Oratorio di Torino, quello di S. Luigi a Porta Nuova, ancora esistente. Anche i primi ritiatti di lui hanno la statuina O l´immagine dell´Immacolata.

315
Il che non escludeva che il Santo Maestro incoraggiasse, sotto qualsiasi titolo, le altre divozioni Mariane: e come con la pratica uni¬versale del Rosario veniva spontaneo il culto alla Madonna con quel titolo (ed è quello dell´umile Cappelletta dedicata là presso la sua casa nativa e quello dell´altare della Madonna nella chiesetta di San Francesco di Sales all´Oratorio, dove il Savio pregava), così egli, per sua divozione, e per suo esempio e incitamento i suoi giovani, colti¬varono la divozione all´Addolorata (tale era• l´immagine dell´altarino nella• camerata del Savio): e il suo alunno ne fu un divoto specialis¬simo. Del resto basta scorrere il Giovane Provveduto nelle prime edi¬zioni, per vedere come il Santo Autore vi avesse radunate le più si¬gnifiewiti e più commendate e popolari divozioni mariane, che poi i suoi giovanetti seguivano con spontanea elezione (1). Che vai quanto dire che Don Bosco, da sapiente Direttore, non ha mai preteso, in questo e in altro, d´inchiodar le anime in una sola divozione (z).
Che poi, dopo il 186o, il titolo di Maria Ausiliatrice si venga fa¬cendo in lui sempre più presente, e finalmente, col destinarvi la Chiesa della sua Madonna, diventi per antonomasia il nome della Ma¬donna di Don Bosco, associandosi, come tutti sappiamo, alla vita delle opere sue ed alla prodigiosa penetrazione mondiale del suo spirito (la parola è dell´Orestano), è un altro riflesso della cattolicità romana e papale del Santo, il quale vide nell´esilio di Pio IX a Gaeta il ripetersi di quello di Pio VII a Savona e Fontainebleau; e come da questo si era originato nella Chiesa il culto liturgico dell´Ausiliatrice, così, per i medesimi motivi, e di fronte ai pericoli allora incombenti sulla Chiesa e sul Papato, egli si dedicò al culto di Maria « aiuto della cristianità», abbracciando in un solo nome tutta la storia delle lotte e delle vittorie della Chiesa: dalle eresie a Lepanto, e da questa ai tempi suoi (3).
Ma la Madonna rimase, com´è, sempre una, ed egli senti e coltivò la Divozione a Maria Santissima, insegnando ad amarla e venerarla per sè nella sublimità della sua natura e nell´amore verso gli uomini. Prima di tutto, nel Giovane Provveduto, stanno, così intitolate, le brevi efficacissime pagine colle quali esorta i giovanetti al culto di Maria (4).
(i) Sono: La pratica del Rosario, le divozioni dell´Addolorata nelle varie forme, del Cuor di Maria, delle Sette Allegrezze.
(2) FABER, Tutto per Gesù, pag. 243.
(3) FABER, Il Prezioso Sangue, cit., pag. 278: «Monumento storico delle vi-cissitudini della Chiesa: un Te Deum perpetuo intonato per la liberazione del Vi-cario di Cristo» è detta l´istituzione della festa del Preziosissimo Sangue: e può dirsi del culto di Maria Ausiliatrice quale lo pensò Don Bosco,
(4) Giovane Provveduto, ediz. 1.-5a, pag. 51-54•

316
Non altrimenti era intesa la divozione rnariana dal suo santo disce¬polo. Credo che, qualunque altra immagine di Maria fosse stata collo¬cata nella nicchia, là su quell´altare di destra della prima chiesetta di Don Bosco, il Savio si sarebbe inginocchiato a pregare con uguale divozione, chiamando sua Mamma la Madonna (r), e pregandola o come Immacolata o come Regina del Rosario, o peI suo Cuore Im¬macolato, o con qualsiasi altro nome caro e divoto. E le pratiche ma¬riane del Rosario, dell´Addolorata, delle Sette allegrezze, del Sabato,
erano per lui altrettanti modi di piacere a Maria e contemplarla; mo¬strandole l´amor suo e invocandola.
Per la conoscenza che io ebbi dei suoi coevi sopravvissuti e dive¬nuti i continuatori di Don Bosco, credo poter affermare che non altra era la forma della loro divozione e lo spirito dei consigli che davano; anche se, per ossequio a Don Bosco e per altri motivi di convinci¬mento, inculcavano il culto di Maria Ausiliatrice e le preghiere con¬formi, effettivamente, e quando parlavano, era la divozione a Maria SS.ma il termine fisso e appreso da Don Bosco in persona.
O o 0
Per quanto è del nostro giovane santo, abbiamo nella -Vita (Capo XIII) una serie di fatti, che della divozione mariana dimostrano la presenza continua e vivace, la profonda penetrazione, l´affettività pre¬murosa, la germinazione spirituale, lo zelo dell´apostolato: una filia¬lità tenera e confidente, che nel moto del cuore trova l´impulso ad elevazioni sempre più alte e suggestioni sempre più squisite ed ele¬ganti (le diremmo finezze) di gesti affettuosi e devoti.
Quello che Don Bosco ne scrive è confermato, e talvolta ampliato, nelle testimonianze dei coevi. Il Santo Pedagogo, il quale scrive prin¬cipalmente per l´esemplarità, ci presenta in primo luogo la divozione nei suoi riflessi spirituali. Se la mortificazione del Sabato era cosa comune ad altri (2), tutta del Savio era la mortificazione dei suoi occhi, destinati « a rimirar la faccia della nostra celeste Madre Maria ». E al Cuore Immacolato dí Maria ch´egli teneva tra i titoli di sua devo¬zione (3), affidava la cura di « conservare il suo cuore sempre lontano
(i) sommo Declarat. n. 14: Pelaz.Bongiovanni, pag. 479. —Ibid., Cerruti, 127. (a) Somm., Cagliero, 289.
(3) Che la divoz. al Cuor di Maria fosse una delle più care a Don Bosco, è prova il fatto che nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, quale fu dapprincipio, il primo altare a sinistra, entrando, era dedicato al S. Cuore di Maria, e noi l´ab¬biamo ancora veduto. Dopo il 1891 fu dedicato a S. Francesco di Sales. L´icona, del Sonetti, si trova ora nella Chiesa Salesiana di Caserta.

317
da ogni affetto impuro a. E tutte le volte che recavasi in chiesa andava all´altare della sua Madonna a dichiararle « di voler essere sempre suo figliuolo, a pregarla di ottenergli di´ morire prima di commettere un peccato contrario alla virtù della modestia » (i). La divozione ve¬niva dall´anima e produceva nell´anima i suoi frutti (2).
Era divozione agile e finalmente industriosa, che prendeva ogni occasione ed ogni forma di manifestarsi (3). Come il sabato è da tempi immemorabili il giorno di Maria, il venerdì, parimenti dedicato al ricordo della Passione, diveniva nel culto mariano il giorno della Compassione di Maria. E il piccolo santo « si portava in chiesa con altri compagni per recitare la Corona dei Sette Dolori di Maria, o almeno le Litanie di Maria Addolorata »; così come la comunione del venerddì era dedicata in onore della Passione di G. Cr. (Cap. XIV). La notizia della Vita è derivata letteralmente dalla Relazione dell´amico Giuseppe Bongiovanni, principalmente dedicata alle manifestazioni di divo-zione mariana del Savio, ed è confermato dalla relazione di Michele Rua e dal Bonetti: ed essi notano che tale pratica a non l´ometteva mai » (4).
Il Savio Angelo (5) ci rivela un particolare di gran significato ed importanza. L´altarino della camerata (di cui tra poco sarà detto) aveva per immagine l´Addolorata, e il buon amico lo aveva veduto «più volte solo, colle mani giunte, fissi gli occhi nella sacra immagine, pregare con tal fervore, che sembrava in estasi sollevato alla contem¬plazione delle cose celesti. Da luogo ove non poteva essere veduto, lo osservava senza disturbarlo, per lungo tempo, perchè mi sentiva nel cuore una contentezza inesprimibile ».
Era dunque una divozione sua, delle più intimamente possedute. La popolare divozione all´Addolorata si era già dimostrata forte ´in lui fin dalla prima fanciullezza, e ce lo dice il suo maestro Cugliero (6). Nella Casa di Don Bosco essa fioriva tra le altre divozioni mariane, con una preferenza che non poteva venire se non daI Padre comune, il quale, seguendo le tradizioni, ne aveva inserito nel Giovane Provve
(i) Somm.: Declarat. n. ro: Vaschetti, pag. 473. Ibid., Melica, 123.
(z) Cfr. sopra, pag. 312, e FABER SS. Sacramento, pag. ´Io.
(3) Cfr. sopra, pag. 314.
(4) Somm.: Declar. n. /4 (Bongiovanni), pag. 480, n. 2; Declar. n. 7 (Rua) pag. 464; Declar. n. 9 (Bonetti), pag. 470.
(5) Somm., Declar. n. I, pag. 454. ti del 13 dicembre 1858, e dice: « Se sono ancor in tempo ». Ma il libro era già in tipografia. In realtà questa e altre notizie non poterono entrare nella Vita.
(6) Somm., Docum. cit., pag. 452: Divoto oltre ogni dire della SS. Ver¬gine Addolorata, ne ripeteva sovente il nome, e invocava anche negli ultimi periodi del suo vivere ». Cioè durante l´ultima malattia e presso a morire.

318
doto le pratiche, ed inculcava di seguirle (i). Aveva fatto anche di più. Tra le sue prime pubblicazioni, enumerate nel Testamento del z6 luglio 1856, è elencato al n. 3 dei libri che riconosce per suoi: I Sette Dolori di Maria - considerati in forma di meditazioni. - Anonimo (2). Si osservi che tutti i santi giovani di Don Bosco coltivarono tale divo¬zione ugualmente e per i motivi medesimi. I compagni coi quali il nostro santino condivideva la pratica del venerdì, sono, per loro pro-pria testimonianza, appunto i più strettamente avvinti alla scuola del Santo Maestro, e che poi restano con lui: sono il Rua, il Bonetti, il Cagliero, il Bongiovanni, il Durando; nè potevano mancare il Piano, l´Anfossi, il Vaschetti, il Melica.
Nel nostro giovanetto quella divozione era così sentita e compresa in ogni senso, da produrre quegl´intimi colloquii da solo, che il suo amico ci ha rivelati. Io credo" che nel suo sentimento, e come per intuizione, egli ne intendesse il valore, così come la sua vita interiore sta in prova della feracità di essa. Non mi dilungo, perchè basta ri¬chiamare cose che sparsamente ho già notate. Invero noi sappiamo di lui quale fosse la tenerezza affettiva verso Gesù e l´interesse per gli interessi di Lui, e l´odio al peccato, pari a quello che distinse certi Santi, e il desiderio della conversione dei peccatori e di quei che se¬guono una fede erronea: sappiamo quale _fosse la carità delle anime e lo zelo pei loro bene: quale fosse la filialità confidente del suo amore per quella ch´ei chiamava la sua Mamma, e l´acuta compassione per tutto ciò che può affliggerla insieme col Figlio suo: tutto rivela la compenetrazione dello spirito di quella divozione, ch´è partecipazione allo spirito di Gesù per mezzo dello spirito di Maria. Sono quelli i frutti, ed è questo il valore spirituale della divozione all´Addolorata (3). In questo e per questo lo spirito del Maestro e dell´alunno santo s´in-contravano.
0 0 o
Ciò non è in contrasto, ma sta a prova di quello che s´è detto: è una delle forme, deí titoli, del dominante culto alla Madonna. I testi
(a) Il Giovane Provveduto, ediz. ra-4a, pag. 114-121.
(z) Mem. Biogr., vol. X (Amadei, 194o), pag. 1331-1333. — Deve essere anteriore allo stesso Giovane Provveduto, ivi pure elencato, ma al n. 7, dopo pa¬recchi altri che sappiamo usciti prima. Il Giovane Provveduta è dato come in ediz. 35.
(3) FABER, .11 piede della Croce, cap. I, § 7: Spirito della devozione dell´Addo¬lorata; pag. 75-83. L´Autore, a pag. 491-492 ne fa senz´altro uno dei segni di predestinazione, ed una delle migliori preparazioni alla morte. Il che si concilie

%-4, 319
arrecano quei fatti non come una specialità isolata e personale od esclusiva, sibbene come dimostrazione della sua diVozione a Maria. Appunto come fa, nella Vita, il santo Autore. Quel che nel libro segue alla notizia ora commentata, ci descrive l´attività del giOvane apostolo nel promuovere tra i compagni le pratiche divote per la Madonna ed ogni maniera di onorarla. Si va fino ai non facili eroismi di cedere quel sabato d´inverno i suoi guanti ad un compagno, perchè possa venire con lui a recitare il Vespro della B. Vergine (chi penserebbe ad una divozione di tal sorta?), e di togliersi il mantelletto dalle spalle e co¬prirne un altro, perchè vada volentieri con lui a pregare. Davvero: « Chi non sentesi compreso d´ammirazione a tali atti di generosa pietà? » (Cap. XIII).
Un importante documento (i) viene a completare il cenno bio¬grafico. Egli « radunava ogni giorno ai piedi dell´altare una corona di giovani, e recitando insieme il Rosario o le Sette allegrezze, inspi¬rava in loro quegli affetti della più viva e tenera divozione ». E ne parlava, per il che sentiva « una viva attrazione » (a). E allora sovente, pressochè abitualmente, la chiamava Mamma: « e quando di questa sua dilettissima parlava mostrava in volto ora una viva gioia, ora un misterioso contegno, un caldo interesse, come se parlasse di cosa che doveva costantemente aver con lui strettissima relazione ed intrinsi¬chezza ». (3). Che cosa poteva essere quella « strettissima relazione ed intrinsichezza » che « costantemente » doveva aver con la Madonna? Mancano espressi particolari: ma (si noti che il Bongiovanni non è un fanciullo, ed è uno dei più validi e intelligenti sostegni del lavoro di Don Bosco nell´Oratorio) non è del tutto infondato il pensare che tra il piccolo Santo e la Mamma sua intercedesse quella medesima confidenza e scambio di colloquii che poi noteremo avvenire col Gesù del Tabernacolo (4). A ciò senza dubbio è dovuta la penetrante effi-cacia del suo apostolato mariano. Ci fa sapere il Francesia, suo mae¬stro nel 1855-56, che « era voce comune che promotore principale della divozione che si manifestò negli anni 1855-56 fosse il Savio, e che ciò fosse frutto del suo zelo per la Madonna » (5).
rebbe ottimamente col Savio, che, prossimo a morire, va iterando le invocazioni a Maria Addolorata (cfr. Somm., Docum. III: Relazione di D. Cugliero, pa¬gina 452).
(t) Somen., Declar. n. rr, pag. 475: Relaz. di Luigi Marcellino.
(2) Somm., Cerruti, r27.
(3) Somm., Declar. n. 14: Relazione di Giuseppe Bongiovanni, pag. 479. Lo scrivente dice: « Dell´una e dell´altra cosa fui testimonio oculare a.
(4) Cfr. sopra, pag. 317, la notizia data da Savio Angelo,
(5) Somm., Francesia, pag. 159.

320
0 o o
Don Bosco stesso, all´inizio del Capo XVII, ci dice che « Tutta la vita di Domenico si può dire essere un esercizio continuo di divo¬zione verso Maria SS.ma. Nè lasciava sfuggire occasione alcuna a fine di tributarle qualche omaggio ». Se quella preziosa sintesi fosse stata collocata qui, nel capitolo che leggiamo, avrebbe servito, come serve a noi, di legame e trapasso a quanto l´Autore verrà esponendo.
« In nessun tempo Domenico appariva maggiormente infervorato verso la celeste nostra protettrice Maria, quanto nel mese di maggio ». Allora il suo apostolato si faceva più intenso e operoso, e « si accor¬dava con altri per fare ogni -giorno di quel mese qualche pratica par¬ticolare, oltre a quanto aveva luogo nella pubblica chiesa ». E s´in¬fervorava a raccontar esempi, di cui s´era fatta una raccolta: « ne par¬lava in ricreazione (noi sappiamo con quale calore), animava tutti a confessarsi e frequentare la Santa Comunione specialmente in quel mese. Egli ne dava l´esempio accostandosi ogni giorno alla mensa euca-ristica, con tal raccoglimento che maggiore non si può desiderare » (i). Si effettuava in pieno la pietà, la divozione, com´era intesa da Don Bosco: le due divozioni s´integravano, e il grande atto eucaristico era pensato come un omaggio a Maria, così come l´onore di Questa era un motivo per stringersi a Gesù.
Altrove abbiam ricordato come vivamente il caro santino sentisse la bellezza delle funzioni e vivesse collo spirito della Chiesa nelle grandi solennità, e allora egli s´interessava giovanilmente anche degli apparati, e ne godeva (z). Qui Don Bosco adduce un commovente epi¬sodio che fa vedere « la tenerezza del suo cuore per la divozione a Maria ». Il fatto, così com´è narrato, appare come un compendio della minuta commossa relazione di Luigi Marcellino, amico tenerissimo del Savio (3). Vi accennano anche l´Anfossi e Don Rua, che riferisce quanto gliene disse il Bonetti, ch´era allora capo di camerata (4): ma il testo avuto sott´occhio dallo scrittore è quello della Relazione, e con questo si può integrare qualche particolare. Stando all´Anfossi, il fatto dev´essere avvenuto nel 1856, e la data sta bene in accordo con quel moto di divozione che il Savio aveva suscitato in quell´anno, come ci ha detto il Francesia, e col crescere nel giovanetto di quel
(i) Anche nel cap. XXI, la Vita ritorna su questo tema, con accenni somi¬glianti, riferendosi all´anno 1856. Di quanto v´ha di particolare ci occuperemo più oltre.
(z) Somm., Cagliero, 1Z9.
(3) Somm., Declarat. cit., 475-476.
(4) Somm., Anfossi, 147; Don Rua, 155.

321
fervore che gli aveva fatto iniziare la Compagnia dell´Immacolata, nel culminare cioè del terzo momento. Infatti al Capo XXI vien rife¬rito il dialogo, in cui, sul finir d´aprile del 1856, egli domandava al Direttore come celebrare santamente il mese di Maria, e più oltre commenta il fervore straordinario di lui « che sembrava un angelo vestito di umane spoglie-» (i).
Gli alunni volevano fare a proprie spese nel. dormitorio « in cui egli si trovava » un elegante altarino attorno alla loro Madonna (era, come sappiamo, un´Addolorata), per solennizzare la chiusura del maggio, e il Savio era « tutto in faccende per quest´affare ». Ma ve¬nendosi alla quota (oh! piccola cosa, chè erano poveri tutti, e le spese, dice il documento, « non riuscivano gravi »), il Savio « non potendo disporre di qualche moneta per quell´opera, andava fantasticando fra sè se qualche cosa avesse avuto onde contribuire anch´egli; ed al¬quanto mesto, come se fosse stato in dovere di ciò fare, disse ad, alcuni compagni » le parole che Don Bosco ci riferisce, e che traducono più ancora familiarmente (è dialetto in italiano) il discorso datoci dal Mar-celino. Dice: « Ohimè! sì che stiam bene! per questi affari ci vogliono danari, ed io non ho un quattrino in tasca. Pure, voglio fare qualche cosa a qualunque costo » (a). E va,. e prende un libro (o alcuni libri) avuto in premio, e torna gioioso, dicendo: « Compagni, eccomi in grado di concorrere anch´io per onorare Maria: prendete questo libro, cavatene quell´utile che potete: questa è la mia oblazione » (3). « Alla vista di quell´atto spontaneo e così generoso, s´intenerirono i compa¬gni, e vollero essi pure offrire libri e altri oggetti » con che si fece, col permesso del Direttore, una piccola fruttuosa lotteria. Non commen¬tiamo il piccolo eroismo sentimentale di quel gesto: è un sacrificio di devozione.
(i) Ed anche col fatto che i compagni non gli permettevano di vegliare per finire quel lavoro a causa dello stato di salute: ciò che nell´anno innanzi non sa¬rebbe avvenuto, dacchè ancor nel settembre ´55 scriveva al padre di godere 4 per¬fetta salute *.
(a) Il Marcellino dice: e O miei cari, io, come già sapete, di danari sono af¬fatto privo: ma guarderò se avrò qualche cosa che compensi a quello che gli al¬tri hanno fatto. Ciò detto, recossi alla sua valigia, e quivi, dopo aver frugato e rifrugato per un po´ di tempo, tolse alcuni libri che aveva ricevuti in premio dal Sig. Don Bosco per la ottima condotta. Poscia, ritenendoli fra le sue braccia quale pegno suo preziosissimo, recossi a noi frettoloso, ecc. a.
(3) Marcellino: recossi a noi frettoloso, e proruppe in questi accenti: — Io
cari amici, non ho altro e non posso darvi altro: accettate questo; vi prego, accet¬tateli; questa è certamente l´unica cosa che offrir vi posso; ma per l´avvenire farò ogni mio sforzo onde eziandio contribuire con mezzi più efficaci. — S´inteneri¬rono a questa vista i compagni... a.
7 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte II.

322
L´episodio ha puranco una non meno simpatica conclusione, nar¬rata nella Vita in gran parte con le medesime parole della fonte scritta. Terminato l´altare, i giovanetti pensano a far la chiusa del maggio colla maggior sontuosità possibile. Ognuno se ne dà la massima sollecitu¬dine; ma non essendosi potuto terminar di giorno l´apparato, era certo mestieri lavorare alquanto di notte. Il Savio si offre in aiuto prima d´agili altro, benanco per tutta la notte. Ma i compagni stessi non lo permisero, perchè aveva fatto poco prima una malattia, « e così deliberarono di congedarlo, obbligandolo a volersi coricare » (i). « Ma non s´arresta ancora qui, dice il Marcellino, l´amore che aveva di stare giorno e notte accanto all´altare di Maria Vergine, e qui ne diede una prova recentissima (sic). Non pago ancora di questo, disse a uno dei compagni: Compagno mío, ti prego a volermi risvegliare subitochè tutto sarà apparecchiato, affinchè io possa vedere l´altare della nostra buona Madre tutto addobbato a festa ». Ed anche, dice un teste, « per aver la consolazione di mandar subito un cordiale sa¬luto alla mia Madre dolcissima » (2).
Don Bosco era, come Direttore, informato della cosa, e nel giorno della chiusura, intervenne di persona alla pia festicciuola (3).
(i) Coricare è per il piem. cougé, andare a letto. Ma i dialettismi qui non disdicono troppo.
(z) La variante è di Don Rua (Somm., pag. 155), che aggiunge: » Il che mi venne raccontato da "Don Bonettì, allora assistente in quel dormitorio n. Forse fu a lui rivolta quella preghiera, giacchè D. Rua dice che si raccomandò » a chi presiedeva ». Si vede che lo scrittore si è attenuto soltanto al documento del Mar¬cellino, e non ha interrogato altri. — Così la Vita non ci dice dell´intervento di Don Bosco.
(3) Lo dice l´Anfossi (Somm., pag. 147) che ricordando i fatti, soggiunge: « Questo io posso dichiarare, essendo io nello stesso dormitorio e avendo preso parte alle varie pratiche... e specialmente nel giorno di chiusura, a cui intervenne Don Bosco s. E allora dobbiamo accogliere da lui anche la variante che e quell´o¬pera fu intrapresa per invito dell´assistente eh. Bongiovanni Giuseppe », che noi sappiamo essere stato coi Savio (e dipoi, sempre) un attivo promotore di cose divote, ed era specialista in tali apparati. Si noti però che il Bongiovanni non era ancora chierico, e neppure il Bonetti. Forse Don Rua avrà scambiato i nomi; anche il Cagliero fu assistente di camerata del Savio: sono dunque annate o pe¬riodi diversi.

CAPITOLO III
Le altre divozioni.
Con quel caro ricordo lo Scrittore della Vita chiude il discorso sulla divozione mariana, e viene all´altro tema. Vorremmo anche noi far così, se non ci corresse l´obbligo di tener conto di tutte le altre divozioni particolari seguite dal piccolo santo. Non si era caricato di troppe cose, nè Don Bosco, seguace in questo di S. Filippo Neri, lo avrebbe lasciato tra tale imbroglio: ma quelle che coltivava erano già da tempo connaturate con la sua pietà, e di natura tale, da non potersene quasi supporre la mancanza: tanto è vero che sono esse pure nell´ambito devozionale del Santo Maestro. Con un particolare spirito che non vuol essere trascurato nella storia spirituale.
Dico dello spirito delle Indulgenze. Don Bosco ebbe per le indul¬genze un culto specialissimo: segno, direbbe il mio Autore, quasi infallibile di buon cattolico (i). Ancor giovane prete, nel dicembre 1842 predicò a Ciniano un´intera settimana su tale argomento; egli stesso si studiava d´acquistarne iI maggior numero possibile, e al popolo, come ai giovani suoi, ne spiegava la preziosità e l´efficacia, e indicava i mezzi di lucrarle, ed è noto che un gran numero ne ottenne dalla S. Sede per i suoi figliuoli e per i suoi Cooperatori (a). Così nel Giovane Provveduto non mise se non pratiche indulgenziate, e specialmente delle più ricche di tal tesoro (3), né indicava giaculatorie se non corredate d´indulgenze: posso dire, coi pochi che ne hanno
(i) Cfr. Progressi, pag. 231. Benchè il Faber scriva specialmente per i catto¬lici inglesi, il concetto è anche buono per gli altri paesi, dove purtroppo i buoni cattolici non sono la generalità.
(z) Mem. Biogr., Il, 128; III, 355.
(3) FABER, Progressi, pag. 231: e Chi è molto dedito alla preghiera vocale è non poco in potere del suo libro di preghiere. La scelta d´una divozione predi¬letta è dunque affare di molta importanza: e quale divozione possiamo noi sce¬gliere con maggior sicurezza di quelle che sono approvate dalla Chiesa e che sono pur dalla Chiesa ornate d´indulgenze? ». Si può consentirecon Don Bosco più di così?

324`´m
ancor memoria, ch´egli assegnava per penitenza sacramentale quasi sempre (e Don Rua sempre, e n´avvertiva) pratiche o preghiere in
dulgenziate. E nel maggio 1858 faceva uscire nelle Letture Cattoliche (anno VI, fascic. III) l´opuscolo: Il tesoro delle Indulgenze ad uso del popolo: anonimo, ma certamente ispirato da lui (t). Il Santo Mae¬stro vedeva il grande nesso che lega alle indulgenze la vita spirituale: alfonsiano anche in questo, se si pensa che il Santo Dottore diceva che per divenir santo basterebbe lucrare tutte le indulgenze che pos
´ siamo.
Il Savio aveva assorbito questo spirito. Un dei suoi più intimi, il Reano, scriveva: « Una volta discorrendo con me disse che, con tanta facilità potendosi profittare delle indulgenze, era da stolto il non profittarne: che egli desiderava di farsi un catalogo in cui scrivere tutte le indulgenze si plenarie che parziali, per poterne acquistar molte, eliberarSi dalle pene del purgatorio » (z). E l´ultima domanda che fa a Don Bosco nel lasciar l´Oratorio, è di essere inscritto tra i partecipanti alla speciale indulgenza Papale in articolo di morte (Cap. XXIII).
O o o
Delle sue divozioni particolari a cui lo Scrittore non accenna espres-samente, ebbero memoria i compagni. L´Anfossi notava ch´egli aveva una speciale sollecitudine pei Santi patroni dell´Oratorio, e di cui si celebravano le feste, S. Francesco di Sales, S. Luigi, S. Gio¬vanni, e pel suo S. Domenico, il cui nome, andava ripetendo, gli ri¬cordava ch´egli doveva esser tutto del Signore (3).
Per S. Luigi ebbe una divozione anche più attiva, in quanto, colla guida di Don Bosco, se io teneva a modello, e le pagine del Giovane Provveduto gliene fornivano buon argomento. Certe mortificazioni, e in tenere lo spirito di mortificazione così imperioso in liti, si alimen¬tavano ed esemplavano sul tipo del Santo Angelico (4). E non è senza un significato particolare della storia di quella spiritualità la somiglianza del Savio col Santo Patrono della gioventù nel predominio delle divozioni. Quattro dominanti divozioni attrassero il cuore di
(i) Mem. Biogr., V, 914.
(a) S01717n., Declar., n. 3, di Reano Giuseppe, pag. 459.
(3) Somm., Anfossi, 148; Piano, 118.
(4) I Cenni sulla vita di S. Luigi non c´erano ancora nelle edizioni dei Giov. Provv. da lui usate (1a-35). E dovette conoscerla dall´altro opuscolo: Le sei Do¬meniche in onore di S. Luigi Gonzaga, pubblicate fin dal 1846, ed allora in edizione.

325
S. Luigi: verso la Passione di Cristo, verso Maria SS.ma, verso l´An¬gelo Custode, verso il SS. Sacramento (i). Chi studia queste divo¬zioni nello stile dell´Autore che io seguo per la sua stretta affinità di spirito con Don Bosco, sa quali vasti orizzonti di spiritualità, e quale storia di santità si dispiegano da codesti centri stupendi di divo¬zione. Ebbene, non sono esse appunto le divozioni del Savio, e quelle più caldeggiate da Don Bosco ?
Della Passione di G. Cristo non ho fatto cenno speciale: ma essa era tanto radicata nella fioritura dell´Oratorio, che spontaneamente, i giovani più pii, e tra essi in primo luogo il nostro santino, celebravano speciali pratiche e mortificazioni il venerdì (2): il Nostro univa-a
co¬desta celebrazione la sua comunione di quel giorno (3).
La somiglianza, che ho detto, tra i due giovani santi, è natural¬mente più che prossima nel fatto della divozione eucaristica e mariana; nell´uno e nell´altro sono notate dai coevi come distintive e proprie nella forma e nel grado. Che se S. Luigi non poteva, per l´indole dei tempi suoi, attuare in pieno la vita eucaristica, com´è possibile nei tempi nostri, in cui Don Bosco ha il merito d´averla per primo inse¬rita nella vita giovanile, è pur vero che, nell´ambito delle possibilità, praticamente non differiva da quella del Savio. S. Luigi, per esempio, era caratteristicamente assiduo alla visita al SS. Tabernacolo, cosa allora pochissimo diffusa, e che prese forma (la forma che ora si tiene, e Don´Tosco accolse) ed impulso da S. Alfonso; delle sue Comunioni Don Bosco parla ampiamente nei Cenni sulla vita di lui (4), conclu-dendo: « La divozione verso il SS. Sacramento fu sempre la più fa¬vorita in tutto il corso del vivere suo a. E così dicasi della divozione a Maria, di cui sappiamo tutti il grado eroico raggiunto dall´angelico Santo con la sua consacrazione fatta ai nove anni.
Queste sono del resto, come si può comprendere, divozioni:cosi strettamente connesse con gli stessi principii della Fede, che, salvo le diversità di grado e di forma, quasi non può pensarsi senza di quelle una santità: certamente da otto secoli in qua non vi è Santo che non le abbia in qualche modo chiaramente coltivate (5).
(I) MESCHLER, op. cit., pag. 153. (a) Somm., Cagliero, 2,89.
(3) Vita, cap. XIV. — Nella Regola Salesiana non è prescritta alcun´altra mortificazione se non il digiuno del Venerdì a in memoria della Passione di N. S. G. Cristo ».
(4) Cfr. Giovane Provveduto, ediz. 1863 e seg. Anche nella Domenica sesta vi fa accenno. Tutto deriva dal primo opuscolo pubblicato nel 1846, e ripubbli-cato in Letture Cattoliche, a. II, fase. IV, giugno 1854
(5) Mi attengo a questo limite, che risale a S. Bernardo e al secolo di S. Tom¬maso e a S. Tommaso stesso. La sostanza della vita cristiana non mancò mai

326
o o o
Più singolare, almeno nel fatto esterno, è la concordanza nei due giovani santi della divozione all´Angelo Custode, che nell´uno e nel¬l´altro fu notata da tutti come una simpatica prerogativa. È appena bisogno di ricordare che in S. Luigi era così spiccata che a lui fu commesso .di stendere la trattazione degli Angeli per un libro di medi¬tazioni che si voleva pubblicare; ed egli ne compose quel suo Trattato sugli Angeli, e specialmente sugli Angeli Custodi, ch´è posto d´ordinario in capo alla serie dei suoi scritti. E se vi ha parte la dottrina, da lui fortemente posseduta, lo spirito della trattazione che contempla l´atti¬vità dell´Angelo Custode verso l´uomo, e poi il colloquio devotissimo che conclude quella meditazione, e le pie pratiche da lui:suggerite, attestano una divozione convinta e affettuosa, quasi una santa fra¬ternità con quegli spiriti celesti (i).
Ebbene, il primo libro che Don Bosco pubblicò, dopo i Cenni su Luigi Comollo, del 1844, furono le settantadue pagine del Divoto del¬l´Angelo Custode, stampato da Paravia nel 1845 (z). Non per alcun motivo occasionale, ma per intimo bisogno di parlare degli Angeli, per inculcarne la divozione e insegnarne la pratica. Egli la sentiva fin da fanciullo, e la coltivò sempre in tutta la vita, facendola interve¬nire nella sua opera di Pedagogo delle anime, non solo come insegna¬mento, ma per propria convinzione, a segno da salutare, incontrando un giovanetto, l´Angelo Custode di lui e pregarlo che lo aiutasse a fargli del bene (3). E il Lemoyne ha ritrovato, su tal divozione di Don Bosco, tanta copia di fatti e d´idee, compresi i devoti e utilissimi in-segnamenti di quel libretto, da sentir il dovere di dedicarvi l´intero capo XXVIII del secondo volume delle sue Memorie (4).
In quest´ordine d´idee e di sentimenti divori il Savio si trovò pie¬namente a suo agio, e l´anima di lui si rassodò in ciò che prima era quasi un´inconscia arresa alle ispirazioni della grazia. Voglio dire che fin da fanciullo (quasi da bimbo) era entrato coll´Angelo Custode in intima familiarità, tanto da rinfrancarsi in ogni contingenza men
nella Chiesa, e non mancò mai la santità: ma il senso devorionale Mariano Si maturò ed il culto Eucaristico si dischiuse in quei tempi. É storia della Chiesa.
(i) MESCHLER, op. cit., pag. 155-157.
(2) Pubblicato anonimo, com´è dichiarato da Don Bosco nel suo Testamento del 26 luglio 1856. E reca il n. 3. — Cfr. sopra, pag. 318.
(3) Mem. Biogr., III, 154.
(4) Mem. Biogr., II, cap. XXVIII, pag. 262-2.71.

327
che sicura, al pensiero che l´Angelo suo lo proteggeva e stava con lui. E qualche volta il buon Dio permise che, in forma dissimulata, egli lo vedesse accanto a sé. Ne abbiam discorso nel primo libro di questo studio (t) arrecandone le prove. Per lui l´Angelo Custode era
un amico di casa.
Venuto da Don Bosco, codesta sua divozione spiccò agli occhi dei
suoi compagni, e i superstiti attestarono, l´uno, il Piano, che tra le altre divozioni proprie dell´Oratorio, questa era in lui specialissima;
altri, l´Anfossi, ricorda che ripeteva sovente l´ Angelis suis mandavit de te, e cercava d´infonderne il culto nei compagni, e in onore del suo Angelo dedicava la Comunione del martedì. Era un insegnamento di Don Bosco (z). Don Rua lo ricorda « divoto, in modo proporzionato (intendi: rispetto alle due divozioni capitali), dell´Angelo Custode, cui si raccomandava in ogni circostanza, particolarmente quando doveva compiere qualche viaggio: come potei, dice, constatare accompagnan¬dolo al suo paese nativo » (3). Tutto questo è bello, ed è pittoresca¬mente conforme alla figura d´un santo fanciullo, che amiamo immagi
nare accompagnato e guidato dall´Angelo suo.
Ma, se il lettore me lo permette, io lo invito a pensare più a fondo.
Noi abbiamo riconosciuto nello spirito del nostro piccolo grande santo una sodezza, una franchezza, una chiarezza nel cammino della vita, che solo può trovarsi in chi vede ogni cosa ed ogni ora al lume di Dio. Ora codesto lume di Dio, codest´occhio di Dio sempre pre¬sente e prossimo all´anima, è l´Angelo Custode. Ed è quasi una conse¬guenza naturale della santità, che i Santi vedano abitualmente coi loro occhi il loro Angelo Custode, in ragione della loro crescente capacità e potenza di vedere Iddio: il Beati mundo corde, quoniam ipse Deum videbunt (MAITH., V, 8) riceve qui la conferma dei fatti. La vista del¬l´Angelo Custode, dono gratuito ed interno, è un frutto della loro santità e un simbolo del loro interno: le illusioni, gli allenamenti umani dileguano quando si giunge ad amare l´Angelo Custode con tanta rispettosa tenerezza, che ne sentiamo la presenza quasi senza sforzo (4).
Con la conoscenza che abbiamo del nostro giovane santo; e ricordando i fatti della sua fanciullezza, possiamo noi dire che questa non sia per l´appunto una stupenda realtà dell´anima di lui?
(t) Cfr. sopra, lib. I, cap. I, pag. zr.
(2) Mem. Biogr., II, 264. — Vita, cap. XIV.
(3) Somm.: Piano, 118; Melica, 173; Anfossí, 148; Don Rua, 156.
(4) La dottrina è del FABER, Confer. Spir.: Illusione, cap_ V, pag.. 211.

328 ´m
0 0 0
A motivi adunque, nonchè soprannaturali, sempre superiori al
l´interesse subbiettivo, e cioè derivanti conispondenza di
amore con Dio, debbono riferirsi le divozioni quando si contemplano nei Santi, e nel nostro piccolo Santo principalmente. Da eodesta•luce
di alta spiritualità s´illumina, come già le altre, la divozione alle anime del Purgatorio.
Intorno a Don Bosco non poteva non fiorire in tutta la sua bel¬lezza, radicata com´era nella pietà dello stesso Santo Maestro, e da lui
inculcata e caldeggiata per sua propria aderenza ai motivi della carità. L´a fede del Santo sul Purgatorio, fondata sulle convinzioni della più stretta dottrina cattolica, e posseduta come fonte di divozione, si ri¬vela anche nei suoi scritti. E la difese contro l´invadente protestante¬simo con quel suo libretto: Disputa tra due ministri protestanti e un parroco intorno al Purgatorio, pubblicato nel 1857 (i). La data del lavoro torna opportuna per il nostro tema: significa un intensificarsi dell´attenzione del Santo Maestro verso quel dogma appunto nell´ul¬timo anno di vita del Savio. Il Lemoyne insiste in ricordare le parti¬colari sue sollecitudini per il suffragio dei defunti, e il raccomandare l´Atto Eroico per le anime, e segnalare a volta a volta le indulgenze opportune; particolarmente, e questo è del nostro presente interesse, l´animare chi pativa od era afflitto ad offrire le sue tribolazioni in suf¬fragio, é questo faceva egli stesso; anche come motivo d´impetrazione consigliava pratiche di pietà per le anime: in una parola esse gli erano
assiduamente presenti e nella divozione personale e nei discorsi fami¬liari ai suoi giovani (2).
I sentimenti e la divozione di Don Bosco si rispecchiano nel santo discepolo. Le testimonianze che n´abbiamo dim5strano l´altezza spi¬rituale del suo sentire. L´idea del purgatorio, se in qualche parte giu¬stamente lo muove a pregar per se stesso (n´ebbe insistente il pensiero lo stesso Don Bosco) (3), si anima soprattutto _di una calda commo¬zione amorosa per quei prigionieri della speranza, che attendono Ia vista e il possesso di Dio; e la sua è una divozione tutta di zelo per gl´interessi dell´amor di Dio, come un´attestazione di amore a Gesù, affrettando la liberazione di quei ch´Egli ama: opera di tenerezza per
(i) Letture Cattoliche, a. IV, fasc. Iz: febbraio 1857.
(2) Mem. Biogr., V, 384. E cfr. in vol. VII, 836-837, il discorso 15 dicembre 1864, per la bella morte di un caro figlio dell´Oratorio.
(3) Sovente negli ultimi tempi di sua vita, ed anche nel Testamento Paterno (1884-1886) si raccomandava alle preghiere dei suoi perchè gli fosse abbreviato il purg-atorio. Cfr. Mera. Biogr., XVII, 272.

k329
le sofferenze altrui, e cioè squisitissima opera di misericordia, che lo schema della procedura colloca sotto il titolo De hercrica cantate in proximum, ma che non meno può allogarsi tra le prove dell´amor di Dio. Ed è perciò disinteressata: nel senso che non prega per le anime, come comunemente si fa dai´ praticanti, per ottenere qualche grazia: è uno slancio generoso di pura carità, di chi dimentica se stesso ed
effonde negli altri l´esuberanza del cuore (i). Che abbia fatto l´Atto eroico non• consta: ma anche senza quello, la sua attenzione caritativa
(quasi scambio delle attenzioni di Dio per lui) era volta a procac¬ciare ogni lucro di meriti in favore di quelle anime. Certamente le descrizioni vivissime che delle pene del purgatoriO faceva Don Bosco ne´ suoi discorsi (a) erano tali da muovere ogni cuore alla pietà. Ma quelle erano intese ad ottenere, nelle singole occasioni, che si pre¬gasse per quelle anime: la divozione vivente e continua penetrava par¬ticolarmente le anime più elette, ch´egli guidava per .le più alte vie spirituali; e poichè è una prerogativa, quasi una specialità, delle anime
interiori (3), egli trovò nel suo alunno la rispondenza più consonante e più completa.
Per quanto è della pratica, ci basti la testimonianza del suo grande amico, il Cagliero. La speciale divozione del piccolo santetto per le anime del purgatorio si manifestava nell´offrire per esse la Comunione ogni giovedì (4), nella intensa attenzione alle preghiere comuni pei defunti, specialmente nell´esercizio della Buona morte. E fin qui po¬teva avere intorno a sè e pari a lui altri non pochi. Ma ciò che di¬stingue e contrassegna l´attività della sua divozione è che «per quelle povere anime soffriva i suoi piccoli incomodi, e, per così dire, la mo¬lestia del freddo e dei geloni, dicendo: Oh! vada tutto questo poco per le anime del purgatorio. Potessi far di più! » (5). Era, lo sappiamo,
uno dei suggerimenti di Don Bosco, ch´egli stesso praticava (6): altra prova di corrispondenza tra le due anime di Santi. In quel «potessi
far di più! » sta racchiuso il significato che abbiam voluto vedere, in questa divozione del Savio; benchè e il Cagliero e Don Rua sembrino annettervi anche un riflesso pratico, in quanto soggiungono che, non potendo, come avrebbe desiderato, far celebrar delle Messe, a causa
(e) Il FABER, Tutto per Gesù, pag. 380-433, tratta largamente e con amorosa teologia tutta la dottrina del Purgatorio, specialmente nei cap. li e VI, a cui mi sono ispirato.
(2) Meni. .Biogr., V, 385.
(3) FABER, op. cit., pag. 423.
(4) Cfr. anche Vita, cap. XIV: le intenzioni della Comunione.
(5) Somm., Cagliero, 224-225.
(6) Meni. Biogr., V, 384.

330
di sua povertà, vi rimediava ascoltandone (i). Nessuno dei due, nè altri testi, ci dicono che alla sua pratica divota egli annettesse alcun¬chè di quell´atteggiamento, non certo condannabile, ma piuttosto in¬teressato, che tratta le anime del Purgatorio al modo d´un qualsiasi altro Santo, per ottenere delle grazie.
Ad ogni modo il culto delle anime del Purgatorio rimane tra quelli propri delle anime umili, nelle quali la religione si colorisce di tene¬rezza e di affetto, più che non viva di concetti alti e grandeggianti. Nel nostro piccolo Santo c´è anche in questo una spiritualità supe¬riore, ma nel fondo rimane, come per tutti, l´umile intimità.
0 0 o
Ma nella mente e nel cuore di lui vi è spazio anche per concetti più vasti, e per quegli argomenti di fede che paiono meno comuni, perchè vivono nei più allo stato d´idee implicite, e solo le menti più mature e le anime più forti li posseggono pienamente. Nel nostro santino, ancor quasi fanciullo nell´età e nella coltura, è possibile, in grazia dell´immediatezza e lucidità dell´intuizione nelle cose di Dio, e _forse non meno per un dono speciale a lui compartito (io starei volentieri per questo), l´acquisto d´una sensibilità distinta e d´un´af-fettività, che diviene amore e divozione, per la divina personalità della Chiesa. C´è in lui la divozione alla Chiesa. La parola qui non vuole intendersi nel senso che le si dà comunemente, benché neces¬sariamente lo includa; bensì come s´è inteso per le altre divozioni, dalle quali questa, nel caso nostro, non differisce se non per la vastità e complessità dell´immagine. E se vi è un punto in cui mirando il ¬Savio si vede Don Bosco, è propriamente questo, che nel giovanetto deriva interamente dalla scuola del Maestro. Essere figlio spirituale di lui e non sentire tale divozione, sarebbe prova d´aver poco appreso dal suo spirito e dai suoi insegnamenti. Che se in altri quella si af¬ferma nelle forme più esteriori e visibili della devozione, nel Savio essa si addentra (e qui vedrei, come ho detto, un dono superiore) fino a diventare una vera divozione dello spirito e del cuore, così da potersi dire ch´egli è, oltrecchè devoto alla Chiesa, un divoto della Chiesa (2).
(i) Somm., Cagliero, loc. cit., Don Rua, 231. Questi ricorda la meritoria of¬ferta delle sofferenze, ma non riporta le parole del Savio: bensì ricorda il punto delle Messe.
(2) Non sia per gioco di parole. Si è divoti di un Santo, e si è devoti ad una causa, ad un Capo, al dovere. C´è la differenza che corre in francese tra dévo tion e Wvouement, Cfr. ToMacszo, Sinonimi, cít., n. 1458.

331
Per Don Bosco la Chiesa non fu soltanto una credenza e un´auto¬rità; fu una divozione fatta di fiducia, d´amore, di venerazione, pos¬siam dire di affetto. Parlando molto umanamente si può dire ch´egli fu in questo d´un particolarismo irreducibile, e insofferente d´ogni qualsiasi eccezione o attenuazione. Ancora sul letto di morte, il 23 dicembre 1887 diceva al Cagliero: « Dirai al S. Padre ciò che finora fu tenuto come un segreto; la Pia Società e i Salesiani hanno per iscopo speciale di sostenere l´autorità della S. Sede, dovunque si trovino, dovunque lavorino » (i). Egli non faceva distinzione tra la Chiesa e la Persona del Papa: il culto, che così bisogna chiamare,
verso la Chiesa egli accentrava nel Vicario di Cristo, e in questa
Persona • egli sentiva il divino non meno che nel Sacramento del
l´altare (2).
Codesto suo sentire era, come ho detto, una divozione. L´amore per la Chiesa, ha scritto il Faber, -è una delle forme del nostro amore verso Gesù: la forma sulla quale furono modellati i Santi; è il nostro amore verso l´amore di Gesù, l´estensione di questo amore alla Re¬denzione (3). La divozione alla Chiesa è la divozione a Dio stesso: è la sicura prova che si ama Dio, ed appartiene alla divozione verso la SS. Trinità, che fu la propria di S. Filippo Neri. Esso, come Don Bosco, vedeva la Chiesa piena di Dio, informata della vita sopranna¬turale di Gesù, penetrata di Spirito Santo. La forma della Chiesa è la continuazione, il prolungamento e la permanenza dell´Incarnazione fra gli uomini. E la verità della vita della Chiesa è il SS.mo Sacra¬mento (4). Se si può parlare di vocazione speciale, può dirsi che la Chiesa, l´amore e la divozione per essa (si dovrebbe dire per Lei) fu¬rono per Don Bosco una vocazione. Non dicono questo le sue parole più sopra ricordate?
o o 0
Concetti e sentimenti divori, si, ma alti e vasti, che parrebbero sproporzionati ad un´anima di fanciullo. Eppure, se raccogliamo quanto fu detto del nostro piccolo santo, non ce ne troviamo molto distanti, quando si sappia dare il giusto significato ai fatti che si co
(I) Mem. Biogr., XVIII, 489.
(z) L´ho scritto anche altrove, e non fu contestato. Cfr. Studio introduttivo alla Storia d´Italia di Don Bosco. Opere e scritti, vol. III, pag. XXIV.
(3) Il Prezioso Sangue, cit., pag. 594.
(4) Op. cit. Alle singole proposizioni rispondono le pagine 257; 593; ibid.; 257; 258.

332
noscono, e si pensi all´intima comunione delle due anime del Maestro e del discepolo. Giacchè codesta superiore forma della divozione non poteva, per l´indole sua, sorgere nell´anima del fanciullo se non per un´induzione subito e pienamente accolta dalla sensibilissima recetti¬vità di lui.
Don Bosco, nella Vita, non ne fa un tema speciale, ma ce ne dà gli elementi che, messi insieme, ne sono la dimostrazione. Quando nel 1854 si celebrò la definizione del dogma dell´Immacolata, noi co¬nosciamo quale fosse lo slancio del nuovo alunno, e come allora si avverò il primo momento della prodigiosa ascensione di lui. Non fu solo l´esultanza del divoto di Maria, ma fu sensazione compenetrata della « spirituale agitazione » di tutti i fedeli (Cap. VIII). E fin d´allora pensava che cosa potrebbe fare per quella nuova gloria della sua Ma¬donna: qualche cosa di stabile e proficuo alle anime (Cap. XVII). La preferenza ch´egli dava alle Vite dei Santi convertitori e alle relazioni missionarie, la predilezione per la Coroncina del S. Cuore di Gesù, dove il pensiero è portato « agli eretici, agl´infedeli e ai cattivi cri¬stiani » (Cap. XIV), la sollecitudine assidua e sempre più premurosa per la conversione dell´Inghilterra., dimostrano in lui un interessa¬mento filiale per la vita della Chiesa. Quella del ritorno dell´Inghil¬terra alla Chiesa. Romana era, come dico, un´ansietà crescente, fino al punto da inserirsi nelle sue estasi e produrre la visione, di cui incaricò Don Bosco di parlare al Papa, e Don Bosco parlò nel 1858 a Roma (Cap. XX).
Il piccolo apostolo «parlava assai volentieri del Sommo Pontefice» e avrebbe voluto vederlo prima di morire, per dirgli « cosa di grande importanza» e cioè incoraggiare il Papa ad occuparsi dell´Inghilterra, predicendo che « Iddio prepara un gran ;trionfo al Cattolicismo in quel. regno » (Cap. XX).
Più espliciti, più evidenti e precisi sono i testi coevi. È il Cagliero che dice del suo santetto: « Ricordo come si entusiasmasse ogni volta che si parlava del Papa come Vicario di Cristo; come giubilasse quando veniva un Vescovo, e allora era il primo a scoprirsi e l´ultimo a co¬prirsi; ricordo .il giubilo grandissimo per la definizione dell´Immaco¬lata » (i). E Don Rua attesta di una fede « di gran semplicità in cre¬dere tutto ciò che la Chiesa insegna, senz´alcun dubbio e senza alcuna superstizione ». E riafferma il suo andante « desiderio della conver¬sione dei peccatori, degli eretici, scismatici e infedeli»; dove colloca le sue sollecitudini per l´Inghilterra e i fatti carismatici che Don
(I) Somm., Cagliero, r35.

´es 333
Bosco ha ricordati. Ed è Don Rua che parla del rispetto, anzi dell´af¬fetto del Savio per la Chiesa e il suo Capo: e come non permettesse « alcunchè che potesse menomare l´autorità dell´uno e dell´altra»
o o o
A qualcuno potrà parere che in queste care circostanze vi sia, sì, dei merito, ma non ciò che ne fa una dtvozione così strettamente le¬gata alla spiritualità. Ebbene, è proprio il nostro (mio e vostro, caro lettore) buon Faber, appunto là dove discorre della divozione alla Chiesa, che dice in sentenza quel che nel Savio abbiam veduto di fatto. Della Chiesa mai parlare con leggerezza; aver piena fede in lei e non mostrarsi mai scontento dello stato e andamento delle cose: nessun Santo lo fu mai. Non dunque criticismo, ma sommessione: una simpatia attiva per le sue vicissitudini, e instancabile zelo, una
sete inestinguibile di anime (a).
E questi sono sentimenti di Don Bosco, infusi nell´anima de´ suoi
figli, e trasfusi interamente nel suo più diletto discepolo: sentimenti da divoto e da Santo. Quella simpatia che allontana ogni menomazione della fiducia, e quello zelo instancabile, quella sete inestinguibile di anime, sono il programma del Santo Maestro, che ha per testo il Da mihi animas, e sono la ragion d´essere dell´apostolato del piccolo santo, che non potendo tutto fare con l´opera, vi giunge col desiderio e con l´estasi. E il forte ragionatore delle cose spirituali ha pensato che dalla divozione e dall´intima unione con la Chiesa ci viene una certa grazia speciale, appunto come viene una unzione speciale dall´intima unione con Dio (3). Non è forse la divozione alla Chiesa la divozione verso Dio e verso l´amor di Gesù?
(i) Somm., Don Rua, 152-153. Potrei citare anche la deposizione Anfossi (pag. 145), circa la" commissione data dal Savio a Don Bosco per il Papa, che però è curiosamente inesatta in un particolare; ma non è di questo luogo.
(z) FABER, Prezioso Sangue, pag. 191, 192, 193.
(3) Op. cit., pag. 195.

CAPITOLO IV
Gli aiuti della divozione.
Pervenuti a questo punto, ci si aprirebbe il campo per lo studio dell´altra divozione capitale e sovrana, e, diciamo pure, dell´altra vita della santità del Savio, qual´ è la divozione e la vita eucaristica. Ma questa nel inondo spirituale di Don Bosco è non solo un fatto devo¬zionale, per quanto sia il più sublime, sibbene un aspetto e un fattore essenziale della pietà formativa o educativa, quale egli concepì la pratica dei Sacramenti e la devozione stessa; e questa pratica si con¬nette con la funzione del Sacramento della Confessione, che nella concezione pedagogica del Santo è strettissimamente legata alla prima. Non si può disgiungere, parlando del pensiero educativo di Don Bosco, l´una cosa dall´altra, ed egli stesso nel capo XIV di questa Vita, come nelle altre Vite scritte dappoi, le stringe insieme con una inter-dipendenza che vuol essere intesa in tutto il suo valore. Ne tratterò in apposito distinto libro.
Come collegamento, non così lontano come parrebbe, io richiamo il lettore a due altri fatti che stanno, per così dire, sullo sfondo di tutto questo complesso di azioni spirituali.
Dico della formazione mentale operata nel fanciullo santo dal cor¬redo d´idee e di sentimenti provenienti dalle letture e dalla « parola di Dio » nella predicazione. Possiamo metterle insieme, come fonte le une e l´altra, dell´istruzione ed educazione spirituale.
Don Bosco zelò l´ascoltare la parola di Dio, che amministrò di persona quasi oltre il credibile, e soprattutto tra i suoi giovanetti (noi conosciamo quando e come predicava, e come e da chi faceva predicare), con quella « efficacia della parola » ch´egli aveva unica¬mente domandata come grazia speciale nella sua prima Messa (i); e nel suo Testamento del. 1856, già citato, tra i Ricordi ai miei figli
(i) Mem. Biogr., I, 519.

335
affinchè si possano tutti salvare, di tre il primo dice: Andate volen¬tieri ad ascoltare la paro=la di Dio » (i).
Non meno zelò e, quando potè, diresse le buone letture e, per i più adatti, le letture spirituali. Certi libri i suoi primi non li potevano conoscere se non indicati o messi in mano da lui.
o o O
Limitandomi al mio proprio soggetto, io prego di non pensare che la santità del Savio sia quella d´un fanciullo .quasi ignorante o incolto, venuta su, così, per germinazione spontanea. Una persona male istruita (noi diremmo anche uno zotico) non può mai raggiungere un´elevazione considerevole nella divozione. Se mai, quando Iddio vuole elevare una persona, ignorante o illetterata ad alto stato di per¬fezione, le infonde scienza soprannaturale (pensiamo a Caterina da Siena e alla Mazzarello): ma la scienza della religione deve trovarsi nell´anima santa e quale causa e quale effetto di santità, e probabil¬mente quale causa ed effetto di essa (2).
Codesto sapere di Dio » è nel nostro giovane santo il frutto, di-ciamo subito sapido e copioso, dell´educazione religiosa e dell´istru¬zione avuta nella predicazione e dalle letture (a). E c´è in questa pro¬duzione, neppure umanamente ordinaria, l´opera formativa personale da parte del Santo Educatore. Anche presumendo nell´anima del giovanetto nostro una capacità d´intuizione propria dei predestinati alla santità, dobbiam sempre riconoscere che il concretamento di essa è dovuto all´educazione, preso il termine in un senso intellettuale che conduce al senso più largo. Orbene, il miglior criterio, la miglior prova d´un sistema di educazione o metodo d´istruzione, è la potenza di pensare che produce nei suoi allievi: il che è di grande aiuto nella vita spirituale. E subito dopo la potenza o capacità di pensare, deve collocarsi la potenza di leggere o, per dir meno, il gusto per la lettura, che in cose di spirito è praticamente la cosa medesima. Questo gusto può essere conseguito da ognuno: non sempre, per la limitazione na
(i) Mem. Biogr., X, 1333.
(2) FABER, Confer. Spir.: Sul gusto per la lettura considerato come aiuto nella vita spirituale, pag. 3o2.
(3) Anche non sapendo scrivere, una volta si sapeva leggere almeno lo stam¬pato (come il Renzo del Manzoni), e così fu della Mazzarello. Ma poi l´istruzione, religiosa orale in antico e nei tempi più vicini a noi teneva benissimo il luogo delle letture e del sapere di lettera. Il caso del Savio ´è, ad ogni modo, ben lon¬tano da tali condizioni.

336
turale degl´ingegni, quella prima, cioè la capacità o potenza di pen¬sare (i).
Dopo quanto sappiamo del nostro santetto, possiamo noi dubitare della sua potenza o capacità di pensare, o della sua preferenza per le letture delle cose divine ? Don Bosco ne dice abbastanza, e in qualche parte lo dimostra abbondantemente coi fatti capitali della Vita; e se delle letture discorre un po´ genericamente (Capo XI), della parola di Dio ascoltata dal suo alunno ci dà, oltre alla definizione, anche le prove più luminose (Cap. VII, VIII, IX). E così è passata nel ricordo dei coevi e intimi suoi. Tra le altre prove della conseguita coltura religiosa sta il fatto che, pur piccoletto com´era, veniva scelto di pre
ferenza, ed accolto poi con vera predilezione, per fare il catechismo all´Oratorio festivo, e a farlo imparare spiegandolo si occupò non poca
parte del suo apostolato tra i giovani dell´Oratorio, così come faceva nei brevi periodi di vacanza tra i fanciulli del suo paese (Cap. XI).
0 0 o
Il caro santino dimostrò, fin dai « cominciamenti » della sua vita nell´Oratorio, l´avidità (che così fu detta dai testi) della parola di Dio. La Vita: « Ascoltava con delizia le prediche. Aveva radicato nel cuore che la parola di Dio è la guida dell´uomo per la strada del cielo: quindi ogni massima udita in una predica era per lui un ricordo invariabile, cui più non dimenticava. Ogni discorso morale (per esem¬pio, le buone notti di Don Bosco), ogni catechismo, ogni predica, quan¬tunque prolungata,- era sempre per lui una delizia. Udendo qualche cosa che non avesse ben inteso, tosto facevasi a domandarne la spie¬gazione» (Cap. VIII). E fa notare: « Di qui ebbe cominciamento quel
_ l´esemplare tenor di vita, quel progredire di virtù in virtù, quell´esat¬tezza nell´adempimento de´ suoi doveri, oltre cui difficilmente si può
andare » (z).
Non è dunque un irnprestito nostro, e come un ripiego per allo
gare comechessia una sorta e una serie di fatti edificanti, il vedere in questo un aiuto precipuo, un contributo efficacemente formativo della sua spiritualità e santità. Il di qui di Don Bosco è una parola che dice più d´ogni altro ragionamento sulle scaturigini del suo prodigioso avanzamento e ascensione spirituale. E noi ricordiamo che, ascoltati
(i) FABER, op. cit., Confer. cit.: pag. 297-311; e per questo, pag. 300-301. Ma education in indi. ha solo senso di istruzione, non il nostro più ampio.
(z) In I-IV ediz. era: " oltre cui non si può andare ". In V ediz. l´espres¬sione fu temperata senza scemarne il merito.

337
con tale spirito, i discorsi di Don Bosco portano il piccolo santo al suo primo momento, -che fu all´Immacolata del 1854, e che il suo desiderio di farsi santo, la nuova parola, è l´effetto d´una predica (Cap. X).
La predicazione domenicale e festiva all´Oratorio era tenuta da Don Bosco alle io del mattino: a Vespro, dal. Teol. Borel. Nell´ultimo anno del Savio Don Bosco narrava le Vite dei Papi, che poi diede alle stampe, inculcando così amore e rispetto al Papa (i). Savio ascoltava con amore e ripeteva poi il racconto ai compagni in ricreazione. Così un teste, il Melica (z). L´Anfossi lo descrive, come Don Bosco (3), « attentissimo alle prediche,. esercizi spirituali, conferenze spirituali settimanali per studenti » e che « nelle conversazioni coi compagni ripeteva le cose udite, come io stesso potei più volte udire » (4.). Il Cagliero lo definisce « avido della parola di Dio in modo non comune alla sua età», sicchè Don Rua può dire che « nel campicello del. suo Cuore non cadeva invano la divina semenza ». Quella semenza esso, che tutti mettevano alla pari col nostro santino, ci fa vedere come fruttificasse: « Nelle conversazioni metteva in campo le ragioni più appropriate per fare ai suoi compagni quel bene spirituale di cui si è parlato. Secondo il caso sapeva colpire il cuore di taluno col timore dei divini giudizi: con altri, col sentimento dell´amor di Dio verso di noi, e per conseguenza dell´obbligo della gratitudine: con altri si valeva della Passione di N. S. e del perdono implorato ai suoi nemici, per indurli a pacificarsi » (5). Lo spirito d´apostolato lo faceva predi¬catore efficace e, come si vede, ben fornito di materia. Non per nulla il Bonetti potè scrivere che, nelle discussioni circa le cose riguardanti la gloria di Dio e il bene spirituale dei compagni, « parlava in modo che pareva un dottorino » (6).
(i) Il primo fascicolo (Vita di S. Pietro Apostolo) uscì pel Gennaio 1857; e già prima doveva aver pubblicato (è il num. 25 dell´elenco del suo citato Testa¬mento del 1856) le Vite dei Sommi Pontefici fino all´anno zar; se pure non ne anticipò l´annunzio in quel documento, mutandone poi il piano d´esecuzione nella serio´ più ampia, che possediamo. Di quell´opera infatti non si trova altra men¬zione. Le Vite di S. Pietro e di S. Paolo sono ivi annunziate al n. 23, benché pubblicate dopo.
(z) Somm., Melica, 124.
(3) Da cui non dipende nelle sue deposizioni, e invece porse a Don Bosco molta materia di osservazione passata nel testo.
(4) Somm., Anfossi, 147.
(5) Somm., Cagliero, 135; Don Rua, 555 e 152.
(6) Somma., Declar. n. 9, di Bonetti Giovanni, pag. 471. — E Don Bosco, Vita, cap. XVIII, dice che « la faceva da dottore ».
8 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Voi. IV. Parte II.

338
o o o
Quel corredo di cognizioni religiose e di pratica spiritualità gli veniva, nonchè dall´assorbita parola di Dio, anche- dalle letture, le quali primamente contribuivano ad informare ed indirizzare alla san
tità lo spirito di lui stesso, e, come esito naturale della santità, a fare di lui un conquistatore di anime. I libri che trattano di Dio, dell´ani
ma, delle virtù e vita dei Santi, muovono i nostri affetti verso Dio. Per le persone spirituali la lettura è una pratica essenziale, quasi *una forma speciale di preghiera, ed è la lettura che l´alimenta e ne sommi¬nistra la materia. È. come l´olio alla lampada, secondo gli antichi mae¬stri. Per lunghi anni nella Chiesa la lettura delle Vite dei Santi fu da sola una delle più energiche potenze di santità. Nei rispetti pratici della vita, rende noi stessi e la nostra pietà più attraenti a quei che ci stanno attorno. Non c´è nulla di più antipatico dell´ignorante gret¬tezza di mente che distingue, nel mondo dei divoti, le persone che non leggono (i).
Così operarono le letture religiose e spirituali sullo spirito del Savio. Purtroppo sono scarse le notizie particolari di libri letti da lui. Nella Vita è detto che « leggeva di preferenza le Vite di quei Santi che avevano lavorato in modo speciale per la salute delle anime » (Cap. XI). E nella lettera al Massaglia egli stesso ci fa sapere che leg¬geva il Kempis (De imitazione Christi) come l´amico suo, al quale piacevolmente rammenta che « il Kempis è un buon amico, ma egli
è morto, né mai si muove di posto. Bisogna adunque che tu lo cerchi, lo scuota, lo legga, adoperandoti per metter in pratica quanto
tu andrai leggendo » (Cap. XIX). Non eran dunque letture superficiali le sue, nè fatte alla lesta. Così ricorda che nelle vacanze, a casa, leg
geva, oltre a quello, il Tesoro nascosto di Leonardo da Porto Mau¬rizio, certamente messogli in mano da Don Bosco, che poi lo pubblicò
nelle Letture Cattoliche (z).
Altro di certo non conosciamo e i testi ne tacciono affatto. Ma già
abbiamo veduto essere improbabile che alla sua divozione per la B. V. Addolorata e per l´Angelo Custode siano stati estranei i due opuscoli anonimi di Don Bosco: così come conobbe la Vita di S. Luigi dal¬l´opuscolo delle Sei domeniche, pubblicato nel 1846, e in Letture Cat¬toliche nel giugno 1854, mentre ancora non era inserita, come fu poi,
(i) FABER, Conf. cit., sparsamente: pag. 302-303; 306-307.
(a) Lett. Catt., a. VIII, faseic. sa, febbr. 1861: li tesoro nascosto ovvero pregi ed eccellenza della S. Messa con un modo pratico e divoto per ascoltarla con frutto. — Opera del B. Leonardo da Porto Maurizio. — Cfr. Mem. Biogr., VI, 837.

339
nel Giovane Provveduto (i). La Vita di Luigi Comollo era il libro più raccomandato da Don Bosco, tanto da farne una prescrizione (n. 7) nelle sue osservazioni al Regolamento della Compagnia dell´Immaco¬lata (Cap. XVII). Ed era uno dei modelli a cui s´informava il Savio, che-10 aveva proposto a tipo dei soci della Compagnia, cui si obbliga¬vano d´imitare.
Ma poi si sa, ed era del resto naturale, che le Letture Cattoliche, le quali si venivano via via pubblicando (alla morte del Savio comin¬ciava l´anno quinto), erano lette dai giovanetti dell´Oratorio: special¬mente, perchè più adatti per lo stile e più cari per la persona del¬l´Autore, i libri di Don Bosco, che al gennaio del 1857 erano già diciotto, oltre alla Storia Ecclesiastica e Storia Sacra, ch´erano fuori di quella collezione. E basta scorrerne i titoli, per vedere quale ingente copia di cognizioni e d´ispirazioni potevano venirne ad un´anima già predisposta alle cose migliori, come quella del santo alunno. La Vita del Comollo, Pietro o la forza della buona educazione, Il Cristiano istruito, le Riflessioni sull´Immacolata Concezione, l´Orazione Dome¬nicale spiegata, La Bestemmia, i Trattenimenti sulla SS. Eucarestia, la Vita di S. Pancrazio, la Vita di S. Martino, Il miracolo del SS. Sa¬cramento in Torino, dovettero certamente passare tra´ le mani del giovane apostolo. Ed altri che non conosciamo, pii e forti come quelli ch´egli stesso ci ha fatto conoscere.
E, tra tutte le sante conseguenze del. gusto e della pratica della lettura spirituale, noi che conosciamo la vita quotidiana e il carattere e stile della sua condotta, possiamo, colla scorta dei grandi Maestri, riconoscere che da quelle veniva l´attraenza della sua pietà, l´elevazione dello spirito sopra le volgarità quotidiane e sopra la superficialità del¬l´anima: quel senso di grandezza insito nella bontà dei Santi (fu no¬tata anche nella S. Teresa di Lisieux), che sorvola sulle piccolezze umane, facendoci giudicar le cose al modo e secondo il giudizio dei Santi: quell´aspirare a cose più sublimi, a prospetti più ampi, a mondi più grandi: quella calma serena che non si turba per tribolazioni e sofferenze, ma, nutrita dei pensieri di Dio, mantiene l´anima nel clima soprannaturale, che le anime sante vogliono unicamente respirare (a).
(i) Ricordiamo, ad ogni fine, che la 3a ediz. del Giov. Prove. è del 1856, sicché dapprincipio il Savio non poteva avere (e forse ebbe sempre) se non la za ediz., del 1851. Ma non c´è divario, altro che nell´aggiunta di qualche lode in
fine del volume.
(a) Posso citare il FABER, op. cit., 3o8, dal quale queste idee, più che desunte,
sono suggerite.

LIBRO VIII
LA VITA EUCARISTICA

CAPITOLO I
Don Bosco e la Pedagogia dei Sacramenti.
Il primo capoverso del Capo XIV della Vita introd, ce con una didascalia l´esposizione della pratica sacramentale del Savio. Al ve¬dere come questa ascenda in lui a fattore primo della sua santità, e con la vita eucaristica ne attinga i vertici, tanto nella perfezione spi¬rituale quanto nei carismi che intervengono a sublimarla, si sarebbe portati ad addentrarvisi senza indugio, lumeggiandone i passi e gli atteggiamenti, com´è appunto il nostro compito.
Ma, come per ogni altro aspetto di codesta singolarissima santità che infine rivela, insieme col fatto personale del giovane santo, la presenza di Don Bosco, e qui in grado sommo e in una forma senza paragone più sensibile e immediata, dobbiamo riconoscere che i prin¬cipii e l´opera del Santo Maestro stanno, ed anzi vogliono mostrarsi, alla radice di tutto, come fattori formativi ed educativi d´una peda¬gogia che, movendo dal fatto spirituale, si estende all´universa con¬cezione educativa del sistema che da Don Bosco prende il nome. La quintessenza di questo sistema sta nella pratica frequente della Con-fessione e della Comunione. Qui è accennato ancora con qualche tem¬perie di espressione: nel capo XIX del Besucco, cinqu´anni dopo, di¬venterà una sentenza categorica.
Veramente non tutti vedono, così alla prima, perché la sentenza del Santo Maestro (e del resto tutti i suoi discorsi di tal materia) congiunga in uno la pratica dei due Sacramenti, e li stringa con una interdipendenza che può dirsi tutta sua. Ma in ciò è appunto da ve¬dere il carattere pedagogico ch´egli ha sempre attribuito a quella pra¬tica: un carattere che trova in Francesco di Sales la prima origine, e in Don Bosco si concreta come fulcro e strumento del lavoro educa-tivo, sia nel mondo intimo della spiritualità, come in quello più visi¬bile dell´educazione della gioventù. Dal sistema di Don Bosco così

344
concepito può uscirne un buon cristiano morale e può formarsene un Santo, qual è il nostro giovanetto.
Il Santo Educatore si vale perciò dell´esempio sublime del Savio per inculcare il suo principio, e in questo senso vuole intendersi l´a¬vere iniziata la sua esposizione con quella sentenza. Non già che dob¬biamo leggere codeste pagine come una didascalia narrativa o para¬bola, dove i fatti siano trovati per l´edificazione; ma la storicità del contenuto è addotta a prova e ad esempio della verità e fondatezza della sua concezione (t). Che anzi ognuno ha già potuto veder di fatto che le didascalie sono in questa sua biografia edificante, la prima tra quelle dei suoi giovanetti santi, molto sobrie e non frequenti: mentre nel Magone (1861) e più nel Besucco (1864) egli sí diffonde e insiste con ragionanienti ora parenetici ora dottrinali, che hanno col fatto biografico un nesso assai meno stretto che non in questa Vita del
Savio.
Qui i fatti reali personificano i concetti dell´Educatore, perchè egli
stesso, che parla talora in prima persona, ne è stato l´ispiratore e la guida: sicché per intenderne al giusto la genesi e il valore è necessario comprendere miei concetti quali siano, e come si dispongano nell´at¬tùazione della sua santa pedagogia. Anche per noi, adunque, come per Don Bosco, biografo del Savio, lo spunto didascalico non allon¬tana dal tema sostanziale e primario: ma vi si lega organicamente e concorre a spiegarlo. Fermiamoci pertanto sul concetto pedagogico quale appare nelle accer nate didascalie e, del resto, nell´intera somma dei pensamenti del Santo.
0 0 o
Questa pedagogia dei Sacramenti è vera e intrinsecamente for¬mativa. Ma non sarebbe esatto il pensarla soltanto nel suo aspetto-pratico e funzionale di un agente psicologico atto a muovere e diri¬gere la volontà, o di una sensazione del conforto e´ dell´incoraggia¬mento che viene dalla pratica eucaristica, col suo riflesso del confer¬mare i buoni propositi. C´è un altro fattore nella mente di Don Bosco, ch´è un Santo: il motivo primario, senza del quale non c´intenderemo mai sul vero essere di codesta pedagogia.
Ed è il concetto, l´idea che Don Bosco si fa della grazia di Dio nel¬l´anima, e del lavoro (la parola è sua) ch´essa vi compie. È concezione
(i) « La storia e tutta la natura è quasi una grande parabola agli uomini proposta da Dio u scrisse il Tommaseo nella recensione laudativa della Storia d´Italia di Don Bosco. Parabola, sì, ma da interpretare com´è, non farsela per US9 proprio. Cfr. mio ´Studio Introd. cit., pag. XXXV.

345
squisitamente teologica e profonda, messa in opera da un Santo. La sua idea pedagogica non ha che vedere col larvato pelagianismo dell´ « educazione della volontà» (tipo Frster e Payot), come col na¬turalismo etico del volontarismo ed attivismo, generati dai moderni sistemi filosofici razionalisti o materialisti: essa è genuina teologia cristiana e cattolica (i), tradotta in concezione educativa.
In questo senso, che deriva da quello fondamentale della dottrina sulla grazia santificante (ossia dallo stato di grazia, dall´essere in grazia di Dio), tutto il lavoro educativo, com´egli lo vede o lo vuole, si con¬centra nel conservare o rimettere la grazia di Dio nell´anima. Per lui la presenza della grazia di Dio è tutto. Io credo che se ai suoi tempi si fosse conosciuto il radium e la radioattività, egli n´avrebbe tratto non pochi luminosi paralleli tra il misterioso lavoro che questo ele¬mento opera nelle strutture molecolari e quello che la grazia produce nelle interne disposizioni dello spirito. Ma il parallelo ch´egli non potè fare, esistè tuttavia nel fondo del suo concetto, in quanto, per la presenza o meno della grazia, l´anima è o non è capace di quelle ope¬razioni, che sono il bene: e ciò tanto più nel giovane, nel quale non è possibile ancora quel che talvolta è possibile all´uomo maturo, di astrarre dal suo stato interno e maneggiare, ad onta di quello, certe energie psicologiche. Come nel bambino ha un´azione eccitante o debilitante o perturbativa ogni minimo che, e ne raccoglie in un solo stato di piacere o di dolore ogni piccola emozione, così nel fanciullo e nel giovane l´anima si trova condizionata dalla consapevolezza o no della grazia di Dio.
Non è questa una spiegazione escogitata da chi scrive. Essa di¬scende da tutto un complesso di fatti, ai quali ciò che si è detto dà la parola, tanto più propria, in quanto è la più consona alle vedute d´un Santo (z).,I1 suo sistema di vigilanza assidua e di presenza at
(i) Bisogna dirlo, perchè certe dottrine protestanti vi sono nettamente con-trarie.
(2) 11 peccato, ch´è la perdita della grazia santificante, è per Don Bosco, come per tutti, l´offesa di Dio, e un Santo, ch´è fatto di amor di. Dio e amor del pros¬simo nel pia alto senso di amor delle anime, non può che volerla allontanata in ogni, modo. Ma è pure la disgrazia dell´anima, che perde la grazia di Dio e si trova incapace di merito, perchè incapace di bene soprannaturale. ll Santo nostro, però, ch´è educatore psicologo, ne vede le conseguenze psicologiche tradotte nei fatti: l´assenza della grazia porta con sè tutti i disturbi e i disordini dell´anima e della volontà, donde si generano i disordini della vita esterna. Vi è insomma in tale veduta tutt´insienie l´amor di Dio, che non si vuole offeso; l´amor delle anime, che non si vuole siano in disgrazia di Dio; e l´amor educativo, che vuole il giovane disposto al bene e capace di apprenderlo. E mi duole confinare in una

346 `1"-,
tiva tra i giovani non ha altro scopo che d´impedire il male e l´Offesa di:Dia (i): la cosa ch´egli teme di più nella sua Casa è che vi si faccia
e vi sia il peccato; e con una frequenza quasi quotidiana ripete la raccomandazione e fa di tutto perchè non resti, saputo o no, presente
o dimenticato, quel male nell´anima: con questo il richiamo perenne
e pubblico e personale a mettersi subito in grazia di Dio: tutto per¬chè, col peccato, la grazia di Dio si perde. Con questa l´anima è di¬sposta a tutto: senza questa (a parte la ´questione del merito o deme¬rito) tutto va in rotta, e il programma ch´egli ha proposto: « Allegria, studio, pietà» (z) non è più possibile. Noi conosciamo la sua massima, che se non si è in grazia di Dio, neppure lo studio può andar bene,
e che anzitutto inculcava di mettersi in grazia di Dio se ci si voleva riuscire. Alla presenza del peccato egli riferisce il manco di vita, d´al¬legria, di serenità, che si rivela nel giovane, come la malavoglia, il sornionisrno, l´irrequietezza e l´indocilità: al che non oppone che un rimedio: rimettersi senz´altro in grazia di Dio colla Confessione ben fatta, caso mai, con la Confessione generale o riparativa (3). E ciò non solo per effetto psicologico, in quanto il giovane sa di essere in peccato, e teme quel che sa dalla religione: ma proprio perchè la grazia di Dio non opera, e il diavolo lavora. E la teologia portata rea-listicamente alle conseguenze spicciole della vita giovanile. Da questo si spiega perchè egli vuole che la Confessione sia frequente (nel caso d´una caduta, parola da lui preferita, dev´essere più pronta che si può) afEmehè si ristabilisca e assicuri il possesso della grazia, e con essa l´energia volitiva e l´attenzione alle cose dell´anima (4).
´Nota" un argomento non estraneo e quasi indispensabile al corso delle idee. Ma la santa discrezione mi vi costringe.
(i) Mem. Biogr., XX, 576: Conferenza // marzo /869. Cito questa, per l´im¬portanza della data. Pel resto, bisognerebbe addurre l´intera letteratura scritta e parlata del Santo.
(z) Vita di Besucco, cap. XVII.
(3) Il cap. IV del Magone è un buon documento: più assai la nota Lettera /o maggio 1884, sullo stato dell´Oratorio. Cfr. Mem. Biogr., XVII, /07-114.
(4) Altri direbbe chissà quali belle cose sulla psicologia umana della vera o creduta chiarezza o liberazione della coscienza quale si riporta dalla Confessione (l´hanno ammessa perfino nella forma laica). Ma io avverto il lettore, ed ogni altro, ch´io sono nettamente contrario al vezzo di laicizzare il concetto -della pra¬tica religiosa, portandola nel. campo delle efficiente spirituali umane: come, per una specie di paura di quei dell´altra sponda, si è voluto fare, e si fa, da quanti trattano della pedagogia di Don Bosco con un psicologismo profano e filosofeg¬giante, senza badare che il suo principio è tutto spirituale e religioso, ed inspi¬rato a ragioni soprannaturali. Si ha paura di far vedere che Don Bosco Santo sia San Giovanni Bosco.

347
o o o
Nel mondo della grazia di Dio viene ovviamente a collocarsi la pratica eucaristica, di cui egli, oltrecchè sapeva per fede e per dottrina, vedeva per intuito interiore ed accertava nei fatti gli effetti operati nell´anima. La frequenza della Comunione, ch´è uno dei fulcri inso¬stituibili del suo pensiero educativo, è, con la presenza della grazia personificata nel Dio che si riceve, una fonte di energie spirituali e, diciam pure, morali; fonte invisibile all´occhio umano, ma non men vera od effettiva nelle sue conseguenze reali e visibili. Vi è Dio stesso, Gesù, che lavora.
E qui non aggiungo l´altro riflesso, strettamente congiunto colla concezione teologico-educativa della grazia, ma d´altra parte agevole a dedursi, dell´ulteriore lavoro della grazia nelle anime, quando sulla grazia abituale (stato di grazia) s´innesta tutta la magnifica fioritura delle grazie attuali, che in vario grado, fino a quello della santità più luminosa, secundum mensuram clonationis Christi (Eph., IV, 7), accom¬pagnano la vita interiore dell´anima. Non è questo il momento di,ad¬dentrarci nei modi misteriosi del lavoro della grazia (t) e nella mira¬bile -reciprocanza della corrispondenza alla grazia con le grazie che per essa si aggiungono, quasi come un conto d´interessi composti (2). Sono i misteri della destra di Dio nell´anima dei Santi (Digitus pater¬nae dexterae è detto nell´inno della Pentecoste), e sono quelli che con parola molto appropriata nella sua semplicità Don Bosco chiamò i lavori della grazia divina. E lo diceva del Savio. Vi dovremo accen¬nare altra volta. Il Santo Educatore voleva la grazia in- tutti, per edu¬carli, e li educava in modo da renderla permanente ed efficace: -e coltivava poi in ciascuno, come nel Savio, le grazie che su quel ter-reno fiorivano: ma i mezzi primarii erano sempre, anche pei
santi, i medesimi per tutti: la Confessione e la Comunione.
O 0 0
E qui potrei venire senz´altro al nostro proprio tema, ch´è lo studio della santità da lui educata nel Savio, se il Santo Maestro non se ne fosse valso, dettando la Vita, appunto per esemplarvi le sue massime educative intorno alla funzione della pratica dei due Sa¬cramenti, che per questo aspetto egli non disgiunge nel suo concetto
(I) FABER, SS. Sacramento, pag. 399.
(z) FABER, Il piede della Croce, pag. 436. In questa pagina il lettore troverà un utile complemento a quello che ho detto dell´idea di Don Bosco.

348`´
e nella pratica direttiva. Non ripeto che nella Vita del Savio non deve pensarsi ad una ideazione didascalica: giacché la realtà storica, comprovata com´è dalle testimonianze dei processi, ci mette in pre¬senza ad una tanto stretta ed intima compenetrazione tra i fatti e la teoria, e tanto semplice e scorrevole è poi la dicitura, da non lasciar luogo all´idea d´un artificio.
Che poi qui, e quasi sempre negli scritti e nei discorsi, congiunga in una sola sentenza i due Sacramenti della Confessione e della Co¬munione, deriva dal fatto che, come per la pedagogia spirituale (o la si, chiami direzione, è lo stesso) egli si attiene a quella parte della prassi alfonsiana che detta al confessore le norme per ammettere alla Comunione più o meno frequente e alla quotidiana, così nel suo pen¬siero si fonde in uno il valore pedagogico della duplice funzione di essi: sia pure che, come sa ognuno, ciascuno abbia una propria spe¬cifica ragione ed operazione spirituale.
Don Bosco (e lo spiego più diffusamente altrove) (i) è un affari-siano dei più strettamente fedeli alla dottrina del Santo Dottore, e questa egli tradusse ´in pratica fino alla fine dei suoi giorni. Senza questa notizia non s´intenderebbe affatto la prima parte del capo XIV della: Vita che leggiamo, dov´egli si presenta ´-come Direttore del Savio, e mostra in che misura sia venuto graduando al suo figlio spiri¬tuale la frequenza della Comunione_
Il punto tuttavia, nel quale il Santo Maestro insiste primariamente
e principalmente, è quello della Confessione: ed è naturale, chi pensi come da quella dipenda praticamente la capacità di ricevere il Sa¬cramento augusto dell´Eucarestia. In essa confessione ha parte tanto il fatto teologico della restituzione della grazia di Dio, quanto, ed è ciò che più apparisce, il concetto pedagogico della direzione del¬l´anima; concetto derivato dallo spirito di S. Francesco di Sales (2),
e che si oppone nettamente al praticantismò che assedia ed isterilisce la vita di pietà. Secondo questo concetto, è chiaro che l´attuazione della prassi alfonsiana torna, nonchè opportuna, necessaria alla fun¬zione educativa, e Don Bosco, il quale educò soprattutto colla dire¬zione delle anime (l´abbiamo già spiegato nel Libro II) non poteva non valersene, e se ne valse.
Ma anche l´altro aspetto, dogmaticamente essenziale per l´indole del Sacramento, della Confessione come sacramento restitutore della .grazia, era naturalmente nella mente del Santo che pensava alla sal¬vezza delle anime e voleva nei suoi figliuoli la vita permanente della
(i) Cfr. Vita di Francesco Besucco: Studio, cit., parte III, B. (2) Cfr. VINCENT, op. cit., pag. 375-37g•

349
grazia di Dio. Le sue massime, notissime a quanti conoscono qualche cosa di lui, si rapportano non solo al fatto della Confessione che dirò direttiva e pedagogica, bensì, e primamente, a quello del mettersi in grazia di Dio dopo il peccato, e dell´assicurarsi di non esserne privi a causa di confessioni invalide e peggio.
Si sa che dei due rischi a cui sono esposti i Sacramenti, l´invali¬dità e il sacrilegio, quello della Penitenza è il più esposto a subirli (I), e Don Bosco ha sempre manifestato e colorito con vivacità la duplice paura che ciò avvenisse nei giovani o per ignoranza o per colpa, a cui venne aggiungendosi l´altra, tutta spiritualmente pedagogica, del¬l´inefficacia pratica dell´uso del Sacramento (leggi: debolezza di vo¬lontà o assenza di vero proponimento): paure che nelle sue parole -prendono quasi l´aspetto della certezza.
0 0 o
Tutto questo discorso potrebbe parere al buon lettore una digres¬sione non molto legata al nostro proprio tema. Ma, tra l´altro, il nostro assunto c´impone di comprendere il valore non solo assoluto, ma relativo del libro che leggiamo e delle dottrine spirituali che par¬tono da Don Bosco e formano il Savio. Dopo la Vita del Savio ne vennero altre due, in cui le idee che qui sono o esposte parzialmente o solo adombrate, si trovano spiegate in appositi capitoli. Il tema della Confessione in questa Vita è, più che svolto in teoria, esemplato, per ciò che ha di più consono all´edificazione che se ne deve produrre, nel fatta biografico: didascalia quasi non c´è, se si toglie il primo capo¬verso del capo XIV, e la Conclusione al capo XXVII, e il contenuto di questi due passi si accosta e prepara lo svolgimento dottrinale o didascalico e parenetico, che la materia assume nelle altre due Vite. Se può farsi per Don Bosco una storia delle idee, come d´un´evolu¬zione del suo pensiero e dei suoi sentimenti, dove il maturarsi del¬l´esperienza, tra il moltiplicarsi dei giovani attorno a lui e dei fatti a cui assiste, gli suggerisce o rinsalda le convinzioni, non è inesatto nè irriverente pensare che da quando scrisse il Savio a quando, cinque anni dopo, dettò il Besucco, le sue idee si vennero in questa materia sempre più confermando, ed anzi si precisarono, come già dimostra -il confronto- tra lo spunto parenetico del Capo XIV del Savio e la risoluta e categorica sentenza con che si apre il capo XIX del Besucco. E la stessa Vita del Savio ne porta un segno non dubbio: che, più tardi, nel 1878, ritoccandola per la V edizione, l´Autore sentì il bi
(i) FABER, SS. Sacramento, pag. 241.

350
sogno di accostarla alle più aperte dichiarazioni delle altre due, e. aggiunse un -paio di capoversi, sul fatto cioè degli scrupoli e della: scelta del confessore stabile: più ancora (ma questo è un fatto dipen-. dente da contingenze storiche) mutò in comunione frequente l´espres¬sione di comunione quotidiana, presentata in confronto dell´impecca¬bile e piissimo tenor di vita del Savio. Il parallelo delle tre Vite ci dà pertanto piena conoscenza delle idee di Don Bosco in fatto di confes¬sione, tanto per ciò che si riferisce al fatto teologico di coscienza, quanto per ciò ch´è proprio della pedagogia spirituale.
Nel Magone, dopoché il capo IV ha fatto vedere il mutamento avvenuto -nel giovane per essersi ben confessato, l´Autore dice nel capo .V: Una parola alla gioventù: e il discorso è tutto sul. tacere •i peccati in confessione, sulla fiducia e. confidenza nel confessore, sul riparare le confessioni reticenti, sull´avere un confessore stabile, come un medico che non si cangia; fino a rivolgersi ai confessori stessi per¬chè, acquistatasi la confidenza dei giovanetti, indaghino lo stato delle confessioni passate, specialmente dai sette ai dodici anni.
Nel Besucco il capitalissimo Capo XIX, che si apre con la solenne sentenza pedagogica, è intitolato senza più: La Confessione. Qui la biografia didascalica loda il suo giovane per la scelta d´un confessore stabile, e per la- confidenza illimitata che ha in lui: un tema ch´egli svolge anche discorsivamente col paragone del non cangiare il medico. Anche qui si rivolge, non più ai confessori, ma agli educatori, perché inculchino la frequenza della Confessione, la stabilità del confessore, l´assoluta sicurezza nel segreto sacramentale.
Il capo XIV del Savio precede gli altri ora ricordati, e ne contiene gli elementi, benchè il tratto didascalico si limiti alla sentenza, con che s´inizia, sul valore educativo della pratica dei due Sacramenti: il seguito della narrazione ci richiama abilmente alla massima che pel momento gli sta più a cuore, riferendo i (tre) punti di quella predica, che fin dal primo inizio illuminò il Savio, dove si raccomandava il confessarsi spesso, l´accostarsi alla Santa Comunione, e il scegliersi un confessore stabile e da non mutare, nel quale si abbia tutta la. confi¬denza (i). Su quest´ultimo punto si fissa l´esemplare pragmatografia. del. Savio in materia di confessione. Il giovanetto si appropria questi precetti e v´informa la pratica, così come ampiamente dimostra il seguito del capitolo.
Il Santo Maestro ha sentito il bisogno, in tarda edizione, di ag¬giungere quel capoverso che documenta., coll´esempio del discepolo, la confidenza che si deve avere col confessore che si è stabilmente
(i) Nell´ediz. i8, 1859, rimasta qui invariata, sta a pag. 68.

`--1, 351
scelto: .e. qui, nelle parole dello stesso. Savio, il ricorso al paragone del cangiare il medico, ci fa vedere non un´impersonazione didascalica di ima massima del Maestro, bensì che questa massima era familiare nei suoi, discorsi e l´alunno l´aveva fatta sua: sicché il trovarla anche: nelle. altre. Vite susseguenti come pensiero dell´Educatore Santo non. è che la ripetizione e la continuazione d´un´idea da lui sempre posse¬duta. Tant´è vero Ch´essa già appare, insieme con la massima del con¬fessore stabile (che già si trova nella Vita del Comollo), nel « Regola¬mento per la. Casa dell´Oratorio » del 185z-54 (t), e si continua in seguito (qui ometto le troppo numerose citazioni) in tutte le esorta, zioni che su. tal proposito egli fu solito tenere ai suoi. giovanetti.
Ma lo spunto, direi così, penoso delle Confessioni mal fatte (il suo termine è questo), che in presenza dell´angelico fanciullo non può trovar luogo, si annunzia nel Capo XXVII, dove la Conclusione d´una Vita da lui descritta come un continuo crescente splendore, di santità è tutta sull´imitare il piccolo santo nel ben valersi della Confessione; « che fu suo sostegno nella pratica della virtù e fu guida sicura che lo. condusse ad -un termine di vita cotanto glorioso »: e allora egli ne deriva l´esortazione ad « accostarsi con frequenza », con questo che « tutte le volte che ci accosteremo a questo bagno di salute non mari-chiamo di volgere un pensiero alle confessioni, passate, .per assicurarci cha siano state ben fatte, e, se ne scorgiamo il bisogno, rimediamo ai difetti che per avventura vi fossero occorsi ».
Questo modo di concludere un tal libro, che può anche far mera¬vigliare il letterato, ci vale di prova per confermarci nella persuasione, che per Don Bosco, educatore di giovani e di Santi, il fatto della Con¬fessione è il punto _capitale, il fulcro insopprimibile, e lo strumento: indispensabile del lavoro educativo, e qui si assomma la sua peda¬gogia di Santo. In realtà Domenico Savio può dirsi, quanto alla storia intima del suo divenire, un capolavoro della Confessione (2).
O o o
Per questo aspetto, poichè i Processi non dicono, e, com´è chiaro, non potevano dir nulla, non s´ha altro documento se non la parola del. Teste per eccellenza, che fu lo stesso direttore di spirito, Don Bosco. E le pagine del caro libricciuolo riescono insieme un documento d´idee e un simpatico« capitolo della storia d´un´anima.
(i) Meni. Biogr., IV, pag. 746, nell´Appendice per gli studenti, capo I, art. 3; e parte II, capo I (Della pietà), art. 4, pag. 74.7. (z) Cfr. sopra, lib. VI, cap. L.

352
II santo Autore prende la storia fin dalle Prime ore. Prima di venire alla Casa di Don Bosco il piccolo Santo frequentava i Sacramenti una volta al mese « secondo l´uso delle scuole », cioè quello determinato ancora dai Regolamenti scolastici dello Stato Sardo (i): d´altra parte le condizioni locali non comportavano di più. Venuto all´Oratorio, « li frequentò con assai maggiore assiduità ». Quale ne fosse la fre¬quenza l´Autore non dice. Ed è una prova, preziosissima provai che Don Bosco nelle cose spirituali non forzava nessuno, e lasciava che la persuasione e l´esempio generassero quel moto spontaneo che portava alla pratica convinta e devota.
Noi abbiamo considerato a suo tempo i cominciamenti del Savio: tra questi v´è pure il sorgere e l´affermarsi della pratica dei Sacra¬menti (2). A determinarlo, in quei primordi (e dev´essere stato ben presto) intervenne una predica, certamente di Don Bosco, di cui ci è dato il sommario (3) in forma di massima: « Giovani, se volete per¬severare nella via del cielo, vi si raccomandano tre cose: accostatevi spesso alla Confessione, frequentate la S. Comunione, sceglietevi un confessore cui osiate aprire il vostro cuore, ma non cangiatelo senza necessità». Sui due primi punti la Vita si sofferma con un solo ca¬poverso, diffondendosi poi sulla vita che prese nel Savio l´aderenza
al terzo consiglio.
Ma quel capoverso non va trascurato. Nel fatto il nuovo alunno
accoglie senz´altro il consiglio, e si sceglie il confessore « che tenne regolarmente tutto il tempo che dimorò tra noi », e che ognuno capisce non essere altri che Don Bosco stesso, benchè, per un delicato ri¬guardo, il santo Direttore non lo dica (4). E volle fare la confessione generale « affinché (il confessore) potesse formarsi un giusto giudizio di sua coscienza ». Poiché il capo VIII, a cui qui si accenna, dice che ciò. avvenne per disporsi alla festa dell´Immacolata, possiana dunque dedurne che nel largo mese intercorso tra la fine d´ottobre (a9 otto¬bre 1854) e 1´8 dicembre il giovanetto era rimasto nella sua libertà, e si accostava ai Sacramenti qualche volta, ma senza regola. Don
(i) Sono quelli, già altrove accennati, sanciti con le RR. Patenti di Re Carlo Felice, 23 luglio 1822, e riconfermati da Re Carlo Alberto nel 1834 e nel 1845. In tutte le scuole del. Regno Sardo gli allievi di qualsiasi grado dovevano confes¬sarsi una volta al mese e portarne l´attestato alla Scuola.
(2) Cfr. sopra, lib. II, cap. M.
(3) Veramente il libro dice di una e massima» detta dal pulpito: ma è più che probabile che sia il tema dell´intera predica nei suoi consueti tre punti, qui raccolti in una sola sentenza. Cfr. sopra, pag. 350.
(4) Almeno qui: giacchè altrove lo fa intendere chiaramente. Don Bosco non vuole che si pensi pur lontanamente ad una qualsiasi pressione, e parla di scelta, qui e sempre: egli è uno dei Confessori da scegliere.


353
Bosco (ripetiamolo, che torna bene per dissipare certi preconcetti di chi non lo conosce) lasciò a lui, come ad ogni altro nuovo venuto, la più ampia libertà, e sappiamo per qual ragione.
Ma, una volta scelto il confessore, si rimette interamente a lui, e questi ne regola, accelerandola in breve spazio, la frequenza. Benché lo sappia preparato dai lavori della grazia di Dio, il Santo Direttore lo lascia praticare i due Sacramenti dapprincipio « ogni • quindici giorni », ma poi lo porta a farlo « ogni otto giorni »: in seguito, « os¬servando il grande profitto che faceva nelle cose di spirito, lo consigliò a comunicarsi (ben inteso, senza tornare a confessarsi ogni volta) " tre volte per settimana " e nel termine di un anno gli permise anche la comunione quotidiana ». Si va cioè dal dicembre 1854 agli ultimi mesi del 1855. Ecco la linea direttiva che Don Bosco seguì per quel
Savio, del quale pure andava notando, dopo l´Immacolata del ´54, dopo quel primo momento, i fatti straordinarii.
o 0 o
É una gradazione pru- dente e delicata, che s´inspira a criterii molto diversi da quelli ora invalsi ed anzi prescritti, che tuttavia non hanno
impedito di fare di Domenico Savio un santo autentico. Quali sono codesti criterii?
Non c´è alcuna difficoltà a riconoscerli. Sono esattamente quelli esposti da S. Alfonso M. de Liguori nella sua Praxis Confessarii, al capo nono, De directione animarum spiritualium, paragrafo quarto: De frequentatione Sacramentorum, num. 148-155 (i): in forma più sche¬matica dallo Scavini, Theol. Moralis Universa ad mentem S. Alphonsi, etc.,. Libro III, Trattato IX, Disputatio IV, De Eucharistia, Cap. III,
artis. De Communione frequenti ac nn. 148-151 (2). Don
Bosco, al Convitto Ecclesiastico, col Guala e il Cafasso a maestri, si era fatto totalmente alfonsiano, benché in Seminario si fosse dovuto formare sull´Alasia (3).
Allora, e fino al Decreto di PP. Pio X, Sacrosancta Tridentina Sy¬- nodus, 20 clic. 1905, il confessore era quello che doveva regolare la
(i) Mi attengo all´ediz. tipici Vaticana, col. IV, pag. 610-616. — Roma, 1912. Ma citò le pag. dell´ediz. manuale (cur. P. Gaudè): Roma, Vaticana, 1912, pag, 253-272.
(2) Lo Scavini (chi di noi del vecchio tempo non lo ha maneggiato?) pubbli¬cato nel 1847, raggiungeva già nel 1854 la 4° edizione, ed ogni buon prete lo possedeva e vi sì atteneva, perchè Alfonsiano.
(3) E proprio il De Poenitentia dovette studiarlo sull´Alasia, per dare l´esame del 4° anno, che, fu esonerato dal frequentare. Cfr. Mem. Biogr., I, pag. 489.
9 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte II.

354- `´~
frequenza alla Comunione, e il criterio era dato dalla Maggiore o mi-nore capacità di astenersi dal peccato grave: per le anime divote, dal peccato veniale volontario, e dal progresso nelle disposizioni interne dello spirito (i). La disciplina odierna segue altri criterii, sui quali non è qui il luogo di soffermarci.
A noi fa certamente meraviglia che al Savio, un santino vestito di carismi, si sia dosata in quel modo la frequenza alla Comunione, tanto che, anche quando si manifestava in. lui quel secondo momento della grande parola, non era peranco ammesso alla comunione quotidiana, intendendo questa come abituale: chè, nelle novene e nel mese di maggio e altre circostanze, il Direttore stesso la consigliava. Era rigo-rismo? No, di certo, in Don Bosco, che caldeggiò sempre la Comu¬nione frequente, e rese possibile ai giovani la quotidiana, ed è ardono-masticamente celebrato per questo nella storia della Chiesa.
Non era rigorismo, ma sapienza educatrice nella pedagogia dello spirito. Egli voleva che il suo santo (che non fu il solo) pervenisse alla Comunione quotidiana con una perfezione consapevole e voluta, quasi fabbricata colle proprie mani, e il punto d´arrivo doveva coin¬cidere col punto umanamente più alto della purezza interiore. Non possiamo, per esempio, dimenticare che, già nel 1856, quando il suo santetto ha già dato tante prove, perfino soprannaturali, dell´essere suo (e da tempo gli ha permesso la Comunione quotidiana), il Maestro gli propone, per celebrare santamente il mese di Maria: « l´esatto adempimento de´ tuoi doveri, raccontare un esempio ogni di in onore di Maria, e procurare di regolarti in modo da poter fare in ciascun giorno la Santa. Comunione» (Cap. XXI). È un´idea, lo si vede bene, che non poteva valere per tutti, e che egli stesso non tenne per tutti; ma, sapendo bene con quale anima aveva da fare, se ne valeva per accele¬rarne l´ascesa (2). Così andò poi facendo col Besucco, che pure mori trionfando in una prodigiosa visione resa sensibile a tutti i circostanti, e che in cinque mesi che fu con Don Bosco non è detto ancora che fosse ammesso alla Comunione quotidiana abituale.
(i) Si distingueva nei trattati la confessione (e Comunione) mensile (non con-siderata da tutti come frequente), l´ebdomadaria, la frequente (più volte per setti¬mana, generalmente dtie volte), e la quotidiana. Sembra, dal passo del cap. XIV della Vita che Don Bosco seguisse tale distinzione. Cfr. ScAvmsì-DEL Veccato, ediz. 1874, vol. IV, append. LIX, pag. 567.
(a) Ex opere operato, sì, ed è di fede, ma anche ex opere operantis, conside¬rava S. Francesco di Sales il frutto dei Sacramenti, e di questo principalmente: e Don Bosco seguiva quella dottrina e quell´a pratica. Sia detto per chi, in que¬sta maniera di Don Bosco, vorrebbe trovare qualche cosa di meno alto, e che, per accelerare l´ascesa del Savio, vorrebbe che facesse secondo un certo criterio, che veduto nel suo vero essere, attribuisce alla resezione deI Sacramento un potere

355
N´era, per parte sua, convinto lo stesso Savio, anima em-nristica se altra mai. Anche con quel permesso, non sempre si accostava quo¬tidianamente; e n´è .prova quel singolare episodio del maggio 1856 (si:noti: è il mese in cui difficilmente si mancava), quando, in un giorno feriale, Don Bosco, voltatosi per dar la Comunione, non vide venire alcuno, e richiuse il tabernacolo, non certo senza qualche dispiacere. Eppure vi erano presenti giovani più avanzati e, senza dubbio, di co¬munione quotidiana: Rua, Cagliero, Bonetti, Bongiovarini, Durando, e altri, e vi era il Savio, che prese incitamento per inserirne un arti
colo nel Regolamento della Compagnia, inaugurata, diremmo legal-mente, 1´8 giugno seguente (i).
Noi vediamo intanto l´intima connessione che lega insieme la Confessione direttiva e la pratica della Comunione: e in realtà Don Bosco la considerava principalmente così, seguendo, come s´è detto, il criterio alfonsiano. A ciò era condotto anche dal fatto che la dire¬zione spirituale così esercitata era in mano sua (ed egli avrebbe vo¬luto che fosse in mano di tutti) il mezzo pedagogico per eccellenza, atto a correggere i suoi .giovani e costruire la vera e soda pietà: quella cioè ch´è corrisposta dalla vita e compenetrata in essa. Se si pensa quali fossero, nella sua prassi di confessore le sue esigenze e direttive, s´intenderà che difficilmente, quando almeno vi fosse una volontà sincera e ben disposta, un difetto resisteva a lungo all´emenda. Don Bosco voleva non solo le formalità indispensabili, ma la concretezza e la fermezza del proposito (2); nè avrebbe consentita la Comunione, non dico quotidiana, ma neppure frequente, a chi abitualmente por-tasse con sè « le medesime piccole cose » (a).
in cui l´operante non conta per nulla. Ed è un concetto che praticamente conduce a conseguenze antispi,rituali.
(r) Mem. Biogr., V, 478. — La data del giorno non si può determinare: ma il mese sì: giacchè quel giorno stesso Bongiovanni e Durando si concertarono per formare un gruppo di buoni compagni che si ripartissero i giorni della settimana in modo, che si trovasse sempre qualcuno alla Comunione, e subito vi aderì il Savio stesso. Ora il Durando era entrato all´Oratorio solo alla fine di aprile del ´56. E poichè da quell´incidente sorse nel Savio l´idea pratica dell´organizzare il regolamento della Compagnia, che fu costituita formalmente l´8 giugno, è chiaro che il fatto dovette avvenire nel Maggio. I testi del Processo non sono esatti nè concordi. Il Cagliero (Somm., 196) accenna il fatto senz´alcuna data; il Barberis (ibid., 70) dice: t Se non erro, nel febbraio 1855 ». Troppo presto. Il Barberis venne all´Oratorio tre anni dopo, e parla per sentito dire.
(2) Ne feci io stesso l´esperienza, confessandomi da lui nel tempo deI mio Ginnasio. Del resto le mie asserzioni poggiano anche su autentici documenti: ba¬sta per tutti la lett. io maggio 1884.
(3) Mem. Biogr., XIV, 46: Confer. di Alassio, 7 febbraio 1879. — XVII,
107-114: Lettera da Roma, io maggio 1884. Ai Giovani dell´Oratorio. — Si con

356 "
000
Dopo quel capoverso cosi prezioso, dal quale esce intanto ben de¬terminata la regola seguita dal Savio nella frequenza della Confes¬sione, la pagina del libro si addentra a vederne l´atteggiamento. Pren¬diamo il testo com´è uscito ultimamente dalle mani dell´Autore, che ha, nella V edizione, riempita una vera lacuna, vorremmo anche dire letteraria. Per venire a: « Il Savio godeva di se medesimo », con quel che- segue, mancava davvero una spiegazione. E questa, per buona ventura, si arricchisce di particolari importanti: uno anzi insospet¬tato: quello degli scrupoli. Ne abbiam detto più sopra (i), e non v´insistiamo. Il punto essenziale, che sta più a cuore a Don- Bosco per il valore biografico e quasi più per l´esemplarità, è quello della confidenza, che sappiamo quanto sia stata raccomandata da lui. L´e¬sempio del piccolo santo ci sta per insegnare e per incoraggiare, quando se ne vedono in lui gli effetti.
Il caro giovane « aveva nel suo Direttore una confidenza illimi¬tata; anzi parlava col medesimo con tutta semplicità delle cose di co¬scienza anche fuori di confessione ». Non che Don Bosco lo voglia, che in questo era riservatissimo (e noi l´abbiamo provato): ma il fanciullo santo che sa di confessarsi ad un Santo, non fa mistero di nulla, e vede nel suo Direttore una persona sola e medesima. Quando alla sera, dopo le preghiere, il capo di Don Bosco si piegava sul suo e gli diceva all´orecchio parole segrete, che il giovanetto prendeva a norma della sua condotta esterna o spirituale (lo dicono al Processo più testi) (z), si può esser certi che quelle erano una continuazione dei colloquii intimi che tra loro passavano altrove.
Un´intimità di tal sorta non ammetteva cambiamenti di persona. E per quanto lo avessero « consigliato a cangiar qualche volta con¬fessore », il Savio « non volle mai arrendersi ». La ragione ch´egli ad¬duce, rientra, come fu detto poco fa, tra le. massime di Don Bosco,
salti Ia Praxis di S. Alfonso, cap. V, n. 71, sul trattamento dei recidivi, etiam respectu culparunz venialium: per l´ammissione alla Comunione, id. id., cap. IX, § IV, n. 149, pag. 257, ch´è alla lettera la definizione della norma seguita da Don Bosco. Dice: e qui committunt ordinarie peccata ven;alia deliberata, et nulla in eis emendatio neque desiderium emendationis effulget, (sparami erit non permittere eis communionem plusquam semel in lsebdomada a. Con qualche temperamento nella Tkebl. Mon, cap. VI, n. 270. Cfr. ediz. man. cit., nota (I), pag. 257.
(i) Cfr. lib. VI, cap. II.
(z) Somtre., Anfossi, 302. Il teste connette questa docilità con quella che il Savio prestava al suo Direttore spirituale nel Sacramento della Penitenza. La nostra idea non è dunque infondata. Cfr. pure, ibid., pag. 78 (Anfossi) e pag. 521 (Francesca). V. sopra, lib. II, cap. IL

`m- 357
assimilate dal santo discepolo: è l´idea del « cangiar medico », e qui il medico dell´anima, che dimostra « mancanza di fiducia in lui o che il male è quasi disperato ». E il piccolo santo dice bene: «Io non mi trovo in questi casi. Ho piena fiducia nel confessore che con pa¬terna bontà e sollecitudine si adopera pel bene dell´anima mia: nè io vedo in me alcun male ch´egli non possa guarire». Questa non è
più didascalia: è assennatezza di mente ben equilibrata, come fu sempre, e (l´abbiam detto) stimata da chi lo conobbe.
Tuttavia anche in questo seppe obbedire, quando « il Direttore ordinario (Don Bosco) lo consigliò a cangiar qualche volta confessore,
specialmente in occasione degli spirituali esercizi, ed egli senza op¬porre difficoltà prontamente ubbidiva ». E noi, oltrecchè ammiriamo il discepolo, scorgiamo la prudenza dei Maestro e la delicatezza del Direttore spirituale, che non vuole il monopolio delle anime, ma"de¬sidera ch´esse abbiano anche d´altra fonte una parola che le rassi¬curi (i). Se in questo tratto aggiunto tardivarnente c´è una didascalia, non è di quella che adatta i fatti alle idee, ma quella che le deduce dalla verità storica e per essa le comprova.
o 0 o
Ed è verità confortevole, che incoraggia all´imitazione, quel che il santo Maestro soggiunge delle riposate consolazioni, della sicura tran¬quillità di spirito che quella confidenza generava nel suo figlio spiri¬tuale. Che in ciò avesse parte la prerogativa personale del Direttore Santo, qui non è detto, e possiam dirlo noi. Don Bosco poteva dirsi, collo scrittore citato dal Faber (z), un direttore divino: « un uomo tutto soprannaturale, che vive sempre in un torrente di luce, e ci guida come se ci leggesse in cuore e predicesse il nostro futuro ». E il fa-scino che esercitava sulle sante anime che gli si affidavano non era tanto quello delle doti umane, pur preziose e carissime, quanto il
riflesso dei suoi doni soprannaturali.
L´anima del piccolo santo era temprata per sentirli. Egli si sentiva
avvolto da un´atmosfera di luce e di santità, che non lasciava alcuna ombra nella sua coscienza, e contemplando quell´illustrazione piena e chiara, egli godeva. « Il Savio, continua la pagina, godeva di sè medesimo. Se ho qualche pena in cuore, egli diceva, io vo dal con¬fessore, che mi consiglia secondo la volontà di Dio: giacchè G. Cr.
(i) FABER, Progressi, XVIII, pag. 293-295, e 30o-301. Cfr. anche sopra, libro VI, cap. I, la citaz. del Liebermann e le citaz. dal Tanquerey, 548, e 557.
(a) Progressi, cit., XVIII, pag. zgz. E dimmi, lettor mio, se possa trovarsi una definizione di Don Bosco più vera di questa!

358
ha detto che la voce del confessore per noi è come la voce di Dio ». Noi pensiamo all´ora degli scrupoli e alla loro nobile natura (r): pen¬siamo alle difficoltà dell´apostolato ch´egli aveva intrapreso: alle novità che la sua piccola vita quotidiana gli presentava:, cose che in altri, meno squisitamente affinato nello spirito, non sarebbero pure avver¬tite, e che in lui, risoluto di farsi santo, potevan cagionare « qualche pena in cuore ». Cose da Santi. Che cosa dicono i Santi quando si confessano?
E con un trapasso ardito e geniale, il pensiero della serenità inte¬riore sale a quello della felicità nel possesso del suo Gesù: « Se poi voglio qualche cosa di grande, vo a ricevere l´Ostia Santa in cui tro¬vasi Corpus quod pro nobis traditum est, cioè quello stesso Corpo San¬gue Anima Divinità che G. Cr. offerse al suo Eterno Padre per noi sopra la Croce. Che cosa mi manca per esser felice? Nulla in questo mondo: mi manca solo dì poter godere svelato in cielo Colui che ora con occhio di fede miro e adoro all´Altare ».
È un ragionamento che stupisce lo stesso Don Bosco: d´una spi¬ritualità così cristallina e luminosa, che non può non essere quella d´un´anima vivente nel soprannaturale, per la quale le cose terrene non contano, e già vive la gioia del cielo. Il Santo che se lo sente tra mano cosi palpitante di vita superiore, è tratto a descrivere lo stato visibile dell´anima che trasparei « Con questi pensieri Dome¬nico traeva i suoi giorni veramente felici. Di qui nasceva quella ila¬rità, quella gioia celeste che traspariva in tutte le sue azioni ». È la gioia spirituale che forma la prerogativa dei Santi, e che in altre pa¬gine abbiamo appunto assegnata come fonte e cagione di quell´ila¬rità, di quella gioia, che tutti ammiravano in lui, e che formava il fascino della sua piccola persona (2).
Ma non era soltanto, nè principalmente, una semplice felicità, di temperamento, a cui la pietà desse un tono di letizia spirituale non ancora ben definita nella non matura cognizione di cose e nella appena incipiente coscienza di sè. Lo studio della sua persona umana ci ha già fatto sapere che nelle cose di Dio egli non era un fanciullo (3), e la precoce ponderatezza, la riflessività prudente del suo vivere, in¬sieme con le altre doti a queste somiglianti o congiunte, ci erano ap¬parse come altrettanti lineamenti umani di santità. Così Don Bosco, a questo punto, con un legame d´idee che parrebbe meno stretto se le si prendono in disparte dal senso ch´egli vuoi dare a quanto é ve
(i) Cfr. sopra, lib. VI, cap. II. (z) Cfr. sopra, lib. IV, cap. IL (3) Cfr. sopra, lib. IV, cap. I.

´S4 , 359
. nuto dicendo, ci richiama a riflettere che in quella arresa confidente e cordiale, come nella serenità e nella gioia che derivano dall´abban¬donarsi giocondamente nelle mani di chi lo guida e lo rassecura, vi era piena consapevolezza e completa compenetrazione della pietà nella vita: che cioè quel suo atteggiamento spirituale rispondeva per ogni lato ad una perfezione del vivere, in cui nessuno avrebbe sa¬puto scorgere un difetto o suggerire una forma di virtù (i).
«Nè pensiamoci, continua il Santo scrittore, che egli non compren¬desse l´importanza di quanto faceva, e non avesse un tenor di vita cristiana; quale si conviene a chi desidera di fare la Comunione fre¬quente » (z). Criterio di giudizio era dunque per il Santo direttore co¬desta capacità alla Comunione frequente: giudicata e commisurata al tenore di vita, secondo la dottrina che egli seguiva (3).
O o o
E qui ci troviamo in presenza d´un fatto molto, per dir poco, sin¬golare. Prima della V edizione, il testo diceva « quale si conviene a chi desidera di far la Comunione quotidiana». E in realtà, secondo la dottrina seguita (ch´è di S. Francesco di Sales, accolta da S. Alfonso), il tenor di vita del Savio, quale è spiegato con termini « inequivoca¬bili » e ben chiari, è esattamente quello che anche i più severi mora¬listi avrebbero richiesto per la Comunione quotidiana. Come si spiega quella tardiva variante, che appare quasi un pentimento e una corre¬zione? Che Don Bosco si sia negli ultimi anni irrigidito, ed abbia ri-stretto il suo criterio (già abbastanza misurato rispetto al nostro), fino ad esigere per la sola Comunione frequente una non so quale perfe¬zione? La dottrina del suo Maestro non richiedeva più che l´asten¬sione abituale (4) dalle colpe venia i (difetti consueti) e la disaffezione da esse (volontà pratica di correggersi); qui, con una impeccabilità
(i) Cfr. sopra, Lib. III, cap. I: t vita veramente da Santo » (Vita, cap. X). Cfr. spec.: libro IV, cap. IV.
(z) t il pensiero della Imit. Chr., lib. IV, cap. X, v. 5: Quam felix ille et Deo acceptus habetur, qui sic vivit et in tali puritate conscientiam suam custodita ut etion omni die communicare paratus et bene affectatus esser, si ei licereí, et sine nota agere posset!
(3) Ed è quella di S. Alfonso, op. cit., n. 150: a Sed si postea loquamur de illis qui suolato iam affectu etiam ad venialia, et superata malori parte pravarum suarum inelinationum, magnum communicandi desiderium habent, ait Franciscus Sa¬lesius quod hi praevio sui direttorii conidio, rette possunt communicare quotidie ». noti il quotidie, che tra poco vedremo essere la vera parola scritta prima da Don Bosco. Cfr. anche SeAvou, /oc. cit., n. 150-15r.
(4) Abituale va detto: giacche le sole eventuali (aliquando) ricadute provenienti da pura fragilità non ostano alla pratica. Frani, cit., n. 553, pag. 264.

360
meravigliosa e una virtù a cui non si saprebbe che cosa aggiungere, con un fervore che dà tanta gioia all´anima, e con un senso così amo
roso e- illuminato della Comunione eucaristica, si vorrebbe appena giungere alla Comunione frequente?
Ecco. Don Bosco non è divenuto più esigente di prima, nè ha disconosciuto alcun punto della sua dottrina, e non ci mancano prove che anche negli ultimi anni egli seguì sempre i medesimi criterii: se mai, li ampliò di non poco, incoraggiando sempre più la Comunione frequente e quotidiana dei giovani, anche quando non potè più essere il Direttore di tutti, e rallegrandosi al vedere che ve n´era un buon numero che potevano accostarsi ogni giorno all´altare. Anzi, sotto gli occhi suoi, lasciò, e certamente approvò, che tra i giovani novizi e i chierici s´introducesse la pratica quotidiana abituale, -che poi sem¬pre si mantenne (i). Ciò avveniva appunto negli anni ultimi di quel decennio in cui cade il 1878, l´anno di questa edizione quinta, con la variante di cui si discorre.
La quale pertanto vuole attribuirsi a cause estranee alla quistione e precisamente ad una prudenziale riserva impostagli dalle non feli¬cissime circostanze dell´ambiente ecclesiastico di Torino, quando la Scuola del Convitto, da cui egli era uscito alfonsiano, e ch´era conti¬nuata da un discepolo del Cafasso, ii valentissimo Bertagna, veniva ostacolata e poi soppressa da chi meno lo doveva,- per ristabilire le
dottrine alasiane. Storia dolorosa del 1878. E in questo proposito nostro, la regola dell´Alasia coincide esattamente colla variante del
testo di Don Bosco. La norma è che si può e deve ammettere alla Comunione frequente soltanto chi vive in modo da meritare di acco
starvisi ogni giorno! (z). Che è proprio il caso nostro.
Noi, pure accettando, per dovere di fedeltà, l´edizione così cor¬retta, la interpretiamo secondo la vera intenzione di Don Bosco, e sotto Ia parola frequente leggiamo per trasparenza la parola QUOTI¬gIANA.
(i) Quelli della mia generazione sanno che il più caldo promotore, e potrebbe dirsi iniziatore di tal movimento, fu Don Giulio Barberis, primo Maestro dei novizi e formatore di chierici salesiani per lunghi anni, il quale stette presso Don Bosco, e fu oggetto di confidenza illimitata, fin dal 1864, quando vestì l´abito chiericale.
(a) « Confessarius frequentem Communionis usum iis solum suadere poterit et de¬bebit, qui a quovis venialis deliberati affectu immunes sunt, et sic vivunt ut quotidie mereantur accipere i. A. ALAS1A, Theol. Moralis, ecc. Edit. II, Taurini, Paravia, 1834¬35: tomus IV, Dissert. I, cap. XI: De frequenti Ccnnmunione, quaest. Il, pag. a45¬147. — Ricordiamo che ai tempi del chiericato di Don Bosco, et ultra, in Semi¬nario il testo di Morale era l´Alasia, o intero o nei compendii dello Stuardi. La reazione a cui si è accennato, voleva restituire quella corrente. Non è qui il luogo

361

o o o
Nel fatto, il Santo direttore aveva, nel termine d´un anno, permessa al suo figlio spirituale la Comunione quotidiana perchè « la sua con¬dotta era per ogni lato irreprensibile. Io ho invitato i suoi compagni a dirmi se nei tre anni che dimorò fra noi, avessero notato nel Savio qualche difetto da correggere o qualche virtù da suggerire: ma tutti asserirono che in lui non trovarono mai cosa che meritasse correzione, nè avrebbero saputo quale virtù aggiungere in lui » (i). Perfino l´A¬lasia riconoscerebbe in questo giovanetto uno di quelli che sie vi¬vunt ut quotidie mereantur accipere!
Con quel senso della misura, che nella direzione spirituale è indi¬spensabile al buon successo, Don Bosco, e lo dice, aveva dapprincipio graduata la frequenza del nuovo alunno alla Comunione, fino a per¬mettergli poi, nel termine di un anno, la pratica quotidiana « osser¬vando il grande profitto che faceva nelle cose di spirito » (a). Natural¬mente era un permesso direttivo, non un´ingiunzione; e il Savio, cosi ardente d´amore e desiderio, non mancava di profittarne, tenendosi tuttavia in una discreta libertà.
o o o
Si può dire che per lo più, dopo quel tempo, egli fosse presente alla Sacra Mensa ogni giorno, e che questa presenza si facesse poi immancabile nell´ultimo periodo della sua vita, contrassegnato, come vedremo, dal fervore ardentissimo del terzo momento. Così deve inten¬dersi l´insieme delle attestazioni avute dai coevi: dei quali i più ricor¬dano i suoi tempi ultimi, che, ed è ben naturale, avevan fissato nella memoria impressioni non più sormontate da altre successive: a non dire di quelli che, come il Cerruti, il Ballesio, il Melica, lo avevano conosciuto soltanto negli ultimi mesi.
Ma, adonor del vero, quasi tutti, e specialmente i più autorevoli, si esprimono con giusta misura, e notano che in taI pratica si proce¬deva « secondo il consiglio del Direttore spirituale, ch´era Don Bosco ». Così il Ballesio, al quale dobbiamo il più bello e più fedele quadro
di citare i documenti di quel fatto increscioso. Strano è tuttavia che sia l´Alasia a sentenziare in quel modo; mentre è proprio esso che cita per sostenere la prassi della Coni. freq. il nostro Francesco di Sales ! (Cfr. ivi, Introd., parte. II, c.
(r) Lo dissero a Don Bosco, e i superstiti lo ripeterono come testi al Pro¬cesso, come altrove si è detto. Cfr. sopra, pag. 359, n I.
(a) S. AT7PHONS. Praxis, n. 155, pag. 271: « Curet confessarius eammunionenz suadere quoties anima verum desiderium demonstrat, et quoties advertat earn in ritu Proficere beneficio communionis

36z
del tenor di vita morale e dello spirito dell´Oratorio in quei tempi (t), dice che la Comunione all´Oratorio era frequentatissima, e nei mi¬gliori, tra cui il Savio, era quotidiana, secondo l´indirizzo di Don Bosco (2). E più esatto, quanto al Savio in persona, è Don Rua: « si accostava il più sovente che gli era permesso dal suo Direttore spiri¬tuale, ch´era il Ven. nostro padre Don Bosco » (3). Il Cagliero ripete quasi Don Rua, con un di più « faceva sovente ed anche quotidiana¬mente la Comunione, secondo il consiglio del suo e nostro Direttore, Don Bosco » (4). Un altro intimo, il Piano, c´informa che quella fre-quenza « dopo qualche tempo della sua dimora all´Oratorio, divenne, si può dire, quotidiana »: che risponde appunto alle successive cre¬scenti gradazioni disposte da Don Bosco (5). Il Cerruti, che nella prima deposizione aveva detto senza più « che faceva quotidiana¬mente », più tardi si temperava con un « frequentemente » (6). E il Conti l´aveva visto «frequentar sovente la Comunione.». Solo il Melica, forse pensando all´ultimo periodo, dice senza restrizioni « che era quotidiana ».
Come si vede, la Comunione del nostro piccolo santo era cosa ponderata, e se per lunghi periodi era quotidiana, non fu mai abitu¬dinaria. Quel fatto della mancata comunione in giorno feriale nel maggio 1856 (come ci sembra di dover credere) è una buona prova, e non solo rispetto a lui, ma anche per gli altri che, come Don Rua giovane e chierico, erano pure praticanti nel medesimo grado. È un esempio e, se si vuole, un monito. Un´altra prova ce la dà il carteggio del Savio col piissimo Massaglia, dove questi ricorda « quei giorni che noi fissavamo per prepararci ed accostarci insieme alla S. Comunione» (Cap. XIX).
O o o
Tuttavia un tempo vi fu che la Comunione del Savio fu quotidiana abitualmente. Ce lo fa intendere lo Scrittore quando, a voltata di pagina, ci dice come il suo santino si era disposte le intenzioni per ogni giorno della settimana: « Affinché le sue Comunioni fossero più fruttuose, e nel tempo stesso in ciascun giorno gli dessero novello ecci
(i) Cfr. sopra, lib. Il, cap. I.
(2) Somm., Ballesio, 147 e 117.
(3) 80171171., Don Rua, 154.
(4) Somm., Cagliero, /33.
(5) Somm., Piano, 147 e 117, dove il si può dire è t si accostava quasi tutti
i giorni D.
(6) &min., Cerruti, Proc. .Dioc., 156; proc. Ap., 126. — Ivi, Cont, 157; Melica, 123.

363
tamento a farle con fervore, egli si era prefisso ad ogni dì un fine spe¬ciale ». E ne mette la distribuzione, che torna soprattutto a documento dello spirito devozionale del giovane santo, e insieme della sodezza della sua pietà, illuminata e aderente alla vita. Così vediamo che il giorno del Signore è dedicato alla SS. Trinità: concetto per eccellenza comprensivo di tutta la fede cristiana; subito il primo giorno è pei benefattori spirituali e temporali: atto di riconoscenza e di giustizia d´un´anirna sensibile ai più delicati sentimenti; e poi vengono i suoi protettori celesti, il suo Santo Patrono e l´Angelo Custode. Il merco¬ledì era dedicato alla tenerissima sua divozione per l´Addolorata (i), alla quale, con profonda comprensione, egli congiungeva il fine della conversione dei peccatori, che sono, chi bene conosca la dottrina, la causa prima dei dolori di Maria (2). Così un giorno è dedicato al suf¬fragio delle anime purganti e il venerdì al ricordo della Passione di N. S.: due divozioni che il Savio coltivò tanto più intensamente in quanto erano divozioni di Don Bosco stesso. E, naturalmente, il Sabato è, come per tutti i buoni cristiani, il giorno della Madonna, senza titolo particolare, perché, con qualsiasi titolo, è sempre la Madre di Dio e di tutti i credenti: ed egli Le dedica quel culto eucaristico « per ottenere la sua protezione in vita ed in morte: nunc et in hora mortis nostrae ».
Possiamo credere che Don Bosco, occupando in tali particolarità una delle sue non troppe pagine, non abbia obbedito principalmente ad un bisogno di compiutezza storica, o, se si voglia, ad un intento di edifizione: bensì abbia inteso di far meglio comprendere quale fosse il carattere della pietà del suo alunno nel quale le divozioni si armo¬nizzavano in un tutto, ch´era vita dello spirito, e che si accentrava nell´atto eucaristico e nella divozione culminante, anzi centrale della Chiesa, quaP è la divozione al SS.mo Sacramento (3). Era la sua con¬cezione della divozione, ossia della pietà pratica e fervorosa, conce¬zione che, come noi sappiamo (4), passò nell´anima del Savio e la per¬vase interamente.
(1) Le altre divozioni in onore dei Dolori di Maria le praticava, come sap¬piamo, il Venerdì, unendole, com´è logico, al culto della Passione di Cristo. La distinzione dei giorni per l´offerta della Comunione ci fa vedere come fosse chiaro nella sua mente Io spirito delle divozioni.
(a) Fax, Il piede della Croce, cap. I, § 7: Lo spirito della divozione dolorata: pag. 78.
(3) FABER, SS. Sacramento, pag. 469.
(4) Cfr. sopra, VII, cap. Il, pag. 312.

CAPITOLO II
La Comunione del piccolo santo.
Il pio lettore può ora appagarsi, seguendoci in quello che alle anime buone sta più a cuore, ed è di contemplare il santo giovinetto nell´atto della Comunione e nell´attuarsi della sua divozione eucari¬stica. Tema carissimo, e per noi capitale, poiché il Savio è essenzial¬mente un´anima eucaristica. C´è persino il pericolo, non evitato sem¬pre (e che talvolta piace non evitare, quando non si approfondiscono
i fatti), di cadere nella retorica dei luoghi comuni e nelle verbosità panegiristiche.
Don Bosco, uomo, se altri mai, positivo, in queste Vite non si lascia mai indurre a tratteggiare lo stato interiore dell´anima in mo¬menti, come quelli della Comunione, che possono dar nel mistico; e nel fatto del Savio, dove pure poteva saperne qualche cosa, sia per
esperienza sua di Santo, e più ancora per le filiali confidenze di lui, si limita a dire della preparazione e del ringraziamento, senz´andare più
a fondo. Ma chi conosce la sua maniera, sa ch´egli ama di far inten¬dere gli stati interiori per mezzo dei segni ch´essi danno di sè all´e¬sterno, e l´abbiarn già spiegato dicendo dello spirito di preghiera (i).
Anche in questo modo, ch´è poi l´unico possibile ai testi che ne hanno parlato, egli riesce a dire quello che vuoi far intendere. Al capo XXIV egli scrive che: « Tutte le volte che si accostava ai Sacra¬menti, egli sembrava sempre un S. Luigi ». E il Cagliero definisce, da pari suo, quel contegno e quell´aspetto: « Il suo esteriore devoto e pio era superiore alla sua età, e qual si vede in anime provette e privilegiate nella divozione: il suo aspetto era pari a quello di un an¬gioletto nella preparazione e nel ringraziamento » (z). Se noi accostiamo
(i) Cfr. lib. VI, cap. I. — Si confronti la narrazione che Don Bosco fa della ra Comunione del Savio (cap. III), con quella che l´Arciprete Pepino ci ha lasciato di quella del Besucco, e Don Bosco ha trasferito nella Vita, cap. XII.
(z) Somm., Cagliero, pag. 133.

365
queste parole con quelle che servirono ad introdurci allo studio dello spirito di preghiera, e cioè con le mirabili definizioni dell´insigne Por¬porato, tratte dalle pagine 129 e 195 del. Sommario dei Processi (x), parole che commentano quelle di Don Bosco al capo XIII della Vita: abbiamo di che farci un´idea di quel che fossero le sue disposizioni interne e gli atteggiamenti del suo spirito. Giacché nelle parole ora addotte e in quelle degli altri testi, si legge l´intenzione di ognuno di vedere nell´esterno divoto un segno dell´interno, e di significare che la divozione di lui era tutta interiore. Cosi sembra voler intendere Don Rua quando dice che il Savio « vi si appressava con gran divo¬zione e contegnó edificante, senza però che nulla vi fosse di affettato, o cosa che potesse troppo distinguerlo dai suoi compagni ». E altret¬tanto dicono altri, e il Cerruti lo dice « un serafino d´amor di Dio » e che «appariva un serafino nella preghiera » (2). Codesta interiorità, dis¬simulata, per parte sua, con un contegno edificante, sì, ma senza cosa che potesse distinguerlo dagli altri, non era d´altra parte neppure igno¬rata da quanti lo conoscevano, giacchè, a detta del Cagliero, « la fa¬ma.., dei doni straordinarii avuti da Dio, specialmente nelle sue ora¬zioni e nel ricevere Gesù Sacramentato, era comune fra i suoi com¬pagni dell´Oratorio e presso i maestri e il Direttore spirituale, Don BOSCO» (3),
E pertanto vuoi essere detto del piccolo Santo comunicante quello ch´è proprio della superiore elevatissima spiritualità del suo animo, e che noi abbiamo studiato e, speriamo, dimostrato, fin dapprincipio come fondamento ad ogni disamina delle attuazioni di vita devota in cui quella spiritualità si effonde. Un´anima che « non viveva che di Dio, con Dio e per Dio » (4), non poteva, nel momento che con Dio si trovava anche fisicamente unita, vivere altrimenti che in uno stato superiore di preghiera, ed essere sublimata in una medesimezza di unione, qual´è propria di chi aderisce a Dio in modo da formare uno spirito solo (5): qui adhaeret Domino, unus spiritus est, dice S. Paolo (I Cor., VI, 17), come appunto volle N. S. istituendo il Sacramento dell´unione e dell´amore (6).
C´è l´esito della gravitazione dell´anima verso Dio, c´è l´attrazione completa nella sfera di Dio, c´è, e come non potrebbe esserci? il senso della presenza, non già misticamente immaginata e sentita, ma
(r) Cfr. sopra, lib. VI, cap. I, init.
(a) Somm.: Don Rua, 154; Francesia, 159; Cerruti, 126, zgr.-r92.
(3) Somm., Cagliero, 3go.
(4) Somm., Cagliero, 529. — V. sopra, lib. VI, cap. I, cit.
(5) FABER, Tutto per Gesù, pag. 344.
(6) COLUMBA-MARMION, op. cit., pag. 347.

366
per convinzione di fede sentita nella sua effettiva realtà: lo scambio del martere che dice il Vangelo: in me manet et ego in eo (So., VI, 55) (i). C´è quell´affettività confidente del colloquio intimo, che non ha pa¬rola nel linguaggio comune, e che nel rapimento si manifesta con un dialogo, di cui si sente solo uno degl´interlocutori (Cap. XX), e dove torna, moltiplicato a mille per la più chiara conoscenza, quel desi¬derio di perpetua unione amorosa già espresso fin dalla prima Comu¬nione col motto antonomastico: «La morte, ma non peccati », ch´è parola di amore.
Io invito chi mi segue a rileggere quelle mie pagine che, come que¬sta, partono da una definizione medesima (2): rileggerle pensando al piccolo santo che riceve Gesù nella Comunione: si vedrà ch´esse tro¬vano qui il loro pieno adempimento, lasciando ancor luogo a quel di più, che viene dai doni speciali e dai carismi della grazia di Dio.
o o O
Non siamo noi ad immaginare, quasi ad imprestare al santo fan¬ciullo comunicante tutte quelle parole dell´alta spiritualitk. sono Ie concrete parvenze esterne che ce ne danno le prove. Come può quel fanciullo trasmutare in quella d´un S. Luigi, d´un angioletto, d´un serafino, la sua parvenza, quando non gliela dia, a sua insaputa, la vita che pulsa nel cuore?
Queste cose Don Bosco non le dice, ch´erano sproporzionate con l´indole del suo libro, ma ci obbliga a pensarle con le parole che raccogliamo qua e colà, e coi fatti che poi vi connette.
Intanto in un semplice capoverso ci parla della preparazione e del ringraziamento che il Savio accompagna all´atto eucaristico.
Vi era, e lo sappiamo dal dettato medesimo, nel santo fanciullo quella dispositio unionis, che consiste nell´essere in tale stato di grazia che dischiude l´anima al lavoro interiore dell´Ospite divino: era un´a¬nima fatta per la Comunione (3). Ma, oltre a questa preparazione abituale, vi era anche la preparazione espressa ed attuale, a cui s´ag¬giungeva quella propria d´un´anima che ha piena comprensione del¬l´atto che si dispone a compiere. Di S. Luigi, che non poteva comuni
(I) MARMION, Cit., pag. 346.
(z) Cfr. lib. VI, cap. I, intero; cap. M pag. 293-298.
(3) Alludo al passo, poco sopra commentato, che nel libro precede al presente capoverso: « Un tenor di vita quale si conviene a chi desidera far la Comunione quotidiana (o frequente, come fu variato) s. Per l´idea, cfr. MARMION, op. cit., pa
gina 399.

L-4, 367
tarsi che ogni otto giorni, anche da chierico scolastico (i), è noto che destinava la mezza settimana precedente a prepararvisi, e la metà seguente a ringraziarne il Signore (z). Per chi ha la bella sorte di poter ricevere Gesù ogni giorno o quasi, la preparazione dovrebbe consistere, come dice il Columba-Marmion, nell´orientare ogni giorno, con un atto esplicito, tutte le nostre azioni verso la Comunione: sicché l´unione _dell´anima col Cristo dell´Eucarestia sia veramente il sole della nostra vita (3). Che fosse tale quella del Savio appare, nonché dalla sua vita eucaristica, anche dalle parole del libro: « La sera che prece¬deva la Comunione, prima di coricarsi faceva una preghiera a questo scopo, e conchiudeva sempre così: Sia lodato, etc. ». Non si pensa abitualmente nell´ultima ora della giornata quello che non è stato presente nel corso di essa: tanto più se si riflette che il caro santino era, ad ogni momento libero, ai piedi dell´altare in preghiera. Il Mas¬saglia (nel quale Don Bosco ravvisava un. altro Savio) si confortava nella lontananza da lui, « rammentando quei giorni che noi fissa¬vamo per prepararci ad accostarci insieme alla Santa Comunione »
(Capo XIX).
Come si preparavano ? e qual´era quella « sufficiente preparazione »
che al mattino premetteva all´accostarsi? Sembra che non facesse uso di libri o di « apparecchi » stampati, e che la sua mente, ormai incline e quasi di continuo assalita da quelle ch´egli chiamava distrazioni, seguisse piuttosto il libero e spontaneo moto del cuore: se pure non si ha da credere che le parole interne in cui si esprimeva fossero l´eco, ed anche la ripetizione istintiva di quanto andava leggendo nell´Imi¬tazione di Cristo (4). « II più bel libro, come fu detto, scritto dagli uomini (chè la Bibbia è scritta da Dio) » gli era familiare, e non può dubitarsi che a lui, come al Massaglia, l´avesse indicato (e donato) Don Bosco: giacchè nel Libro Quarto (De Sacramento) sono non pochi gl´incitamenti alla Comunione frequente, con quelle medesime ra¬gioni che erano care al Santo Maestro (5): e i due angelici emuli di santità se lo raccomandano a vicenda. In così fare, anzi in così essere
(i) Nello studio sul Besucco è spiegata la questione.
(z) MESCHLER, cit., pag. 49 e generalmente, anche presso Don Bosco. La fonte è sempre il Cepari.
(3) op. Bit., pag. 36o. — Come faceva S. Francesco di Sales per la Messa. Cfr. HAmoN, Vie de S. Fr. d. S., toro. I, lib: II, cap. I.
(4) Principalmente nel lib. IV, cap. IL III, XVI, XVII. Molti versetti coin¬cidono coi sentimenti che conosciamo nel Savio.
(5) Cfr. lib. IV, cap. X, tutto sul comunicarsi di frequente e sulle difficoltà che vi s´incontrano (n´abbiam citato il verso 5) e perfino sulla Comunione spiri-tuale (v. 6). Cfr. pure cap. III, 2. Sul prepararsi alla Comunione cfr. cap. XII e cap. X, 7.

368
disposto nello spirito, il Savio assomiglia non poco alla Santa Teresa di Lisieux, che non poteva, pregando, fissarsi su d´un libro, e anch´essa si distraeva, per « dire con tutta semplicità a Dio ciò che gli voleva dire, ed Egli sempre la intendeva ». E la giovane Santa, dotata di pre¬cocissimo ingegno, sapeva a memoria i suoi due libri inseparabili, il Vangelo e l´Imitazione (I).
È un modo di essere e di fare, di operar coll´interno (2), che gli altri non potevano conoscere; e si limitano a ricordare il contegno edifi¬cante e l´accostarsi raccolto (3): non altro, giacché non vi era nel suo atteggiamento « cosa che potesse distinguerlo dagli altri ». Con giusto pensiero il. Faber, mentre persuade la quiete della preparazione, dis¬suade dallo sforzarsi per stimolare le nostre affezioni, e da quell´ecci tarsi ad un fervore sensibile (e troppi libri lo inculcano!), che finisce in un ardore artificiale e posticcio, e perciò di corta durata, col risul¬tato di non lasciar traccia nell´anima (4). No: l´osservazione sapiente di Don Rua ci fa vedere un Savio che alla Comunione si prepara con la serena quiete delle anime riposanti in Dio e tutte aperte alle divine penetrazioni.
o o 0
« Ma il ringraziamento era senza limite ». S. Alfonso, e altri Santi, hanno detto che una Comunione ben fatta basta a render uno adatto alla cànonizzazione, e che il ringraziamento è il tempo in cui l´anima si appropria l´abbondanza di grazia e beve lunghi sorsi alla fonte di luce e di vita (5). S. Teresa, la grande Maestra del ringraziamento dopo la Comunione, in una delle sue lezioni caratteristiche ci disegna Gesù assiso sul trono di sua misericordia, in atto di domandarci: Quid tibi vis faciam? È l´ora supremamente preziosa quella che segue la Comunione: il divin Maestro si compiace allora d´istruirci, e noi non abbiamo che da prestar l´orecchio e pregarlo di non allontanarsi da noi (6).
(r) PETITOT, op. cit., parte I, cap. II, § a-3: pag• 51, 53-54, 56.
(2) S. M. Maddalena de´ Pazzi lo disse di S. Luigi, come a suo luogo fu già ricordato.
(3) S0772771. : Francesia, 159; Cagliero, 133; Don Rua, 554; Cerruti, 19r.
(4) FABER, Il piede della Croce, pag. 397-398.
(5) Nella Praxis, cit., il n. 156 raccomanda d´inculcare il ringraziamento e adduce in appoggio le parole di S. Teresa. Cfr. pag. 275-272. — Su questo tema del ringraziamento dopo la Comunione, vedansi le bellissime pagine del FABER, Tutto per Gesù, cap. VII, sez. V., pag, 289-305.
(6) La via della perfezione, cap. XXV. — Se ne vale anche il COLUMBA-MAR¬MION, cit., pag. 37o.

369
Nei santi (canonizzabili o no, non importa) formati da Don Bosco, e in lui stesso giovanetto e chierico (lo troviamo rispecchiato nel Co-mollo) il ringraziamento è un fattore essenziale della loro pietà. Nel Savio può dirsi che è tutto. I suoi massimi fervori, i suoi raccogli¬menti « senza limite », i suoi voti e propositi, le ore di estasi, anche le visioni profetiche, appartengono a quei momenti, che sono ore, di colloquio con Gesù, dopo averlo ricevuto nel suo cuore. Il moto in¬somma della sua anima, quel moto che ascende sempre più in alto, i passi che si vedono segnati, o si avverano allora o vi trovano l´ori¬gine e l´impulso. Se la via dei Santi.è tecnicamente la via estatica (i), può dirsi che questa si avvera pel Savio nelle ore meravigliose che se¬guono alla Comunione. Lo sappiamo dalla Vita, là dove, dicendoci di ritardi che sovente gli accadeva d´interporre nel partirsi dalla chiesa, egli, domandato di spiegare « che cosa facesse in quei suoi ritardi, con tutta semplicità rispondeva: povero me! mi salta una distrazione, e in quel momento perdo il filo delle mie preghiere, e panni di vedere cose tanto belle, che le ore fuggono in un momento» (Cap. XX).
Questo è collocato dallo Scrittore tra le « grazie speciali e fatti particolari »: volendo cioè discorrere dei carismi soprannaturali che si rivelavano nel suo piccolo santo; ma anche prima, e appunto nel passo che dice di quel « ringraziamento senza limite », ne ha dato i segni: « Per lo più, se non era chiamato, dimenticava la colazione, e talvolta fin la scuola, standosi in orazione, o meglio, in contemplazione della divina bontà che in modo ineffabile comunica agli uomini i tesori della sua infinita misericordia » (Cap. XIV). È un concetto e un senti¬mento che compendia in un tutto quello spirito di ringraziamento che in ogni età è stato lo spirito caratteristico dei Santi (2). Non è il Deo gratias la parola unica del Cottolengo
o o o
Ed è visione delle cose e sentimento non attinto dai libri, ma venuto dal fondo dell´anima consapevole della presenza reale di Dio entro di sè. Il Savio, come-tutte le anime somiglianti, fino alla Santa di Li¬sieux, in quei momenti non aveva bisogno di libri, o, per dir meglio, non ci si trovava e non avrebbe potuto servirsene: si sarebbe distratto. I metodi sono utili fino a certo segno, e il Faber, che pure riporta i settantadue atti proposti dal. Lancisio pel ringraziamento (3), finisce
(i) FABER, Creatore e Creatura, pag. 349.
(z) FABER, Tutto per Gesù, loc. cit., gag. z66 e seg.
(3) Tutto per Gesù, pag. 294-304. Sono 64 atti raggruppati in 8 punti. Cer-tamente rtè il Faber nè il Lancisio pensano che si debbano praticare tutti: essi
so — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. 1V. Parte II.

"370
con dire: « Il cuore deve avere un movimento più libero, e tutto l´e¬sercizio dev´essere molto più semplificato ». Ed anzi più sopra aveva detto: « Se avvi tempo di ringraziamenti troppo intensi per trovar parole atte a vestirli, è certamente quando il Creatore s´è degnato con¬fondere le sue creature col dono di se stesso: quando trovasi attual¬mente dentro di noi. t perciò che gli scrittori spirituali ci esortano a non aprir libri in quei momenti, almeno per alcuni istanti, ma di con¬versar con Gesù nel nostro cuore. Noi abbiamo senza dubbio qualche cosa da dirgli, o almeno egli stesso dirà qualche cosa a noi nel silenzio del nostro cuore, solo che vogliamo ascoltarlo » (i).
Con che ritorniamo al nostro santino e alla sua « contemplazione »: se c´è un divario o un´aggiunta da fare, sarà in questo che quel qualche cosa da dire diventa in quei beati momenti del santo giovanetto un lungo colloquio, un vero dialogo tra l´anima e Gesù, di cui un giorno ebbe Don Bosco stesso la prova esteriore (a). L´Imitazione di Cristo ha nel suo Terzo e Quarto libro di tali dialoghi: nel Quarto, ch´è il libro eucaristico, il capo XI e gli altri ricordati più sopra, sono tutti nel tono che Don Bosco ha voluto far intendere con la sua compren¬siva interpretazione. Esternamente, salvo i ritardi involontarii (3), non appariva se non un raccoglimento così concentrato, da fissarlo in una immobilità perfino disagiata (4), e in un aspetto quale rimase incancel¬lato nella memoria del Cagliero, quando affermava che « il suo aspetto era pari a quello d´un angioletto nella preparazione e nel ringrazia¬mento »: in tutti l´impressione d´una « divozione che si potrebbe dire prodigiosa per la sua età». E chi lo dice è Don Rua, non facile alle espressioni superlative (5).
o o 0
C´è di più. Senza che intervenisse un espresso proposito (almeno non fu mai manifestato), tutto induce a credere che il ringraziamento continuasse durante tutta la giornata, come per la S. Teresa di Li¬sieux (6). L´unione perfetta con Cristo diveniva dimora in Cristo, e la
sono un repertorio di pensieri (bellissimi, profondi, e anche pratici) a cui attin¬gere secondo il bisogno di ognuno.
(t) Op. cit., pag. 290-291. Cfr. pure SEGOND, op. cit., cap. V, pag. 124-125, il quale cita per questo l´Alacoque.
(2) Vita, cap. XX: il dialogo nel Coro, dopo la Messa.
(3) Somm., Melica, 123. P. quasi alla lettera quel che dice la Vita: non ri-petendola, ma essendone una fonte.
(4) Somm., Francesia, 120.
(5) Somm.: Cagliero, T33; Don Rua, 155.
(6) P2TITOT, cit., pag. 62. — •La Santa se n´era fatta una risoluzione, che rimase caratteristica nella sua vita spirituale.

371 Comunione durava l´intera giornata in una vita palpitante di amore e ricordo eucaristico (i). Tornare a Gesù era per quell´anima una necessità, alla quale andava unito il gaudio « d´una vera -delizia ». La parola è di Don Bosco, ed è ripetuta da Don Rua (2). Io dico di « necessità» perché in ciò operava quell´attrazione misteriosa che nelle anime viventi nella grazia di Dio esercita il SS.mo Sacramento; il mio Autore lo chiama senz´altro il magnete delle anime (3). Ed io non esito a pensare che cotale attrazione fosse, anche per il nostro angio¬letto, reciproca, e che, se il Santissimo attraeva lui, egli attraesse il Santissimo: giacchè la prodigiosa attrazione ch´egli sentiva era corri¬sposta dalla sua virtù, per la quale Gesù nei colloquii gli rispondeva, e si lasciava attrarre a favorirlo di quello stato mistico in cui l´anima sentiva la presenza di Lui (4). In certi Santi questa divina compia¬cenza si dimostrava con visioni e apparizioni: al Savio visibilmente ciò non avvenne, ma è quasi indubitabile (e la Vita, al Capo XX, ce lo fa pensare) ch´egli vedesse attraverso i veli eucaristici, e là, dinnanzi al Tabernacolo, una qualche figura: una di quelle « cose tanto belle» che gli rubavano le ore.
E quando un´anima è a questo punto, in quale delle mansioni del celebre Castello Interiore di S. Teresa dovrà allogarsi ? La vita per--fetta della virtù nel nostro angelico giovane è attestata da tutti, a co¬minciar da Don Bosco (5): la vita d´unione con Dio, continuazione della vita sacramentale; è attestata parimente da chi ne parla e, senza accorgersi, da lui stesso, con parole e coi fatti mistici: non so che cosa richieda di più la grande Maestra della vita mistica (6). La scala che porta ai gradi supremi, nella breve vita del nostro santino, non si scorge: ma neppur Santa. Teresa nega che si possa far più presto volando (7).
(I) Cfr. in COLUMBA-MARM1ON i passi più sopra citati da pag. 372 e pag. 36o.
(2) Somm., Don Rua: 154: -« Una vera delizia era per lui trattenersi col SS. Sa¬craniento, ecc. 5.
(3) SS. Sacramento, cit., pag. 442. L´immagine è anche adattata dal Meschler alla divozione eucaristica di S. Luigi. Cfr. op. cit., pag. 49.
(4) FABER, SS. Sacramento, pag. 456. La pag. T25-126 del cit. cap. del Se-gond, sembra scritta per illustrare quest´idea.
(5) Cfr. sopra, pag. 359 e 361.
(6) Si legga nel Tanquerey (che, al solito, cito per comodo dei lettori),
n. 1458-1471, quel riferito testualmente della sesta e settima mansione.
(7) TANQI,TEREY, cit., n. 1408.

CAPITOLO III
L´attrazione eucaristica.
Anche senza giungere a tali profondità e squisitezze, l´attrazione del Santissimo sulle anime è sempre non solo possibile, ma reale, e se il piccolo Santo non fu il solo, ma ebbe con sè tanti che lo seguirono in questo orientamento eucaristico, si deve appunto alla recettività o polarizzazione creata e coltivata nel clima di Don Bosco. L´attrazione alla Santa Eucarestia è, nonchè una gioia e una santità, anche una vocazione speciale dello spirito ecclesiastico, dalla quale scaturiscono di preferenza le inclinazioni al sacerdozio (i). Quelli che Don Bosco educò per questa via; tutti, a cominciar dal nostro giovanetto, furono spiccatamente divoti del Santissimo.
Perchè il clima dell´Oratorio era veramente un clima eucaristico. Già si è veduto come il Santo Maestro poggiasse tutto il valore del¬l´educazione (e tanto più del sistema suo proprio) sull´efficacia dei Sacramenti e sulla frequenza della Comunione eucaristica; ed eucari¬stica interamente è la sua sentenza (che rimonta alle prime origini della sua impresa): « La frequente Comunione e la Santa Messa quotidiana sono le colonne chè debbono reggere un edificio educativo » (2).
Specialmente formava questo, che diciamo il clima, quell´atten¬zione perenne, assidua al SS.mo Sacramento, che il Santo Pedagogo si studiava di promuovere, facendo di tutto per render viva e sentita la presenza di Gesù Sacramentato all´anima dei suoi giovani. Il Savio, così intimamente, così totalmente penetrato dallo spirito del Santo suo Maestro, da potersene dire il personificatore, non voleva altro. Ed è bello vedere che, ricordando le sue sollecitudini per avvivarne la pratica, i testi più intimi e più autorevoli non lasciano di soggiun¬gere: « secondo gl´indirizzi » oppure « com´era desiderio di Don Bo
(i) Il FABER, SS. S´aeramento, pag. 468, non lo dice espressamente, ma ne insinua l´idea. E i fatti che io ricordo vengono a concretarlo. (2) Mem. Biogr., III, 354. Tra 1847 e ´49.

373
sco ». Purtroppo, se mi è lecito d´interporre un riflesso malinconico, dobbiamo rilevare ch´è una cosa non troppo comune, anche tra quei che si dicono buoni, e nelle stesse Case dove pure sta il Santissimo conservato in mezzo a tutto e a tutti, codesta attenzione, codesto pensare alla presenza di Gesù vivo e vero nel Tabernacolo, e tanto meno il parlare di Luil (I). Ebbene è questa appunto la virtù eucaristica del nostro piccolo Santo: e vuole intendersi in- ogni senso, tanto cioè nella sua devozione personale quanto. nell´apostolato ch´egli eserci-tava tra gli altri giovanetti.
O o o
E qui, nel sacro alone del senso eucaristico della presenza di Gesù, trovano luogo gli episodi della venerazione esterna e pubblica, narrati dalla Vita in quelle medesime pagine del Capo XIV, che potrebbe chiamarsi l´eucaristico. L´anima del caro fanciullo sentiva Gesù do¬vunque fosse, e subito si orientava verso di lui collo spirito e colla persona (2). Entrare in chiesa era per lui « gettar subito il suo sguardo verso l´altare ove stava il Dio del suo cuore, dei suoi affetti, del suo amore » (a). Era l´attrazione. Possiamo immaginarlo, benchè non sia detto espressamente, presente alla Benedizione, che allora non po¬teva darsi ogni giorno nella piccola chiesa, ma non era infrequente anche nei giorni feriali, specialmente in ricorrenze speciali (4). Con Gesù esposto sull´altare, il senso di adorazione e di amore in una temperie da angelo come quello, doveva produrre uno stato di spi¬rito che, se non era il vero rapimento, vi era per lo meno molto pros¬simo. « Pregando avanti il Santissimo esposto, teneva gli occhi fissi in esso, e faceva piccoli movimenti come se proprio parlasse con Gesù vivo e presente agli occhi suoi » (5). È un tocco vivo di realtà, che il teste, posteriore di poco a quegli anni, non poteva inventare, e -do¬vette apprendere da qualcuno dei coevi che non visse fino al Processo. Anche fuor della chiesa, la presenza e il passaggio di Gesù era per il piccolo santo eucaristico un momento espresso, un segno pronunciato
( I ) FABER, SS. Sacramento, pag. 441.
(z) FABER, SS. Sacramento, pag. 107: a Certe anime hanno avuto da Dio il dono di discernere per mezzo di un sentimento o presentimento dove conservasi il SS. Sacramento... a. Pag. ro9: «Tali doni indicano un´attrazione quasi magnetica esercitata da N. S. stesso dietro il velo Sacramentale a.
(3) Somm.: Cagliero, 133.
(4) Non se ne trova alcun cenno nei testi coevi, segno che non era cosa quo¬tidiana, dove l´attenzione al Savio non poteva mancare.
(5) Somm., Barberis, 140.

374
di quella sua vivente adorazione. « Se gli fosse capitato, dice la Vita, d´incontrare il Viatico portato a qualche infermo, egli s´inginocchiava tosto ovunque fosse; e se il tempo glielo permetteva, l´accompagnava finchè fosse terminata la funzione ». Queste parole che compendiano un abito di condotta, ridestarono nei primi lettori la rimembranza di alcuni fatti, che furono aggiunti nella seconda o terza edizione (i). Una volta gli passa vicino Viatico, mentre piove e le strade sono fangose. Il giovinetto adoratole, in mancanza di meglio, s´inginocchia nella fanghiglia. E un compagno ne lo rimprovera per lo sciupio degli abiti, come d´un atto non necessario e non comandato dal Signore in tali condizioni_ La risposta è degna di lui: « Ginocchia e calzoni è tutto del Signore, perciò tutto deve servire a rendergli onore e gloria. Quando passo dinnanzi a Lui, non solo mi getterei nel fango per ono¬rarlo, sibbene mi precipiterei in una fornace: perché cosi sarei fatto partecipe di quel fuoco di carità infinita che lo spinse ad istituire questo gran Sacramento ». Con sentimenti come questi si può subire lietamente il martirio!
Altra volta, già inginocchiato in adorazione del Viatico che passa, si vede vicino, ritto in piedi, un militare. Ed egli, non osando invi¬tarlo ad inginocchiarsi, stende il suo piccolo moccichino sul terreno insudiciato, e gli fa un segno. E il buon soldato, prima un po´ con¬fuso, coraggiosamente obbedisce a quel cenno, e s´inginocchia sul nudo terreno in mezzo alla strada. Chi avrebbe potuto resistere al gesto eloquente di quell´angioletto?
Di codesto « sentir Gesù » era segno l´affezione al culto esterno. I testi ci dicono della sua partecipazione entusiastica al lavoro del¬l´apparato della piccola chiesa, e come godeva di vederla più bella e più adorna, come l´abitazione. del suo Gesù. Caramente il Cagliero, allora addetto alla sacrestia, ci dipinge il caro « santetto » che si trat¬teneva in chiesa, godendo degli ornati e addobbi che si apprestavano per le solennità: « sentimento che procedeva dal cuore pieno di fede pel culto dovuto» a Dio ». E quando il futuro Cardinale lavorava in quello, « il piccolo Savio veniva a pregare, a intrattenersi con me e coi compagni degli addobbi... ma si tratteneva in ispecie a contem¬plar l´altare; e si prestava a pulire banchi, marmi e pavimenti, invi¬diando gli altri piccoli sacrestani ch´erano in mio aiuto» (z).
Don Bosco scrive che « prendeva parte con trasporto di gioia a
(i) Dei testi uno-solo, l´Amadei, accenna all´episodio del militare. Ma lo ri¬corda come argomento di prova desunto già dalla Vita. Dei coevi superstiti nes¬suno n´ebbe o ne diede notizia.
(Z) Sommi., Cagliero, x28-132.

375
tutte le pratiche le quali riguardassero al SS. Sacramento ». «Per lui, dice ancora il Grande amico, era anche una gioia se pOteva servire alle funzioni dell´altare »: e l´Amadei ci ricorda quanto si esaltasse in potei- accompagnare vestito da chierico il SS. Sacramento (i).
È un altro tocco espressivo col quale appunto lo scrittore conclude il capitolo eucaristico: « Alla festa del Corpus Domini fu vestito da
chierico e mandato alla processione della parrocchia. Egli vi andò son sommo piacere, ed ebbe tal cosa come prezioso regalo che mag
giore niuno gli avrebbe potuto fare ».
o o 0
Ho detto del clima eucaristico voluto creare da Don Bosco nel¬l´Oratorio, e come l´anima del suo alunno ne fosse penetrata e da quella se ne irradiasse la benefica influenza sugli altri. Non è esagerato il dire che al moto eucaristico di quei tempi abbia contribuito potentemente l´esempio e I´apostolato del Savio. È un punto capitale della storia spi¬rituale di lui e della vita da lui vissuta nel mondo di Don Bosco, dove egli non è passato come una bella meteora, ma ha lasciato profonda traccia di sé. I dati della storia ci fanno contemplare nuove movenze
di quella stupenda figura di piccolo ma grande santo.
« Tornando al primo detto », oltre l´attenzione al Gesù del Taber
nacolo desiderata dal Santo Maestro per tutti i suoi giovani, poteva dirsi che il Divino Amico fosse continuamente presente all´anima
angelica del discepolo, ed era non solo memoria e pensiero, ma ardore di affetto e attrazione: era bisogno di stare con Lui, quella necessità
di tornare a Lui, che urgeva l´anima dopo averlo ricevuto (a). « Era per lui, dice il libro, una vera delizia il poter passare qualche ora di¬nanzi a Gesù Sacramentato. Almeno una volta al giorno andava inva¬riabilmente a fargli visita, invitando altri ad andarvi in sua compa¬gnia» (Cap. XIV). Dopo l´atto eucaristico, sostanza divina del »culto al SS. Sacramento, la Visita fu la forma e l´espressione visibile della -divozione del Savio. E fu tanto sua, da formare storicamente un merito di lui l´essersene radicata la pratica nell´Oratorio, e di qui nell´intero mondo salesiano. Egli fu in questo una parola di Don Bosco: quella in cui si tradusse il suo pensiero.
(i) Somm.: Cagliero, 1z8; Amadei, 144. Ma cfr. sopra, pag. preced., n. i. Dori Rua, 154, ricorda la gioia di poter servire alle funzioni, e per questo ri¬manda alla Biografia. Si noti che allora non v´era peranco il Piccolo Clero, isti¬tuito dal Bongiovanni nel. gennaio 1858. Cfr. Mem. Biogr., V, 788.
-(z) Cfr. sopra, cap. II, fine. Cfr. ivi le citazioni dai Processi.

376
E questa parola, per essere efficace come fu, dovette essere splen¬dente e meravigliosa. Il libro si contenta della notizia, e solo un leggero tocco ne fa comprendere il valore, quando dice di « vera delizia ». L´ammirazione dei coevi ha fatto dire molto di più, ed ha segnato altri tocchi, che ci presentano quella figura nei riflessi del Taberna¬colo. Il Cagliero, dopo aver attestato che l´assiduità alla visita era quo¬tidiana, soggiunge: « Quante volte lo vidi entrare in chiesa pieno di caldo amore per Gesù, prender l´acqua santa e, segnandosi, gettar subito il suo sguardo verso l´altare, dove stava il Dío del suo cuore, de´ suoi affetti, e del suo. divino amore! Quanta edificazione ne ripor¬tavano i compagni che, tratti dal suo esempio, si componevano ancor essi, pregando con maggior raccoglimento e fervore! Si vedevano ac¬canto, più che ad un angelo, ad un Serafino di amore per, Gesù Sa¬cramentato!» -(1). Don Rua ripeteva la parola di Don Bosco, che per lui « era una delizia trattenersi col Gesù del SS.mo Sacramento, e che a staccamelo ci voleva la voce dell´obbedienza, e qualche volta non si accorse dell´ora, rimanendo, non osservato dai compagni, pa¬recchie ore » (z). E il Barberis ci ha detto come rimanesse in presenza del Santissimo esposto (3): il che, come fu detto, ci avvicina alla sfera dei rapimenti e delle estasi, che tutti scaturiscono da quell´adorazione amorosa e filiale, a cui rispondeva Gesù stesso (4). Non tutti ne di¬scorrono con la medesima vivezza, ma tutti ricordano, oltrecchè il
contegno edificante, il fatto che le sue visite erano, per cosi dire, ru¬bate alla ricreazione e alle ore libere (5).
Per merito di lui, questa divenne un´istituzione. « Secondo il desi¬derio di Don Bosco, s´incominciò la Visita al Santissimo: egli ne fa¬ceva le, sue delizie» dice iI Francesia. E il Branda, che riferisce no¬tizie avute da Don Bosco: « Sono in grado di affermare che la pra¬tica ancora presentemente in liso all´Oratorio (noi aggiungiamo: e in tutte le Case Salesiane) di far la visita al SS.mo Sacramento dopo le refezioni, sia stata iniziata dal Servo di Dio, il quale soleva condurre con se alcuni compagni ». E ancora: « Si ritiene nella Comunità che la pratica... di visitare ogni giorno anche più volte il SS.mo, sia stata eseguita ed insinuata dal Servo di Dio » (6).
(i) Somm., Cagliero, 133.
(2) Somm., Don Rua, 155.
(3) Cfr. sopra, pag. 373. Dal Somm., pag. 140.
(4) Somm., Don Rua, 154 e 206: « era talvolta rapito in vera estasi ».
(5) Somm.: Ballesio, 117; Piano, u9; Francesia, 120; Melica, 124; Barberis, /43; Don Rua, 1$4 e 207. — Su questa divozione carissima, condotta ad ore li¬bere, cfr. FABER, SS. Sacram., pag. 477.
(6) Somm., Francesia, 12o; Branda, 138-139.

``., 377
0 0 o
Era una delle due direzioni del suo apostolato eucaristico. La prima, quella dell´indurre alla pratica dei Sacramenti i meno propensi, opera talvolta ardua e penosa (i), e di promuoverne tra i più docili la fre¬quenza. Afferma il Francesia che « fu uno dei primi promotori della Comunione frequente e quotidiana », e il Cagliero ci parla « delle in¬dustrie e parole infuocate per infervorare i compagni alla Comunione frequente» (2). E, accaduto l´incidente della comunione mancata, il Cagliero gli dà merito di aver « organizzato un turno di comunioni per ogni giorno della settimana » (3). E l´istituzione della Compagnia dell´Immacolata, che potremmo, in accordo con Don Bosco, dire la sua Compagnia, ebbe per fine, oltre l´edificazione della vita, di pro-muovere la Comunione frequente (4).
L´altra direzione di codesto suo apostolato fu appunto quella del-l´insinuare, come dice un teste, Ia pratica della Visita. I compagni, che si edificavano al contemplare la sua pietà, erano quelli da lui chia
, mati, come dice la Vita, «a tenergli compagnia » nell´atto divoto, e tutte le testimonianze citate, mentre dicono della pratica sua propria, vi accompagnano l´accenno allo zelo ch´egli esercitava per condurre altri a fare altrettanto. È, ripetiamolo, un altro dei suoi meriti stori¬camente assicurato.
Appunto perciò, che molte volte non era solo, soprattutto nei primi momenti, egli eseguiva quella divozione seguendo il Giovane Provveduto (5). Don Bosco vi aveva inseriti gli « Atti da farsi nel vi¬sitare il SS.mo Sacramento » e la .« Corona del S. Cuore di Gesù» con 1´ « Orazione al S. Cuore di Maria »: nelle edizioni usate dal Savio non figura ancora l´atto della « Comunione spirituale » (6). Ma Pal
(1) Cfr. Vita, cap. XII. — Cfr. Somm., Piano, 119; Cagliero, 196.
(2) Somm.: Francesia, rzo e 189; Cagliero, 128. Si noti: nella seconda depo-sizione (pag. 189) il Francesia, maestro e compagno del Savio, dice soltanto: Seppi che egli, ecc. ». O non lo vedeva? Ma è meglio così, per provare che il Sommario «fotografa» i discorsi quali sono.
(3) Somm., Cagliero, 196. Veramente le cose andarono un po´ diversamente (cfr. sopra, pag. 355), ma il Savio vi aderì subito e forse vi mise la parola de¬cisiva. Infatti ciò fa parte del Regolamento della Comp. dell´Immacolata.
(4) Somm., Francesia, 159.
(5) Somm., Don Rua, 207.
(6) Sulla copertina della Storia d´Italia (1856) è annunziata la 45 edizione, mentre il Testamento del z6 luglio dice solo: edizione 3n. — La quarta usci alla fine dì quell´anno: e il Savio non aspettò davvero a quel tempo ad avere il libro usato da tutti. Ma poi, neppure nella ediz. del 1863, detta nuova accresciuta, non si trova ancora quell´Atto,

378
fonsianità strettissima di Don Bosco, anche nelle cose di pietà, come gli ha fatto accogliere dall´apostolo, se non creatore, certo formula¬tore della Visita, quella preghiera degli « Atti » (I), così deve avergli ispirato il concetto e la pratica, da lui inculcata sovente nei suoi di¬scorsi ai giovani, della Comunione spirituale (2): e se quest´idea fu in Don Bosco, non è possibile che non fosse anche nel Savio, che in fatto di vita eucaristica ne. è il ritratto più genuino. Quando meno, il nostro giovanetto poteva averne l´ispirazione leggendo l´Imitazione di Cristo, dov´è inculcata espressamente (3), derivandola forse da S. Tom¬maso (4). In una parola, non è possibile che codesto Atto, che il Faber chiama la sola comunione possibile agli Angeli, sia stato assente dai fervori del nostro santino in presenza di Gesù nel Tabernacolo. Forse questa fu una pratica personale: d´altra parte quelle ch´egli seguiva in compagnia erano poi a lor volta osservate da lui anche solo. Don Bosco infatti, nel breve capoverso in cui vi accenna, ci fa sapere che «.la preghiera a lui prediletta era una Coroncina al Sacro Cuore di Gesù per compensare le ingiurie che riceve dagli eretici, dagl´infedeli e dai cattivi cristiani », osservando in nota che quella si trova anche nel Giovane Provviduto.
0 o o
È una notizia preziosa. In primo luogo, rispetto agl´indirizzi de¬vozionali di Don Bosco. In quei tempi la divozione al SS. Cuor di Gesù non aveva ancor raggiunta l´espansione e la profondità che ha nei tempi presenti, e se l´orientamento dato dal Santo al culto euca¬ristico non mette in primo piano nè come titolo il nome del • Sacro
-(i) t un fatto storico che l´introduzione e la divulgazione della Visita al SS. Sacramento tra lé divozioni della Chiesa è merito di S. Alfonso, che fin dal 1745 pubblicava il suo aureo libretto della Visita, ecc., e lo inseriva poi nella Collezione delle Opere spirituali del 1760 insieme con gli «Atti per la S. Comu¬nione », e ancora nel suo Cristiano provveduto (1761), dove, con gli t Atti cristiani da farsi: almeno una volta al giorno » compaiono gli « Atti per la Confessione e Comunione» e il « Modo di sentir la S. Messa » e la Visita breve. Un primo esempio (o modello?) del Giov. Provveduto.
(z) Il Santo Dottore nel suo libro della Visita inculca la Com. Spirituale, anche adducendci visioni e fatti straordinari.
(3) Lib. IV, cap. X, art. 6. E la propone primariamente per supplire alla Comunione Sacram. impedita, poi come mezzo di culto dell´Incarnazione e Pas
sione di N. S.
(4) Summa Theol., parte III, q. ai, art. I, c. zr. Il FABER, SS. Sacramento, pag. 481-486, svolge ampiamente e piamente questo tema, con citazioni ed esempi di Santi La definizione citata -appresso è a pag. 481.

379
Cuore, ciò deriva dal fatto ch´egli doveva anzitutto lavorare alla prima e fondamentale necessità della pratica eucaristica, nella sua figura più semplice ed elementare, ch´è quella propria del culto della Chiesa: salvo poi, in tempi successivi, ad assecondare il nuovo e più aperto indirizzo verso cui si venne orientando la spiritualità cristiana della divozione eucaristica. Don Bosco non è per antonomasia l´apostolo della divozione al Cuor di Gesù, perché anzitutto fu l´apostólo della Comunione frequente e della divozione al SS. Sacramento, senza di che la divozione così titolata rischierebbe di finire in una sentimenta¬lità e in una tenerezza meno che concreta: ma accolse ed inculcò la tenerezza più autentica verso Gesù amante e verso l´Umanità di Cristo nel SS. Sacramento dell´altare, quando additò nella divozione ripa-ratrice, totalmente eucaristica (I), della Coroncina al Sacro Cuore di Gesù lo spirito e la forma primigenia della divozione stessa. Il Cuor di Gesù gli stava tanto presente, che sotto l´immagine di S. Luigi preposta al frontispizio del Giovane Provveduto fin dalla prima edi¬zione (1847) aveva posta, come un invito del Santo ai giovanetti, la strofetta: Venite, o giovanetti, — offrite al Divin Cuore — il verginal candore, --cleio vi proteggerò. E non solo lasciò che la divozione al Cuor di Gesù si svolgesse e dilatasse in casa sua, ma, come avvenne negli ultimi tempi di -sua vita, la caldeggiò fortemente, volgendola, com´era di dovere, al Gesù del SS.mo Sacramento, dal quale non la volle mai separata nè distinta. E la storia ci fa ben sapere con quale eroismo accolse e adempì l´incarico affidatogli da .PP. Leone XIII di erigere in Roma la Basilica del S. Cuore di Gesù, la cui consacra¬zione fu l´ultima grande consolazione della sua vita, forse abbreviata dall´immane lavoro da lui sostenuto per quell´opera (2).
Lo spirito essenzialmente -eucaristico di Don Bosco in tale divo¬zione passò, come quello delle altre, nel Savio. Don Rua attestava ch´egli « preferiva la Visita e la Coroncina al S. Cuore perché hanno di mira di risarcire il Cuore di Gesù delle offese che riceve (nella Di¬vina Eucaristia) dagli eretici, dagl´infedeli e dai cattivi cristiani » (3).
la tenerezza per i patimenti eucaristici del buon Gesù, che sta rac¬chiusa in quella Coroncina: tenerezza che è « ad ´un tempo un forte cibo per la più sublime ed elevata santità, ed anche dolce latte pii pargoli in Cristo » (4). Il nostro santino, tutto cuore già per natura,
(i) Infatti intende a riparare il C. di. G. degli oltraggi e offese che riceve nel SS. Sacramento.
(z) Cfr. mio Profilo Storico, pag. 24.
(3) Soni-m., Don Rua, zo7.
(4) Dei «patimenti eucaristici» discorre il FABER, in SS. Sacram., Epilogo: Riparazione, II, pag. 490-496. Le parole citate, da pag. 49o.

380
la sentiva tanto, che tra le sue sante consuetudini aveva collocato quella di fare ogni mese la Comunione Riparatrice « per risarcire le offese che in gran copia riceve Gesù nell´Augusto Sacramento » (t).
La coroncina a sua volta dava le parole ad una delle più intime comunicazioni col Gesù del Tabernacolo, ch´è lo spirito di riparazione, fatto di amore puro, generoso, disinteressato, che decuplica la tene¬rezza (2), e stringe in più familiare intimità d´amicizia, amicizia con¬solatrice! la nostra individualità umana col Cuore divino, palpitante sotto i veli, sacramentali.
Così infatti bisOgna vedere il nostro piccolo grande Santo in pre¬senza del SS. Sacramento: molto vicino e stretto anzi al suo buon Gesù, in atto di parlargli coi più infocati e teneri accenti, e di ascol¬tare le parole dette, per così dire, all´orecchio. Io davvero vorrei che qualche volta, quando sarà canonizzato, lo si dipingesse così. Sarebbe un´immagine eloquentissima della vita interiore del nostro giovane santo. Giacchè la divozione al Santissimo e il vivere la vita eucari¬stica, com´è collegata colla vita profondamente spirituale delle anime interiori, così conduce continuamente alle elevazioni della propria abnegazione, che nel Savio conosciamo essere state eroiche, e alle meraviglie della preghiera soprannaturale (3). E se pensiamo che una cotal divozione ha la proprietà di non lasciarsi mai divenire abitudi¬nalia nè esaurirsi mai, e cresce invece quale mistero inesauribile, quasi come la visione beatifica (4), ci è dato comprendere a quale punto debba essere stata portata la vita di quest´anima che abbiam veduto essere totalmente eucaristica, e come i carismi, che su di essa effonde lo Spirito Santo, siano come sparse rivelazioni d´un soprannaturale stato interiore nascosto ai nostri sguardi e contemplato con amore da Dio.
0 • o 0
Non però che dobbiamo attendere soltanto a tali doni sopranna¬turali per conoscere il lavoro che la vita eucaristica esercita sulla vita visibile e quotidiana. Il culto speciale, la divozione al Santissimo ap¬porta i suoi frutti proprii e immediati nella vita vissuta, sia pure che questa non possa astrarsi dagl´impulsi interiori della spiritualità. Il Faber, ornai nostro autore, che ha studiato per ogni aspetto « le opere e i modi di Dio » nel SS. Sacramento, ha nel suo volume un capitolo
(i) sommo Declar. n. rI, di L. Marcellino, pag. 475. (a) FABER, Il piede della Croce, pag. 400-401.
(3) FABER, SS. Sacramento, pag. 470,
(4) Op. cit., pag. 431,

381
di elegante squisitezza spirituale, che intitola: I fiori dell´Altare (i). Vi ho già accennato in altra parte di questo studio (a), per spiegare al lume di quei concetti, certi lati simpatici del carattere del Savio. Qui sta bene enumerarli, ricordando il caro santino; e torna a conferma dell´assunto più volte enunciato, che in anime pervase dalla grazia di Dio, anche ciò che vi è di virtù umana, tutto si vivifica ed eleva ad un grado superiore in grazia dei motivi spirituali. La teologia qui entra in pieno a darci ragione (benché spero che finora non m´abbia mai dato torto) con la dottrina del merito soprannaturale delle azioni operate colla grazia santificante.
Ma i fiori che sbocciano sull´altare adornano l´anima del santo fanciullo di una vaghezza tanto più affascinante, in quanto trovano in questa una volontà di accoglierli e una consapevolezza nel colti¬varli, che li fa suoi e li moltiplica nelle azioni della vita esteriore e nell´intero regime spirituale: sicché il Savio, così come lo siam venuti conoscendo, è, in massima parte, l´espressione della virtù esercitata in lui dalla vita eucaristica. Il primo fiore k quello della gioia cristiana, quella gioia interna ch´è uno dei più elevati elementi di vita spiri¬tuale. Di qui provengono la generosità e la costanza nel servizio di Dio, e il godimento della preghiera: perfino la cortesia e soavità dei modi insegnata dalla dolcezza e bontà di Gesù; e poi quella libertà soprannaturale di spirito, che tratta con Dio in giusta confidenza e familiarità filiale: l´ardore stesso della mortificazione alimentata dal-l´entusiasmo del patire per amore. È irradiazione del Santissimo questa gioia dell´anima che si sente per esso in vicinanza di Dio. E Don Bosco l´ha veduta nella sua creatura spirituale, e l´ha detto (3), come il suo discepolo ha potuto dire: « Noi qui facciamo consistere la santità nello star molto allegri » (Cap. XVIII).
Nella divozione dell´Altare fiorisce lo spirito di adorazione, ch´è un bisogno delle anime unite con Dio; quel vedere e adorare Iddio in ogni cosa, avanti ogni cosa e come superiore ad ogni cosa: il veder Dio vicino a sè e vederlo in tutto, col sacro e filiale tiniore, che ancor esso è un: modo di adorare e di amare. Da questo spirito discende la capacità e il modo di elevare all´ordine soprannaturale la vita comune, che sappiamo essere la sostanza pratica della spiritualità. È il « vivere di Dio, con Dio e per Dio », in cui il Cagliero raccoglie tutta la vita interiore del suo prediletto amico.
Nell´aiuola del Santissimo fiorisce la gratitudine, caratteristica
(i) Op. cit., lib. II, su. VII, pag. 176-z14. (a) Cfr. lib. IV, cap. II e cap. IV. (3) Cfr. sopra, pag. 357-358.

3g2
virtù dei Santi e specialmente dei Fondatori d´Ordini: una virtù personificata in Don« Bosco e nel suo piccolo santo. L´abbiamo già considerata a suo luogo, vedendola, com´è appunto, quale una prova dell´amor del prossimo prodotto dall´amor di Dio. Un´anima che sente profondamente ed esercita cordialmente e teneramente la gra¬titudine è un´anima per sè disposta alla santità (1). E non occorre uno sforzo di logica per vedere come la divozione dell´Altare porti con sè quell´altezza e delicatezza di sentimenti, che sono il movente e la ragione prima della gratitudine.
Il Savio ci si è rivelato il tipo della semplicità e della sincerità, quale la propone S. Paolo: in simplicitate cordis et in sinceritate Dei
Cor., I, rz): un´imitazione umana della semplicità essenziale di Dio, ch´è pure parte essenziale della santità (z). La cristallina traspa¬renza di quell´anima è una delle ragioni della simpatia ch´essa atti¬rava sul caro fanciullo, vestendolo di un garbo grazioso simile a quello di Gesù. Era una sincerità che, portata nel trattar con Dio al sublime, si rivelava con umiltà a Dia e a chi lo rappresentava nel secreto della Confessione, con tutta oggettività e ingenuità: con quell´umiltà che non confonde nè turba o impiccolisce, ma vive di confidenza e di fiducia.
Se in codesta sincerità vi poteva essere un´eccezione, questa era ancor essa una virtù fiorita dall´altare: la virtù del nascondimento. Il Processo sulle virtù eroiche del nostro piccolo grande eroe ha in ogni parte fatto comparire il suo studio di occultare, non solo i carismi interiori, ma benanco il merito delle sue opere buone e gli atti di virtù, talvolta fino all´eroismo. Non volle comparire l´autore princi¬pale della Compagnia cosi sua: come non disse, se non per obbedire, della sua innocenza nel fatto della ingiusta punizione: come nulla rivelò (ed è notato nella Vita) del suo eroico gesto pacificatore della rissa, nè dell´oltraggio villano sopportato con una fortezza da martire. Il Santissimo insegna e infonde, non solo per l´esempio della Vita nascosta nel Tabernacolo, ma per irradiazione di virtù secreta, co¬desta virtù, che solo il Cristianesimo ha rivelato all´umanità (3). La vita col Gesù nascosto avvezza l´anima ad una intimità che non può non riflettersi sugli abiti spirituali più delicati.
Questi sono i fiori che si raccolgono sull´Altare, e che il Savio ha raccolto per adornare l´anima sua. Sono la fioritura d´una pianta che ha nel cielo le sue radici e vive della linfa del cielo; la vita della quale
(i) Op. cit., pag. 196. (z) Op. cit., pag. 198. (3) Op. cit., pag. 212.

383
noi sappiamo che non può essere se non l´amore. In qualunque modo vogliamo contemplare l´Eucarestia e la vita di essa nell´anima, non può mai vedersi che una vita e un riflesso dell´amore. L´anima del Savio, anima eucaristica per eccellenza, e vestita d´una santità attinta dalla sua unione col Gesù dell´altare, non può essere veduta che tra gli splendori e nella fiamma dell´amore; e tutta la vita eucaristica e tutta la vita, della sua santità si riassumono in una parola, ch´è l´unione incessante d´amore con Gesù.
o 0 o
Ed ora volgiamo per un momento lo sguardo a. Don ´Bosco, al quale si deve, dopo la grazia di Dio, la forma della santità ´del Savio: in qual modo ha parte il Santo Educatore nella vita eucaristica del suo discepolo santo ? Si, una primaria e primordiale, d´averlo esso intro¬dotto in quell´aria di cielo, rivelandogli quella via dove il piccolo santo trovò la vita propriamente sua. Ma, all´infuori di questo, e considerando tutte le attuazioni che essa vita dispiegò, la domanda rimane.
Ebbene, noi rispondiamo invertendo la domanda. Vi è una parte, un aspetto, un atteggiamento in tutta questa magnifica storia d´un´a¬nima, nella quale non si legga a chiare parole la mente e lo spirito, anzi la reale effettiva impersonazione dei suoi sentimenti e indirizzi? Vi è qualche cosa in codesto « Savio eucaristico» che non sia propria¬mente germinato dal suolo di Don Bosco e cresciuto nel suo clima e sotto la mano di lui?
Il Santo che ha storicamente la gloria d´aver lanciato nel mondo indifferente Io spirito salesiano del culto eucaristico, ha espresso il verbo dell´opera sua in un santo eucaristico, e questo santo fu Dome¬nico Savio.

LIBRO IX
I CARISMI

CAPITOLO I
L´anima privilegiata.
La storia interiore degli stati d´animo del nostro giovane santo nelle sue comunicazioni con Dio, quale si è venuta. delineando nel nostro precedente discorso (i), mentre più d´una volta mette sulla soglia d´una vita spirituale privilegiata, dove i doni dello Spirito Santo intervengono ad innalzare soprannaturalmente le potenze dell´anima, c´induce e´ quasi ci_ sforza a pensare che dunque non debbono esser mancati nel caro santino anche altri carismi e doni di Dio, che nel¬l´idea comune, quasi volgare, contrassegnano tra gli altri uomini il Santo: quell´insieme cioè di fatti straordinarii e meravigliosi, talvolta miracoli, che fanno di lui un essere particolarmente favorito e accoro-, pagnato dalla mano di Dio: esagerando, ci si fa quasi l´idea di un es¬sere che tocca la terra senza premerla, e si muove come un sonnam¬bulo od un ipnotizzato (z).
In realtà, e senza tema .di esagerare, dobbiamo convenire che nel piccolo santo si avverano fatti straordinarii e meravigliosi, tanto nel mondo interiore dell´unione con Dio, che diviene a volte una presenza sensibile e quasi un contatto, quanto nella manifestazione di carismi singolari, che si traducono in fatti visibili e storicamente provati.
Non c´è da farne, si noti bene, un tipo di vita mistica, quale si ha nei santi storici di tal carattere: piuttostochè di vita mistica c´è da par¬lare di una mistica della vita, che trasforma ed eleva ogni cosa al soprannaturale, com´è appunto il primo carattere della vera spiritua¬lità. Ma, oltre a codesta estasi della vita, che S. Francesco di Sales vuole posta a fondamento e sicurtà della vita carismatica (a), fatti mi¬stici intervengono innegabilmente a completare e sublimare la figura interiore del Savio, e se ne ha documento, nonché in episodii inattesi o non pensabili, in una continuità di disposizioni che tecnicamente
(i) Cfr. sopra, lib. VI, VII, VIII. (a) JOLY, op. cit., pag. 156.
(3) Teotimo, cit., lib. VII, cap. VII. — Cfr. TANQUEREY, Cit., Il. 1461.

388
si direbbero uno stato dello spirito, e che, pur non potendosi gra¬duare metodicamente in una storia di sviluppi e di progressi, signifi¬cano la vera e propria esistenza d´una vita interiore straordinariamente unita con Dio, in una permanenza di carità e di pensiero, a cui non può darsi altro nome che di via estatica, ed è, come sappiamo, la via interiore dei Santi. Altrettanto avviene della vita esteriore, dove non c´è da pensare ad uno spiegamento di carismi che avvolga come d´un nimbo l´umile persona del caro Santino. La sua vita è, per quanto perfetta, quella di tutti, e lo straordinario carismatico si manifesta in fatti isolati e nelle maniere più squisitamente recondite dei segreti di Dio, e solo vengono a conoscenza perchè l´obbedienza lo costringe a rivelarli a Don Bosco (i).
Santità singolarissima è questa del Savio, che in un quasi fanciullo, e cioè nel breve corso dei quindici anni, fa trovare tutto ciò che la dot¬trina delle ascensioni spirituali e la storia dei Santi collocano in ore distanti della vita, come frutto di assidue e diuturne preparazioni, o disseminano pel lungo corso d´una vita adúlta (a). Il detto della Sa¬pienza: Consummatus in brevi, explevit tempora multa (IV, 13), trova qui la sua letterale dimostrazione, e più volte la parola dei testi più autorevoli´ riconobbe nel fanciullo santo la verità del fatto. Giacché, se i fatti singoli rimasero quasi sempre ignorati dai conviventi col Savio, e n´ebbero notizia da Don Bosco dopo la:morte di lui, non è che non avessero come una sensazione che in quel fanciullo vi era qualcosa di non comune e di straordinario soprannaturale. Ce Io dice il Cagliero (3): « La fama dei doni straordinari avuti da Dio, special¬mente nelle sue orazioni e nel ricevere Gesù Sacramentato, era co¬mune tra i suoi compagni dell´Oratorio e presso i maestri e il Direttore spirituale Don Bosco ». Il quale, pure serbando il segreto di Dio, non mancava di far sentire « con particolare confidenza » ai suoi figli¬uoli più intimi che tra loro vi era qualcuno che Dio prediligeva: « gio¬vani così pii e cari a Dio e così virtuosi, sino a fare dei miracoli, sve¬lare il futuro, ottenere grazie, ed avere tanta unione con Dio sino ad
(i) Somm.: Don Rua, 323: «Il Servo di Dio per la sua umiltà osservava di-ligentemente l´avviso: Sacramentum regis abscondere bonum est: perciò, che io sap-pia, non ha mai parlato con alcuno dei suoi doni soprannaturali, ad eccezione del suo direttore spirituale, a cui per obbedienza, e più per la gran confidenza, non poteva nasconderli ».
(2) Non mette conto d´istituire un paragone coi Santi giovani, con S. Luigi, col Kostka, col Berkrnans: il Savio è più giovane di tutti loro, e vive in ben altre condizioni. Tuttavia, se a quei tre carissimi giovani si ama applicare la sen¬tenza sapienziale, non è tanto più meraviglioso che si possa attribuire al Savio ?
(3) 50171172., Cagliero, 39o.

389
essere trasportati, come S. Paolo, al terzo cielo. Ed io (è il Cagliero che parla) a quel tempo, che conosceva tutti i miei condiscepoli e compagni dell´Oratorio, già mi ero formato il concetto che Don Bosco parlava di Savio Domenico» (i).
o o o
Il Santo Autore, per quanto alieno dal miracolare le sue biografie (per il Cornollo aspettò quarant´anni a narrare la famosa apparizione!), e cauto, quasi all´eccesso, nel presentare i fatti ch´egli chiama straordi¬natii (l´abbiam detto già più volte) ha veduto tuttavia che la Vita del Savio non sarebbe storicamente completa (2), se avesse lasciato da parte quella ch´è nel suo santino la manifestazione del soprannaturale. E detta il Capo XX, in cui raccoglie, sotto il modesto titolo di Grazie speciali e fatti particolari, un certo numero di fatti carismatici e una viva rappresentiiione- dello stato abituale di contemplazione; che so¬vente, anche fuor della vita di orazione, diventa vera estasi, dell´anima angelica del suo alunno, fino a coronare la sua storia con la visione del trionfo cattolico in Inghilterra.
Certamente egli non ha detto tutto quello che ne sapeva e che, dalle parole dei testi, conosciamo che doveva sapere (3), ed egli stesso nel chiudere il capitolo dice di omettere « molti altri fatti simiglianti, contento di scriverli, lasciando che altri li pubblichi quando si giudi¬cherà che possano tornare a maggior gloria di Dio ». Ma di questo prezioso corredo di notizie non resta più nulla. « So pure, attesta il Cagliero, che Don Bosco lasciò altre memorie dei fatti sopraordinarii (sic) accaduti a riguardo del pio giovinetto, le quali non si trovano più» (4). Tuttavia, anche con le poche notizie della Vita, è possibile ricostruire la vita carismatica del piccolo santo: il di più che i Processi
o altre fonti ci danno non altera affatto la linea già disegnata. Manca, a dir vero, ogni riferimento cronologico, giacché il Santo scrittore qui, come e più che altrove, si attiene al proposito espresso una. volta per sempre, al Cap. VIII, « di esporre le cose non secondo
(i) Somm., Cagliero, 321. Idem, con altro ordine, nel Proc. Ordin., pag. 322: « Ricordo aver udito dal suo Direttore Don Bosco che nell´Oratorio vi era qualcuno, riferendosi al Savio, che senza difficoltà avrebbe potuto far miracoli ».
(2) Anzi non sarebbe neppure veramente storica, quando si pensa alla parte sostanziale che il soprannaturale ha nella vita d´ogni Santo.
(3) Alcuni fatti sono ricordati dal Salotti, op. cit., cap. XV.
(4). Somm., Cagliero, 23. Sono precisamente quelle memorie di cui Parla Don Bosco nella chiusa del cap. XX. Non facciamo commenti. Ma quante e quante pagine preziosissime di Don Bosco andarono similmente perdute!

390 `1"--,
l´ordine dei tempi, ma secondo l´analogia dei fatti che hanno tra di loro special relazione, od hanno rapporto colla medesima materia ». E se questo può Parere un inconveniente per chi voglia studiare quel¬l´anima nel suo divenire, nel fatto non reca danno alcuno, ed ha anzi il vantaggio di presentare quell´essere spirituale in tutta la sua inte¬rezza, così come riesce lavorata dalla grazia e dai doni speciali di Dio. Già s´è detto altrove (i) che la storia interiore del Savio non si può nè incasellare nei compartimenti della dottrina ascetico mistica, nè pensarla secondo le gradazioni dell´ascesa; giacché là dove la tecnica (bisogna dir così) vuole i passi, e li conta e li misura, quest´anima ec¬cezionale si stacca con voli arditi e inattesi, che la portano d´un balzo alle cime. Epperò è meglio far come il Santo Maestro che, dopo Dio, conosce come nessun altro l´intima vita di quell´anima che gli vibra tra mano: è meglio prendere i fatti in sé, come sono apparsi, e riunirli insieme, per dare viva e completa l´idea del suo stato soprannaturale. Volendo, si potrebbe, a forza di raffronti e deduzioni, e con qualche dato biografico, collocare questo o quel particolare in uno o altro dei momenti della storia: ma, oltrecchè non sarebbe sempre sicura la de¬terminazione del tempo (2), qui si hanno elementi d´indole non mo¬mentanea, ma permanenti e attivi di continuo, che non debbono co¬stringersi nei limiti d´un´occasione qualsiasi.
Torna utile ed opportuno invece, senza nuocere all´intento dello scrittore, ordinare lo studio dei fatti in modo che ne apparisca l´in¬trinseca natura e se ne veda il legame con la vita vissuta e con le cause predisponenti delle elevazioni mistiche (altri li direbbe esperienze) accordate dalla speciale grazia di Dio. Almeno fin dove si può: giacché certi carismi sono grazie gratis datae, che provengono dal diretto in¬tervento divino (3).
O 0 0
Ho detto di vita vissuta. Tutto codesto apparato di vita sopranna¬turale e di manifestazioni mistiche e carismatiche, non potevano, secondo S. Francesco di Sales, fiorire se non sopra un terreno che già
(i) Cfr. sopra, lib. VI, cap. I.
(z) Di un fatto si ha la data sicura, 8 settembre 1855, ma non è narrato nella Vita. Cfr. Mem. Biogr., V, 343. — Di un altro fatto (la guarigione della madre), parimenti taciuto nel libro (ed ignorato dal Lemoyne) la data ha potuto stabilirsi per mia personale ricerca. Più oltre, nello studio del Terzo Momento, qualcuno dei fatti troverà una certa approssimativa collocazione: che non contrad¬dice a quanto qui vien detto.
(3) TANQUEREY, Op. cit., n. 1514.

39r
si fosse preparato ad accoglierle: è l´idea tutta ( salesiana» che la vita dell´estasi deve aver suo fondamento nell´estasi della vita, vale a dire in una tale santità di vita da toccare l´eroismo. Gli studiosi sanno che alludo al Capo Settimo del libro VII del. Teotimo, la cui dottrina fu accolta da tutti (i).
È appunto quello che Don Bosco insinua col preambolo del capi¬tolo che abbiam sott´occhio, benché non pensi di collegarlo espressa¬mente con la storia dei fatti straordinari. Se non altro, è una prova che la sentenza del Santo Dottore ha qui una conferma nella realtà, e che la vita dell´angelico fanciullo era già di per sè una preparazione
condegna alle grazie di cui Dio lo volle àdornare (z). Che se in questa pagina della Vita non è usato il termine di eroico, esso fu detto espli
citamente nei Processi, e dal Cagliero, che ne spiegò il valore rispetto
alle virtù del suo piccolo amico (3). Che anzi, quasi a commentare la sentenza del Teotimo, il Cardinale salesiano deduce dalla perfezione
ed eroismo delle virtù di lui ch´egli ebbe dal Signore doni singolaris¬simi di grazia preveniente (4), confermando la sua idea con ricordare ciò che Don Bosco diceva in anonimo del Savio e che poco fa abbiamo citato (i). In tal senso pertanto io credo che debba intendersi quella pagina del nostro libro. Pagina singolare, in cui lo Scrittore compendia in poche righe quanto sarebbe sufficiente a stampare negli elenchi della santità eroica il nome del piccolo santo, appunto come vuole la Chiesa, che anzitutto ricerca d´ogni Servo di Dio l´eroismo, ossia lo straordinario delle virtù, e solo quando lo ha riconosciuto, accede allo studio dei fatti soprannaturali e dei miracoli. Invece di collegarsi di-rettamente con l´esposizione di questi, Don Bosco interpone le sue preventive cautele: ben comprendendo che allo straordinario delle virtù è strettamente collegato lo straordinario delle grazie speciali, e
(a) Il Santo Dottore, che qui è davvero il classico della dottrina, espone ed esprime in vario modo questa massima. Nelle Op Compl. di Annecy, cfr. vol. V, pag. 27-31. — Cfr. pure TAN-QuEnEy, cit., n.. 1461.
(2) Dicendo preparazione condegna non intendo entrar nella questione teolo¬gico-mistica del merito de condigno o de congruo rispetto alle grazie speciali. Si sa che questi sono doni essenzialmente gratuiti. Cfr. TANQUEREY, cit., n. 1387.
(3) Somm., Cagliero, 103: « Tutte queste virtù... il Savio le ha praticate´in modo perfetto non solo, ma in grado eroico, e cioè non comune anche nelle per¬sone buone, pie e devote, secolari, ecclesiastiche e religiose s.
(4.) SOMM., Cagliero, 322: « Dalla conoscenza delle virtù praticate in modo perfetto ed eroico nei quattro anni che dimorò con noi all´Oratorio, deduco che ebbe dal Signore doni singolari di grazia preveniente. Dal suo Direttore, Don Bo¬sco, seppi, perchè lo diceva a noi con particolare confidenza, che il piccolo Do¬menica si poteva paragonare a San Luigi per le sue virtù; che ebbe doni sopran¬naturali, "ecc.
(5) Cfr. sopra, pag. 388.

392
che queste non debbono negarsi quando esiste quell´altro fonda¬mento (i).
Lo straordinario nel Savio è adunque anzitutto nella stessa « con¬dotta costantemente buona, che si andò sempre perfezionando col¬l´innocenza della vita, con le opere di penitenza e con l´esercizio della pietà ». E passando alle virtù teologali, egli riconosce che « potrebbesi pur chiamare cosa straordinaria la vivezza di sua fede, la ferma sua speranza, e l´infiammata sua carità, e la perseveranza nel bene sino all´ultimo respiro »..Sono altrettanti titoli formali del Processo cano¬nico, naturalmente sempre accompagnati dall´epiteto di eroico, che corrisponde, come s´è detto, allo straordinario. Per il fatto nostro, si potrebbe postillare´ ogni frase con un paragrafo del Trattato di Asce¬tica e Mistica, là dove si dichiarano le virtù e le attitudini morali pro-- prie di ogni anima chiamata da Dio alle ascensioni più intime e più elevate (2).
Ma, nei fatti che qui si ricordano, si va più oltre e si tocca il so¬prannaturale. Allora il Santo Autore sente il bisogno di avvertire chi legge ehé egli non riferisce cose fantastiche ed impossibili, giacché d´altrettali ne ha la Bibbia e n´hanno le Vite dei Santi (3); e soggiunge « riferisco cose che ho vedute cogli occhi miei, assicuro che scrivo scrupolosamente la verità, rimettendomi poi interamente ai riflessi del discreto lettore ». Anche qui, come dissi altrov s, il riserbo di Don Bosco in tal genere di fatti si manifesta con le proteste di veridicità e di esattezza storica; e la sua discrezione qui,, come nelle altre bio-grafie, giunge al punto da omettere molte cose che tiene in serbo « per un tempo più opportuno » o « lasciando che altri le pubbli¬chi» (4).
(i) Insisto su tale concetto, perchè ciò che Don Bosco non ha esposto con un legame sistematico nel libro, lo ha poi fatto apparire nei suoi discorsi cogl´in¬timi: com´è provato dalle esaurienti deposizioni del Cagliero e di Don Rua, da poco citate. Non intendo d´imprestare di mio: sì veramente mi studio di capire e spiegare l´Autore.
(2) Cfr. ad es., TANQUEREY, OP. cit., n. 1296; n. 1409; n. 1461-62.
(3) «Nelle Vite dei Santi nulla è più comune infatti del trovare miracoli uguali operati da altri Santi, gli uni provando gli altri. Non vi è, credo, alcun fatto singolare accaduto nella vita di un Santo, il quale non abbia il proprio pa¬rallelo nella vita d´un altro ». Cfr. Vita e Lettere del P. F. G. Palio., pag. 308: Lettera del P. Hutchison, collega del Faber, per la ripresa delle Vite dei Santi, temporaneamente sospesa a causa di diffidenze nazionalistiche di certi cattolici inglesi, ai quali spiaceva la santità all´italiana (1848).
(4) Cfr. - la nostra Introduzione, dov´è detto della storicità. E si vedano le ri¬serve e le proteste di storicità nel Cotnollo (cap. XIV), nel Besucco (cap. XXXIII¬XXXIV), nel Magone (Prefaz.), e perfino nel PIETRO o la forza della buona edu¬cazione (1855} (Prefaz., pag.

CAPITOLO II
La vita estatica.
Le « grazie speciali » e i « fatti particolari » (leggi: soprannatu¬rali) (t), che Don Bosco invita a considerare, si possono ordinare sotto i titoli specifici di esperienze e stati mistici, di estasi e visioni, di ca¬rismi profetici: voglio dire dello stato di contemplazione infusa coi suoi rapimenti di spirito, delle estasi eucaristiche, della visione del¬l´Inghilterra convertita, delle intuizioni a distanza, ossia dei carismi profetici: fuori del libro, e resi noti altrimenti, il dono del consiglio, il dono dell´impetrazione, il miracolo operato salvando sua madre dal pericolo di morte con l´apposizione d´un abitino. Il Salotti, al capo XV del suo ben nutrito lavoro biografico, narra tutte queste cose, ed an¬ch´egli le raccoglie a parte, come fa Don Bosco, senza volervi asse¬gnare una cronologia, salvo che nel caso già sopra indicato (2).
È tutto un complesso di fatti che portano la figura del nostro pic¬colo Santo in quella sfera che trascende la biografia edificante, per dive¬nire schietta agiografia. Vi pensava Don Bosco ? La sua discrezione non glielo lasciò scrivere nella Vita; ma i suoi più intimi hanno con-, cordemente attestato ch´egli lo dava per Santo, non solo quanto alla perfezione eroica delle virtù (lo diceva non inferiore a S. Luigi), ma ancora quanto alla capacità dei. carismi e dei miracoli (3).
(i) È la materia dell´importante cap. III del joLv, che ha per titolo: Les faits extraordinaires de la vie des Saints (op. cit., pag. 69-127). Anche-Don Bo¬sco discorre di fatti straordinarii, e sono appunto del genere di quelli studiati dallo scrittore francese.
(2) Op. citi, pag. 177-192. — Il fatto datato (8 settembre 1855) è preso dal Lemoyne, già cit.: cfr. sopra, pag. ago, n. z. — Qualche inesattezza o lacuna del Salotti sarà notata più oltre.
(3) Somm., Francesia, 376 e 397: « Io sentii più di una-volta dire da Don Bosco: non avrei alcuna difficoltà, se fossi Papa, di dichiarare Santo Savio Dome¬nico. Questi medesimi sentimenti ci diceva aver esposto a S. S. Pio IX». L´A¬MADEI, ibid., pag. 107, riferisce, dalla Cronaca di Dom. Ruttino, che Don Bosco

394
Ed è Don Bosco stesso che, con quel capitolo della Vita, ci dà la materia opportuna a ricostruire quella vita del soprannaturale nel suo piccolo Santo, così come tanta parte n´è già apparsa quando si è ,di¬scorso del suo spirito di preghiera e degli atteggiamenti di quell´anima alla presenza di Dio. Quel che là fu commentato come realtà di vita psicologica, col pensiero di non trascendere ancora in ciò ch´è sopra natura (e fu cosa, come il lettore ha potuto vedere, non agevole del tutto, e qua e là pressoché impossibile): tutto quel discorso, dico, trova qui finalmente il suo termine d´arrivo vero e proprio, e ne riesce illu-minato e compreso. Per questo io comincio dai fatti soprannaturali che hanno con quello più stretta e più intrinseca relazione, attenendomi ad un ordine alquanto diverso da quello del testo, che d´altra parte non pretende ad una metodica partizione di materia.
0 o 0
Ma, poiché ho richiamato quella parte del nostro commento che tocca il punto della preghiera intesa come lavoro dello spirito, ed è cioè orazione, voglio senz´altro pregare chi legge a dispensarmi dal metodismo degli stati di orazione, qual è di regola esposto nei trattati e nei libri di ascetica e di mistica. Noi ci troviamo, senza più, lanciati (è la parola propria) in alto, ad un apice a cui le dottrine convergono e converge tutta la metodica delle cosiddette vie di orazione. Stupisce, lo so, ma è un fatto, il fatto veramente meraviglioso, che l´anima d´un quasi fanciullo si riveli subito in cotali sfere: ma è quest´appunto la meraviglia, se si può dire, più straordinaria, questa la gloria più fulgida della santità di Savio Domenico, che in così tenera età e con la vita che sappiamo da lui vissuta tra circostanze assolutamente non comparabili a quelle tra cui si svolsero certe santità maturate e le graduali ascensioni che stanno a tipo classico delle vie soprannatu¬rali, iI nostro piccolo santo abbia raggiunto quell´apice nel quale dob¬biamo pur collocarlo. Realmente noi ci troviamo in presenza di una vita mistica, in quello stadio, dove opera espressamente e chiaramente il soprannaturale. È superfluo (e sarebbe ingombrante) discorrere di stato latente dei doni dello Spirito Santo, di fasi d´orazione, di via unitiva semplice, propria delle anime fervorose, dove regna la con¬templazione acquisita, e la docilità alle ispirazioni la sostiene nel
ripeteva x essere egli convinto che Savio Domenico avesse emulato lo stesso San Luigi, e che perciò la Chiesa l´avrebbe un giorno elevato all´onore degli altari ». Ibid., pag. zoo: 4( Egli riteneva le virtù di lui in nulla inferiori a quelle di San Luigi ». — Cfr. pure Cagliero, loc. cit., 321-32z.

`-, 395
cammino (i). Son lineamenti già dimostrati in essere nella vita che conosciamo: qui (e intendo del periodo che Don Bosco descrive, ch´è quello della vita nuova) siamo ad un piano più elevato, e per avven¬tura al più alto, dove non c´è altro limite che la misura dei doni gra¬tuiti, ossia delle grazie speciali (a). Qui è già conseguita e si perfeziona quella conoscenza sperimentale, che vuoi dire unione consapevole e senso della presenza di Dio, propria esclusivamente dell´apice con
templativo (3).
Siamo cioè nella sfera della contemplazione infusa, dono essenzial
mente gratuito, che S. Teresa chiama, senz´altro, soprannaturale: vo¬lendo significare « ciò che non si può acquistare nè con l´industria, nè con lo sforzo, per quanto uno vi s´affatichi, benché vi si possa di¬sporre » GO. Non cercheremo pertanto come il Savio vi sia pervenuto: è il meraviglioso della sua santità, il meraviglioso dell´intervento di Dio: « La contemplazione infusa, dice il Janvier, è grazia eminente e speciale, a cui non si giunge coi proprii sforzi, ma che Dio dà a chi gli piace, quando gli piace, e quanto gli piace » (5). Qui la Filotea non basta: bisogna seguire il Teotimo, e pensare alla sesta e settima Man-sione del Castello interiore di S. Teresa.
o 0 0
E creda il lettore che, così parlando, non intendo abbandonarmi all´enfasi panegirica, nè lasciarmi esaltare dall´affetto per il caro pro¬tagonista. Interpreto Don Bosco. Dice: « L´innocenza della vita, l´amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti avevano portato la mente di Domenico a tale stato, che si poteva dire abitualmente as¬sorto in Dio ». Già al Capo XIII n´aveva dato un cenno, per signifi¬care l´unione con Dio (6): ma qui va più addentro. Non solo era lo spirito « così abituato a conversar con Dio » ché in qualsiasi luogo e momento « raccoglieva i suoi pensieri, e con gli affetti sollevava il cuore a Dio »: cosicché si avverava in lui il distintivo dell´uomo so
(i) TANQUEREY, Op. cit., rispettivamente e punto a punto, n. 1314 e 1353; 1303; 1299; 1304. — Quanto allo stato latente, bisognerebbe risalire al periodo della prima fanciullezza, come, del resto, si è fatto in altra parte di questo studio.
(2) TANQI_TEREY, cit., n. 1387-1390; ibid. n. 1388, nota z; citai. da J.aNviER.
(3) Op. cit., n. 1389-1390.
(4) Op. cit., n. 1387. Cito dal Tanquerey, per comodo del lettore.
(5) Cit. da TANQIIEREY, dal Quaresimale 1923, Ritiro: Istruz. II (ediz. ital. Marietti, Torino). Così DR GIJIBERT, op. cit., 411,´pag. 368: Deus... eam concedit cui vult, quando vult, quomodo et qua mensura volt.
(6)Cfr. sopra, lib. VI, cap. II.

396

prannaturale, ch´è la vita di preghiera e il pregare incessante: non solo la sua vita era preghiera e l´attitudine del cuore rendeva preghiera vi¬vente tutte le sue azioni e fianco i suoi patimenti: non solo adunque aveva toccato quel termine della vita spirituale che trasforma in uomo´ nuovo chi è sospinto dalla grazia ad entrare nel potere della pre¬ghiera (i): ma era salito a quel grado che S.-Francesco di Sales defi¬nisce « un´amorosa, semplice e permanente attenzione della mente alle cose divine » (z); ciò che avviene per l´influsso dei doni dello Spirito Santo e di una grazia attuale speciale, la quale s´impossessa di noi e ci fa operare più passivamente che attivamente (3). E su questa via Iddio sparge i suoi doni anche più rari, le visioni e le rivelazioni, che
i teologi chiamano specie infuse (4).
Ed è tanto più sicuro l´affermarlo, perché l´Autore stesso ci delinea in tre tocchi eloquentissimi quell´estasi della vita sulla quale, secondo il Dottore del Teotimo, poggia, come dicemmo, la capacità dell´u¬nione estatica (i). È « l´innocenza della vita ».che fa del piccolo Savio un´anima privilegiata e predisposta da Dio fin dalla prima età (6); è « l´amore verso Dio » dal quale totalmente dipende l´attrazione del¬l´anima e l´estasi vera e propria (7); è « il desiderio delle cose celesti » per le quali il giovinetto vive « di Dio, con Dio, e peni. Dio », orientato unicamente verso il suo magnete che l´attira, come dice S. Francesco di Sales, al modo che .« tutte le punte degli aghi si volgono verso della calamita e vengono ad attaccarsene » (8). E di codesta attrazione e orientamento il caro santino ha dato prova fin dalla prima infanzia, e si fece tanto più forte col maturarsi della vita eucaristica, che « con¬duce continuamente alle meraviglie della preghiera soprannaturale » (g).
O o 0
Non sono queste, e lo sappiamo, le cause della vita estatica, giac¬chè essa è un dono gratuito di Dio; ma son pure quelle che formano il clima del quale abbisogna per dispiegarsi. Così l´anima del piccolo
(i) FABER, Progressi, cit, pag. 205. (a) Teotimo, lib. VI, c. III, cit.
(3) TANQUEREY, op. cit., n. 1386-B.
(4) Op. cit., n. 139o.
(5) Cfr. sopra, pag. 134. — Cfr. Op. omnia, ediz. Annecy, tom. V, pag. 27-31.
(6) TANQUEREY, cit., n. 1408. — Somm., Cerruti, 381: Parole di Pio IX a Don. Bosco: «Tenetelo in conto: era un´anima privilegiata e.
(7) Teotimo, loc. cit., cap. IV-VI.
(8) Teotimo, Iib. VI, cap. 7. Non letterale.
(9) FABER, SS. Sacramento, pag. 470, già cit.

´4-397
Savio era pervenuta « a tale stato, che si poteva dire abitualmente as¬sorta in Dio ». Io non so se il Santo scrittore abbia voluto alludere a quell´assorbimento dell´anima in Dio che con la soppressione dei sensi costituisce l´unione estatica. Probabilmente no, giacchè questo stato d´assorbimento coi fenomeni concomitanti non può essere con-- tinuo e permanente. Ma, ancorchè il linguaggio tecnico non apparisca mai nelle sue pagine, destinate ad umili lettori, precisamente in questo passo egli ce ne dà gli elementi e i dati di fatto. E poichè di San Francesco di Sales conobbe, se non tutte, almeno le opere capitali e più note, la Filotea e il Teotimo, possiamo, con molta probabilità, ammettere che non gli sia sfuggita, pur non ricopiandola, la dottrina del Santo Dottore su questo punto (i): dottrina che PP. Benedetto XIV riassumeva per dimostrare quali siano le fonti spirituali che predispon¬gono l´anima a questo stato sublime, e che sono: l´intensità dell´ammi¬razione, la grandezza dell´amore, la forza dell´esaltazione o della gioia.
Per vero, egli ci descrive lo stato dell´anima del Savio esattamente quale la dottrina comunemente accolta riconosce in chi è cosi favorito da Dio (z). Dice: « Talvolta sospendeva la ricreazione, voltava altrove lo sguardo, e si metteva a passeggiare da solo ». Che cosa avveniva? Che l´assorbimento dell´anima e della mente in Dio (prendiamo la parola nel senso più comprensivo, di tutto ciò che coll´idea di Dio si connette; per esempio, dei misteri della fede) ad un tratto si concre¬tava, si fissava in un´immagine, e tutte le potenze dello spirito si rac¬coglievano in quella « ammirazione amorosa » (è il Teotimo che ce lo insegna nel passo sopra citato); sicchè diveniva impossibile alie¬narne il pensiero e continuare a intrattenersi di cose estranee e comuni. Uno stato analogo a quello dell´Alacoque, la quale fasciò scritto nelle sue Memorie: « Lorsque je voulais prendre quelque divertissement avec mes compagnes (parla della sua fanciullezza), je sentais toujours quelque chose qui m´en retirait, et qui m´appelait en quelque petit coin à l´écart, sans me laisser de respos que je n´eusse suivi ce mou¬vement » (3). Non oggettivazioni o immagini incompatibili con la mente non avvezza a concetti meno che semplici; no: era senz´altro la rappresentazione del Paradiso, così come se lo dipinge ogni anima buona di cristiano. Niente di vago, d´indefinito, di astratto, o, se si voglia, d´intellettuale: un´immagine raggiante di bellezza e di gioia,
(i) TEOTIMO, lib. VII, cap. IV-VI.
(2) TANQUEREY, cit., n. 5454-
(3) Mémoire écrit par M. M. Alacoque sur l´ordre du P. Rollin, pag. zgr. Nel Savio il quelque chose indeterminato dell´Alacoque era l´immagine quasi ve
duta del Paradiso.

398 `´
una visione realizzata come presente e consapevolmente ricono¬sciuta (i). Ed è significante il fatto che appare dalla risposta di lui a Don Bosco: « Mi assalgono le solite distrazioni, e mi pare che il Paradiso mi si apra sopra il capo ». E doveva appartarsi, chè gli altri non l´avrebbero compreso.
o 0 o
Cose dunque non cercate, ma sopravvenute a dar forma sensibile a ciò che l´anima sentiva e presentiva. Giacché, senza voler fare la storia naturale di ciò ch´è un gesto della compiacenza di Dio, possiam ben dire che si avverava quel che avviene delle subitanee intuizioni-del genio, le quali vengono da riflessione accumulata, e qui la realiz¬zazione contemplativa erompe dall´accumularsi della permanente « at¬tenzione » alle cose divine e dall´attività dell´anima assorta o assorbita in Dio (2). L´immagine, che così si ripeteva davanti allo sguardo inte¬riore dello spirito, doveva di necessità essere come un accentramento focale di particolari immagini o idee che aleggiavano nel cielo del--l´anima continuamente assorta; e allora, cioè sovente, le distrazioni del caro fanciullo si mantenevano nei limiti fisicamente sopportabili delle sue forze: egli non faceva che ritrarsi in disparte, fissandosi in quelle.
Ma quando quella rappresentazione si presentasse subitaneamente, per una causa esterna, o fosse troppo viva ed immediata, doveva di necessità produrne un´emozione trascendente le forze dei sensi e sospenderne la funzione, immobilizzando la persona, con l´apparenza di un deliquio (3). Si adempie cioè quel secondo elemento dell´unione estatica, dell´estasi divina, ch´è la « sospensione dei sensi » (4). Che questo possa avverarsi, come si avvera di frequente, in maniera più tranquilla e meno improvvisa e drammatica, è il fatto dell´estasi vera e propria, e lo vedremo anche nel nostro santino: qui la subitanea emozione investe tutto il fragile esserino del caro fanciullo, e gli dà come uno svenimento, di cui solo Don Bosco intende la cagione e la
(I) SEOOND, op. cit., cap. III, pag. 96. — L´A. osserva, pag. 94, che: d Il est inévitable que ies dp ériences mystiques réalisées par des hommes ou des fernmes élevés dans une tradition religieuse défmie offrent une précision relative et des formes positives de representation s. È il fatto del Savio.
(a) JOLY, OP. Cit., pag. 156. E a pag. 98 dice bene: « Ce fait est le point d´arrivée d´une suite d´états
(3) II jorx, op. cit., pag. 96, spiega chiaramente questo fenomeno, adducendo anche l´autorità di S. Teresa a confutare le spiegazioni naturalistiche.
(4) TANQUEREY, Cit., Il. 1456.

`1-, 399
natura, e che -gli altri non intendono. È il fatto che il Santo Autore racconta per dimostrare la realtà e la vivezza di quelle distrazioni, che noi chiameremo rapimenti subitanei dell´estasi. Dice la Vita: «Un giorno in ricreazione parlavasi del gran premio da Dio preparato in cielo a coloro che conservano la stola dell´innocenza. Fra le altre cose dicevasi (leggi: Don Bosco diceva): Gl´innocenti sono in cielo i più vicini alla persona del nostro Divin Salvatore, e gli canteranno spe¬ciali inni di gloria in eterno » (i). All´anima del giovanetto santo, che vedeva cosi sovente aprirsegli il Paradiso sul capo, quelle parole ar-rivarono in tutta la loro potenza con l´immagine già composta e rag¬giante, e lo investirono appieno: c´era, come Don Bosco ha detto per mostrare le fonti spirituali della vita estatica, c´era l´amore, c´era il desiderio, c´era la consapevolezza dell´innocenza, c´era la presenza di Gesù; e l´ammirazione, l´amore, la gioia, si fusero insieme in una emo¬zione che vinceva il dominio dei sensi: « questo bastò, dice la Vita, per sollevare il suo spirito al Signore, e restando immobile, si abbandonò come morto nelle braccia di uno degli astanti ». È la forma tipica del
deliquio estatico.
Nessuno degli « astanti » capì che cosa avvenisse, e _non ci videro
che uno svenimento, anche troppo naturale in una personcina così debole di salute; forse di quelli nessuno sopravvisse fino ai giorni del Processo canonico, giacchè non vediamo che alcuno n´abbia fatto cenno, e l´Autore ne inserì la notizia soltanto nella seconda-terza edi¬zione (2). Ma che Don Bosco abbia compreso che quello era un au
(i) È il capo XIV dell´Apocalisse, — P evidente che innocenza, inno
centi, nel linguaggio di Don Bosco significano le anime di purezza incontami¬nata: Virgines enim sunt.
(a) Metto qui in nota, per non divertire il filo del discorso, una digressione che dovrebbe stare in testo. Questo fatto del deliquio estatico si legge anche nel PIETRO, o la forza della buona educazione, pubblicato nelle Letture Cattoliche, fase. di novembre 1855, e ricorre, con stretta affinità di espressioni, a pag. 65. Ivi è • detto: «.Bastava parlargli del Paradiso, dell´amor di Dio o dei suoi benefici, che egli (Pietro) sentivasi tutto commosso. Un dì, standomi attorno con altri suoi compagni, gli indirizzai queste parole: — Pietro mio, se tu starai sempre buono, che gran festino faremo un giorno nel Cielo col Signore! Saremo sempre con Lui, lo godremo e lo ameremo eternamente! — Queste parole, dette quasi a caso, produssero tale impressione sul sensibile suo cuore, che tosto il vidi impallidire, svenire, e sarebbe certamente caduto a terra, se i suoi compagni non l´avessero sostenuto 5. Nello studio premesso all´edizione tipica di quel libro, ho dimostrato Ia non storicità del contenuto narrativo, dato che, per confessione dell´A. mede¬simo, il libro fu esemplato, e per più di metà tradotto senz´altro, su di un opu¬scolo edificante uscito in Francia nel 185z; e che, in ciò che poteva esservi di storico, presentava col nome di Pietro, la figura di Giuseppe Morello, un giovanetta assiduo all´Oratorio festivo di Valdocco in quegli anni, che Don Bosco volle pro

400´
tentico rapimento, lo si arguisce dal seguito del discorso: u Questi ra¬pimenti di spirito (ed involge adunque anche le altre distrazioni) gli succedevano, nello studio, e nell´andata e ritorno dalla scuola, e nella scuola medesima >> (i).
o O o
Siamo cioè in presenza d´una vita estatica, nella quale, a quando a quando, si ripete l´unione estatica, che dall´estasi semplice trapassa al rapimento, il quale s´impossessa con impetuosità e quasi violenza,
porre a modello dei giovani oratoriani. E allora ho dovuto inferire, per questo episodio, come già per altri fatti, che l´Autore ha attribuito, a scopo edificante, al suo soggetto cose non storicamente sue, ma sperimentate variamente, forman¬done un racconto didascalico. Nel caso presente il libretto, uscito nel novembre del 1855, e finito certamente (come io dimostro) prima del r6 agosto (battaglia della Cernaja), riportava, come cosa del Morello o Pietro, il fatto del Savio, che si trovava all´Oratorio fin dalla fine ottobre 1854, ed era, come abbiamo potuto stabilire, nel Secondo momento della sua vita spirituale. Il nostro commento fa ben vedere come nel Savio abbia potuto avverarsi tale deliquio, come esito quasi naturale, o per lo meno attendibile, d´uno stato abituale, e una forma più sensi¬bile di quei « rapimenti » che si andavano moltiplicando, del che nel Pietro non v´è affatto l´idea. Nel 1855 Don Bosco, per quanto già tenesse nota dei fatti straor¬dinari del suo Santo alunfio, non pensava certamente di dover così presto scrivere la Vita del Savio (che uscì pel gennaio 1859, e fu dunque stesa nel ´58, ed anzi l´episodio del rapimento è inserito nell´ediz. 186o-61), e si valse di quell´episodio per dare un tono più vivo e più alto alla figura dell´Oratoriano modello. Nella Vita che leggiamo il fatto è inquadrato in tutta una serie di episodi straordinari, in un alone di soprannaturale, in cui sta giustamente collocato: nell´opuscolo del 5855 è un episodio isolato e tutt´al più legato con l´accenno alla preferenza che il pio giovanetto dimostrava per i ragionamenti delle cose di Dio. Ed ora, a cose fatte, può aggiungersi un´osservazione. Nelle Aninzadversiones della Commissione Storica sul Processo del Savio, fu obbiettato contro la verità del fatto perchè e ne mancava ogni conferma da parte dei testi »; ma non fu detto nulla di codesta anticipazione e precedenza dell´episodio nel libro di cinque anni prima. Ma, come all´obbiezione, così come verme formulata, fu agevole trovare la risposta, così, se fosse venuta in quest´altra forma (certamente più ardua a risolversi), si era già preparati a ribatterla. Per altra parte si noti come per questo episodio sia adun¬que necessario stabilire, almeno entro dati termini, una data, dalla quale scaturi¬sce l´altro riflesso, che tutto l´apparato della vita estatica del Savio non ha aspet¬tato a manifestarsi nei tempi ultimi (noi diremmo nel terzo momento), come le stesse Animadversione,s insinuarono, in un certo passo, che dovesse avvenire; bensì le forme mistiche di quella vita Si rivelarono ben presto: il che dava ragione a Don Bosco di quanto disse nel capo VIII, che, dopo l´Immacolata del 5854, egli senti il bisogno di cominciare fin d´allora a notare i fatti edificanti (e, naturalmente, gli straordinari) della vita del suo santo discepolo.
(i) Somm., Melica, 320.

401
e non si può resistervi, come se un´aquila ti rapisse sul ´ali portandoti dove vuole Iddio (t).
Ed io domando al lettore: Ti saresti creduto .che in quel piccolo essere, tutto gioia, tutto bontà, tutto precisione, tutto, diciamo, quotidiano, potesse racchiudersi un´anima capace di tali meraviglie, quali appena si leggono di Santi provetti e di Santi vissuti, o quasi sempre o per tempo notevole, di vita mistica, taluni anzi classici della vita estatica, come una Santa Teresa, un Giovanni della Croce, e Caterina da Siena, Maddalena de´ Pazzi, e Margherita Alacoque ? E che si dovesse trovare in un umile scolaro, venuto dalla povertà campagnuola a vivere nella povertà universa del primo Oratorio di Don Bosco, così popolare nel senso più pedestre della parola, che si dovesse trovare, dico, quello che non si legge di un San Luigi Gon¬zaga ? (2). È ancora lecito dubitare che la santità, anche nelle forme più elevate, possa vivere e maturarsi nell´età giovanile, quando la vediamo tale in un poco più che fanciullo? La Chiesa, del resto, ha già parlato, e la questione non si discute altrimenti, e la si risolve con una parola ispirata: Mirabilis Deus in sanctis suis (3).
(i) TANQUEREY, 1458-´59.
.(a) Diamo per dimostrato che la via estatica non ebbe in S. Luigi aperte manifestazioni carismatiche. Un´altra meraviglia anche questa.
(3) Nella Vita del Besucco, cap. XXXIV, Don Bosco, concludendo il libro, accenna a « chi rifugge di riconoscere le meraviglie del Signore ne´ suoi servi ». Eppure il Besucco, nella comune opinione, non è all´altezza del Savio.
xz — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte IL

CAPITOLO III
L´estasi eucaristica.
Quell´unione estatica, che ora ci è apparsa così repentina e perfmo drammatica, si avverava in maniera più tranquilla e progressiva quando sorgeva dalla più intima fonte dell´unione eucaristica: fosse poi quella della Comunione sacramentale, o quella della preghiera vivente nella presenza dell´Eucarestia. La vita eucaristica vissuta in tutta la sua pienezza, come s´è visto avvenire nel santo giovanetto, « conduce con¬tinuamente alle meraviglie della preghiera soprannaturale » (i). La vicinanza e il contatto e, diciamo meglio, la presenza eucaristica di Gesù è il cielo dove quasi di preferenza risplendono i fulgori dei-l´estasi amorosa. Forse il nostro piccolo grande Santo non s´è mai ac¬costato al SS. Sacramento colla preghiera o nella Comunione, che l´anima di lui non si sia così intimamente immedesimata col Divino Oggetto del suo amore, da sentirsegli soprannaturalmente congiunto, ed anche se non apparve sempre la nota esteriore dell´unione estatica, l´assorbimento amoroso dello spirito fu sempre così forte da rendergli difficile lo straniarsene (a).
Da questo all´unione estatica, all´estasi vera e propria, che richiama a sè tutto l´essere, e, come sospende i sensi esterni, così concentra in un punto tutte le potenze interiori: per parlar più comunemente, da questo raccogliersi tutto in un sentimento e in un´idea al rimanervi assorto del tutto, e, per dono di Dio, condotto ad un´intraducibile comunicazione con Colui al quale l´anima rivolge tutta se stessa, il passo è breve, e la grazia divina accorda ai suoi diletti di compierlo, chiamandoli all´unione estatica. Si è detto più sopra dell´attrazione che il Sacramento esercita sulle anime dischiuse alle cose di Dio: e l´immagine del Magnete delle anime trova un precedente anche più
(r) FABER, SS. Sacramento, pag. 470, già cit.
(z) Cfr. nel Somm. le testimonianze che dicono del suo prolungar la perma¬nenza in chiesa e non accorgersi delle cose circostanti. Principalmente: Don Rua, 555.

403
autorevole nel. Teotimo (i): c´è´ da aggiungere, secondo il mib consueto maestro, che l´attrazione è reciproca, e l´anima bella attrae Gesù come Gesù attrae l´anima (z).
Così avveniva che, tra il parere estaticamente rapito in comunica¬zione con Dio, quale anche, e .quasi abitualmente, lo vedevano gli altri quand´egli era in presenza del Santissimo, e si edificavano di tanta divozione (3), quel concentramento diveniva non di rado assor¬bimento ed estasi, del che non tutti né sempre si accorgevano, ed egli si accorgeva a fatto compiuto, avvertito dalle realtà circostanti.
Il giudizioso lettore vedrà da sè che con questo ragionamento non si pretende spiegare naturalmente un fatto onninamente soprannatu¬rale, che Dio solo accorda gratuitamente con la libertà de´ suoi divini voleri (4). Ma non è errato, ed è anche santamente logico, che i fatti soprannaturali e straordinarii non sono accidentalmente sovrapposti alle virtù dell´essere, sibbene intervengono ad integrarle e subii¬rnarle (i). Don Bosco, il quale ha messo in evidenza la vita eucaristica del suo diletto discepolo, sembra appunto pensare così: e i fatti stra¬ordinarii, ch´egli ricorda, della vita estatica di lui, sono addotti a prova sublime dell´altezza a cui l´attrazione pel SS. Sacramento del¬l´altare potè condurre il suo piccolo santo. Che egli, per i suoi fini educativi, abbia separato ciò ch´ era semplicemente edificante dai ca¬rismi della santità, e non si sia attardato nelle spiegazioni della vita mistica interiore, non toglie ch´egli non l´abbia veduta e compresa, e i fatti soprannaturali ch´egli adduce (pochi, fra i molti di cui ebbe contezza) sono come sparse rivelazioni d´un soprannaturale stato in¬teriore, nel quale viveva l´anima del piccolo santo. L´abbiamo già
veduto altrove.
E se in altri Santi i fatti eucaristici assumono svariatissime for
me (6), nel Nostro essi derivano tutti dall´atto della preghiera, e non (i) Cfr. sopra, pag. 396 e prima, lib. VIII, cap. II, fine, e capo III, il di
scorso sull´attrazione.
(2) FABER, SS. Sacramento, lib. IV, sez. VI, pag. 442. — Id., ibid., pag. 456: Tra i Santi e il SS. Sacramento vi è una specie di doppia attrazione per « una specie di doppio magnetismo, donde derivano le apparizioni e altri prodigi eucaristici 5.
(3) Somm., Don Rua, 323: « Ciò che ho potuto Vedere io (e così dovrei dire degli altri) fu la sua divozione straordinaria davanti al SS. Sacramento e davanti all´altare di Maria SS.; per la qual clivozione pareva talvolta in estasi, in modo
da cagionar meraviglia in chi poteva vederlo ».
(4) Cfr, sopra, pag. 395, la citaz. dal Janvier, e, in nota, dal De Guibert.
(5) JOLY, op. cit., pag. 87.
(6) Per non fare una lunga lista di nomi e di fatti, rimando al FABER, SS.
Sa
cram., cit., pag. 455-455 (Santi alimentati dall´Eucarestia); pag. 457-460 (Appari¬zioni); pag. 460-466 (Senso della presenza eucaristica e attrazioni reciproche, co
munioni miracolose, ecc.).

404 ""-,
sono, si può dire, che la sublimazione estatica di essa (i). È, bisogna dirlo, la sua vocazione mistica speciale. Tutto s´incentra nel colloquio
interiore con Gesù, che, cominciato con una preghiera d´amore, tra¬sforma la presenza ideale della fede in presenza sentita e interiormente percepita e veduta, insieme con un corteggio d´immagini e intellezioni trasumananti, in cui si concreta la realtà dell´estasi.
Preghiera è raccogliersi in un sentimento di presenza, ed è, per le anime privilegiate di una vocazione superiore, un soliloquio che diviene colloquio e dialogo, quando è percepita la risposta della pa¬rola interiore, che viene da Colui col quale si parla, e che, nell´estasi, la fa sentire (2). Invero le estasi eucaristiche del nostro caro santino, così come sono riferite, appaiono tutte estasi a dialogo; colloquio e dialogo mistico non meno che in S. Teresa, Cat.A-ina da Siena, M. M. Alacoque. Non è soltanto la fede nella verità dogmatica della pre¬senza reale di Cristo nell´Eucarestia, quella che qui attrae lo spirito e lo concentra nel raccoglimento; ma è il senso d´una realtà vivente che viene appresa con una specie di conoscenza sperimentale, quale il linguaggio umano non riesce ad esprimere, e che nel fatto eucari¬stico trascende di gran lunga il « senso della presenza » proprio della contemplazione infusa. E se il buon Dio, nella sua generosa elargizione dei doni dell´estasi, accorda anche quello delle specie infuse, che rap¬presentano nel modo più vivo e perfetto di un´immagine quella sensa¬zione, densa presenza diviene visione (3).
(i) Cfr. sopra, lib. VIII, cap. II, sub fin.
(2) SEGOND, OP. Là., pag. 93, 119, 124-125. Lo stesso autore svolge ampia-mente, da pag. 117-123, il concetto che ogni soliloquio mistico mette capo al colloquio, in grazia dell´immancabile senso della presenza. — N´abbiam detto so¬pra, Iib. VI, cap. III.
(3) TANQUEREY, op. cit., 1394; 1390; 1489. Ma l´A. non considera mai il fatto eucaristico.
NOTA. - Non sono nè monoideismi, nè illusioni, nè allueiHezioiti, nè sdoppia-menti morbosi di coscienza: Ribot e Janet qui non ci han che vedere. (Cfr. Jor...y, op. eit., cap. 111). Qui sono vere realtà di esperienza, in cui l´oggetto della pre¬senza si realizza, ed è cioè una realtà presente che si sente: e se gli studiosi meno pregiudicati lo ammettono perfino in taluni che non possedettero la piena credenza cristiana, tanto meno l´escludono in chi, avendo un Creda, non vagola in uno stato indefinito, ma possiede uno stato di coscienza sicuramente preciso. C´è divario tra un Amiel e una Santa Teresa o una Alacoque, per le quali le estasi e le visioni con esse collegate sono vere esperienze: un divario ch´è distanza e disparità di livello tra l´opera di natura e quella della grazia di Dio. Dice espressamente il SEGOND, op. cit., pag. x ot-toz: « Nous ne voudrions pas que l´analyse qui pre¬cede fîtt mal interpretée, et que l´on y vit une réduction des états de conscience de S.te Therèse, ou de Marguerite Marie, au senthnent de la présence d´un " génie interieur " ou bien l´état de conscience d´un Amiel, lorsqu´il golpe " sa propre substance" a.

`-´5, 405
0 o o
Nel nostro Savio ciò avveniva, come s´è poc´anzi accennato, ogni qualvolta si trovava in presenza del Santissimo. Già nell´entrare in chiesa un qualche cosa gli faceva gettar subito lo sguardo verso il Ta¬bernacolo (i): e nelle visite si concentrava fino all´estasi, che talvolta pareva, talvolta, come sembra in qualcuno degli episodi, diveniva estasi vera e prolungata, dalla quale lo richiamava soltanto la voce dell´obbe¬dienza (i), seppure non gli faceva dimenticare ogni cosa, e perfino innocentemente il proprio dovere (3). In talune di quelle adorazioni si rivelava visibilmente il dialogare dell´anima con Gesù. Fu notato che « pregando avanti il SS.mo Sacramento esposto, teneva gli occhi fissi in esso, e faceva piccoli segni, come se proprio parlasse con Gesù vivo e presente agli occhi suoi (4). E se questo accadeva alla sola pre¬senza esterna dell´Eucarestia, che nell´ardenza e aderenza dell´amore diveniva una sensazione del reale, che cosa dovrà dirsi quando Gesù vivo e vero era realmente presente nell´essere con la Comunione Sa
cramentale ?
Le estasi più singolari e più vive ricordate da Don Bosco sono
appunto quelle della Comunione, e naturalmente (se può dirsi) do¬vevano svolgersi nel ringraziamento. Il Santo narratore, là dove si limita ai fatti edificanti (Capo XIV), ci ha detto che « il ringraziamento era senza limite », e preannunziava i fatti mistici accennando al pro¬trarsi della sua orazione, fino a dimenticare ogni altra cosa e perfino la scuola; e soggiungendo che, meglio che orazione, doveva dirsi di « contemplazione della divina bontà» che comunica agli uomini i te¬sori della sua infinita misericordia. E noi abbiam potuto affermare che pel Savio il ringraziamento era tutto (5), dimostrandolo con anticipare quanto è narrato nel capitolo che andiamo commentando (Capo XX).
La verità di quei riflessi trova una conferma nella storia interiore dell´Alacoque. Per la quale i colloqui più intimi, nei quali quasi par¬lava solo il suo Diletto, avvenivano nei momenti che seguivano alla Comunione. Allora era cosi rapita nella gioia, che talvolta « pendant un demi quart d´heure » tutto il suo interno stava in profondo silenzio,
(i) Somm., Cagliero, 133, cit.
(z) Somm., Don Rua, 323, cit.; 154, e coincide con TANQUEREY, cit., 1457.
(3) S´onnn., Cagliero, 133. — Il fatto era avvertito perfino da 1Víamma Mar-gherita: a Talvolta si direbbe che vada in estasi... e quando già i compagni stanno facendo la ricreazione egli ancora si trattiene pregando, e sovente occorre andarlo a chiamare affinchè si ricordi che ha ancor da far colazione ». Riferito da Don Rua, inc.- cit., 323.
(4) Sornm., Barberis, 140.
(5) Cfr. sopra, per tutto questo, lib. VIII, cap. II, sub fin.

406
per ascoltare la voce di Lui che le parlava (i). Quelle parole ella le sentiva assai meglio che se le avesse udite coi sensi del corpo (a). Del nostro estatico santino è da dire il medesimo, e quello che altrove abbiamo tratto dal Faber (3), si avvera qui nella realtà mistica dell´e¬stasi. In quei momenti l´anima del fanciullo angelico aveva « qualche cosa da dire a Gesù» ed anche Gesù aveva « qualche cosa da dire a lui » che nel silenzio del cuore l´ascoltava. E il colloquio, il dialogo, talvolta s´accese, e si manifestò sensibilmente e coi moti visibili e con parole udite dallo stesso Don Bosco..I fatti eucaristici che questi narra del suo discepolo santo rientrano adunque in quest´ambito di soprannaturalità del sentimento di presenza nell´anima del santo che parla al suo Diletto nel Sacramento dell´altare. Vi domina l´unione estatica soave (4), coi fenomeni mistici concomitanti (5): vi è l´estasi, con l´assorbimento e colla sospensione dei sensi; forse non spicca, come nell´altro campo contemplativo già spiegato, il rapimento subi¬taneo, ma vi è bene il volo dello spirito fino alla visione (6). E il re¬sponso della Chiesa sulle virtù eroiche del nostro Servo di Dio ha già messo fuori causa ogni dubbio sulla genuina indole soprannaturale di tali fatti: la sincerità dell´origine divina è qui assicurata dall´eroismo di esse virtù (7), dall´umiltà, che fa al piccolo estatico tener nascosti
i doni che riceve (8), dall´apertura confidente col suo direttore di spirito (g), e insomma dall´estasi della vita (io): e vi è poi l´autorità del Maestro Santo, che nel suo alunno ha veduto l´opera di Dio.
0 0 0
Leggiamo pertanto le pagine di Don Bosco. La prima idea ch´egli ci dà della vita eucaristica soprannaturale del suo Domenica è la vita stessa dell´Eucarestia in lui. Qui si conferma nel fatto ciò che potè sembrare in altre pagine nostre (I i) una pia supposizione: che cioè la
(i) Dai Mémaires, cit., in SEGOND, op. cit., pag. 525.
(z) Ibid.; e nei Mém., pag. .319.
(3) Cfr. sopra, lib. VIII, cap. Il, sub fin.
(4-) TANQUEREY, Op. Cit., n. 1453.
(5) I trattatisti ne distinguono varie fasi (TANQUEREY, 1458): a me sembra che, almeno nel fatto del Savio, non sia da pensare a tanto tecnicismo.
(6) Op. cit., 1453-1460; 7489-1491.
(7) Cfr. sopra, cap. I.
(8) Somm., Don Rua, 323.
(9) Somm., Don Rua, 323 e 398.
(ro) TANQSJEREY, ea., 1499. — Tutti i titoli sopra espressi sono appunto enunciati dal trattatista come criterii di valutazione del fatto soprannaturale.
(1 i) Cfr. sopra, lib. VIII, cap. II, sub fin., e lib. IX, cap. II.

´Th 407
Comunione del Santo fanciullo durava tutta la giornata. Dice: « av¬venne più volte che, andando in chiesa, specialmente nel giorno che Domenico faceva la Santa Comunione oppure era esposto il SS. Sa¬cramento, egli restava come rapito dai sensi; talmente che lasciava pas¬sare del tempo anche troppo lungo, se non era chiamato per compiere i suoi ordinari doveri ». I coevi lo vedevano così assorto, e lo ricordano come una parvenza di estasi (1): noi sappiamo ora espressamente che cosa sia il restar « come rapito dai sensi» in estasi momentanea (a), che rapisce nel più intenso assorbimento quell´estasi incompleta, e cioè permanente e di lunga durata, che occupava l´anima nel giorno della Comunione, così com´è espressa l´attrazione che il Divino del¬l´altare esercitava sull´anima del giovane divoto (3). Non mi dilungo sul commento, avendolo già precorso e preannunziato nello spiegare quella meravigliosa psicologia eucaristica. Il breve capoverso del libro compendia tutto il nostro discorso.
Tanto più intima e profonda, tanto più realmente sentita doveva, in tale anima, riuscire la presenza e l´unione col suo Dio nell´ora che, ricevuto Gesù nella Comunione, l´amoroso assorbimento di tutte le potenze la faceva parlare nei misteriosi colloqui, in cui si trasformava la preghiera. Il « qualche cosa da dire» era allora uno scambievole dialogare, in cui l´anima estasiata percepiva distintamente, come avve¬niva all´Alacoque, le parole del Divino Interlocutore (4). I sensi ta¬cevano sospesi, o, per meglio dire, tutto l´essere obbediva all´anima trasumanata, la quale moveva le potenze sensibili, e le faceva agire e parlare (5). Anche noi, quando siamo vivamente occupati e commossi da un sentimento, pensiamo ad alta voce, e senz´avvedercene, parliamo forte e ragioniamo da noi o con, chi non si vede. E qui l´Interlocutore era presente, e le parole sentite, più che immaginate, suscitavano la
(r) Materia delicata, non sempre accessibile a tutti: di facilità o frequenza di estasi, o del parere in estasi, si hanno tuttavia testimonianze. Cfr. Somm., Melica, 320; Don Rua, 323: a Pareva talvolta in estasi in modo da cagionar meraviglia in. chi poteva vederlo»; M. Margherita (cit.) 3z3; Anfossi, 153; Don Rua, 154: a Nelle visite al SS.mo, dove restava rapito in vera estasi, da non accorgersi, ecc. ». Id., 155, cit.
(2) TANQUEREY, cit., 5457, d).
(3) Cfr. sopra, pag. 403 e pag. 404.
(4) Cfr. sopra, pag. preced.
(5) Trasumanar significar per verba non si potria, dice il buon Dante quando s´accorge di passare al cielo (Par., I, 70). Egli si sente divenire più che uomo, e la sua estasi si termina col perfetto assorbimento del suo spirito nella contem¬plazione della Trinità, si che « moveva il mio disire e il velie... l´Amor che muove il sole e l´altre stelle ». E quando l´anima è in estasi non è essere più che uomo, e uomo uscito dall´uomo, corna dice l´etimologia?

408
risposta, la quale dall´interno, ove parlava il Divino, trapassava fino alla parola articolata. Qui il fenomeno mistico coronava l´apice dei-l´estasi (I).
Ed è questo il fatto che Don Bosco sorprese, bisogna dirlo, una volta, una forse tra molte. « Un altro giorno, racconta, terminato l´ordinario ringraziamento della messa, io ero per uscire dalla sacre-stia, quando sento in coro una voce come d´una persona che disputava. Vado a vedere, e trovo il Savio che parlava e poi si arrestava, come chi dà campo alla risposta. Fra le altre cose intesi chiaramente queste pa¬role: Si., mio Dio, ve l´ho già detto e ve lo dico di nuovo: io vi amo e vi voglio amare fino alla morte. Se voi vedete ch´io sia per offendervi, mandatemi la morte: sì, prima la morte, ma non peccare » (2). A quali locuzioni soprannaturali, cioè a quali parole di Gesù rispondevano queste del Savio ? Non tentiamo neppure di argomentarle, chè le parole soprannaturali furono udite solo nell´interno. Ma ben ci è consentito, poiché Don Bosco le ha udite, di conoscere in parte quelle dell´estatico: parole che Gio. della Croce chiamerebbe locuzioni so¬prannaturali successive, e cioè « di quelle che lo spirito, raccolto in se, suole andar formando e ragionando, come strumento, ch´egli è allora, dello Spitito Santo, il quale lo aiuta a formar quei concetti, parole, e ragioni vere » (3). Anche nell´estasi la personalità sussiste, e le parole del Savio sono l´eco, non mai intermessa, del sentimento che, fin dalla prima Comunione, aveva orientata verso la santità l´anima sua: « la morte, ma non peccati ». Sentimento e proposito che non potevano derivare se non dall´amore, e le parole dell´estasi lo dicono. E sempre la ragione dei Santi: Amar Iddio tanto, da non voler mai distogliersi dall´amarlo, offendendolo: a qualunque costo, non offender Dio, per amarlo indefettibilmente.
(i) TANQUEREY, cit., n. 1489, seg.
(z) La libertà che allora era lasciata ai pochi giovani nello stare in chiesa, permetteva al Savio di preferire pel ringraziamento della Comunione di portarsi in coro, fosse poi subito o a messa finita, non importa. Ma vuol essere notata Ia circostanza del tempo in cui Don Bosco sorprende il fatto, a Messa finita: il che evidentemente lo connette con la Comunione, come si è affermato. L´Anfossi, teste preziosissimo, ma non sempre esatto nelle circostanze di tempo, colloca tali fatti in genere, cosi: « Quando voleva in modo particolare prestare adorazione al SS.mo, passava in coro, e raccogliendosi protraeva l´adorazione oltre l´ora di ri¬creazione... come fu trovato da Don Bosco, ecc. ». Cfr. Somm., pag. 14´5. Gli al¬tri testi parlano in. genere di raccoglimenti divoti e : assorbenti (Don Rua, 155)
o di estasi apparenti, o, se reali, conosciute per udita, e queste sempre in seguito alla Comunione. (3) TANQUEREY, cit., n. 1494. — Ivi la citaz. da S. G. della Croce.

409
o o o
Più meravigliosa, e rimasta, dirò, classica nella storia del piccolo santo, è la lunga estasi di gni ancora parla in queste pagine Don Bosco, e che solo rivelò dopo la morte di lui. .Finchè il Savio fu in vita, nes¬suno ne seppe nulla: almeno tra i coevi superstiti al tempo dei Processi, e v´è pure Don Rua e il Cagliero: giacché tutti ad una voce dichiarano di averne avuto notizia, dopo la morte, o dai compagni o da Don Bosco in persona (i), o per la fama che ne rimase, e in nessuno dei documenti scritti dai coevi n´è fatto cenno. Ed è bene avvertire subito, che di ciò fu unico testimonio Don Bosco (le illustrazioni dei libri e i quadretti non fanno testol), giacché, oltre al chiaro senso del testo, dove si parla soltanto del Direttore che, argomentando il vero, va a vedere e trova di fatto, sta anche la circostanza che proprio il Direttore gli suggerì la spiegazione da dare in risposta a chi lo dimandasse dell´assenza; ciò che sarebbe stato inutile se altri fossero stati presenti (2).
Meravigliosa ho detta quell´estasi. A leggere i trattatisti si trova difficile inquadrarla in una delle distinzioni che fanno: perché le estasi complete durano poco, e le incomplete, che possono durar più giorni, non sospendono i sensi in modo da impedire ogni operazione, ed hanno alternanze di concentramento, che qui non appaiono: nè d´al¬tra parte può ,questa assegnarsi soltanto alla cosiddetta orazione di unione piena, che include la sospensione delle potenze interne, dacché qui l´assorbimento è accompagnato dall´immobilità caratteristica del¬l´unione estatica, e si risolve al richiamo orale dell´obbedienza (3), Vi era, come del resto deve supporsi anche nell´estasi, tanto l´unione piena dell´interno, quanto il rapimento di tutto l´essere, assorbito nell´unione estatica, superiore a quella e da quella accompagnata e predisposta: le parole che poi dirà a Don Bosco per spiegare tali fatti ci fanno pensare all´autentico volo dello spirito (4). Essa si svolge dal fatto, nel Savio ornai consueto, di .attardarsi, dopo la Comunione, a
(s) Somm.: D. Rua, 155; Cerruti, 156; Anfossi, 145; Ballesio, 315; postumi, Branda, 138; Barberis, i4o; Amadei, 543. — Il Melica, 32o, dice di aver sentito dai compagni raccontare e che pregando in coro fu rapito per alcune ore a, Ma come disse alla prima seduta (pag. 16 del Somm.) dopo aver accennato alla morte dell´amico e conterraneo, «in seguito tra noi compagni se ne conservò memoria viva e quasi venerazione a; cioè vennero conosciute tante cose rese note da Don Bosco.
(2) Inesatto fu adunque il Branda (Scanni., 138), dicendo che «alcuni segui¬rono Don Bosco in coro, e trovarono... » (seguono le parole stesse della Vita). Ma il. Branda, lontano epigono, parla qui ex auditu ab audientibus, su referenze d´altri, che conoscevano per sentito dire.
(3) Vedine la teoria in TANQUEREY, cit., n. 1448249; 1457, d-e; r456, 2.
(4) Op. cit., n. 1460.

4.10
pregare nel coro, là dove Don Bosco lo sentì altra volta dialogare con Gesù ad alta voce: quell´attardarsi che sappiamo avergli fatto sovente dimenticare l´orario, se non si fosse venuti a chiamarlo. Ma questa volta il tempo passa come non mai, ed egli dalla preghiera incomin¬ciata è rapito a volo senza posa, quasi per un semplice saluto a Gesù, alle sfere superne, e rimane là, fisso, immobile, in piedi presso il leggio, senz´accorgersi delle sei -ore che passano dalle otto del mattino alle due pomeridiane: manca alla colazione, alla scuola, al pranzo, alla ricreazione. Nessuno sa dove sia: non c´è nello studio, non è a letto: che possa essere in chiesa, non si pensa. « Riferita al Direttore tal cosa, gli nacque sospetto di quello che era realmente, che fosse in chiesa, siccome già altre volte era accaduto. Entra in chiesa, va in coro, e lo vede là, fermo come un sasso. Egli teneva un piede sull´altro, una mano appoggiata sul leggio dell´antifonario, l´altra sul petto, colla faccia fissa e rivolta verso il tabernacolo. Lo chiama, nulla risponde. Lo scuote, e allora gli volge lo sguardo e dice: « Ohi è già finita la Messa? » (i).
Stupendo è questo scioglimento dell´estasi. È d´una semplicità, d´una calma, d´una serenità, d´una naturalezza, che non ha molto di comune neppure tra i santi mistici: i quali, per quanto sia stata dolce l´unione estatica, o se ne sciolgono a gradi, o, interrotti, rimangono qualche istante esitanti nel riprendere il possesso di sé, e quasi sem¬pre risentono una qualche stanchezza, dalla quale presto si rimettono. Nel nostro santino niente di tutto questo: come se, studiando, lo aves¬sero chiamato, volge lo sguardo e, colla più naturale delle domande, torna addietro al momento in cui è uscito di se stesso, come se nulla fosse intanto avvenuto. E son trascorse sei ore, in una immobilità di posa che non lo lascia affaticato (2), in uno stato che nessuno, neppur egli, può descrivere, e che Don Bosco paragonava a quello di S. Paolo rapito al terzo cielo (a).
A quell´ingenua, e, perché ingenua, meravigliosa, domanda Don Bosco, con eguale naturalezza, come se conversasse comunemente, soggiunge, mostrandogli l´orologio: « Vedi, sono le due ». E il giovi¬netto, che per obbedienza ha lasciato il cielo per la terra, domanda « umile perdono della trasgressione della regola di casa ». Come riesce simpatico nella sua mirabile ingenuità! Che Don Bosco abbia sorriso a quelle parole, non c´è da dubitarne: era l´unico modo di nascondere l´ammirazione, la commozione, che la nuova meraviglia destava in
(t) Vedere se un ipnotico, un sonnambulo o un isterico, o che so io di si
mile, si riprenderebbe con tanta calma e semplicità. Cfr. JoLY, op. cit., cap. III. (z) Se e teneva un piede sull´altro » non poteva, se non per un fenomeno straor
dinario, non seguirne un irrigidimento o, rilassandosi, fatica nell´arto su cui poggiava. (3) Cfr. sopra, pag. 389, ed ivi la citaz. del Cagliero, Somm., 321, 322.

´4, 411
lui; e con l´usata paternità di tono, venendo alla realtà lo mandava a pranzo, soggiungendo: « E se taluno ti dirà: onde vieni? risponderai che vieni dall´eseguire un mio comando ». Ch´era appunto quello di lasciar la chiesa e la preghiera e portarsi a soddisfare ai bisogni della vita. Bugia non c´è, e fu « per evitare le domande inopportune che forse i compagni (che n´avevano notato l´assenza) gli avrebbero fatte a
O o o
L´episodio mistico, il più meraviglioso di tutti, non era, esterna¬mente, che il più notevole dei ritardi abbastanza frequenti del caro amico di Dio. Che cosa faceva in quei ritardi? È la domanda che tal¬volta gli moveva Don Bosco. Ed egli, con la semplicità umile del Santo, che dice il fatto e non se ne arroga la gloria, anzi col sorriso di chi si scusa d´un fallo involontario, quasi spiegando la cosa come una pro¬pria debolezza, rivela cose sublimi. Dice il libro: « Gli ho talvolta dimandato che cosa facesse in quei suoi ritardi, ed egli con tutta sem¬plicità rispondeva: Povero me: mi salta una distrazione, e in quel mo¬mento perdo il filo delle mie preghiere, e panni vedere cose tanto belle, che le ore fuggono come un momento » (i).
Bisogna aprire le pagine di S. Teresa, dell´Alacoque, della Chantal, per trovare qualche cosa di simile: direi ancora che non si potrebbe in più breve discorso descrivere il- folgorare del lume soprannaturale, che arresta la parola umana della preghiera per assorbire l´anima e le sue potenze nella sola contemplazione amorosa di Dio e parlare con Lui. E se il primo lampeggiare può essere un rapimento, una grazia ulteriore, che non è di tutti, porta al volo dello spirito: « parmi ve¬dere cose tanto belle » dice, « che le ore fuggono come un momento ». S. Teresa spiega codesto vedere: « Pare all´anima di essere traspor¬tata tutta intiera in altra regione molto diversa da quella in cui vi-viamò, ove le si mostra una luce novella con altre cose tanto diverse da quelle di quaggiù, che non sarebbe mai riuscita ad immaginarsele, quand´anche vi avesse impiegata tutta la vita » (2). Credo di non esa¬gerare. Don Bosco pensava il Savio capace di salir, come S. Paolo, al terzo cielo, e i caratteri di quest´estasi non vi contraddicono, e fanno argomentare d´un vero e lungo volo dello spirito.
È una delle più grandi meraviglie che .i doni di Dio operarono in quell´anima.
(i) Somm., Cagliero, 133: a Don Bosco (diceva) che sotto il nome di distrazioni aveva spesse volte dei rapimenti e comunicazioni straordinarie, che gli faceVano dimenticare le ricreazioni, e alcuna volta, innocentemente, il proprio dovere n.
(2) II Castello Interiore, Mansione sesta, cap. V, n. 7.— Cfr. anche TANQUEREY, Cit., 1460.

CAPITOLO IV
L´Inghilterra.
Più popolare, perchè più appariscente e più ovvia nella storia d´un Santo, è la visione ch´egli ebbe della conversione dell´Inghilterra. La visione, noi lo sappiamo, è un fatto mistico straordinario, che a volte si accompagna alla contemplazione infusa (i), e prende evi¬dentemente la natura dell´estasi. Don Bosco, non tanto per agevo¬larsene il racconto, quanto perchè, essendo quella in qualche senso profetica, raccoglie in uno i valori delle estasi e dei carismi speciali, la colloca per ultima nella serie dei fatti straordinari (Cap. XX). Per quanto è dell´unione estatica in cui la visione soprannasce, essa si adempie nei modi medesimi e nelle stesse circostanze che le altre del Savio: è trasformazione della preghiera nell´ora del ringraziamento della Comunione. E si svolge non per il sopravvenire d´un´idea (che qui è figurazione immaginativa) non mai posseduta e inaspettatamente inspirata: sibbene sorge da un precorrente stato d´animo,e da un fondo d´idee abitualmente coltivati: d´improvviso c´è l´apparire della visione durante l´elevazione dell´anima. Sappiamo infatti che per la conver-sione dell´Inghilterra il Savio pregava assiduamente, si potrebbe dire quotidianamente (2): giacché gl´interessi della Chiesa, che son quelli medesimi di Gesù, erano da lui devotamente proseguiti (3). Quel pensiero gli stava tanto a cuore che, dice un teste, « ardentemente desiderava di essere in età e condizione di potersi colà recare: fiducioso che colle parole, esortazioni e soprattutto col buon esempio, avrebbe potuto guadagnare molte anime al Signore » (4). Che a destare nel
(I) TANQUEREY, cit., 1489, e, per quanto vale, 139o, 3 (le specie infuse).
(a) Somm.: Melica, 124; Cagliero, 129; Barberis, 139; Don Rua, i53: il quale aggiunge: « Forse fu in premio del suo desiderio... che il Signore gli fece avere una visione, ecc.».
(3) Cfr. sopra, lib. VII, cap. III (divoziope alla Chiesa), e le parole ivi ri¬ferite da Somm., Cagliero, 129.
(4) Somm., Melica, 124. Avrebbe mai pensato che, proprio in quegli anni, il Faber diceva che a convertir l´Inghilterra ci voleva il buon argomento della po

""- 413
Santo giovanetto un tal calore d´interessamento avesse parte precipua, forse unica (i), Don Bosco, è cosa da presumere con sicura fondatezza, quando sappiamo come il Santo Maestro coltivasse ne´ suoi figliuoli la divozione alla Chiesa e al Romano Pontefice, e con qual zelo lavorasse a combattere l´eresia (2).
o o o
Ora in quegli anni il fatto che sopra ogni altro attraeva. l´atten¬zione della Cattolicità era il movimento destatosi in Inghilterra per un ritorno all´unione con la Chiesa Romana, e cioè per una conver¬sione al Cattolicesimo. Quella rinascita spirituale e religiosa che si era annunziata ad Oxford nel 1833 coi, Trattariani, e che era promossa
e guidata dai più dotti e meglio intenzionati anglicani, ricevette dal Newmann l´indirizzo -dottrinale e morale più alto, che condusse molti di essi al cattolicismo, e con essi e per mezzo loro un gran numero di anime. Ma non fu una conversione repentina, nè mai potè essere
e (se stiamo al pensiero del Faber, uno dei più insigni convertiti) non potrà essere mai, una conversione in massa, sibbene un maturarsi d´idee trammezzo all´atavica avversione al Papismo, che tratteneva dal pas¬sare all´unione con Roma (3). Il Faber, che quella spirituale vicenda visse tutta quanta e profondamente, fin dagli esordi, paragonava l´In¬ghilterra religiosa alla Valle delle Ossa della visione di Ezechiele (cap. XXXVII, 1-4), auspicando che finalmente si levasse lo Spirito che desse loro la vita. E ciò nel 1837, quand´egli era ancora convinta-mente anglicano (4). Da Littlemore, dove nel 1842 il Newmann s´era ritirato come in un monastero, partiva a dir così,- il verbo di quell´ardua
e lenta, ma tanto più maturata e sicura evoluzione d´idee, che portò alla vera conversione (5). E questa finalmente si schiuse nel 1845,
verta evangelica e delle virtù che l´accompagnano? Cfr. Progressi,. cit., pag. 135. I Progressi, pubblicati nel 1854, uscirono in 3a ediz. nel 1859.
(e) Non è probabile che il Savio potesse da altri aver notizia delle cose d´In¬ghilterra.
(a) Cfr. sopra, lib. VII, cap. III.
(3) Cfr. BOWDEN, Vita e Lett. del P. Faber, pag. 345, e FABER, Progressi, pag. 134. Ibid., Lettera a Joh. Morris, (n. XXXII) del 31 marzo 1837: € È stata consuetudine dei dottori e maestri dell´anglicanismo, già da troppo tempo, di svolgere i loro principi in base alla negazione dei principii romani ».
(4) BOWDEN, Vita e Lett. del P. Faber, ed. cit.; Lett. XXX, al Morris, pa¬gina 65.
(5) Nel Processo Apostolico del Savio (pag. r42) l´Amadei comunicava una lettera dei Salesiani allora stabilitisi ad Oiford (192r), nella quale era detto che il risveglio cattolico in quella regione coincise perfettamente con, la visione di Domenico Savio, e che s´incominciò a Littlemore, sobborgo di Oxford, la cui

414 `-i-a
col passaggio alla Chiesa Cattolica del Newmann e dei suoi seguaci (e, si noti, il grande Maestro non fu neppure il primissimo), tra cui il Faber, già da due anni risoluto all´abiura e trattenuto dallo stesso Newmann (i). Gli Oxfordiani uscirono all´azione di propaganda nel 1847-48, e già nel 1850-51 Pio IX poteva ristabilire la Gerarchia Cat¬tolica in Inghilterra, con a capo il Wiseman, creato Cardinale. E quel¬l´anno si convertiva il Manning, attirando seco una moltitudine di credenti insigni. Il decennio successivo, 1850-6o, fruttuosissimo di conversioni, faceva ai cattolici sperare ed auspicare ad un ritorno del¬l´intera Inghilterra alla vera Chiesa: ritorno che poi non s´avverò, per cause non certamente imputabili alla Chiesa Romana; ma che tutta¬via, dai 160.00o cattolici dell´inizio del secolo XIX, ha condotto al numero di tre milioni di fedeli, e al fatto che quasi non v´è famiglia in cui un membro non sia cattolico.
o 0 0
Tra quel fiorire di speranze sempre più promettenti, e l´infervo¬rarsi delle preghiere per affrettarne l´adempimento, si dischiudeva la singolare visione del Savio. Non possiamo assegnarvi una data se non approssimativa e di certa latitudine, giacchè non consta di eventi particolari notevoli, dei quali essa possa apparire come un riverbero ed un´eco, e i termini tra cui può comprendersi sono anch´essi poco determinati. Un teste, il Cerruti, l´assegna all´anno di 3a grammatica « cioè fra il 13° e il 140 anno di età». Don Rua ci dice: « Avendo in-teso che il nostro Venerabile Padre doveva recarsi a Roma, lo pregò di animar Pio IX ad interessarsi in modo speciale per la conversione dell´Inghilterra, e forse fu in premio del suo desiderio.., che il Signore gli fece" avere una visione » (2). E la descrive come l´ha udita, termi¬nando con ricordare in quella fiaccola « la figura della vera fede pro¬mossa specialmente collo stabilirsi della Gerarchia Ecclesiastica, av¬venuto in quegli anni ». « Visione questa, che sentii raccontare da Don
cura spirituale era ora affidata ai figli di Don Bosco. t Ci pare, dicevano, che Domenico Savio abbia condotto i Confratelli Salesiani a Oxford, e precisamente in quella parte di Oxford dove s´iniziò il gran movimento verso Roma da lui visto nella celeste visione s. La storia dice altrimenti, e i buoni confratelli confu¬sero l´opera del Newmann a Littlemore (del resto ben anteriore alla visione del Savio), con l´intero movimento Oxfordiano. — Su questo tema, cfr. l´ottimo la¬voro del CONTE LOVERA m CASTIGLIONE, TI movimento di Oxford (Brescia, Mor¬cellian.a, 1935) che porta fino ai tempi nostri.
(t) BOWDEN, cit., Lett. LIT, al Neumann, vig. di Pasqua, 1843, pag. 190. (2) Sornm., Cerruti, 126; Don Rua, r53.

415
Bosco, a cui forse unicamente la manifestò, non volendo per umiltà parlarne con altri ». Don Bosco andò a Roma nel 1858, ma, come af¬ferma Don Rua nel Processo e il Savio mostra di sapere, ne manife¬stava l´intenzione tempo innanzi, e questa circostanza avvicinata al tempo accennato dal Cerruti; ci fa pensare che la visione sia avvenuta
nella prima metà del 1856; giacchè il Savio (nato z aprile 1842) fece la terza grammatica appunto fra i tredici e quattordici anni, e l´anno
scolastico si chiudeva in agosto. Dati più precisi non è possibile avere, per la ragione che tutti i testi ne parlano per udita, come narrata da Don Bosco (i): alcuni ricordano l´insistenza del Savio per la racco¬mandazione a Pio IX (2).
Dall´idea del caro santino di raccomandare al Papa le sorti religiose dell´Inghilterra, prende le mosse Don Bosco per narrare la Visione. Anch´esso la fa quasi sorgere dalla divozione del suo santo alunno alla Chiesa e al Papa. Dice infatti che « parlava assai volentieri del Ro¬mano Pontefice (a), ed• esprimeva il suo vivo desiderio di poterlo vedere prima di morire, asserendo ripetutamente che aveva cosa di grande importanza da dirgli « Ripetendo spesso le medesime cose » continua il Santo autore, entrandovi di personà, giacchè a lui soltanto il giovanetto poteva manifestare tali intenzioni, « volli chiedergli qual fosse quella gran cosa, che avrebbe voluto dire al Papa ». « Se potessi parlare al Papa_ (risponde il Savio) vorrei dirgli che in mezzo alle tri-bolazioni che lo attendono, non cessi di occuparsi con particolare solle¬citudine dell´Inghilterra: Iddio prepara un gran trionfo al Cattolicismo
in quel regno.
Don Bosco sente in quelle parole qualche cosa di più che umano:
vi è infatti alcunchè di profeticò nell´accenno alle « tribolazioni che lo attendono », mentre in quel momento non ne apparivano chiare mi¬nacce; come vi è stile di profezia nell´annunziare il futuro gran trionfo del Cattolicismo in Inghilterra. Quel fanciullo gli ha già date altre prove d´essere favorito da Dio di carismi speciali, e questo parlar così preciso fa pensare ad una rivelazione. E senz´altro gli domanda: « Sopra quali cose appoggi tu queste parole? ». Allora il piccolo ispi-. rato rivela, come forse altre volte, al suo Padre nello spirito, il suo
(i) samm.: Cerruti, 126, 320; Cagliero, 13o; Anfossi, 146; Don Rua, 153; Piano, 315; Barberis, 139. Il Piano pensava che la visione fosse avvenuta durante Ia grande estasi avuta in coro. Ma nulla lo prova.
(a) SOMM.: Barberis, 139; Don Rua, 153; Cenati; 32o. Curiosa la testimonianza della Tosco-Savio (pag. 316): «Ho debole reminiscenza di quanto narrava mio padre di un sogno misterioso (sic) avuto dal Servo di Dio, il quale lo comunicò a Don Bosco, che ne scrisse al Sommo Pontefice i.
(3) Cfr. sopra, lib. VII, cap. III, cit. e Sonzna., Cagliero, 135.

4I6
segreto, premettendo la preghiera che non ne faccia parola con altri: « per non espormi forse alle burle », dice ingenuamente. Sappiamo che Don Bosco, finché visse il Savio, non ne disse nulla. Ma poi sog¬giunge: « Se però andrà a Roma, lo dica a Pio IX >> (i). E narra la sua visione.
Non occorre qui ripetere il testo; ma non deve trascurarsi che quella gli si dischiuse nel fare il ringraziamento della Comunione, restando egli « sorpreso da una forte distrazione », e cioè repentinamente e fuori del corso della sua preghiera. Nella visione egli ha un misterioso Amico, il quale gli spiega il senso di quello che ede. Questo, com´è noto, accadeva anche nei Sogni di Don Bosco. Egli vede « una vastis¬sima pianura piena di gente avvolta in densa nebbia ». « Cammina¬vano, dice, ma come uomini che, smarrita la via, non vedono più dove mettono il piede ». Era, a confessione degli stessi anglicani della rina¬scita, ai quali s´è accennato, la condizione in cui vedevano ridotta la religione in Inghilterra (2). Ed è meraviglioso, e cioè non umano, che un fanciullo possa esprimerlo con tanta esattezza. L´Amico gli spiega che quella è l´Inghilterra.
Le naturali domande, ch´egli farebbe, sono interrotte dall´apparire del Papa Pio IX, quale conosceva dai ritratti dipinti. « Maestosa¬mente vestito, portando una luminosissima fiaccola tra le mani, si avanzava verso quella turba immensa di gente. Di mano in mano che si avvicinava, al chiarore di quella fiaccola, scompariva la nebbia, e gli uomini restavano nella luce come di mezzogiorno ». « Questa fiaccola, dice l´Amico, è la religione cattolica, che deve illuminare gl´inglesi ».
O O O
Lasciamo ogni commento: la visione immaginativa è così ordinata nel suo andamento, e così chiara nel suo simbolismo, che non abbi¬sogna di spiegazioni; è un´allegoria trasparente, che non può attri¬buirsi all´ingegno d´un fanciullo, e che mostra evidenti i segni dell´ispi¬razione. Certamente vi si riflette l´eco di espressioni e metafore udite; le tenebre dell´ignoranza e dell´eresia, la fiaccola della fede, sono im¬magini consuete ai discorsi religiosi, e provenienti dalla Sacra Scrit
(i) Cfr. sopra, pag. 414, la deposizione dí Don Rua, che l´espressione del Savio conferma.
(a) Basta pensare al travaglio in cui dal 1833 al 1845 si agitò la grand´anima del Newman, e con lui il buon Faber, per schiarirsi la coscienza religiosa e li¬berarla dalle confusioni dell´Anglicanismo. Le Lettere del Faber, più volte ricordate, ce ne danno l´idea. E così gli scritti del Newman.

417
tura (i). Ma il comporle in un quadro così ben misurato, mettendovi nella sua giusta posizione la. figura del Pontefice, che solo porta la luce della verità, non poteva essere opera d´una mente ancor così tenera come quella del nostro sanino, né tanto meno d´una mente esaltata. Quella figurazione fu composta e ordinata, diciamo, prodotta nella fantasia del santo fanciullo da una mano divina (z).
Per tale l´accolse Don Bosco, e quando, nel 1858, fu a Roma, la espose a Pio IX, « che la udì con bontà e con piacere ». E vi aggiunse
o premise la raccomandazione che il suo santo alunno avrebbe voluto fare al Papa. La risposta del quale comprende entrambi gli argomenti.
« Questo mi conferma nel mio proposito di lavorare energicamente a favor dell´Inghilterra, a cui ho già rivolto le mie più vive sollecitu¬dini. Tale racconto, se non altro, mi è come consiglio d´un´anima
buona» (3).
Così, quando già l´anima del piccolo veggente godeva la vista
di Dio, le sue parole e la sua visione profetica giungevano al soglio del Vicario di Cristo, com´egli aveva desiderato, e l´accoglierle, come fece il Sommo Pontefice, quale una conferma dei propositi, e più, come un consiglio d´un´anima buona ne fu la sanzione più alta e più sicura.
(i) Illuminare his qui in tenebris et in umbra mortis sedent... Lux in tenebris lucet... Sicut oves errantes, non habentes pastorem... etc.
(2) TANQUEREY, cit., 1390, 3.
(3) Ti Cerruti (Somm., 381) riferisce una variante delle parole del Papa: «Don Bosco ne parlava come d´un S. Luigi e diceva che n´aveva parlato a Pio IX, già defunto il Savio, e che Pio IX, soprattutto dopo aver sentito narrare la vi¬sione dell´Inghilterra, disse: Tenetelo in conto: era un´anima privilegiata. — L´An¬fossi (Somm., 146) con un lapsus memoriae stranissimo (ma compatibile a cin¬quant´anni di distanza!) riferiva: e Il Servo di Dio pregava Don Bosco di dire al Papa Pio IX che si pregasse molto per l´Inghilterra, la quale si avviava a gran passi verso l´obbedienza del Sommo Pontefice. Ricordo che il Ven. Don Bosco, ritornato, assicurò il Servo di Dio di aver fatto la sua Commissione al Papa, il quale fu sommamente consolato e. L´errore è più che evidente, giacchè Don Bosco fu a Roma (e lo dice anche la Vita) nel 1858, un anno dopo la morte del Savio. Lo notava bene il Cerruti. Ciò non deve infermare il valore delle testi¬monianze, e tanto meno la storicità della Vita.
13 — CAVIGLIA, Don BOSCO> scritti. VOL IV. Parte IL

CAPITOLO V
Carismi profetici.
Questo fatto delle visioni entra, per sua natura, secondo le dottrine teologico mistiche, nell´ordine di quei carismi o gratiae gratis datae che Dio concede in commune bonum aliorum (i), e benchè sovente col¬legato con la contemplazione infusa, cosi come altri fenomeni mistici, tuttavia ne è specificamente distinto, e neppur sempre conseguita all´estasi (2); noi n´abbiamo un esempio nella lunga estasi vissuta dal `giovane santo nel coro della piccola chiesa (3).
Tali carismi e doni straordinarii sono varii nei varii santi, ed anche ricorrono egualmente nell´uno e nell´altro (4); sicché, come ha scritto Don Bosco nel preambolo del suo capitolo, l´affinità è una prova della verità di quelli ch´egli viene ricordando, cosi come l´indole loro sta a provare che il piccolo Santo non è, rispetto ai doni di cui Dio lo viene privilegiando, inferiore ad altri santi.
È infatti una delle meraviglie, e non la minore, della storia di co¬desta santità, che in un quasi fanciullo, o poco più, si abbiano a con¬templare fatti straordinari della medesima natura che nei santi d´età matura e di lunga e diuturna prova di virtù eroiche (a). La vita di Savio Domenico ci appare nella luce dei doni più rari e più alti che Dio concede alle anime privilegiate. La sua prima età è accompagnata da un´assistenza soprannaturale, di cui egli stesso ha cognizione, e noi
(I) TANQUEEEY, Op. cit., 11. 1514. — DE GUIBERT, op. cit., pag. 384: dove le distingue dalla gratia gratum faciens, com´è la contemplazione infusa per la santi¬ficazione
(2) DE GUIBERT, OP. cit., pag. 425.
(3) Veramente il Piano (Somm., 355) aveva, leggendo la Vita, argomentato che il Savio, in occasione della grande estasi, avesse avuta e la visione che ri-guarda l´Inghilterra ». Ma è un´idea sua, senza appoggio di prove.
(4) Cfr. sopra, lib. IX, cap. I fin., citaz. dalle Lettere del Faber. .(5) TANQUERET, Op. Cit., n. 1499, 4-

419
l´abbiamo notata quando ebbimo a discorrere della presenza dell´An¬gelo Custode ne´ suoi pericoli, come del singolare accompagnamento della « Signora » misteriosa (i). L´età, che diremo seconda, quella da lui vissuta nella Casa-di Don Bosco, è a sua volta dotata di carismi, nei quali si manifesta la mano di Dio che opera meraviglie nel piccolo santo.
I fatti di tal natura pervenuti a nostra conoscenza sono in numero più che sufficiente a dar prova del molto che si dev´essere avverato in lui, tanto più che non mancano e nelle brevi pagine della Vita e nelle testimonianze le affermazioni generalizzanti, che dicono di con¬dizioni abituali e di fatti ripetuti, dei quali purtroppo non è rimasta speciale memoria. Don Bosco ne riferisce uno solo, benché abbiamo prova che conosceva anche gli altri riferiti dai testi, o perchè da lui stesso a loro confidati, o perchè nei fatti stessi egli ebbe una parte. Ed è bene avvertire che tutti i testimoni parlano per udita, non aven¬done avuto conoscenza di fatto; tantochè qualcuno, che non partecipò a speciali confidenze, o parla genericamente, o addirittura confessa di ignorarne l´esistenza (2). La spiegazione è ovvia, e ce la dà Don Rua dicendo: » Dei carismi non sentii parlare che da Don Bosco, al quale ne parlava (il Savio) talvolta per ubbidienza dietro sua inter¬rogazione, e talvolta per il bene delle anime, come risulta dalla Vita scritta dal Venerabile ». Nel medesimo senso si esprime il Ca¬gliero (3).
Non so se possa dirsi che il piccolo santo ne fosse inconscio, giacchè si ha prova del contrario. Quando il Santo Maestro volle chiedere al Savio come egli avesse potuto sapere di quel moribondo a cui l´aveva condotto nel momento estremo, il giovanetto « mi guardò, dice, con aria di dolore, dipoi si mise a piangere. Io non gli ho più fatta ulte¬riore domanda ». E la sorella, con una variante: « Mio fratello si turbò, e pregò Don" Bosco di non interrogarlo più oltre » (4). Non è superfluo far notare l´umiltà di tale riserbo: giustamente Don Rua aveva già detto ch´egli praticava il biblico: Sacramentum regis abscondere bo¬num est» (5). Don Bosco capì allora, come sempre ebbe capito, e senti che nel suo santo discepolo operavano i "carismi della dilezione di Dio. E qualche volta lo disse.
(i) Cfr_ sopra, lib. I, cap. I. Cfr. anche le testimonianze della Tosco-Savio, Somm. Il Salotti, ricorda alcuni di tali fatti, op. cit., cap. XV.
(z) Somm.: Ballesio, 372, non ne sa nulla; Piano, 399, t non ho osservato cose straordinarie nella sua vita s.
(3) Somm., Don Rua, 324; Cagliero, 32r.
(4) &rum., Tosco-Savio, 3zo.
(5) Somm., Don Rua, 3z3. — Cfr. lib. IX, cap. I, pag. 388.

420
o o o
È davvero meraviglioso in questo fanciullo, e non può essere che un lume di Dio soprannaturale e gratuito, il dono della sapienza o, se vogliam dire, del consiglio. « Ricordo, dice la sorella in sede di Pro¬cesso, che lo stesso Don Bosco faceva gran conto dell´assennatezza e criterio di mio fratello. Tanto vero, che, come Don Bosco mi nar¬rava, in qualche speciale ed importante circostanza si rivolgeva a lui, sebbene ancor cosi giovanetto, per averne il parere. E quando Don Bosco mi diceva questo, soggiungeva: Non ti spiego le cose intorno alle quali io lo interrogava, perchè tanto non le potresti comprendere. E tutte le volte, conchiudeva, non si era mai sbagliato nel seguire
i suoi suggerimenti » (i).
Vi è anche un esempio del dono di profezia vero e proprio. Il fatto è comune a non pochi Santi e Servi di Dio: è la predizione della propria morte, all´infuori d´ogni dato umano d´induzione, o con una precisione e chiarezza che sorpassa le possibili previsioni. Questo è il caso del Savio, il quale, già debole di costituzione, e con pronostici umanamente non lusinghieri (diciamo anche noi: quel poverino non farà vita lunga), va tant´oltre nel suo antivedere, da fissare i tempi e
i modi della propria fine. Su questo punto Don Bosco, così riserbato nel riferire lo straordinario, da non mettere quest´altro dono tra le « Grazie speciali e fatti particolari » che occupano il Capo XX, qui non lascia dubbi, e il suo parlare è, come si dice, categorico: « Io non so, dice al Capo XXI, se egli abbia avuto da Dio rivelazione del giorno e delle circostanze di sua morte o ne avesse egli solo un pio presentimento; ma è certo che egli ne parlò molto tempo avanti che quella avvenisse (e fin qui, diciamo noi, può vedervisi « un pio pre-sentimento »); e ciò faceva con tale chiarezza di racconto, che meglio non avrebbe fatto chi ne avesse parlato dopo la medesima di lui morte ». E questa è visione chiara e precisa del futuro che nessun pio presenti¬mento può suggerire, e dev´essere in qualche modo rivelata da « una voce divina che parla al cuore ». Ma Don Bosco, che ha presunta una rivelazione, non dimentica ciò che dice, e più oltre lo riafferma, colla medesima prudenziale premessa, ma in modo non meno esplicito e concreto. Ed è quando il suo santino morente, dopo la lusinghevole sentenza del medico, domanda l´Olio Santo, nonostante ogni appa¬renza di miglioramento (Capo, XXIV): « Ma egli, dice, o fosse mosso da sentimenti di divozione, oppure fosse così ispirato da una voce divina che gli parlasse al cuore, fatto sta che contava i giorni e le ore
(i) Cfr. lib. IV, cap. IV (prudenza). — Somm., Tosco-Savio, 246.

´---+, 421
di vita, come si contano colle operazioni dell´aritmetica ». Chi gli scriveva codest´aritmetica dei tempi, codesta cifra da cui sottrarre, o codesto giorno e ora precisa cui commisurava il tempo che ve lo avvi¬cinava? (t). Colui che di ciò si valeva per assicurargli i passi che faceva sul culmine della vetta, dove la santità finiva in Dio.
0 o 0
V´è un altro aspetto, quasi un´altra specie, di carisma profetico. Mons. Tasso « sentiva dire che aveva dei doni soprannaturali, e in particolare che conosceva le cose occulte» (2). L´espressione vuoi rife¬rirsi a quell´altro carisma, delle cui attuazioni Don Bosco non rife¬risce nella Vita che un solo esempio, quello ch´egli, dopo averlo nar¬rato alla sorella Tosco-Savio, commentava dicendo: « Si vede pro-prio che Savio era un giovanetto santo, e che conosceva tante e tante cose» (3).
Siamo a questo, che il giovanetto inopinatamente vede fatto o persona di cui non può avere alcuna conoscenza, e, mosso da un po¬tere arcano, quasi da un altro spirito, agisce con sicurezza e precisione, e riesce all´intento, ch´è sempre un atto di carità: giacchè, per defini¬zione, i doni di tal genere sono per il bene degli altri, e cioè connessi, benché non derivati, con la carità, ch´è divenuta padrona dell´intero essere del diletto di Dio (4). Umanamente tali fatti hanno grande affinità con la telepatia (escludiamo senz´altro i fenomeni ipnotici, di cui qui mancano del tutto gli elementi essenziali): senonchè quel tanto di sperimentale, che la scienza vi potrebbe scoprire, viene ben tosto a cadere in presenza degli elementi di fatto (5), che non si ri¬scontrano nel solo fenomeno psicofisico, ed anzi lo trasformano in un fatto non umanamente spiegabile: quando meno, i fenomeni telepatici
(a) Credo superfluo parlare ai saputi dubitosi. Vi sono mali che, pervenuti ad una fase, hanno le ore contate, e medicine (eroiche per lo più) che risolvono il fatto in dato tempo: o di qua o di là. Ma ognuno vede che qui non n´è il caso, sia per l´indole della malattia, riè, poi, quanto alla scienza del povero Savio.
(z) Somm., Tasso, 3zo.
(3)´ Somm., Tosco-Savio, 359. — Che l´espressione del Tasso vada riferita a quel fatto medesimo, è provato da che appunto il teste reca a dimostrarne il senso l´episodio cbe Don Bosco narra nella Vita.
(4) JoLY, op. cit., pag. 75.
(5) Per esempio l´ignorare affatto le persone. Le indicazioni telepatiche si ri-feriscono a cose e persone non ignote al soggetto. La sorella di Besucco sente, stando all´Argentera, la morte del santo suo fratello a Torino nell´ora precisa in cui avviene. Cfr. Vita del Besucco, cap. XXXIII.

422

non -mettono capo ad opere divine di carità o, come nella guarigione
della madre, ad un miracolo (I).
Quattro di tali manifestazioni noi conosciamo (z), delle quali tre compaiono soltanto nelle testimonianze, e una è narrata nella Vita: ma debbono essere state parecchie di più, se Don Bosco, esponendo quell´unico fatto, può dire che accondiscese all´invito del Savio,
avendo già provato altre volte l´importanza di questi inviti.
Il Francesia seppe da un compaesano del Savio, già di lui condi¬scepolo a Mondonio e divenuto poi Consigliere Comunale, che, fug¬gito da casa ´e venuto a Torino, mentre a nessuno aveva detto dove stesse, si vide in quella settimana comparire il Savio, che gli disse: « Vieni all´Oratorio di Don Bosco: colà avrai occasione di divertirti e passare allegramente la giornata. Ci sarà anche il Catechismo, can¬terai il Vespro e potrai sentire la predica » (3). E il brav´uomo soggiun¬geva:. « Chi gli disse ch´io ero a Torino ? Come fece dall´Oratorio a sapere dove stavo? E ottenere dai superiori di venirmi a trovare? E non so perché m´invitasse con tanta insistenza ad andare all´Oratorio. Io l´ho sempre ritenuto un fatto straordinario, e che il Signore glielo abbia rivelato per ricondurmi a casa. E come riconoscenza m´inte¬resso ora di fare il suo sepolcro » (4). Si tratta di Carlo Savio di Mon¬donio, che appunto nella sua qualità di Consigliere Comunale si trovò presente alla traslazione dei resti del santo condiscepolo nella cappella locale, e fu caldo sostenitore dell´ultima traslazione a Torino.
Il Cagliero ricorda, come « confidato da Don Bosco a Don Ala¬sonatti, Don Rua ed altri », il fatto dell´8 settembre 1855, narrato dal Lemoyne e riferito come tale dal Salotti, al quale egli stesso rimanda confermandolo, appunto perché saputo da Don Bosco (5). Il nostro santino, tornato da casa nell´agosto, si aggregò al piccolo manipolo di giovani offertisi a Doli Bosco per assistere i colpiti dal colera, che qua e là tornava a manifestarsi. Nella festa della Natività di Maria, il
(i) 3oLy, O. cit., cap. III, pag. 73-74.
(z) Sono ricordate anche dal SALOTTI, op. cit., cap. XV. — Il Cagliero (Somm.,- 321) si riferisce, per brevità, al Salotti.
(3) Somm., Francesia, z33 -e 188. — Vi è qualche divario tra le due depo¬sizioni del 1909 e del 1915: nel primo processo dice del giovanetto e fuggito a Torino, inseguito dai suoi e; nel secondo: « viene da lui il Savio che quasi non co¬nosceva Ma non è vero: erano stati compagni alla scuola di D. Cugliero, e aveva ben notato le virtù del Savio, come appare dalle sue deposizioni al Processo, ci¬tate a suo luogo.
Somm., Carlo Savio, 359. La deposizione è del r9o8, e accenna alla tomba della Cappella di Mondonio.
(5) Somm., Cagliero, 223. Da Don Rua lo apprese il Lemoyne, che per primo lo ricorda (Mem. Biogr., V, 343). Ma Don Rua non ne fece parola al Processo

423
Savio, uscito per via Cottolengo, si ferma ad una casa, e domanda al padrone: « Vi è forse alcuna persona presa dal colera? — No, per
grazia di Dio non ve n´è alcuna. — Eppure qui ci dev´essère qualche, infermo che sta male ». Avrà forse preso una casa per un´altra, chè
là sono tutti sani e fuori del letto, — gli fa intendere il padrone. A
quella risposta così negativa il fanciullo se ne esce di là un momento, dà uno sguardo all´intorno, e poi rientra e dice al padrone: Mi faccia
il favore di osservare attentamente, perchè in questa casa ci dev´essere una malata ». Come si vede, la nozione si è precisata.
Ed era così. Una povera donna andava a lavorare in quella casa, rimanendovi fino a sera, e il padrone le aveva lasciato a disposizione un piccolo stambugio, là in alto,_ dove lasciava qualche roba e si riti¬- rava a prendere ristoro. La sera innanzi, salita lassù, non n´era più discesa com´era solita, e nessuno vi aveva badato. Là era stata colta dal colera, e non aveva forza di chiedere soccorso. Il padrone, condi¬scendendo alle graziose insistenze del ragazzo, lo condusse a far una visita per tutta la casa, finchè giunse anche a quel ripostiglio. E trova¬rono la povera donna rannicchiata, ridotta all´estremo della vita. Le si chiamò subito il sacerdote, in tempo appena per confessarla e ammini¬strarle l´Estrema Unzione, e la videro subito spirare nel bacio deI Signore.
o 0 0
Come aveva saputo il Savio di quella povera donna ? È la domanda che anche Don Bosco farà per l´episodio ch´egli narra nella Vita, e che raccontava, dice il Cagliero, a noi e ad altri alunni della Casa (i),
ed anche alla sorella del Savio, che nella sua deposizione (2) ci mette in grado d´integrare il dettato del libro con particolari di non lieve
importanza per lo stesso valore del fatto, e che il Santo autore ha forse tralasciati come non strettamente necessari al suo scopo.
Il racconto è assai vivo e rapido, quasi concitato, e, nell´articolarsi della pragmatografia, d´una brevità scultoria: una buona pagina da vero scrittore. Dice adunque: «Un giorno entrò nella mia camera di¬cendo: — Presto, venga con me, che c´è una bell´opera da fare. —
forse per lo scrupolo di non dire cosa che potesse apparire proveniente da in¬flusso di lettura o della Vita o di altre fonti. Che poi Don Bosco non l´abbia riferito nel suo libro, non è a stupire, se si pensa a quante cose volle omettere, e lasciando ad altri che li pubblichi quando si giudicherà che possano tornare a maggior gloria di Dio ». cap. XX.
(r) Somm., Cagliero, 131.
(z) Somm., Tosco-Savio, 3/9.

424
Dove vuoi condurmi? — Faccia presto, soggiunse, faccia presto. ¬Io esitava tuttora, ma instando egli, ed avendo già provato altre volte l´importanza di questi inviti, accondiscesi. Lo seguo. Esce di casa, passa per una via, poi un´altra ed un´altra ancora, ma non s´arresta, nè fa parola: prende infine un´altra via, io lo accompagno di porta in porta, finchè si ferma. Sale una scala, monta al terzo piano, e suona una forte scampanellata. È qua, che deve entrare, egli dice, e tosto se ne parte.
» Mi si apre: Oh presto, mi vien detto, presto: altrimenti non è più a tempo. Mio marito ebbe la disgrazia di farsi protestante; adesso è in punto di morte, e dimanda per pietà di poter morire da buon catto¬lico. Io mi recai tosto al letto di quell´infermo, che mostrava vera an¬sietà di dar sesto alle cose della sua coscienza. Aggiustate colla mas¬sima prestezza le cose di quell´anima, giunge il Curato della parrocchia di S. Agostino, che già prima si era fatto chiamare. Esso potè appena amministrargli il Sacramento dell´Olio Santo con una sola unzione, perché l´ammalato divenne cadavere ».
Mettendovi accanto iI racconto della sorella Teresa, il prodigioso gesto del Savio ci si mostra in tutto il suo sovrumano mistero. Lo riferisco dal Processo Apostolico, sottolineando i particolari caratte¬ristici: « Don Bosco mi narrò che una volta il servo di Dio, mentre era suo allievo all´Oratorio, andò a tarda notte a svegliarlo, pregandolo di prender l´occorrente per fare un cristiano, perché la cosa era ur¬gente. Don Bosco, preso quanto occorreva, e condotto da mio fra¬tello, mi pare in via Mercanti in Torino, fece svegliare il portinaio, e, sempre guidato da mio fratello, giunsero al terzo piano. Mio fratello gl´indicò l´alloggio: « È qui ´che aspettano l´opera sua ». Suonato il campanello, viene una signora, che, vedendo Don Bosco, dice: «È proprio il Signore che lo manda: venga subito, che mio marito desi¬dera farsi cristiano prima di morire. Don Bosco va dall´infermo, e fece quanto era necessario... ».
Tre nuovi dati scaturiscono dal racconto della buona Teresa: che il fatto avvenne a tarda notte, e che l´infermo stava in via Mercanti, e, cosa non secondaria, che il giovanetto sa che c´è da fare un cristiano. E cioè che l´intuizione ispirata non era generica e indefinita, ma netta e precisa: sia quanto all´oggetto, sia quanto al luogo, che esso vedeva esattamente. E chi si metta sott´occhio la pianta di Torino di quel tempo, e pensi che quella via Mercanti, allora poco o niente illumi¬nata (i), non era facile a trovarsi tra le vie parallele della vecchia To
(i) C´era già l´illuminazione a gas in città; ma le vie secondarie, e tanto più quelle strettissime della Torino antica, con i rarissimi fanali restavano al buio.

425
rino (i), comprenderà quanto vi sia d´inesplicabile in quell´andar difi¬lato dalla Casa di Don Bosco, allora isolata tra il disordine della peri¬feria, alla casa ignorata di uno sconosciuto, in una via non mai prati¬cata neppur di giorno, e certamente non segnata nella memoria del Savio che, come sappiamo, da solo non avrebbe saputo recarsi alla scuola, perchè, tra la modestia e il raccoglimento, non badava alla strada, e si lasciava condurre dai compagni (z). Eppure Don Bosco ci numera le svolte per tre vie, percorse con sicurezza, finchè imbocca la vera e, quasi contando i passi, va di porta in porta, e si ferma a quella ch´egli sa. E così, senza esitare, sale al terzo piano, e suona il campanello d´un alloggio, e se ne parte. E non meno sicuramente torna a casa, da solo, nella notte oscura, certamente rifacendo lo stesso cammino: e tutti sanno che, quando si va con poca conoscenza della strada, al ritorno è facile lo sviarsi: non diciamo poi di notte e al buio. Parrebbe cosa da sonnambuli, se qui si potesse, anche solo per analogia, para¬gonare un atto di Dio con un fenomeno patologico. Per questa parte la meraviglia non è solo per noi; fu anche per Don Bosco: « Il Ve¬nerabile, dice la sorella, quando mi-narrava questo, soggiungeva che non era mai riuscito a comprendere come il Servo di Dio avesse sa¬puto guidarlo a notte oscura attraverso le vie di Torino, che certamente gli dovevano essere ignote, e conchiudeva: Si vede proprio che Savio era un giovanetto santo, e che conosceva tante e tante cose ».
Meraviglia che induce il santo Maestro a cercarne una spiegazione: « Un giorno ho voluto chiedere al Savio come avesse potuto sapere
A mia ricordanza non erano ancor molto luminose neppure trent´anni dopo. In¬dovinare una porta era un problema.
(i) Via Mercanti, che va da Via Garibaldi (allora Doragrossa) a via S. Te¬resa, conserva anche al presente il nome e la struttura invariata, salvo nel taglio della diagonale (Via Pietro Micca) tracciata nello sventramento di quasi quaran¬t´anni dopo.
(z) Somm., Francesia, z93 e z86. -- A voler fare lo schizzinoso, si potrebbe pensare ad un automatismo di direzione (analogo a quello degli animali domestici, che sanno la strada), osservando che le tre prime strade potevano essere quelle che, pur senza badarvi, egli percorreva giornalmente per andare a scuola. La scuola Bonzanino, in via Barbaroux, 19, era prossima all´incrocio di Via Mercanti, e quella del Picco in via S. Chiara o S. Agostino, presso la Chiesa. Venendo da Valdocco Per via S. Chiara (una strada), da questa per via S. Agostino (un´altra) e per Doragrossa in via Barbaroux (un´altra ancora), si viene a Via Mercanti (un´altra via... di porta in porta): cioè si fa un cammino che il Savio poteva, se non sa¬pere, possedere macchinalmente. Ma questo nulla toglie al valore del fatto, e ri¬mane sempre inesplicabile perchè abbia prese quelle vie e come abbia trovata quella porta in istrada e quell´uscio al terzo piano. Del resto le parole di Don Bo¬sco ricordate dalla Tosco-Savio, che chiudono il racconto; escludono anche questa ipotesi.

426 `4--->
che colà eravi un ammalato. Ed egli mi guardò con aria di dolore, di poi si mise a piangere. Io non gli ho più fatta ulteriore dirnanda » (m). Che cosa avrebbe dovuto o potuto rispondere il piccolo santo, se non che Dio glielo aveva rivelato e l´aveva guidato, ed egli sentiva Dio nel¬l´anima sua?
o o o
Mi sono un po´ indugiato su questo episodio perché, essendo l´u¬nico del suo genere narrato dall´Autore, abbisognava di un´illustra¬zione più accurata a rilevarne tutto il significato probativo. Vi è però un altro fatto, in cui la subitanea gratuita rivelazione e la conseguente azione guidata da Dio culminano nel miracolo.
Don Bosco non solo non ne fa cenno nella Vita, ma non ne parlò mai, neppure co´ suoi più intimi, dei quali i più autorevoli e meglio informati non ne dissero nulla nelle loro testimonianze. Il Salotti, che licenziò alle stampe la sua bellissima Vita del Savio nel giugno 1915, desunse la notizia dagli Atti che aveva tra mano, e cioè da una Relazione della Teresa Tosco Savio, conservata negli Archivi Sale¬siani a Torino, e dalla Lettera Postulatoria da lei diretta al S. Padre Pio X il 27 febbraio 1912, ed egli riprodusse letteralmente (è virgo¬lato) il racconto della Tosco Savio, salvo qualche variante di espres-sione dettata dal riserbo dovuto in un libro destinato a lettura edifi¬cante (i). E certamente per questo motivo, e a più forte ragione, Don Bosco l´omise nella Vita; ma, se tante memorie scritte non fossero andate perdute, lo troveremmo tra quelle. Giacché, come dice la Tosco, egli seppe la cosa subito dopo dal padre di Domenico, e, in seguito, ne parlò con lei medesima, come appare dalla testimonianza che stiamo per addurre (3).
· L´ampia deposizione della sorella al Processo è del novembre. 1915, (perciò non ancor conosciuta dal Salotti al tempo della sua pubblicazione) (4), e concorda sostanzialmente coi documenti sopra menzionati: ma aggiunge più di un particolare che non è senza inte
r) Cfr. sopra, pag. 419: ivi la variante della sorella. So di ripetermi, ma il semplice rimando guasterebbe la forza della considerazione.
(2) SALOTTI, op. eit., cap. XV, pag. 18o-182. Cfr. a pag. 182 la nota (r) a piè pagina.
(3) La Teresa Savio nacque il 24 novembre 1859 due anni dopo la morte di Domenico. Essa medesima dice di aver appreso il fatto dalla bocca del padre, dai parenti e vicini, e, naturalmente, vi aggiunge le circostanze posteriori come teste diretto. Essa depose il 26 gennaio 1915.
(4) L´interrogatorio regolare o ufficiale è del 26 gennaio: ma la narrazione fu fatta in un interrogatorio supplementare. Cfr. Somi., Tosco-SaVio, 316-319.

427
resse per il nostro assunto. Noi, senza ritessere alla lettera il racconto, ne rileviamo i tratti più confacienti al nostro scopo, integrando l´una con l´altra le due fonti, nelle quali la redazione appare evidentemente corretta dagli estensori dei documenti o dall´attuario che raccolse la . deposizione (i).
In nessuno dei documenti compare la data dell´avvenimento (2).
Ma possiamo ben darla noi, pei primi. Dal Registro delle Nascite e Battesimi della Parrocchia di S. Maria in Mondonio risulta che da Carlo Savio e Brigida Agagliate nasceva il ma settembre 1856, ore cinque pomeridiane, una bambina, cui fu imposto il nome di Maria Caterina. La data coincide, come si vedrà, con quella del fatto, che appunto consiste nell´avere il piccolo Domenico ottenuta quella na¬scita con mezzi soprannaturali. Il che, tra parentesi, ci dispensa da incomodi accenni, e ci dà ragione del silenzio di Don Bosco e delle espressioni evasive dei documenti usati dal Salotti.
Un giorno (quel giorno, diciamo noi) il Savio si presenta a Don Bosco, e gli dice: — Mi faccia il piacere; mi dia il permesso di andare a casa. — Perché ? — Perché mia madre è molto ammalata, e la Madonna la vuol far guarire. — Come fai a saperlo? — Lo so. — Ti hanno scritto? — No, ma lo so lo stesso. — « Allora io, diceva poi Don Bosco al padre, gli diedi il permesso, perché so che quando vostro figlio domanda con insistenza qualche cosa, io faccio bene a concederla». Anzi gli dà l´occorrente per il viaggio in omnibus fino a Chieri (3), e per una vettura, se la trova, fino a Mondonio.
Il giovanetto parte. La madre versava in pericolo di vita, e le donne più sperimentate che l´assistevano riconoscevano la gravità del caso e l´insufficienza loro a provvedere. Il padre si decide d´andare - pel medico, che sta a Buttigliera. Per via, allo svolto della strada che
(i) La Tosco-Savio non era illetterata, ma neppure di molta letteratura. Il testo scritto della Relazione, così come la Lettera Postulatoria, sono stesi da chi traduceva in buon italiano l´esposizione della buona operaia, la quale, certamente, non era in grado di scrivere una lettera come la Postulatoria. Anche la deposi¬zione orale, più estesa e in qualche punto nuova, è, naturalmente, resa in iscritto dall´attuarlo, come avviene in tutti i processi: ma qui il discorso della teste è reso con maggior esattezza e compiutezza. Ad ogni modo le due fonti si completano e non si contraddicono.
(2) Ringrazio il Rev. Teol. Trinchero, attuale Parroco di Mondonio, che fece a mia richiesta la ricerca nei Registri Parrocchiali, e mi fu largo di altre utilissime informazioni, già citate altrove. La nascita ottenuta miracolosamente dal nostro Domenico non può essere che quella della sorella Caterina, del 12 sett. 1856: giacchè delle quattro registrate a Mondonio, una è del 184o; una del 1853; una del 1859: date che non s´accordano con la biografia di Domenico.
(3) La ferrovia Torino-Cheri fu inaugurata nel 1874.

428
porta a questo paese, incontra il piccolo. Domenico, che da Castel¬nuovo viene a Mondonio. — Come va che sei qui? — Ho saputo che la mamma è ammalata gravemente, e son venuto a trovarla. — II padre, che in quell´ora non l´avrebbe voluto a Mondonio, tacendo della malattia, risponde: — Prima passa dalla nonna (paterna) a Ranello (una piccola borgata a mezza strada tra Castelnuovo e Mondonio): — sperando che vi si sarebbe trattenuto. Il giovanetto, senza dire ciò che avrebbe fatto, saluta il padre, che se ne va in tutta fretta, e pro¬segue per Mondonio. Le vicine di casa che assistevano la madre, vedendolo giungere, rimangono sorprese, e cercano di trattenerlo dal salire alla camera della madre, e ch´è ammalata e non vada a distur¬barla. — Lo so ch´è ammalata, risponde, e son venuto apposta per trovarla. — E senza dar ascolto, sale dalla mamma, tutta sola. — Come va che sei qui? — Ho saputo che eravate inferma, e son venuto a tro¬varvi. — E la madre, facendosi forza e sedendo sul letto: — Ohi è nulla, dice: va pure sotto; va qui dai miei vicini adesso: ti chiamerò più tardi. — Ed egli: — Si, vado subito, ma prima voglio abbrac¬ciarvi. — E salta rapido sul letto, abbraccia la mamma, la bacia, ed esce subito, e se ne parte senz´altro per Torino. È appena uscito (da Mondonio o di casa ?) (i), che cessano immantinente i dolori della madre con esito felicissimo. Arriva poco dopo il padre col dottore, che non trova più nulla da fare.
Intanto le donne che accudiscono l´ammalata si accorgono che al collo ha un nastro verde (o rosa, come dice la deposizione orale), cui sta attaccato un pezzo di seta piegato e cucito come un abitino. e Sorprese, interrogano come avesse quell´abitino. Ed essa, che non se n´era peranco accorta, si meraviglia, ed esclama: Ora comprendo perchè mio figlio Domenico, prima di lasciarmi, mi volle abbracciare, e comprendo perchè, appena egli mi ha lasciato, io fui felicemente libera e guarita. Quest´abitino mi fu certamente messo al collo da lui mentre mi abbracciava, non avendone mai avuto uno simile a questo ».
E il nostro santino, arrivato all´Oratorio, si presenta a Don Bosco ringraziandolo del permesso avuto, e aggiungendo: « Mia madre è bella e guarita: l´ha guarita la Madonna che le ho messo al collo ». Egli lo sa, come ha saputo ch´era ammalata, per la medesima via miste¬riosa, giacchè al momento della guarigione egli non era presente in
(I) C´è difficoltà a conciliare nella Relazione riportata dal Salotti i due ter¬mini: che cioè la guarigione si avveri e appena Domenico lasciò Mondonio * e quel che dice più sotto: e La mamma, appena abbracciata dal suo piccino, era rimasta guarita p. La deposizione orale è assai più chiara, e concorda con la seconda no¬tizia.

129
casa, e forse era già uscito da Mondonio: certo, nessuno potè dirgliene nulla (i).
Che la guarigione fosse da attribuire a quell´abitino, era la convin¬zione del piccolo Domenico, com´era stata la sua intenzione nel cor¬rere a casa a portarlo alla mamma nell´ora del pericolo, e di quel pe¬ricolo. Dice infatti la relazione orale della sorella (z): « Quando poi mio fratello lasciò definitivamente l´Oratorio, e venne a Mondonio gravemente ammalato, prima di morire chiamò la mamma: « Vi ri¬cordate, mamma, quando son venuto a trovarvi mentre eravate gra¬vemente ammalata? E che ho lasciato al vostro collo un abitino? È questo che vi ha fatto guarire. Vi raccomando di conservarlo con ogni cura, e di imprestarlo quando saprete che qualche vostra cono¬scente si trovi in condizioni pericolose come foste voi in quel tempo; perchè, come ha salvato voi, così salverà gli altri. Vi raccomando però di imprestarlo gratuitamente, senza cercare il vostro interesse ».
Quell´abitino ebbe una storia miracolosa. « Io so, dice la sorella, che, secondo la raccomandazione del Servo di Dio, mia madre, fin¬chè visse, e poi gli altri della famiglia ebbero occasione d´imprestare
(i) IL VIAGGIO DEL SAVIO. - Si fa presto a pensarlo arrivato a Mondonio e a Torino. Ma se si contano i chilometri, e non si bada all´orario, quel viaggio non è senza misteri. Chieri dista da Torino (Madonna del Pilone) x x km.: Ca¬stelnuovo da Chieri, 18 km.; Mondonio da Castelnuovo, 4 km. — Se, partendo pure di mattina (non primissima) coll´omnibus di Chieri (erano cinque corse al giorno, prezzo: una lira, partendo da Contrada Nuova (Via Roma), corte della Trattoria del Cairo, e cioè più di 3 km. dalla Mad. del Pilone, che fanno, co¬gli altri, km. x4), poteva giungervi (Via del Pino) verso il mezzodì: a piedi per Mondonio gli restavano da 20 a 2,2, km., che fan da quattro a cinque ore di cammino. E questo combinerebbe con l´ora della nascita (5 pom.) data dal Registro Parrocchiale, e col fatto che il Savio restò a casa, tra tutto, meno d´un quarto d´ora. — Ma il problema è quello del ritorno. Altre quattro o cinque ore per venire a Chieri, altra oraccia e più per venire a Torino: dalle 5 pom. alle m di sera, per lo meno. E trova ancora Don Bosco, e gli dì la notizia. Con la po- • vera salute del piccolo eroe, una marcia di quasi 42 km. in un giorno (senza i rotti della distanza da Via Roma all´Oratorio) è un miracolo. Bisogna ammettere che, almeno alla sera, abbia trovato (verso le 6 pomeridiane) a Castelnuova la vettura di ritorno Castelnuovo-Chieri (c´era un servizio hine-inde con una sola corsa al giorno: prezzo, lire 1,25), e poi abbia trovata in coincidenza la vettura Chieri-Torino, in modo da arrivare all´Oratorio tra Ie otto e le nove, e parlare ancora con Don Bosco.
(a) Il Salotti, che riproduce le relazioni scritte anteriori, ha un discorso assai più breve, in cui però incorre una inesattezza, spiegabilissima per la Tosco-Savio, che non aveva notizia chiara delle date. Dice infatti: e Qualche anno dopo, prima di morire, tornando ad abbracciare la mamma, ecc a. Anni dal tempo del fatto al tempo della morte, non ne passarono: furono sei mesi soltanto, dal sa settem¬bre r856 al 9 marzo x857. Ma il particolare del e tornare ad abbracciarla * viene opportuno, come segno di ridestata reminiscenza.

430
quell´abitino a persone sia di Mondonio che di altri paesi circonvicini. Io e quei di mia famiglia abbiam sempre sentito dire che tali persone erano state efficacemente aiutate. Io stessa ebbi pure a provarne l´effi¬cacia ». E racconta che, trovandosi essa medesima già a Torino in gravi condizioni per un fatto di quel genere, la sorella Rairnonda si ri¬cordò dell´abitino prodigioso, e scrisse al fratello Giovanni, ch´era a Mondonio, perchè ne facesse ricerca; e che dovette recarsi in diversi paesi, e finalmente glielo portò alle ore io del 31 dicembre 1877, e un´ora dopo si trovò liberata felicemente, con grande sorpresa della donna che l´assisteva, la quale « riteneva necessario l´intervento del medico ». E aggiunge che questa, avuta. spiegazione della cosa, le chiese per favore l´abitino, « che essa adoperò in parecchie evenienze, sem¬pre con esito felice ». « Lo conservò qualche tempo; poi a mia ri¬chiesta me lo restituì, e io lo mandai al paese a mio padre, donde andò smarrito » (t). Questo valga a confermare il potere miracoloso che il religioso oggetto ebbe dall´ora in cui l´adoperò il piccolo Santo per la mamma sua.
o o o
- Ed ora dall´insieme del racconto sorgono più domande. L´una: Come e da chi potè il Savio sapere del caso di sua madre, e sentire l´impulso a correre presso di lei per guarirla con quell´abitino ? Quando il padre, venuto a Torino, volle sapere da Don Bosco come mai avesse concesso a suo figlio di andare a casa all´insaputa di tutti e senz´essere richiesto, il Santo gli ripetè il dialogo da lui avuto col Domenico, quale noi abbiarn più sopra riferito, e disse la ragione del suo consenso: « Perchè so che quando vostro figlio mi domanda qual¬che cosa con insistenza, io faccio bene a concederla »: e, continua la relazione orale, « lasciò intendere che in quel fatto intravvedeva qual¬che cosa di straordinario ». «E il padre si convinse, come diceva egli stesso, che nessuno aveva detto o scritto qualche cosa a suo figlio, e se era venuto a conoscere la malattia della madre, questa conoscenza l´aveva avuta per rivelazione soprannaturale 5). E se Don Bosco avesse in questo caso fatto la domanda che rivolse dopo il fatto del moribondo di Via Mercanti, il piccolo santo si sarebbe turbato fino a piangere, pregando di non interrogarlo oltre, e il buon Padre non avrebbe in¬sistito.
(i) Le relazioni scritte (Szito-rri, pag. i82) dicono: a Quest´oggetto miracoloso ha avuto tante richieste, è entrato in tante case, è stato posto sul petto di tante madri, ch´erano in pericolo di vita: e non mi è più stato restituito. Questo è per me un gran dispiacere ».

431
L´altra domanda è questa: Come gli venne l´ispirazione di guarir sua madre con quell´oggetto? La Fede, risponderemo. Ed è vero. Ma è una fede che diremo specifica, come diciamo specifica una medi¬cina. L´abitino era per quello. Che « Madonna » fosse, non sappiamo: egli l´intese così. Tant´è vero che raccomandò poi a sua mamma di servirsene per quel medesimo fine anche a beneficio di ogni altra per¬sona che si trovasse nel suo caso medesimo.
Ora la virtù miracolosa agli oggetti la infonde Iddio, ed Egli solo. Ma sovente si vale dei santi per comunicarla. Quante volte Don Bosco guarì malati con la benedizione di Maria Ausiliatrice e ne salvò con la medaglia? Quelle a grazie della Madonna » sono attribuite, salve tutte le ragioni teologiche, al Santo stesso, perché era un Santo. Così è delle reliquie indirette.
Non dobbiamo dunque anche noi riferire alla santità del Savio-questo potere miracoloso avuto da quell´abitino ?
Il Sommario del Processo Apostolico adduce la testimonianza della Tosco Savio al titolo XVIII: De donis supernis et miraculis. È vero che questo non figura tra i miracoli veri e proprii che giuridicamente si discutono per la Beatificazione, dove, del resto, si richiedono mi¬racoli operati post mortem (e pel Savio ci sono anche questi); ma come degli altri Santi avviene lo stesso, senza che sia infermato il carattere soprannaturale e il significato personale dei prodigi operati in vita, così per il Savio questo fatto, che riunisce insieme il carisma dell´intuizione delle cose occulte e il dono dei miracoli, può essere tenuto come una prova della santità, che Dio premia e rivela con le sue grazie straordinarie. E per tale noi lo riteniamo (i).
Con quest´idea noi concludiamo l´esposizione che abbiam fatto dei carismi e doni soprannaturali del Savio. Ma con questa ne va unita un´altra, non meno sostanziata di realtà visibile e; per il fatto nostro, opportunissima. Tutti i Maestri di spirito e i teologi dell´ascetico-mistica sono concordi nell´insegnare che cotali privilegi concessi da Dio ai suoi santi hanno per effetto un incremento di santità:´sono cioè non soltanto remunerazioni e testimonianze di quanto è acquisito, ma impulso ed ispirazione ad avanzar più oltre ed elevarsi sempre più in alto (2). Lo possiamo dire del Savio ? Ancorchè non di tutti
(I) TANQUEREY, op. cit., n. 1409, 1451, 1474-78, 5499. — Cfr. pure Da GUI¬BERT, cit., quaest. VII, sect. 38, § 42.5, pag. 382-383. — Il Signore può conce¬dere tali grazie a chi vuole, ma, ecco, preferisce i Santi!
(2) TANQUEREY, op_ cit., n. 1461-1462; 1498-99. La dottrina della relazione tra i doni gratuiti e- la perfezione e santità è ampiamente dichiarata nel Da Gui¬BERT, op. cit., quaest. VII, sect. 35. La tesi è che la contemplazione infusa è concessa intuitu sanctificationis eius cui conceditur (§ 425), e d´altra parte l´uomo

432
i singoli fatti ora contemplati sia possibile assegnare una data (di due soli può fissarsi con precisione), è pur vero, ed è attestato anche da chi n´ebbe conoscenza, che, da un certo mbmento in poi, la vita del piccolo santino prende un tono così alto di virtù e di spiritualità, da superare per ogni aspetto la vita precedente, già per sè straordi¬naria: si avvera una novità che non può sfuggire a quelli che con lui convivono. E vi è una data, un momento da cui sembra aver princi¬pio, e noi diciamo procedere, quella nuova e, per necessità, ultima forma o fase culminante, con che si chiude la vita del giovane santo. È questo itterzo momento di quella storia del lavoro di Dio in quel¬l´anima, che noi ci disponiamo a contemplare nelle pagine che ci attendono.
non può raggiungere un´alta santità senza essere aiutato da molte grazie speciali (§ 426).

LIBRO X
IL VERTICE

CAPITOLO I

" Il terzo momento ".
t Io credo che abbia praticato tutte le virtù, di cui ora deposi, in grado eroico... il quale eroismo io ammirai in tutto il tempo che passò all´Oratorio, con un crescendo accentuato dopo la fondazione della Compagnia dell´Immacolata Concezione» (i). Queste parole au¬torevolissime di chi fu, accanto al Savio, il campione più autentico della santità salesiana, Don Michele Rua (ora anch´egli in causa di Beatificazione), danno ragione del concetto secondo il quale ho di¬stinto nella storia spirituale del piccolo santo i vani momenti (2), e per terzo ed ultimo, quello determinato dalla creazione della Com¬pagnia, che tradizionalmente riconosce per suo autore Savio Dome¬nico, e di cui la tradizione ha fatto uno dei punti cardinali della sua santità. Questa creazione segna una data che sta ad un tempo come punto d´arrivo ed esito d´un moto precorrente che culmina in un nuovo grado di perfezione, e come punto di partenza per una nuova ascesa, la quale tocca i vertici della perfezione, dove si avvera la piena cari¬tatis consummatio, quale la Chiesa richiede per elevare alla gloria del culto i Servi di Dio (3). Quella stabilità nella perfezione di agire con certi caratteri della vita spirituale è, come ho detto, un grado più alto dei precedenti, ed è a sua volta una via, nella quale l´anima non s´arresta, ma ancora progredisce, e progredisce alio modo che nella via di prima. È dottrina del De Guibert (4), che il lettore vede esatta¬mente consonante con la definizione ora data, e col crescendo accen¬tuato, che Don Rua riconobbe nel Savio.
(i) Somm., Don Rua, 113-T14.
(a) Il lettore vede ora che il distinguere nella via della santità percorsa dal nostro giovanetto i tre momenti non fu una trovata arbitraria di chi lo studia, ma vera e reale concretezza storica, provata dai fatti riconosciuti.
(3) DE GUIBERT, OP. cit., § 319, pag• 357.
(4) Op. cit.. Ioe. cit. — Prendo la dottrina, senza riferire di seconda mano le fonti a cui s´appoggia, che sarebbe superfluo e incomodo pel lettore.

436 "1"-..
E cioè, in linguaggio men severo, si può, nel fatto, riconoscere che tutto ciò che s´è detto delle virtù, della vita con Dio e, per quanto vi è di percettibile, dei carismi, tutto converge qui e vi culmina, in grazia d´una forza vitale dell´anima, che genera in essa la ten¬sione non mai rimessa (i) verso la perfezione. p quello che il Faber dice del fervore, di quello autentico e più alto, non raggiungibile da tutti, ch´è lo stato dei Santi sulla Terra... e in un dato senso è lo stato dei Santi nel cielo, e dovrebb´essere, proporzionatamente, lo stato normale di coloro che mirano a perfezione. È ad un tempo incre¬mento in santità e la forza per cui ella cresce; ed ha questa proprietà e carattere distintivo, di crescere sempre, e di crescere con una rapi¬dità visibile, ma tranquilla, vicino a morte (2). E che questa sia nel Savio la meravigliosa vitalità che lo condusse all´apice della sua per¬fezione, non è chi non lo veda, pensando a quanto si è fin qui detto della sua storia; ed è bello e rassicurante il contemplare quella «ra¬pidità visibile, ma tranquilla » colla quale egli cresce di mano in mano che s´avvicina alla morte.
0 o o
Solo nove mesi, e li segna insolitamente Don Bosco, separano questa dalla data in cui l´istituzione si afferma compiuta colla pro¬fessione del suo piccolo codice, fatta ai piedi dell´altare: qualche cosa come un rito che sanziona ufficialmente la sua esistenza. L´aver Don Bosco notato quei nove mesi non è senza significato per la storia interiore del piccolo santo. Vuoi dire che da quel tempo la figura spi¬rituale di lui si rivela nella pienezza della stia forma e nel carattere proprio della santità.
Cosi lo hanno ricordato i coevi, ricomponendo nella memoria la sua persona, qual´era ultimamente rimasta nella loro visione; così,
e unicamente, lo conobbero quelli che convissero con lui soltanto gli ultimi mesi di sua vita, come Ballesio, Cerruti, Melica (3): i quali vi
.
(i) Naturalmente, senza negare le impercettibili oscillazioni (io direi vibrazioni d´onda), che in ogni Santo, come uomo, debbono ammettersi. Cfr. DE GUIBERT, cit., § 356, pag. 318.
(z) FABER, Progressi, cit., cap. XXVI, pag. 417 e 423. Anche il Faber chiama « forza vitale permanente nell´anima e (pag. 417), il fervore, e lo vede come e uno stato permanente, di cui anzi l´essenza è appunto la sua permanenza, e subisce le minime delle alternazioni di qualunque stato noto alla fralezza e debolezza uma¬na » (pag. 422).
(3) Ballesio entra nell´Oratorio nel dicembre ´56; Melica, il 15 settembre ´56; Cerruti, Ir novembre ´56.

437
dero di lui le ultime prove e il tenore di vita ch´egli seguì nel tempo della sua maggiore perfezione.
Nè a codesta nostra sentenza si oppone il fatto che, nel gennaio 1857, facendosi la premiazione dei quattro primi in condotta, che Don Bosco fondava sul plebiscito dei giovani stessi (t), il Savio riuscì,
come ricorda il Cerruti, secondo o terzo, non il primo, o, come aveva detto al Processo Ordinario precedente, « gli toccò uno dei quattro
primi premi ». Allora, all´infuori di Don Bosco e Don Alasonatti, al¬l´Oratorio tutti eran compagni (e si davano del tu), studenti, artigiani e chierici, giacché, dice il Cerruti, « si formava una famiglia sola »: ed è nel medesimo Processo più volte ripetuto che, per lodare il Savio, lo si faceva eguale al chierico Rua: qui poi si trattava di condotta esterna, in cui il futuro successore di Don Bosco mostrava una preci¬sione rimasta nel carattere dell´intera sua vita. Delle cose interne, si sa, la moltitudine o non mai, o difficilmente e scarsamente s´accorge. Non so se la Santa di Lisieux in un caso simile avrebbe riportato i pieni voti: il suo Processo rivelò che molte consorelle non la capivano, per non dir altro.
La data dell´8 giugno 1856 non è pertanto quella dell´istituzione della Compagnia dell´Immacolata; bensì, come s´è detto, il compi¬mento di essa. Dobbiamo storicamente e spiritualmente riportare questo fatto cardinale della santità del Savio a molto prima, e cioè, come più oltre dimostreremo, all´anno 1855.
Da quel tempo e in quel tempo si avvera quel che poco sopra abbiam posto a fondamento dottrinale dell´apice spirituale del piccolo Santo: quando il suo fervore cresce con rapidità visibile e tranquilla, di mano in mano che s´appressa al termine della vita: un´accelerazione non solo visibile agli altri, ma da lui chiaramente voluta e perfino espressa in parole (2).
o o o
Dire che quello è uno stato d´animo è una verità, che deve però tradursi in uno stato di perfezione, dove l´amor di Dio, come forza vitale permanente, lo viene sempre più e sempre meglio occupando di sè ed innalzandolo in sempre nuove ascese. È lo stato eroico.
Quella beata condizione di spirito, condizione propria dello stato
(i) Sonam., Proc. Apostolico: Cerruti, 3o8; iòid., Proc. Ordinario: Cerruti, 3r3. — Il voto era segreto, per mezzo di biglietti consegnati a Don Bosco.
(z) Cfr. Vita, cap. XIX, Lett. al Massaglia: « Farci presto santi, perchè temo che ci manchi il tempo e. Cap. XXI: « Bisogna che io corra, altrimenti la notte mi sorprende per istrada s. — Ibid., il dialogo coi compagni nei maggio 1856.

438 ""--,
eroico della virtù, è lucidamente definita dalle parole del Cagliero (i): « Tutte queste virtù, ma specialmente la pietà, la castità, l´umiltà, l´obbedienza, per averle praticate in modo costante, facile, volontario, senza ripugnanza di sorta, dà a divellere (2) che il Servo di Dio le ha praticate in modo perfetto non solo, ma in grado eroico, e cioè non comune anche alle persone buone, pie e devote, secolari, ecclesiasti¬che e religiose... prevenuto e guidato dalla grazia di Dio: non ce¬dendo ad alcuna difficoltà o asprezza, e perseverandovi con insupera¬bile costanza ». E la definizione si continua e completa con l´altra sentenza sui motivi soprannaturali di quella pratica delle virtù: « aven¬dole "esso praticate costantemente, piacevolmente, con facilità e con spontanea volontà (3), per piacere unicamente a Dio, alla Vergine SS.ma, ed esser tutto di Dio, ed una cosa sola con Dio» (4). Le parole calde d´affetto del grande amico del Savio, corrispondono quasi letteral¬mente alla definizione della virtù eroica data da Benedetto XIV: Virtus christiana, ut sit heroica, efficere debet ut eam habens operetur EXPEDITE, PROMPTE et DELECTABILITER, Super communem modum, ex fine supernaturali, et sic sine human ratiocinio, cum abnegatione ope¬rantis et affectuum subiectione (5). Il De Guibert aggiunge: Ita splen¬dens esse debet haec heroicitas ut Dei Servus in exemplum proponi possit ceteris chrìstianis in eodem statu viventibus (6). Che, come appunto sappiamo, è quel che intende Don Bosco scrivendo del Savio!
E vorrei, se non fosse lungo, addurre il passo del Faber, in cui de¬scrive la forza vitale permanente del fervore, che si apre la via con possa uniforme e pressione queta e insensibile: « dilettasi delle cose comuni e ordinarie (il traduttore dice triviali, come Don Bosco nel cap. IX del Magone), alle quali attendasi con perseveranza, e che siano animate da incessante attenzione: il che è prova infallibile della sua potenza e della sua presenza ». « Come una persona graziosa, si piega, s´inchina, si erge con garbo e dignità, e tutto fa graziosamente; così la carità pura è la leggiadria del fervore », perchè « porta nella sua condotta le proporzioni che Dio esige dall´anima umana » (7). Tutte quelle due intere pagine si attagliano al nostro gentile piccolo
(i) Somm., Caglìero, 103.
(2) Carissimo e vivo anacoluto!
(3) FABER, Progressi, cit., pag. 418.
(4) S0111711., 10C. C11.
(5) BENED. XIV, De Serviorum Dei beatificatione et canonizatione, ecc., lib. cap. 22, il. I.
(6) Op. cit., § 357, pag• 319.
(7) Op. cit., pag. 418-419.

439
santo, principalmente in quest´ultima forma che riveste la sua san¬tità avviata al compimento.
L´amor di Dio,-ch´è appunto codesta forza vitale, tiene l´anima in continua tensione, e per mezzo di questa ne innalza le potenze e le capacità: è quella tensione che alla fine si riconosce come causa del¬l´abbreviarsi della vita terrena, tutta consumata nella nostalgia del Paradiso. Cosi sentenziano i dottori che danno ragione della malattia, e suggeriscono di « lasciarlo andare in Paradiso » (Capo XXI).
O o o
Quando l´amore è a questo grado, esso mette capo a due termini: il patire e l´agire. Amare soffrendo e soffrire amando: con la rasse¬gnazione, con l´offerta e desiderio di soffrire, col volere il patimento per purificarsi e per attestare a Dio l´amore; più ancora, con cercare il dolore e amarlo: una gradazione che infine si concreta nel volere e nell´agire (i). L´amor di Dio non è inerte; vuole ed opera, ed ha bi¬sogno di operare, ed opera nella gioia che accompagna tutte le ore e tutto il lavoro interno ed esterno, e rende più sveglia e penetrativa l´attività e l´azione. E il delectabiliter di Benedetto XIV. L´azione è il punto culminante della vita santa, ed è un esito naturale dell´amore. Caterina da Siena diceva che il prossimo le era stato dato per mostrar l´amore che portava a Dio; giacchè nella impossibilità di rendere ser¬vizio al Supremo Bene, come si vorrebbe, era ben felice di riuscirvi come si poteva, servendo, secondo lo stato suo, il prossimo caro al suo Dio.
Qualcuno ha detto che questa è una genitura dell´amore, volendo includervi i dolori e la gioia e il desiderio; e noi accettiamo il concetto, perchè molti e molti Santi hanno così definita l´opera di bene che da loro si generava. E che l´azione dei Santi debba alimentarsi della meditazione, e cioè dell´assidua presenza di alti concetti e di amorosi desiderii, vere riserve d´idee e di forza, lo dimostrano le vite dei Santi più attivi, nei quali la potenza dell´azione, sostenuta dai dettami della fede, e dalle spirazioni dell´amore, si accompagnava, si nutriva con-tinuamente della sostanza attinta di là. Se in San Luigi la fioritura delle opere fu succisa prima di nascere, e non potè apparire nella ma¬turità della vita, nulla toglie al valore delle sue intenzioni e desiderii,
(t) M´attengo in questo, e nella teoria che-svolgo in seguito, secondo l´oppor-tunità, al JOLY, op. cit., cap. V, pag. 185-19o. — Ma il dotto autore non dice di suo: egli condensa la dottrina dei Santi. Cfr. TANQUEREY, cit_, n. 1451, e
passim.

440
dei quali Iddio si contentò (i). Nel Savio l´azione potè, nella misura della sua condizione, sorgere e dispiegarsi, a segno che Pio XI potè dirlo « piccolo, ma grande apostolo (a): ed è un lineamento essen¬ziale della sua persona di santo, che lo distingue da ogni altro che non sia Don Bosco, al quale, oltrecchè nel resto, si assomiglia, come figlio al padre.
Nell´uno e nell´altro quell´attività, o di desiderio o di azione, è Io sbocco della corrente d´amor di Dio; non un coronamento che s´aggiunge ed abbellisce, ma l´esito naturale del progresso della per¬fezione interiore (3). Così ciò che ha contrassegnato il progresso degli ultimi cinque anni della vita di S. Teresa di Avila non furono i ratti e le visioni, ma ciò che ne doveva essere l´esito: il possesso, l´esercizio, calmo ed equilibrato, ma più vigoroso che mai, delle forze, apostoliche (4). E Don Bosco non ebbe le più grandiose idee appunto negli ultimi anni, quando si venne in lui facendo più intensa, fino a mostrarsi visibilmente, la vita soprannaturale e carismatica?
(I ) CRISPOLTI, op. cita pag. 34-35.
(2) Disc. 9 luglio 1933, § 7.
(3) Per S. Luigi, cfr. CRISPOLTI, cit., pag• 31-32; 35-38; MESCHLER, cit., pa¬gina 80.
(4) JOLY, op. cit., pag. 157.

CAPITOLO II
La Compagnia dell´immacolata.
Nel nostro giovane santo quell´attività culmina nel fatto della Compagnia dell´Immacolata Concezione. Essa è, come dicemmo, e come Don Bosco stesso fa comprendere nella Vita, il punto d´arrivo, l´esito d´una preparazione interiore che mette foce nell´azione; così come e per essa e insieme con essa, dà la ragione più prossima d´un accrescimento, anzi d´una crescenza accentuata nell´eroismo delle virtù. Vi è pertanto il fatto storico e il fatto spirituale, non separati, ma di¬stinti, e, per l´indole loro, riducibili ad una sintesi, ch´è quella finora illustrata.
La storia di codesta istituzione, che la Vita attribuisce nettamente al Savio fin dalla prima edizione (i), è, se stiamo alle testimonianze dei coevi anche più prossimi ed intimi, tutt´altro che chiara. L´in¬certezza e la disparità dei riferimenti attinge tanto l´origine dell´idea e dell´attuazione, quanto i fini ch´egli, se mai, si proponeva: la data stessa non ebbe finora un fondamento sicuro. Alcuni testi ignorano o negano, si scusi la parola, quella paternità; altri esprimono opinioni intermedie e concilianti tra il sì e il no; qualcuno, e il Bongiovanni principalmente, contraddice senz´altro. Il fatto è, fino ad un certo punto, spiegabile. Il lavoro di preparazione, così come l´esistenza della Compagnia, anzi la stessa sua azione, furono cosa di pochi, dei soli che vi appartenevano; gli estranei o non se n´accorsero, o ne sen¬tirono parlare vagamente. Tra questi, cosa ben singolare! è lo stesso Don Francesia, chierico allora e maestro del Savio, che ne sentì, e lo dice, i benefici effetti senza saperne in quel tempo l´origine, e di fatto alla Compagnia non appartenne. Tanto che, come s´è visto, egli
(i) Queste pagine (capo XVII) -son rimaste immutate anche nell´ultima edi-zione curata da Don Bosco, ch´è la quinta.

442
arguiva poi della prudenza del suo alunno « dall´aver saputo com¬porre la Compagnia con tanta segretezza da non lasciarlo vedere al¬l´Oratorio » (i).
o 0 o
Negare od infermare nel Savio la concezione, l´idea prima, po¬tremmo dire la creazione dell´opera, equivale a togliere dalla sua vita il fatto che personifica e assomma l´opera della sua santità in lui stesso e nella sua personalità esterna di santo d´azione, « piccolo ma grande apostolo »; per dirlo in sintesi col Joly, il punto culminante della sua vita di santo (2). Don Bosco, che vedeva così appunto le cose, e sa¬peva, come nessun altro, la storia del suo santo discepolo, ha irrefra¬gabilmente dimostrato per quali vie quell´idea scaturisse nell´anima di lui, e come si effettuasse nell´attuazione, e il nesso con l´apostolato che ne derivò. Non si può, a meno di smentire in un punto così vi¬tale la veridicità del Santo scrittore, e di farlo parlare contro convin¬zione, anzi (poichè si tratta di cosa recente e presente) contro l´evi¬denza dei fatti, non si può, dico, dubitare della verità ineccepibile di quel racconto. Che alcuno dei coevi e conviventi nella Casa n´ab¬biano avuto un´idea non ben chiara, ed abbiano confuse le circostanze concomitanti coll´origine del fatto, non è da farne troppo caso, perchè, per l´indole dell´istituzione, come s´è detto, non tutti sapevano tutto.
Infatti quei che si scostano dalla linea diritta segnata da Don Bo¬sco erano allora estranei alla Compagnia, e il « sentito dire » non è per sè solo- un argomento probativo.
Del resto, son pochi e, strano a dirsi, dall´uno all´altro processo, e perfino nelle deposizioni su articoli diversi, non concordano con se stessi (a). Il Francesia, per esempio, ad un « a me non consta (se non) dalla lettura della biografia che Savio fondasse la Compagnia », fa seguire subito dopo che: « Don Bosco lo presentò come socio fon¬datore, e nessuno di quelli che vi presero parte fece opposizione a tale sua dichiarazione. So che diversi fra coloro che furono i primi membri della Società, dichiararono concordemente che l´ispiratore ne fu il Servo di Dio Domenico Savio » (4). Ma prima aveva detto espli
(i) Somm., Francesia, 245. — La Compagnia era cosa intima e segreto il suo lavoro. E chi ha conosciuto .quel caro e sant´uomo sa troppo bene che di segreti non ne sapeva tenere. Perciò fu lasciato fuori. Le altre virtù le aveva tutte.
(z) Op. cit., pag. 185: , Le point culminant de la vie sainte est donc Paction ».
(3) Di qui si vede quanto infondata sarebbe l´opinione che i testi, a tanta distanza dai fatti, si siano guidati colla Vita, e abbiano parlato sotto l´influsso di quella.
(4) Somm., Proc. Apostolico, Francesia, 40-41.

`--+, 443
citamente che « Fel desiderio della salute delle anime fondò, in com¬pagnia di altri più zelanti, la Compagnia » (t). Così il Cerruti, entra¬tovi più tardi (nel 1859-´6o), depone che «i compagni affermavano come Fondatore Savio Domenico »; mentre al Processo precedente l´aveva detto « membro zelante della Compagnia fondata dal ch. Rua Michele e dal Servo di Dio »; e altrove ricorda quelli « che insieme al ch. Rua fondarono la Compagnia dell´Immacolata » (2). Eppure, nella deposizione citata per prima, notava che, già tra i fervori del 1854, « ancor così giovane concepì l´idea d´una Compagnia in onore dell´Im-macolata Concezione ». Lasciamo da parte il Ballesio, che seppe del¬l´esistenza della Compagnia, ma non ricorda che Savio vi apparte¬nesse, e il Piano, che sapeva della Compagnia, della quale, a quanto si diceva, il Servo di Dio era stato l´ispiratore o almeno cooperatore: così pure il Melica, che ne fa « uno dei principali iniziatori » (a).
A rendergli espressamente il merito che Don Bosco gli attribuisce, stanno tutte le altre testimonianze, che variano nell´assegnarne il motivo, ma concordano nel fatto. Esse sono appunto dei membri su¬perstiti che per primi formarono la Società: D. Rua, Cagliero, Anfossi; e le loro affermazioni esplicite e costanti non lasciare luogo a dubbi: tanto più se si pensa che al Michele Rua fu da non pochi attribuita una parte precipua e preponderante (4). Questi asserisce « aver egli concertato con alcuni compagni l´istituzione della Compagnia », e ne segue il crescendo accentuato nell´eroismo delle virtù dopo quel fatto (5). Più esplicitamente in altro articolo: « L´amore di lui a questa virtù (dell´obbedienza) gl´inspirò la prima idea della Compagnia dell´Im¬macolata Concezione, perchè fu appunto in occasione che vide alcuni compagni alquanto trascurati nell´osservanza delle regole della Casa (l´eufemismo è evidente!) che pensò ad invitare vani compagni ad unirsi allo scopo di animare con le parole e coll´esempio anche i meno ferventi alla pratica dell´obbedienza, coll´osservanza delle regole » (6).
Il Cagliero nel Processo Apostolico rilevò queste parole di Don Rua e le fece sue (7). Ma già aveva detto di suo: « Animato di zelo pel bene dei suoi compagni, scelse alcuni dei suoi più fidi, tra i quali Giuseppe Bongiovanni, e li invitò ad unirsi con lui per concertare
(i) Somm., Proc. Ord., Francesia, 159.
(a) Somm., Proc. Ap., Cerruti, 53: Proc. Ord., id. x14 e 157. Il Cerruti de-pose al Proc. Ord. il 5 nov. 1908, e al Proc. Ap. il zz sett. 1915.
(3) Somm., Ballesio, 35; Piano, 38; Melica, 47.
(4) Cfr. le deposizioni del Cerruti, sopra citate.
(5) Somm., Don Rua, r r 1, 113-114.
(5) Somm., Don Rua, 304. (7) Somm., Cagliero, 300.

444 "1—,
l´istituzione della Compagnia dell´Immacolata (altrove, a pag. 136, aggiunge: « della quale feci parte anch´io »), di cui è ampia relazione nella Vita scritta da Don Bosco, il quale ne approvò l´idea, e gli diede parecchi consigli, che servirono di regolamento » (i).
L´Anfossi: « Istituì la Compagnia dell´I. C. verso la metà, forse in giugno del 1856 ». Scopo ne era «l´assistenza morale e religiosa di alcuno dei compagni meno esemplari, con molta prudenza e spirito di carità. Questo affermo essendo io pure stato uno dei membri della Compagnia. Nelle adunanze era presieduta generalmente da un chie¬rico, quali, ad esempio, il ch. Rua o il eh. Bongioanni» (z).
o o 0
II riferire codeste asserzioni di testi giurati e coevi, anzi partecipi del fatto, che confermano il detto delle pagine di Don Bosco, ci mette ora in grado di ricusare nettamente la contraddittoria relazione del Bongiovanni, l´unico su trentacinque testimonianze in materia. Si noti: la relazione dell´ottimo amico del Savio, del quale lo stesso Don Bosco sentì il bisogno di tessere l´elogio, inserendo nella V edizione della Vita (1878) una lunga nota biografica, è diretta nel 1857 a Don Bosco in persona per servire alla composizione del libro, ed è, per ogni altro verso, uno dei documenti più preziosi (3). Dice adunque, al n. 3: « Fu egli uno dei fondatori, il quarto, e accettò la proposta con somma gioia. E non eravi luogo alle meraviglie: colui che erasi nello scorso (cioè precedente) mese di maggio consacrato corpo ed anima a Maria da solo, nulla più aveva da.negarle entrando nella Società nostra (sic), massime che questa gli offeriva campo a spiegare maggiormente la sua divozione verso Maria che gli aveva ben rubato il cuore. Adempì poi alle obbligazioni impostegli dal nostro regolamento con una esat¬tezza a tutto dire esemplare ».
Così tutto ciò che si legge in Don Bosco e si è udito dai testi com¬partecipi del Savio e del Bongiovanni, e confermato da tutti gli altri (e a bella posta ne abbiamo sottolineate le parole), è rovesciato intera¬mente: non è Savio Domenico che concepisce la prima idea, e sceglie gli amici più fidi, tra i quali lo stesso Bongiovanni, e li invita ad unirsi con lui per concertare l´istituzione: non è nè l´ispiratore nè il socio fon
(i) Somm., Proc. Apostolico, Cagliero, 59.
(z) Somm., Anfossi, 1c28.
(3) Somm., Declarationes, n. 14. pag. 480. In sede di discussione storica il fatto d´una contraddizione così radicale ebbe una certa gravità e non fu tanto agevole spiegarlo. Ora la questione è superata, e il richiamarvi l´attenzione è sug¬gerito soltanto dal desiderio di non lasciare campo ad indulgenti tolleranze, di ´ cui Don Roseo non ha bisogno.

445
datore, neppure, a voler dir meno, confondatore col eh. Rua; il Savio è un estraneo a cui si propone di entrare nella Compagnia, ed è il quarto che entra nella Società, che il Bongioanni dice nostra, e adem¬pie poi alle obbligazioni impostegli dal nostro regolamento; nostro, cioè già fatto per la Compagnia quand´egli vi entra. Tutto è fatto già, senza di lui e prima di lui. Sicchè anche cronologicamente viene in con¬trasto coi dettato del libro, che fa il Savio autore del Regolamento stesso, e coi nove mesi che trascorsero dalla cerimonia del giugno 1856. Infatti egli allude alla straordinario fervore dello scorso mese di maggio, che Don Bosco ricorda nel Capo XXI, ed è quello del 1856. Don Bosco è smentito categoricamente, dal fatto dell´ideazione fino alla compilazione del Regolamento; e ciò dal più intraprendente tra quelli .che lavorano con lui, e che notoriamente è intimo del Savio e degli altri che formano per primi la Compagnia. Ed ha vent´anni maturi, come Don Rua, e si fa chierico allora, e scrive corretto e pen¬sato, e non ha certamente intenzioni storte. E scrive a Don Bosco appena morto il piccolo santo, e Don Bosco non gli dà ascolto, e detta il contrario, « e nessuno di quelli che vi presero parte fece opposi¬zione a tale dichiarazione» (i). Anzi l´Autore è tanto sicuro del fatto suo, che conserva il documento !
Non si nega che il Bongioanni abbia avuto parte nella formazione della Compagnia, così come l´ebbe il eh. Michele Rua: il Cagliero, tra i più fidi che il Savio sceglie ed invita, nomina solo il Bongio¬vanni (z). La Nota biografica citata parla espressamente dell´ « aver aiutato Savio Domenico, con cui era unito di santa amicizia, ad in¬stituire la Compagnia dell´Immacolata »; ed egli è « uno tra quelli che più efficacemente lo aiutarono »: mentre gli dà il merito di avere poi, ancor da chierico, fondata la Compagnia del SS. Sacramento. E naturale che per metter su un´associazione bisogna che chi ne ha l´intenzione s´intenda con qualcuno, di cui più si fida e che accoglie la proposta, e insieme trovano aderenti e collaborano a concertarne la forma, e così dice Don Bosco: « Il Savio scelse alcuni dei suoi compagni più fidi, e li invitò ad unirsi con lui per formare una Com¬pagnia detta dell´Immacolata Concezione ».
Il punto cruciale è appunto qui: se sia il Savio a pensare, a sce¬gliere, ad invitare, o se siano altri: tutto il resto si accomoda facil¬mente, questo no. I riflessi spirituali che abbiam premesso e le ragioni che, secondo Don Bosco, generarono nel Savio quell´idea, la serietà poi delle testimonianze di chi valeva almeno quanto il Bongiovanni,
(1) Somm., loc. cit., Francesia, 41. (a) Cfr. sopra, loc.

446 `´
e (poiché li abbiam conosciuti di persona) sappiamo che non avreb¬bero detto una cosa per un´altra, neanche per ossequio, e basterebbero Don Rua e il Cagliero per tutti, c´inducono a star con Don Bosco,
e credere a ciò ch´egli dice. Senza questo, cade tutta la struttura sto¬rica del progresso spirituale del giovane santo, ed è tolto alla sua san¬tità il fatto centrale, nel quale, secondo lo stesso Santo scrittore, culmina la sua personalità. Non possiamo credere che Don Bosco, per esaltare il suo eroe, abbia alterata e addirittura falsata la storia; mentre la logica connessione, che il suo racconto ha con tutto il resto che precede e conseguita al fatto, ci sta a prova che non poteva nè inventare nè alterare la verità dei fatti. La contraddizione del Bon¬giovanni trova una mezza spiegazione in questo primamente che il Savio, come s´è detto altrove, parlando della sua umiltà, non teneva a figurar per primo e per autore in nulla, e sapeva far le cose in modo che figurassero altri, come, nel caso, Don Rua, che _ne fu il presi¬dente nato: il Savio figura poi il quarto, perchè ci stanno prima Don Bosco, Don Alasonatti e il chierico Rua, già superiore agli altri.
Ma il punto cruciale rimane, e non si spiega se non ammettendo nel Bongiovanni o una incomprensione dell´operato dell´amico suo (ma qui si incorre in contrarii inconciliabili): oppure, cosa difficile, ma possibile, una confusione tra il fatto della Comunione mancata, forse del maggio 1856, quando, dopo la Messa, il Bongiovanni con¬certò col Durando ed altri ad impegnarsi per il turno delle Comunioni in settimana (e così l´uno dei primi quattro sarebbe il Durando),
e allora, si, fu tra i primissimi proposta al Savio la cosa: tra quel fatto, adunque, e l´istituzione della Compagnia (e qui verrebbe confusa con la professione del Regolamento) che include anche quella pratica, ma che Don Bosco fa derivare da tutt´altra fonte del tutto perso¬nale e propria del Savio. Qualche teste ha fatto appunto la mede¬sima confusione; ma esso non sapeva tutto quello che poteva ben sapere il Bongiovanni (i).
(i) Somm., Barberis, 7o: « Una circostanza particolare promosse sempre più la Comunione frequente, e diede poi origine alla fondazione d´una Compagnia detta dell´Immacolata Concezione ». E colloca il fatto: « Se non erro, nel febbraio 1855 >>. E soggiunge che a mettersi d´accordo per il turno delle Comunioni, « tra gli altri vi era il giovane Michele Rua, Celestino Durando, Giuseppe Bongiovanni. Il Savio che era stato l´anima dell´iniziativa, non pensò ad altro che a consoli¬darla, e ne scrisse la Regola, che presentò a Don Bosco, ecc. ». L´inesattezza è evidente; ma iI Barberis entrò all´Oratorio quattro anni dopo la morte del Sa¬vio (Somm., 27). — Il Cagliero, pag. 196 e 247 dice bene che e organizzò un turno di Comunioni «, ma non collega il fatto con l´istituzione della Compagnia. — Quanto all´episodio, cfr. Mem. Biogr., V, 478: dove il Lemoyne (pag. 479) fa derivare da quello, ma remotamente, nel Savio l´idea della Compagnia.

"", 447
o 0 0
Nessuna difficoltà, a sua volta, presenta il concordare le sentenze che esprimono i motivi e i fini di quella istituzione. Il Santo biografo ne fa scaturire l´idea dall´entusiasmo spirituale destatosi nel santo alunno, nel 1854, per la definizione del dogma dell´immacolata: « II Savio desiderava ardentemente di rendere fra noi vivo e durevole il pensiero di questo augusto titolo dato alla Regina del Cielo. Io de¬sidererei, soleva dire, di fare qualche cosa in onore di Maria, ma di farlo presto, perchè temo che mi manchi il tempo » (Cap. XVII). E narra che « guidato dalla sua industriosa carità, scelse alcuni dei suoi fidi compagni e li invitò ad unirsi insieme con lui per formare una compagnia detta dell´Immacolata Concezione ». E ne dice lo scopo: « Lo scopo era di procurarsi la protezione della gran Madre di Dio in vita e specialmente in punto di morte. Due mezzi propo¬neva il Savio a questo fine: esercitare e promuovere pratiche di pietà in onore di Maria Immacolata, e la frequente Comunione ».
Nella Vita, adunque, l´origine, gli scopi, i mezzi, sono tutti di divozione mariana, naturalmente congiunta con la pratica eucari¬stica. Questa era infatti l´intenzione di Don Bosco stesso, che nelle condizioni apposte al Regolamento redatto dal Savio, prescriveva espressamente: « Si proponga per iscopo fondamentale di promuo¬vere la divozione verso Maria SS. Immacolata e verso il SS. Sa¬cramento ».
In quest´ordine d´idee sta una volta il Cagliero, che però vi ag¬giunge il fine dell´apostolato fra i più discoli: « dell´istituzione della Compagnia dell´Immacolata... scopo: onorare e imitare le virtù della Vergine SS.ma, e guadagnare al bene e alla divozione di Maria i più discoletti » (i). Così il Bongiovanni sopra citato, e il Cerruti (2); così, e questo vale per tutti, il Savio stesso, nel Preambolo del Re¬golamento della Compagnia (Capo XVII).
Don Rua ha un´idea fino ad un punto sua propria e differente dal concetto devozionale. Egli fa derivare l´istituzione della Compagnia dallo zelo per l´osservanza delle regole, e come n´è l´origine, così n´è lo scopo. Ripeto integralmente due passi già in parte citati: « L´i¬stituzione della Compagnia dell´I. C. [che] fu ispirata primanzente dal desiderio di vedere osservate da tutti le Regole della Casa » (3).
(a) Somm., Cagliero, 136.
(2) Somm., Cerruti, x57: e fu per lo straordinario amore a Maria SS. che insieme al eh. Rua fondarono la Compagnia dell´Immacolata Concezione ».
(3) Somm., Don Rua, 111.

448 "!--
E su altro articolo: « L´amore a questa virtù (dell´obbedienza) gli ispirò la prima idea della Compagnia, perchè fu appunto in occa¬sione che vide alcuni compagni alquanto trascurati nell´osservare le regole della Casa, che pensò ad imitare varii compagni, etc. » (I). Que¬sta seconda dichiarazione fu riportata letteralmente nella propria deposizione dal Cagliero al Processo Apostolico (2).
È agevole mettere d´accordo queste sentenze. Possiam dire che vi ha pensato il Savio stesso nello stendere il Regolamento che fu professato l´8 giugno 1856: «Per assicurarci in vita ed in morte il patrocinio della B. V. Immacolata, e per dedicarci interamente al suo santo servizio... e risoluti di professare verso la Madre nostra una fi¬liale e costante divozione, protestiamo... di voler imitare, per quanto lo permettono le nostre forze, Luigi Comollo ». E perciò si legano a tre obblighi, di cui il primo è « di osservare rigorosamente le regole della Casa »: il secondo, edificare i compagni ammonendoli e molto più col buon esempio: il terzo, occupare esattamente il tempo. E venendo agli articoli: «4 regola primaria adotteremo una rigorosa obbedienza ai nostri superiori, cui ci sottomettiamo con una illimi¬tata confidenza ». Così Don Bosco stesso, quando in fin d´aprile 1856 il piccolo santo gli domanda una regola per celebrare santamente il mese di Maria: « lo celebrerai, gli dice innanzi tutto, coll´esatto adem¬pimento dei tuoi doveri ». I due concetti non si contrastano, ma si sommano, derivando l´un dall´altro.
Di questo Regolamento, non solo per la questione dell´autore, ma per lo spirito che lo anima, sarà detto più oltre, dopo che avremo fissato un punto capitalissimo della storia di questa istituzione, ch´è a sua volta capitalissima nella storia del Savio. È la data. Quando fu istituita la Compagnia ?
o o o
Don Bosco, facendola derivare dal fervore destatosi nel suo san¬tino alla proclamazione del dogma dell´Immacolata, trapassa senz´altro a dire dell´opera di lui, e vien subito al fatto del Regolamento e della solenne professione di esso, in data 8 giugno 1856. Può esser questa la data di nascita della Compagnia? Abbiam già detto in qual senso voglia intendersi codesto quasi rito ufficiale, e come abbia a collo
(i) somma Don Rua, 3o6. — A questo concetto s´inspira il Lemoyne nel¬l´inizio del suo capitolo eit., vol. V, 478: ed è naturale, giacche, quando scriveva, doveva consultarsi con lui.
(a) Somm., Cagliero, 300.

449
carsi nella pia vicenda (i). Altri non incerti dati di fatto leggiamo nella Vita connessi con l´esistenza della Compagnia, dei quali possiamo fissare il tempo, e questo non s´accorda con quella data.
Benchè Don Bosco, nel collegare strettamente l´origine e il nasci¬mento della istituzione ai fervori del dicembre 1854, non dica di un effetto immediato, ed anzi faccia pensare al maturarsi del desiderio « Di render vivo e durevole il ,pensiero di questo augusto titolo », e ricordi le parole che soleva dire: « Io desidererei di fare qualche cosa in onore di Maria »:- è pur vero che gli fa soggiungere: « ma di farlo presto, perchè temo che mi manchi il tempo ». Non dovette dunque aspettare più d´un anno e mezzo a soddisfare alla sua ardente aspira¬zione ed alla urgenza onde lo incalzava la segreta previsione della brevità del suo vivere. Non possiamo dunque uscire dall´anno 1855, e neppure inoltrato di troppo. Se il primo momento della nuova vita del piccolo santo è quello dell´8 dicembre 1854, e genera in lui quel¬l´idea e quel desiderio, il secondo momento, quello del: « Voglio farmi santo », che si avvera nel marzo successivo, non può non aver affret¬tata l´effettuazione del suo proposito.
Inoltre nel Capitolo XVIII, dove la materia continua stretta¬mente legata al tema precedente, è detto che alle conferenze della Compagnia, i cui membri erano i più intimi amici del nostro san¬tino, prendevano parte, con altri dei quali l´autore non vuol parlare, « perchè ancora tra´ vivi », anche i due « già stati chiamati alla patria celeste Gavio Camillo e Massaglia Giovanni. Ora il Gavio dimorò all´Oratorio soltanto due mesi, e morì il 29 dicembre 1855 (a), e il Massaglia, che vi dimorò più a lungo e fu per eccellenza l´amico una¬nime del Savio, mancò ai vivi il 20 maggio 1856, a casa sua, dove s´era condotto da qualche tempo per ragioni di salute. E il Mas¬saglia, nella lettera che in seguito rileggeremo, raccomanda al santo suo amico di salutare «i nostri amici, e specialmente i confratelli della Compagnia dell´Immacolata Concezione ». La Compagnia do¬veva adunque già vivere da tempo.
Con meno vigore probativo, ma non senza qualche peso, è il ri¬flesso che i fatti più straordinarii e carismatici si avverano, se collo¬chiamo la fondazione della Compagnia al tempo che vogliamo asse¬gnarvi, nel periodo appunto in cui il crescendo accentuato nell´eroismo
(i) Cfr. sopra, cap. I, pag. 436-437-
(2) E non il 3o dicembre 1856, come, per puro errore materiale, sta nella
Vita. Lo ha rivelato il Salotti, op. cit., pag. 20I del resto lo dice chiaro il LE-MOYNE, Mem. Biogr., cit., V, 385. Cfr. anche nella Vita, cap. XIX, le parole
di compianto per il Massaglia, dove il Savio confida che esso sarà € già con Ga¬vio in Paradiso a.
/5 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Voi. IV. Parte II.

+so
delle .virtù si delinea più spiccato. E tale corrispondenza viene a dar ragione ai nostri ragionamenti e dà anche ragione di essi. La grande
visione della conversione dell´Inghilterra accadde, secondo il Cer¬ruti (i), quando il Savio, sui tredici o quattordici anni, frequentava
la terza ginnasiale: ch´è precisamente l´anno scolastico 1855-56: pro¬babilmente avvenne nella prima metà dell´anno, giacché col 2 aprile il nostro santino compieva i quattordici anni.
La misteriosa scoperta della colerosa morente è dell´S settembre del ´55, e quella del protestante di Via Mercanti deve con ogni pro
babilità essere avvenuta in quel medesimo anno, quando di tali in¬tuizioni, come dice Don Bosco, il giovane santo aveva dato altre prove.
Il miracolo dell´abitino non entra in questa dimostrazione, es-, sendo avvenuto il 12 settembre 1856: e sta invece a provare che il moltiplicarsi e il rafforzarsi delle grazie divine nella nuova vita rive¬latasi nel terzo momento e nell´ultima fase delle ascensioni, sono giunti fino ai miracolo.
La conclusione può pertanto essere questa, che o sul finire del primo anno scolastico (1854-55), o nella primavera (maggio-giugno)
del 1855, deve collocarsi l´inizio della Compagnia: salvo poi a darvi compimento e costituzione, diciamo così, ufficiale colla professione rituale del Regolamento; quell´8 giugno 1856.
E prima ? Il Cagliero dice (a) che Don Bosco, approvando l´idea della Compagnia, diede al Savio « parecchi consigli che servirono
di Regolamento ». Visse così la Compagnia fino a quando lo statuto,
nella sua forma regolare e definitiva, fu deposto ai piedi di Maria. Anche il Barberis, riferendo parole di Don Bosco, lodava la prudenza
del nostro santino « nell´aver saputo redigere con tatto fine le regole
della Compagnia, in modo da incontrare il gradimento dei soci » (3): segno che la società già esisteva e fioriva. Il ritardo della formula
zione e professione delle regole non è innaturale (la Congregazione Salesiana ha vissuto il suo primo decennio (1859-69) senza regole ap¬provate, e queste anzi furono sanzionate solo nel 1874), .e il fatto del-l´8 giugno ´56, come riesce a conclusione effettiva dei fervori di quel maggio, ci si offre come espressione d´una intenzione e volontà di costituirsi solidamente in una società permanente e formalmente definita, nella quale, a mio parere, Don Bosco vede (e forse vuole) un preludio di quell´altra ch´egli va preparando, e di cui, se già nel 1856 avesse potuto andare a Roma, come si diceva, avrebbe trattato
(i) Cfr. sopra, pag. 414-415.
(2) Somm., Cagliero, 59.
(3) Somm., Barberis, 249.

451
col Papa, presentandogli, come poi fece nel ´58, uno schema di Re¬gola. A cosi pensare m´incoraggia la preziosa deposizione del Ca¬gliero, riferita a pagina 289 del Sommario, dove si parla della pratica dei consigli evangelici tra i più intimi del Santo Maestro, e il Savio è tra i più fervorosi. Ora quelli sono appunto i membri della Com¬pagnia che professarono quell´8 giugno, e che il 18 dicembre 1859
inizieranno la Congregazione.
Una prova, indiretta, ma non priva di valore, si ha nelle parole
del Francesia, che alludono soprattutto all´anno 1855-56: «Ed in quel tempo io ricordo che vi fù un risveglio potente di virtù, ed una gara di frequentare i Sacramenti, fare le visite a Gesù Sacramentato, ed a promuovere questi atti fra i giovani della Casa. Un desiderio di Don Bosco, un suo consiglio, era come un comando per questi, che lo introducevano in mezzo a tutti. Io ammiravo questo pio movimento religioso, e non sapeva veramente a chi attribuirlo (sappiamo che il Francesia ignorava l´esistenza della Compagnia); e solo quando Don Bosco pubblicò i cenni della vita del pio giovinetto venni a conoscere chi era il fortunato promotore »
Il lettore troverà forse malagevole quel ritardo che noi soste¬niamo. Ma, se si ammette quanto siam venuti dimostrando, è ovvia¬mente necessario concludere che così sia. Tutto sarebbe messo a posto, e riuscirebbe ben più chiaro e naturale, se, come per la morte del Gavio i1 1856 va corretto in 1855, così qui l´8 giugno fosse quello del 1855. Ma v´è l´ostacolo di quei nove mesi scritti a tutte lettere, e non si può, a Don Bosco, dar nota di un lapsus memoriae in un fatto tanto recente e di tale momento. E allora le cose stiano come sono.
0 o 0
Dopo l´idea santamente geniale della Compagnia, il capolavoro del Savio è il Regolamento. Lo dico del Savio senz´altro, perchè Don Bosco esplicitamente glielo attribuisce: « D´accordo coi suoi amici compilò un regolamento, e dopo molte sollecitudini, nel giorno 8 del mese di giugno 1856, nove mesi prima della sua morte, leggevalo con loro dinnanzi all´altare di Maria SS. », La collaborazione accen¬nata da Don Bosco fu specialmente quella del Bongiovanni, che la nota biografica dell´edizione quinta della Vita ricorda come «uno
(I) Somm., Francesia, 41. — Che si alluda al 1855-56, è dimostrato dall´al¬tra dichiarazione, a pag. 159, dov´è detto: «Era voce comune che promotore principale delle divozione, che si manifestò negli anni 1855-56, fosse il Savio, e che ciò fosse frutto del suo zelo per la Madonna ».

452 ´m
fra quelli che più efficacemente aiutarono Savio nell´istituire la Com¬pagnia e compilarne il regolamento ». Il Cerruti attestava parimenti che «coadiuvato dal condiscepolo Bongiovanni e dal ch. Rua, com¬pik un regolamentino » (i). E il Francesia ragiona così: « Che tutte le regole della Società siano opera del Savio, non mi consta, ma sicu¬ramente egli ne fu l´ispiratore (2). Altri testi, senz´alludere al contri¬buto altrui, rilevano il merito del Savio, nel compilare egli stesso, o nello scrivere o redigere o formulare quelle regole (3): tutti poi ricor¬dando che Don Bosco le rivide. Il solo Bongiovanni, nello scritto ci¬tato, parla in modo da escludere l´opera del Savio, alla quale aveva pure collaborato egli stesso.
Noi stiamo, anche qui, con Don Bosco. Il quale ha voluto pubbli¬care per intero quel documento dell´assennatezza e della salesianità (che vuoi dire spirito di Don Bosco) del suo santo discepolo. Quegli articoli sono stesi dal Savio, ma non sarebbero altri, se li avesse det¬tati il Santo Maestro. E se pensiamo ch´essi stanno a regola d´una Società di pochi scelti, destinati a vita spirituale (e gli articoli 19¬20-2z lo dimostrano) e all´apostolato che deve esserne l´esito e lo scopo: se riflettiamo che quei scelti (scelse è la parola di Don Bosco) sono appunto quelli che il Gran Padre sceglierà per fondare il 18 di¬cembre 1859 l´altra Società, che sarà di S. Francesco di Sales, non potremo non vedere nel primo fon-imitatore del Regolamento la figura di chi personifica Io spirito del Fondatore più grande, e come anche da questo venga confermato il nostro assunto, che in Savio si ri¬specchia Don Bosco, e cioè la salesianità. Senza voti (almeno appa¬renti) e all´infuori delle formalità canoniche, Savio Domenico è già il Salesiano, ed è bello che sia, dopo il Fondatore, il primo Santo della salesianità. Il suo tipo di Santo non è solamente il capolavoro della pedagogia di Don Bosco (pedagogia da intendersi in un senso più alto che non quella dei pedagogisti scientifici), sibbene la parola genuina dello spirito di lui, e l´espressione di ciò ch´egli non scrisse, ma infuse nell´opera sua. Il Santo Pedagogo non educò solo il fanciullo santo, ma il futuro salesiano. Ciò che Don Rua, della cui giovinezza Don Bosco non potè scrivere, ma fece intendere molto, era destinato a continuare impersonando, e che ha col nostro . santo giovane comuni l´origine e il tempo della prima formazione, il Savio lo ha in brevi anni
(i) Somm., Cerruti, 53.
(2) Somm., Francesia, 41.
(3) Somm., Branda, 64, a cui nel 187o, per istituire la Comp. di S. Giuseppe, fu suggerito da Don Bosco di modellarsi nel regolamento compilato dallo stesso Savio; Barberis, 7o e 249; Anfossi, 288, ne riporta l´articolo sull´impedire la mor¬morazione.

453
esemplato in sè, e la Vita scritta da Don Bosco è pei Salesiani quello che l´opera di Don Rua sarà per la vita salesiana dopo Don Bosco.
Le brevi paginette dei Regolamento (sette, nelle edizioni in-3a) sono pertanto un documento prezioso che traduce in pratica l´indi-rizzo spirituale e il programma della vita insegnati dal Santo Mae-stro (t). Un esame anche sommario ce ne fornirà la dimostrazione.
Lo scopo della Compagnia e i mezzi proposti dal giovane idea-tore sono già esposti dallo stesso biografo (a), e basta richiamare a mente quali siano per Don Bosco i due capisaldi, i perni della pietà
e della morale, perché se ne veda la medesimezza con gl´intenti del Savio. Nella premessa dichiarativa dello statuto i soci (tutti nominati, con il Savio in capo), per conseguire lo scopo primario della società, protestano, davanti all´altare di Maria e col consenso del direttore spi¬rituale, di voler imitare, per quanto lo permettono le forze, Luigi Comollo (3).
Non perché non vi fossero altri esempi di giovani santi; ma perché quello era l´esemplare principalmente messo loro dinnanzi da Don Bosco per modellarvi la vita secondo il suo concetto. La breve bio¬grafia del Comollo, dettata dal Santo suo amico nel 1844, e rifusa per il gran pubblico nel 1854, correva per le mani dei suoi giova¬netti, che vi attingevano, senz´accorgersi, lo spirito del loro Maestro. Cosa singolare: ho tra le mani precisamente la copia del libro, edizione 1844, posseduta da uno dei Soci, Durando Celestino, che vi ha scritto sopra il suo nome! Nello studio particolare che ho premesso all´edi-zione di quella Vita, ho appunto voluto dimostrare che Luigi Comollo
e Don Bosco, studenti e seminaristi, si venivano reciprocamente for¬mando in uno spirito comune, che rimase in Don Bosco lo spirito suo proprio. Comollo fu amico di Giovanni Bosco per la medesimezza d´animo che sta a ragion prima d´ogni vera amicizia, soprattutto .se sia spiritualmente alta: il Giovanni Bosco trovò in Comollo un altro se stesso, e, scrivendo di lui, scrisse, senza saperlo, anche di sè. Per questo la figura del Comollo, disegnata nel piccolo primo libro del Santo Maestro, riusciva pei giovanetti la più prossima ed imitabile nell´attuazione di ciò che Don Bosco insinuava alle anime loro. Se la salesianità si rivela in germe nel Don Bosco giovane che si rispecchia
(i) Purtroppo è un documento trascurato dagli studiosi di Don Bosco educa-tore ed anche di Don Bosco e Salesiano a. I Pedagogisti, come quelli che (anche per la laurea) si fissano sulla Pedagogia di Don Bosco, ignorano queste pagine,
o non osano valersene per tema di uscire dalla Pedagogia ed entrare nella reli-gione: come se la Pedagogia di Don Bosco fosse altro che religione in atto!
(2) Cfr. sopra, pag. 447.
(3) Cfr. sopra, pag• 448.

454
in Comollo, ognun vede quanto di salesiano già dovesse vivere nei Soci della Compagnia_
L´imitazione del Comollo è tradotta, con un .« onde ci obbli¬ghiamo », in un « tenor di vita » di cui si fissano i termini: « Osservare rigorosamente le regole della Casa; edificare i compagni, ammonen¬doli caritatevolmente ed eccitandoli al bene colle parole, ma molto più col buon esempio; occupare esattamente il tempo». Singolari obbligazioni, che, per sè sole, quasi ci stornerebbero dal comune concetto della vita divota, se non vi fosse il proposito dell´azione edificante e dell´apostolato caritativo e zelante per il bene.
Ma per Don Bosco il primo comandamento della vita santa è l´osservanza rigorosa del dovere e delle regole che lo dirigono, e, per i giovani (del resto, per ogni anima che intende rettamente la vita spirituale), la fuga dell´ozio e l´occupare esattamente il tempo. Non senza ragione ci siamo estesi nel lumeggiare codesta virtù del Savio, de¬dicandovi nel Libro Secondo un intero lungo capitolo, che mostra in lui quel « tenor di vita... oltre cui non si può andare » (Cap. VIII) (I).
Il secondo, ch´è la prova dell´agilità e attività spirituale, cioè della vera divozione e del fervore, è l´apostolato della parola e, prima, del¬l´esempio: l´edificazione spontanea ed esemplare, e l´edificazione attiva e costruttiva. Così Don Bosco, al suo alunno diletto che vuoi farsi santo, indie:. innanzi tutto di adoperarsi a far buoni i suoi compagni, e non occorre qui richiamare quanto s´è detto dello spirito e del¬l´azione d´apostolato del nostro giovane Servo di Dio, e come codesto impulso all´azione conquistatrice derivi dalla più alta perfezione del¬l´amore verso Dio (z).
Leggendo il Comollo, si scorge senz´altro esser_ stati questi i car¬dini della sua vita di giovane che si studia di rendersi atto alla sua vocazione. E qui si riflette il pensiero di Don Rua, quando di¬chiarava che l´origine e lo scopo della Compagnia si dovevano ricono¬scere nell´amore per l´obbedienza e nello zelo per l´osservanza delle regole, sì che « l´istituzione della Compagnia fu ispirata primamente dal desiderio di veder osservate da tutti le regole della Casa » (3).
o o o
Per assicurarsi la perseveranza in tale Tenor di vita, il nostro do¬cumento propone le ai regole che formano il Regolamento, che può dirsi piuttosto una regola di condotta che non uno statuto o un co
(i) Cfr. lib. II, cap. IV: La vita del dovere. (z) Cfr. sopra, lib. III, cap. II e III. (3) Cfr. sopra, pag. 448.

‘.--h 455
dice. Anche i Regolamenti che Don Bosco dettò per le sue Case hanno questo stile: giacché per lui le regole dovevano essere, più che tutto, mezzi educativi. Basterà riassumerne il contenuto, per vedervi l´ele¬vatezza dello spirito che le informa, e l´impronta, la compenetrazione, e cioè l´espressione pratica delle idee del Maestro.
«A regola primaria » sta « la rigorosa ubbidienza ai superiori, con una illimitata confidenza », cosi come « la prima e speciale occupa¬zione è l´adempimento dei proprii doveri (Reg. i-a). È il tono fami¬liare della disciplina amorevole, ispirata alla confidenza. Quel tono include anche la bontà, il gran segreto, il più vero segreto di Don Bosco: « la carità reciproca unirà i nostri animi e ci farà amare indi¬stintamente i nostri fratelli, i quali con dolcezza ammoniremo, quando apparisce utile una correzione » (Reg. 3). Non è già questa, fin d´ora, la formola vitale della pedagogia_di Don Bosco ? Non vi vediamo dise¬gnato il Savio salesiano?
La vita della Compagnia si alimenta di collaborazione spirituale, vi concorrono le comuni conferenze, dove « si tratteranno i pro¬gressi della Compagnia nella divozione e nella virtù » (Reg. 4), e vi ha parte anche l´ammonirsi « separatamente » l´un l´altro di ciò che può esservi di personale (Reg. 5): è una lega di amici Spirituali che fa « evitare fra loro (fra noi) qualunque minimo dispiacere », mentre di¬spone a sopportare con pazienza i compagni e le altre persone mo¬leste (Reg. 6): esercita cioè un ministero di bontà sociale. Sembra di leggere qualcuna delle Raccomandazioni lasciate da Don Bosco nel suo Testamento spirituale.
La vita di pietà è qui concepita e ordinata nello stile di Don Bosco: pochi obblighi, con pratiche volontarie e costanti. Il piccolo legisla¬tore tien conto della vita del dovere e della libertà personale nel per¬fezionamento e nelle imprese del bene: non fissa perciò alcuna pre¬ghiera, « giacché il tempo che rimane dopo compiuto il dovere no¬stro, dev´essere consacrato a quello scopo che parrà più utile all´anima nostra » (Reg. 7). Le poche pratiche ammesse fanno parte del regime religioso inculcato da Don Bosco e vivente nella Casa, e non sono che l´affermazione del proposito di eseguirle con costanza e regolarità: essere cioè nella pratica cristiana gli osservanti integrali del programma spirituale del Santo Maestro. Invero « la frequenza dei Sacramenti, quanto più sovente ci sarà permesso » è uno dei principii vitali della concezione di lui, che compare fin dalle pagine del Giovane Provve¬duto, e può dirsi, in relazione ai tempi, cosa tutta propria del suo pen¬siero educativo e spirituale. Parimenti il proporsi la Comunione «in tutte le domeniche e feste di precetto, e nelle novene e solennità di Maria SS. e dei santi protettori dell´Oratorio » (Reg. 8), fissa in iscritto

456
ciò che Don Bosco faceva normalmente praticare ai giovani suoi più capaci di una vita buona e divota; quello che il Savio stesso praticò di regola, inserendovi, colla guida del suo Direttore, una frequenza sempre maggiore, fino alla pratica quotidiana. Unico giorno in più, distinto e determinato, il giovedì, per il suo significato storicamente eucaristico (i).
Gli articoli che seguono sono come altrettanti riflessi della vita vissuta dal Savio e, bisogna dirlo, poichè n´abbiamo le prove, anche dai giovani a lui somiglianti, che formavano quella prima società di futuri salesiani. Raccomandare. ogni giorno a Maria, specialmente nel dire il santo Rosario, la Società, per la grazia della perseveranza: pio senso di socialità spirituale (Reg. 9); consacrare in ogni sabato qualche pratica speciale in onore di Maria Immacolata (Reg. io), come appunto è confermato del nostro santino e suoi confratelli nelle testimonianze (z); usare un contegno viemaggiormente edifi-cante nella preghiera, nelle devote letture, durante i divini Uffizi,
nello studio e nella scuola (Reg. ch´è quel tenor di vita a cui si
obbligano per principio; custodire colla massima gelosia (singolare espressione!) la santa parola di Dio, e riandarne le verità ascoltate (Reg. 12), come esattamente fu detto da tutti e da Don Bosco (Capo VIII) per il Savio stesso; evitare la perdita di tempo, per assicurar l´anima dalle tentazioni insinuate dall´ozio » epperciò (la parola è sua) dopo soddisfatti gli obblighi del dovere, consacrar le ore libere in utili occupazioni, come le letture divote e le preghiere (Reg. 13-14): tutto questo trapassa dalla vita eroica del Savio nella regola della Società, e chi ci ha seguiti nel nostro studio, fors´anche troppo mi-nuto, della forma di santità che fu nel santo alunno l´opera della dire¬zione di Don Bosco, vede ad ogni spunto ricomparirne i segni.
Anche nei particolari della condotta esterna si avvera il medesimo, col medesimo valore di riflesso tanto della vita personale quanto della scuola che la informa. Per non dire della ricreazione « voluta o
(i) Uno spoglio dei discorsi e dei fatti attinenti alla prassi della Comunione frequente, quali ci offrono le Mem. Biogr. e gli scritti del Santo Educatore, spe¬cialmente le Vite dettate da lui, ci farebbe vedere quanto la regola del Savio sia stata propria della tradizione salesiana creata -da Don Bosco pei suoi figli sa¬lesiani e pei giovani accolti nelle sue Case. Ne lascio il campo ad altri, raccoman¬dandolo vivamente. Ma non è superfluo il notare che, nella Regola Salesiana del 1858 (la prima forma, presentata a Pio IX), si parla soltanto di frequenza ebdo¬madaria » (Mem. Biogr., V, 94o): quella del 1864 raccomanda ai chierici e fratelli coadiutori la Comunione » almeno una volta per settimana *: s´intende, oltre la ebdomadaria o festiva, e vi è indicato il giovedì. Cfr. vol. VII, 883.
(z) Ricordo l´importante deposizione del Cagliero, a pag. 289 del Somm., già citata altrove.

457
almeno permessa » a tempo dato (e noi sappiamo quale uso ne fecero i soci della Compagnia), ecco che la confidenza, già messa accanto al¬l´obbedienza (Reg. i), diviene qui l´apertura colla quale i soci si stu¬diano di « manifestare ai superiori qualunque cosa possa giovare alla nostra morale condotta » (Reg. 16): uno dei fattori essenziali dell´edu¬cazione nell´idea di Don Bosco, ma non meno, ed è giusta analogia, uno dei principii vitali d´ogni formazione spirituale (1), che nell´uno e nell´altro senso è compreso e voluto dal Savio. Ci si sente l´anima del religioso di vocazione. E come tale, egli giunge ad una norma che davvero è tutta cosa dello spirito religioso portato alla perfezione. La regola 17 inculca di « far gran risparmio di quei permessi, che ci vengono largiti dalla bontà dei nostri superiori, imperciocchè una delle nostre mire speciali è un´esatta osservanza delle regole della Casa, troppo spesso offese dall´abuso di codesti permessi ». Chiunque abbia letto un direttorio ascetico, o conosca le vite dei Santi reli¬giosi (a), sa quanto valore abbia codesta norma per l´osservanza rego-lare. E il Savio, non ancora religioso di professione, ma già religioso di spirito, vi perviene e ne ha dato esempio fino all´eroismo (3).
Il quale eroismo ci è noto a qual punto fosse portato in fatto di mortificazione e temperanza: il « contentarsi degli apprestamenti di
tavola » che fu una massima delle più inculcate da Don Bosco, qui forma uno degli articoli (Reg. 18) della piccola regola, aggiungendovi il proposito di stornare anche gli altri dal lamentarsene.
Tutte codeste osservanze fanno vedere che quei buoni Soci s´im¬pegnavano ad un tenor di vita, a cui non mancava che la pratica for
male dei consigli evangelici per essere una piccola congregazione.
Noi sappiamo dal Cagliero che « al tempo del Savio vi era uno slancio nei giovani più buoni di esercitarsi nella virtù in modo straordina
rio: come fare una mortificazione al sabato, usare piccoli cilizi al brac
cio, astenersi dalla frutta, pregare con speciale compostezza: con la santa obbedienza praticavano specialmente la castità e la povertà,
facendone voto temporaneo e secondo la portata dell´età nostra. Tra questi era il piccolo Domenico, sempre dei più animati e dei primi
(i) Sono frequentissimi nel Santo nostro Fondatore i richiami alla confidenza coi Superiori. Non è di questo luogo l´insistervi e documentarlo.
(2) Cfr. p. es. S. Francesco di Sales, Lett. Spir., XI, 6-81: « C´est déjà un mauvais mot que celui de permission et licene panni l´esprit de perfection ». E seguita con gravi sentenze, specialmente in fatto di povertà e vita comune. S. Luigi non volle mai eccezioni nè particolarità, e volle vivere con tutti e come tutti, fino allo scrupolo: la sola distinzione fu quella di preferire e ottenere le cose peggiori e disadatte.
(3) Somm.: Melica, 264; Cerruti, 271; Bonetti, Declarat. n. 8, pag. 469. Luo¬ghi già citati altrove, e che si riferiscono anche alla materia della Reg. i8.

458
a praticare i consigli evangelici » (i). Il far parte di quella Società rivestiva pertanto un carattere spirituale e solenne, che vien signifi¬cato dalle norme stabilite per l´accettazione e l´ammissione. Chi desi¬dera entrarvi deve anzitutto esser confessato e comunicato, e chr saggio di sè per una settimana di prova: leggere quelle regole e « prometterne esatta osservanza a Dio e a Maria SS. Immacolata ». È quasi un voto (Reg. 19). Nel giorno dell´arninissione tutti « i fratelli » si accosteranno alla Comunione, pregando di accordare al nuovo ascritto « le virtù della perseveranza, dell´obbedienza, il vero amor di Dio » (Reg. ao).
La patrona e titolare della Società è l´Immacolata Concezione: i soci ne porteranno la medaglia. Un periodo formato di due serie di concetti, raccoglie insieme il carattere che la divozione verso Maria deve avere perchè i Soci abbiano a riuscire quali intende formarli la collaborazione spirituale della Compagnia. La divozione, nel pen¬siero di Don Bosco, non è staccata dalla vita, ma deve compenetrarla, somministrando le energie morali per la pratica del bene, per sè e verso il prossimo. « Una sincera, filiale, illimitata fiducia in Maria, una tenerezza singolare verso di Lei, e una divozione costante, ci renderanno superiori ad ogni ostacolo, tenaci nelle risoluzioni, rigidi verso di noi, amorevoli col nostro prossimo, ed esatti in tutto (Reg. ai). Per ricordarsene e riaffermare il proposito, i soci scrivono i nomi di Gesù e di Maria « prima nel cuore e" nella mente, poi sui libri e sopra gli oggetti che possono cadere sott´occhio ». È la sigla della Società.
Tale il piccolo codice di sostanziosa pietà e di fervida devozione mariana, prodotto dalla mente e dal cuore del piccolo grande apo¬stolo. Se anche altri vi ha collaborato, e non sappiamo in qual punto e misura vi abbia messo mano, lo spirito che vi aleggia è tutto del Savio, perchè esso è lo spirito di Don Bosco, che, senza escludere che altri, gli altri, ne siano partecipi, vive principalmente e tipica¬mente in lui. A Don Bosco vuole la clausola del documento che sian sottoposte quelle regole, perchè le esamini e ne esprima il giudizio, e v´introduca quelle modificazioni che parranno convenienti: profes¬sandosi tutti interamente dipendenti dalla sua volontà.
E termina perorando con una invocazione a Maria. La breve e pia letteratura di quel tratto esprime, tra le benedizioni invocate, la fede nel suo patrocinio per superare le procelle e le lotte della vita, per riuscire quali sono nel loro proposito.: ma significa pure che in quelle anime palpita l´aspirazione al ministero e all´apostolato sacerdotale (2).
(i) Somm., Cagliero, 289. Cfr. sopra, pag. 455 e 452.
(z) a E se Dio ci concederà grazia e vita per servirlo nel sacerdotal Ministero, noi ci adopreremo per farlo col massimo zelo, ecc, n. Ediz. /a, pag. 8z.

459
o o o
Don Bosco non poteva che approvare quel programma di vita santa, e non toccò neppure una parola, limitandosi ad apporvi qual¬che chiarimento: che le promesse non avessero forza di voto e non ob¬bligassero sotto pena di colpa veruna; che nelle conferenze si stabilisse qualche opera di carità esterna, come la nettezza della chiesa o l´assi¬stenza e il catechismo a qualche fanciullo ignorante; che si ripartis¬sero i giorni della settimana, in modo che ogni giorno vi fossero alcune comunioni; non si aggiungessero pratiche religiose senza per¬messo dei superiori; che lo scopo fondamentale fosse promuovere la divozione verso Maria Immacolata e verso il SS. Sacramento. E prima d´accettare qualcuno, gli si facesse leggere la Vita di Luigi Co-mollo.
Dove, oltre al prevenire gli scrupoli di quei fervorosi alunni, il Maestro dirigeva, nel consueto suo stile, l´azione loro ad opere con¬crete: la cura della Casa di Dio, e la carità spirituale dell´istruire gli ignoranti, e provvedeva a rimediare a quell´inconveniente, che altrove s´è ricordato, del giorno senza comunioni, accaduto appunto in quel maggio che precedette la professione della Compagnia: e l´averlo prescritto egli in aggiunta alle Regole, dimostra che non per quello nè a causa di quello era sorta l´istituzione, come fu detto da qualche teste (i): parimenti l´insistere perchè lo scopo fondamentale di essa sia la propaganda delle due divozioni capi-talmente sue, sta a provare, senza disapprovare l´altra bella intenzione data come primaria da Don Rua, che questa non era se non un mezzo e non un fine dell´istitu¬zione. L´obbligo, o quasi, di far leggere la Vita di Comollo era ovvia¬mente un dovere pratico per chi intendeva d´imitarlo.
E piace notare che, se nella stesura delle regole affiora ad ogni ar¬ticolo lo spirito del salesiano, qui, nelle poche postille aggiunte, si ri
specchia la vita dello stesso Savio: giacché´ la cura dei giovanetti igno
ranti, nè solo del Catechismo, e le opere di carità esterna sono uno dei meriti di lui, e l´ordinare poi il turno delle´ Comunioni fu cosa tanto
sua, che presso qualche testimonio fu appunto inteso come causa e scopo della Compagnia, mentre vediamo che nelle regole da lui scritte non c´entra ed è un´aggiunta del Direttore.
(i) Somm., Barberis, 7o. Cfr. anche Cagliero, ibid., r96 e 247. — Cfr. sopra, pag. 446, n. i.

CAPITOLO III
Il Savio nella Compagnia.
Di quell´istituzione Don Bosco si compiace e per il bene a cui egli l´ha fatta servire, e per le prove di superiore virtù che il suo diletto santino vi ha dispiegate, e per il visibile accrescersi di santità che con quell´opera si produsse in lui. Egli destina un altro capitolo,
a spiegarne la vita, segnandone il carattere sociale d´una colleganza di amicizie spirituali, che hanno per iscopo iI profitto personale e l´apostolato dell´esempio e dell´azione. Il connettere, ch´egli fa, la storia delle due amicizie più profonde avute dal Savio col Gavio e col Massaglia, con la descrizione delle funzioni della Compagnia, non è una qualsiasi trovata di scrittore; bensì un compimento del con¬cetto da cui parte per far comprendere la tipica struttura e consi¬stenza della divota e operosa associazione. Quei che vi appartengono sono tutti amici intimi l´un dell´altro, amici unanimi che cospirano, nella loro segreta connivenza, al bene che si sono proposto.
Di quelle due amicizie, che nella storia personale del piccolo Santo hanno avuto una parte vitale, e spiritualmente un´influenza eviden¬tissima, il Santo compone due quadri, differenti di misura e di figura, ma d´una medesima tonalità, ed è ben naturale che lo faccia, perchè il suo santo non dev´essere un´astrazione, ma la realtà vivente d´una persona umana, che vive anche del cuore. Santi senza cuore non ce n´è. Ma non dobbiamo, in questo svolgersi di pagine, lasciar per non detto che poi i capitoli susseguenti hanno ad essere compresi nel quadro grandioso del terzo - momento spirituale, determinato dalla fondazione della Compagnia, e come quei nove mesi, nei quali si avve¬rano i fatti ivi ricordati, ne sono l´ultima e più luminosa espressione.
Quella che abbiamo altrove veduto essere la prerogativa del tipo umano nel Savio, la simpatia (i), gli attirava l´amicizia di tutti, e per
(i) Cfr. lib. I, cap. I; lib. III, cap. III; lib. IV, cap. I.

461
lo meno il rispetto. Ed egli « sapeva passarsela bene con tutti ». Co¬desta duttilità di animo e di maniere, lo faceva atto a conciliarsi, a farsi amici anche quelli che, veramente, discordavano da lui nel tipo morale, ed egli vi intendeva per amor di bene, « per far prova di gua¬dagnarli al Signore ». Su questa sua quasi innata virtù faceva assegna¬mento Don Bosco, fin dai primi mesi che lo ebbe con sè. Il Roda, che entrò all´Oratorio poco dopo il Savio, attestò apertamente che il buon Padre gli aveva messo accanito fin dai primi giorni il santo gio¬vanetto, e questi era riuscito, con le buone maniere -e i garbati suggeri¬menti, a rimutarlo da quel ch´egli era, e avviarlo a vita da cristiano (i). E non fu il solo, come si è spiegato ampiamente, parlando dell´apo¬stolato di lui. Qui la Vita richiama, come a prova del bene fatto nel¬l´ultimo periodo, il modo ch´egli teneva coi giovani « alquanto di¬scoli » (Cagliero li chiamò « più discoletti »): « egli approfittava della ricreazione, dei trastulli, dei discorsi anche indifferenti, per trarne vantaggio spirituale. A vederlo in certe ore, si sarebbe detto che quelli fossero gli amici preferiti ». Non era, l´abbiam già detto, un aposto¬lato pesante e noioso. Non il tono del censore e del predicatore mo-ralista, ma l´amico gentile che faceva accettare l´idea buona senz´ad-darsene, e conduceva al buono per compiacerlo. E, per quanto è del tempo, possiamo collocarvi la conversione delle idee, se non della condotta, del Durando, entrato all´Oratorio a fine d´aprile del 1856, con tutt´altra idea che di farsi prete, che nell´amicizia col piccolo apostolo trovò l´orientamento della sua vocazione, e fu presto asso¬ciato egli stesso alla Compagnia, e possediamo ancora la copia del Comollo, fattagli leggere in quella circostanza.
« Tuttavia, prosegue la Vita, quelli che erano inscritti nella So¬cietà dell´Immacolata Concezione erano i suoi amici particolari ». Pochi sono i nomi espressamente ricordati dai testi: Massaglia, Rua,
· Bonetti, Bongiovanni, Durando, Cagliero (2): ma a quelli vogliono aggiungersi parecchi che lo dicono di se stesso, come il Piano, l´An¬fossi, Savio Angelo, Reano, Vaschetti, Marcellino, e i tre: Ballesio, Melica, Cerruti (3): del resto, anche se non così nominati, si possono conoscere rileggendo la serie dei primi che formarono la Congre¬gazione (i).
(i) Somm., Roda, 2I-22. Cfr. lib. III, cap. III.
(2) Somm., Francesia, 41; Cerruti, 54; Don. Rua, 261. L´enumerazione non è ,uguale presso i singoli testi, e perfino lasciano fuori nientemeno che il. Cagliero. Solo il Francesia non c´era.
(3) Somm., passim., di Savio Angelo, Reano, Vaschetti, Marcellino, si apprende dai documenti più volte citati. Ma Ballesio, Melica, Cerruti vi entrarono più tardi.
(4) Mem. Biogr., VI, 335.

462
o o o
Tra questi, e per mezzo di questi si svolgeva la vita spirituale e quella esterna della Società. Era cioè un´attiva comunicazione degli spiriti nei colloqui e nelle conferenze collettive, e negli esercizi comuni di cristiana pietà; ed era l´apostolato tra i compagni, vera missione impostasi da quei lavoratori del bene. Le lettere del Savio e del Mas¬saglia ci fanno travedere quale poteva essere lo scambio delle idee nelle, conversazioni più intime, e come il fervore dell´uno si addizio¬nasse col fervore dell´altro per accendere la fiamma dell´amor di Dio e rischiarare il cammino della perfezione. Monitori vicendevoli, si edificavano a vicenda. Un teste riferiva come udito da Don Bosco che la Compagnia « produceva buoni frutti specialmente nella forma-zione spirituale di quelli che aspiravano al sacerdozio » e allora eran
tutti (x).
Il Santo Scrittore si sofferma particolarmente sul lavoro delle con
ferenze. La regola quarta ne stabiliva una per settimana, dove si do¬vevano trattare «i progressi della Compagnia nella divozione e nella virtù ». In tali riunioni, si rivelava la finezza del suo discernimento ed equilibrio spirituale. L´umiltà che « accompagnava ogni passo della sua vita, era così abituale che molte volte non era avvertita la sua pre¬senza nelle adunanze e convegni della Compagnia » (2). Ma « quando trattavisi di far qualche cosa che potesse ridondare ad onore e gloria di Dio e a bene spirituale dei compagni, il Savio non era mai l´ultimo a dare il consenso d´approvazione. A tal uopo parlava in modo che pareva un dottorino: cosicché le sue parole e le sue proposte, con grande utilità- dei compagni e di tutto l´Oratorio, venivano sempre dall´intera conferenza approvate » (3). Così scriveva il Bonetti, e la pagina della Vita riassumendo dice: «i1 Savio era uno dei più ani¬mati, e si può- dire che in queste conferenze la faceva da dottore ». Qui è detto di che si trattava: la celebrazione delle novene delle mag¬giori solennità; la ripartizione delle Comunioni nei giorni della setti¬mana; il lavoro di assistenza morale ai compagni.
O 0 o
Quest´apostolato della Compagnia, non segnato esplicitamente nelle regole, ma implicito nella seconda delle tre obbligazioni fondamen
(r) Somm., Branda, 6o.
(z) Somm., Cagliero, 3o8. Egli soggiunge: «Fosso attestarlo come testimonio di presenza*.
(3) Somm., Declar. n. 9: Sonetti Giovanni, pag. 471.

463
tali, era invece il compito più geloso e più ferace di bene ch´essa adem¬piva nel piccolo mondo dell´Oratorio. Don Bosco insiste a spiegarne la forma, perchè esso era vitalmente l´attuazione del suo principio pedagogico dell´apostolato dei giovani tra i giovani. Dov´egli non poteva giungere, dove la parola compagnevole poteva scendere me¬glio che quella dell´autorità per quanto paterna, dov´era duopo d´una presenza ai particolari episodi della vita spicciola, il Santo Educatore faceva operare i suoi collaboratori, futuri educatori ancor essi, e indi¬cava a loro e destinava quei che avevano bisogno di quell´assistenza. Il caso del Roda è tipico, ma è anche l´indice. di una pratica educativa, che Don Bosco seguì vastamente. Egli ne parla come d´una delle consuetudini dell´Oratorio, nel Capo II del Magone, e l´esito felicis¬simo si dimostra nella stupenda riuscita di quel monello santo.
Anche non indicati dal Maestro, la Compagnia sapeva trovare da sè i bisognosi di assistenza, e non era difficile distinguere i discoletti e i meno disposti a far bene: e su quelli si fissava l´interesse di quei bravi confratelli. Nelle conferenze, che lo scrittore ha cura di notare ch´ « erano assistite e regolate dagli stessi giovani » (n´era presidente il eh. Rua nella sua qualità di compagno anziano, non ancora di su¬periore), si ripartivano non solo le opere di pietà, ma « si assegnavano a vicenda quei giovani che avevano bisogno di assistenza morale, e ciascuno lo faceva suo cliente (questo era il termine, e Don Bosco lo sottolinea), protetto, e adoperavano tutti i mezzi che suggerisce la carità cristiana per avviarlo alla virtù »., Il nostro santino, nel quale il progredire del fervore diveniva bisogno d´azione, e aveva per tale impulso dato opera alla Compagnia, era dei più intraprendenti e più laboriosi. Del modo di fare, come della scelta delle occasioni, dice lo stesso Don Bosco, dedicando a ciò l´intero Capo XI della Vita, e si è detto altrove in queste pagine, commentando il suo istinto di con¬quista, destato in lui da Don Bosco con la grande parola che gli rive¬lava il mezzo primo di farsi santi: « adoperarsi per guadagnare anime a Dio ».
Ma coll´istituzione della Compagnia il suo lavoro aveva preso una direzione, e ce lo fa conoscere il Durando in un breve scritto, dove dice: « di tutto il tempo ch´egli aveva di ricreazione la maggior parte l´occupava nel patronato dei clienti, che gli affidava la Compagnia dell´immacolata Concezione, le cui regole egli puntualmente osser¬vava » (i). Quella era divenuta un´occupazione predominante, che prendeva tutto il tempo disponibile.
(i) Somm., tit. XXI, De miraculis post obitum. — Relazioni o dichiarazioni, ecc.: pag. 4z6: Durando Celestino, Notizie intorno all´egregio giovane Savio Domenico.

464
Il meccanismo di quel patronato riusciva utile anche là dove non era propriamente opera di conversione morale. Il Bongiovanni ci narra un fatto singolare, in cui risplende l´intraprendenza e l´effi¬cacia dello zelo del suo amico. « Era la vigilia del S. Natale. Don Bosco aveva già più volte manifestato il vivissimo desiderio di vedere tutti i giovani della Casa accostarsi alla Santa Confessione e Comu¬nione in una qualche solennità dell´Oratorio, consolazione che da tempo non aveva più provata. Savio in tal giorno credette esser giunta l´opportunità di compiere la giustissima e santa brama del suo ama¬tissimo Direttore spirituale, e ne fece parola con un nostro confra¬tello, che ne parlò in conferenza. Ricusò egli di apparire autore e promotore di sì bella idea, desiderando che si vedesse bensì risalire a Dio la gloria, ma fosse nascosta l´opera sua agli uomini (i). Detto fatto: la proposta accolta a pluralità di voti eccita un generale interesse ad eseguire il progetto. I nomi dei giovani della Casa furono divisi in tante liste, e queste affidate ad una ad una ai singoli confratelli, che dovevano poi incaricarsi ciascuno per gl´inscritti a lui raccomandati; e noi lo vedemmo in quella sera spiegare uno zelo così attivo per gua¬dagnare i suoi, che il suo nobile esempio fu per noi la più efficace, la più energica spinta ad animarci quando rallentava in noi l´attività, e dobbiamo certamente attribuirlo all´opera di lui, se fu in quella sera, e sulla domane ancora, copiosissima la messe » (2).
(I) Tra l´altro: non avrà fatto altrettanto per la fondazione della Compagnia ?
(2) Somm., loc. cit., pag. 48o-81. La facoltà di comunione alla Messa di mez-zanotte del Natale nella Chiesa dell´Oratorio, fu accordata dalla S. Sede una prima volta il 16 dicembre 5852 ad triennium, e il 19 dic. 1856 per .un altro triennio. Il fatto deve dunque collocarsi nel Natale del 5856. Cfr. Mem. Biogr., IV, 531; V, 571.

CAPITOLO IV
I due amici.
Tra quei confratelli, che per il nostro egro santino sono gli amici particolari, due sono celebrati da Don Bosco come più intimi e più prossimi a lui nella santità: il Gavio e il Massaglia. Così sembra do¬versi pensare, benchè il Santo Scrittore lasci intendere che altri vi furono « che trattarono molto con lui », dei quali, « essendo ancor essi tra´ vivi, pare prudenza non parlare »: e cioè tali da meritare una menzione non molto dissimile da quella dei due amici trapassati: noi pensiamo, ad esempio, a Don Rua e al Cagliero.
Che però questi due, il Gavio e il Massaglia, fossero tra gli altri i più strettamente uniti coi nostro santino, e quale fosse la ragione che li avvinceva, si conosce dalle parole del Cagliero. « Socievole e amo¬revolissimo con tutti i compagni, aveva speciale amicizia e relazione cori i più buoni, massimamente con Gavio e Massaglia, pure compagni miei, notissimi nell´Oratorio per la loro spiccata pietà religiosa e amore al dovere, ed esemplarissimi nell´osservanza del regolamento, ed è con questi che sentivasi più portato ed infervorato dal desiderio di farsi
santo» (I).
Era un´amicizia tutta spirituale (2), anzi, come dicono i Maestri di
spirito, vere supernaturalis, fondata com´era e alimentata da motivi di santificazione (a). Non altro dovette essere il pensiero di Don
(I) Somm., Cagliero, 59.
(a) Somm., Piano, 293: e La sua amicizia era rigorosamente cristiana e non ispirata da motivi sensibili a.
(3) Da GUIBERT, op. eit., quaest. IV, App., § 225, pag. 205. Si vere superna-turalis est amicitia, potens esse potest auxilium in sanctificationem, propter illam fa-miliarem et liberam consuetudinem, ex qua facilius communicantur boma desideria, vel etiam corriguntur defectus. Quod praecipue fzet ubi plures ferventiores, bonis desideriis pieni, versantur inter tepidiores vel minus ferventes, et multum iuvari poterunt ex rinculo huius amicitiae. Così TANQUEREY, OP. cit., n.. 595: « L´amicizia soprannatu
rale è di ordine "assai superiore. un´intima corrispondenza di due anime che
x6 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte IL

466
Bosco nel tratteggiare con la propria semplicissima arte il primo in¬contro del piccolo santo col Gavio.
Siamo sul finir d´ottobre o ai primi di novembre del 1855. Camillo Gavio di Tortona, quindicenne, è venuto all´Oratorio per studiar belle arti all´Accademia Albertina. Viene col sussidio accordatogli dal suo Municipio in vista della sua « luminosa pietà e il suo gran genio per la pittura e la scoltura... affinché potesse venire a Torino a prose¬guire gli studi per l´arte sua ». Don Bosco l´aveva accolto, come già teneva il Tomatis, e dopo questo tenne poi il Rollini (i). Il Gavio è ancora convalescente da una grave malattia, e tra questo e il trovarsi spaesato tra giovani che non conosce, se ne sta in disparte osservando, « ma assorto in gravi pensieri ».
Pel Savio, che pei nuovi arrivati aveva una sollecitudine gentilis¬sima, quello fu senz´altro un buon motivo per avvicinarsi e confor¬tarlo. «E tenne con lui questo preciso discorso ». Domande e risposte per avviare il discorso: il nome, l´età, non conoscere nessuno, ricrearsi osservando gli altri: poi, più addentro, seguendo il buon cuore: « Da che deriva quella malinconia che ti trasparisce in volto ? Sei forse stato ammalato ? — Si, e fu una malattia di palpitazione (mal di cuore) elle mi portava quasi all´orlo della tomba, e non è ancora ben guarita ».
Ed eccoci alla rivelazione. Dice il Savio, non per ingenuità, ma con intenzione di venire a qualche parola di conforto e di fiducia: «Desideri di guarire, non è vero? — Non tanto; desidero di fare la volontà di Dio ». Quanto cammino ha dunque già fatto quest´anima d´un quindicenne, per venire ad un sentimento di così alta spiritualità, per giungere ad un tale distacco da non voler nulla sulla terra, e voler solo la volontà di Dio? Non è il santo abbandono del Teotimo, e il segno di chi, come vede S. Bernardo, è consumato nella carità? (2).
Per uno spirito come quello del Savio, già così avanzato nella ´scienza della santità, quella è la rivelazione. Egli intende in tutta la
si amano in Dio e per Dio, a fine di scambievolmente aiutarsi a perfezionar la vita divina che posseggono, ecc. ». Cfr. in FRANCESCO DI SALES, Introd., cit., p. III, cap. XIX; e cfr. sopra, lib. IV, cap. III: L´amicizia.
(i) Carlo Tornatis finì nel 1859-60; Rollini entrò all´Accademia nel 186o e fu compagno di Reffo, di Quadrone e altri insigni artisti. Reffo e Rollini si tro-varono uniti nel 1881 ad affrescare la Chiesa di S. Giov. Evangelista, che or-narono pure di bellissimi quadri d´altare, e più volte ancora lavorarono per altre chiese di Don Bosco. Chi scrive li ha conosciuti e visti lavorare.
(z) S. FRANO. n1 SALES, Teotimo, lib. IX, e. XV. S. BERNARDO, Serm. S. Andreae, § 5: Qui initiatur a timore, crucem Christi sustinet patienter; qui pro¬ficit in spe, portat libenter; qui vero consummatur in caritate, amplectitur ardenter. Cfr. TANQUEREY, op. cit., n. 492; 11. 1474-75: Effetti dell´unione trasformativa.

467
profondità il significato di quella parola del nuovo amico: « Queste parole fecero conoscere il Gavio per un giovane di non ordinaria pietà, e cagionarono nel cuor di Savio una vera consolazione ». E al¬lora, con una logica stringata e stringente, compendio di non sappiamo quanto lavoro dello spirito, esce a dire: « Chi desidera di fare la vo¬lontà di Dio, desidera di santificare se stesso: hai dunque volontà di
farti santo? ».
È semplicemente meravigliosa in un quasi fanciullo codesta scienza
da maturo maestro di spirito, che legge il moto verso la perfezione .e sente avviata la santità nel desiderio dominante dell´abbandono alla volontà di Diot Eppure è il pensiero chiaro e preciso di S. Teresa: « L´unica ambizione di colui che comincia a far orazione (e cioè si avvia pel cammino della perfezione) dev´essere di porre ogni studio nel rendere la sua volontà conforme a quella di Dio: sta in ciò la mag¬gior perfezione che si possa toccare nel cammino spirituale. Quanto più questa conformità è perfetta, tanto più si riceve dal Signore, e tanto
più avanti si è in questo cammino »
Infatti risponde il Gavio: « Questa volontà è in me grande ». Ecco
l´affine di Savio Domenico, che ha per proposito: « Voglio farmi santo ». Il nostro santino n´è raggiante di gioia, e senz´altro lo tiene per ascritto al novero di quelli che con lui lavorano a farsi santi, i suoi amici della Compagnia: « Bene, gli dice, accresceremo il numero dei nostri amici: tu sarai uno di quelli che prenderanno parte a quanto facciamo noi per farci santi ». E fin dal primo giorno, si può dire, il nome di Gavio Camillo sta scritto nel piccolo elenco dei Soci, e,
tra gli amici particolari del nostro, particolarissimo (a).
Anche in questo il caro Domenico, senza saperlo, ritrae da Don
Bosco: nel carisma del discernimento dello spirito, e nel deliberare secondo quello. Don Bosco ha fatto così con lui nel primo incontro, ed egli lo rispecchia assumendo il nuovo amico tra i più amici della
santità.
Nè meno nello stile e nello spirito del suo Maestro, ed anche più
visibilmente, è la magistrale spiegazione ch´egli dà del modo di farsi santo. «È bello, soggiunge il buon Gavio, quanto mi dici: ma io non so che cosa debba fare ». « Te lo dirò io in poche parole: Sappi che noi qui facciamo consistere la santità nello star molto allegri. Noi procureremo soltanto di evitare il peccato, come un gran nemico che
(i) Cfr. TANQUEREY, cit., n. 498. Il DE GUIBERT, cit., quaest. II, sect. 7. § 113: Conformitas, magis attive intellecta, vere potai haberi ut mensura perfectionis,
(z) È una conferma del nostro argomentare sulla data della fondazione della Compagnia. Se questa non ci fosse ancora stata, avrebbe potuto il Savio parlare cosi?

468
ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore: procureremo di adem¬piere esattamente i nostri doveri e frequentare le cose di pietà. Co¬mincia fin d´oggi a scriverti per ricordo: Servite Domino in laetitia: servite il Signore in santa allegria ».
Don Bosco non avrebbe potuto meglio compendiare in poche parole il suo programma. Pochi anni dopo, al Besucco che vuol farsi buono, cioè avviarsi per la via santa, egli proporrà il trinomio dei buoni che si formano alla sua disciplina: Allegria, studio, pietà (I): e su queste tre fila ordirà il tessuto della biografia di lui, altro campione della sua scuola.
Ma la spiegazione del piccolo maestro non fu soltanto un chiari¬mento • di programma: fu anzitutto un conforto, di cui quell´animo aveva bisogno, e un raggio di luce che ne pervase lo spirito. Squisi¬tezza di tatto, ispirata dalla carità, aveva condotto il Savio nel parlare di santità nell´allegria ad un prostrato dalle sofferenze, che voleva pur farsi santo: luminosa semplicità di cammino aveva fatto comparire sull´orizzonte la meta a cui egli aspirava. Il santo giovane sentì e com¬prese le parole, sentì e comprese la santità di chi gliele diceva, e l´a¬nima di lui si legò con quella del Savio d´un´amicizia delicata e pro¬fonda, che attingeva alle più pure sorgenti dello spirito. « Da quel giorno in -poi, dice il Santo Maestro di quelle anime, egli divenne fido amico del Savio, e costante seguace delle sue virtù ».
Purtroppo, diremmo noi, che non sappiamo dei disegni di Dio, purtroppo quella radiosa vita durò poco, e passò come un´apparizione che risplende e scompare, lasciando di sè il desiderio. « Il Gavio dimorò soltanto due mesi tra noi, e questo tempo bastò per lasciare santa rimembranza di sè presso i compagni ». Il dettato non ha il punto ammirativo, che dobbiamo supporre noi per sentire l´ammira¬zione di Don Bosco. Il fido amico e seguace del nostro piccolo santo moriva di quella malattia che aveva non bene superato dapprima e aveva portata con sè all´Oratorio, e fu il zg dicembre 1855 (a). Sul Registro degli alunni Don Bosco, accanto alla data scrisse: « Mori in odore di singolare virtù »,´ e nella Prefazione alla Vita del Savio, lo annovera tra quei « modelli di virtù » dei quali si sarebbe potuta scrivere la Vita, se quella del piccolo santo non le superasse tutte in valore e in fama. Il Savio a sua volta, venuto a vederlo ornai spirato,
(i) Vita di Francesco Besucco, cap. XVII. ,
(z) Cinque giorni innanzi (24 dicembre) era morto il Gurgo, i.l primo giovane che mori all´Oratorio. Rimangono dell´uno e dell´altro l´ordine del trasporto fu-nebre, e la Nota sul Registro degli alunni. Da che si rende evidente l´errore ma-teriale della Vita che mette la morte del Gavio al 3o dic. 1856.

469
gli dava l´ultimo saluto: « Addio, o Gavio, io sono intimamente per¬suaso che tu sia volato al cielo: perciò prepara un posto per me. Io ti sarò sempre amico: ma, finché il Signore mi lascierà in vita, pre¬gherò pel riposo dell´anima tua ». E prega e fa pregare con vive istanze e con l´esempio i condiscepoli « pel riposo dell´anima di lui », anche persuaso, com´è, che quell´anima già siA « nella gloria del cielo ». Il pregare per un defunto non si oppone a che lo si creda piamente già in Paradiso; e nel rievocare il perduto Massaglia, l´amico lo vede già beato col Gavio,-e anela a raggiungerli entrambi nella felicità del Cielo
(Cap. XIX).

CAPITOLO V
Massaglia.
Più lunghe e più intime furono le relazioni del Savio con Massa-glia » dice lo stesso Don Bosco nell´aprire il capitolo XIX che dedica a questo tema, il quale perciò stesso e per il modo ond´è trattato ap¬pare un dato capitale della vita del piccolo santo.
Ed è così. Può dirsi, senza uscir di misura e di convenienza, che quello che fu il Comollo per Don Bosco, fu il Massaglia pel Savio. In quell´intimità di due che « desiderano farsi santi », le due anime si rischiarano, si afforzano, si ravvalorano a vicenda: divengono l´una lo specchio dell´altra, in un riflesso reciproco di santità. E, sarà una pura somiglianza di caso: ma, tra i due, quello che poi rimane il santo qualificato, Don Bosco o il Savio, piange la morte immatura dell´a¬mico, e questi rimane celebrato per quanto ha condiviso della santità di lui, apparendo piuttosto seguace che non collaboratore della sua virtù.
Per il Comollo, Don. Bosco ha fatto ogni suo potere per metterne in vista il merito personale, dipingendolo come esempio a se stesso e di s´è più progredito, e riconoscendo che « quel meraviglioso com¬pagno fu la sua (mia) fortuna » (i). Per il Massaglia ha un detto che lo colloca. poco meno che all´altezza del Savio: « Se volessi scrivere i bei tratti di virtù del giovane Massaglia, dovrei ripetere in gran parte le cose dette del Savio, di cui fu fedele seguace finché visse».
L´affinità di spirito e di desiderii, che s´è vista pure nel Ga¬vio, torna qui a mettere il fondamento ad un´amicizia spirituale, che diviene medesimezza di sentire e di operare, e fa di due un´a¬nima sola.
(i) Mem. Biogr., I, 403: dalle Memorie manoscritte di Don Bosco.

47´
o O o
Giovanni Massaglia, entrato all´Oratorio insieme col Savio, era di lui maggiore di quattro anni (I), e parimente di quattro anni più avanti negli studi, facendo rettorica nel 1854-55, mentre iI Savio fa-ceva la prima e seconda grammatica: sicché vesti l´abito chiericale nell´autunno del ´55, rimanendo, come altri chierici, con Don Bo-sco. Ma, come s´è già detto, tutti formavano una sola famiglia, ed è tanto più da tenere in conto che il piccolo Savio sia l´amico più in-timo di chi è maggiore di lui, e questi si faccia seguace delle sue virtù (2).
Ciò che Don Bosco lascia intendere della vicendevole comunica¬zione spirituale tra i confratelli della Compagnia, tutti particolari amici del comune animatore di quella, e Don Rua spiegava citando i nomi di alcuni di essi (ma non il Massaglia), « coi quali manteneva cordiale amicizia, animandosi vicendevolmente alla pratica della virtù e ad esercizi di carità verso il prossimo e quello avviene in seno all´amicizia dei due santi giovani, e in misura superiore ad ogni altra. A dir vero son molto pochi i testi coevi che facciano il nome dell´amico più par¬ticolare del Savio: il Francesia, che lo dice « legato di particolare ami¬cizia col chierico Massaglia » e il Cagliero, che definisce con una pa¬rola ciò che la Vita lascia argomentare al lettore (a). Ma le pagine che leggiamo bastano da sole a darci chiara l´idea di quella vita d´amicizia, ed anche dell´elevatezza spirituale del santo amico del nostro.
Già li avvicinava, quasi chiamandoli l´un verso l´altro, l´essere en¬trati insieme all´Oratorio, e la prossimità delle piccole patrie confi
(i) Era nato a Marmorito, fraz. Romagnolo, il r° maggio 1838 e battezzato nella Vice-Cura Parrocchiale della Madonna della Neve di Marmorito. I suoi erano contadini piccoli proprietari, e dimorarono in Romagnolo fino al rgoo, quando si trasferirono a Torino. E si mostra ancora intatta la camera dove il Massaglia morì. La Vice-Cura, che già fruiva d´ogni facoltà parrocchiale, fu eretta in Parrocchia nel 1839. A quel tempo le due parrocchie di Marmorito dipende-vano dalla Vicaria di Castelnuovo, donde nel 1894 passarono alla nuova, vicaria di Aramengo.
(z) Di questa amicizia col Massaglia e di lui stesso i Processi non parlano, se non citando il nome. D. Francesia (Sontrtz., 41) ricorda l´amicizia col Massaglia B che morì presto n; D. Rua non lo menziona tra gli altri amici: e sì che tra loro avveniva precisamente ciò che ivi è detto della reciproca edificazione e collabo-razione nel bene (ibid., 261). L´Anfossi (ivi, 249) ricorda la risposta del falcone, ma non fa il nome. Il Cagliero solo (ivi 3o8) lo nomina come monitore del Sa¬vio e virtuosissimo.
(3) Somm., Francesia, 41; Cagliero, 308: q Suo monitore il virtuosissimo suo compagno Giovanni Massaglia n.

472
Danti: non occorse molto tempo, nella convivenza comune, per sa¬persi entrambi intesi alla vocazione ecclesiastica, e, come abbiam
visto nel primo colloquio col Gavio, rivelarsi animati da « vero desi¬derio di farsi santi ».
o o 0
Farsi santi per esser degni della vocazione: ecco il tema d´un breve colloquio tra loro. « Non basta, dice il piccolo Domenico all´amico, non basta il dire che vogliamo farci ecclesiastici: ma bisogna che ci adoperiamo per acquistare le virtù che a questo stato sono necessa¬rie ». Quasi par di sentire il chierico Giuseppe Burzio, che al suo assi¬stente di Seminario, il chierico Bosco Giovanni! diceva: « Io desi¬dero moltissimo di farmi prete: ma l´imbroglio sta, che prima di di¬ventar prete, bisogna ch´io diventi santo... che diventi santo: santo! » (i). Il Massaglia risponde: « È vero: ma se facciamo quello che possiamo dal canto nostro, Dio non mancherà di darci grazia e forza per me-ritarci un favore così grande, qual è di diventar ministri di G. Cri¬sto ». I due discorsi si completano come le due anime.
Ma il momento in cui quell´amicizia prende forma e consistenza, quasi assumendo la sua vita, è quello degli Esercizi Spirituali. Sono quelli del tempo pasquale del 1855: i primi ch´essi fanno all´Oratorio, e fors´anche in vita loro (2), e basta la parola del loro Direttore per credere che li fanno « con molta esemplarità ». Savio, per esempio, è entrato nel suo secondo momento. E dice al IVIassaglia: « Voglio che noi siamo veri amici, veri amici per le cose dell´anima: perciò desi¬dero che d´ora in avanti siamo l´uno monitore dell´altro in tutto ciò che può contribuire al bene spirituale. Quindi, se tu scorgerai in me qualche difetto, dimmelo tosto, affinché me ne possa emendare: op¬pure se scorgerai qualche cosa di bene che io possa fare, non mancar di suggerirmelo ». Va assegnato, nello schema dei Processi, al titolo dell´umiltà, e il Cagliero infatti diceva: « Amante delle umiliazioni, raccomandava ai compagni di far con lui l´ufficio di ammonitore » ed invero: « Suo monitore era il virtuosissimo suo compagno Giovanni
(i) Mem. Biogr., I, 510. Lo ricorda Don Bosco nella Relazione al Can. Fe¬lice Giordano, i6 aprile 1843.
(z) Non possono essere che quelli del ´55. L´anno dopo, 1856, il Massaglia, già chierico, stava ammalato a casa sua, donde non tornò più. Anche nell´ipotesi, che fosse presente, come si può pensare che quell´amicizia, che allora si dichiara, abbia atteso un anno e mezzo a studiarsi, per vivere pochi giorni? E come si accorderebbe con la vita della Compagnia, e come ci starebbero quelle due let¬tere che accennano a cose di lunga durata ?

473
Massaglia » (I). E l´amico, in bella gara di virtuosi sensi: «Lo farò volentieri per te, sebbene non ne abbisogni; ma tu lo devi fare assai più verso di me, che, come ben sai, per età, studio e scuola, mi trovo esposto a maggiori pericoli » (2). « Lasciamo, continua il Savio, i complimenti da parte, ed aiutiamoci a farci del bene per l´anima ».
Quello è il contratto formale di amicizia: voluto ed espresso nel suo essere e nei suoi fini: tra due anime che si sono conosciute, e si legano per aiutarsi a farsi del bene per l´anima, e cioè per camminare insieme nelle vie della santità (3). Essa lega insieme il giovane di di¬ciassett´anni colla prima adolescenza di tredici: ma l´età non conta,
e conta invece la maturità dello spirito e il momento raggiunto nella via di santità: lo riconosce bene il maggiore, e non ne diffida neppure il più giovane, proponendo quel vincolo spirituale. I trattati di asce¬tica più sodi e autorevoli hanno, sul punto dell´amicizia, un mondo di riserve e di precauzioni prudenziali, specialmente se si tratti di gioventù; e non è a dire che, punto per punto, non abbiano ragione: ma, quando discorrono di vera amicizia spirituale e soprannaturale, la definiscono come appunto dobbiam vedere noi quella dei nostri due giovani santi, che i trattatisti non son soliti a supporre, perché di santi come Savio finora non s´avevano esempi (4).
Don Bosco, guardingo se altri mai, e, per il suo carattere di edu¬catore, più che altri, non diffidò di tali amicizie, e vi ha dedicato due capitoli nella Vita del Savio, usando espressamente il termine di « amicizie particolari ». Questa dei due suoi alunni la riafferma in modo esplicito, e la definisce nella sua vera natura: « Da quel tempo il Savio e il Massaglia divennero veri amici, e la loro amicizia fu dure¬vole, perché fondata sulla virtù: gíacchè andavano a gara coll´esempio
e coi consigli per aiutarsi a fuggire il male e praticare il bene ». E, senz´addentrarsi nei particolari intimi della loro comunicazione, che, anche se da lui conosciuti per confidenza filiale o• per la via della di¬rezione spirituale, non credeva o non poteva mettere in luce, l´Autore si affida ai fatti in cui quell´unione di spiriti si riflette.
(i) Somm., Cagliero, 3o8.
(2) In prima edizione era detto: «Per la mia età s senza le parole « studio
e scuola » inserite nella 35 edizione. — Si noti che a quel tempo il Massaglia, non ancora chierico, era alunno della Rettorica alla scuola Picco, e aveva 17 anni.
(3) Invito a rileggere la citazione dal Da GUIBERT, nella nota a pag. 465, dove è detto dell´amicizia spirituale, e si descrive, senza saperlo, lo stile (e la necessità anche) della vita della Compagnia, fatta di amicizie spirituali.
(4) TANQUEREY, op. cit., n. 595-99; 600-6o1; 6o5-6o6. — Da S,iu1BERT, cii., quaest. IV, Append., § 223-227, pag. 20z-207. Cfr. sopra, pag.

474
o 0 o
Uno, ameno e significativo, è quello dell´andata in vacanza. Non può essere che del 1855, giacché l´anno appresso il Savio era già ri¬masto solo. A fine dell´anno scolastico, subiti gli esami, si dà ad ogni giovane licenza di andar a casa a passar le vacanze (i). Alcuni restano all´Oratorio, o per guadagnar negli studi, od anche « per attendere meglio agli esercizi di pietà ». La Compagnia era forse già iniziata. Savio e Massaglia non partono, e ne approfittano per moltiplicare i loro santi colloqui. Continua l´Autore: « Sapendo io quanto fossero ansiosamente aspettati dai parenti, e quanto essi medesimi avessero bisogno di ristorare la loro stanchezza, dissi ad ambedue: — Perché
non andate a passar qualche giorno in vacanza Essi invece di
rispondere, si misero a ridere. — Che cosa volete dirmi con questo vostro ridere? ».
E risponde per tutti e due il Savio, con un parlar figurato, dello stile consueto a Don Bosco stesso, che sine parabolis non loquebatur eis: « Noi sappiamo che i nostri parenti ci attendono con piacere: noi pure li amiamo, e ci andremmo volentieri: ma sappiamo che l´uc¬cello finché trovasi in gabbia non gode libertà, è vero; è peraltro si¬curo dal falcone. Al contrario se è fuori di gabbia, vola dove vuole, ma da un momento all´altro può cadere negli artigli di quell´uccello di rapina ». Poi, secondo le edizioni anteriori alla quinta, conti¬nuava spiegando: « La nostra gabbia è l´Oratorio: qui stiamo sicuri: se usciamo di qui, temiamo di cadere negli artigli del falcone in
fernale» (a).

L´immagine era felice, e possiam credere che non sia stata espressa
quella sola volta, e sia valsa a quei due virtuosi anche per spiegarsi cogli altri; giacchè, secondo l´Anfossi, il Savio vi ricorreva « fre
(i) Allora erano molto brevi, giacchè tra scuola ed esami si finiva a mezzo agosto, e nel settembre molti tornavano. Non mancavano del resto quelli che per circostanze speciali non potevano o non volevano andare a casa loro. Certuni re¬stavano a fare una specie di corso accelerato per guadagnare un anno: lo stesso Savio, uscito dalla In grammatica, si mise in grado, proprio in quelle vacanze del ´55, di fare insieme la 25 e la 35 in un anno (Sonim., Cagliero, 57). Si pensi poi alla paura che Don Bosco, per ragioni morali, ebbe sempre delle vacanze. C´è da metterne insieme un volume.
(z) Dove si vede che, soppresso il periodetto, nella sa ediz. ja frase ultima fu sostituita (ma con meno. congruenza) all´uccello di rapina, che colla pura allegoria s´accordava meglio. La soppressione fu probabilmente voluta dall´A. per non le¬gittimare tra i giovani l´idea antipatica che il collegio è una gabbia. Cfr. nelle Note al Testo il parallelo tra le edizioni.

`."-N 475
quentemente » (i). Don Bosco nondimeno li manda « pel bene della loro sanità » e prescrive perfino la durata della permanenza, ed essi si arrendono alla volontà di lui « soltanto per ubbidienza », salvo a restare « quei soli giorni che erano stati loro strettamente comandati a.
Tuttavia non è da credere che a far loro preferire l´Oratorio al paesello nativo fosse sola la paura del « falcone »: bensì il riflesso che al paese mancava ogni agio per attendere alle cose della devoiione. Che anzi non erano essi soli a sentire quel disagio, mentre l´Autore ci ha fatto notare che alcuni restavano all´Oratorio « per attendere meglio agli esercizi di pietà ». Si legge nelle lettere scambiatesi tra i due amici, e forse non si è lontani dal vero, pensando che fosse un sentimento comune a quelli della Compagnia, del quale sentimento il Savio fosse, se non il primo ispiratore, certamente un efficace as
sertore.
Con questi fatti, pochi ma significanti, di stati d´animo che si con
tinuano, si occupa la storia del primo anno di convivenza dei due santi amici. Il resto, che non è descritto, è compreso in quell´espressione eloquente più sopra citata, che fa pensare a cose molto alte: « Se volessi scrivere i bei tratti di virtù del giovane Massaglia, dovrei ripetere in gran parte le cose dette del Savio, di cui fu fedele seguace finché visse ». La sola differenza sarà che l´uno è seguace, ossia imitatore del suo modello, che nell´eroismo suo proprio e nelle grazie speciali di Dio attinge le virtù che si riflettono nell´unanime amico.
Quell´anno, che fu il primo della loro vita all´Oratorio, fu per il Massaglia l´ultimo del suo corso di ginnasio. Finita la Rettorica, egli volle adempiere alla sua vocazione e vestire l´abito ecclesiastico. Quelle vacanze appunto del 1855 gli valsero di preparazione spiri¬tuale, e al principiar dell´autunno, subiti in Seminario (che Don Bosco non n´aveva ancora la facoltà) gli esami per la vestizione chie¬ricale, potè vestire l´abito da prete. Così qualche teste ricorda « il chierico Massaglia a senz´altro. Naturalmente (bisogna dir così) ri¬mase con Don Bosco, come il Rua, il Cagliero, il Francesia, il Savio Angelo, già chierici allora, e, com´essi, studente e compagno di tutti gli altri figliuoli dell´Oratorio. Era un bel giovane, di buona statura e complessione forte, da far sperare vita lunga e prosperosa, oltrecchè, per l´ingegno, un´ottima riuscita negli studi (i).
(i) Somm., Anfossi, 249: t Come disse frequentemente, preferiva restare uc¬cello in gabbia senza libertà, che diventar preda del falcone infernale a.
(2) SALOTTI, op. cit., pag. 204. L´A. non cita alcuna fonte, e desume la no¬tizia dall´insieme delle circostanze.

476
o o 0
« Ma quest´abito, da lui tanto amato e rispettato, potè portarlo soltanto pochi mesi ». Tutto fu stroncato « da una costipazione, che aveva aspetto di semplice raffreddore », tanto che « non voleva nem¬meno interrompere gli studi ». Portava adunque il suo male in piedi coraggiosamente, senz´avvedersi che Ia « costipazione » diventava il male che non perdona, e che a indebolirlo contribuiva ornai anche l´applicazione intensa allo studio. I genitori, « per fargli fare una cura radicale e toglierlo dall´occasione di studiare, lo condussero a casa ».
Noi vorremmo bene che nella Vita del Savio fosse dedicata una pagina alle ore passate da lui coll´amico in colloqui, che non pote¬vano tessere se non di santi che gareggiano in perfezionarsi e in amare Iddio e la cara Madre Celeste: che ci dicesse delle sollecitudini affet¬tuose del piccolo Santo per l´amico sofferente, e ci descrivesse quel¬l´addio, che forse nel cuore dell´angelico fanciullo, così ricco -di ca¬rismi, si faceva presentire per ultimo. Noi lo-sappiamo « fedele e co¬stante nel rendere quei tratti di familiarità che, senza ledere per niente il buon costume, servono a mantenere vivi i vincoli della fraterna carità» (i). Un abbraccio tenerissimo non mancò certamente nel se-pararsi, e forse non senza una lacrima. Il libro non ne dice nulla.
Ma in compenso di questo, che possiamo pure argoméntare da quanto è detto dei due giovani e delle mirabili attitudini del cuore del nostro santino, Don Bosco ci fa sapere molto di più con l´addurre te¬stualmente le due lettere che si scrissero durante quel periodo, che fu l´ultimo della loro amicizia terrena. Leggiamole insieme, che sarà come assistere ad un colloquio di Santi.
Prima però ci consenta il lettore una non inutile premessa d´in¬dole storica. Codeste lettere sono senza data: a qual tempo apparten¬gono? Il Salotti (a) le suppone scritte nell´autunno del 1856. E ciò perché, collocando la morte del Massaglia « sul tramontare dei di¬cembre» di quell´anno (3), riporta la malattia all´estate rispettiva. Ora noi sappiamo, dai Registri Pariocchiali di Marmorito, che il Massaglia morì « il 20 del mese di maggio alle ore io pom. » l´anno del Signore 1856, e fu «sepolto il giorno zz del mese di maggio nel cimitero di S. M. della Neve » (4). Tutta quindi la cronologia riguar
(i) Somme Don Rua, z61.
(2) SALOTTI, op. cit., pag. 204.
(3) Op. cit., pag. 208.
(4) Estratto di Atto di morte. Registro a. 1856, n. 6. — Ringrazio qui, come dovrei per altre notizie, il Parroco di S. M. della Neve in Marmorito, D. Ferdi-nando Binetti, che mi comunicò i documenti,

477
dante il Massaglia dev´essere ricostruita, e noi vi ci siamo ben fon¬dati per la storia della Compagnia dell´Immacolata, così come dob
biamo quí valercene per leggere nelle lettere qualche cosa che altri non ha potuto vedervi.
Le pagine precedenti ci hanno già messo in chiaro il curriculum studiorum del giovane di Marmorito, e come gli « alcuni mesi » che soltanto potè portare l´abito chiericale, appartengono all´autunno-inverno del 1855-56: sicché il tempo della dimora in patria del Mas¬saglia, che si prolunga oltre il credere, vuol collocarsi nei mesi di poco precedenti al maggio, in cui egli mancò: poniamo da febbraio in poi, e le lettere vanno assegnate a quel periodo (non dunque nel¬l´autunno), e, se si vuol dar luogo alla lunga attesa ivi accennata, un po´ innanzi, per esempio tra marzo e aprile. Ed è cosa, come vedremo, tutt´altro che indifferente per la storia intima del nostro Savio.
o 0 o
La missiva del buon chierico rispecchia per intero l´anima sua. L´amore allo studio, il bisogno di coltivarsi nella divozione, il bisogno di poter condividerla con un fratello nello spirito, sono il tema della prima parte: la serena prospettiva dei possibili esiti del suo stato, e l´accettazione della volontà di Dio, occupa l´altra parte; e poi vengono le parole del cuore: la fiducia nell´amico santo, l´affetto che li lega al presente e, se la vita presente non duri, dovrà unirli nell´eternità.
Come suole avvenire in tal genere di malattie, il buon giovane s´illudeva di passare soltanto alcuni giorni a casa sua: tantochè non s´era portato i suoi « arnesi di scuola ». Invece la malattia andava in lungo e, nonostante le buone parole del medico, egli si sentiva peg¬giorare. « Vedremo chi ha ragione », scrive quasi a diffida. Ma non è questo che l´affligge. Dice: « Caro Domenico, io provo grande af¬flizione lungi da te e dall´Oratorio, perché qui non ho comodità di attendere agli esercizi di divozione ». Ricordiamo quanto si è detto del non voler andare in vacanza. Per il Massaglia, che abitava un po´ lontano dalla parrocchia (i), Ia difficoltà era anche maggiore. Non - che gli mancasse una direzione spirituale. Don Bosco, riferendo parole del teologo Valfrè, parroco della Matrice di Marmorito, lo
(i) Infatti la prima abitazione del Vice-Curato e poi Parroco della Madonna della Neve fu dovuta lasciare, a causa della distanza del. Romagnolo dalla chiesa (circa un chilometro), e trasferirsi nel casale più vicino (il Bricco). E il Massaglia stava al Romagnolo. Cfr. l´opuscolo Rintocchi centenari della Mad. della Neve in Marmorito, del Priore Ferdinando Binetti, 1939: Pag. 16-17.

478
dice suo « direttore spirituale nelle vacanze », e se dobbiamo supporre (non senza qualche dubbio) che iI giovane si valesse per questo del¬l´opera del santo sacerdote, e non del parroco della Madonna della Neve, ch´era il suo proprio, rimane pur sempre vero che una dire¬zione non gli mancava (i).
Ma la sua divozione, oltrecchè si alimentava del clima dell´Oratorio, nell´aria di Don Bosco, era divenuta da un anno in qua un lavoro in
(i) Don Bosco nella 35 edizione della Vita, del 1861, inserì-a questo punto una lunga nota biografica sul teologo Carlo Valfrè, ch´egli ha detto « direttore spirituale del Massaglia nelle vacanze ». C´è qualche possibilità d´inesattezza. Poi¬chè Marmorito (cfr_ sopra, pag. 471, n. i) aveva due parrocchie, e quella del Massaglia era la nuova, della Madonna della Neve (del 1839), il parroco di lui era D. Cesare Audero (t w868), fondatore della parrocchia, e sacerdote pio, ze-lantissimo e caritatevole, sotto cui sbocciò la vocazione del nostro giovane, e che l´assistette nella sua prematura morte. In quegli anni, dal 1851 al 186r, era Par¬roco della chiesa Matrice D. Carlo Valfredo (in dialetto troncato in Valfrè) di Sangano, del quale appunto Don Bosco dà il cenno biografico. Un D. Stefano Valfrè fu parroco della Madonna della Neve dal 1868 al 1878, cioè ad una data che non ci riguarda. La Nota del libro appare trascritta senz´altro da una rela-zione avuta da qualche parrocchiano della Matrice: dice infatti: « Nel tempo che noi avevamo maggior bisogno di lui n; e più sotto: «ma Siamo tutti un poco con¬solati, ecc. n. Noi possiamo accettare la notizia che Don. Bosco ci dà, dicendo il Valfrè (Valfredo) « direttore spirituale » del Massaglia. Ma, con ogni rispetto, ci sembra un po´ singolare che un giovane quale il nostro, poi chierico, si tenesse così in- disparte dal proprio parroco, proprio nel tempo delle vacanze, quando cioè, per l´esser suo, anche agli occhi altrui, potevano apparire le relazioni che aveva con esso, che l´aveva indirizzato all´Oratorio, e l´aveva, secondo il costume, vestito chierico: egli cioè mostrava di preferire al suo il parroco dell´altra parroc¬chia. Mi sia permesso di credere ad una confusione di persone. Nella 15 ediz. stava detto: « Egli ebbe tempo, scrive il suo parroco, ecc. n. Nella 35 c´è: e Egli ebbe tempo, scriveva iI Teologo Valfrè, direttore spirituale nelle vacanze, ecc. ». Don Bosco non è solito nominare senza necessità i viventi: una volta morto il Valfrè nel 1861, può aver creduto che esso e non I´Audero, fosse il parroco del Massagfia, ed inserì al posto della primitiva espressione, quel nome e quella de¬finizione, tanto più volentieri, perchè il Valfredo era un prete di quelli che rispon¬devano al concetto suo. — L´Atto di morte, da noi citato più sopra, mostra chia¬ramente che il Massaglia fu assistito da D. Cesare Audero. Non c´era davvero bisogno (e non era lecito) che un parroco venisse a ministrare i Sacramenti nella parrocchia d´un altro. Ecco il testo: « L´anno del Signore 1856 ed alli zo deI mese di Maggio, nella Parrocchia di S. Maria della Neve, Comune di Marmorito, è stata fatta la seguente dichiarazione di decesso: II 20 del mese di Maggio alle ore io pomer. nel distretto di questa Parrocchia, in casa propria, munito dei Sacramenti di Penitenza, Viatico, ed Olio Santo, è morto Massaglia Giovanni, d´anni 18, studente, nativo di Marmorito ed ivi domiciliato, figlio del viv. Pietro, di professione contadino, domiciliato in Marmorito, e della viv. Maria n. Gares¬sio contadina, domiciliata in Marmorito. — (Firma dei testi). Il cadavere è stato sepolto il giorno zz del mese di Maggio nel cimitero di S. M. della Neve. Il Parroco: D. Cesare Audero ».

"--#, 479
due, tra lui e l´amico, che si completavano nelle cose dello spirito. Lo fa risentire il « lungi da te » e il tenero ricordo: « solo mi conforto rammentando quei giorni che noi fissavamo per accostarci insieme alla Santa Comunione ». Quel distacco, così sentito, è tuttavia addolcito dalla fiducia che « sebbene separati di corpo, nol saremo di spirito ». Se, invece che due sole lettere, avessimo un carteggio fra quei due collaboratori della santità, sarebbe un tesoro; certamente lo scambio dei pensieri santi sarebbe quasi un piccolo testo di spiritualità.
C´è nel giovane studente diciottenne ed alacre il desiderio, il bi¬sogno di studiare, ma il medico lo vieta. Ma i libri di pietà non sono articoli di studio. Ed egli prega il Savio di « andare nello studio e fare una visita da questore » ai suo cancello (i), e delle carte mano¬scritte e del Kempis, ossia De Imitatione Christi, fare un pacco solo e spedirglielo. Non cerca dunque libri scolastici, ma il solo Kem¬pis (z), ch´egli preferisce leggere in latino, « perché sebbene mi piac¬cia la traduzione (si leggeva quella del Cesari), tuttavia è sempre tra¬duzione, e non vi trovo il gusto che si prova nell´originale latino ». E per un chierico è giusto e lodevole. Del resto Io leggeva anche il Savio, giacchè il latino dell´Imitazione di Cristo tutti sanno che lo può intendere correntemente ogni discreto scolaro di grammatica specialmente se italiano. E anche questa una comunione di spiriti: leggere il medesimo libro; nel che se il chierico poteva portare un qualche aiuto all´amico meno avanzato di studi, questo probabil¬mente Io superava nel carisma dell´interpretazione ascetica. La loro non era una pietà di sole pratiche esterne: era la vera pietas, nutrita dei più alti e squisiti pensamenti della perfezione cristiana.
E la pagina si fa commovente, e si leva in alto. Quando scrive, deve essere già ben deperito di forze, se deve dirsi « stanco dal far niente » e tuttavia proibito di studiare: non può neppure permettersi una pas¬seggiata pei colli, giacché fa « molte passeggiate per la sua camera » (3).
(i) Parola usitata, non si sa perchè, nei primi regolamenti dell´Oratorio, per indicare la casella in cui si riponevano i libri o altro di pertinenza personale_
(z) Allora tutti ripetevano per convenzione il nome del Kempis come autore dei libro che si può dir divino come la Commedia di Dante. Ma quando si pub¬blicò dalla Tip. Salesiana il testo latino e, come testo di lingua, la versione ita¬liana (Bibl. Giov. Ital.), Don Bosco vi fece premettere una dissertazione del Pa¬ravia (1846) che dimostrava essere da attribuirsi a Giovanni Gersen da CavagLià..
(3) Mi scriveva il Priore di S. M. della Neve: « Se credesse di venire a ve¬dere la camera in cui morì il santo giovane, gliela potrei far visitare, e dopo ol¬tre ottant´anni nulla ha cambiato nelle sue linee essenziali n. La memoria di lui s´è mantenuta viva in quella località: giacchè un vecchio quasi centenario insegnava al medesimo D. Binetti il sito del cimitero ov´era stato deposto. Ma la tomba non c´è più.

480
Mesto, ma non sconfortato, egli pensa e scrive. « Guarirò da questa malattia ? Ritornerò a vedere i compagni ? Sarà questa per me l´ul
tima malattia ? Che che ne sia per essere di tutte queste cose, Dio
solo il sa. Panni di essere pronto a fare in tutti e tre i casi là santa ed amabile volontà di Dio ». Questa è più che accettazione passiva:
è l´indifferenza dell´anima pervenuta a perfezione, che in ogni cosa,
trista o lieta, vede la divina volontà e non desidera che di adempirla. L´analisi dello studioso potrà vedervi lo stato psicologico del vago
presentimento o del dubitare, timoroso o no, della sorte che la ma
lattia involge e nasconde: noi, a vedere un´anima di giovane, che tra il fiorire dell´età e della tempra, tra la visione dei più nobili
ideali, a diciotto anni! si sente venir meno la vita, e non teme, e non si conturba nè si rattrista, noi restiamo ammirati e commossi, come in presenza del soprannaturale.
Il seguito della lettera affolla le insistenze affettuose e confidenti: « Se hai qualche buon consiglio, procura di scrivermelo. Dimmi
come va la tua sanità: ricordati di me nelle tue preghiere, e special
mente quando fai la S. Comunione ». Poi è la tenerezza d´un santo che parla per sè e per l´amico, consacrando con l´altezza dell´ideale
supremo la vita d´un´amicizia che, fatta per lo spirito e vivente dello spirito, deve, come lo spirito, vivere in eterno: « Coraggio, amami di tutto cuore nel Signore; che se non potremo trattenerci insieme lungo tempo nella vita presente, spero che potremo un giorno vivere felici in dolce compagnia nella beata eternità».
La clausola dei saluti ricorda specialmente i confratelli della Com¬pagnia dell´Immacolata Concezione, anch´essi comuni amici e colla¬boratori spirituali.
Dice bene il Salotti, che questa pagina « non si legge senza la
crime»: il tono di mestizia che la pervade tutta si congiungo con la tenerezza d´un affetto tanto più profondo e sensibile, quanto più
prossimo ad essere l´ultimo palpito del cuore. L´anima di Giovanni Massaglia, anima di santo, è, per noi, anche l´anima d´un uomo di cuore: cristianamente nobile e squisita.
o o o
La risposta del Savio è perfusa d´una serenità che traduce tutto in quello stile bonario ch´è proprio di Don Bosco. Egli ha capito, attra¬verso il delicato adombramento delle notizie voluto dal Massaglia per non contristarlo, mentre pure si ripromette « di vivere felice in dolce compagnia » nel Paradiso, ha capito che l´amico suo non si fa illusioni sulla sua sorte, e vi mette a paro la propria, non meno, anzi

48I
anche più sicuramente prevista; ma lo fa con una disinvoltura quasi amena, che trasforma quell´idea in un affaruccio comune da concer¬tarsi fra due amici nella vita ordinaria. È una squisitezza di tratto che mira ad allontanare la malinconia. Ma l´idea della brevità del loro vivere sta dinnanzi al pensiero come un movente dello spirito, e ne deriva la premura di farsi santi e presto, poiché c´è da temer che man¬chi il tempo. Ed è codesta visione delle cose, tra quella serenità che sorride nella calma sovrana dell´unione indefettibile con Dio, come fu detto di Don Bosco, è questa naturalezza del pensiero soprannaturale che rende lo scritto del piccolo Santo superiore a quello del suo amico.
Il Salotti, nel riportar testualmente la lettera, ne ha sottolineato i tratti più significativi, e nel presentarla ha detto bene che, scriven¬dola, il piccolo santo « non può a meno di esprimere anche una volta l´incessante anelito dell´anima di toccare presto le vette della santità, perchè sentendo avvicinarsi a gran passi la morte, teme che gliene manchi il tempo» (i). Anche noi vogliamo sottolineare quelle pa¬role ed altre, in altro modo però, e avendo in vista le linee verso le quali esse convergono, e il significato che rivestono per la storia del¬l´anima.
Scherzosamente il nostro Domenico s´introduce a parlare, quasi con un amabile rimprovero per il troppo lungo silenzio, come dicesse: Oh! finalmente! eri morto, che non ti sei più fatto vivo? « Non sa¬peva se dovessi dirti il Gloria Patri o il De profundis»; s´intende, pre¬gando per lui. L´Imitazione di Cristo. Gliela manda, ma con un´ame¬nità, in cui si racchiude un consiglio, di cui forse non c´è bisogno, ma che, via, la confidenza permette ad un amico spirituale. « Il Kem-pis è un buon amico, ma egli è morto, nè mai si muove di posto. Bi¬sogna adunque che tu lo cerchi, lo scuota, lo legga, adoperandoti per mettere in pratica quanto ivi andrai leggendo ». O che forse l´a¬mico era pigro e svogliato ? No, di certo: ma la confidenza fratellevole di tale amicizia può permettersi di dar consigli, anche se non necessari, per mettere in comune i proprii pensamenti. Il nostro Savio sa es¬sere vivace a suo tempo, come del resto era ameno sempre, e nella gioia dell´anima angelica trovava il fascino delle sue parole.
(i) SALOTTI, op. Cit., pag. 207. — Ma il pensiero del Savio collocato quasi un anno prima, secondo la cronologia da noi proposta, acquista tanto maggior valore, non solo perchè è espresso per sè e per l´amico, ma perché., involgendo una previsione, quanto a sé, lontana, sta a fondamento e principio d´un tratto di vita ben più lungo, che se ne impronta e ne trae impulso agli ultimi progressi. L´esattezza storica qui concorre ad illuminare più a fondo la storia dell´anima.
17 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte 11.

482
C´è anche il tratto pratico. Massaglia si duole del poco agio che ha di attendere alla divozione, e sospira la comodità che gli altri hanno all´Oratorio. È quello che abbiam notato dicendo dell´andata in va¬canza, e il nostro conferma che anch´egli a Mondonio ha il medesimo fastidio. Egli vi rimediava e suppliva con fare ogni giorno una visita al SS.mo Sacramento e, come all´Oratorio, « procurando di condur seco quanti compagni poteva «. E leggeva « oltre il Kempis, il Tesoro nascosto nella Santa Messa del beato Leonardo da Porto Maurizio », come s´è ricordato altrove. « Se ti par bene, fa anche tu altrettanto » dice egli, scolaro di grammatica, al chierico studente di filosofia: dif¬ferenze e distanze che nello spirituale non contano.
Questi sono i consigli, come l´amico aveva desiderato di avere.´ Ma la parola preziosa, quella che scende all´anima e la fa rivivere, è quella del conforto. Qui il nostro santo è magnifico nella sua maniera di trasportare lo spirito a contemplare senza timori e con gioia la morte non lontana.
Attraverso l´eufemismo fa capire d´aver inteso il mesto pensiero dell´amico, e vi mette di fronte, schiettamente, il presagio ch´egli sente di poter fare per se stesso. « Mi dici di non sapere se ritornerai all´Oratorio a farci visita »: è l´eufemismo trasparente, che non abbi¬sogna di spiegazione. Ma questa è nel paragone che fa con le condi¬zioni proprie. « La mia carcassa (ed è il termine pedestre che suole usare per dire del suo povero essere di malaticcio, e gli ricorre ancora parlando l´ultima volta con Don Bosco) apparisce anche assai logora, e tutto mi fa presagire che mi avvicino a gran passi al termine de´ miei studi e della mia vita ». Più oltre apprenderemo da Don Bosco che il presentimento della sua fine viveva da tempo nel caro giovanetto, e ne parlava chiaramente (Capo XXI): questa è già una delle manife¬stazioni. Minor meraviglia cagiona in chi suppone che ciò sia detto, per esempio, sul finir dell´anno, pensando ch´egli mancherà nel_ marzo: più vera e più naturale per noi, che quelle parole sentiamo quasi un anno innanzi. Savio vive tutto quel tempo con la sicurezza di dover
presto morire, e il suo vivere si disegna nelle sue vedute sullo sfondo della morte. Ma non si turba, anzi ne prende motivo ad accelerare il cammino nella santità. Qui la malinconica previsione prende la
forma bonaria e compagnevole delle consuete conversazioni: quelle due anime non han paura di morire, e il pensiero si volge insieme alla vita della loro amicizia, ch´è tutta di Dio e dovrà anche davanti a Dio vivere sempre.
Come avesse discorso di tutt´altra faccenda da combinare, il no¬stro santino, con gioconda spigliatezza, esce a, dire: « Ad ogni modo

483
facciamo così: preghiamo uno per l´altro, perchè ambedue possiamo fare una buona morte. Colui che sarà il primo di noi ad andarsene al Paradiso, prepari un posto all´amico, e quando lo andrà a trovare, gli porga la mano per introdurlo nell´abitazione del cielo ».
Se, invece che d´uno scritto, ci trovassimo presenti al colloquio, credo che finirebbe con un: — Ci stai? — Ci sto. — E si darebbero la mano. Eppure la parola finora dissimulata, «la buona morte » è venuta fuori, e ci si prende l´impegno da adempiersi in Pa
radiso.
Vedere in questo stile un riflesso di quello di Don Bosco, che tra
duceva in linguaggio popolare anche le idee più elevate e difficili, e le condiva di bontà perfino bonaria, è giusto, ma non è tutto: qui è il cuore di un santo soprannaturalmente sicuro di sè, pel quale la familiarità con Dio e l´unione con Lui sono la vita vissuta e quoti¬diana, non disgiunta o distinta, ma immedesimata nella vita ordinaria: e il suo parlare non abbisogna d´altro stile che quello d´ogni giorno, perchè anche il morire e l´andare in Paradiso sono un momento della
vita che già egli vive.
I piccoli santi di cui scrisse Don Bosco sono un po´ tutti così:
e n´è un classico esempio il Magone, che, al momento di passar dal¬l´una all´altra vita, si carica di « commissioni » per il Paradiso, e la sua ultima parola è: « Di qui a pochi momenti farò la vostra commis
sione, e procurerò di farla esattamente » (i).
Rimane intanto l´idea. Chiunque sia il primo, l´uno e l´altro sanno,
sanno proprio che poco loro avanza da vivere. La santità, ch´essi hanno studiata insieme, vuole accelerare i suoi tempi. L´incessante anelito di quelle due anime di toccar le vette della santità si esprime qui con un « presto », per tema di non arrivare a tempo: come un lavoro che bisogna affrettarsi a finire. È il pensiero con che si termina quello scritto carissimo: « Dio ci conservi sempre in grazia sua, e ci assista a farci santi, ma presto santi, perché temo che ci manchi il tempo ». Le parole sono del Savio, ma il sentimento è nelle due anime eguale, adesso come quando studiavano insieme (ripeto la parola, perchè è
quella propria) il modo di farsi santi.
Con tutti, e specialmente con gli amici più unanimi, che sospirano
il suo ritorno all´Oratorio, essi lavoravano per quello, e già col Gavio
(i) Vita di Magone Michele, cap. XV. Ho avuto la sorte (cioè la fortuna) di assistere agli ultimi momenti di Giuseppe Buzzetti, anch´egli del tempo di Savio e Magone. Egli reclinò il capo sulla mia spalla che lo sosteneva, e discor¬reva del morire e del paradiso come il Magone. Tra l´altro mi disse: e Lasci fare a me, adesso che sia di là, dirò io una parola alla Madonna per lei E spirò poco dopo (14 giugno 189o). Bella scuola quella di Don Bosco, non è vero?

484
il nostro santino aveva intesa così l´amicizia: col Massaglia era an¬dato più addentro, e quasi inconsapevolmente era divenuta fraternità: per questo nella sua lettera può stare la calda espressione con che si chiude: « con fraterno amore ed affetto ».
Il lettore ci dica se da un giovinetto quattordicenne si sarebbe at¬tesa una pagina come questa che siam venuti leggendo, e se tra quelle righe, anche letterariamente scorrevoli, perchè venute dal cuore, non abbia sentito vibrare qualche cosa di non comune e terreno, una virtù secreta che deve spirare dalla vicinanza di Dio.
o o o
Da quell´unico scambio di lettere alla fine del. Massaglia non sap¬piamo quanto tempo sia trascorso. Il libro dice di alternanze della malattia « che più volte parve perfettamente vinta, più volte ricadde »; il che dà ragione a noi dell´assegnare il tempo delle lettere al mese di marzo. Ma poi, come suole avvenire in tal genere di mali, « quasi inaspettatamente venne all´estremo della vita ». Quasi il medesimo accadrà al Savio, del quale la fine avviene quando appunto nessuno, neppure il medico, si aspetterebbe.
Il teologo Valfrè (Valfredo) nel darne notizia a Don Bosco si espri¬meva così: « Egli ebbe tempo di ricevere colla massima esemplarità tutti i conforti di nostra santa cattolica religione: moriva della morte del giusto che lascia il.mondo per volare al cielo » (i). Parole, dice bene il Salotti, che sembrano l´iscrizione lapidaria apposta alla tomba d´un santo (z).
Savio si sente solo. Gli rimane Don Bosco; ma nessuno sarà mai più per lui quello ch´era il Massaglia. Egli, temprato eroicamente ad ogni sofferenza, sereno e quasi lieto pure all´idea di non vivere a lungo, più che « rassegnato ai divini voleri », desideroso di adem¬pierli, egli, il cui volto angelico non s´era mai rattristato né mai aveva pianto di dolore, non può sottrarsi alla piena del dolore che lo investe e penetra in quanto ha di più delicato e santo nell´anima sua. Sentì allora che cosa fosse per lui quell´altra anima, alla quale s´appoggiava nel salire l´erta della santità (la Vita dice m che cotanto erari adoperato per il suo bene ») e che, gareggiando con lui, ne teneva sempre più deste ed alacri le virtù ch´egli stesso si studiava di pareggiare. Non s´era mai accorto, prima d´ora, che le loro anime si rispecchiavano
(i) Ma cfr. sopra, pag. 478, Ia nostra Nota. Nella 15 edizione era detto: -« Scrive il suo parroco » e questi era non il Valfrè, ma Don Cesare Audero. (a) Op. cit., pag. zo8.

485
e completavano a vicenda, ed egli poteva riconoscersi mirandosi in quell´altro.
Ed egli che non era mai stato visto a rattristarsi e piangere di do¬lore, fu veduto piangere per più giorni. Quell´impegno di aspettarsi l´un l´altro nel Paradiso si converte ora nel pungente desiderio di raggiungere l´amico, e lo dice quando vi ripensa. Come Don Bosco alla perdita del Comollo, anche tra la cristiana rassegnazione, si de¬solò, e pianse a lungo e ne sofferse (i): come pianse, da quel figlio amo¬roso ch´egli era, la Mamma Margherita, che lo lasciò il 26 novembre di quell´anno (2), e quella fu una ferita che si rimargina, ma lascia il segno: così il nostro piccolo grande santo, riconobbe, sì, il volere di Dio e lo adorò, ma, accettandolo, senti che Dio voleva affinarlo col dolore, e tanto più squisitamente perfezionarlo, quanto più quel do¬lore non era soltanto umano, ma attingeva tutta la vita del suo spirito. E coltivò, da santo, quel dolore. Oh non è questa la figura della Madre dolorosa, di cui egli fu tanto divoto ?
o o o
Don Bosco lo comprese e, non dico che lo rispettò, ma lo mise in risalto, come uno dei più cari lineamenti della bellezza d´un cuore di santo. Dopo quel momento, la Vita non narra più alcun epi¬sodio, anche eroico, come quello del basso insulto e del brutale trat¬tamento sopportati senz´ira e perdonando, nel gennaio del ´57, due mesi innanzi la sua morte: ma lo scrittore, che vede come vive quel¬l´anima, e sa che « per tutto il tempo che sopravvisse l´ebbe ognor presente », e può dire che « la medesima sanità di lui fu notevolmente alterata », non discorre più se non di atteggiamenti spirituali, che preludono all´ultima perfezione. Le parole di Don Bosco pel dolore del diletto discepolo sono molto forti, e, perchè abbiano tutta la loro forza, sembra ch´egli disponga una gradazione ascendente, per pre¬disporre la maggiore impressione in chi legge, che non potrà se non commuoversi per simpatia verso l´angelico fanciullo.
« Alla perdita di quell´amico il Savio fu profondamente addolo¬rato, e sebbene rassegnato ai divini voleri, lo pianse per più giorni. Questa è la prima volta che vidi quel volto angelico a rattristarsi e
(i) Men:. Biagr., I, 474•
(a) Adunque, dopo questi fatti. Il Salotti, spostando al dicembre del ´56 la morte del Massaglia, aveva tratto buon argomento dall´esempio di Don Bosco che n un mese prima n aveva perduto la madre. Ma, se non l´esempio, il paragone non perde di valore.

q86
piangere di dolore. L´unico conforto fu di pregare e far pregare per l´amico defunto. Fu udito talvolta ad esclamare: Caro Massaglia, tu sei morto, e spero che sarai già in compagnia di Gavio in Paradiso: ed io quando andrò a raggiungervi nell´immensa felicità del cielo?
» Per tutto il tempo che Domenico sopravvisse al suo amico (dieci mesi), l´ebbe ognor presente nelle pratiche di pietà; e soleva dire che non poteva andare ad ascoltare la Santa Messa, od assistere a qualche esercizio divoto, senza raccomandare a Dio l´anima di colui che in vita erasi cotanto_ adoperato pel suo bene.
» Questa perdita fu assai dolorosa al tenero cuore di Domenico, e la medesima sanità di lui fu notevolmente alterata ».
Così amano i Santi.

LIBRO XI
VERSO IL CIELO

CAPITOLO I
Lo stato d´animo.
La perdita del più intimo e prezioso amico, « che in vita erasi cotanto adoperato pel suo bene », quasi coincide, a distanza di non molti giorni, con quell´8 giugno 1856, che, come s´è detto, segna una data nella storia spirituale del Savio, sicclaè lo stesso Don Bosco volle rilevarla, notando i « nove mesi prima della sua morte ». Dopo quel dolore e quella quasi consacrazione, e durante questi ultimi tempi suoi, nella Vita scritta, come nella vita che vive dentro di sé, egli solo compare, e se non si senti solo del tutto, perchè c´era accanto a lui Don Bosco, è vero tuttavia che lo stesso Padre dell´anima sua, che ne scrive, prescinde da ogni altro fatto, per non considerare che lui solo e la nuova vita del suo spirito. È pertanto l´ora in cui il moto spirituale del terzo momento culmina nella pienezza della sua forma e nel carattere proprio della santità. L´abbiamo detto più sopra (i), e qui vi torniamo, perchè tutto ciò che allora si è ragionato della genesi spirituale e delta vita di questa nuova e più alta perfezione, che stabilisce una volta per sempre l´anima del santo fanciullo sul vertice della sua santità, tutto quello appunto si adempie, cioè si av¬vera in tutta la sua pienezza, in quest´ultimo periodo della vita vis¬suta, cioè in codesti nove mesi. Con questa data ci si dischiude una veduta, più che di fatti e di azioni, di tanti stati d´animo, o, per dir più giustamente, d´uno stato d´animo da cui provengono altri atteg¬giamenti che concorrono a comporlo e se ne ispirano, e i fatti sono più chiaramente significazioni ed espressioni di quello.
Don Bosco, in un libro destinato all´edificazione pratica di un mondo di giovani e di menti fanciulle, non s´indugia in descrivere tali stati d´animo, che non tutti comprenderebbero, e si attiene a pochi dati di fatto, episodi edificanti, per loro probativi, per mezzo dei quali
(i) Cfr. sopra, lib. prec., cap. I.

490
chi sa e vuole leggere più addentro, può farsi un´idea di quelle interne condizioni di spirito di cui sono la manifestazione e il prodotto. Tanto
è vero che non dispone una cronologia, ma riporta quei fatti e circo
stanze così come glieli richiama un certo ordine d´idee: il che, se per un verso può riuscire meno agevole per la storia, è d´altro canto indice dell´intento suo, qual è in questi ultimi capitoli, di farci piuttosto pensare alle condizioni interiori di quell´anima, che non all´edifi
cazione degli episodi.
Non è da negarsi che l´assenza di cronologia, che già abbiam no¬tata nel decorso dell´intero libro, non porti con sè un inconveniente,
per noi questa volta sensibile, ed è che molti dei fatti, che storica
mente accaddero nel periodo che ora consideriamo, sono disseminati altrove, secondo l´affinità loro in ragione dei singoli temi che tratta,
prescindendo dall´ordine dei tempi, come già l´autore si era proposto fin dapprincipio (Capo VIII). Quelli che qui adduce, ci stanno, come diciamo, per quell´altro intento, che tocca a noi d´interpretare, insi¬stendo a chiarirlo per la piena conoscenza dell´anima del nostro gio¬vane santo.
Ma oltre le pagine, belle pagine, della Vita, intervengono a darci materia e fondamento anche le testimonianze dei coevi. In questa
parte è ovvio Che, fra tutte, debbono avere maggior peso quelle di
coloro che, avendo conosciuto il Savio soltanto nell´ultimo stadio della vita, ce lo presentano quale l´hanno veduto essi, e cioè qual
era ormai nel tempo appunto che a noi importa; e non è a dire che
non vi sia del nuovo e non comune. Anche altri testi ci dicono qual¬che cosa di simile, e sono quelli che, pur testimoniando dell´intera
vita conosciuta da loro, sanno tuttavia distinguerne i tempi, come ha fatto Don Rua parlando del crescendo accentuato nell´eroismo delle virtù del suo giovane amico. E certi tocchi del Cagliero sono eviden¬temente da riferirsi a questo tempo, per la concatenazione che hanno colle circostanze.
Raccogliendo con amorosa attenzione tutti codesti dati, ne viene una somma, che non può essere che sintesi, e che ci rivela aspetti non prima pensati e non pensabili se non in una condizione di spirito, come quella che dà la fisionomia di quest´ultima forma della santità del Savio.
o o o
Ho detto di stati d´animo. Che uno stato d´animo sia e debba tro¬varsi anche nel progresso e all´apice della perfezione, è ovvio, quando si pensi che infine quella che si perfeziona è la volontà cosciente so-

491
stenuta da un tono sentimentale (i), ch´è insieme un dono di Dio e un movimento d´amore: ma non sono la cosa medesima, se non vuol dirsi che la perfezione dei santi è tutta d´una sola e medesima forma. Codesto tono sentimentale che anima e muove la -volontà, e cioè lo stato d´animo che condiziona i fatti e dà loro il carattere, non dev´es¬sere inteso romanticamente come un che di evanescente e inafferra¬bile, una serie di sfumature senza disegno, o un sognare indefinito e inquieto di cose vaghe e non esperibili: l´anima d´un santo non si perde in fantasticare e commuoversi a vuoto; e se qualche cosa d´in¬cognito, d´indefinito, di non quieto vi è nel suo spirito, quello è solo il limite del suo amore,. ch´egli vorrebbe uguagliare a quello di Dio, e vi aspira con santa inquietudine, sapendo di non poterlo pareg¬giare.
Lq stato d´animo del nostro piccolo santo è, ed insisto a dirlo, uno, come uno è tutto lo spirito che vi è immerso: ma l´unità di esso, come s´è detto, dà luogo a più altri, che al di fuori appaiono distinti, e che invece sono altrettanti atteggiamenti congiunti fra loro e con la fonte primaria. La somma e la risultante di tutto codesto assieme conduce alla sua forma ultima della santità, che, pur serbando i suoi caratteri individuali, deve di necessità essere, nella sostanza, quella di tutte le anime che vi giungono. Essa è insieme termine e scopo, ossia l´apice a cui si tende e si perviene.
So bene che, così esposta in forma di sentenze, l´idea non è così penetrabile a tutti: ma non è meno opportuno pel nostro intento pre¬mettere una sintesi, che poi, sciogliendosi nei particolari, si dimostra solida e chiaramente concretata. E dico che gli elementi per costruire in tal forma l´ultimo capitolo della storia interiore del nostro santino, sono sicuri e validi, da quelli che ci porge Don Bosco a quelli che ci vengono dalle altre fonti.
Il disegno concreto di codesta sintesi, tracciato nelle sue linee maestre, ci offre un quadro di schietta semplicità, nel quale l´unità della prospettiva dà senso alle linee convergenti che la compongono.
o o o
Il presentimento, forse la previsione, della fine non lontana ge¬nera nell´anima del giovanetto santo l´accelerazione del lavoro di san¬tificazione, ch´è dunque fervore e dedizione intera a Dio e alla sua
(i) Il termine è preso dalla psicologia, in quanto questa si riferisce ai senti¬menti morali, ideali e superiori; tra cui i sentimenti religiosi, e non al puro pia¬cere o dolore prodotto dalle sensazioni.

492 `
volontà, sentita interiormente come attrazione al più perfetto, e come unica ragione del distacco dall´umano: distacco sempre più meritorio e perfezionante quanto più l´umano deve soffrire: sicchè le sof¬ferenze, i patimenti, le afflizioni generano letizia di gioia sovran¬naturale che traspare al di fuori come eroica virtù di rassegna¬zione e di accettazione, ed è nell´intimo un segno della diIezione divina. La consapevolezza di tale dilezione acqueta lo spirito in una meravigliosa tranquillità, esternata con la serenità imperturbata e con
la posatezza dell´equilibrio in ogni azione, commisurata alle inten¬zioni di Dio.
Sono questi gli aspetti di quello stato d´animo: come le faccie d´un brillante poliedro, ch´è pure uno e risplende variamente a mi¬sura che ci si volge a mirarlo, e l´unità della sua forma dà senso a ciascun prospetto. C´è una definizione ascetico-mistica che lo esprime. Gli effetti di santificazione di una così intima e profonda unione con Dio, quale si rivela in codesto andito alla santità e in tale dedizione, si compendiano in una sola sentenza: « l´anima è talmente trasformata in Dio che, dimentica di sè, non si dà più pensiero che di Dio e della sua gloria » (i). Dal che derivano, secondo i medesimi maestri di spi¬rito: un santo abbandono nelle mani di Dio: un gran desiderio di pa¬tire: assenza di desiderii e pene interiori: assenza o rarefazione di stati
estatici: serenità perfetta: uno zelo ardente per la santificazione delle anime (a).
Nel medesimo senso, e fuori dei gradi mistici, il Faber discorre del fervore, così come già accennammo, quando pure si esprimeva il rincrescimento di non poter trascrivere tutto lo stupendo capitolo (3). Un pensiero intanto giova qui addurre per il fatto nostro, a conferma della fondatezza del nostro modesto ragionare: « Il vero fervore ha questa proprietà, questo carattere distintivo, di crescere sempre, e crescere con rapidità visibile ma tranquilla vicino a morte:— e pos¬siamo talora predire la nostra morte dal modo con cui il fervore ci consuma internamente e ci opprime d´amor divino » (4).
O non è questa appunto la beata condizione di spirito del nostro Savio, che dalla previsione della morte è tratto ad accelerare, ad ac¬crescere il suo fervore, e tanto più convinta è la sua persuasione di
(i) TANQUEREY, .op. cit., n. 1474•
(2) Op. cit., 1474-1478. La dottrina « di S. Teresa, là dove descrive la Man¬sione settima del Castello Interiore. Veramente là si discorre dell´ultimo grado dell´unione trasformati-va, come effetto della suprema contemplazione: ma quando gli effetti sono i medesimi, che importa se vi si giunga per una via o per un´altra?
(3) Cfr. sopra, lib. X, cap. I, pag. 436 e 438.
(4) Progressi, cit., cap. XXVI, pag. 423.

493
dover presto unirsi con Dio, quanto più sente dentro di sè di venir consumandosi nell´amore, e d´essere dall´amor di Dio tutto compreso? Non è questa quella continua tensione di spirito, che infine è la causa riconosciuta del rapido e irrimediabile consumarsi della povera sua umanità e del suo estinguersi anzi tempo?
Di ogni aspetto pertanto di tale condizione di spirito, e dí cotesto complesso e molteplice stato d´animo verranno ora offerte a una a una le prove di fatto, ond´è intessuta la carissima storia spirituale della santità vissuta dal nostro santino negli ultimi suoi mesi di vita. Ma è bene tener presente la sintesi, l´unità dello spirito che vive in quella, colorando della sua luce d´amore tutto che di bello e di santo viene manifestandosi nel santo quattordicenne. Vi sono, e lo diciamo subito, più di una affinità con gli stati d´animo della S. Teresa di Li¬sieux: ed è quasi naturale, quando si riflette che, secolo per secolo, e tempo per tempo, i santi seguono una medesima, per quanto mol¬teplice nelle apparenze, corrente spirituale, e che tra il santino ado-. leseente e la santa giovane Carmelitana sta di mezzo la spiritualità, tutta moderna, di Don Bosco. E non è forse inutile richiamare l´idea più sopra accennata, che di tutta quella soprannàturale psicologia, che noi abbiam voluto delineare, Don Bosco ebbe perfetta compren¬sione, e ne senti i moti e i progressi, ora per ora e grado per grado, avendo, si direbbe, in mano il polso di quell´essere di cui conosceva, come nessun altro, la vita del cuore. L´opera di un Santo che com¬prende e dirige un santo si può trovare nei libri dei Santi, non negli schemi e nelle regole dei Direttorii ascetico-mistici: è materia che tra¬scende la geometria dei metodi, per fondere in una due vite sopran¬naturali.

CAPITOLO II
" Aspettazione ".
La parte adunque del libro che leggiamo, dal Capo XXI in poi, comincia appunto con dire dello stato d´animo che nel Savio è con¬trassegnato dal presentimento della morte non lontana. Il Santo Mae¬stro conosce tanto bene codesto atteggiamento, che le linee del suo racconto corrono parallele a quelle da noi tracciate per disegnarne lo sviluppo. E comincia dalla preparazione generale alla morte, quale era già remotamente nella vita santa del suo discepolo, per venire all´espressa preparazione che il presentimento a lui suggeriva: prepa-razione che, come dicemmo, si traduce, per l´anima del santo fan¬ciullo, nella crescente accelerazione del lavoro interno, per conseguire in tempo il più alto vertice di santità a lui consentito.
Notiamo. Il pensiero della morte, o della necessità di star prepa¬rati, anzi di prepararvisi espressamente, era uno dei punti capitali, anzi cardinali, quasi articoli, dell´educazione spirituale del Santo Pe¬dagogo. L´Esercizio di buona morte n´era la forma pratica: ma chiun¬que abbia una qualche conoscenza della copiosa serie dei discorsi morali ed esortazioni religiose da lui rivolte ai suoi giovani: chi ri¬cordi come per molti anni o la predizione o il commento della morte di qualcuno desse luogo a riflessi opportuni, può argomentare che l´idea dell´estate parati stava in primo piano tra quelle di cui si valeva per il suo lavoro di formazione cristiana (i).
Il Savio si era appropriate quelle massime sante e seguiva quella direzione; e quel pensiero gli stava assiduamente presente. E non solo gli stava in mente, in quanto, come ha da credere ogni buon cristiano, la vita buona e santa è e dev´essere la migliore e più sicura
(i) A mettere insieme tutto quanto si possiede in tale materia, c´è da farne un discreto opuscolo di educazione ed edificazione spiritualet una serie di letture daI teina pratico ed efficace.

"Th 495
preparazione alla morte, sicchè la buona morte si prepara essen¬zialmente con la vita buona: ma espressamente e di proposito egli vi mirava, tanto che non è forse errato pensare che codesta prepara¬zione durante tutta la vita sia divenuta per lui una forma particolare della vita spirituale, da mettere accanto o inserire profondamente nel complesso dei suoi atteggiamenti interiori (i). E ciò, sto per dire, naturalmente, tanto più quando da chiari segni (e da secrete rivela¬zioni) potè capire che per lui la fine non era lontana.
Con questo non s´ha da pensare a sentimentalismi, a totraggini,
o ad alcunchè di drammatico e di terrificante, come se lo spettro della morte gli si agitasse davanti all´immaginazione: che sarebbe vacua e inefficace, anzi nociva spiritualità (a). Il tipo del Savio, come quello di Don Bosco, è alieno ed avverso ad ogni tristezza, nella vita visibile come in quella interna dello spirito, e la penitenza e il sacrificio ilare e sereno sono un lineamento essenziale della sua fisionomia spirituale. È il servite Domino in laetitia portato nella vita interiore. Ciò che Don Bosco insegnava, e il nostro piccolo Santo mise in atto pienamente e con superiore e squisito criterio, fu « il far della morte una luce della vita, cioè il far ogni cosa in quel modo che al : unto di morte vor¬remmo averla fatta ». Lo stesso autore a cui attingo osserva giusta¬mente che questo precetto « esercita un´influenza salutare sul nostro esame di coscienza e sulla nostra preparazione alla confessione » (3). Orbene non è questo precisamente ciò che proponeva Don Bosco per l´Esercizio di Buona morte e dichiarava in queste medesime pagine? Questo era per tutti, e valeva già molto: ma per un´anima bella e santa c´era di più. E l´autore, cosi consenziente con Don Bosco, lo dice: « Appoggiarsi a tutto ciò che scema gli orrori fisici della morte, ed ingrandisce ciò che rende la morte trasparente, lasciandoci trave¬der Dio al di là di sè » (4). Il nostro giovane angelico non vedeva altrimenti, e tutta la sua vita ultima s´illuminava di questa luce. Non temeva, anzi non aveva paura di morire; anelava a Dio di là da quella.
o o o
Vedasi intanto quanta sapienza e dottrina spirituale si nasconda in questo mirabile capitolo della Vita, dove ciò che altrove è teoria,
(i) FABèR, Confer. Spir., cit.; Sulla Morte, Con£ III (Preparazione alla morte), pag. 106-107.
(a) Op. cit., pag. Io&
(3) Op. cit., pag. izo.
(4) Op. cit.,

496 LTh
qui, senz´apparire, forma il terreno dal quale germogliano i fatti che il dettato mette in luce. Leggiamo.
« Chi ha letto quanto finora abbiamo scritto intorno al giovane Savio Domenico, conoscerà di leggeri che la vita di- lui fu una con¬tinua preparazione alla morte ». È la preparazione generale di cui s´è detto. Ma vi è pure, e vien subito, la preparazione espressa e inten¬zionale, che coincide col terzo momento da noi segnato nello svolgersi della perfezione del nostro Savio. La Compagnia dell´Immacolata, ha detto l´Autore (Capo XVII), aveva per iscopo « di procurarsi la protezione della Gran Madre di Dio in vita e specialmente in punto di morte ». E il Regolamento esprimeva appunto nel preambolo tale intento: « per assicurarci in vita ed in morte il patrocinio della Bea¬tissima Vergine Immacolata »; e si concludeva sperando « che dopo questa valle di pianto, consolati dalla presenza di Maria, raggiunge-remo sicuri in quell´ultima ora quel guiderdone eterno che Dio tiene serbato a chi lo serve in ispirito e verità». Dove, per una velata pre¬visione, si auspica per i soci di essere in quel momento « consolati dalla presenza di Maria », come accadde a lui stesso morendo.
Con bellissimo accordo il Faber, ora citato, colloca per prima, tra le « cose, .che hanno una specialità superiore ad ogni altra nel preparare alla morte, il considerare la SS. Madre di Dio come do-tata di una distinta e singolare giurisdizione sul letto di morte: la -Chiesa ci addita questo ripetutamente negl´inni, nelle antifone e nel¬l´Ave Maria» (i). E Don Bosco ci apprende che « egli, il Savio, ripu-tava la Compagnia dell´Immacolata Concezione come un mezzo effi¬cace per assicurarsi la protezione di Maria in punto di morte, che ognuno presagiva non essergli lontana ». L´accordo dello scrittore filippino col nostro Maestro viene a rassodare tutta la nostra conce¬zione della storia interna del nostro piccolo eroe dello spirito. Si veda: « Tutti coloro che crescono in santità, sentonsi anche crescere nella più tenera e profonda riverenza e venerazione per la Madre di Dio. E crescendo il resto della nostra divozione per Lei, deve anche cre¬.scere nel nostro cuore la nostra dipendenza dal suo aiuto nell´ultima ora » (z). Così appunto: il terzo momento muove da un fatto di ulte, riore divozione a Maria e segna un crescendo di santità, e quell´accre¬sciuta divozione mette capo alla « dipendenza dal suo aiuto nell´ul¬tima ora».
(i) Op. cit., pag. I2T.
(2) Op. cit., loc. cit. — Tutta quella pagina dovrebb´essere riportata, tanto pare dettata pel caso nostro.

497
·0 o o
Orbene, codesto momento o periodo di ascesa, così come dob¬biamo concepirlo nella santa psicologia del caro fanciullo, appare do¬minato dal presentimento della fine non lontana. Anche Don Bosco la vede come noi, e ce lo lascia e fa intendere con quell´ultimo in¬ciso del periodo, dove dice che «. ognuno presagiva non essergli lon¬tana », e col proseguire che fa su questo tema. Già la fondazione della Compagnia sorgeva da un motivo nel quale la previsione della morte aveva gran parte, e questa tanto più si fece presente ed efficace in quegli ultimi dieci o nove mesi che seguirono alla morte del Massa-glia e alla professione del Regolamento; e, come anche ci ha sugge¬rito il Faber, ciò si accompagna col crescere in santità, definito ltici-damente dal crescendo accentuato dell´eroismo, quale ha detto Don Rua.
Il santo Autore, raccogliendo quel suo inciso, si sofferma sul pre-sentimento e sulla preveggenza che il suo santino dovette avere ben chiara della morte certamente vicina. « Io non so se egli abbia avuto da Dio rivelazione del giorno e delle circostanze di sua morte, o ne avesse solo un presentimento. Ma è certo che ne parlò molto tempo avanti che quella avvenisse, e ciò faceva con tale chiarezza, che me¬glio non avrebbe fatto chi ne avesse parlato dopo la medesima di lui morte ». E ne reca le prove, sorvolando sul valore carismatico di questa autoprofezia, che, se è abbastanza frequente nei Santi cano¬nizzati ed anche in persone ch´ebbero fama di santità, non lascia d´es¬sere un dono specialissimo accordato anche al piccolo Santo. È anzi strano che nel Processo canonico nessuno dei testi n´abbia fatto cenno, per esempio in tema de donis supernis et miraculis. Forse n´avrà par¬lato solo in confidenza con Don Bosco.
Nella lettera al Massaglia ne abbiamo un cenno abbastanza chiaro, benchè non così preciso come dice qui il biografo che avvenisse: bastevole però a dimostrare che, quasi un anno innanzi egli, sapesse o no per vie soprannaturali il tempo e il modo, presagiva próssima la sua fine, come d´altra parte dice la Vita che « ognuno presagiva «.
Ma le prove addotte nella Vita sono sufficienti. Le forze gli an¬davano ogni giorno diminuendo, per quanti riguardi gli si usassero, moderandolo nelle cose di studio e perfino nelle cose di pietà: alla gra¬cilità nativa, agl´incomodi personali, si aggiunse, e prevalse in questo periodo, la continua tensione di spirito, tutto proteso verso il vertice che voleva raggiungere. E questa moderare non si poteva, appunto perché, sentendosi venir meno e prevedendo l´esito vicino, egli l´ac
:8 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte II.

498
celerava ed intensificava. « Bisogna che io corra, diceva, altrimenti la notte mi sorprende per istrada ». « Volendo dire, spiega l´Autore, che gli restava poco tempo di vita, e che doveva esser sollecito in fare opere buone prima della morte ».
Ed è questo, come dicemmo, il suo stato d´animo; l´ansia di ar¬rivare in tempo, perché sente il tempo mancargli, come chi affretta il lavoro, tenendo l´occhio all´orologio, e vedendo che avanza. Non si può, nella pia vicenda di quell´anima, disgiungere l´un sentimento dell´altro; e gli episodi qui narrati li contengono e compongono in¬sieme.
Sembra prevalere il senso di presentimento nel caso dell´Esercizio di buona morte.
Essendo questo il primo libro che discorre della vita interna dell´Oratorio, Don Bosco ne prende occasione per darne l´idea, ed è che esso consiste « nel prepararsi a fare una confessione e comunione come fosse l´ultima della vita ». Lasciamo alle Memorie Biografiche del Lemoyne di commentare quale e quanto fosse il bene che con taI pratica Don Bosco, appunto in quegli anni, ritraeva dai suoi gio¬vani (t). Nell´attendervi il Savio disponeva di un raccoglimento « che non si può dire maggiore ». Ma in questo periodo il suo fervore si moltiplicava, e con esso cresceva, mi si lasci dire, la sensazione della morte vicina (a). Al consueto Pater e Ave «per quello che fra di noi sarà il primo a morire », pensava di se stesso, e più volte lo diceva, scherzando, a Don Bosco: « In luogo di dire " per colui che sarà il primo a morire " dica così: Un Pater ed Ave per Savio Do¬menico, che di noi sarà il primo a morire ».
o o o
E viene il mese di maggio: quel maggio del 1856, del quale, come si è veduto, rimase così vivo il ricordo in tutti i coevi e nello stesso Don Bosco, che si esaltava in pensarvi (a). A fine aprile il Savio do¬manda al Direttore « come avrebbe dovuto fare per celebrare degna¬mente il mese di Maria ». Ci aspetteremmo, è vero? chissà quale programma, cose da terzo cielo, per un santino così progredito nelle vie di perfezione. Ma Don Bosco fugge le cose e le parole difficili,
(i) Cfr. vol. IV, pag. 683 e seg.
(z) Inconsapevolmente effettuava quel che dice il Faber nel passo citato più sopra da: Progressi, XXVI, 4z3.
(3) Nella Vita, cap. XIII. Cfr. le nostre pagine dove si discorre della divozione Mariana, e, per questo punto speciale, lib. VII, cap. II, fine.

499
e qui, per giusta prudenza, si trattiene dal proporre nulla da aggiun¬gere ad un fervore che già consuma le forze del suo diletto santino: « Lo celebrerai, risponde, coll´esatto adempimento dei tuoi doveri, raccontando ogni di un esempio in onore di Maria, e procurando di regolarti in modo da poter fare ogni giorno la S. Comunione». Cose che poteva dire (e certo diceva, se stiamo alle memorie che ci restano) a non pochi, quasi tutti i suoi figliuoli, e specialmente ai migliori. Pel Savio nulla di particolare e, davvero, nulla di nuovo. « Non era la sua condotta regolata, come dice al capo XIV, su un tenor di vita cristiana, quale si conviene a chi desidera di fare la comu¬nione quotidiana? ». Forse la novità consisteva nel preparare ogni giorno un esempio da raccontare in onore di Maria: ma è probabile che, come non era una novità per il Savio, così non fosse cosa parti¬colare di lui. Ma pel nostro santino quelle parole avevano un senso tutto proprio, che derivava dallo stato di fervore in cui viveva e basta¬vano ad accrescerlo.
Egli però voleva insieme qualche cosa di più intimo e tutto suo, che fosse come una grazia domandata e ottenuta per sè: « Ciò procu¬rerò di fare puntualmente: ma quale grazia dovrò domandare? ». Don Bosco risponde allora come a nessun altro: « Dimanderai alla Santa Vergine che ti ottenga da Dio la sanità, e la grazia di farti santo ». Questo, sì, prendeva tutta l´anima del nostro santino, e ne accelerava il battito del cuore: « Che mi aiuti a farmi santo, conti¬nuava infiammandosi, che mi aiuti a fare una buona morte, e che negli ultimi momenti di vita mi assista e mi conduca in cielo ». Anche qui si fondono in uno l´anelito del farsi santo, l´ansiosa premura di giungere in tempo, e il senso dell´ora che s´avvicina.
Bisogna dire che Don Bosco non abbia mai visto prima d´ora il suo discepolo così celestialmente ardente di fervore, se, come non mai, anch´egli ricorre ad un´immagine di fantasia, e detta un periodo incalzante: _« Di fatto egli dimostrò tal fervore nel corso di quel mese,
che sembrava un angelo vestito di umane spoglie. Se scriveva, parlava di Maria: se studiava, cantava, andava a scuola, tutto era per amore
di lei. In ricreazione procurava di aver ogni giorno pronto un esempio
per raccontarlo ora a questi, ora a quegli altri compagni radunati» (t). Sarebbe qui da ripetere quel che il buon Padre, parlando della divo
zione del Savio a Maria, ricorda al capo XIII, dove principalmente si richiama quanto avvenne e quanto è detto qui del maggio 1856:
(I) Somnt., Cagliero, 536: le sollecitudini pel mese di Maggio all´Oratorio. {S La domenica sera uno dei giovani era incaricato di dir le lodi di una virtù di Maria #. In mezzo a quel fervore spicca il Savio.

50o
e allora interviene quel tenero, indimenticabile, episodio dell´altarino coll´ararnirato sacrificio dei libri di premio, e con l´ansia di vedere adornata la sua Madonna. Rimando il lettore alle pagine ove se n´è particolarmente discorso (1).
Era un ardore così alacre, così radioso e non più visto, che anche i compagni ne dovevano comprendere la forza e l´intenzione. E gli dicevano: Se fai tutto in quest´anno, che cosa vorrai fare un altr´anno? Ed egli non negava di far molto, ma implicitamente alludeva al suo perchè, con la riserva sul futuro: o Lascia fare a me: in quest´anno voglio fare quel che posso: l´anno venturo, se ci sarà ancora, ti dirò quel che sarò per fare ». Egli pensa a correre, per arrivare in tempo.
(i) Cfr. sopra, loc. cit.

CAPITOLO III Consumandosi.
Quel tornare, o meglio, insistere ora velatamente, ora in chiari termini e con sicurezza sulla prossimità della sua fine, era, anche senza profezia, l´effetto del sentirsi sempre più estenuare, e del capire che non si trattava di questa o quella indisposizione, ma d´una malattia che progrediva a gran passi nel consumarlo e lavorava inesorabil¬mente. Non era sconforto desolato, né speranza d´ingannarsi; era consapevolezza chiara del suo stato, a cui s´aggiungeva un qualche lume interiore, che gl´illuminava l´avvenire.
Don Bosco, perchè vuole a tutto quel patire dare il tono e il si¬gnificato più alto e spirituale, come quello ch´è fonte di meriti e manifestazione di virtù eroiche, trapassa dal dire dei presentimenti e dell´accelerazione del fervore, che ne consegue, a spiegare finalmente-quale sia il male che così ha ridotto il suo diletto figliuolo, e a defi¬nire la vera causa, la santissima causa del suo irrimediabile consu¬marsi. Qual è questa causa?
E questa volta prezioso l´appoggio delle testimonianze. Esse espri¬mono l´opinione che dominava tra quei che conoscevano il piccolo santo, la quale, se concorda con la sentenza dell´Autore, è tuttavia indipendente dai medici, e dal dettato stesso del libro. Salvo uno, che lo ritiene o morto di consunzione » (i), altri dicono che ad este¬nuarlo contribuirono principalmente l´esattezza straordinaria ch´egli aveva nei suoi doveri, l´intensità nella preghiera, a cui si dedicava con grande concentrazione, e il grande suo amor di Dio (2); altri sono convinti che « le mortificazioni non danneggiarono sensibil¬mente la sua sanità in modo da renderlo inabile al compimento de´ suoi doveri, e che piuttosto lo studio e la diligenza abbiano influito a indebolirlo » (a). Ma il Cagliero esclude che ciò avvenisse «per ec
(i) Somm., Ballesio, 352.
(z) Somm., Cerruti, 54 e 127: e la dice convinzione di molti compagni. (3) &mm., Piano, 94; Ballesio, 109.

502
cessiva applicazione agli studi o per inconsulte penitenze, giacché visse sempre obbediente e ordinato, sotto la paterna vigilanza di Don Bosco, che gli vietava ogni esagerazione o cosa dannosa, e forse ne fu causa la debole e malferma costituzione di natura (i). E Don Rua ricorda « la vigilante attenzione, che verso lui usava Don Bosco (e n´è prova quanto è detto nel capitolo che leggiamo), il quale, cono¬scendo il suo spirito di penitenza, sovente s´informava della sua salute e del modo di regolarsi nel vitto e nel riposo >> (z). Tutto si può rac¬cogliere nelle parole del Francesia: « Non nacque alla sua salute il regime di mortificazione: il dottore disse che la malattia era piuttosto la carità pel Signore» (3).
Esclusi adunque gli eccessi nella mortificazione o nello studio, rimangono le cause squisitamente spirituali: l´esattezza straordi¬naria impegnata ne´ suoi doveri, l´intensità e la concentrazione nella preghiera e nelle cose della pietà, e il grande amor di Dio; cose alle quali una costituzione naturalmente debole non poteva -resistere a lungo. Ed è quello che dissero i medici d´allora, più veramente psico¬logi che non altri, bardati dei grandi paroloni moderni.
o o o
Invero Don Bosco, « per usare i mezzi atti a fargli riacquisiare la sanità, fece fare un consulto di medici ». Il piccolo santo non si turbò per nulla, egli che sapeva ben tutto. « Tutti ammiravano la giovialità, la prontezza di- spirito, e l´assennatezza delle risposte di Domenico ». Teniamone conto; è una nota non secondaria dello stato d´animo del nostro giovanetto. Il dottor Vallauri ammirato esclamava: « Che perla preziosa è mai questo giovanetto! ».
Don Bosco domanda: «Qual è l´origine del malore che gli fa di¬minuir la sanità ogni giorno più? ».
Ammiriamo quei bravi dottori. Non parlano di alcuna malattia specifica, non diagnosticano sui dati clinici sperimentali: vanno al¬l´origine vera, ch´è nello spirito. Sono credenti e illuminati, e, sopra e fuori della materia, sanno capire che c´è altro, e che questo agisce su quella. Che cosa avrebbe detto, nel caso, la scienza materialista ? Ma la sola ve: a è la risposta dello scienziato cristiano: « La sua gra¬cile complessione, la cognizione precoce, la continua tensione di spi¬rito, sono come lime che rodono insensibilmente le forze vitali ». Dun
(I) àomm., Cagliero, 6o e J03.
(2) Somm., Rua, a 14-
(3) Sómm., Francesia, 264.

503
que, si direbbe adesso, un esaurimento generale cagionato da ecces¬siva tensione mentale. Nessuno di quei dottori lo dà per tisico. C´è da farne una dotta trattazione da scienziato. Non è della sola pratica vedere l´influsso fisico d´una cognizione precoce, e neppure Io scoprire che quella creatura vive in continua tensione di spirito, mentre lo si ha tra mano vivace, gioviale, sveglio e arguto: sia pure che si dimostri assennato nelle risposte, ch´è il fatto dell´apertura di mente e del¬l´equilibrio dz sè, anche all´infuori di quella tensione. Un esauri¬mento come quello ottunde ed abbatte anche, e sovente prima, le energie morali.
Ma il Vallauri (giacche le risposte son sue) ha capito di più e veduto più addentro: coll´intuito della fede egli ha letto nel caro fanciullo la causa delle cause: la nostalgia del Paradiso. Il Francesia dirà poi sessant´anni dopo: «Non nocque alla salute il regime di mortifica¬zione: il dottore disse che la malattia era piuttosto la gran carità pel Signore (i). È come un angelo spaesato, che anela e si travaglia per tornare a -veder Dio, e lo spirito supera il corpo e anticipa il tempo. « Qual rimedio potrebbe tornargli maggiormente utile? », domanda Don Bosco. Ecco:
« Il rimedio più utile sarebbe lasciarlo andare in Paradiso, per cui mi pare assai preparato ». Non è la condanna dell´irreparabile: è l´au¬gurio del credente, è l´omaggio della scienza alla santità. Umana¬mente l´unico mezzo di protrargli la vita e ritardarne la fine «è l´al¬lontanarlo intieramente qualche tempo dallo studio. (e i testi hanno pur detto di questo), e trattenerlo in occupazioni materiali adatte alle sue forze ».
Avrà udito il Savio questo dialogo? Possiam credere di no, chè certe cose agli ammalati non si dicono: forse intese l´ultimo sugge
rimento che proponeva un prudente regime di vita. Ma con quella sua cognizione precoce vorremo dire che non abbia capito anche il
resto, e ne abbia goduto? La sua psicologia di santo ci permette di pensarlo.
o o 0
Non v´è nel libro la data del consulto. Ma si può con qualche fon-damento congetturarla, Il dott. Vallauri mori ai primi del settembre
(i) Somm., Francesia, 254, già citato più sopra. — Il dott. Vallauri era un benefattore dell´Oratorio, e fu suo dono l´altar maggiore nella chiesa di S. Fran¬cesco di Sales. Cfr. Mem. Biogr., IV, 429; V, 529 (suoi funerali all´Oratorio: si settembre 1856).

504
o in fin d´agosto (i): il consulto è perciò anteriore a quella data. Il consiglio di « allontanarlo qualche tempo dagli studi » non sembra che sulle prime sia stato eseguito mandando il giovanetto a casa: certamente in settembre era ancora all´Oratorio, giacché, come sap¬piamo, e abbiamo stabilito, il iz settembre faceva quella volata da Torino, a Mondonio per guarire miracolosamente sua madre. Don Bosco volle risparmiargli un dispiacere troppo acuto, perché « l´an¬dare a casa era cosa per lui la più disgustosa, perciocchè gli rincre¬sceva interrompere gli studi e le sue solite pratiche di pietà» (Capo XXII). Aveva ancor fresco iI ricordo del Massaglia.
Per evitare brusche sorprese, il santo Direttore aveva colto una
buona occasione per mandarvelo « alcuni mesi prima » de
cisione che fu poi inevitabile più tardi. Le testimonianze del Pro¬cesso ci fanno capire che ciò fu nell´autunno (del 1856) verso la festa del Rosario, che Don Bosco amava di celebrare ai Becchi, conducendo seco i suoi migliori allievi. Il Cagliero in quell´autunno, tornando a Castelnuovo, incontrava in Valle dei Becchi il piccolo santetto, che ve¬niva da Mondonio per andar da Don Bosco, e gli fu dinnanzi come l´apparizione d´un angioletto (z). Più preciso è Don Rua, dicendo che nell´autunno del 1856, essendo il Savio in vacanza per comando di Don Bosco, egli (Don Rua) era andato con un compagno a trovarlo (a Mondonio) venendo dai Becchi, dov´era per la festa del Rosario, e il caro amico non era a letto, ma s´incamminava appunto verso i Bec¬chi per trovare Don Bosco (3).
Ma il santo figliuolo ruppe la consegna e, dice l´Autore, « dimorò a casa solo pochi giorni, e tosto mel vidi comparire all´Oratorio » (Capo XXII).
Pertanto, dopo e nonostante quel responso, Don Bosco tenne ancora con sè il piccolo santetto, usandogli tutti i riguardi che il caso richiedeva. Solo più tardi, a fine febbraio, l´aggravarsi della malattia e l´insistenza dei medici lo indussero a determinarne la partenza.
0 0 0
Per noi, cioè per il nostro assunto, questa cronologia ha un va¬lore stragrande. Dunque il Savio, già definito inguaribile (profana¬mente si direbbe: spedito dai medici), vive ancora più mesi e li vive
(a) Mem. Biogr., V, 529: funerale all´Oratorio pel dott. Vallauri, it sett. 1856. (z) Somm., Cagli ero, 288: « Già da lungi mi parve di vedere un angioletto,
tanto era sorridente e d´aspetto angelico, col suo volto pallidetto, occhi cerulei,
aspetto celestiale, e dissi tra me: Ecco un angelo in carne, come S. Luigi ». (3) Seme., Don Rua. 354.

5o5
in quell´Oratorio dove sente di poter preparare la sua andata in Pa¬radiso, e con quell´unico Maestro che gliene spiana la via. Egli presen¬tiva e prediceva, per una qualche suggestione superiore, ed ora sa (o intuisce) per argomenti´ umani. Non si fa illusioni. In tali condi
zioni, quale fu la vicenda de´ suoi sentimenti, il suo stato d´animo, la vita della santità?
Intanto non si pensi a scoramenti, ad affanno, a paure, a malin¬conie, ad , un turbamento qualsisia: Savio Domenico non fu mai
così tranquillo e sereno, anzi giocondo, come in quel tempo. Egli si assesta come la Santa di Lisieux dopo il Venerdì Santo del 1896, quand´ebbe il primo fiotto di sangue, che rivelava la malattia onde mori un anno e mezzo dopo. Per lei fu una gioia: « Ero intimamente persuasa che il mio Diletto, nell´anniversario della sua morte, mi fa¬ceva udire una prima chiamata, come un lontano e dolce mormorio che mi annunziasse il suo arrivo felice » (i). E portò la malattia, e i martirii del corpo e del cuore, non solo con pazienza, ma nella ma¬niera più pacifica, e offriva tutto a Gesù, sorridendo (2). Il suo sorriso, così inimitabile e misterioso, non cessò, ma prese allora un raggio nuovo, un senso più profondo di mistico e divino, quello della gioia nel dolore: iI dono, non la sola virtù, della fortezza. Nella sua figura la particolarità esterna più propria di lei fu codesta gioia, codesto sorriso volontario, ed ella « fra tutte le sante rimarrà quella che avrà meglio saputo accettare sorridendo la sofferenza » (3).
Così è da dire del nostro santino. Desiderava il Paradiso, non con impazienza, ma per l´amore che l´avrebbe unito a Dio (4), e ciò che lo avvicinava, e l´aver certezza che l´ora non sarebbe lontana, gli dava non solo riposo, ma gioia. Fuori dei momenti in cui il male si rive¬lava da sè e lo prostrava, nessuno l´avrebbe, a vederlo, creduto votato a prossima fine (5). Anche in lui la serenità, il sorriso, la gaiezza,
furono cose volute. L´esaurimento delle forze fisiche non gli tolse né scemò la fortezza dell´animo.
Quell´equilibrio, quella calma, quel sereno dell´espressione, quel sorriso che lo rendeva simpatico al primo incontro, in questo tempo non scemarono, non s´interruppero, e rimasero come prima, e più manifesti di prima. Di quei che lo conobbero soltanto allora, il Cer¬ruti dichiara di non averlo mai visto malinconico od abbattuto, e
(i) Storia d´un´anima, cap. IX.
(2) PETITOT, op. cit., parte III, § 1-4.
(3) Op. cit., pag. 201.
(4) FABER, Conf. Spir. cit., pag. 12.6 e seg. — « Il desiderio della morte, che è parte della santità, dev´essere più un desiderio di Dio che della morte ».
(5) PETITOT, op. cit., pag. 182-183, e pag. top,

306
non senza acutezza osserva che « pur debole ed estenuato... mo-strava sempre un´ilarità costante », e l´attribuisce alla virtù eroica della fortezza (i). Il Ballesio sottolinea l´ordine, la calma, la mansuetudine, e li riferisce all´amor di Dio. Il Melica ricorda che (4 in tutti i tempi anche tristi, era sereno d´animo e ilare di spirito: cosa che in lui era naturale frutto di speranza eroica » (z). Con unica parola Don Rua, descrivendolo per ogni tempo, disegna in lui « un´ammirabile sere¬nità
d´aspetto, ch´era certamente il riflesso della serenità dell´anima » (3).
Una serenità e una calma che non lasciano trasparire il suo affret¬tarsi nel cammino della perfezione. Sono quegli amici dell´ultima ora che vedono le virtù da lui praticate « con naturalezza e senz´affetta¬zione », e il soffrire in silenzio; la calma anche nella virtù, senz´appa¬riscenza; anche in questo, l´equilibrio e il senso della misura, come nulla vi fosse di nuovo (4).
0 o o
C´è di tutto questo una spiegazione, che ci. trasporta appunto a quel grado di perfezione, verso il quale egli corre e ci appare rag¬giunto, ed è già stato da noi definito come l´apice dell´ascesa (5). Uno di quegli amici sopraccennati, il Melica, dopo aver compreso ch´egli aveva cercato in tutti i modi di promuovere la gloria di Dio, definisce il suo pensiero con dire che « in lui, tutto, preghiere e azieni, tutto era rivolto e diretto a Dio col fine unico di dar gusto a lui e rendersi degno di possederlo e andarlo a godere in Paradiso » (6). La chiave del segreto è qui: tutto per dar gusto a Dio, ossia lasciarsi interamente compenetrare (diremo assorbire?) dalla volontà di Dio, fino .a non avere volontà propria. Non ripeto la massima dell´ascetica, che in questo è la misura della perfezione, e la completa dedizione attiva è l´apice di essa (7).
Non è altrimenti che superiore alla capacità d´un giovane di quel¬l´età, e perciò eroico (com´è pure eroico nei Santi maturi) codesto spi¬rito di conformità assimilatrice della volontà alla volontà di Dio: e dico assimilatrice, per distinguerla dalla conformità passiva o di ac: cettazione, che non può escludersi come primaria e indispensabile,
(i) somme Cerruti, 182, 277.
(a) Somm., Ballesio, 245; Melica, 173.
(3) Sonno., Don Rua, 181.
(4) Somm., Melica, 99 e 173; Ballesio, 93; Cerruti, 246.
(5) Cfr. sopra, pag. 492, seguendo TANQUEREY, n. 1474 e seg., e S. Teresa.
(6) Somm., Melica, 99 e 172.
(7) Cfr. sopra, lib. X, cap. IV (Gavio), pag. 467: citaz. dal DE GUIBERT, quaest. II, sent. 7; § 113, pag. ti°.

507
ed è a sua volta meritoria, in ragione della carità verso Dio che la in¬spira ed informa (i).
Ebbene, la nota spirituale della santità che adesso emerge ed ec¬celle nel nostro eroico giovanetto è appunto la dedizione alla volontà di Dio: dedizione che giunge a non averne più una propria. Tanto¬chè, mentre per lo più le deposizioni dei testi c´informano di fatti esteriori e visibili, e all´interno non scendono (come sarebbe stato possibile a ragazzi e giovani inesperti?), questa nota è riconosciuta da parecchi, e specialmente dai più recenti tra gli amici suoi, e ri¬mane acquisita alla. sua personalità spirituale. Il Cerruti ci dà la pa¬rola maestra che definisce: « egli non aveva volontà propria, e non mirava che a Dio e alla salvezza delle anime »; e il Melica apprendeva dallo stesso Don Bosco -che mai si accingeva a qualche cosa, senza prima consultare la volontà di Dio; l´Anfossi attesta che « la sua volontà, fu del continuo congiunta con la volontà di Dio ». E può concludersi e compendiarsi colle parole del Cagliero, che riconosce nel suo ami¬chetto la « conformità perfetta alla volontà di Dio, sino a fare a Dio il sacrificio di sua vita » (z). Che tali riconoscimenti abbiano origine da una propria e diretta intuizione psicologica dei singoli, se si eccet¬tuano la sentenza dei Cagliero e le parole riferite di Don Bosco, non si può dire: essi provengono, com´è naturale, dalla quotidiana mani¬festazione di fortezza e d´imperturbata eroica pazienza e rassegna¬zione, di cui dava prova il caro santino nelle sofferenze, che le sue condizioni di salute gli cagionavano.
Le parole dei coevi (e qui di quanti, compagni o no, lo conobbero) gareggiano in magnificare codesto eroismo. « L´accettare la sua infer¬mità senza mai lamentarsi » (3), è, si può dire, la parola di. tutti. Pre¬cisamente negli ultimi mesi della sua vita, quando si era manifestata la malattia che lo trasse a morte, apparve sempre più manifesta la sua fortezza e pazienza, rassegnato com´era alla volontà di Dio (4). E il Cerruti, parlando non solo per sentito dire, ma per la conoscenza e l´intimità personale di lui in quegli ultimi mesi, esalta la fortezza da lui allora dimostrata, mentre « pur debole ed estenuato com´era, adempiva i suoi doveri senza mai muovere parola di lamento, mo¬strando anzi sempre un´ilarità costante ». Che anzi la rassegnazione non era soltanto per il fatto proprio, ma cercava d´infonderla in altfi afflitti o doloranti. Il Francesia « lo vedeva in ogni ora rassegnato
(i) Cfr. DE GUIBERT, loc, cit., dove è svolta la dottrina.
(2) Somm., Cerruti, 191; Melica, 246; Anfossi, zoi; Cagliero, 277.
(3) Somm., /infossi, tot.
(4) Somm., Piano, 276.

508
alla volontà di Dio, e che, se alcuno era afflitto, lo esortava a con¬formarsi alla divina volontà» (i).
Questo è detto anche nella Vita. Qualche volta, come avveniva alla Santa di Lisieux (a), i dolori superavano le possibilità fisiche e minacciavano la resistenza morale; ma non vincevano. Ecco un pre¬zioso documento di Giuseppe Reano: t Interrogato da me una volta che il vedeva mesto, perchè non favellasse volentieri, mi rispose che si sentiva colpito da forti dolori di capo, che sembrava avesse due coltelli fitti nelle tempie; ma che sopportava questo male con pa¬zienza, affinché, unito ai meriti di N. S. G. Cr., gli acquistasse il Para¬diso, e che Gesù assai più di lui aveva sofferto, senza querelarsi » (a).
Ricordiamo il celebre detto di S. Agostino: Nam in eo quod amatur, iam non laboratur, aut et labor amatur (4). Il Besucco dirà più tardi: t Non mi sarei mai immaginato che si provasse tanto piacere nel sof¬frire per amor di Dio » (5). B. Savio non ha un´espressione cosi bella, ma, nel fondo, il senso del suo soffrire è il medesimo, e la letizia delle sue ultime ore ne sta a prova.
0 0 o
Di quei giorni ultimi sarebbe ora da parlare, perchè questo punto del soffrire con rassegnazione e fortezza eroiche fino alla gioia fosse subito illustrato in pieno: ma sarà più opportuno riserbarci a più oltre, per l´economia del nostro assunto. Cosi non ripeto quanto al¬trove fu detto, desumendolo dagli articoli del. Processo sulla fortez¬za, sulla pazienza, sulla speranza, che accorrerebbero pressochè tutti.
Rispondo invece ad una possibile tacita riserva degli studiosi di cose spirituali. Codesta rassegnazione o accettazione passiva, a qua¬lunque grado condotta (6), non è forse un grado inferiore e non più che preparatorio a quella conformità attiva e assimilatrice, che, come s´è-detto, è la misura della perfezione e l´apice di essa? La risposta non è difficile, ed è che tutto quello non sarebbe possibile nel grado eroico in cui si manifesta, se non vi fosse appunto quest´ultima e
(I) Somm., Cerruti, 208; Francesia, zog.
(2) PETITOT, op. cit., pag. 212-213.
(3) Somm., Declar. n. 3, di Reano Giuseppe, pag. 458. — Il Reano aggiunge poi che in uno di quegli intervalli in cui lasciava il letto, egli lo trovò nella stanza di Magna (Ia zia di Don Bosco, Maria Anna Occhiena, che morì poi il 22 giu¬gno 1857), la quale gemeva e si lamentava alquanto, e benchè di età così minore, non lasciò di rimproverarla della poca pazienza nel sopportare il male.
(4) Dove si" ama, più non si soffre, e se si soffre, anche la sofferenza è amata. Aug., De bono viduitatis, cap. XXI (Migne, P. L., XL, 448)-
(5) Vita di F. Besucco, cap. XXVIII.
(6) DE GMBERT, op. cít., § 113. — JOLY, cap. III, pag. 181-183.

L+, 509
suprema conformità, colla quale la volontà dell´io si assimila con quella di Dio. Non è questione di gradi, ma di stati d´animo, che si mani¬festano come i diversi aspetti d´una figura medesima, secondo le oc
casioni e nelle maniere più proprie a rivelarne la fonte e il carattere, ch´è l´amor di Dio senza riserve.
t forse altrimenti disposto S. Luigi ? In presenza del soffrire l´a¬nima del nostro piccolo santo e quella di S. Luigi sono, nonchè so
miglianti, ma identiche. è Non soltanto nel dolore cercato, dice il Crispolti, egli si rallegrava, ma in quello che Dio gli mandasse da sè, in quello che non è eroico nella sua origine, ma che, scegliendo modi e tempi non prefissi dalla nostra spontanea volontà, è spesso così difficile ad accettarsi, da diventare altrettanto eroico, se la pazienza si tramuta in compiacenza. Con tale eroismo, sopportò le sofferenze del¬l´ultima malattia durata circa quattro mesi_ Anzi, rifiutando quanto po¬teva i lenimenti, avrebbe voluto ch´esse si moltiplicassero: tanto la morte prevista e sospirata gliele faceva sentire come immediate promesse del: Cielo, come annunzio del supremo compimento dell´amor suo » (i).
Siamo nel clima ardente dello stato dei Santi sulla terra, ch´è il fervore, quand´esso ci rende simili a Nostro Signore che s´invigorì soprannaturalmente per soffrire, e c´infonde un coraggio da spingerci fin oltre la natura e sostenere la pugna anche dove, secondo le leggi di quella, dovremmo cedere. Nulla chiedere e nulla ricusare, è l´ul¬tima lezione di S. Francesco di Sales, ed è forse l´espressione più concisa e più esauriente del fervore di chi « non vive che di Dio, con Dio e per Dìo », come fu detto del Savio (2). Ed è anzi qualche cosa di più che l´indifferenza; è, per l´anima che vive di fervore, una ne¬cessità e una delizia (a). Vale qui la chiara sentenza di S. Bernardo:
L´incipiente, mosso dal timore, sopporta la Croce di Cristo pazien¬temente; il proficiente, mosso dalla speranza, la porta con un certo gaudio; chi è consumato nella carità, l´abbraccia con ardore » (4). La fonte e il carattere è l´amore, e quando l´anima vive di amore, allora vediamo avverarsi quello con che Dante chiude il divino poema:
Ma già moveva il mio desire e il nelle, siccome ruota ch´igualmente è mossa,
l´Amor che muove il sole e l´altre stelle (5).
(a) Op. cit., pag. 113-rr4. (a) Somm., Cagliero, 129.
(3) FABER, Progressi, cap. XXVI, pag. 419-420. Praticamente è la conformitas cum voluntate beneplaciti, etiam ante eventum: ( la mia morte nell´ora che a lui piace », DE GMBERT, cit., § 114. Ma col di più, ch´è il gioirne.
(4) Cfr. sopra, lib. X, cap. IV (Gavio), pag. 466. — Ivi il testo latino.
(5) Par., XX.XIII, r43-145.

CAPITOLO IV
Bontà nel soffrire.
Vi è un altro lineamento di codesta santità, che l´accosta più dav¬vicino a noi e la rende attraente. Don Bosco ce la fa apparire con gli episodi che narra nel proseguire il profilo di quegli ultimi tempi. È la bontà nel soffrire.
È cosa quasi totalmente soprannaturale, e come una grazia par¬ticolare di certe sante creature. La grazia opera una fusione del patire e della bontà così armoniosa, che forma uno dei lineamenti più at¬traenti della santità. Che cosa havvi di più bello che aver riguardo per gli altri, quando noi stessi siamo infelici? È uno di quegli intimi tesori del cuore, che il mondo non può togliere: possiam dire che, se anche naturalmente può riscontrarsene in qualche pagano di buon cuore, ed è cosa ben rara, la sua bellezza non regge al paragone con ciò che la vita soprannaturale può creare in un cristiano-. Nascondere le proprie pene ed afflizioni, tenere per sè il dolore, e far che c´indu¬cano ad ogni sorta di benevolenza e di umor lieto per quelli che ci stanno attorno, convertendo per essi in luce quel che per noi è tri¬bolazione, è non solo un gesto di carità disinteressata, ma il segno che lo spirito di Gesù ha preso intero possesso della nostra anima (i).
Della bellezza, dell´attraenza, della santità che si contiene in questa bontà nel patire fu esempio luminosissimo Don Bosco in tutta la sua vita, fino alle ore estreme, sapendo soffrire, vorremmo dire, con garbo, e diffondendo intorno a sè vastamente la bontà e la letizia: e l´esempio di fui., Santo, vale più che tutto un volume, quale occor¬rerebbe a dire di questa grazia tra le più simpatiche della santità.
Il Savio non ricopiò Don Bosco nei gesti, che ancora non erano apparsi, ma lo rispecchiò nello spirito che li produsse dappoi, e che, come si vien dimostrando nel nostro studio, era il medesimo anche in lui.
(i) Concetti e talvolta espressioni che derivo dal FABER, Confer. Spir., I,
pag•

5ir
Più mesi egli stette ancora all´Oratorio dopo quel consulto di medici, e certamente iniziò nell´ottobre la scuola di Umanità (la IV Ginnasiale) presso il prof. Picco, e la seguì fino a febbraio inoltrato, quando fu decisa la sua partenza (I), giacché l´esaurimento delle sue forze non era sempre accompagnato da crisi di malattia. Questa pa¬rola Don Bosco l´adopera soltanto quando si è obbligati al letto, e il suo malatino non è quindi malato sempre. Anche in questo fatto c´è da vedere una virtù. Al caro giovanetto rincresceva interrompere gli studi,, e in quelli si gettava oltre le sue forze, con un impegno e una sollecitudine che stupiva i compagni. Uno di essi ricordava che fu visto talvolta quasi correre, pure stanco qual era, per trovarsi a tempo alla scuola del Picco, distante circa un quarto d´ora dall´Oratorio (z). Il suo stato precario di salute non lo distoglieva dall´osservanza dei suoi abituali propositi e doveri: « gracile e infermiccio com´era, at¬testava un amico suo, e perciò dispensato dall´orario della comunità, non se ne serviva, se non fosse impossibilitato od obbligato da obbe¬dienza» (3). Similmente Don Rua: «Anche nell´occasione d´infermità, finchè poteva reggersi in piedi, non tralasciava di osservare tutti suoi doveri, in guisa che doveva intervenire l´autorità di qualche supe¬riore per moderarlo ed obbligarlo ad usarsi i debiti riguardi » (4). E non voleva nessuna eccezione di favore per sè, levandosi all´ora co¬mune, salvo se fosse realmente ammalato (5): a segno che, pur confes¬sando al Bonetti i suoi dolori di stomaco per non digerir bene il cibo, non voleva domandare a Don Bosco qualche cosa da parte, per non fare il particolare : e questo « qualche tempo prima della sua morte » (6). Qui si univano insieme due eroismi fioriti sul fervore, che, come si slancia sul dovere (la parola è del Faber), così fa della mortificazione una necessità e una delizia (7).
o o o
Quasi senza volerlo, abbiam potuto aggiungere un altro tocco al quadro delle perfezioni raggiunte negli ultimi suoi tempi dal nostro santino: perfezioni che si manifestano come occasionate dallo stato
(i) Nel suo bellissimo elogio, il prof. Picco accenna alla tosse maligna mani¬festatasi negli ultimi giorni di sua presenza: e noi sappiamo dalla Vita che il rivelarsi di essa fu causa del mandarlo a casa sua.
(2) Somm., Cenati, 54.
(3) Somm., Melica, 264.
(4) Scanni., Don Rua, IIO.
(5) Somm., Ceralti, 27!.
(6) Somm., Declar. n. 8, di G. Bonetti, pag. 469.
(7) Progressi, pag. 420 e 419.

512
di salute in cui egli vive. Ma, come s´è detto, il fiore più attraente di quella stagione è la bontà nel patire, che nel Savio si rivelò allora nel suo pieno rigoglio.
Il libro fa appunto come noi, accennando alle intermittenze delle incerte condizioni di quel povero malatino, per venire agli episodi sug
gestivi. « Lo sfinimento di forze, in cui si trovava, non era tale da tenerlo continuamente a letto, perciò talvolta andava a scuola, allo
studio (i), oppure si occupava di affari domestici. Fra le cose di cui si occupava con gran piacere era il servire i compagni infermi, qualora ve ne fossero stati nella casa ». Un merito ch´egli aveva da tempo, come esercizio di carità del prossimo, e nel nostro studio già rilevato come documento di bontà (2). Ma in questo momento quella carità si veste d´un´altra luce più vivida, traendo suo valore dall´essere la bontà di chi soffre. Il Cagliero lo descrive « tutto sollecitudine per i compagni sofferenti con lui in infermeria, aiutandoli e confortandoli a sopportar con pazienza le infermità mandate da Dio, e servendoli in ,quanto poteva » (3). Infermo egli stesso (e con quali previsioni!) infondeva negli altri la speranza. E in quell´ottobre che andò a casa, trovò a Ranello il Savio Angelo malato d´occhi, e l´assicurò delle sue preghiere, e il paziente attestava che presto si trovò guarito (4).
Le parole che all´indicazione, generale soggiunge Don Bosco ci di¬cono lo spirito che lo guidava: « Io non ho alcun merito avanti a Dio, diceva, nell´assistere e visitare gl´infermi, perché lo fo con troppo gusto, anzi mi è un caro divertimento ». La virtù adunque non è più per lui uno sforzo: è una quasi natura, che attua spontaneamente, e con diletto, quel che in lei risiede come potenza. Questo è proprio
dell´apice della perfezione (5).
Gli episodi narrati qui dalla Vita sono pochi, ma dicono assai.
Egli non ha pensiero che non sia di cose dell´anima, e s´industria d´inserirlo tra i graziosi servizi che presta ai suoi malatini, e la carità spirituale lo rende ingegnoso e accorto in dir cose non liete con certa amenità: « Questa carcassa non vuoi durare in eterno, non è vero?
(i) Il Ballesio, entrato in dicembre (e la sera del suo ingresso iI Savio l´aveva consolato e incoraggiato) gli fu per due mesi vicino di posto nello studio, Ciò coincide con le date da noi stabilite.
(2) Cfr. lib. IV, cap. II. — Somm., Piano, 217; Melica, 219; Cerruti, 22n; Anfossi, zzg, dove si ricorda che ammalandosi qualcuno, egli domandava al pre¬fetto di camerata il permesso di assisterlo; Don Rua, 230, dice che nella cura degli ammalati bisognava frenarlo, affinchè non perdesse la ricreazione.
(3) Somm., Cagliero, 221.
(4) Somm., Francesia, 171; Cagliero, 224; Savio Angelo, Declar. n. i, pag. 453.
(5) Cfr. sopra, lib. X, cap. I: e expedite, prompte et delectabiliter a dice Bene¬detto XIV, ivi

513
Bisogna lasciare che si logori poco per volta, finché vada alla tomba: ma allora, caro mio, l´anima nostra, sciolta dagl´impacci del corpo
volerà gloriosa al cielo, e godrà una sanità e una felicità intermina¬bile ». E il malato passava dal modico sorriso per la carcassa frusta alla grave e mesta idea d´una lenta preparazione alla tomba; ma poi si rasserenava nel pensiero della felicità eterna che gli si schiudeva. Bisognerebbe poter dire in piemontese, come certamente era detto, questo discorsino, ´colle sue vivaci e sciolte sentenze, figure e anaco¬luti: e si vedrebbe quale efficacia poteva, avere un discorso di tal sorta.
Così è dell´altro ragionare per far mandar giù ad un tale un beve¬rone amaro. Altri, pura caso un infermiere, l´avrebbe incoraggiato con dirgli ch´era cosa d´un momento, e che non bisogna mica esser così delicati, e che bisogna far l´orno, o magari qualche parola brusca
e decisiva o di derisione. Il santo amico, « con la meravigliosa sua schiettezza », ci metteva di mezzo l´obbedire a Dio, che ha stabilito medici e medicine, perché sono necessarie a riacquistare la sanità,
e perciò il dovere di prendere qualsiasi rimedio: obbedienza però tanto più meritoria, quanto più disgustosa o ripugnante. E all´auto¬rità del precetto aggiungeva il pensiero divoto, che nell´atmosfera del¬l´Oratorio non poteva non essere compreso e appreso: « Del resto credi che questa tua sia tanto amara ed aspra, quant´era amaro il fiele misto con aceto, di cui fu abbeverato Gesù sopra la croce? ». È caro il leg¬gere che queste ed altre parole somiglianti, dette dal piccolo santo infermiere, vincevano ogni sentimento di paura e di sconforto. Sono i piccoli trionfi della carità ingegnosa.
Gli episodi avrebbero potuto moltiplicarsi, perché di belle azioni
e di parole sante quei mesi di aspettazione dovettero essere pieni, come s´è veduto, i testi esprimono, più che fatti particolari, gli at¬teggiamenti abituali della bontà e della virtù eroica del loro ammí¬rabile amico. Anche Don Bosco si limita a quel poco, lasciando a noi di sapervi leggere per entro. A lui sta a cuore di dare l´ultimo e più meraviglioso tocco a tutto quel disegno, nel quale lo stato d´a¬nimo e l´apice della perfezione interna -sono adombrati. Egli vuoi metterci senza più in presenza del più eroico momento della storia spirituale del suo santo.
19 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte II.

CAPITOLO V
Il sacrificio.
Il sacrificio più eroico, perchè più straziante e destituito di ogni conforto umano, un sacrificio, direi, affine al settimo dolore di Maria, tutto e solo proprio del suo cuore e tutto involto nella desolazione, fu quello di dover lasciare, senza speranza di ritorno, l´Oratorio e Don Bosco. L´Amadei, raccogliendo in uno i sentimenti di quelli che ne furono allora testimonii, conferma che « il sacrificio fatto al¬lora, con pienezza di cognizione e data la sua giovane età, appare stra¬ordinario. Don Rua, Don Cagliero, Don Francesia, non lo dimenti¬carono mai» (i). Ed è un articolo del titolo: De heroica caritate in Deum.
È il massimo e il più sentito dei sacrifici che il Savio abbia offerti a Dio. Forse non gli è costata tanto quella « perfetta conformità alla volontà di Dio » portata, come disse il Cagliero, sino a fare a Dio il sacrificio di sua vita (a), ne l´accettazione, più che rassegnata, volente¬rosa ed ilare, delle sue infermità: la sensazione dell´avvicinarsi alla morte si fondeva col desiderio di Dio, e quel ch´era per l´essere umano un distacco, diveniva una certezza, quasi il cominciamento di quella vita d´amore eterno a cui anelava.
Ma questo fu uno strappo violento e lacerante del cuore; di quelli a cui, per santo che uno sia, non può restare indifferente, se è vero che senza cuore santi non si è. Gesù in croce, quando si sentì solo, non ha potuto tenersi dal gridare il Quid dereliquisti me?
Io stesso, che studiando il meraviglioso piccolo santo mi sono immedesimato con lui, e me lo vedo tutto vivo e nell´interezza del suo essere dinnanzi agli occhi dello spirito (potrei dire, come un famoso scrittore, che mi sta dinanzi anche in figura), io che lo sento come
(i) Somm., Amadei, 20o. (z) Somm., Cagliero, 2,77.

515
sento me stesso, dico schiettamente che non posso pensare a quel momento senza commuovermi. Don Bosco l´ha compreso e sentito cosi, ed ha voluto farlo sentire con tratti sapienti e incisivi, quali ci appaiono nei due capitoli, il XXII e il XXIII, che osiamo dire i più eloquenti del suo dettato.
o o o
Siamo alla fine di quel non breve periodo di attesa, durante il quale, tra le alternanze d´uno stato in vista precario, ma nella realtà progrediente verso l´ultimo stadio, il giovanetto vive all´Oratorio in quelle condizioni che si sono descritte. Alla fine l´aggravamento si fa sensibile e indubitato. È comparsa quella forma di tosse che il pic¬colo vocabolario di Don Bosco si limita a chiamare ostinata, e che i medici conoscono come sintomo del male che precipita. Sono essi ad insistere perchè il giovanetto sia rinviato a casa, e Don Bosco, a malincuore, deve arrendersi.
« Io debbo dirlo, il rincrescimento era reciproco: io l´avrei tenuto in questa casa a qualunque costo. Il mio affetto per lui era quello di un padre verso un figliuolo il più degno d´affezione ». Rare volte il Santo scrittore ha espresso così apertamente un suo affetto partico¬lare, e se le parole che qui ricorrono sono simili a quelle che usò poi per dire del suo affetto paterno verso il Magone e il Besucco, come si legge nelle Prefazioni alle due Vite, qui esse parole vengono legate ad un momento più significativo e sensibile, mentre si dimostra di¬sposto ad ogni mezzo per tenerlo presso di sè, sì che soltanto un´inde¬rogabile e dolorosa necessità lo può indurre a separarsene. La corri¬spondenza d´affetti era infatti cosi intima, come non fu mai più con alcun altro, e doveva essere, se pensiamo che quella volta sola, nella storia di Don Bosco, s´incontrarono due anime fatte l´una per l´altra, a creare un capolavoro di santità che le rispecchiava tutt´e due_
E così comprendiamo di qual natura e di qual tremenda acutezza poteva essere il dolore che il tenero alunno sentì nel dover separarsi da Colui ch´era tanta parte di se stesso. Una prima volta il cuore del giovanetto aveva sanguinato, quando perdette il suo amico più caro e prezioso, e Don Bosco seppe allora notarlo con parole da uomo di cuore; ma quella ferita, per quanto profonda e risentita in tutto il delicato essere del gracile fanciullo, non rimaneva senza un leni¬mento e una forza capace di compensarne le conseguenza: rimaneva al Savio Don Bosco, che per lui era tutto, e rimaneva l´Oratorio, nel quale lo spirito del perduto amico aleggiava tra molti. Adesso gli si toglieva anche questo, gli si toglieva l´Oratorio e Don Bosco.

516
Con quale animo abbia appresa quella notizia, Don Bosco ce lo lascia intendere con la bella pagina che ne scrive. Già prima ha detto che «l´andare a casa era cosa per lui la più disgustosa, perciocchè gli rincresceva interrompere gli studi e le solite pratiche di pietà», e che, quando (in ottobre) l´aveva mandato a casa, egli pochi giorni dopo era ricomparso. Ora la necessità urgeva, e si stabilì col padre di lui la partenza pel primo di marzo (1857). Le altre volte non occorreva tanto, e il giovanetto andava a casa anche da solo.
O O O
Quella data, messa così insolitamente non ci sta per sola compiu¬tezza. È la data d´un momento doloroso, ed è pure quella di un nuovo stato d´animo; quella che segna l´ultimo passo della santità. E questo muove da un dolore non mai provato.
Il dettato dello Scrittore non esita a dirci che « si arrese Domenico a tale deliberazione, ma SOLO PER FARNE UN SACRIFICIO A Dio ». Non è il sacrificio della vita, a cui da tempo era preparato e santamente desideroso di pervenire; era il sacrificio del cuore, di tutto ciò che di più nobilmente squisito vi si radicava ed era la vita dell´anima. C´era, e perché no? l´abito dell´affetto, e l´affetto a ciò che in lui aveva for¬mato l´abito della vita santa: quell´Oratorio divenuto la patria spiri¬tuale dell´anima. Egli che sapeva veder Dio dappertutto e in ogni cosa; qui vedeva Iddio nella storia e nella vita dell´anima sua, e lo sentiva più prossimo, più, suo, quasi visibile. Se doveva morire, ed egli non dubitava che fosse presto, il suo pensiero non poteva disgiungersi da quello di codesta patria santa, dove il cuore sentiva l´aria di Dio.
Questo vuol dirci Don Bosco, per darci la misura di quel sacri¬ficio. « Perché, gli si domandò, vai a casa così di mal animo (i), men¬tre dovresti andarvi con gioia per godervi la compagnia dei tuoi amati genitori? ». « Perché, rispose, desidero di terminare i miei giorni al¬l´Oratorio ». « Andrai a casa, gli dicono (non forse Don Bosco, ma gli amici), e, dopo che ti sarai alquanto ristabilito in salute, ritornerai».
« Oh questo poi, no, no: io me ne vo e non tornerò più ». La pre¬visione sicura della prossima fine qui aggiunge gravezza e valore al suo sacrificio. Ed è il gesto eroico, che solo un amore supremo può ispirare.
Esso trascende i confini anche di quella conformità al divino vo¬lere, che giunge fino all´accettazione del sacrificio della vita, quale già abbiamo riconosciuta nell´animo del nostro piccolo eroe. Con questa
(i) Intendi: a malincuore.

517
muoiono tutti i Santi, e con essa muoiono molte anime buone. Il non rimanere indifferente in presenza d´un sacrificio così squisita¬mente spirituale, da richiamare nella rinunzia tutte le virtù dell´anima, non è un grado inferiore nella perfezione, come una contraddizione alla dedizione totale di se. È qualche cosa di più, appunto perché conosciuto in tutto il suo valore e sentito in tutto l´essere. Il buon Gesù ha voluto provare, umanamente, un momento consimile, nel¬l´ora del Getsemani. Il sacrificio • gli si offerse al pensiero in tutta la sua tremenda realtà, e Quel, ch´era in Lui l´ Uomo, pregò il Padre di stornare quel calice. E il sublime eroico di quell´ora sta nell´altra parola: Tuttavia non la mia volontà si faccia, ma la tua. E fu in questo superamento il sacrificio. E i Santi sono forse meno perfetti quando imitano il Signore ?
E si avvera in essi il contrassegno dell´accettazione da parte di Dio: la serenità nel dolore. È un dono largito a Maria Addolorata, e a quelle anime di Santi che più soffrirono nell´interno, come la Teresa di Lisieux (i). La punta del dolore premeva nel secreto, ed essi appa¬rivano tranquilli é sereni, e sorridevano. È l´apice vero dell´unione con Dio, che assomiglia alla gioia imperturbata del Verbo nella pas¬sione straziante di Cristo. È il mistero dei dolori di Maria (2).
Non è forzare il tono Pattribuir così squisito stato d´animo al nostro eroe. Il Cagliero lo vide quella mattina del giorno doloroso del distacco: « lo vidi pallido, sì, ma sorridente, sereno ed in perfetta unione e rassegnazione con Dio: al punto che fra me dissi: Che bel¬l´aninia! Che fanciullo prezioso che ha le sembianze d´un Angelo!
È PICCOLO, MA GRANDE SANTO!» (a).
(i) PETITOT, op. cit., parte seconda, cap. III, pag. r77-2o2.: Gioia intima nei patimenti. — Anche di Don Bosco fu detto che mai non Io si vedeva tanto se¬reno e piacevole, come quando aveva qualche grave dispiacere. N´era divenuto quasi un segno sicuro.
(a) FABER, Il piede della Croce, pag. 62-71.
(3) Somm., Cagliero, 6o. — Si noti che il Cagliero aveva allora 19 anni.

CAPITOLO VI
Sul limitare.
Non questo tuttavia è iI sentimento sul quale per ora si trattiene l´attenzione dell´amantissimo Padre. Più che mistico, Don Bosco si rivela qui nella tenerezza che commuove lui stesso. Egli spende la sua cara pagina a darci un quadretto tutto segnato di piccoli tocchi oggettivi, nei quali risuonano le vibrazioni del cuore. Quella molti¬tudine di particolari dice a noi che nella commozione di quelle ore nulla gli è sfuggito, e tutto si è ripercosso e scolpito in una ricor¬danza che non si cancella. Come 1e ultime ore e le ultime parole di chi ci lascia il vuoto nel cuore, quando anche i nonnulla sembrano aver senso e parola, così quell´ultima sera e quelle ore che precedet-tero l´amaro distacco furono per Don Bosco l´ultima e più bella pa¬gina viva della storia del suo diletto figliuolo, e come allora si scrisse nella sua anima intenerita, cosi rimase e passò nel suo libro. Uno scrittore che cerca gli effetti, vi metterebbe per titolo: Sul limitare. Teniamo l´idea, senza pretendere dal Santo di codeste ricercatezze da letterato. L´idea non è mia, ma, senza quella parola, è in Don Bosco stesso.
Il santo alunno deve dunque partire il Io marzo. Egli ha in sè la certezza che non ritornerà, e che tra pochi giorni, pochi e contati nel suo prevedere, sarà la fine. La sua partenza questa volta lo di¬stacca per sempre da Don Bosco: si può dire, perchè finora non fu mai cosi, ed egli lo sente ora, che per lui è privarsi di ciò che ha sostenuta la vita dell´anima e per essa anche la forza di vivere. E come chi, nella pressa d´un ultimo giorno e d´un´ora suprema, affolla e domande e ricordi, e si muove innanzi e indietro per dire ancora qualche cosa e chiederne ancora, e non trova il modo di staccarsi da chi ama e non vedrà più; così il caro discepolo e figliuolo, in quella sera del 28 febbraio, l´ultima che gli è concessa, si stringe al Maestro, al Padre

5t9
dell´anima sua, e l´incalza di domande concitate, l´una su l´altra, senza posa, senz´ordine, quasi senza motivo. Il buon Padre non può levarselo d´attorno: « sempre aveva cose da domandare ».
Alcune di quelle domande. « Qual è la cosa migliore che possa fare un ammalato per acquistar merito davanti a Dio? ». Offrire a Dio quanto egli soffre. « Quale altra cosa potrebb´egli fare? ». Offrir la sua vita al Signore.
Ecco un primo tema. Quante volte queste cose appunto egli aveva non solo domandato, ma insegnato agli altri? (i). Ma teme di dimen¬ticarsene, perchè lì, nell´Oratorio, dove Don Bosco gli è presente, sono, per dire, nell´aria, e altrove non è sicuro che gli sovvengano.
Altro argomento, quasi strano per chi, come noi, Io conosce, e sa che col santo timor di Dio e l´inseparabile dolore dei peccati, egli ha sempre, quasi per carattere, se non forse anche per dono di Dio, coltivata la più serena e ferma speranza (2): « Posso esser certo che i miei peccati mi siano stati perdonati? ». «Ti assicuro a nome di Dio, che i tuoi peccati ti sono stati perdonati ». Chi parla qui? Il teologo che s´appoggia al valore dei Sacramenti ricevuti debitamente (e, nel caso, come dubitarne?), o il Santo che discerne lo spirito e per dono di Dio vede nell´interno dell´anima? L´uno e l´altro, sicuramente. E allora, logicamente, l´altra domanda: « Posso esser certo di essere salvo? ». « Si, mediante la divina misericordia, la quale non ti manca, tu sei certo di salvarti ».
È singolare, o meglio, interessante, vedere che nelle tre Vite di giovani alunni suoi queste domande ritornano e con non dissimile risposta. Nel Magone, al capo IV, come esito dell´angoscioso dramma di coscienza, dopo la confessione risolutiva: « Vi sembra che i miei peccati mi siano stati perdonati? Se io morissi questa notte, sarei salvo? ». Don Bosco risponde: « Va´ pur tranquillo. Il Signore... ti ha certamente perdonato tutti i tuoi peccati, e se... volesse chiamarti questa notte all´eternità, tu sarai salvo ». Col Besucco, presso a morire, la questione è più semplice e più sorridente: « Ci andrò, dunque, in Paradiso? ». « Ma sicuro e certamente: ben inteso, quando a1. Si¬gnore piacerà».
E quasi superfluo vedere in tali domande il riflettersi di tutta una educazione spirituale che, pure aiutando l´ascesa di anime sante, non trascura di mantenerle ben ancorate nel giusto timor di Dio e dei suoi
(i) N´è un saggio la prima parte del capo XXII, sopra commentata.
(z) Tutto il tit. VII del Somm. cit., De heroita spe sta a provarlo. e a suo luogo ne abbiamo addotto i responsi. Cfr. spec.: Cagliero, 176; Canti, z77; Bar¬beris, 177; già citati.

52o `e--,
giudizi, e, fuori dello scrupolo, nella sollecitudine della perseveranza finale, secondo quel di S. Paolo: Nihil mini conscius sum, sed non in hoc justificatus- sum: qui autem iudicat me, Dominus est (I Cor., IV, 4) (i). Ma nei momenti decisivi, e soprattutto in presenza della morte, il Santo Maestro delle anime belle e sante toglie le ansietà e i dubbi, e fa risplendere la misericordia di Dio, e parla in nome di essa, con la sicurezza che gli dà la fede e la conoscenza lucida di quello che la scienza della fede gli suggerisce, e il Padre, il Santo e il teologo si accordano nella sua parola confortatrice= misericordia et veritas obvia¬verunt sibi, dice il Salmo (Ps., 84, i i).
Così l´assiduo richiamo alle industrie del demonio, quale si sente nelle parole che il Maestro rivolge ai suoi discepoli, non può, nel¬l´ora in cui l´anima del santo alunno sta per lasciare il suo conforta¬tore, non ritornare al pensiero di lui, che vuole assicurarsi su tutto e, per così dire, premunirsi e attrezzarsi per i giorni in cui dovrà fare da sè: « Se il demonio venisse a tentarmi, che cosa gli dovrei rispondere?"». Per noi, che abbiam presenti le parole di quanti lo conobbero, che si risolvono tutte in ritenerlo un angelo in carne, e fanno pensare (qualcuno Io dice) che il diavolo non abbia mai osato accostarglisi: per noi codesta sollecitudine è commovente. Noi, poveri nani della virtù, gli vorremmo dire: E che hai da temere del demonio, tu che non hai mai commesso neppure una venialità volontaria? Ma sono appunto i Santi, e quanto più sono Santi, quei che diffidano di sè e temono del nemico; non c´è santità senza quest´assiduo timore. Ma questo è bene il momento di rassicurarlo, e Don Bosco trova le parole echeggiate dai discorsi dei Santi nell´ora che l´antico avver¬sario si attentava di scuoterne la fiducia: « Gli risponderai che hai venduta l´anima a Gesù Cristo, e che egli l´ha comprata col prezzo del suo sangue. Se il demonio ti facesse ancora altre difficoltà (l´eu¬femismo qui è da artista santo!), gli chiederai qual cosa abbia egli fatto per l´anima tua. Al contrario Gesù Cristo ha sparso tutto il suo sangue per liberarla dall´inferno e condurla seco lui in Para¬diso ».
No: Don Bosco non fu presente alle ore estreme del suo santino; ma, se anche la morte di lui non fosse stata angelicamente serena e senz´angoscie, egli l´aveva già preparato e premunito, come se gli fosse accanto. Non gli dice: se viene la tentazione, gettagli in faccia il tuo motto: « la morte, ma non peccati»; non: ripeti questa o quella
(i) Non mirava a questo l´Esercizio di buona morte, con le riflessioni che l´accompagnavano, e la confessione accurata e tranquillante che n´era il fatto ca¬pitale?

521
preghiera o giaculatoria; no: gli mette in bocca la risposta che scaccia il demonio e rasserena il suo spirito. C´è in questo suggerimento tutta una scienza di Santi.
0 o o
Il fanciullo si rassicura. La sua non mai intermessa unione con Dio, che gli faceva presentire il Paradiso (non poteva nominarlo, dice un teste, che non levasse gli occhi al cielo) (i), ora glielo avvicina come se fosse alla soglia di esso, e il cuore, il cuore teneramente av¬vinto alle persone che gli son care, alla famiglia deI sangue e a quella dello spirito, gli detta una domanda, oh! non puerile, in cui si rac¬coglie un affetto santo, che non vuol lasciare morendo, ma portar seco pure nell´immensa felicità che lo attende, e in presenza della visione di Dio: « Dal Paradiso potrò vedere i miei compagni del¬l´Oratorio, ed i miei genitori? ». Caro fanciullo! vien da dirgli un bacio, come ha detto l´Arcivescovo di Buenos Aires! E Don Bosco, senza badare alle teorie dotte (a), asseconda quell´idea, e dà parola che così sarà: « Si, dal Paradiso vedrai tutte le vicende dell´Oratorio, vedrai i tuoi genitori, le cose che li riguardano, ed altre cose mille volte ancor più belle ».
Il cuore di quell´angelo non s´appaga di vedere; nella sensibilità dell´immaginazione vuole anche più: vedere è bello pér lui, ma l´af¬fetto vuole la vicinanza, la compagnia: «Potrò venire a far loro qualche visita? ». « Potrai venire, purché tal cosa torni a maggior gloria di Dio », risponde il buon Padre, con una sentenza da teo¬logo.
L´anima del piccolo santo si riposa sulle parole del suo Maestro, ch´egli interroga ingenuamente, come se dovesse sapere tutto quello che avviene lassù, e lo ´assedia di domande, dimenticando quelle di prima, che sono state appieno soddisfatte; per sè, egli è già là, sul
limitare del Paradiso, e sta per entrare, e si volge ancora per sapere tante cose e pregustarle. L´immagine è di Don Bosco. « Queste e
moltissime dimande andava facendo, e sembrava una persona che avesse già un piede sulla porta del Paradiso, e che prima d´entrarvi
volesse bene informarsi delle cose che dentro vi erano ».
Due anni dopo, il Magone, un quarto d´ora prima di spirare,
(i) Samm., Cerruti, 573.
(a) Che sono fondatissime, ma che non impediscono ne ai Santi di vedere secondo la nostra immaginazione, né alla Chiesa di valersene nel suo-linguaggio. E l´arte ? Che cosa sarebbe la Disputa del Sacramento delle Stanze di Raffaello, se si fosse tenuto alla dottrina del puro spirito?

522
faceva a Don Bosco una ben diversa domanda: « Quando l´anima mia sarà separata dal corpo, e sarà per entrare in Paradiso, che cosa dovrò dire? a chi dovrò indirizzarmi? ». E il buon Padre gli dice di lasciarne la cura alla Madonna, che vuole ella stessa accompagnarlo al giudizio. Ma, prima di lasciarlo partire, vuole incaricarlo d´una commissione, ed è di presentare i saluti alla Madonna, e pregArla di benedire e proteggere tutti, e aiutarli in modo che nessuno vada per¬duto. E l´incarico è accettato, e poco dopo il Únciullo può dire: « Di qui a pochi momenti farò la vostra commissione », e, detta una giacu¬latoria, spira baciando il Crocifisso.
Ammettiamo che la figura del Magone è riuscita in questo punto meglio che non il Savio nella similitudine di quell´ultimo periodo, che sa quasi di diffidenza, e ad ogni modo non designa una piena sicu¬rezza: ma l´intenzione, non corrisposta dalla forma letteraria, era bene di far comprendere la beata contemplazione di quell´anima, che già si vedeva sulla soglia del Paradiso. Qui per un momento è gioia visi¬bile, che non toglie nulla alla mestizia esterna della dipartita. E questa sarà pel giorno appresso.
o o o
Intanto, come di passaggio, rispondiamo ad una più che ovvia difficoltà che taluno ha mosso o potrebbe muovere. Come mai Don Bosco, tanto affezionato al suo santino da tenerlo ancora del tempo notevole con sè, ora che lo vede aggravato, e sa da lui stesso, al quale è solito credere, che dovrà mancar presto, Don Bosco, che ha tante volte predetta, e con un´esattezza da storico, la morte di alunni suoi (i), non ha veduta la prossima inevitabile fine del suo diletto, e lo ha la¬sciato partire? Il Salotti sente così giustamente questa difficoltà, che s´induce a pensare che il buon Dio abbia voluto « risparmiargli il grande dolore di saper perduto prima del tempo quel tesoro di ado¬lescente » (2). E può esser vero. Non è cosa rara che i Santi, più dotati di carismi profetici siano privati di una rivelazione, e umanamente si siano sbagliati. In fondo è il mistero del Terzo Dolore di Maria, quello dello smarrimento di Gesù (3).
Ma, con ogni rispetto per codesta affettuosa ipotesi, io non credo
(i) Per esempio, quella di Gurgo Secondo, designato nel sogno delle 22 lune (marzo 1854) e morto all´Oratorio il 24 dicembre 1855. Cfr. Mese. Biogr., V,
377-38z.
(2) Op. cit., pag. 219.
(3) Vedine l´ampio mirabile commento in FABER, Il piede della Croce, capo IV:
L´assenza triduana, pag. 186-242-

‘-h, 523
ad un oscuramento od occultazione da parte del Datore dei lumi (e dico oscuramento per eufemismo: giacche con un malato così ri¬dotto, e con tutto quel che già avevan detto i medici, si dovrebbe par¬lare quasi di accecamento o di una ignoranza, che non si può sup¬porre); e penso piuttosto ad una previsione provvidenziale di cose più lontane, in causa della quale Don Bosco si arrende ai medici, e lascia partire il suo santino.
. Poniamo che il Savio fosse morto all´Oratorio: che fine avrebbe fatto la sua salma ? Quella di mamma Margherita, per non dire deI Magone, del Besucco, e di tutti gli altri sepolti nel cimitero comune senza distinzioni: che, come ognuno sa, pochi anni dopo sono, per legge, tratti fuori e messi alla rinfusa in una fossa comune. E i com¬petenti sanno che per la validità del_ Processo di Beatificazione e Ca¬nonizzazione è richiesta jure communi la ricognizione ufficiale della salma del Servo di Dio, dal che non può dispensare se non l´Autorità Apostolica (i). Ora che Don Bosco prevedesse una futura glorifica¬zione del suo santino, nessuno vorrà mettere in dubbio, sol che ri¬cordi le parole da lui dette del Savio, quali risultano dai Processi e dai riferimenti sparsi nelle Memorie Biografiche, e, guardando bene, anche la stessa condotta della Vita che ne scrisse, e la fiducia che sem¬pre inspirò nell´intercessione di lui, e le sollecitudini da lui avute per la tomba stessa di Mondonio (2).
Mi si lasci dunque pensare che l´apparente svista del Santo, o, come qualcuno meno amabilmente supporrebbe, la scarsa tenerezza dimostrata in mandare a morire a casa sua un figliuolo come quello, non provengono da difetto di preveggenza permesso dal buon Dio
(I) BENEDETTO XIV, De Beatif. et Canonizatione Servorum Dei, II, c. 51, n. 6: Si non reperiatur sepulchrum Servi Dei, de cuius agitar canonizatione, hoc probato, Summus Pontifex aut Sacrorum Rituum Congregatio, cum illius approbatione, indulget ut ad ulteriore procedatur, omissa visitatione sepulchri. Ciò fa intendere, per altro aspetto, l´importanza capitale che ha per la Procedura canonica l´esi¬stenza del corpo del Servo di Dio. Praticamente, con tante difficoltà che i Pro¬cessi moderni sollevano (e quelli del Savio e di Don Bosco ne stanno a prova), non so come si sarebbe finito, se vi si fosse aggiunta anche quella dell´assenza del corpo. Per non dire che nella storia d´ogni tempo (e lo fa sentire sovente il Martirologio: cuius Sanctitatem ad eius sepulchrum miracula crebra testantur), la tomba dei Santi tiene un posto primario nella loro venerazione e gloria po-stuma. Pensiamo alla tomba dei SS. Apostoli e alle Catacombe.
(2) SALOTTI, op. cit., cap. XIX, pag. 241 e seg. — A pag. 243 è riferita, dall´autografo, l´epigrafe composta da Don Bosco nel 1864 per la nuova tomba progettata pel Savio, a Mondonio, e non potuta eseguire. Ivi è detto di quelli che » grati e ansiosi attendono la parola dell´oracolo infallibile di Santa Madre Chiesa ».

524 `--,
per cortesia verso di lui, sibbene coprono una più profonda intuizione profetica, predisposta ai fini della Provvidenza per la gloria del piccolo Santo.
0 o o
Ritorno al nostro tema. Quella sera si chiuse nella dolce soavità che i colloqui con Don Bosco avevano infusa nel cuore del santo fan¬ciullo. A sera tarda il eh. Savio Angelo si recava a trovarlo, e, dice, « ragionammo insieme per un po´ di tempo. Le sue parole mi erano soavi più del solito, e mi manifestava il rincrescimento di lasciar l´O¬ratorio, perchè, diceva, « non vi ritornerò più » (i). Il mattino ap¬presso il Cagliero lo visitò ancora a letto, e lo vide alzarsi, « pallido, sì, ma senza dar segni di soffrimento (sic), e tranquillo, sorridente, sereno, ed in perfetta unione e rassegnazione con Dio », e con un con¬tegno così modesto, che doVette dire fra sè e sè: « Che bell´animal che fanciullo prezioso che ha le sembianze d´un angelo! Il piccolo Domenico non è solo un giovane virtuoso, ma un santo: piccolo, ma grande santo>» (2).
(i) Scrmm., Declar. n. r, pag. 434.
(z) Somm., Cagliero, 6o e 34o. Le due deposizioni, relative a due diversi ti¬toli, coincidono nella sostanza, ma variano in qualche particolare. Quello del titolo XIX (pag. 34o) dice che t( Io visitò a letto l´ultimo giorno di sua permanenza » e ricorda che così lo vide t. nell´ultima malattia »: mentre al tit. IV (pag. 6o) dice chiaro che fu t( quella mattina »; e mentre le due descrizioni concordano, le parole dette sono un po´ differenti. È perciò necessario fondere in una le due deposi
zioni, come abbiam fatto noi. •

CAPITOLO VII
Il distacco.
Quel primo di marzo era domenica. All´Oratorio si faceva, di regola, l´Esercizio della Buona morte. Il Savio, così debole com´era, volle farlo con gli altri, e nella forma regolare e consueta. E ad un confidente, che forse lo accompagnava fino alla chiesa (i), « Bisogna, egli diceva, che faccia bene questo esercizio, perchè spero che sarà per me veramente quello della mia buona morte. Che se mi accadesse di morire per la strada, sarei giè comunicato *. Quella volta « far bene questo esercizio » fu una nuova meraviglia di pietà. Lo dice Don Bosco, che altre volte aveva pure notato, come consuetudine, che il suo santino « lo faceva con un raccoglimento che non si può dir maggiore » (Capo XXI): « Fece co´ suoi compagni l´esercizio della buona morte con tale trasporto di divozione nel confessarsi e comunicarsi, che io, che fui testimonio, non so come esprimerlo ». È, come sappiamo, il modo con che il Santo Scrittore fa intendere d´essere stato in presenza dello straordinario, ossia del soprannaturale. Egli deve aver letto nell´anima di quell´angelo, che si sentiva sulla soglia del Paradiso, qualche cosa di veramente paradisiaco, interve¬nuto tra esso e Dio, non traducibile in lingua umana. Credo che, per farcene un´idea, dovremmo richiamare quanto si è venuto dispie¬gando al nostro pensiero delle mistiche comunicazioni e dei senti¬menti più profondi ed infiammati che passarono a volta a volta in quell´essere di santo, e sommarli: tutta la santità di Domenico Savio concentrata in quel momento, come se fosse (e distava di poco, ed egli lo sapeva) l´ultimo della vita. Savio Domenico era quella mattina il Santo che muore.
In quello stato d´animo dispose nel resto della mattinata le cose sue, i suoi addii, poteva dirsi il suo testamento. Ordinò le sue robe
(i) Io crederei il Savio Angelo, che di queste ore ci dà le più intime notizie.

526
nel piccolo baule come non le avesse più dovute toccare. E il Savio Angelo che scrisse questo particolare (i), ci ricorda: « L´indomani poi venne per darmi l´ultimo abbraccio. Mi disse: " Le mie robe le lascio lì; non ne hó bisogno. Consegnale a Don Bosco o a chi verrà poi a prenderle". Poi strinse la´ mia mano e disse con vivo accento: " Prega per me: forse non ci rivedremo più in questa vita. Addio ". Partì, e non l´ho più veduto; ma il pensiero delle sue ultime parole non mi abbandonò mai, e quando mi si recò la notizia della sua morte, escla¬mai: Era un santo! ».
· o o o
Fu quella l´ora degli addii: il cuore intenerito dalla mestizia d´un saluto che sapeva essere l´estremo, non tolse nulla, anzi ravvalorò la reviviscenza dello spirito d´apostolato; col quale era fino allora vissuto -tra essi. Li aveva amati con tutto il cuore per l´anima loro, e non poteva separarsene senza pensare al loro bene, e lasciar loro una parola di più lunga durata, che compendiasse tutto quel che forse in ripetute occasioni aveva loro fatto sentire. Uno per uno visitò i suoi compagni, e per ognuno di essi trovò la parola: «A chi dava un consiglio, avvisava questo ad emendarsi d´un difetto, incorag¬giava quell´altro a perseverare nel bene ». Donde gli veniva tanta
autorità?
Da quel fascino che tutti provavano avvicinandolo, e dall´indefi
nita superiorità che ai santi istintivamente si riconosce: era l´esito d´una cara pedagogia d´amore e di persuasione che conquistava le anime tanto più convintamente, quanto meno vi aveva parte alcunchè di umano, fosse la scienza o l´età o la posizione, e solo vi operavano le ragioni di Dio e il riflesso della sua bontà nel cuore del santo fan¬ciullo. Ciascuno, fu detto dai compagni, si credeva suo amico, ed accoglieva ora come un testamento la parola dell´ultimo addio. Il se¬greto educativo di Don Bosco, che il Savio aveva più d´ogni altro fatto
suo, aveva qui la più nobile e più sicura efficacia.
Dico di testamento. Che fosse nell´intenzione di lui, non c´è dub
bio, quando lo vediamo così intento a non dimenticar nulla e nes¬suno, per lasciare a tutti un ricordo. Perfino ha questo senso il gra¬zioso gesto di onestà scrupolosa, quando chiama un compagno e gli
(a) Somm., Declar. n. i, pag. 454. La relazione del Savio è del 13 dicembre 1858, e il libro uscì pel gennaio del ´59. La coincidenza delle parole ci fa pensare che la notizia del Savio sia stata inserita in tempo sulle bozze. Lo scrivente stesso comincia dicendo: « Se sono ancora in tempo, ecc. ».

527
rimette i due soldi che gli doveva: « Vien qua, aggiustiamo i nostri conti; altrimenti tal cosa mi cagionerà imbrogli nell´aggiustamento dei conti col Signore ». E quell´amico non lo dimenticò finché visse (i).
0 o o
Ma testamento fu davvero, quando radunò i suoi fratelli (il termine è suo) della Compagnia, e parlò per dar loro i suoi ricordi. È un gesto singolare, che nessun altro avrebbe avuto autorità di compiere, e ch´egli solo poteva permettersi, animato da quello stesso zelo che l´aveva guidato nel fondare quell´istituzione. I Santi, per quanto umili in sè ed umilmente collocati, traggono sovente dal proprio patrimonio di virtù superiori, di cadesti ardimenti, ed è lo spirito di
Dio che li muove. Le loro parole hanno allora la solennità di voci superne.
Come abbia parlato il piccolo santo in quell´ora, non sappiamo: Don Bosco non ci dà se non il tema di quel discorso, mettendovi tuttavia un inciso dal quale si deve arguire il tono. « Parlò al confra¬telli della Società dell´Immacolata Concezione, e colle più animate espressioni li ´incoraggiava ad essere costanti nell´osservanza delle promesse fatte a Maria SS. ed a riporre in Lei la più viva confidenza ». Io spero che quando, pronunzia-tosi il -definitivo giudizio della Chiesa, si potranno liberamente istoriare i momenti più belli e significativi della santità del Savio, non mancherà il quadro che lo rappresenti là, in piedi tra i suoi intimi collaboratori, col volto irradiato dalla luce degli angeli, e collo sguardo inteso alla visione di Dio, in atto di pro¬nunziare le parole ardenti dí fiamma divina che gli si sprigionano dal cuore. Tutto quel moto di fervore, che dalla prima idea l´aveva con¬dotto al compimento della sua istituzione, e l´aveva accompagnato nel vivere in essa e nell´animarne la vita, si raccoglieva in un supremo slancio di quella devozione e dedizione totale a Maria, per Ia quale la Compagnia esisteva, e in quella reviviscenza si assommavano e gli apparivano i motivi e gl´ideali che l´avevano ispirata, e la volontà di
(a) Somm.: Anfossi, 259, dice che, sul partire, torrà indietro, per rendere due sóldi, ecc. Il Francesia, 254, lo dice 4 dolente del piccolo debito di due o tre soldi prestatigli per concorrere alle spese dell´altarino, pagando, col permesso del superiore, con un libro avuto in premio. Sarà il medesimo, o c´è confusione nel teste ? Don Rua, z6o, riferisce suppergiù come la Vita, con un particolare: « Ricordo che mi hai imprestato due soldi... Te li restituisco, avendo ricevuta qualche soldo da mio padre per il viaggio a. I tre testi danno la notizia come udita: Don Rua dice pure che il giovane interessato la narrò. Anche l´Anfossi l´apprese « dai compagni che lo circondavano nella partenza a. Somm., 259.

518
apostolato che n´era scaturita, operando un meraviglioso risveglio di bene e di pietà. Tutta quella ingegnosa costruzione di vita santa inclusa nelle promesse fatte a Maria, e disegnata. nella Regola ch´egli aveva stesa per sè e per tutti, si offriva in una sola vista al suo sguardo, e gli tornavano le commosse parole di fiducia che in capo e al termine vi aveva consegnate. Era quasi un´inconsapevole contemplazione, che senza tempi calcolabili, ed anzi in una istantanea visione, gli pre¬sentava allo spirito l´opera, ch´egli, per quanto umile, non poteva contemplare senza vedervi se stesso e i principii vitali, onde aveva
voluto informarla.
E parlò, non di se stesso, ma coll´autorità non pretesa, ma incon
sapevolmente posseduta, di quegli ideali e di quei principii, e li espresse ancora una volta nella forma precisa e concreta con che sta¬vano in capo alla loro Regola, e ne ispiravano la pratica, e ancora una volta rammentò il principio dei principii, ch´era la devozione a Maria e la confidenza illimitata in Lei. Erano i suoi ricordi, che in quell´ora rivestivano la solennità d´un testamento. E le anime belle di quei giovani lo accolsero, tra la mestizia d´una separazione ch´egli diceva senza ritorno, con divota commozione, e come jestamento di lui lo ricordarono poi a Don Bosco. Sul momento speravano an¬cora (i).
o 0 0
Venne il pomeriggio, e l´ora di partire. Il padre è già in portineria ad attenderlo. Il Savio chiama Don Bosco, e quasi con tono di dolce rimprovero, gli dice: « Ella dunque non vuole questa mia carcassa, ed io son costretto di portarla a Mondonio. Il disturbo sarebbe di pochi giorni..., poi, sarebbe tutto finito: tuttavia sia fatta la volontà di Dio. Se va a Roma, si ricordi della mia commissione per l´Inghil¬terra presso il Papa. Preghi affinchè possa fare una buona morte, e a rivederci in Paradiso». Il dispiacere del distacco dell´Oratorio e da Don Bosco si fonde qui conla convinzione dell´imminenza della morte, rinnovando nell´anima l´accettazione del sacrificio. Ma questo non lo turba: tutto presente a se stesso, rammenta a Don Bosco la commis¬sione al Papa per l´Inghilterra: l´idea vissuta in lui tra i fervori della
(i) Analogie e paralleli tra il Savio e Don Bosco abbondano. Tra l´altro l´ana¬logia col fatto del Testamento paterno del Santo Fondatore, scritto tra il sentimento della fine non lontana e minacciosamente incombente, tra il 1885 e 1886, e con le raccomandazioni veramente estreme in cui compendiava scultoriamente i prin¬cipii della sua concezione: lavoro e temperanza, frequenza dei Sacramenti e devo¬zione a Maria SS., devozione illimitata alla Chiesa e al Papa.

L-4-, 529
pietà attiva, e rassodata dalla grande visione, ora tornava come l´ul¬timo. ricordo che si affida sul partire. E lo avvalora il richiamar l´idea
della morte prossima, per la quale invoca le preghiere del buon Padre, e con l´ « arrivederci in Paradiso ».
Ma la sua mano non lascia quella di Don Bosco, ed esso assecon¬dandolo lo accompagna attraverso il cortile, dove in quell´ora son
tutti i giovani. Il piccolo santo, l´amico di tutti, si volge ai compagni: « Addio, amati compagni, dice, pregate per me, e a rivederci colà
dove saremo sempre col Signore ». E forse nontutti, la maggior parte, capirono il senso di quelle parole.
In quel momento egli vede il chierico Francesia, suo maestro
·dell´anno precedente, passeggiare sotto il portico, e si stacca correndo
verso, di lui per salutarlo. Il maestro rimase sorpreso, e al Processo diceva poi: « Egli, di solito, non veniva a salutarmi al partire per andare a casa a motivo delle sue infermità: invece ora me lo sono veduto correre incontro a salutarmi per l´ultima volta. Questo for¬mava allora per me un argomento di sorpresa, che crebbe ancor di più quando pochi giorni dopo sentii annunziare la sua morte » (I).
Il caro fanciullo si avviò verso l´uscita. Ma giunto appena sulla porta, eccolo tornare indietro, e Don Bosco se lo rivide improvvisa
. mente dinanzi, e dirgli: « Mi faccia un regalo da conservare per sua memoria ». « Dimmi che regalo ti aggrada e te lo farò sull´istante. Vuoi un libro? ». « No: qualche cosa di meglio ». « Vuoi danaro pel viaggio? (z). « Sì, appunto: danaro pel viaggio dell´eternità. Ella ha detto che ha ottenuto dal Papa alcune indulgenze plenarie in articolo di morte: metta anche me nel numero di quelli che ne possono parte- cipare ». « Si, mio figlio: tu puoi ancora essere compreso in quel numero, e vo subito a scrivere il tuo nome in. quella carta » (3).
Il fatto e il dialoghetto sono edificanti, e ancora una volta la bell´anima del giovanetto dà prova della sua alacrità spirituale non
(i) somma Francesia, 361. Il SALOTTI, op. cit., pag. z/7, riferisce il fatto da una lettera personale di D. Francesia che dice le medesime cose in altra forma. L´interrogatorio qui citato è del 7 gennaio t000: la lettera è dei 1915.
(i) C´era bene il padre ad aspettarlo, e danaro non occorreva. Ma un po´ di scorta, data la povertà loro, forse non guastava. Perfino Don Rua lo pensò quando, nel fatto dei due soldi, alluse a c qualche soldo ricevuto dal padre pel viaggio a. Cfr. sopra, pag. 527, n. i, citaz.
(3) Di tale indulgenza non si ha memoria. Una benedizione di crocifissi e medaglie con indulgenza in art. mortis era concessa ad triennium il zz febb. 1856, e di tali crocifissi il Savio ne possedeva uno. Quella a cui somiglia la presente, e che fu estesa limitatamente a Don Bosco, è quella concessa al Cafasso, nel 1858, latore Don Bosco stesso. Deve trattarsi di una concessione ad persone= largita a Don Bosco. L´Anfossi (Sontm., 249) confonde le due cose.
20— CAVIGLIA, Don Bosco, scritti, Vol. IV. Parte II.

530
rimessa neppure nei momenti meno propizi al raccoglimento. Ma perché non dovremo anche sottolineare la serenità ch´egli conserva mentre eseguisce appunto il più doloroso dei suoi sacrifici: serenità che gli permette un tratto di arguzia, giocando sulla parola « danaro pel viaggio »? mentre lo riferisce apertamente alla morte che l´attende?
0 o o
Don Bosco non parla, in tutto questo racconto, della propria com¬mozione; ma-tutto dimostra ch´egli ha seguito col cuore ogni parola
e ogni momento, e, senza letteratura di parole, ha impresso in queste pagine il suo sentimento. C´è un rimpianto ove si unisce la mestizia
e l´ammirazione, quando commenta cosi la sua dipartita: « Dopo di che egli lasciava l´Oratorio, dov´era stato circa tre anni con tanto pia¬cere per sè, con tanta edificazione de´ suoi compagni, e dei medesimi suoi superiori, e lo lasciava per non più ritornarvi ».
E c´è quasi il rammarico di non aver saputo comprendere lo stato in cui si trovava, lasciandosi illudere dalle fallaci apparenze del male che lo consumava senza quasi farsi scorgere (I); più ancora,
e questo era doloroso, lasciandosi ingannare dalla sua stessa forza d´animo, che lo teneva sempre sereno e lieto, come comunemente non accade a chi è poco lontano dalla morte, e se lo sente: sì che potevano rimproverarsi di non aver capito abbastanza della sua virtù.
Neppure aveva fatto dubitare di questa possibilità quella sua in¬solita premura nel cercare tutti, uno ad uno, per salutarli, e quel singolare accento ch´egli vi metteva: accento commosso di estremo addio, che li affliggeva, ma non riusciva a persuaderli. Lo stesso af¬fetto che gli portavano faceva velo aí loro occhi. Non sia lungo rileg¬gere le parole di Don Bosco, che mette sè coi giovani e con tutti, perchè anch´egli pensava come loro: « Noi eravamo tutti meravigliati di quei suoi insoliti saluti. Sapevamo ch´egli pativa molti incomodi di salute: ma perchè si teneva quasi sempre fuori di letto, non face¬vamo gran caso della sua malattia. Di più, avendo un´aria costante¬mente allegra, niuno dal volto poteva scorgere ch´egli patisse malori di corpo o di spirito. E sebbene quegl´ insoliti saluti ci avessero posti
(a) Noi, moderni, possiamo deplorare che i medici non abbiano saputo dia-gnosticare il male per quello ch´era veramente- Ma non c´è da levar loro la stima. Anche senza i mezzi d´indagine che ora si posseggono, non si erano poi sbagliati insistendo, come fecero, perchè fosse subito ritirato. E già il dott. Vallauri, tut-t´altro che inesperto, aveva ben fatto capire che il meglio era di lasciarlo andare in paradiso. Era, con un pio eufemismo, darlo per spedito.

531
in afflizione, avevamo però la speranza di rivederlo presto a ritor¬nare fra noi ».
Ma il rammarico di quell´affettuosa illusione è subito compensato dalla certezza più confortevole, e per il santo fanciullo più gloriosa, come quella che poggia sulle ragioni di Dio nel trattare co´ suoi Santi. Don Bosco non esita a proclamare la santità del suo tenero alunno, nel quale egli vede adempiute le parole divine della Sapienza: « Egli era maturo pel cielo; nel breve corso di sua vita erasi già guadagnata la mercede dei giusti, come se fosse vissuto a molto avanzata età, ed il Signore lo voleva sul fiore degli anni chiamare a sè, per liberarlo dai pericoli in cui spesso fanno naufragio le anime anche più buone » (Sap., IV, 7-15).
Non altrimenti parla la Chiesa quando celebra la memoria dei giovani Santi.

LIBRO XII
LA FINE D´UN SANTO

LIBRO XII
LA FINE D´UN SANTO

CAPITOLO I
I due capitoli della " Vita ".
Due soli capitoli, il XXIV e il XXV, bastano a Don Bosco per narrare, e vorrebbe dipingere o scolpire, gli ultimi otto giorni vissuti dal suo piccolo santo; ed è un racconto, dove l´affetto induce a dar rilievo a tutti i particolari, e dove lo stile del discorso è già quasi quello ¬di un´agiografia. Dopo la splendida affermazione che chiude il capi¬tolo precedente, qui il Santo Autore lascia libero passo alle parole, e quelle poche pagine diventano, nella loro verità storica, una cele¬brazione.
È a dolersi che agli ultimi giorni del nostro angelico fanciullo non sia stato presente Don Bosco, e la fine di lui sia avvenuta lontana dalla sua patria spirituale: ne sarebbe venuto, diciamo pure la parola, un poema in atto, che bastava esporre, perché fosse, anche senza versi, un poema scritto.
Ma non senza vantaggio per la storia della santità. Se il nostro Savio fosse rimasto all´Oratorio, con Don Bosco accanto, certamente si sarebbero moltiplicate le occasioni e i motivi di manifestare cose belle e altissime: ma, sia lecito pensarlo, non si sarebbe manifestato ¬così chiaramente e in tutta la sua genuina personalità quella virtù di santo, che, così provvidenzialmente isolato da tante belle circostanze, egli potè mostrare come del tutto personale e ornai connaturata.
L´Autore fu, per vero, diligente in questa parte, nel riferire fedel¬mente quanto gli venne comunicato dalla viva voce e dagli scritti di persone presenti ai fatti, come il Maestro Don Cugliero, e special¬mente il parroco D. Grassi e il padre stesso del Savio, e n´ebbe no¬tizie preziosissime, che appunto formano la materia del suo rac¬conto (i). Ma la poca letteratura (e dico di quantità e qualità) dei
(i) Somm., Cagliero, 34o; Don Rua, 386. — Dice Don Rua: « Chi mandava notizie era il parroco che, pieno di stima per il giovane, lo riguardava come un

536 a-a
riferimenti, e la deplorata perdita dei documenti (i), ci lasciano in più d´un momento all´oscuro. Una lacuna, tra l´altro, inesplicabile, e che neppur per altre fonti è dato di colmare, è la totale mancanza di un anche minimo accenno all´Oratorio, e più, a Don Bosco. Non solo da parte di altri, ma, ed è quasi incredibile, nonchè dolorosamente strano, da parte di quella tenera creatura, che nel separarsene ebbe il merito di un sacrificio eroico. È impossibile, o tutta la storia prece¬dente non fu sincera, che egli, il piccolo santo di Don Bosco, non abbia avuto un ricordo, nè espresso, se non un rammarico, un rim¬pianto, un sospiro d´avere accanto a sè Colui ch´era stato il Padre, la Guida, l´angelo della sua vita, e ch´egli amava teneramente con affetto di figlio e ardenza di Santo.
I pochi testi oculari, a loro volta, e quelli ex auditu a videntibus ci danno, sì, una certa quantità di notizie, che completano ciò che la Vita scritta accenna, o, non conosciute dall´Autore, possono tuttavia inserirvisi in accordo colla tessitura del racconto; ma ne hanno pure di non consenzienti tra loro ó contrastanti col testo, specialmente per
quanto riguarda i particolari della morte, come si vedrà più oltre. In questa parte è ovvio e doveroso attenerci alla sola fonte autorevole e
sicura, ch´è Don Bosco, il quale, se altra volta mai, ha, per la felice indole della materia, tutto l´interesse ad essere rigorosamente fedele alla verità genuina dei fatti (z).
o o 0
Storia veramente Meravigliosa quella di questi ultimi otto giorni. Tutte le virtù, tutte le doti e tutti i doni di Dio, già in lui conosciuti, si danno convegno a renderci un Savio superiore a se stesso e come trasumanato. È poco - dire che riflettono e che compendiano la vita:
dono prezioso: donde sollecitudini eccezionali, e la premura d´informare sullo stato di salute di lui. Dal parroco e dal padre poi vennero le notizie sui particolari edificanti della morte. Tali notizie che sentii leggere nelle lettere del parroco e dei padre, ed anche raccontare a voce, sono in piena conformità con quanto è detto
nella Vita ».
(a) Non si possiede ormai altro che la lettera deI padre, riferita nel testo e la lettera del M. D. Cugliero allegata agli Atti; ma dove finirono le lettele del parroco, che Don Rua e il Cagliero dicono di aver sentito leggere ?
(z) Questo va detto pel caso in cui qualcuno possa un giorno (chè l´assillo della critica non muore) risuscitare un´obbiezione fondata sulle divergenze delle deposizioni e dei documenti. Di questi, oltre la lettera del padre, ne rimane uno solo, ed è di Don Rua, che poi nella deposizione citata riconobbe la fedeltà sto-Fica della Vita, come si vede dalle parole da noi addotte più sopra.

537
bisogna dire che valgono una vita (i). Il piccolo santo, sia per senti¬mento del proprio stato, sia per presentimento, sia pure per il carisma dell´intuizione del futuro, sa che deve morire, e che questo sarà tra pochi giorni: non dice il giorno, ma regola ogni cosa come l´abbia ben sicuro in mente. La sua è non solo preparazione alla morte, ma predisposizione dí essa, e nel pensiero, come nel fatto, può dirsi che egli vien morendo a grado a grado e consapevolmente. E allora, come ogni anima di morente, ma più -quella dei Santi che vivono sempre con Dio, allora sente la vicinanza di Dio.
È una delle gioie della morte bella, ed è fatta di una sensazione deI presente che sta al confine del prossimo futuro, e la cui santità è l´eco del passato. L´attuale vicinanza di Dio, di Dio che s´avvicina e del¬l´anima che lo sente dappresso, è una delle più squisite felicità per colui che nel tempo antecedente ha fatto della sua vita spirituale un culto d´amore e di unione sempre più intima, ed ora tutto l´essere suo è in vibrazione per quella stretta prossimità, alla quale non manca se non l´attimo del trapasso perché diventi contatto. È un´anticipa¬zione velata del Paradiso: la novità, che attende oltre quell´attimo, è
pregustata fin d´ora in quella maniera nuova, colla quale Gesù si fa sentire presente (z).
Come infatti spiegare altrimenti quella dominante e dominatrice calma e serenità di spirito, e quella radiosa letizia, che ha, per chi non sa altro, o vuoi farsi intendere da chi non sa, il nome comune di alle¬gria, e qui ne ha tutte le maniere; e donde provengono quei nuovi modi dell´eroismo, quali sono la pazienza nel soffrire, portata fino al¬l´intrepidezza, ed accompagnata insieme dalla più difficile virtù della bontà sorridente e gentile; mentre è noto che le malattie lunghe di estenuazione, e lo stato morboso di quella propria malattia, rendono così difficile il mantenersi nelle altezze della perfezione, e, quanto meno, ne scemano il garbo e la finezza? Eppure, sotto quella che chia¬miamo allegria e vivacità di spirito, in quella che tutt´al più chiame¬remmo eroica sopportazione, vive nascosta la non mai attenuata vo¬lontà del patire, vive la penitenza cercata, e il santo muore su d´uno strato di gusci di noci e nocciuole, ch´egli si è fatto rendere dagli amici che lo vanno a trovare, per metterli sotto e affliggersi (3).
(a) P quello che si è tentato di fare, con troppa fretta, per Guy de Font¬galland, del quale la vita non fu per nulla una storia da riassumere in una per¬fezione suprema, come avviene peI Savio.
(z) Faccio miei, e -con mie parole, alcuni stupendi concetti del FABF.R (circa le gioie della morte): Conf. Spir. cit., pag. ioo-lot.
(3) Don Bosco non conobbe questo particolare. che apparve nelle deposizioni dell´Anastasia Molino al Proc. Apostolico (1921), dopo che già il Carlo Savio l´aveva

538
o 0 o
Ciò che umanamente stupisce di più, è quella sicura superiorità, quasi una signoria, con che domina tutto, sè e i fatti, e sembra che tutto vada ad allogarsi nell´ordine predisposto da lui stesso, ed il morire avvenga quando egli sa e vuole che sia.
La sua non è una fine trionfante di miracoli e fenomeni straordi¬nari (una visione è accennata, ma non affermata con certezza): è il tranquillo aprirsi della porta dí casa, dove già sapeva d´essere aspet¬tato.
Ma vi entra in un´estasi di tenerezza. Nella vicinanza di Dio ha sentito il battere del cuore di Gesù, e vi ha risposto col suo: l´aprirsi di quell´entrata non è che il sollevarsi del velo d´umanità che gliene occultava la veduta, e la gioia di quella novità è per lui l´inizio dell´e¬stasi eterna della beatitudine. Sarà forse questa la bella cosa ch´egli dice di vedere mentre spira?
t la tenerezza dell´amore quella che accompagna, che pervade ogni momento di quelle ultime giornate e ultime ore. L´anima di lui è immersa in una indisturbata atmosfera illuminata da un incendio d´amore, ed ogni gesto eh´egli compie è pervaso da una commozione di affetto non mai provata, che traspare, ma traspare appena, nelle intensità del fervore, che Don Bosco stesso lascia « immaginare» perchè non può descrivere.
Dire che il Savio degli ultimi giorni è un altro Savio, forse non sarebbe compreso nel suo senso più vero: tanto più che vogliamo ve¬dervi raccolti in un punto tutti i valori che prima, durante la vita, partitamente si affermarono; ma certamente non mai egli fu, così completo e così alto come ora, e così totalmente uno, di quella unità ch´è la persona vera del Santo, e che si porta seco nella beata visione di Dio.
Dovremmo, a voler essere conseguenti, distinguere un altro mo¬mento, il quarto, della storia spirituale del piccolo santo? Ammettia¬molo pure, ch´è vero e bello: ma non più come un moto progressivo, si veramente come lo stabilirsi sulla vetta, alla quale i precedenti con¬ducevano. Da questo non c´è più altro passo che l´entrare in cielo, nel quale il momento ultimo si perpetua. Quasi come l´arrivo del divino Poeta al Paradiso terrestre, dove tutto lo sforzo dell´ascendere
rivelato nel 1915 come udito da lei, ch´era vicina di casa e familiare coi parenti di Domenico, e fu presente alla sua morte. Cfr. Somm., Molino, 105; Carlo Sa¬vio, 98.

`4, 539
finalmente riposa, ed egli, purificato e dimentico dell´umano, con nuove virtù si fa capace di salire alle sfere dei beati.
A legger bene le pagine di Don Bosco, io spero e credo che non si possa pensare se non come ho cercato di far pensare al lettore, e le parole che il Santo autore ha dettate per queste ultime pagine della Vita e per l´ultima ora del suo santo almeno ne sono la prova e la conferma. Don Bosco non fa tutto il discorrere e non usa le parole che occorsero a noi per il nostro compito: ma, pure esponendo ob¬biettivamente quella carissima vicenda, non è ch´egli non apra il suo cuore, e non dica più di quello che esprime. Seguiamo pertanto la storia.

CAPITOLO Il
" Un vero modello di. santità ".
Partito dall´Oratorio alle due pomeridiane di quel primo di marzo in compagnia del padre, trovò, in quella gita tra i luoghi e i colli na¬tivi, e, a casa, nell´affettuosa compagnia dei parenti, un lusinghiero sollievo, che per quattro giorni non gli fece sentire il bisogno di te¬nere il letto. Ma il male lavorava ad estenuarne le forze, e la perdita dell´appetito e la tosse, fatta più violenta e profonda, persuasero a mandarlo dal medico. Il dottor Cafasso riconobbe uno stato grave, e, diagnosticando una polmonite (allora si diceva infiammazione), se-condo la vecchia terapia ricorse, naturalmente, ai salassi (i). A non Contare il giorno, ossia la sera, dell´arrivo, di otto giorni quasi quattro ne passò in piedi, e gli altri in istato di malattia dichiarata; in quattro giorni subì dieci salassi, che furono altrettanti assalti alla ormai esau¬rita resistenza di quel povero essere, e per lui altrettanti momenti di eroismo. La parola non c´è in Don Bosco, ma vi è il fatto e il senso. «t proprio dell´età giovanile il provare una grande avversione pei salassi. Perciò il chirurgo, nell´atto di cominciare l´operazione, esor¬tava Domenico a voltare altrove la faccia, aver pazienza e farsi co¬raggio. Egli si pose a ridere, e disse: " Che cosa è mai una piccola puntura in confronto dei chiodi piantati nelle mani e nei piedi del¬l´innocentissimo nostro Salvatore?" (z). Quindi con tutta pacatezza
(a) Dice l´Enciclopedia Popolare, edit. Pomba, 1849, tom. XI, ad vocem « Sa¬lassi a, pag. 508: € Nelle malattie infiammatorie acute giova esser pronto nel cac¬ciar sangue, e ripetere il salasso a brevi intervalli, se vuolsi ottenere una risolu¬zione pronta: mentre invece, nelle malattie lente e a fondo organico, conviene riservarli pel caso di necessità... Si prescrive il salasso generale sul principio di tutte le affezioni flogistiche viscerali, ed ogni qual volta bramasi ottenere un ef¬fetto pronto in tutta la nostra macchina n. Qualunque altro medico avrebbe fatto
come il Cafasso.
(a) Samm., Anfossi, 280; Cerruti, 388. Con leggere varianti verbali,

`-`i, 541
d´animo, faceziando, e senza dar segno del minimo turbamento, mi¬rava il sangue ad uscire dalle vene durante tutta l´operazione ». Que¬sto non è stoicismo di giovane intrepido; il coraggio umano qui su¬pera il dolore e il ribrezzo in virtù d´una forza superiore, acquisita con la volontà diuturna e l´esercizio della mortificazione per amor di Cristo crocifisso. Non fu il continuo desiderio del piccolo santo quello di soffrire per amor di Gesù?
E c´è altro. Il caro malato sente chiaramente che tutte quelle operazioni non fanno che esaurire più presto, e con efficacia di volta in volta maggiore, le sue già pochissime forze: sente che la vita gli vien meno Vanto più si lavora a sostenerla con quei mezzi; eppure non dice una parola di sfiducia, non una di lamento; non dice: io sto peggio, lasciatemi in pace; subisce e sopporta in piena consape¬volezza, e con allegria, tutto quell´apparato che, a dirlo in buon vol¬gare, finisce con ucciderlo più presto. La nostalgia del Paradiso, che lo ha condotto a quel termine, sorpassa, non dico la paura di morire, ma l´istinto della conservazione, e si tramuta in gaudio per la certezza anche fisica del prossimo adempimento dei suoi desiderii. Non è sol¬tanto Ia rassegnazione cristiana che sopporta per un fine superiore i mali e Ie sofferenze: è Ia gioia della vicinanza di Dio, che non lascia sentire l´umano, ed in ogni passo che questo fa verso la sua fine sente l´appressarsi del momento di trovarsi con Lui. Si può pensare più santamente?
o o o
E non s´inganna. Quei salassi producono sulle prime una fallace euforia: il medico (non facciamogliene colpa) se ne rallegra, e dice pure che « la malattia sembra volgere in meglio a, e i parenti ne re¬stano persuasi e consolati. Egli no, che si conosce e-sa tutto, .e, come ha potuto scrivere Don Bosco poche pagine innanzi (Cap. XXI) « parlava della sua fine con tale chiara-za di racconto, che meglio non avrebbe fatto chi ne avesse parlato dopo la medesima di lui morte a. E questo non è solo un pio presentimento; non può essere che a una rivelazione, avuta da Dio, del giorno e delle circostanze di sua morte"», Ormai, com´è detto poco dopo, « egli contava i giorni e le ore di vita come si calcolano colle operazioni dell´aritmetica, ed ogni momento era da lui impiegato a prepararsi a comparire dinnanzi a Dio » (Capo XXIV).
Quella prima constatazione del medico è per lui un segno del. contrario (l´avrà saputo dalla sua rivelazione ?) e « guidato dal pen

542
siero che è meglio prevenire i Sacramenti che perdere i Sacramenti (questo possiamo intenderlo come uno spunto didascalico dell´Au¬tore), chiamò suo padre: " Papà, gli disse, è bene che facciamo un consulto col medico celeste. Io desidero di confessarmi e di ricevere
la S. Comunione " ».
E fu compiaciuto, benchè i parenti giudicassero, come il medico, che la malattia era in via di miglioramento. E solo per compiacerlo, il Parroco, chiamato a confessarlo, gli portò il Santo Viatico. A quel pio sacerdote andiamo debitori di preziosi particolari, che le sue « sol¬lecitudini ´eccezionali » per quella creatura « ch´egli riguardava come un dono prezioso », indussero a raccogliere e comunicare a Don Bosco (i). Si può dire che, nell´assidua affettuosa cura che n´ebbe (2), non si lasciò sfuggire alcuno dei momenti spirituali in cui quell´anima
rivelava la sua santità. E dobbiamo essergliene grati.
o o o
E qui, sopra la cronistoria, contempliamo con Don Bosco il mo¬mento dell´ultima comunione d´un santo, che « tutte le volte che si accostava ai Santi Sacramenti sembrava essere un S. Luigi ». Egli, il Santo scrittore, ha compreso a fondo quale potè essere quel mo¬mento, e cerca egli pure di animarne, quanto può, del suo senti¬mento il ricordo. Ma son cose tanto profonde e squisite, che si sen¬tono, s´intuiscono, e non si trova parola a descriverle. Egli lo dice: « Ognuno può immaginarsi con quale divozione e raccoglimento siasi comunicato. Tutte le volte che si accostava ai Sacramenti pa¬reva essere un S. Luigi. Ora che egli giudicava essere veramente quella l´ultima Comunione della sua vita, chi potrebbe esprimerne il fervore, gli slanci di teneri affetti, che da quell´innocente cuore usci
rono verso l´amato suo Gesù?.».
Noi, che dai suoi fervori eucaristici abbiam veduto sorgere le sue estasi, non diciamo parole che spieghino il-. fatto interno ; ma possiamo- bene ricondurci a quei momenti, per meravigliarci che quest´intima unione col Gesù dell´Altare non siasi trasmutata in un rapimento soprannaturale. Non debolezza di forze lo impedì, ma la disposizione del buon Dio, che volle creare nel nostro santino-un tipo di quelle morti preziose agli occhi suoi, che nella loro sorridente tran¬quillità e quasi naturalezza dicono del sicuro trapasso dalla terra al
(i) Somm., Don Rida, 355. (z) Somm., Molino, 345•

"-+, 543
cielo. Estasi non vi fu allora visibilmente, perchè già l´anima bella era e rimase rapita nel senso della presenza di Dio fino a quando lo contemplò oltre il velame dell´essere mortale.
E forse fu quella serenità che contrassegna il grado supremo del¬l´unione con Dio, quando, in luogo dell´estasi e dei rapimenti sensi
bili, sottentra uno stato dell´anima dolce e calmo, che attesta il si¬curo possesso del mutuo amore che più non si scioglie (i). Non però che tale placidità non sia talvolta commossa da qualche effervescenza di amore, che, se non conduce all´estatica sospensione dei sensi, ri¬chiama a sè e raccoglie tutta l´anima, si che più altro non avverte e, senz´avvedersene, esprime a voce quel che dice nel cuore (2), L´ah¬biam veduto avvenire altra volta nei rapimento d´un´estasi, ma è pos¬sibile anche fuori di questo stato.
Come nei grandi momenti che distinguono la storia di quell´anima, ed ancora nel rapimento delle sue Comunioni (a), l´abbiam visto ri¬petere le sue proteste della prima Comunione, cosi in questo mo¬mento ultimo, non meno solenne dei primi: « Disse più volte: Si, si, o Gesù, o Maria, voi sarete ora e sempre gli amici dell´anima mia. Ripeto e lo dico mille volte: morire, ma non peccati ». Sapeva egli
in quel momento di essere udito? O per un istante fu sopra se stesso?
Dovremmo pensarlo, al vedere come lo stesso santo narratore vuoi distinguere dalla trepida commozione di quell´ardente apostrofe, la tranquillità in cui si ricompone e discorre da santo coi presenti, ma¬nifestando il suo felice stato d´animo, e traducendolo in una massima da Santo. Seguita infatti così: « Terminato il ringraziamento (cioè l´usato ringraziamento del Giovane Provveduto che si teneva dap¬presso), tutto tranquillo disse: Ora sono contento; è vero che debbo fare il lungo viaggio dell´eternità, ma con Gesù in mia compagnia ho nulla a temere. Oh! ditelo pur sempre, ditelo a tutti: Chi ha Gesù
per suo amico e compagno, non teme più alcun male, nemmeno la morte ».
(r) TANQUEREY, cit., n. 1471. È la settima Mansione di S. Teresa. La Santa di Lisieux visse quasi sempre in questo stato, e non ebbe estasi.
(2) DANTE, Purg., IV, 1-4:
Quando per dilettanze ovver per doglie che alcuna virtù nostra comprenda, l´anima tutta ad essa si raccoglie, par che a nulla potenza più intenda, ecc.
(3) Cfr. pel primo momento, il cap. VIII; e per la Comunione estatica, il cap. XX.

544
o o 0
In tale stato d´animo il piccolo Santo trascorre i restanti giorni di sua malattia (i). Sono quelli i giorni dell´eroismo e della bontà nella pazienza, virtù non umane, ma prove dell´amore soprannaturale e dono dello Spirito Santo (2). Don Bosco non trova altra parola per darne l´idea, se non quella che finora non ha ancora pronunziata, la santità: « La sua pazienza fu esemplare in tutti gli incomodi sofferti nel corso della vita; ma in questa ultima malattia apparve UN VERO MODELLO DI SANTITÀ ». Ed è egli proprio che documenta quel garbo del soffrire, che non vuol far sentire le proprie pene agli altri, e che non può, pel cristiano, non essere soprannaturale (3), e ancora una volta ne dimostra la sopportazione e il coraggio cristianamente intre¬pido sotto il ferro del chirurgo. E quel ch´egli scrive appare risaputo da quanti avvicinano il santo infermo, che ricordano «i grandi esempi di pazienza e di rassegnazione» e come, « convinto di morire, lo si vedeva tuttavia calmo e sereno » (4). Dice il testo: Non voleva che alcuno lo aiutasse negli ordinari bisogni ». « Finchè potrò, diceva, voglio diminuire il disturbo ai miei cari genitori: essi hanno già tolle¬rati tanti incomodi e tante fatiche per me: potessi io almeno in qual¬che modo ricompensarli! » (5). E noi pensiamo alla S. Teresa di Li¬sieux, che, già nell´ultima sera, per non disturbare l´infermiera addor¬mentata, se ne sta immobile per più ore col bicchiere in mano finchè quella si sveglia (6).
Il superamento dei proprii sensi giungeva all´indifferenza per le ripugnanze del gusto e per le irritazioni della sensibilità, per le medi¬cine disgustose e pei dieci salassi che lo ferirono. Né sarebbe un fatto nuovo per noi, che ne ricordiamo l´eroica fortezza e le ripugnanti mortificazioni da lui cercate nel tormentare i geloni e nel raccogliere
(i) Dall´insieme delle circostanze deve dedursi che il Viatico gli fu sommini¬strato al principio della degenza: giacchè poi si nota che al quarzo giorno il me¬dico dà per superato, il pericolo e u vinto il male s, e il giovinetto invece domanda l´Olio Santo, e questo il 9 marzo, in cui alla sera egli muore. Bisogna ammettere qualche incertezza nella cronologia di quei giorni: tanto che un teste, il Cerruti, segna come data della cominciata degenza il 3 marzo e non il 5, come darebbe
il computo secondo il libro. Cfr. Somm., Cerruti, 358.
(2) PETITOT, op. cit., pag. 211.
(3) Cfr. sopra, lib. XI, cap. IV (Bontà net soffrire); e FABER, Confer., cit.,
pag• 49.
(4) Somm., Desideri, 335.
(5) Riferito da- Don Rua concisamente in una delle due Relazioni consegnate
a Don Bosco per la 2a edizione. Cfr. Somm., pag. 466, docum. cit.
(6) op. cit., pag. 253.

545
e mangiare i rifiuti degli altri: non sarebbe, se non lo vedessimo rin¬novato come termine voluto d´nn assiduo esercizio d´amore penitente e tra l´affralimento d´una malattia mortale. Vengono a trovarlo i vi¬cini e gli amici suoi del paese (due, il Desideri e la Molino, ne par¬larono poi al Processo), ed egli si trattiene con essi allegramente, e. li gratifica di noci e nocciuole. Ma si fa rendere e ammucchia i gusci.
Che vuol farne? Lo dice alla buona Anastasia che aiuta la famiglia ad assisterlo: « Per metterli nel. letto sopra il lenzuolo, e coricandosi
sopra, fare un po´ di penitenza ». E osservandogli la brava donna che « essendo così infermo, già faceva penitenza, egli rispondeva: Nostro Signore fu posto in croce, e fece più penitenza di noi» (i). E certa¬naente su quell´ispido strato morì. Come S. Luigi, che fu trovato col fianco piagato dal decubito, fino alla penetrazione del lenzuolo nelle carni, ed egli non n´aveva mai detto parola, anzi aveva nascosto
il suo soffrire, e vi mori sopra (2). Non è questo l´abito dei grandi Santi della vita penitente?
o 0 0
Nulla invece riesce a turbare la sua dolce e calma serenità del sembiante, e a scemare la freschezza dello spirito e « la giovialità delle parole », fino al punto da illudere i suoi sul vero suo stato. A vederlo cosi. com´era, « nè essi nè il prevosto scorgevano alcun pericolo prossimo di morte»; che anzi quel suo offrirsi sereno e gioviale « lo
faceva realmente giudicare (come veniva dicendo il dottore) in istato di miglioramento ».
Egli solo non s´illudeva, e nel tranquillo scorrere di quei po-chi giorni, « impiegava ogni momento a prepararsi a comparire dinanzi a Dio ». Sapeva di non ingannarsi (3). « 0 fosse mosso da sentimenti di devozione, oppure fosse così ispirato da voce divina che gli parlasse in cuore, fatto sta che contava i giorni e le ore di vita, come si calco¬lano con le operazioni dell´aritmetica ». E, quasi per testamento,
« ricordava più volte a sua madre di aver cura di quell´abitino che l´aveva guarita» (4).
Infatti al quarto giorno della malattia, che fu l´ultimo, il medico,
(i) Cfr. sopra, pag. 537, n. 3. — Carlo Savio (Somm., 98) riferisce il fatto come saputo dalla Molino, e questa. a sua volta lo ricorda (pag. 1o5) con meno particolari e una leggera variante. Ma l´impressione dovette essere stata assai viva, se, a tanta distanza, se ne rammentava e discorreva con altri.
(2) MESCHLER, op. cit., pag. 247.
(3) Cfr. sopra, pag. 541.
(4) Somm., Tosco-Savio, 33r.
zI — CAVAGLIA, Don Bosco, scritti. Vel. IV. Parte II.

546
venuto a rinnovare gli ultimi trionfanti salassi (i), « si rallegrò col¬l´infermo e disse ai parenti: Ringraziamo la divina Provvidenza, siamo a buon punto: il male è vinto, abbiamo soltanto bisogno di una giudiziosa convalescenza ». « Godevano di tali parole i genitori ». E il piccolo santo « si pose a ridere » e non senza una punta di bonaria ironia, soggiunse: « Il mondo è vinto, ho soltanto bisogno di fare una giudiziosa comparsa davanti a Dio ». E lasciato partire il medico, contro ogni lusinga, « chiese che gli fosse amministrato l´Olio Santo ».
La pagina del libro ha, per ´vero, arrare questo fatto, un tessuto
più semplice e scorrevole del nostro; ma, come si vede, è così ricca di contenuto, che sarebbe da parte nostra un dovere mancato, se trascurassimo di illustrarla. Non può farsene a meno, se si vuoi in¬tendere tutto ciò ch´essa rappresenta nel quadro della santità. Questa ci si offre ora nella sua veste divota. Il santo fanciullo, in .piena e perfino ingannevole tranquillità e lucidezza, riceve con commossa pietà il Sacramento dei moribondi. Nell´invocazione ch´egli pronuncia prima di riceverlo, egli aduna e congiunge insieme nel suo amore con¬trito il dolore dei peccati, la fiducia nella misericordia di Dio, e la fede nei meriti della Passione di Cristo: tre sentimenti inseparabili dall´anima di chi muore santamente, e che sono vissuti di continuo nella sua pietà. Essi tornano ora insieme ´a ravvivare il suo amore, a dargli la forza e la gioia di morire.
E se pensiamo che le disposizioni dei moribondi sono elevate dalla bontà di Dio ad un´ampiezza che eccede ogni nostro concetto, e la grazia dei Sacramenti scende in essi ad una profondità incon¬sueta (2): quale dovremo credere sia stata l´efficacia di quell´Estrema Unzione nell´anima del nostro santino, che la riceve con luminosa conoscenza e totale adesione del cuore, rispondendo a ciascuna occor¬renza con chiarezza di voce e giustezza di concetti, « che noi l´avremmo detto in perfetto stato di salute? » (3).
o o 0
In realtà nessuno credeva che lo stato di lui fosse così grave. I pa¬renti avevano accondisceso alla richiesta dell´infermo « per compia¬cerlo, perchè nè essi nè il prevosto scorgevano in lui alcun pericolo
(t) Furono dieci in quattro giorni, e dovevano certamente cessare, avendo ormai ottenuto l´effetto.
(2) FABER, Conf. Spir. cit., pag. 93.
(3) Singolare espressione, che ci fa credere che il santo infermo abbia (come poi vedremo farsi dal Magone e dal Besucco) accompagnato ogni unzione con

547
prossimo di morte », anzi ogni apparenza faceva credere ad un miglio-ramento. Ma la fine precipitava, e fu appunto quel giorno stesso. s Eravamo, dice la Vita, al 9 marzo, quarto di sua malattia, ultimo di sua vita. Gli erano già stati praticati dieci salassi, con altri rimedi, e le sue forze erano interamente prostrate (i): perciò gli fu data la Benedizione Papale. Disse egli stesso il Confiteor, rispondeva a quanto diceva il sacerdote (intendi del responsorio rituale) ». E si fece ben spiegare il valore di quella benedizione. « Quando intese a dirsi che con quell´atto religioso il Papa gli conferiva la benedizione apostolica con indulgenza plenaria, provò la più grande consolazione. Deo gra¬tias, andava dicendo, et semper Deo gratias>>. Noi che conoscemmo Don Bosco e i suoi primissimi, i coevi del Savio, ricordiamo che questa giaculatoria, in tale forma, era loro familiare, e ci risuona an¬cora con l´accento proprio di ciascuno di essi nel pronunziarla. Savio l´aveva imparata da Don Bosco. Così gli era familiare l´invocazione in versi, ch´egli subito appresso recitò, volgendosi al Crocifisso, e che
veniva dai vecchi libri di pietà avuti tra mano, probabilmente di S. Alfonso:
Signor, la libertà tutta vi dono, Ecco le mie potenze, il pensier mio; Tutto vi dò, che tutto è vostro, o Dio, E nel vostro voler io m´abbandono.
E qui, ancora una volta, l´ultima, sia concesso di far notare di quali pratiche si alimenta la santità nel suo graduale elevarsi a cime più alte. Altrove fu ricordato un riflesso del Faber sulle preferenze del vero e crescente fervore per le. cose comuni (che Don Bosco e il traduttore dello scrittore inglese dicono triviali) della pratica cri¬stiana (2), e parimenti, da altro luogo, la sentenza che i Santi nella loro sublimità ritornano sempre alla sapiente piccolezza e trivialità
qualche sua invocazione. Si noti inoltre iI noi che abbiamo sottolineato nella ci¬tazione benchè indiretta, perchè chiaramente attesta il riporto, letterale della re¬lazione del parroco.
"(1) Non è facile accordare i due fatti, quello dell´apparente miglioramento e vittoria sul male, che il medico proclama, e quello della totale prostrazione di forze, che induce a dare la Benedizione Papale: tutto ciò nel quarto giorno di malattia, g marzo. Forse c´è confusione nel calcolo dei giorni. La lettera del padre dice bene che « si coricò il mercoledì 4 marzo » sicchè col 9 marzo saremmo al 5° giorno: -Don Bosco dice che il medico disse quelle parole « dopo quattro giorni di malattia ». E il giovanetto chiese l´Olio Santo. Bisogna credere ad un collasso, dopo l´ultima, la decima, cavata di sangue.
(a) Progressi, cit., pag. 418.

548
infantili, con che iniziarono la loro carriera (i): che anzi le pratiche esterne comuni e i riti della Chiesa diventano, per una santità emi¬nente, vasi ricolmi, da cui il Santo attinge virtù da trasformarlo in un Santo maggiore di prima (z). Pel fatto nostro la dottrina ha tanto ´ maggior valore, in quanto è messa a commentare un momento dei dolori di. Maria. Cosi il nostro santino non offre nelle sue ultime ore alcuna di quelle specialità straordinarie, che una divora volgarità attenderebbe da un´anima così elevata e così prossima all´apice della contemplazione, che diventa eterna: ma vive di tante, di tutte piccole cose comuni, che il buon Gesù trasforma come l´acqua in vino, e le infonde nell´anima.
(i) Il piede della Croce, cit., pag. 151.
(2) Ibid., pag. 15o. Cfr. sopra, pag. 307 e 3o8.

CAPITOLO III
Le ultime ore.
Con questo rito supremo si entra nelle ore della morte. È la grande ora per ognuno che vive, e, qualunque ne sia la parvenza, è sempre, per un Santo, un´opera d´arte divina, eseguita con maestria sopran¬naturale, e fregiata dello splendore dell´eterna bellezza (t). Questa bellezza ha veduta Don Bosco nella morte del suo santo alunno, e vi ha dedicato pagine in cui trema la commozione del cuore, e la venera¬zione della santità si fonde con l´ammirazione dell´opera di Dio.
Noi seguiamo, che sarebbe improprio fare altrimenti, il dettato del Santo scrittore, con tanto miglior ragione, quant´è vero ch´esso rimane l´unica fonte attendibile e sicura, e la più affettuosa e più vera descrizione e illustrazione dei fatti.
Ma, prima di leggere quelle care pagine del capitolo XXV, ci sembra opportuno premettere un breve intermezzo storiografico, per non turbare con gl´impacci della critica il tranquillo andamento del pio racconto.
La morte del Savio è riferita dai testi coevi in quattro maniere tra loro dissimili, e perfino contrastanti in tutto o in parte col dettato della Vita. Vuoi notarsi che, salvo l´Anastasia Molino, ch´è teste di veduta, gli altri parlano per udita, e la differenza può dunque derivare o da fonti estranee a Don Bosco, o dal modo d´aver inteso ciò ch´egli rac¬contava a voce, o, meno probabilmente, da varianti ch´egli stesso in decorso di tempo venne facendo a volta a volta nel parlarne. Vediamo quelle testimonianze.
Il Cerruti (a) dice d´aver letto la lettera d´annunzio del padre, dove aggiunge che « il medico dottor Cafasso (ora defunto), giudi¬cando che si trattasse di polmonite, gli fece in quattro giorni otto
(i) FABER, COnfer. Cit., pag. 135.
(i) SOMM., Cerruti, 55: Proc. Apostolico, 1915.

550
salassi. Mentre si stava rilassando la ferita per la nona emissione del sangue, Domenico spirò serenamente quasi senza che noi ce n´accor¬gessimo*. È in pieno contrasto col racconto della Vita. Ma, pure ammettendo che il Cerruti. abbia letto la lettera del padre (non unica fonte, del resto, e certamente poi spiegata di persona a Don Bosco dal padre stesso, che non era molto letterato), deve dirsi che, non l´ha riferita esattamente. Leggiamola noi: La malattia fu in questo, cioè si coricò il mercoledì 4 marzo, e sotto la cura del Sig. donar Cafassi gli fecero dieci salassi, e nel mentre che stavamo per intendere qual fosse la malattia onde scrivere a V. S., ci mancò come sopra dissi, avendo pure la tosse alquanto profonda (i). La relazione del Cerruti altera il conte¬nuto del documento, creando senz´altro i fatti a modo suo. Non ha perciò alcun valore. Nè, in confronto con questa lettera (e con questa medesima deposizione) può valere l´altra del 1909, enunciata per altro articolo (2): che egli ha sentito dire da Don Bosco e da Don Rua che il Servo di Dio andò a casa il I0 marzo 1857 (ed esso, così amico del Savio, non se n´era accorto?); che si coricò il 3 del mese, e in sei giorni gli furono fatti dieci salassi. Passi per i sei giorni che dal 4 al 9 (contando anche il primo giorno) ci stanno, e appunto di sei giorni parla la lettera del M.o Cugliero, e così ci starebbe la diffe¬renza tra gli otto e i dieci salassi delle due deposizioni; ma donde viene quel 3 del mese? Senza voler svalutare la parte del Cerruti nel Processo, ch´è delle più preziose, qui bisogna riconoscere una con¬fusione, strana in un uomo di quella levatura, ma- spiegabile a tanta distanza di tempi.
L´Anastasia Molino, vicina di casa e amica dei Savio, che aiutò ad assistere l´infermo, ci lasciò detto: « Io fui presente agli ultimi momenti della sua vita, e ricordo che, mentre un buon vecchio gli stava raccomandando l´anima, egli lo fissava ed accompagnava col cuore le preghiere. Erano pure presenti il suo padre, sua madre e alcuni vicini di casa: Spirò placidamente. Ricordo che riceveva so¬vente la visita del parroco, e suppongo (sic) che abbia ricevuto i Sa-cramenti » (3). Salvo quella figura del buon vecchio in più, che non appare in tutta la restante tradizione, e forse è dovuta ad un feno¬meno di paramnesia, ben ammissibile in donna più che ottantenne, il resto può accordarsi col racconto della Vita, a cui sostanzialmente non contraddice. Ma la buona Anastasia qualche anno prima n´aveva
(r) Riferita testualmente dall´originale, e allegata al Processo, come in Somm., pag• 364.
(2) Somma., Proc. Ordin., Cerruti, 358.
(3) Somm., Molino, 345.

551
parlato con Carlo Savio (i), adducendo altro importante particolare, « Diceva che, presso a morire, confortava i parenti dicendo: Non pian¬gete: io vedo già il Signore e la Madonna con le braccia aperte che mi aspettano. Così detto spirò ». Con meno precisione essa medesima, interrogata nel 1921, raccontava che « negli ultimi giorni, aggravandosi e vedendo sua madre afflitta, le diceva: Mamma, non piangere, io vado in Paradiso! E diceva di vedere il Signore e la Madonna e i Santi » (a). La notizia tuttavia non contraddice alla Vita, e viene a completare e dar senso alla presunzione insinuata dalle ultime parole del-morente: « Oh che bella cosa io vedo!».
Il Cagliero, a sua volta, afferma con asseveranza qualche partico¬lare non riferito nella Vita, e una variante degna di nota: « Depongo che ho letto quanto suo padre e il parroco dissero degli ultimi mo¬menti del Servo di Dio, e lo udii pure raccontare all´Oratorio: che cioè, presago della sua morte, richiese egli stesso, contro il parere del me¬dico, dei suoi e dello stesso parroco, che non lo credevano tuttavia in .fin di vita, gli ultimi Sacramenti: ilare nel volto, calmo nei suoi do¬lori, e premiato per la sua vita innocente con una visione della SS. Ver¬gine, verso la quale stendendo le sue delicate e giovanili braccia, dolcemente spirò nel bacio del Signore » (3). La variante è nel gesto richiamato dalla visione, col quale il fanciullo spira, non colle mani in croce sul petto, come dicono Don Bosco e Don Rua.
Quest´ultimo ha accennato alla morte del Savio in una delle due Memorie ch´egli stese a richiesta di Don Bosco (4), ed ha qualche spunto suo proprio. « La sera, prima di morire, non potendo più esso, fecesi leggere le preghiere della Buona morte che trovansi nel Giovane Provveduto, ed egli le accompagnava » (5). Più- oltre scrive (6):
(I) Somm., Carlo Savio, 333•
(a) Somm., Molino, 344. — Anche il Francesia, ibid., 329, deponeva che ´ a Mondonio una buona vecchia (è la Molino) gli raccontava delle belle parole con che le parlava del Paradiso, a cui sentivasi vicino s. Anche qui si avverte l´impre¬cisione delle circostanze.
(3) Somm., Cagliero, 340.
(4) Sono allegate al Processo: Somm., Declar. n. 6 (pag. 451-454) e Declar. n. 7 (pag. 464-466). La prima è evidentemente dei r859, -giacché riporta grazie poi inserite da Don Bosco nell´Appendice all´edizione 283a, e che sono datate. La seconda può essere stata redatta nel 1858: certamente (e lo si vede dall´origi¬nale) fu ritoccata dopo la la edizione. È una questione che ha dato da fare nella discussione del Processo. Ma non si dimentichi che, quando scriveva, Don Rua era un chierico ventenne o poco più (n. 1837).
(5) Somm., Declar., n. 7, pag. 464. Il primo inciso è cosa punteggiato da noi, nel testo mancano le virgole e, non essendo collegato con alcun cenno precedente: può confondere la cronologia.
(6) Loc. cit., pag. 465.466.

552
« Un´ora e mezza prima di morire, dopo aver ricevuti tutti i Sacra¬menti, vedendo che il Parroco usciva, lo dimandò e gli chiese qual¬che ricordo. Il parroco gli rispose: « E che mai vuoi elle ti lasci per ricordo ? Per me non saprei più che dirti che ti ricordi della Passione del Signore: non saprei dirti altro, per ora ». Uscito il parroco, s´ad¬dormentò, e di li a poco, svegliatosi, rideva, e andava dicendo: « Oh! il parroco voleva dirmi, voleva dirmi... oh! questa è bella! non posso più ricordarmi di ciò che voleva dirmi ». E così dicendo, con aria di paradiso spirò colle mani congiunte in forma di croce innanzi al petto, senza fare il minimo movimento ».
L´ultimo periodo è senz´altro quello della Vita, come poi il rac¬conto che segue, dell´apparizione del Savio defunto al padre (Capo XXVII), messo in calce alla Memoria dopo la prima edizione del libro. Ciò che precede coincide per lo più col testo del libro, ed è perciò una reminiscenza della relazione del parroco, che Don Rua attestò poi d´aver «udito leggere ed anche riferire a voce ». Ma le coincidenze verbali son tali e tante che, pur riconoscendo nello scri¬vente una memoria, quale fu, felicissima, difficilmente possono av¬verarsi senz´aver avuto sott´occhio e ricordare un testo scritto (t).
Ma, dato che cosi sia, come si spiega la forte differenza (differenza radicale!) di senso che hanno le ultime parole dette dal Savio tra il testo del. Rua e quello di Don Bosco ? Sarebbe un fatto ben grave, se la forma autentica fosse quella del Rua: l´idea della visione, o di quel che potè apparir tale, sarebbe senz´altro annientata, e Don Bosco farebbe la brutta figura di chi travolge le parole per impre¬starvi il senso che vuole. Per buona sorte, Don Rua si corresse da sè, già ogni volta che affermò l´intangibile veracità dello storico libro: ma soprattutto quando asserì che le lettere del Parroco « sono in piena conformità con quanto è detto nella Vita» (2): e le altre testi¬monianze ne confermano il senso.
A codeste maggiori o minori divergenze noi possiamo contrap¬porre un documento concordante, che certamente fu per Don Bosco un aiuto prezioso. È la lettera o relazione ben nota fin dal principio della biografia, del M.o Don Cugliero, del 19 aprile 1857, di cui al Capo VI del libro viene riportata solo la parte che descrive la con¬dotta tenuta dal Savio a Mondonio, e che invece continua con i cenni
(t) Cfr. sopra, pag. 277, n. i, la citai. dal Somm., pag. 356. Se il Cerruti, allora inferiore a Don Rua, potè leggere la lettera del padre, ricavandone quel che sappiamo, perchè a Don Rua, confidente già allora di Don Bosco, non potè essere mostrata la lettera del Parroco, almeno quando s´accingeva a stendere la sua Memoria?
(2) Somm., loc. cit., pag. 356.

553
sugli ultimi suoi giorni. « La sua malattia polmonaria fu breve di soli sei giorni: lungo la medesima non mosse mai lagnanze, ma rasse
gnato sopportava i dolori; devoto oltre ogni credere della SS.ma Vergine Addolorata, ne ripeteva sovente il nome e invocava anche negli ultimi periodi del suo vivere. Nell´ultima visita che gli fece il prevosto di Mondonio, dopo d´aver già ricevuto il SS. Viatico, Io
pregò di lasciargli qualche ricordo: e giunto agli estremi della sua vita, non permettendogli le forze di leggere, pregò il proprio genitore acciò
gli leggesse l´apparecchio alla morte, acciò confortato da quei religiosi
sentimenti, potesse, piena la mente di queste idee, passare all´altra vita: accondiscese il padre con le lacrime agli occhi al pio desiderio
di Domenico, il quale, pochi istanti dopo, invocando il nome di
Gesù e di Maria, s´addormentò nel bacio del Signore. La sua morte fu tranquilla carne fu la sua vita, e pare che non sentisse dolore di sorta ».
Parecchie espressioni sono qui come nel testo della Vita, e l´ultimo periodetto ha certamente suggerito all´Autore di essa più d´un pen¬siero.
Dispensiamoci da ulteriori commenti. Il lettore vede da sè come, salvo quelle del Cerruti e del Rua, di cui si è misurato il valore, le
varianti non sono sostanziali, e si spiegano ovviamente in testi di udita e in particolari condizioni; sicchè le relazioni convergono nel fondo con la Vita scritta, ed anzi ne completano qualche punto non ben definito, come quello della visione della Madonna o del Paradiso, che Don Bosco non si arrischia a chiarire.
Sicchè, come dicevamo dapprincipio, la via più sicura è pur sempre quella di attenerci alle pagine di Don Bosco.

CAPITOLO IV
La bellezza della morte.
Il Santo scrittore, per mettere in piena luce la santità e la bellezza di quella morte, muove da un riflesso che torna ad esaltazione del suo diletto santino, vedendo nei modi soavi di quella un premio dato da Dio alla santità della sua vita (Cap. XXV). E non sono concetti trovati per l´occasione: ogni proposizione, ogni idea, sono perfettamente con¬sonanti con la più solida e alta dottrina spirituale, e quello è uno dei tratti in cui Don Bosco rivela in poche parole quello che fu nella sua vita di studioso il possesso della scienza sacra, da lui assimilata e tra¬dotta in valori spirituali, volgendo l´opera della memoria in opera di pensiero e di vita (i).
Invero non c´è in questa pagina del nostro carissimo libro una riga, che non abbia la sua corrispondenza e conferma e un´ampia illustra¬zione, nelle pagine di quella magistrale trattazione Sulla morte, che occupa tutta una serie delle mirabili Conferenze del dottissimo e pio P. Faber, che ho tante volte, anzi abitualmente, richiamato a consoli¬dare la fondatezza delle idee e la squisitezza della spiritualità contenuta in questa Vita.
È la nota della serenità, della pace, della gioia, quella che Don Bosco vuole esaltare nella morte del suo piccolo santo, come speciale dono di Dio: quell´aura di soavità e di calma dolce e consapevole che spira intorno a quell´anima di Santo, mentre s´appresta ad en
trare nel gaudio eterno.

(i) «L´uso principale della teologia dogmatica non è forse quello d´essere la base della santità? Colui che separa la dogmatica dall´ascetica pare voglia as¬serire una proposizione come questa: la cognizione di Dio e di G. Ciisto non è principalmente destinata a santificarci; oppure questa: la santificazione non ha dipendenza necessaria dall´ortodossia». E ciò è detto precisamente per le relazioni che intercedono tra il ben vivere e il ben morire. Cfr. FABER, Conf. Spir., cit., Sulla morte, pag. 105. — Il medesimo concetto svolgeva PP. Pio XI nel discorso tenuto agli Studenti Salesiani dell´Istituto (ora Ateneo) Teol. di Torino, il 6 giugno 1929, al quale fui presente: t Non teologia senza ascetica, nè ascetica senza teologia*.

´N 555
Potremmo dire che sarebbe da meravigliare se così non fosse, ripensando a tutto il tessuto di quella storia spirituale, che nel nostro santino non fu altro mai se non innocenza e. virtù e pace e gioia in¬terna ed esterna: parrebbe che quel sorriso angelico non possa can¬cellarsi neppur colla morte. Ed è bene il pensiero da cui muove lo scrittore (Capo XXV): « È verità di fede che l´uomo raccoglie in punto di morte il frutto delle opere sue: Quae seminaverit homo, haec ét metet. Se in vita sua ha seminato opere buone, egli raccoglierà in quegli ultimi momenti frutti di consolazione; "se ha seminato opere cattive, allora raccoglierà desolazione sopra desolazione ». È la fon¬data dottrina che la morte si prepara colla vita e la morte buona colla vita buona, e con la vita cattiva la cattiva morte.
- La massima si riferisce ad ogni morte generalmente: ma il pen¬siero dell´Autore è fisso nelle consolazioni che confortano la morte dei buoni e nelle desolazioni tormentose dei cattivi in quel. punto. Giustamente tuttavia contrappone il fatto delle tribolazioni dei giusti in punto di morte. Anche i Santi, lo sappiamo, hanno penato e tre¬mato in quei momenti; anch´essi hanno dovuto lottare contro le ten¬tazioni e gli assalti del maligno spirito, o provato i timori e l´ango¬scioso dubbio di se stessi; anche le pene fisiche e morali furono talora un attentato alla pace dello spirito (i). E il Santo autore ne dà la spiegazione, tra le tante, più ovvia e confaciente alla divina Bontà. «Nulladimeno, prosegue a dire, avvien talvolta che anime buone dopo una santa vita provino terrore e spavento all´avvicinarsi l´ora della morte. Questo accade secondo gli adorabili disegni di Dio, che vuole purgare quelle anime dalle piccole macchie che forse hanno con¬tratto in vita, e così assicurare e rendere loro più bella la corona di gloria in cielo >>. Cosi ragiona pure l´autore che soglio accostare a Don Bosco, immaginando una silenziosa visita, un secreto colloquio di Dio con l´anima del morente, con che « talora vuole incoraggiare l´anima col lodarne gli antecedenti e per darle un pegno e farle pre¬gustare un sorso della sua felicità; ma talora lo fa per punire: per sua misericordia, per somma compassione, ma pure per punire e severa¬mente, come se anticipasse parzialmente il giudizio: ma per punire al di qua della tomba. O manda un panico nella nostra anima, o ci ri¬vela più chiaramente quel particolare difetto, o permette delle tenta¬zioni analoghe a quella colpa speciale, o in qualche altro modo Egli ci castiga: ed è un tratto del suo amore, benchè un po´ duro per noi a subirsi* (a).
(i) Cfr. la preziosa analisi di tali pene spirituali in FABER, op. eit., pag. 77-91. (a) Conf. Spir., cit., pag. 6o-6r.

556
o o 0
« Del nostro Savio non fu così, continua il nostro Santo scrittore. Io credo che Iddio abbia voluto dargli quel centuplo che alle anime dei giusti egli fa precedere alla gloria del Paradiso ». È l´idea del Fa¬ber, che qui è volti a far vedere nella imperturbata e sorridente morte del santo fanciullo un meritato guiderdone e un quasi naturale coro¬namento della vita, non mai turbata dal peccato e vissuta eroicamente in Dio e per Dio. « Difatti l´innocenza conservata fino all´ultimo mo¬mento della vita, la. sua viva fede, e le continue preghiere, le lunghe sue penitenze, e la vita tutta seminata di tribolazioni, gli meritarono certamente quel conforto in punto di morte ».
E la premessa, così amorosamente ragionata, si conclude. C´è un adunque che dice molto: « Egli adunque vedeva appressarsi la morte colla tranquillità dell´anima innocente »: come a dire: Un´anima innocente come quella non poteva che morire così, colla tranquillità, la pace serena, la gioia dei Santi. E fu il buon Dio a volerlo, dandone un segno visibile: giacchè non volle neppure lasciargli provare le sofferenze agoniche quasi inseparabili dalla morte: « sembrava che nemmeno il suo corpo provasse gli affanni e le oppressioni che sono inseparabili dagli sforzi che l´anima deve fare per rompere i legami col corpo ». Tornano a proposito le parole di D. Cugliero, dalle quali forse fu richiamato lo Scrittore a far tale riflessione: « La sua morte fu tranquilla come fu la sua vita, e pare che non sentisse dolore di sorta» (i). Possiamo dire persino ch´egli non sentì molto i dolori della propria malattia; tanto meno la sua morte fu accompagnata da dolori violenti, o da dolore alcuno.
Benchè una morte dolorosa possa santificare chi si è formato in vita uno spirito interno capace di sopportarla rettamente, e sovente possa essere un indizio d´amor divino che vuole ulteriormente san¬tificare un´anima: è pur vero che solo le santità elevate possono non trovarsi disturbate dall´acutezza dei dolori corporali (z): mentre la tenerezza di Dio voleva che quell´angioletto non sentisse in quel¬l´ora alcun richiamo che non fosse la voce del cielo. Coloro che vis¬sero solo per Dio, che non ebbero altro desiderio che di Dio, e ne sentirono tutta l´attrazione: che nell´amorosa adorazione della divina volontà si staccarono anche da se stessi: per i quali la fiducia in Dio divenne seconda natura; quelle tempre angeliche in cui la forma sti¬rituale fu l´umiltà di chi per amore teme il peccato e, come il nostro
(T) Docum. cit., pag. 452. (2) Op. cit., pag. 72-73.

"m-, 557
piccolo santo, protesta di voler piuttosto morire che peccare: gl´intimi del SS. Sacramento e di Maria SS. (i): costoro quasi può dirsi che non muoiono: essi riposano in Dio, e s´addormentano, come la fan¬ciulla che spira con gli occhi fissi nel viso di suo padre, e le rimane in volto il sorriso della contentezza (2). Così può Don Bosco dire del suo piccolo Santo, raccogliendo una folla d´immagini che vorreb
bero affacciarsegli: « Insomma la sua morte si può chiamare riposo piuttosto che morte ».
Tra le morti preziose al cospetto di Dio, questa è una delle più desiderabili, perché raduna in sè i valori di molte altre. Ed è caro il soggiungere che i giovani santi di Don Bosco morirono cosi. La morte di Ernesto Saccardi (3) fu allietata dalla certezza ch´egli aveva d´essere quel giorno stesso colla Madonna in Paradiso: il Besucco si riposò mentre aveva ancor negli occhi il bagliore d´una visione della B. Vergine (Vita, cap. XXXI): e « alla morte del Magone, fu scritto dal Santo autore, io non saprei qual nome dare, se non dicen¬dola un sonno di gioia che porta l´anima dalle pene della vita Ala beata eternità» (Vita, cap. XV).
0 0 o
Né altrimenti vuoi chiamarsi quella del Savio. Nella pagina di Don Bosco non c´è la parola, c´è l´idea, ed egli vuol farla intendere a chi legge: « Era la sera del 9 marzo 1857: egli aveva ricevuto tutti i conforti di nostra santa cattolica religione. Chi l´udiva soltanto a parlare e ne mirava la serenità del volto, avrebbe in lui ravvisato chi giace a letto per riposo. L´aria allegra, gli sguardi tuttora vivaci, piena cognizione di se stesso, erano cose che facevano tutti meravi¬gliare, e niuno fuori di lui poteva persuadersi ch´egli si trovasse in punto di morte ».
Quella gioia interiore, propria di chi si sente con Dio; e sa, come egli sapeva, Contando con sicurezza le ore di vita, che gli è vicino e lo attende, gl´irradia il volto, gli splende negli occhi, gli segna sulle
(i) FABER, Conf. Spir. cit., pag. 135-137; 99; 95-96. — Si noti che nel libro del Faber ognuno di questi titoli risponde ad un tipo di morte che perciò è pre¬ziosa al cospetto di Dio: qui noi /i troviamo adunati in una persona medesima, la cui morte è pertanto preziosissima, com´è detto poco oltre nel testo.
(z) Op. cit., pag. 136.
(3) Fiorentino, allievo del Piccolo Seminario (collegio) di Mirabello. Morì il 4 luglio T866 a Torino, assistito da Don Bosco, com´egli aveva desiderato, e il Santo ne desctisse bellamente la morte in una lettera alla madre, riferita M Mem. Biogr., VIII, 422. La Vita, dettata dal suo direttore D. Giovanni Bonetti, è pubblicata in Lett. Catt., anno XVI, 1868.

558 "1"-
labbra il sorriso, e dà allo spirito una luce di cognizione, che sè già prima ha indotto in affettuoso errore quelli che Io amano, ora induce a meraviglia e non lascia pensare che la fine sia cosi imminente: forse non l´hanno mai veduto così radiosamente lieto e riposato.
Gli è che, col dono della letizia, in quell´anima assetata è divenuta sensibile la grazia del desiderio di Dio. t una grazia prima latente tra i molti doni della morte preziosa, e che adesso affiora e domina il tono di quell´opera d´arte divina. Iddio, che dà quel desiderio, toglie adesso ogni timore qualsisia, e il desiderio, che affretta il mo¬mento di morire, è puro desiderio di Dio ed è come il sentirsi sulla porta che- deve schiudersi per giungere a Lui; la felicità del suo stato d´animo lo rende santamente impaziente, non già di finire il tempo,
bensì di cominciar- l´eternità con Dio (i). Più che desiderio della morte, è qui la morte di desiderio: quella che ha in Maria il tipo
impareggiabile, ed è propria di anime alle quali Dio è ogni cosa, e alla cui semplicità non vi è altra cosa. che _abbia valore: quelle che hanno l´esperienza di Dio, ed hanno, nel loro secreto, parlato conti
nuamente con Lui (a).
0 o o
Leggiamo pure. « Un´ora e mezzo prima che tramandasse l´ul¬timo respiro, il prevosto l´andò a visitare, e al vederne la tranquillità, lo stava con istupore ascoltando a raccomandarsi l´anima. Egli faceva frequenti e prolungate giaculatorie, che tendevano tutte a mani¬festare il vivo di lui desiderio di andar presto al cielo ». Suggerire altro da codeste ispirate aspirazioni, sarebbe stato guastare l´arte di pio. Non c´era che da ascoltare ed munir are, come appunto disse, e poi scriveva, il pio sacerdote, che aveva il senso delle cose divine: « Quale cosa suggerire per raccomandare l´anima ad agonizzanti di questa fatta? ». Avrebbe tutt´al più potuto assecondarlo completando o svol¬gendo qualcuna di quelle « frequenti e. prolungate giaculatorie» con le quali il santo agonista si raccomandava l´anima da sè; ma come si poteva, com´è d´uso e di dovere, proporre idee di fiducia, d´impetra-zione dell´aiuto nella lotta, quando lotta non v´era in un´anima trepi
dante solo di desiderio?
E il buon sacerdote assecondò il moto di quell´anima, recitando con lui alcune preghiere; poi, quasi per non disturbare il lavoro di Dio, rispettosamente si disponeva a lasciarlo solo coi suoi pensieri
(i) Op. cit., 12.6-128, ad sensum. (a) Op. cit., pag. 135-136, c. s.

`-´4, 559
di cielo. Ma il piccolo santo non si fidava di sé. « II parroco era per uscire, quando Savio lo chiamò dicendo: Signor prevosto, prima di partire mi lasci qualche ricordo ». «Per me, rispose, non saprei che ricordo lasciarti ». « Un ricordo che mi conforti... ». « Non saprei più che dirti, per ora, se non che ti ricordi della Passione del Signore».
Così deve aver scritto il buon prete: chè certamente non era sua intenzione di lasciarlo morire senz´essergli accanto (i). II suggeri¬mento, a sua volta, non era un´idea piamente casuale: era quanto di meglio poteva proporsi ad un morente come quello, per rinvigorirne la forza nel soffrire, e fargli acquistare merito soffrendo; e c´era be¬nanco il fatto personale, giacchè il buon sacerdote conosceva l´anima del santo giovanetto, che in tutta quella malattia, anche in vista del proprio sangue, non aveva altro pensiero che della Passione di Gesù. Era un ridestare una reminiscenza, non certo obliterata, ma capace di rinvigorire col meritorio ricordo la fiducia tranquilla e la sorridente sicurezza dell´imminente ascesa verso il cielo. Le morti tranquille e placide sembrano essere, secondo S. Andrea Avellino, il dono di coloro che furono particolarmente divori della Passione, e una morte queta e dolce, perfino giubilante, com´è la morte di desiderio, corona una vita vissuta nel ricordo del. Calvario (z).
E se, nel dare quel ricordo, il bravo parroco non pensò con l´Avel
lino, non può dirsi che la virtù confortatrice di quello non sia stata
provata dal santino morente in tutta la sua efficacia. Egli ne esultò,
e la espresse in aspirazioni: « Deo gratias! rispose; la Passione di N. S. Gesù Cristo sia sempre nella mia mente, nella mia bocca, nel mio cuore. Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi in questa ultima ago¬nia: Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l´anima mia!». Delle tre giaculatorie invocatine che, secondo l´uso dell´Oratorio, chiudevano il ringraziamento della Comunione e le preghiere della sera (3), qui ricorda le ultime due, che fanno per l´ora presente, e le dice con piena coscienza e tutto l´ardore dell´anima.
Così doveva averle dette sempre, ogni sera, come ultima preghiera, nell´atto dì prender riposo, come diceva il Giovane Provveduto, ed anche oggi si ripete in tutto il mondo salesiano: «Pensando quindi alla presenza di Dio, colle mani giunte dinanzi al petto prendete
(I) La risposta del Parroco qui è riferita come Ia ricorda il Rua nel suo do-cumento, e come a noi sembra più naturale. Nella Vita sta così: « Non saprei dirti altro, se non che, ecc. ». Il per ora dà all´espressione il suo vero significato.
(z) Op. cit. pag. 72 (e. s.). S. Andrea Avellino faceva notare che Maria SS., S. G. Evangelista e la Maddalena, presenti alla morte di Gesù, morirono in tal modo. E il Faber cita varie rivelazioni.
(3) Giov. Provv., ediz. ra-34, pag. 103 e pag. Sz.

56o
riposo » (i). L´atto del morire fu per lui null´altro che « prendere riposo » e, come lo descriverà Don Bosco, nello stesso atteggiamento che sempre aveva preso nell´addormentarsi. Anche in quel momento, « dopo tali parole, si addormentò, e prese mezz´ora di riposo » (a).
Intorno al letto stavano il padre, la madre, e alcuni vicini di casa (3). Svegliatosi, volse uno sguardo ai suoi parenti: « Papà, disse, ci siamo ». « Eccomi, figliuol mio, che ti abbisogna? ».
« Mio caro papà, è tempo: prendete il mio Giovane Provveduto e leggetemi le preghiere della Buona morte ».
«A quelle parole la madre ruppe in pianto, e si allontanò dalla
camera dell´infermo ».
Ma il santo figliuolo non la lasciò partire così: « Mamma, le disse,
non piangete: io vado in Paradiso! » (4). « E diceva, continua la buona Anastasia, di vedere la Madonna e i Santi ». Forse fu tutto un discorso, rivolto ad entrambi i genitori: « Non piangete: io vedo già il Signore e la Madonna con le braccia aperte che mi aspettano» (5). Può ben essere occorsa una cotal confusione tra i due momenti, il conforto alla madre e al padre, e la visione con la quale rese l´ultimo respiro: ma la nota del momento non può essere inventata, e viene a dare un simpatico tenerissimo tocco d´affetto alla pietà della scena.
o o o
Nei Santi però, e nel nostro non meno, il desiderio d´andar diret¬tamente a Dio, la fiducia sicura del Paradiso, la luce che sembra già rivelarsene, non distoglie dal sentire, che anzi dà un nuovo valore a quell´amore contrito, che si volge alla misericordia di Dio (6). E noi vediamo il caro morente santino seguire e accentuare ogni parola di quella stupenda preghiera, e voler esso pronunziar da solo l´invoca¬zione litaniaca: Misericordioso Gesù, abbiate pietà di me.
(i) Op. cit., pag. 8z.
(z) L´Atto di morte lo dice spirato alle ore io pom. Ciò che segue de
v´essere avvenuto nella mezz´ora precedente. La preghiera litaniaca della Buona morte dev´essere durata qualche poco, tanto più essendo letta dal padre commosso, e non molto esercitato, e restandovi ancora spazio per un breve assopimento. Possiam contare che si sia svegliato circa le 9 e mezzo, e, dopo la non breve lettura della preghiera, abbia ripreso un breve sonno, durato pochi minuti, dopo del quale disse le ultime sue parole.
(3) Somm., Molino, 344.
(4) Id ibid.
(5) Così il conterraneo Carlo Savio, riferendo le parole dette a lui da quella donna. S0712171., Carlo Savio, 333.
(6) FABER, OP. cit., pag. 141 (c. s.): una pagina profonda dov´è detto che la contrizione per amore rende simpatica e attraente la stessa santità.



sbt
Come potesse quel sant´uomo di suo padre resistere in quell´uf¬ficio, è difficile dirlo: l´amore solo lo sorreggeva contro lo schianto dei cuore: « Al padre scoppiava il cuore di dolore, e le lagrime gli soffocavano la voce: tuttavia si fece coraggio e si mise a leggere quella preghiera. Egli (il figlio) ripeteva attentamente e distintamente ogni parola; ma in fine d´ogni parte voleva dire da solo: Misericordioso Gesù, abbiate pietà di me».
Ma l´ultimo articolo richiamò all´anima dell´angelico morente tutto quel che l´amore, il desiderio, la fiducia, la vicinanza trasparente di Dio vi avevano adunato e fuso in un senso precorrente di vita cele¬stiale: l´ultima invocazione non poteva finire con la contrizione, ma con l´inno della gioia e del trionfo: « Quando finalmente l´anima mia comparirà davanti a Voi, e vedrà per la prima volta lo splendore im¬mortale della vostra maestà, non la rigettate dal vostro cospetto, ma degnatevi di ricevermi nel seno amoroso della vostra misericordia, affinchè io canti eternamente le vostre lodi... ebbene, questo è appunto quello che desidero! Oh! caro papà, cantare eternamente le lodi del Si¬gnore! ».
o 0 0
E forse cominciò a prender forma quel suo vedere collo spirito « il Signore e la Madonna con le braccia aperte che l´aspettavano p. E si raccolse in un atteggiamento concentrato, « a guisa di chi riflette seriamente a cosa di grande importanza ». Ai circostanti «parve prendere di nuovo un po´ di sonno », ed era invece l´affisarsi nella vi¬sione che si veniva avvicinando dal fondo della spera luminosa in cui raggiava la luce di Dio (i), e finalmente gli apparve prossima e splen¬dente di gloria.
E fu allora lo slancio irresistibile dell´anima verso Chi lo invitava e lo chiamava, il volo d´un angelo che -s´immerge nel riso della gloria celeste. Le modeste parole del Santo che lo annunzia ci si fanno ora innanzi non senza un voluto contrasto tra l´umano e il soprannaturale, così com´era in quel momento, per chi vedeva, la realtà: « Di 11 a poco si risvegliò (era sonno?) e con voce chiara e ridente: Addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro, ed io non posso più. ri¬cordarmi... Oh! che bella cosa io vedo mai!
» Cosi dicendo e ridendo, con aria di paradiso, spirò ».
L´angelo entrava in cielo; l´umano restava trasumanato nel sorriso che aveva allietato l´ultimo istante della vita che finiva, con la gioia della vita eterna che s´iniziava.
(i ) FABER, op. Cit., pag• 93.
zz — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. V01. IV. Parte II.

562
L´umano, dico, perchè, pure nell´estasi che gli apre iI cielo, non dimentica l´abito deI buon figlio di Don Bosco, che si compone nel sonno eterno, così come aveva appreso pel sonno quotidiano da chi l´aveva aducato nella santità: « spirò colle mani giunte innanzi al petto in forma di croce, senza fare alcun movimento ».
o o o
Prorompe allora dal cuore di Don Bosco l´enfasi di una proda-orazione, a stento prima trattenuta e moderata, e, con l´affetto che la ispira, già si sente la venerazione che un giorno si farà pre¬ghiera: « Va´ pure, anima fedele, al tuo Creatore: il cielo ti è aperto, gli angioli e i Santi ti hanno preparata una gran festa: quel Gesù, che tanto amasti, t´invita e ti chiama, dicendo: Vieni, servo buono
e fedele, vieni: tu hai combattuto, hai riportato vittoria; ora vieni al possesso di un gaudio che non ti mancherà mai più: Intra in gau¬dium Domini tui! ».
Il sorriso di gioia che aveva illuminato l´ultimo andito e giocon¬dava il suo volto di trapassato Don Bosco lo indicava come il segno proprio della sua persona nel riso della gioia eterna di Dio. La figura di Savio Domenico fu sempre, in vita e nel morire, un serenare di sorriso, come un trasparire di letizia angelica: il saluto del suo Mae¬stro Santo lo impersona per sempre nell´aspetto che in ogni tempo egli aveva offerto a chi lo vide, che faceva pensare già ad uno spirito beato « chiuso e parvente del suo proprio riso » (i). Il Paradiso è gloria, ma per il piccolo santo di Don Bosco è, tra gl´innumeri splen¬dori, luce di gioia: Intra in gaudium Domini tui!
Il racconto ritorna al discorso piano. Sul primo momento, la viva¬cità delle ultime parole, e quel « piegare il capo come per riposare, ridendo con aria di paradiso », non lasciarono pensare a quel che era, ma che « realmente avesse di nuovo preso sonno è. Solo dopo averlo lasciato « alcuni istanti in quella posizione », il padre, fattosi a chia¬marlo, s´accorse ch´era cadavere. E sembra, nel leggere le poche righe di quella pagina, che ci ritornino le parole che nel lamento desolato i genitori venivano dicendosi delle virtù del diletto figlio perduto: « Un figliuolo che alla innocenza, alla pietà, univa i modi più graziosi
e più atti a farsi amare! » (2).
(i) Par., XVII, 36.
(z) Un poeta, di quelli che sanno andare oltre i versi, potrebbe farne una commovente elegia, dove il compianto rievocasse le più tenere e simpatiche doti
e virtù dell´amabile fanciullo santo.

563
00 O
Quei sentimenti si riflettono nell´umile, lettera che il giorno dopo il buon padre scrisse a Don Bosco, per annunziargli quella pérdita. Nell´originale è quale poteva renderla un uomo di poche lettere, e, se dobbiamo dirlo, è molto più di quanto potremmo aspettarcene (i): nel contesto del libro Don Bosco ha racconciato un po´ la forma. Ma nulla toglie che, tra l´ingenua espressione del dolore, non vi ri¬splendano due concetti vivi e potenti, non suggeriti dalla letteratura, ma venuti dal profondo dell´anima, convinta e ammirata della santità di quel tenero oggetto dei suo amore. Leggiamola.
Signore molto Reverendo,
Mondonio, li io marzo, 1857.
Con lacrime agli occhi mi presento con questo viglietto a V. S. Molto reverenda ad annunziarle una più triste novella; la quale si è che il mio caro figliuolino Domenico, di lei discepolo, qual candido giglio, qual Luigi Gonzaga rese l´anima al Signore la sera delli 9 andante marzo, ben in¬teso però dopo d´aver ricevuto i SS. Sacramenti una cum (sic!) la bene¬dizione papale-(2).
Lascio il seguito, già citato più sopra. Ed io domando a chi ha qualche pratica dei nostri antichi testi di lingua: scrivono forse meglio
o altrimenti quegl´ingenui preziosi dettatori, di quanto faccia qui il buon Carlo Savio?
Così restano acquisiti alla memoria del piccolo santo volato al cielo i due titoli conferitigli dal padre suo, che nell´avvenire si ripeteranno a sua gloria: egli è quale candido giglio, quale Luigi Gonzaga: un em¬blema anch´esso della purezza angelica.
(t) Il padre di Domenico, SaVio Carlo, non era più illitterata a questo tempo. Come tale figura nell´Atto di matrimonio (1840) e nell´Atto di Battesimo di Do¬menico (1842). Ma nell´Atto di battesimo del primo figlio (184o), che morì il 18 novembre dello stesso anno, il Carlo Savio firma di mano ptopria sul registro parrocchiale di Mondonio. Deve aver imparato da sè quel tanto che seppe. Il Parroco di Mondonio mi faceva notare che nell´atto di Battesimo del figlio Gu¬glielmo (1853) la firma appare n con un sensibile miglioramento nella scrittura ».
(a) Somm., pag. 364. Allegato in Atti. Per la seconda parte, cfr. sopra, pa¬gina 55o.

APPENDICE
· AL CAPITOLO QUARTO DEL LIBRO XII
La tomba di Savio Domenico. — Non è del tutto inutile, benché non strettamente necessario all´ordine d´idee che si viene seguendo, un cenno sulle vicende della tomba del caro santino: tanto più che esse vicende sembrano segnare o accompagnare lo svolgersi della venerazione che le spoglie mortali del Savio vennero via via acqui¬stando, fino al momento in cui furono collocate là, dove, dopo la parola del Magistero della Chiesa, potranno avere un legittimo culto.
Alquanto imprecise, a seconda della memoria personale dei testi, rimasero per del tempo le notizie della prima deposizione; in seguito intervengono i documenti ad accertare i fatti, e le testimonianze non fanno che illustrarli con qualche particolare. Alcune notizie già fu¬rono date dal LEMOYNE, Mem_ Biogr., VI, z8z; VIII, 518-521; dal¬l´AmAnEr, Savio Domenico del Ven. Giovanni Bosco, 1908: Parte II, Memorie, cap. IX; finalmente .dal SALOTTI, op. cit., cap. XIX, pa
gine 241-250.
Con un trasporto funebre modesto per le condizioni di famiglia,
ma affollatissimo pel concorso di quasi tutto il paese, per la stima e la venerazione verso del piccolo santo, del quale s´eran conosciuti i particolari della bella morte (i), fu portato al Camposanto l´i r marzo 1857, e tumulato in una fossa del campo comune all´aperto (z), e già nel 1859 vi era posta una lapide grande, a caratteri cubitali (3),
(i) Somm.: Desideri, 335; Tosco-Savio, 331; Don Rua, 356.
(z) Don Rua, /oc. cit., pensò (egli dice: « panni*, « credo ») che per iniziativa del parroco .e comune consenso della popolazione fosse posto in sito distinto, presso la parete esterna della Cappella: il che non è provato. Le denominazioni di fossa comune, campo comune, all´aperto, sono presso i testi: Carlo Savio, 359; Fran¬cesia, 361; Desideri, 335; Conti, 343; Tosco-Savio, 331.
(3) Desideri, loc. cit. — Nell´Ottobre del ´59 già ve la trovarono i giovani dei-l´Oratorio, andativi in pellegrinaggio. Cfr. Somm., Ballesio, 38z. — Mem. Biogr., VI, z8z.

565
a cura d´un signore genovese che ciò faceva per voto d´una grazia ricevuta ad intercessione del Savio: quella lapide servi a designare
la. tomba del santo giovanetto anche dopo il primo trasferimento, essendo posta poi sulla parete posteriore esterna della cappella. Giac¬ché un primo trasferimento fu fatto, forse nel 1859-60, portando la tomba dal campo comune in un sito adiacente al muro posteriore della Cappella; e forse allora fu anche restaurata la cassa. Così si vengono accordando le divergenze dei riferimenti. Da quella postura non fu più mossa fino al 1866, come più sotto vedremo. E l´epigrafe inedita del 1864 dice chiaramente: « (la spoglia) dal pubblico cimitero era qui trasferita a: cioè nel secondo suo sito (i).
E già in quel medesimo 1859, Don Bosco iniziò pratiche per tra¬sportare la salma da Mondonio a Castelnuovo, legalmente a richiesta del padre Carlo Savio; ma il progetto non ebbe seguito (z). Qualche anno dopo, nel 1864, egli pensava di disseppellire la cassa ,per co¬struirvi un fondamento a tombino: la tomba sarebbe rimasta allo scoperto, nel suo secondo sito, che pare non fosse discosto, ed anzi era adiacente al muro della Cappella (3). Le pratiche, fatte in no¬vembre-dicembre, non ebbero effetto. Per quel restauro Don Bosco aveva già dettata l´epigrafe che citiamo più oltre in testo, e che non fu incisa: essa avrebbe dovuto essere apposta sulla parete adiacente. Non si sa in quale dei due anni (1859 o ´64), ma certamente in una delle due circostanze, la cassa era stata restaurata: lo dice il documento che stiamo per citare.
Solo il 21 novembre 1866 si potè adempiere a quel desiderio, e anche più largamente che non fosse la prima idea; e ne rimane legale documento negli Atti Parrocchiali di Mondonio, a firma del Parroco
(i) Il Desideri, cit., 335, dice che « fu sepolto in una fossa comune, dove stette tre anni (e veniamo al ´59-´6o). In principio dell´anno 186o, per cura di Don Bosco, fu dissotterrato, e messo in una tomba appositamente costruita presso il muro esterno della Cappella cimiteriale, con una iscrizione a caratteri cubita¬li, ecc. ». Ricordiamo che il Desideri, amico d´infanzia del Savio, dimorava a Mon¬donio, ed era Consigliere Comunale. Le sue deposizioni sono sempre assai solide.
(z) Mem. Biogr., VIII, 519. — SALOTTI, op. cit.,
(3) Somm., Conti, 343: « ..• in una fossa comune all´aperto, con una iscrizione nella parete esterna della Cappella esistente nel cimitero, preso cui si trovava k fossa». Forse l´iscrizione del Genovese fu allora drizzata contro il. muro, dove rimase anche dopo. Ciò spiegherebbe il Sito distinto ricordato da Don Rua (356). — La storia di questo tentativo è in Mem. Biogr., loc. cit., e SALorn, loc.
che riferiscono il testo dell´epigrafe. Il Desideri omette la as traslazione (1866) e viene poi alla 3a, nell´interno della Cappella. — Ma forse vide lavorare per la ristaurazione della cassa, come dice il clocum. del i866,

566 `´
D. Luigi.Mussa e degli esecutori e testimonii (i). La salma fu esu¬mata, constatandone l´identità i testi che avevano eseguito la prima inumazione, e che posteriormente ne avevano ristorato la cassa, ponen¬dovi segni certi della medesima. Estratto lo scheletro, per fortuna in¬tatto, nonostante i mucchi di rosari e medaglie posti nella cassa (certo per venerazione e fin dalla prima sepoltura) e ormai corrosi e guasti, il Prevosto, fattoselo « porgere pezzo per pezzo, lo ricollocò (ma parla in prima persona) colle sue proprie mani in una cassa nuova apposita¬mente preparata, assestando secondo le regole d´osteologia (il Mussa era coltissimo) tutti i pezzi al rispettivo luogo e ordine, in modo che lo scheletro ritrovossi tutto compito nella nuova cassa ». ,Da un lato del teschio mise tutti i rasarli e le medaglie trovate ivi, e una mo¬neta coniata nell´anno. Fatto riconoscere il tutto dagli astanti, fu chiusa la cassa, assicurandola con viti di ferro. « Fattala quindi al¬zare diligentemente, la feci collocare nel tombino già preparato entro il muro posteriore della chiesa dei SS. Fabiano e Sebastiano adiacente a detto cimitero, in modo che si trovi sotto l´altare dì detta chiesa» (2). Il tombino ricavato espressamente perforando lo spessore del muro, aveva l´apertura ad arco, e dentro si fece, al posto dove doveva po¬sare l´altare (ch´era appoggiato alla parete), una volta capace di soste¬nere il nuovo altare che il bravo prevosto fece costruire. Sicché si fece non solo un loculo superficiale nella parete, ma una piccola cella • tombale, adatta a tenere isolata la cassa. Diciamo: un lavoro fatto con cura e divozione. E questa era la seconda traslazione.
. Che iscrizione vi fu posta? Purtroppo, non quella preparata da Don Bosco due anni prima, ma quella del Genovese, che il Lemoyne (pag. 521) sembra quasi far credere che sia stata allora recata da Genova, per lo stesso motivo (3).
Ivi rimase indisturbata la tomba fino al 29 ottobre 1906, quando, preparandosi il cinquantenario della morte del Savio, fu di nuovo estratta la cassa, e la salma ricomposta in una nuova cassa (di zingo, dice la Molino, pag. 345), e portata nella chiesetta soprastante, per le
(i) Il Docurn. è riferito testualmente in LEMOYNE, VIII, 520-21, e in SALOTTI, pag. 244. Ma il Parroco non è Amussa Luigi, (come forse fu mal copiato dal¬l´originale), bensì il Teo}. Avv. Cav. Luigi Mussa (il traduttore del Faber che nell´Epifania del 1867 fsrrna da Mondonio la traduzione del Tutto per Gesù, e si dice Prevosto) come da testim. deI Parroco D. Pastrone, suo successore, Somm., pag. 262. — Il Verbale è intestato: « Parrocchia di Mondani°. - Testimoniale di di¬sumazione e di nuova Sepoltura della salma di Domenica Savio s.
(2) Particolari non inutili, per evitare certe inesattezze, incorse nei testi e non in essi soli.
(3) Ma cfr. Mem. Biogr., VIII, 521.

"-h> 567
formalità di uso, e il popolo volle passare a venerare quelle reliquie:
finché, riposta quella in un´altra più grande, fu temporaneamente ri¬messa al luogo di prima.
Nel 1907, celebrandosi il primo cinquantenario della morte (si lavorava intanto a preparare l´inizio del Processo Canonico), si di¬spose la nuova sepoltura nell´interno della Cappella cimiteriale (i), che venne quasi rifatta e artisticamente decorata, e arricchita d´un cam¬panile e d´un altare di marmo. In un elegante sarcofago marmoreo, addossato alla parete in cornu epistolae (a destra, per chi entra) presso l´altare, fu collocata la salma del Servo di Dio, il z6 settembre 5907. La sobria epigrafe latina, dettata dal Francesia, diceva soltanto: Hic — IN PACE CHRISTI QUIESCIT — DOIVIINICUS SAVIO — JOANNIS BOSCO SAC. — ALUMNUS PIISSIMUS. — ANNO MCMVII — AB EIUS
EXCESSU L. », e sulla targa del sarcofago il testo scritturale: Modicum laboravi et inversi mihi multam requiem (Eccli., LI, 35).
Il 4 aprile 1908 la Curia Arcivescovile di Torino apriva il-Pro¬cesso Ordinario informativo sulla vita, virtù e fama di santità per la causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio DOMENICO SAVIO, Alunno dell´Oratorio Salesiano di Torino ». L´11 febbraio 1914 era introdotta la Causa di Beatificazione pel Processo Apostolico. Al¬lora si pensò a trasportarne la salma a Torino, e si fecero le pratiche opportune a nome della vivente sorella Teresa Tosco-Savio.
Il 19 ottobre 1914 si tentò di eseguire i decreti dell´Autorità religiosa e civile; ma la popolazione di Mondonio lo impedì con una opposizione che nei più era mossa da divozione, e in altri da altri men retti sensi (z): il Salotti riporta, fondendo in un solo discorso, le varie
pie parole che il Cerruti e l´Amadei riportarono nelle loro testimo¬nianze (3). Si dovette soprassedere pel momento.
Finalmente la sera del 27 ottobre si riuscì, quasi di sorpresa, e con l´assistenza della pubblica forza, a portar via rapidamente la piccola cassa. All´Oratorio, fatte le debite ricognizioni e ricomposi¬zioni, furono quei resti collocati in un´urna, coi debiti documenti,
(i) E questa fu la terza traslazione fatta in Mondonio. Adunque le spoglie del Savio ebbero quattro successive collocazioni nel Camposanto: nel campo co¬mune, in una fossa presso il muro della Cappella, in un loculo costrutto dall´esterno sotto l´Altare, e nel monumentino all´interno della Cappella, presso l´altare.
(2) Carlo Savio (Somm., 333) dice che vi fu un po´ di sommossa nel paese, e che era « creata da persone che non frequentavano troppo la chiesa, molto in¬vece le osterie e i giochi ». Ma esso e il Conti (testi presenti ai fatti) dicono pure della pietà e del timore delle donne, a pe.. non poter più d´ora in avanti ottenere le grazie di cui si tenevano favorite per l´addietro ». Cfr. ibid., Conti, 343•
(3) Somm., Cerruti, 337; Amadei, 249. SALorri, op. cit., pag• 247-248.


568
e questa in una seconda cassa, che fu tumulata in Maria Ausiliatrice appiè d´uno dei pilastri della cupola (il primo a destra), dove´ poi fu fatto un piccolo monumento composto d´un elegante sarcofago e d´un bassorilievo raffigurante Savio Domenico a colloquio con Don Bosco. Ivi rimase fino a quando, restaurata e rivestita di marmi tutta la Basilica, fu trasferito il monumentino nella seconda Cappella a si¬nistra, dove ora si trova. L´epigrafe posta sul primo monumento (ri¬prodotta nella Vita del Salotti, pag. 25o) segnava la data di quella tra¬slazione e deposizione nella chiesa di Don Bosco: 29 ottobre 1914: l´anniversario dell´entrata del Savio all´Oratorio nel 1854.



LIBRO XIII
POSTUMA

CAPITOLO I
È morto un Santo.
Era, quella del Savio, una morte da santo: ma subito, senza ri¬serva, fu detta e creduta la morte d´un Santo. L´opinio sanctitatis, l´idea cioè che il caro Domenico fosse santo, c´era già in non pochi che lo conoscevano; dal giorno della morte si manifestò apertamente e, divenne, può dirsi, l´idea di tutti. È un punto sul quale la Chiesa concentra la sua attenzione, ponendo i quesiti De fama sanctitatis in vita et post mortem. Ed è di massima importanza anche per noi, che abbiamo condotta una, fors´anche troppo minuta, disamina della santità del caro discepolo di Don Bosco.
Lasciando da parte il criterio agiografico (che del resto conseguita alle risultanze positive), e parlando umanamente, viene ovvia la do¬manda: Come lo giudicarono coloro che lo avvicinarono e conobbero? Ebbero essi il concetto d´un Santo? Più ancora: Don Bosco ebbe codesto concetto e credette- che il suo angelico figlio spirituale fosse un autentico Santo? Perchè, bisogna dirlo, quel termine si adopera anche troppo per designare un cotal grado e temperamento di bene e di virtù, specialmente se vi sia associato anche un fervore non comune nelle pratiche pie: e dire un sant´uomo, una santa donna, un santo prete, non è aver l´idea che possa esservi persona di santo qualificato. Così noi, per non scontrarci ad ogni passo con le giuste riserve di Santa Chiesa, abbiamo messo l´epiteto in modo, che non pretendesse di prevenire i giudizi del Supremo Magistero Apostolico, e solo ab¬bi= parlato di santità, e di atti o virtù di Santo, quando di lor na¬tura i fatti ci si presentavano così come si vedono nei Santi cano¬nizzati (i). Nel caso presente è appunto da vedere se il caro santino fu creduto un Santo, e se Don Bosco, il meno corrivo ad esagerare,
(t) Qualche- lettore forse avrà desiderato che il discorso fosse fiancheggiato di esempi paralleli tratti dalle vite dei Santi. E, punto per punto, sarebbe stato possibile: ma che cosa diventava questo nostro lavoro, già di per sà così abbon¬dante ed esteso ? Ne lasciamo perciò il compito ad altri. E sarà buona cosa.

572 `"..
e il più competente, oltrecchè il solo in vera possibilità di conoscere le cose intimamente, abbia veduto nel Savio un Santo, poniamo, da poter essere un- giorno messo sugli altari.
Tra quel che il libro dice e quel che dissero i testi, e quel che poi, senza pronunziar i termini, Don Bosco disse e fece di persona, c´è da raccogliere quanto abbondevolmente risponde alle nostre domande. E la risposta è affermativa in ogni senso, con una pienezza che non ebbe lieve peso sull´esito del giudizio canonico. Essa è già implicita¬mente contenuta nel libro stesso: giacché la continuazione del rac¬conto nel Capo XXVI e la gran parte del Capo XXVII non hanno altro tema nè altro scopo che di mostrare quale fosse nei giovani del¬l´Oratorio e presso altre persone il concetto che si aveva del Savio,
· e come l´idea desse motivo e impulso ad atti di divozione e di fede nell´intercessione del piccolo santo, e ad una esemplare imitazione delle sue virtù: e se il Santo Maestro non parla di sè e non reca le proprie parole, egli riporta il caldo e affettuoso elogio fattone dal pro¬fessor Picco, e poi riflette nella condotta dei suoi giovani l´efficacia delle parole ch´egli ne disse e che li animavano a ricopiare le virtù del Savio. E fa anche di più: giacché lo vediamo inserire nel testo medesimo i primi immediati esempi di grazie ottenute. Ciò ch´è detto nella Vita è confermato e completato dalle testimonianze dei coevi.
o o o
È intanto, al giungere di quell´annunzio (i), il prorompere di una costernazione tra i suoi compagni; e nel compianto era il rimpianto di chi « piangeva in lui la perdita d´un amico, d´un consigliere fedele: il sospiro d´aver perduto un modello di vera pietà». Noi, conoscen¬done ogni momento ed ogni opera, possiam credere che i motivi di rimpiangerlo fossero molti, e che il compianto rievocasse a una a una
le virtù che gli si erano riconosciute.
Il dettato accenna una prima volta alla cristiana dimostrazione di
affetto, nel radunarsi che fanno alcuni a pregare « pel riposo del¬l´anima di lui ». Ma sentivano che così non potevano pregare; e il maggior numero andava dicendo: egli era santo: ora è già in para¬diso» (2); Manca l´articolo (un santo); ma nelle testimonianze vi è:
(i) La lettera del padre fu scritta il mattino del Io marzo, e dev´essere giunta a Torino (servizio postale) il giorno stesso: (lacchè la mattina seguente già il pro¬fessor Picco ne tesseva l´elogio nella scuola, ricordando ch´era morto ier l´altro.
(z) Somm., Don Rua, 393: 4 La notizia della morte fu una pena per tutti. Ci consolavamo però della certezza che già fosse in Paradiso a godere il premio

573
.era un santo. Così il Melica, il quale ricorda colle medesime parole del dettato il fatto e riporta quell´espressione: Egli era un santo: ora già si trova in Paradiso (i).
E con tale opinione « altri cominciarono a raccomandarsi a lui come ad un protettore presso Dio (2j. Tutti poi andarono a gara per avere qualche oggetto che avesse appartenuto a lui» (Capo XXVI). La ,cosa è confermata, ed è comune l´espressione « andare a gara » presso i testi. Bonetti: Tanta fu ed è presentemente (1858) la buona .opinione che tutti i suoi compagni avevano ed hanno di lui, che alla sua morte andavano a gara di aver qualche memoria, la quale custo¬dire potessero come una reliquia» (a). E gli amici Ballesio e Piano attestano che il sentimento loro, il concetto di virtù eccezionali e di santità, è condiviso dai superstiti compagni dell´Oratorio. « In prova di che, dice il Piano, ricordo che, appena avuta notizia di sua morte, si andava a gara per aver qualche oggetto appartenuto a lui, tenendolo quasi come una reliquia» (1.).
Le parole dei testi coincidono fra loro e con quelle di Don Bosco, e le adduco appositamente a prova della storicità di queste pagine, intese ad esaltare la santità del Savio, e mettere fondamento alla sua gloria postuma (5). Perciò non sarà fuor di luogo richiamare le sva¬riate attestazioni di quel concetto di santo che si espresse subito dopo la morte del giovane Servo di Dio. « La sua morte fu giudicata dagli astanti e da noi tutti all´Oratorio come quella di un Santo. All´Oratorio e a Mondonio si ripeteva ch´era morto un Santo ». Così l´Anfossi, col quale s´accorda il Piano, dicendo che « alla notizia della morte fu all´Oratorio una voce unanime ch´era morto un Santo ». Anche l´accenno al paese trova conferma e compimento nel Cagliero: « Nel concorso alla sua sepoltura dicevano ch´era morto un Santo ». E più ancora fanno al nostro intento le parole del Cav. Conti: « In vita non sentii mai alcuno che lo appellasse santo; ma, dopo morte, udii questo appellativo frequentemente e da numerose persone di Castelnuovo
della santa vita insieme coi suoi intimi amici Gavio e Massaglia, che da poco tempo l´avevano preceduto e.
(i) Sommi, Melica, 379
(a) Di sè, per esempio, lo dice Don Rua: « La mia opinione personale è che sia stato un santo giovane: in conseguenza cominciai tosto a raccomandarmi a lui ». (Somm., tue. cit.).
(3) Scmtm., DecIar. n. 9, pag. 47. La seconda relaz. Bonetti (n. g) è anteriore alla pubblicazione della Vita.
(4) Somm., Ballesio, 373; Piano, 373-74•
(5) Non si dimentichi il fatto che, prima di esser testi al processo, quelli che abbiamo citati furono tra i coevi che informarono Don Bosco.

574
e di Mondonio ». E il Cagliero compendia: « Questa fama di Santo cominciò egli a goderla subito dopo morte fra i conterranei: testimoni i parenti, il Parroco, stati testimonii della sua santa morte » (t).
o o o
Quella sera Don Bosco parlò ai suoi giovani, a tutto l´Oratorio adunato per le preghiere. Uno dei presenti, il Roda, dice che « fece di lui un lungo elogio, ricordando la pietà, la diligenza, l´edificante condotta, e altro: cose che erano perfettamente conformi al vero; e non ho udito nessuno che in segreto abbia criticato quello che Don Bosco aveva detto » (2). Meglio il Cagliero: « Don Bosco annunziò la morte commosso, elogiandone le (sue) rare virtù, e raccomandan¬doci di imitarlo nell´amore allo studio, alla preghiera, all´obbedienza, e specie alla frequenza dei Sacramenti. Lo disse un piccolo San Luigi per l´amore che aveva alla più bella delle virtù cristiane, e che, come lui, ci guardassimo dal contaminarla. Noi eravamo meravigliati di quel piccolo e famigliare panegirico, ricordando benissimo che la sua con¬dotta era stata inattaccabile e perfetta in tutto, fino all´eroismo» (3).
Su questi concetti è condotto il commosso elogio che il giorno dopo (II marzo) improvvisò il prof. D. Matteo Picco nella sua scuola, che il Savio aveva in quell´anno frequentata,´ per quanto possibile, rego¬larmente (4.). Quel discorso « che partiva da un cuore commosso che amava e stimava il Servo di Dio, lasciò nella scuola un´impres¬sione profonda » (5). Saputo di ciò dagli allievi (6), Don Bosco «pen¬sando di tessere a suo tempo una biografia del Savio », « chiese al medesimo professore di mettere in carta ciò che aveva detto, per renderlo di pubblica ragione: ciò che venne fatto » (7). Il che ci spiega lo stile un po´ studiato della redazione pubblicata (8), pure ammet-tendo che allora un professore, come il Picco, badasse a parlare abi
(i) Somm.: Anfossi, 330:51; Piano, 374; Cagliero, 384; Conti, 385; Cagliero,
390.
(2) Somm., Roda, 338_
(3) Somm., Cagliero, 34o.
(4) Bisogna dire che la sera del so marzo il Professore sia venuto all´Oratorio,
forse per aver notizie del Savio, e che Don Bosco gli abbia fatto leggere la let-tera del padre, giunta poco prima: giacché egli dice di averla letta.
(5) Somm., Piano, 373 e 399.
(6) Ibid., Rua, a93
(7} Ibid., Francesia, 398.
g (8) Nella 55 edíz. della Vita appaiono alcune leggere varianti formali: che =
il quale; che = onde; questo = tale; ecc.; quando tal deplorabile caso io vi amrnentava = a quando io vi rammentava quel caso doloroso *. E altro poco.

575
tualmente in iscuola con un po´ di correttezza e dignità. E, tra paren¬tesi, credo che non fosse male.
Ma la sostanza e la condotta di quel discorso, così ripensato, è veramente tale, da farne un non comune saggio di eloquenza e un
documento prezioso. Vi si vede il letterato, che sa disporre con mae
stria la sua materia e sa trattarla con giusta misura; ma soprattutto vi s´incontra l´uomo di cuore, al quale l´intelligenza e l´affetto hanno
fatto scorgere nel santo alunno quel che vi era di più bello e di più santo: vi si trova l´educatore cristiano, amico unanime -con Don Bosco, che sa ricavare dall´esemplarità di quel santo fanciullo i motivi per informare al bene gli animi degli altri discepoli. Il ritratto morale del Savio, che si riflette pure nell´aspetto e nel contegno esterno, è riuscito perfetto, per la compiutezza che nulla dimentica o trascura, e per la vivezza di certi tratti; e l´aver saputo vedere oltre l´eccellenza delle virtù scolastiche, la bellezza dell´animo, la santità del costume, più che tutto la pietà vera e soda che informava i suoi pensieri e le sue azioni, l´aver richiamato, come a prova della sua singolare perfezione morale, il concetto che Don Bosco ne aveva a lui manifestato; la rie-vocazione delle parole della lettera paterna e della bella sorridente morte dell´angelico discepolo, come segna d´innocenza della vita, e la fiducia, velata, ma trasparente,´nelle impetrazioni di lui dal cielo: tato ci dà in questo, più che un elogio, un documento capitale della storia del nostro giovane santo, come quello nel quale si ritrovano e appaiono come conosciute e consacrate alla memoria tutte le sue più spiccate virtù. Com´è descritto nell´affettuoso elogio del Maestro, così appariva il Savio agli occhi dei coevi: e quelli che non erano ritenuti da riserbi speciali, non esitarono a chiamarlo santo.

CAPITOLO II
Dio glorifica i suoi Santi.
Un´elementare prudenza trattiene Don Bosco dall´attribuire co¬desto appellativo al suo santo alunno: ma egli vi crede tanto, e tanto desidera che sia creduto, che destina a tale scopo un apposito capitolo e precisamente l´ultimo, nel quale vuol dare le prove che nel suo san--tino s´incontrano i doni speciali che Dio largisce ai suoi Santi perché siano riconosciuti per tali, e l´esempio loro sia efficace.
Veramente, dopo quanto si è veduto della sua vita di Santo, non c´è da meravigliarsi « che Dio siasi degnato di favorirlo di doni spe¬ciali, facendo risplendere la virtù di lui ». Con quest´idea s´introduce (Capo XXVII) a discorrere di quei doni speciali, che noi possiamo chiamare, poiché per tali anch´egli li considera, e tali generalmente li crede il popolo cristiano, la pietra di paragone della santità stabi¬lita (i). E sono, dall´una parte l´edificazione ed esemplarità, ossia l´au¬torevolezza persuasiva del bene, che le persone dei Santi inspirano a chi li contempla: dall´altra, la fede nell´intercessione, poggiata sull´opi¬nione di santità e sui meriti del Santo; alla quale fiducia, quand´è fon¬data, suole non mancare l´impetrazione o esaudimento.
L´edificazione spirante dal Savio fu uno dei suoi titoli general¬mente riconosciuti dai coevi, e tanto la Vita scritta, come le testimo¬nianze addotte nel corso di questo studio, dimostrano qual fosse in lui la forza attrattiva dell´esempio e dell´apostolato: « mentre egli ancor viveva, molti si davano sollecitudine per seguirne i consigli, gli esempi, ed imitarne le virtù: molti anche, mossi dalla specchiata con¬dotta, dalla santità della vita, dall´innocenza dei suoi costumi, si rac¬comandavano alle sue preghiere » (Capo XXVII).
E i testi superstiti e la fama che rimase dell´efficacia delle pre¬ghiere di lui, segnalano la virtù di quelle intercessioni, ricordando per
(i) Così fa pure la Chiesa, la quale esige l´eroismo-delle virtù e i miracoli per prova della santità, e questa poi dichiara, perchè sia d´esempio ai fedeli, ed essi ricorrano all´intercessione dei Santi.

577
fino vere grazie ottenute per mezzo suo, anche in vita (t). Lo stesso Don` Boscolo afferma: « E si raccontano non poche grazie ottenute per le preghiere fatte a Dio dal giovane Savio, mentre egli era ancora nella vita mortale ».
0 0 0
· Quella fiducia e quella venerazione, ci fa intendere il dettato, crebbe assai dopo la morte di lui (a). Quello che fu detto di sopra, del chiamarlo Santo, e dirlo un Santo, che seguì all´annunzio della morte, è richiamato qui dall´Autore con qualche altro particolare di discorsi allora tenuti, per venire a conchiudere con quello, che già aveva pre¬messo all´inizio del capitolo. Così quando i compagni si radunano per dirgli le Litanie per un defunto, non pochi i ispondevano ora pro nobis, per non dire ora pro eo, com´era di rito; e il libro spiega: « Per¬ché, dicevano, a quest´ora Savio gode già la gloria del Paradiso, e non ha più bisogno delle nostre preghiere » (3). E aggiungevano: -« Se nón.è andato direttamente al Paradiso Domenico Savio, che tenne una vita così pura e così santa, chi potrà mai dirsi che ci possa an-dare ? » (4).
Ed ecco ancora una volta affermato il riflesso pratico di quelle opinioni: « Laonde fin d´allora diversi amici e compagni, che ammi¬rarono le sue virtù in vita, studiavano di farselo modello nel bene operare, e cominciavano a raccomandarsi a lui come a celeste protet¬tore» (.5)-
A questo voleva venire il Santo Autoie, e vi arriva dopo quelle premesse. Per far intendere che il suo Savio è un Santo, egli ricorda alcune grazie ottenute a sua intercessione, e sul finire dirà che ne tiene in serbo non poche: tanto più che .a promuoverne « la venerazione e la confidenza » nel santo giovane contribuì il racconto del padre di
(i) Somm., pag. 455-56: Savio Angelo attesta delle preghiere di Savio Dome¬nico, che l´hanno fatto guarire dal mai d´occhi, e Cagliero, 225, assicura (´effi¬cacia di esse. — Cfr. pure: D. Rua, 393; Cagliero, 323. Di Don Bosco stesso lo ricorda il Cagliero, 322.
(2) Somm., Francesia, 397, 401, 402.
(3) Lo ricorda il Cerruti, Somm., 384.
(4) Che sian tutti Santi da canonizzare quelli che vanno, anche subito, in Paradiso, non è detto: ma santi sono certamente. Ma chi pretenderà da giovani di tenera età e poca cultura certe distinzioni teologiche ? Cfr. in ogni caso DE GUIBERT, op. Cit., § 357-359.
(5) Somm., 426: Durando parla di patronato, e ricorda di sè che, volendo una grazia, ricorse inutilmente a S. Luigi e a Maria SS., e solo per l´invocazione del Savio la ottenne. Così Piano, 398: s l´ho considerato sempre come mio Patrono, e ne tengo continuamente l´immagine sul mio scrittoio ».
23 — CAVIGLIA; Don Bosco, soitti. V 01. IV- Parte IL

578
Domenico, d´una apparizione del figlio defunto e beato, a lui venuta circa un mese dopo la sua morte (i).
Purtroppo, questo racconto, che per altro aspetto convalida l´as¬sunto dell´Autore, è messo in nota già dalla prima edizione, mentre, collocato altrimenti, avrebbe avuto ben altra efficacia. Ed egli stesso lo fa sentire, rilevando la parte non secondaria che quel racconto ebbe nel persuadere molti a ricorrere al santo giovane, ed affermando tutti
i motivi di credibilità, ed anzi di veridicità, che fanno ritenere per autentico il fatto raccontato dal padre del SaVio. Ma a disporre così, quasi fuor di mano, quel racconto, ed anche a chiamarlo « curioso racconto », Don Bosco dovette avere le sue buone ragioni, che, dopo quanto s´è detto altrove, possiamo intendere anche noi. Credo che se avesse potuto rifondere il libro in anni posteriori, a quel fatto avrebbe dato altra posizione: ma il libro conservò sempre invariate le sue linee.
Piace intanto, cosi di passaggio, ricondurre quella visione alle do¬mande che il santo fanciullo rivolgeva al Santo Maestro la sera in¬nanzi alla sua partenza: « Dal Paradiso potrò vedere i miei compagni dell´Oratorio e i miei genitori? Potrò venire a far loro qualche visita? E il Signore permise quella consolantissima visita a suo padre, che fu anche l´unica, secondo che questi assicurava a Don Bosco in per¬sona.
o o o
Tornando al discorso delle grazie ricevute, è bene sottolineare il modo onde l´Autore si esprime: « Quasi ogni giorno si raccontano grazie ricevute ora pel corpo ora per l´anima ». Ciò significa che i ri¬corsi erano divenuti subito numerosi, e le impetrazioni si moltipli¬cavano. Una di tali grazie fu veduta dall´Autore stesso: il giovane smaniante pel dolor di denti, che raccomandatosi al Savio, istanta¬neamente ebbe la calma e non andò più soggetto a quel malore. Si ci¬tano guarigioni pronte dalle febbri, ed una istantanea di cui fu testi¬monio l´Autore. Sembra anzi che questa fiducia nell´intercessione del santino passato al cielo non sia stata nè passeggera nè limitata ai com¬pagni. Scrive l´Autore: « Ho sott´occhio molte relazioni di persone che espongono celesti favori da Dio ottenuti per intercessione del Savio. Ma sebbene il carattere e l´autorità delle persone che depongono
(I) Appare evidente, senza che l´A. lo dica, che tale racconto fu subito co¬municato ai giovani dallo stesso Don Bosco. Nelle Note al Testo si trova la corre¬zione del testo errato della 5a edizione, riducendolo all´originale della prima edi¬zione.

".-N 579
questi fatti siano per ogni lato degne di fede, tuttavia, essendo ancora
esse viventi, stimo meglio di ometterli per ora ». In tal senso parla qualche teste (i).
Teste e protagonista di uno dei fatti di tal genere è quello a cui allude in questa pagina l´Autore, volendo convalidare la sua asser¬zione con « riferire una grazia speciale ottenuta da uno studente di filosofia, compagno di scuola di Domenico ». È Francesco Vaschetti di Avigliana, vestito chierico nell´autunno del 1857, e cioè entrato in filosofia (2), il quale aveva stesa per Don Bosco, una relazione della grazia ottenuta, « perché possa inserire questo nel libretto che sta preparando » (3). Don Bosco si vale di quella relazione, recandola parte in terza persona, parte in persona dello stesso Vaschetti. Il fatto è del i858, secondo la data del testo, che sostituisce « l´anno pas¬sato » che si legge in I edizione. Il buon chierico si trovò così malan¬dato in salute da dover interrompere il corso di filosofia, e rinunziare agli esami di fine d´anno. Tutte le speranze erano per gli esami d´au¬tunno o di « Tutti i Santi ». Ma anche quelle fallirono. Le vacanze autunnali in patria e altrove non portarono che un effimero migliora¬mento, presto svanito, e peggio, col ritorno agli studi in Torino. Don Bosco omette a questo punto la sua parte personale. Il Vaschetti gliela ricorda, rievocando un discorso da lui tenuto ai giovani « dopo le orazioni in parlatorio »: un mese fa, cioè in ottobre (4): « Miei figli, io vi posso quasi assicurare che quel nostro compagno, specchio d´ogni virtù, al presente gode la grande felicità del cielo: anzi, che l´anima sua, appena sciolta dai legami del corpo, siasi volata in seno al suo
(i) Smnm., Cagliero, 383, afferma che la fama di santità che circondava il S. di D. in vita e subito dopo la morte, all´Oratorio, Mondonio e vicinato, non tardò a diffondersi anche per le grazie ottenute, tali che Don Bosco ne consegnò autentiche relazioni alla Curia Arcivescovile. 1I Francesia (ivi 402) crede che le Relazioni autentiche si trovino ancora negli Archivi. Di quelle pubblicate, è vero: delle altre, a cui allude Don Bosco, rimane quasi nulla.
(2) Accettato Salesiano il 3 maggio 186o con altri due, Ruffino Domenico e Donato Edoardo (due giorni prima erano stati accettati Albera Paolo, Garino Giovanni, Monio Gabriele): tutti, dice il Lemoyne, per ingegno, pietà, studio e condotta, fra i primi dell´Oratorio. Il Vaschetti poi passò in diocesi e fu Canonico e Vicario Foraneo a Volpiano. Cfr. Mem. Biogr., VI, 515-552. — Nel Processo è contestis ex affido.
(3) Giunse appena in tempo. II fatto della grazia ci conduce a fine Ottobre dei 1858, e la relazione parla di un mese fa, (cioè un mese prima), quanto al discorso di, Don Boscé-, e di due mesi dalla grazia ottenuta: sicchè fu scritta in dicembre, quando il libro doveva già esser finito e forse in corso di stampa. La relazione Vaschetti è riferita in Somm. pag. 424-25, al tit. De miraculis post obi¬tum tra le « Dichiarazioni di grazie già esibite al Processo dell´Ordinario ».
(4) Intendi « un mese prima » della grazia.

58o
Dio che cotanto amò sopra la terra. Epperciò raccomandatevi pure a lui nei vostri studi. Egli così caro com´è a Gesù e a Maria, vi otterrà da loro la grazia di poterli proseguire facilmente >>. « Erano vicini gli esami, e la mia salute punto non migliorava: i malori di stomaco e di capo erano tali che ormai disperava di potermi presentare agli esami medesimi. Afferrai questo (suo) pensiero da lei espresso, e volli anch´io a lui (Savio) raccomandarmi, faCendo una novena in onore di questo mio collega... Fra le preghiere che mi era prefisso di fare era que¬sta (i): Caro compagno, tu che a somma mia consolazione e fortuna mi fosti condiscepolo per più di un anno, tu che santamente mero gareggiavi per primeggiare nella nostra classe, tu sai quanto sia con¬solante ad un giovane il ben subire gli esami. Impetrami dunque dal Signore la grazia che voglia concedermi un po´ di salute, che mi possa preparare ». E la relazione prosegue mostrando l´efficacia di quella impetrazione: che al. quinto giorno della novena il miglioramento fu così rapido e notabile, da potersi egli metter subito a studiare, e infine subire felicemente gli esami. Al momento dello scrivere, egli dice: « La grazia poi non fu di un -momento, imperocchè attualmente io mi trovo in uno stato di regolare salute che da oltre un anno non ho più goduto. Riconosco questa grazia ottenuta da Dio per interces¬sione di questo mio compagno, mio famigliaie in vita, mio aiuto e conforto ora che gode la gloria del cielo. Sono oltre due mesi che la grazia fu ottenuta (z), e la mia sanità continua ´ad essere la mede
sima con grande mia consolazione e vantaggio ».
Con questo fatto l´Autore intende chiudere il suo libro della Vita
del Savio. Continuando dovrebbe esporre altri e altri fatti, dei quali, come ha detto prima, possiede relazioni analoghe, e che invece si riserba, dice nella seconda e terza edizione, a pubblicare in forma d´ap
pendice (3). La prima edizione diceva: « riservandomi a stampare pare altri fatti quando il tempo farà conoscere che possano tornare
a maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime» (pag. z35).
(i) Dal testo originale a quello della Vita corrono poche varianti. Noi diamo l´originale. La dicitura del bravo emulo (l) del Savio appare qui non molto fe¬lice e corretta, e peggiore anche nel docum. altrove citato (Declar. n. so, pag. 472) certamente scritto nel r857, dove comincia subito con un: a Io trascindo h (=pre-scindo) e segue con periodi e locuzioni infelici. L´uso dell´italiano nelle nostre scuole trovava allora difficoltà ignote ai nostri tempi.
(2) Come s´accordano questi oltre due mesi con l´un mese fa del discorso di Don Bosco ? Questo discorso fu certamente detto in principio d´ottobre, e i due mesi debbono decorrere dal tempo degli esami (fine ottobre). Il Vaschetti cioè si esprime male dicendo a un mese fa » per a un mese prima degli esami t.
(3) Somm., Don Rua, 324: e Alcune grazie furono scritte da lui stesso sotto dettatura dei graziati medesimi, e sono quelle dell´Appendice e.

CAPITOLO III
L´inizio d´una divozione..
Torno alla relazione del Vaschetti. A noi quel documento inte-ressa non tanto per la grazia ottenuta, una tra le tante e ben documen¬tata, quanto per il discorso che il libro ha omesso, e che ci presenta Don Bosco come promotore di una divozione a SaVio Domenico, e per quei motivi medesimi, che poco innanzi egli stesso ha messo in bocca ai suoi allievi per spiegarne la fiducia e il ricorso all´interces¬sione.
E fu realmente così. Don Bosco, dopo la morte del suo angelico giovanetto, e in seguito, per tutta la restante sua vita, fece del Savio il modello dei suoi giovani, ed anche della gioventù in genere, e per molti anni inculcò di ricorrere a lui per ottenere le grazie occorrenti (i), e pervenne infine a parlare di lui con affermazioni così esplicite e con¬vinte, da non potersi intendere se non d´un santo formalmente ricono¬sciuto. Lascio di documentare il primo punto, del Savio proposto dal Santo Educatore a modello dei giovani. La Vita che ne ha scritto non ha altro scopo. E tutta intera l´opera e l´azione sua di Maestro della gioventù cristiana è satura di ricordi edificanti e d´incitamenti all´imi¬tazione: perfino, parlando ai suoi o scrivendo a loro, di rimpianti, in ore meno felici della vicenda educativa (a). Savio Domenico diviene il tipo ideale del giovane cristiano, e il Santo non trova espressione migliore per lodare un santo giovane, che di chiamarlo « un altro Savio Domenico » (3). Non poteva venire che dalla scuola del Maestro
(s) Somm., Francesia, 401.
(2) Oltre ai varii passi qua e là ricordati, richiamo qui la lettera da Roma ai giovani dell´Oratorio, del io maggio 1884, uno dei documenti capitali della pedagogia di Don Bosco. Cfr. Mera. Biogr., XVII, 107-114-
(3) Così, per addurre un esempio ben sicuro, nella Lettera 7 luglio i866 al ch. Cerruti, Parla dei due santi giovani alunni di Mirabello: a Saprai già la morte del nostro caro Saccardi. Di´ pure ai compagni che lo invochino dal cielo,

582
Santo quello che poi dichiarava al Processo Don Rua: « averne opi¬nione come d´un santo giovane dato dalla Provvidenza a modello della gioventù dei nostri tempi »
Da codesto concetto di santità Don Bosco deduceva la fiducia nell´intercessione del suo santino. Le parole di quel suo discorsine che, come s´è detto, concordano con le prime spontanee espressioni dei compagni, conducono, come per essi, ad un moto d´implorazione confidente, ch´egli si studia di promuovere. Da quel tempo in poi egli, che -prima era solito di benedire invocando il Comollo, dopo soleva farlo a intercessione del Savio, fino a quando sopravvenne la divozione di Maria Ausiliatrice, che andò sopra a tutto (2).
0 o 0
Si può quindi parlare di una divozione a Savio Domenico, comin¬ciata dal giorno di sua morte. Già durante la vita, come s´è detto, erano occorsi casi nei quali la preghiera di lui erasi rivelata d´un´effi¬cacia non ordinaria. N´è buon teste Angelo Savio (3). E vuol ricor¬darsi quel che già adducemmo come detto da Don Bosco intorno ai carismi di cui parecchi giovani suoi erano dotati, discorso che il Ca¬gliero intendeva pensato del suo piccolo amico (4). Il Santo stesso confidava ai suoi che « in qualche circostanza che avrebbe avuto bi¬sogno di ottenere dal Signore una grazia, la otteneva realmente per le preghiere del pio giovinetto » (5).
Dopo la morte, e immediatamente, si desta quella che ho chia¬mata « la divozione a Savio Domenico ». Oltre al cenno di Don Bosco, ripetuto due volte (Capo XXVI e XXVII), noi possediamo attesta
chè certamente, a quest´ora è in gloria del Signore, in compagnia di Rapetti, vera copia di Savio Domenico E Don Bosco che sottolinea la parola: E si ha un´altra prova che, come si è visto per il Savio, il grande argomento della fiducia nell´intercessione è la certezza che l´anima sia già in cielo. Cfr. Mem. Biogr., VIII, 426.
(t) Somm., 395. --- Il concetto divenne tesi nelle non poche postulazioni ed orazioni di alti personaggi, e nel lodato discorso di Mons. Radiai Tedeschi. Ma Don Rua, che depone il 23 giugno 1908, è anteriore a tale letteratura, e del resto indipendente da essa.
(a) Somm., Francesia, 4or.
(3) Cfr. sopra, pag• 577, n. 1.

(4) Cfr. sopra, lib. IX, cap. I, pag. 388.
(5) Somm.: Cagliero, 322; Cerruti, 157, Don Rua, 157, dice: « Don Bosco, il quale conosceva anche i doni soprannaturali di cui era dotato, aveva di con-seguenza una opinione tutta particolare della sua virtù, e fiducia speciale nell´effi¬cada delle sue preghiere s.

´-´ 583
ziòni che allargano l´estensione di quella prima ondata di simpatica confidenza, e fanno credere ad una vera pratica di venerazione. Don
Rua attestava che «subito dopo la morte i compagni cominciarono a raccomandarglisi, e la fiducia nell´intercessione andò crescendo in
vista delle grazie ottenute ». Il Francesia dichiarava che « tra gli altri,
egli medesimo prese ad invocarne il patrocinio, e che era cosa generale che i giovani dell´Oratorio ricorressero alle preghiere di lui ». Il Piano:
« Dopo morte l´ho considerato sempre come mio patrono, e ne tengo continuamente l´immagine sul mio scrittoio ». L´Anfossi: « Dopo la morte di lui, crescendo la fama di santità, crebbe in me il sentimento di venerazione... e non rare volte dicevo tra me: Savio Domenico, aiutami! ». Il Durando: « Quello che più di tutto mi confermò della sua santità, si è il patronato dopo la sua morte ». E reca in prova una grazia da lui ottenuta per mezzo del. Savio. La venerazione divora era tale e tanta, che, come ricordava la sorella Tosco-Savio, andati a Mondonio i giovani dell´Oratorio, e volendo tutti qualche ricordo del santo loro amico, essa fu costretta a far a pezzi un cravattone che gli aveva appartenuto. E constava « di certa scienza » al Fran¬cesia, che anche Don Bosco cominciò a raccomandarsi per certe grazie (1).
Cominciò anzi, come s´è accennato, a benedire invocando Savio Domenico. È rimasta viva la memoria dell´istantanea guarigione, quasi richiamo da morte a vita, del giovane Davico Modesto, ottenuta il io novembre 186r, della quale stese poi una relazione il Cav. Fede¬rico Oreglia di S. Stefano, e Don Rua diede di suo particolari anche più vivi. Don Bosco, accorso al letto del moribondo (si noti che, es¬sendo stato colto da improvviso malore, stava nel proprio letto in camerata, al terzo piano, proprio accanto all´altarino dell´Addolo¬rata fatto ivi collocare dal Savio) (2), invitò tutti ad interporre l´inter¬cessione di Savio Domenico; poi dette alcune parole all´orecchio del giovane, evidentemente per esortarlo a ravvivar la sua fede nel santo giovanetto, stese le mani sopra di lui, e lo benedisse. Il Davico, che fino allora spasimava ed era in delirio, subito balzò a sedere sul letto, dicendo « Son guarito! ». Lo invitò a discendere e accompagnarlo a cena. Qualcuno osservò che, veramente, era in traspirazione: « Non importa, rispose Don Bosco: alzati, Davico: Savio Domenico non fa le grazie a metà. Alzati, e vieni meco a cena ». E il Davico andò, non
(i) Somrn.: DOTI Rua, 393; Francesia, 397, 402; Piano, 398; Anfossi, 388; Durando, 426; Tosco-Savio, 378; Francesia, 401. (2) Somm., Francesia, 402.

584
dimostrando alcuna traccia del malore sofferto. Al mattino seguente . era, fin dalla levata, in regola cogli altri (i).
Anteriore di tempo, ma conclusa e assicurata ancor nell´anno di questa è la guarigione di Donato Edoardo di Saluggia, da un mal d´occhi ribelle ad ogni cura, durato dal maggio 1858 al dicembre 1859: quando Don Bosco uscì a dire al giovane afflitto: « Che non possiamo liberarti da questo male ? Voglio che prendiamo Savio Do¬menico per il ciuffo e non lo lasciamo andare flnchè non ci abbia ottenuto da Dio la tua guarigione ». E gli fece fare una novena. Il giovane Donato si trovò guarito prima del termine di essa, e ne diede atto con una relazione (era studente e fu poi sacerdote Sale¬siano) del I° febbraio 186o, riconfermandola il zo marzo 1861. Don Bosco la inserì nell´Appendice alla 3a edizione (z).
o o 0
E qui è, fuor di dubbio, fede del Santo in un altro Santo, così come altre volte fu, con le maniere medesime, fede nella sua Ma¬donna. Don Bosco adunque riteneva per Santo Savio Domenico. E non esitò a dichiararlo. Fu udito più volte a dire che, se fosse dipeso da lui, per l´intima conoscenza che aveva delle virtù del Servo di Dio, l´avrebbe proclamato Santo, e che di questa sua persuasione aveva parlato anche con PP. Pio IX (3). O, con altre parole: « Non avrei alcuna difficoltà, se fossi Papa, di dichiarare Santo Savio Dome¬nico » (4). Egli ripeteva, dice la Cronaca di D. Domenico Ruffino, di ritenere le virtù del Savio per nulla inferiori a quelle di S. Luigi Gonzaga. E non solo lo proponeva ripetutamente (intendi: in quegli anni primi, di cui parla la Cronaca) all´imitazione dei giovani, ma anche ebbe a dire più d´una volta: « essere egli convinto che Domenico Savio avesse emulato lo stesso S. Luigi, e che perciò la Chiesa l´a¬vrebbe un giorno elevato all´onore degli altari» (i).
È questo il pensiero e l´auspicio ch´egli espresse e avrebbe voluto
(i) somnz. - Don Rua, 324-325; Francesia, teste oculare, 401. — Relazione Oreglia, in data i8 nov. 186/, allegata, pag. 421-424. — Mem. Biogr., VI, 780-783.
(2) Cfr. anche, Somm., Relazioni di grazie, pag. 433-435.
(3) Somm., Francesia, 397.
(4) Ibid., Francesia, 376.
(5) Somm., Amadei, pag. zoo e 107. Qui soggiunge il teste che tale persua-sione egli aveva pure raccolta dai primi successori di Don Bosco, cioè Don Rua e Don Albera, e dal Maestro dèl Savio Don Francesia, e da altri che furono compagni o superiori di lui: il Cagliero, Cerruti, Giuseppe Rossi, Buzzetti, e. a.

585
pubblicamente significare, quando nel 1864 dettò repigrafe desti¬nata alla nuova tomba, disposta nel muro esterno della Cappella cimi¬teriale, dove egli avrebbe voluto trasferire i resti del suo piccolo santo. Il progetto allora non fu potuto eseguire (fu effettuato nel ´66, ma senza quell´iscrizione), ma il testo della lapide rimase fra le carte superstiti. E dice:
QUI
DORME IN PACE
LA SALMA DELL´ANGELICO GIOVANE
SAVIO DOMENICO
NATO IN RIVA DI CHIERI IL 2 APRILE 1842
PASSATA NELLA VIRTÙ LA PUERIZIA ´
IN CASTELNITOVO D´ASTI.
SERVIVA IDDIO PIÙ ANNI CON FEDELTÀ E CANDORE
NELL´ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES
IN TORINO
E MORIVA SANTAMENTE IN MONDONIO
IL 9 MARZO 5857
PER SEGNI NON DUBBI
CHE EGLI E PREDILETTO DAL SIGNORE
LA SPOGLIA SUA MORTALE
DAL PUBBLICO CIMITERO
ERA QUI TRASFERITA
LI 1864
PER CURA DEI SUOI AMICI
E DI QUELLI CHE AVENDO PROVATI GLI EFFETTI
DELLA SUA CE! ESTE PROTEZIONE
GRATI E ANSIOSI ATTENDONO
LA PAROLA DELL´ORACOLO INFALLIBILE
DI SANTA MADRE CHIESA.

CAPITOLO IV
La conclusione del libro di Don Bosco.
Ed è questa, sicuramente, la conclusione, a cui, senza pronunziarla né scriverla, vuol pervenire il libro che Don Bosco ha scritto per cele¬brare il suo santo discepolo. Ha voluto mostrare che fu santo, e in qual modo fu santo, disegnando la storia di quella santità, senz´appa¬rente disegno, ma colla sicura intenzione di metterne in evidenza le vie percorse, e più ancora, bisogna dirlo, le inattese altezze raggiunte: in modo che, e leggendo, e dopo aver lette quelle pagine, ognuno che abbia senso cristiano abbia a dire: Questo è un Santo. E alla fine, senza dir egli la parola, la fa leggere ad ogni riga, col ritrarre, ch´egli fa, la premura fiduciosa, quasi la fretta, dei coevi nello stringersi at¬torno al suo santino per pregarlo, per averlo a patrono; e finalmente col riferire egli stesso un fatto che ha del soprannaturale e proporlo come un esempio tra molti e molti che narrare non può, ma che può documentare, affinché sia raffermata la fede nell´intercessione del gio¬vanetto fattosi santo tra le sue mani.
Non è, quest´ultima nostra, un´espressione messa per varietà di elocuzione: è un´idea della quale ci dobbiamo valere per spiegarci la conclusione del libro. Una conclusione che, a prima vista, non sembra rispondere in tutto alla nostra aspettazione, come se venisse restringendo il campo della magnifica prospettiva che ci si era dispie¬gata dinnanzi. Ma, a guardarvi bene, non solamente vi sta a propo¬sito e in giusta proporzione, ma è quella appunto che doveva essere, e la sola (i). Non dimentichiamo che il libro è dettato soprattutto per l´edificazione dei giovani, i quali hanno da trovare « nel tenor di vita notoriamente meraviglioso » del Savio la perfezione, la santificazione ch´essi medesimi debbono seguire, ed in ciò ch´è compatibile col
(i) Molto meno attinenti e più generiche sono le conclusioni della Vita di Comollo e di quella del Besucco.

t-+, 587
loro stato, nella vita quotidiana e ordinaria, gli esempi pratici di con¬dotta morale e cristiana. In tal senso la conclusione del libro risponde pienamente allo scopo per cui fu scritto. « Giacché, dice l´Autore
all´amico lettore, fosti benevolo di leggere quanto fu scritto di questo
virtuoso giovanetto, vorrei che venissi ad una conclusione che possa apportar qualche utilità a me, a te, e a tutti quelli a cui accadrà di leg
gere questo libretto: vorrei cioè che ci adoperassimo con animo riso
luto ad imitare il giovane Savio in quelle virtù che sono compatibili col nostro stato E la santità del giovanetto, che qui si è appagato di
chiamare semplicemente « virtuoso », vien presentata all´imitazione
nella forma più prossima alla condizione dei lettori, e all´età e com¬prensione loro. Anche nella povertà di sua condizione il suo santo
alunno ha potuto vivere lieto e maturare le sue virtù e serbare l´in
nocenza: ha potuto pervenire ad una morte santa e preziosa. Sta cioè ad esempio e prova che si può essere virtuosi in ogni condizione di
vita, anche nella meno favorita dagli aiuti esterni, ed anche in questa si può pervenire a vera santità: non le condizioni esterne e sociali, ma il modo di vivere è quello che fa il virtuoso e il santo, ed è quello che nel Savio si ha da imitare_
La povertà e lo studio della perfezione non tolgono alla vita di essere lieta: l´ha detto nella Prefazione al Giovane Provveduto, ed è, in fondo, la sua formola; e qui lo fa sentire con una sola parola ben collocata. Le sue parole sono: « Nella povera sua condizione egli visse una vita la più lieta, virtuosa ed innocente, che fu coronata da una santa morte ». È questo che fa rnaravigliare ognuno che la con¬templi: « il vedere un giovane d´oggi, secolare, d´umile condizione, ornato di -santità facile ed attraente « (i), imporsi alla simpatia del¬l´universa gioventù; ed essere dalla Chiesa stessa proposto ad esem¬pio della vita che nei nuovi tempi deve condursi. È il pensiero che PP. Pio XI esprimeva in quell´elogio, più volte ricordato, che tenne delle virtù eroiche del nostro « piccolo e grande cristiano », « piccolo, ma grande Servo di Dio », del « piccolo, ma grande -apostolo », del « piccolo, anzi del grande gigante dello spirito »: « C´è da essere pro¬fondamente grati al Signore per questa santità di vita, per questa perfezione di vita cristiana in un giovanetto che non ha nessuno di quei grandi aiuti che tanto si confanno al compimento delle grandi cose: povero, umile figlio di modesta gente e di modestissima fa¬miglia, non ricca che di aspirazioni cristiane; perfezione di vita cri¬stiana vissuta, sebbene nelle più modeste condizioni, nell´esercizio ordinario, nel compimento degli ordinari doveri d´una vita co
(i) som.m., Amadei, 3S7.

588
mune ». (t). «A quindici anni una vera perfezione di vita cristiana, e con quelle caratteristiche che bisognavano a noi, ai nostri giorni, per poterla presentare alla gioventù dei nostri giorni » (a).
o o o
Ora Don Bosco, per rendere efficace la sua esortazione, viene al fatto pratico. Codesta santità, che si propone ad esempio, come si è formata? Ossia: in che principalmente c´è da imitare Savio Domenico, per condursi al termine raggiunto da lui?
E il Santo Maestro, dopo tutto quanto è venuto nel suo libro espo¬nendo ed esaltando delle meraviglie spirituali del suo discepolo, re¬stringe ad un fatto capitale, come all´unico e vitale principio di quella santità, il segreto e la fonte di essa. Già s´è detto altrove d´una risposta data da lui poco tempo appresso la morte del piccolo santo, e quella corrisponde a ciò che più d´un anno e mezzo dopo scriveva in questa pagina (3). Il ma che a questo punto congiunge la seconda parte del¬l´esortazione, non ci sta per riempitivo, ed ha tutto il suo valore eti¬mologico. Come a dire: Se vogliamo imitare il Savio nella santità, dobbiamo attenerci a ciò che lo guidò e sostenne in quella via: « Ma non manchiamo d´imitare il Savio nella frequenza del Sacramento della Confessione, che fu il suo sostegno nella pratica costante della virtù, e fu guida sicura che lo condusse ad un termine di vita cotanto glorioso ».
Lasciamo da parte lo spunto didascalico e parenetico sulla fre¬quenza e disposizioni nell´accostarsi « a questo bagno di salute », come pure il monito del volgere un pensiero alle confessioni passate, per assicurarsi della loro buona condizione e, in caso, rimediarvi; è una parentesi che non manca mai, quando scrive pei giovani, e qui c´entra soltanto a titolo di richiamo.
Quello che Don Bosco, alla fine del suo libro, vuoi mettere in luce, è, come s´è detto, il segreto e il principio vitale che ha formato la san¬tità del Savio: quella santità ch´egli crede degna dell´onore degli al¬tari e coronerebbe volentieri di aureola, se stesse in suo potere. È la sintesi di tutto il lavoro di tre anni di educazione alla santità, ch´è riuscito ad un termine cotanto glorioso. Il giovane santo è opera della confessione, e questa è che lo sostenne e lo guidò: egli è un capo¬lavoro della confessione.
Questa è la conclusione, o meglio, la spiegazione di tutto. Se il
(i) Disc. cit., § 3.
(2) Ibid., § 4
(3) Cfr. sopra, vol. I, E.1). II, cap. da Mero. 13.iog,,,, V, 679.

sN
santo fanciullo, come disse sopra, ed ora ripete in sinonimia (met¬tete a fronte il periodo citato, che definisce quale fu la vita di lui nonostante la povera sua condizione), se ha vissuto giorni felici in mezzo alle afflizioni della vita, in fine della quale ha veduto con calma l´avvicinarsi della morte, e con l´ilarità sul volto, con la pace nel cuore,. è andato incontro a Nostro Signore, si deve « a questo mezzo più si¬curo » ch´è la Confessione quale fu praticata da lui. Le parole che ho addotte sono nel testo messe a significare quanto ognuno debba aspet¬tarsi dal praticare quel « mezzo più sicuro »; ma poichè ciò si ottiene imitando il piccolo santo, la promessa non è altro che di riuscire al termine medesimo e con le medesime consolazioni.
o o o
In questa sintesi, squisitamente spirituale e storicamente vera, Don Bosco nasconde se stesso, ossia la parte che a lui spetta nell´edu
cazione della santità del suo angelico alunno. Noi non possiamo per¬metterlo. La meravigliosa figura del Savio Santo, è opera di collabo¬razione; dopo la grazia di Dio, che vuoi sempre essere sottintesa, vi hanno lavorato il fanciullo e il suo Maestro, in perfetta corrispon¬denza e concordanza, con totale arresa del discepolo ed arte sapiente del Maestro; più ancora: in grazia d´un´affinità di spirito che nell´a¬lunno, fatto per quella scuola, rispecchiò la medesimezza di spirito del Maestro: Savio Domenico fatto per Don Bosco e Don Bosco fatto per lui. L´Educatore di Santi afferma qui che codesta collaborazione si è compiuta essenzialmente nella Confessione, e noi dobbiamo stare alla parola di lui, unico competente per dirlo: ma poichè egli fu, ed egli solo, quegli che lavorò quell´anima nello scambio di quei col¬loqui sacri e segreti della direzione spirituale, non possiamo non rico¬noscere che la santità del Savio fu guidata e sostenuta da Don Bosco, ed è cioè frutto dell´opera sua.
Conclusione di questo studio.
Il che ci ritorna qui, alla fine di questa, speriamo, non inutile di¬saraina, che vorrebbe dirsi costruzione, della storia spirituale del « piccolo, anzi grande gigante dello spirito », ci ritorna al nostro-as¬sunto, quale siam venuti seguendo in tutto il nostro studio: di far ve¬dere Don Bosco riflesso nel Savio, e in Savio Domenico, capolavoro dell´opera educativa. di Don Bosco, l´impersonazione dello spirito di lui, e cioè della spiritualità salesiana.

590 "´",
Le tre linee da noi seguite e fatte convergere a codesta costru
zione: l´accertamento dei dati storici e positivi su cui si fonda; l´ana¬lisi minuta della sua storia spirituale, insieme con lo studio dell´in
dole e del valore della santità che vive e si svolge in essa storia di mo
menti progressivi e di altezze raggiunte; il disegno di quella forma di spiritualità nella quale è la sua figura di Santo: ci hanno, possiamo sperare, convinti che Iddio, preparando coi lavori della sua grazia quell´anima alle altezze della perfezione, l´aveva preparata ad essere
lavorata dalla mano di Don Bosco (la stoffa per il Sarto!), secondo
una concezione, ch´è un´idea, propria del Santo Educatore della gio¬ventù e del creatore d´una corrente spirituale che ha penetrato ormai iI mondo moderno ; sì che nel tipo del Savio Domenico, « piccolo
si, ma grande santo >>, « piccolo sì, ma pur gigante nello spirito »,
si trova rispecchiato tutto il Don Bosco spirituale e Santo, e tutto lo spirito da lui trasfuso nell´opera sua. Questo abbiam voluto espri
mere studiando e lumeggiando la vita del Savio, quella vissuta e
quella scritta, e questo fu l´assunto dell´amorosa, non agevole ma dilettosa, indagine condotta col nostro studio, nella speranza d´aver
finalmente resa comprensibile a tutti l´opera che Dio ha fatto nel
creare in un giovanetto, che chiuse la vita a quindici anni, una san-tità nuova nella sua specie di Santo fanciullo, ma per ogni parte
completa e grande, non inferiore, non minore, di quella che nei Santi si ammira, Se « l´oracolo infallibile di Santa Madre Chiesa » definirà che Savio Domenico è un Santo, ogni fedele dovrà vedere in lui adempiuta ogni condizione della santità, così come la vede in ogni Santo canonizzato.
Non Don Bosco fece il Santo in Savio Domenico: ma questi si fece santo impersonando l´idea di santificazione che Don Bosco tra
sfuse in lui, e che forma la personalità di Don Bosco nella storia spi¬rituale della Chiesa. Chi legge deve pensare e vedere che dessa san
tità, essendo pure individua e propria nella sua luce e nella sua figura, è l´impersonazione di quella concezione, che a Don Bosco ispirò Iddio, e visse nell´idea di lui per la salvezza della gioventù, e per la rinascita cristiana della società moderna.
Savio Domenico e Don Bosco son due nomi inseparabili, come espressione congiunta di un unico fenomeno spirituale, che ha per
meata di sé la società contemporanea, e che forma l´originalità storica e il piedistallo della gloria umana e cristiana del Santo Educatore: il verbo dell´amore nella spiritualità dell´educazione e della vita vissuta.

INDICE E SOMMARIO
LIBRO V
SPIRITO DI PENITENZA
CAPITOLO I. — Lo spirito di Don Boscò e iI Savio . .pag. 237
SOMMARIO. - Carattere agiografico di questa disamina. — La trat
tazione della penitenza nella Vita del Savio e in quella del Besucco.
— Lacuna di notizie sulla prima età. — L´età in cui si desta lo spirito di penitenza: S. Luigi e il Savio. — Distinzione tra lo sforzo umano della virtù e la penitenza. — L´aggiunta del capo XVI nella za edizione.
o La direzione personale di Don Bosco. — Il dialogo col disce¬polo e la disciplina della mortificazione. — Don Bosco orienta il discepolo nella sua direzione.
o La tradizione di Don Bosco. — Le due opposte direzioni della vita spirituale e la pedagogia di Don Bosco. — Il Savio ne è un riflesso: serenità angelica e spirito d´amore.
o Don Bosco segue la dottrina della Praxis alfonsiana: tipici esempi nella. Vita del Savio. — La mortificazione e lo « sforzo umano e del piccolo santo. — La mortificazione esterna: S. Alfonso, il Fa¬ber, S. Francesco di Sali.
o Le pratiche ammesse da Don Bosco. Come ci sta il Savio in
tale concezione. — Il principio sostanziale di Don Bosco e della sua tradizione: La vita stessa strumento di penitenza. — Conce¬zione austera della vita salesiana. — Una pagina del Columba-Mar¬mion, -e una del Faber: unione con Cristo e amor di Dio.
o Così nel Savio. — Dottrina dei gradi: Savio è tra i perfetti.
o II carattere aloisiano nel Savio. — Loro somiglianze: la festa e la via delle rose. — Sinonimia tra. Segneri e Don Bosco: e ingegnosa mortificazione e e u industriosa virtù. a.
CAPITOLO II. — La via dei patimenti » 254
SOMMARIO. - Il preambolo del capo XV della Vita. — Lo spirito e la continuità della mortificazione nel Savio. — a Una via co¬perta di rose e.
o Penitenze affiittive proibite. — L´industriosa virtù: fatti vari. —

592 1.-5
Mortificazione pericolosa: fatale imitazione nel Besucco. — L´ob-bedienza interviene.
o La discussione tra Maestro e discepolo. — L´idea di Don Bosco riaffermata nella Vita di Besucco. — Don Bosco penitente oltre la propria dottrina. — La tradizione spirituale salesiana.
o Il capo XVI della Vita: Mortificazione di tutti i sensi esterni.
- II grado di perfezione raggiunta dal Savio. — s Gli altri sensi
deI corpo ». — Umili cose. -- Gli eroismi del freddo. — I ge¬loni. — Lo strazio volontario.
o La sopportazione. — Paralleli con S. Teresa di Lisieux. — Il caldo, il freddo, i disagi. — La tavola: la costante massima di Don Bosco.
o La mortificazione ripugnante: la raccolta degli avanzi e dei rifiuti.
— L´eroismo di questi fatti.
o Le piccole cose: concordanza della Teresa di Lisieux, del Faber,
e di Don Bosco. — Una serie di fatti umili e piccoli. — La con- . elusione di Don Bosco sulla industriosa virtù. — a Ogni giorno ed ogni momento ». — Concetto di santità. — « Martire incognito di se stesso » come S. Luigi. — Concetto della vita nella Santa di Li¬sieux: e gettare a Gesù i fiori dei piccoli sacrifici e.
LIBRO VI
SPIRITUALITÀ SUPERIORE
CAPITOLO I. — L´anima con Dio pag. 269
SOMMARIO. — Il profilo spirituale del piccolo santo disegnato dal Cagliero. — Lo stato soprannaturale della preghiera. — Indole del tema: non la metodica ascetico-mistica, ma l´estasi della vita. ¬L´unità spirituale dell´anima con Dio.
o La scienza psicologica del fenomeno della preghiera e la vita di preghiera.— I tre aspetti di tale vita. — La presenza di Don Bosco.
o La vita interiore già adulta nel Savio giovinetto, — La direzione interna di Don Bosco e sue meraviglie: le parole del Cagliero e Don Rua.
o Cose non spiegabili coi soliti metodi, anche scientifici. — Il libro di Jules Segond. — Gli scienziati della preghiera sono i Santi.
o Superiorità di Savio Domenico sui tipi comuni. — Sue altezze. — • . La preghiera continua e il senso continuo di presenza di Dio. ¬Come S. Luigi. — Colurnba-Marrnion e S. M. Madd. de´ Pazzi..
— Perchè non vi si adattano i gradi mistici. — Manca una sto=
· — I dati dei testi. — La mistica della vita.
o Una nuova ascetica indicata da Don Bosco ? — Parole di PP. Pio XI.
— Il Cafasso e la Mazzarello.
o Don Bosco non segna una cronologia, nè distingue le tre vie di perfezione. — Le Mansioni del Castello Interiore di S. Teresa. ¬Quale quella del Savio ? — Parole di Don Bosco
() Non esagerazioni: rifinire i dati della Vita e dei Processi. — Sin¬tesi di S. Francesco di Sales.

593
CAPITOLO II. — Don Bosco nella " pietà" del Savio . .pag.-282
SOMMARIO. — Savio Domenico è il capolavoro della confessione.
— Direzione e personalità: libertà di spirito.
o La piena confidenza. — La via radiosa: l´orizzonte sereno. — Spi¬rito di fiducia e d´amore. — Confidenza filiale in Dio: la virtù della speranza. — Il paradiso aperto sopra il capo. — Affinità colla Santa di Lisieux. — La serenità perenne.
o Gli scrupoli. — Un´aggiunta di Don Bosco alla sa edizione. — Quali poterono essere. — L´obbedienza, e una didascalia nella Vita di Magone.
o L´educazione collettiva: l´aria di Dio nell´Oratorio. — L´azione della collettività sul fatto della preghiera, secondo la scienza. — Indivi-dualità e socialità nella pietà del Savio. — Egli è tipo e simbolo del giovane santo pensato da Don Bosco.
CAPITOLO III. — La preghiera vissuta » 288
sommARio. -- Alto livello dei fatti. — Lo straordinario nell´ordi¬nario, e sue fonti. — La preghiera vissuta. — Fonti capitali dello studio.
o Don Bosco e la sua definizione. — Il fervore del Savio è un dono di Dio. — Una sentenza del Faber. — Coincidenza di parole tra Faber e Don Bosco. — L´intuizione dei coevi del piccolo Santo.
— La divozione che traspare: descrizioni: l´angioletto.
o Com´era fatta la preghiera del Savio. — Definizioni della preghiera.
— Dottrine e realtà.
o Nel Savio: radiazione del cuore: colloquio del figlio col Padre; spirito di orazione continua. — Realtà in Iui vissute di tutte le dottrine e le analisi. — Attività della preghiera: raccoglimento, senso della presenza, colloquio, domanda, intercessione e fiducia.
o La preghiera del s piccolo, ,´ori grande gigante dello spirito » è uno. stato permanente dell´anima. — Non mistica, ma « vivere di Dio, con Dio, per Dio — Unione intima permanente con Dio.
— La Retraite spirituelle di S. Francesco di Sales e Don Bosco.
— Le giaculatorie.
o La preghiera affettiva: com´è nel Savio. — Lo stato abituale di quell´anima: come un sogno vivente. — Unione e amore: tene¬rezza di sentimento.
LIBRO VII
LA PRATICA RELIGIOSA
CAPITOLO I. .La preghiera orale » 301
SOMMARIO. — La preghiera orale e — Valore spirituale
della preghiera orale. — Concezione e indirizzo di Don Bosco. ¬Il capo XIII: dalla vita interiore alla pratica esterna.
24 — CAVIGLIA, Don Bosco, scritti. VoL IV Parte IL

594 `9"--.
o Il Savio e la meditazicne. — « Orazione più mentale che orale v.
— « L´attention du coeur a di S. Francesco di Sales. — S. Tom¬maso, il Faber, il Segond.
o Come pregava il piccolo santo: le testimonianze e Dem Bosco: o un angioletto ». — II Conte Cays. — Cagliero. — Altre espressioni.
— All´altare della Madonna. — I tempi rubati per le divozioni.
o Un trapasso inatteso nel capo XIII della ´Vita: sua ragione. — Che cosa sono per Don Bosco le pratiche esterne di pietà, e le cose piccole e comuni.
o La grande massima: « Teniamoci alle cose facili, ma si facciano con perseveranza ». — Coincidenza letterale col Faber. — Ragioni di quella massima.
o La vita devozionale e la vocazione delle anime spirituali. — Affi¬nità di spirito tra il Savio e Don Bosco.
CAPITOLO Divozione e dedizione a Maria SS. . pag. 310
SOMMARIO. — La parola indicatrice di Don Bosco e le due di-vozioni dominanti nel Savio. — I due poli devozionali del Santo Educatore e il loro fondamento teologico e cattolico. — La teo¬logia diventa amore, e questo, divozione. — Il cultò Eucaristico
e la divozione Mariana sono inscindibili. — Don Bosco ne fa il suo principio nell´azione sacerdotale e nella pedagogia. — Corre¬lazioni storiche.
o La divozione a Maria nella vita della Chiesa e nella vita delle ani-me. — Relazione con la divozione a Gesù. — L´efficacia di essa e la concezione di Don Bosco. — Il Savio assimila questo spirito nel grado delle anime adulte. — L´attenzione ai Misteri della Fede.
o Sostanzialità della divozione Mariana nel Savio: essa è una realtà spirituale. — Parallelo tra Don Bosco fanciullo e il piccolo Dome¬nico in famiglia. — All´Oratorio si svolge in moto spirituale. — •
Parole di Cagliero e di Mamma Margherita.
o Divozione a Maria sopra i titoli. — La Consolata. — L´Immaco¬lata. — L´Addolorata e il Giovane Provveduto. — Posteriormente: la divozione a Maria Ausiliatrice, per profondo senso cattolico. — Soprattutto è la divozione a Maria SS. — Così nel Savio: è sem¬pre la sua Mamma. — Così nei suoi coevi primi discepoli di Don Bosco.
o La pratica del Savio. — I fatti del capo XIII e loro valore. — La protesta al Cuor di Maria. — Il Sabato. — Il Venerdì per l´Addolorata. — Davanti al suo altarino dell´Addolorata. — Don Bosco e l´Addolorata. — Come la sente il Savio.
o Apostolato mariano e o generosa pietà s. — 4 Intrinsichezza » colla sua Mamma. — Effetti visibili del suo apostolato.
o Una sentenza di Don Bosco. — Il Mese di Maggio per il pic¬colo Santo. — Lo zelo dell´Apostolo. — Il commovente episodio dell´alterino. — Le testimonianze. — La Relazione del Marcellino
e il testo della Vita. — Il Sacrificio. — « Poterlo vedere su¬" bito l ».

L´s 595
ciunToLo — Le altre divozioni pag• 323
SOMMARIO. — Divozioni già connaturate colla Pietà del piccolo Domenico. — Anche in ciò, è affine. a Don Bosco. — Don Bo¬sco e lo spirito delle . indulgenze. — Il Savio ne, assimila Io spirito.
o Divozione ai Santi Patroni dell´Oratorio. — A San Luigi. — Le quattro divozioni di S. Luigi e l´affinità con le divozioni del Sa
vio. S. Luigi, e la divozione Eucaristica e Mariana. — La di
vozione di S. Luigi all´Angelo Clistode.
o Don Bosco e la divozione all´Angelo Custode: Un intero capitolo delle Memorie Biografiche. — Savio e l´Angelo Custode. — Epi¬sodi della prima età. — Divozione attiva all´Oratorio. — La pre¬senza dell´Angelo Custode sentita dal Savio nella vita.
O La divozione alle anime del Purgatorio. — Cosa di Don Bosco.
— Altezza di sentimenti nel Savio: amore di Dio, carità pura per le anime. — Proprietà delle anime interiori. — La pratica. — L´of¬ferta dei suoi patimenti: o Potessi far di più! *. — Umile intimità di tale divozione.
o Concetto più vasto: la divozione alla Chiesa. — Devozione e divo-. zione. — Derivazione da Don Bosco. — Concetto e divozione di Don Bosco verso la Chiesa. — La Chiesa e il Papa, una cosa sola.
— Valore spirituale di questa divozione. — La vocazione di Don Bosco.
o Se sia possibile in un giovanetto. — I fatti della Vita lo provino.
— Il dogma dell´Immacolata: slanci e progetti del Savio. — cattoliche. — L´Inghilterra. — II Papa. — Testimonianze di fatti.
o Concetti spirituali del Faber e sentimenti di Don Bosco e del Savio.
CAPITOLO IV. — Gli aiuti della divozione . » 334
SOMMARIO. — Nello sfondo della vita devozionale: la formazione mentale operata dalle letture e dalla parola di Dio. — Pratica di Don Bosco.
o Il Savio non è ignorante o incolto. — Il o sapere di Dio * frutto delle letture e delle istruzioni orali. — La capacità di pensare, prova della bontà dell´educazione. — Di qui il gusto per la lettura delle cose sante. — La coltura religiosa del discepolo di Don Bo¬sco: il piccolo catechista.
o L´« avidità * della parola di Dio. — Parole della Vita: « delizia in ascoltare ». — Recettività. — 11 di qui di Don Bosco, e l´i oltre cui è difficile andare *. — Fatti e testimonianze. — Ciò che sente ri¬pete ai compagni. — Un commento del Cagliero: Savio ´piccolo predicatore.
o Le letture del Savio: scarsità di notizie. — Non superficiale: 17mit tazione di Cristo e il Tesoro nascosto di S. Leonardo. — I primi libri di Don Bosco. — Le Letture Cattoliche dei primi anni. — La Storia Sacra ed Ecclesiastica. — Elevatezza di spirito che ne deriva: il sapere di Dio.
2.0 — CAV/GLIA, Don Bosco, scritti. Vol. IV. Parte IL

596 ´s
LIBRO VIII
LA VITA EUCARISTICA
CAPITOLO I. — Don. Bosco e la Pedagogia dei Sacramenti . pag. 343
SOMMARIO- --Il capo XIV della Vita: contenuto spirituale-bio¬grafico e contenuto pedagogico. — La quintessenza del sistema educativo di Don Bosco. — Perchè l´Autore congiunge la Confes¬sione -e Comunione: carattere pedagogico dell´uso dei Sacramenti.
— Le Vite dei Savio, del Magone, del Besucco, sono documen¬ti della sua concezione educativa. — Storicità esemplare e didascalia.
o Ragione primaria di tale concezione: essenzialità della grazia di Dio e del suo lavoro. — Teologia di Santo, non filosofismo. — Spie¬gazione: la grazia e il radium. — L´unità dell´anima fanciulla. ¬Idee di Don Bosco e riflessi pratici nel sistema educativo: il pec¬cato e le sue conseguenze nella psicologia giovanile.
o Collegamento con la pratica eucaristica. — I lavori della grazia nel¬l´anima.
o Duplice funzione, spirituale e pedagogica dei due Sacramenti. ¬La pratica di Don Bosco è la Prassi alfonsiana: la regola della fre¬quenza ´alla Comunione. — Duplice funzione della Confessione: sacramentale e direttiva. — Riflessi pedagogici dell´indirizzo alfon¬siano. — Necessità della funzione sacramentale.
o Svolgimento delle idee di Doti Bosco in questa materia: le tre -Vite e la loro importanza didascalica. — Le ultime aggiunte e ritocchi •alla Vita del Savio. — Il confessore stabile e la confidenza. — Dida¬scalie ed esempi. — Il Savio e la confessione. — Le confessioni « mal fatte » e la conclusione della Vita.
o Il Savio e la sua pratica prima e dopo la venuta all´Oratorio. ¬Una predica e il punto della stabilità e confidenza. — Data di quella predica. — Come Don Bosco regola la frequenza del Savio.
- Criterii alfonsiani in Don Bosco sulla frequenza della Comu
nione.
o Il ritardo alla Comunione quotidiana del Savio. — Alte ragioni di Don Bosco. — Il maggio 1856. — Valore pedagogico e -pratico della confessione direttiva: « le medesime piccole cose a.
o Un capoverso aggiunto in Sa edizione. — La fiducia del Savio nel confessore stabile: la confidenza filiale.
o Le sante consolazioni del piccolo santo. — Un confessore Santo.
— La felicità del possesso di Gesù. — Spiritualità gioconda. — La consapevolezza del giovane Santo.
o Un mutamento di parola nella 5a edizione: « frequente » invece di « quotidiana ». — -La vera idea di Don Bosco e le circostanze sto¬riche: Alasia in luogo di S. Alfonso.
o Ma la perfezione dei Savio induce Don Bosco a permettergli la Comunione quotidiana. — Il criterio Alfonsiano.
o Attestazioni di coevi sulla sua pratica e sull´indirizzo di Don. Bosco.
o Le intenzioni giornaliere della Comunione: loro aderenza allo spi¬rito della ,.-nzione e alla vita. — Sodezza della pietà nel Savio.

597
CAPITOLO IL — La Comunione del piccolo santo . . . pag. 364
sommARio. — Maniera di Don Bosco nel trattar questo tema: l´e- ¬sterno segno´ dell´interno.
o L´interiorità traveduta. dai coevi. — Stato superiore di preghiera nei modi dello spirito. — Preparazione. — Dispositio unionis.
Preparazione attuale_ — Esempio di S. Luigi. — Preparazione del Savio: orientamento delle azioni. — La sera precedente. — La « sufficiente preparazione del mattino a. — L´Imitazione di Cristo.
— t Operar coll´interno a. — Non esteriorità. — Non l´ecci¬tarsi.
o « Il ringraziamento era senza limite a. — Preziosità dell´ora per la vita dell´anima: presso Don Bosco è un fattore essenziale della
pietà. — Nel Savio è tutto. — Tutto il più sublime della sua sto¬. ria è collegato con questo. — I ritardi del piccolo santo: «veder. cose tanto belle a. — Don Bosco fa intravedere comunicazioni ca¬rismatiche.
o Lo spirito di ringraziamento nei Santi. — Senza libri: libero moto del cuore. — « Qualche .cosa da dire a Gesù, e qualche cosa detta
da Lui a. — L´Alacoque. — Colloquio segreto: il dialogo. — Con-centramento e immobilità. — Cagliero e Don Rua: la prodigiosa divozione e «l´aspetto d´angelo a.
o Presenza della Comunione nella giornata. — Tornare a Gesù: « una vera delizia a. — Attrazione reciproca tra Gesù e l´anima di lui.
— Che cosa vede? — A quale mansione appartiene ?
CAPITOLO III. — L´attrazione Eucaristica a 372
SOIVIMARIO. — L´orientamento eucaristico nel clima di Don Bosco
— L´attenzione al SS.mo nella Casa: virtù eucaristica dei Savio e suo apostolato.
· o Il santo fanciullo sente la presenza di Gesù. — Il magnete delle anime, e l´attrazione. — Come si trova davanti al SS.mo esposto.
— Gli episodi del Viatico per via. — Sue eroiche parole.
o Affezione al culto esterno. — Servire all´altare, accompagnare il Santissimo.
o Suo nlerito nel risveglio eucaristico dell´Oratorio. — Stare con Gesù: sua delizia e apostolato. -- La Visita al. SS.mo Sacramento: suo merito storico. — Egli fu una parola di Don Bosco. — Divozione di serafino e rapimenti. -- Cagliero e Don Rua. — Attestazioni del suo merito nell´istituzione della Visita.
o Duplice apostolato eucaristico del Savio. — Per la frequenza della Comunione. — Il turno di Comunioni. — L´apostolato della Visita.
— — Pratiche desunte dal libro. — Alfonsianità di Dori Bosco: gli Atti della Visita. — La Comunione spirituale: pratica personale del Savio.
o La preghiera prediletta: la Coroncina al SS. Cuore di Gesù. ¬Don Bosco e la divozione al SS. Cuore di Gesù. — Spirito euca¬ristico di tale devozione. — Divoaione da lui promossa. — Inten
zione riparatrice. La Comunione riparatrice del Savio e Io « spi
rito di riparazione e. -- Intimità e tenerezza: l´anima del piccolo

598
santo stretta a Gesù: ascensioni progressive e doni soprannaturali dí un´anima totalmente eucaristica.
o I fiori dell´Altare nella divozione del Savio. — Aspetti simpatici del carattere e "compenetrazione della vita. — Gioia cristiana e san¬tità lieta. — Spirito di adorazione: e vivere di Dio, con Dio, per Dio e. — Gratitudine e delicatezza di sentimenti. — Semplicità e sincerità: trasparenza dell´anima. — Spirito di nascondimento. ¬Tutto fiorisce dall´amore.
a Qual parte abbia Don Bosco nella vita eucaristica dei Savio.
LIBRO EX.
I CARISMI
CAPITOLO I. — L´anima privilegiata pag. 387
SOMMARIO. — Realtà di fatti soprannaturali e carismatici interni ed esterni nel Savio. — Oltre l´estasi della vita anche i fatti mi¬stici della via estatica e le manifestazioni esterne. — Singolare santità di un quasi fanciullo. — La fama dei doni straordinari: parole del Cagliar° e dichiarazione di Don Bosco.
O Il titolo del capo XX e il suo vero contenuto. — Cose sapute da Don Bosco e non pubblicate. — L´assenza di cronologia e suoi vantaggi e ragioni.
O Il soprannaturale innestato nella vita vissuta: il preambolo del ca-pitolo. — Valore di quella pagina: lo straordinario e l´eroico della vita del Savio. — Il soprannaturale: premessa di Don. Bosco: pa¬rallelo coi Santi e storicità dei fatti.
CAPITOLO II. — La vita estatica » 393
SOMMARIO. — Nostra distinzione dei fatti soprannaturali. — Dalla biografia all´agiografia. — Concetto di Don Bosco. — La vita del soprannaturale nella materia della Vita.
O I fatti dello stato di preghiera. — Sopra la metodica degli stati di preghiera: all´apice. --t Nel Santo fanciullo è la vita mistica creata dal soprannaturale; conoscenza sperimentale di Dio. — La sfera della contemplazione infusa. — Oltre la Filotea: è il mondo del Teotimo e del Castello Interiore. — Il meraviglioso di questo fanciullo santo.
O Le parole di Don Bosco dimostrano queste meraviglie: le fonti della vita estatica nel Savio. — Coincidenze con la definizione classici di S. Francesco´di Sales e con la dottrina dell´estasi delta vita. — L´e anima privilegiata » secondo Pio IX, e altre defini4 zioni.
o Il clima della vita estatica. — L´anima e abitualmente assorta in Dio e. -- La dottrina del Sales e di Benedetto XIV, e le descri¬zioni di Don. Bosco. — L´assorbimento dello spirito: le distrazioni tra la ricreazione. — Come nell´Alacoque. — e Il paradiso aperto sopra il capo e.

""-´, 599
o Santa psicologia: la riflessione accumulata che diventa immagine. — Un chiarimento dei Segond (in nota). — Il rapimento: la rap-presentazione subitanea e la sospensione dei sensi: il deliquio. ¬Il deliquio del Savio è un rapimento subitaneo dell´estasi. — Preci¬sione delle parole di Don Bosco. — Frequenza dei rapimenti. ¬Vita estatica che passa in unione estatica o rapimento.
o Riflesso: Nel Savio quasi fanciullo si avverano i fatti dei grandi mistici, tra condizioni non così favorevoli. — L´età giovanile e la santità: sanzione della Chiesa. — Nota: sul precedente racconto del deliquio in un libro di Don Bosco del 5855.
CAPITOLO III. — L´estasi eucaristica Pag- 402
SOMMARIO. — Unione eucaristica e preghiera soprannaturale. -Assorbimento amoroso dello spirito in presenza del SS. Sacra¬mento. — Il trapasso all´estasi e unione estatica. — La reciproca attrazione. — Il Savio assorto fino all´estasi. — Le testimonianze.
— I fatti soprannaturali della vita eucaristica: come li vede e li presenta Don Bosco. — La sublimazione della preghiera. — La psicologia di tali estasi o esperienze. — Il colloquio amoroso tra¬sforma la presenza creduta per fede in presenza sentita e in rapi
mento estatico. — Le estasi del Savio sono dialogate. Concre
tezze della presenza. — Una Nota sulla realtà delle esperienze nei Santi.
o Nel Savio tale senso di presenza è normale. — L´entrare in chiesa.
— Le visite e l´assorbimento: l´obbedienza l´interrompe. — II
dialogare coI SS.mo esposto. — Le estasi dopo la Comunione.
— L´accenno di Don Bosco al capo XIV. — L´Alacoque e il Savio: « qualche cosa da dire »: — Sicurezza dei criterii dí valuta¬zione nei fatti mistici del Savio.
o Le pagine del capo XX: il senso permanente della Comunione nella giornata. — e Come rapito dai sensi e: estasi momentanea e l´estasi incompleta. — Nella Comunione: trasumanare. — Il dialogare ad alta voce: il fatto sorpreso da Don Bosco. — A chi risponde il Savio? — S.. Giov. della Croce e la personalità: le parole del pic¬colo santo sono l´eco della Prima. Comunione e di sempre. — Pro¬testa amorosa.
o La grande estasi del santo fanciullo. — Singolarità del fenomeno estatico. — II consueto attardarsi dorato sei ore. — Come lo trova Don Bosco. — Lo scioglimento dell´estasi, e la risposta ingenua e riposata. — Momento psicologico: « Sono Ie due e.
o Che cosa faceva in quei ritardi? — Una distrazione: e Vedo cose tanto belle! e. — Il volo dello spirito spiegato da S. Teresa. ¬e Al terzo cielo, come S. Paolo e: dice Don Bosco.
CAPITOLO IV. — L´Inghilterra » 412
SOMMARIO. — La genesi della visione: le preghiere del piccolo santo per l´Inghilterra. — La divozione alla Chiesa e la parte di Don Bosco.

600
o Spunto storico. — Il movimento Oxfordiano. Il Newmann e
la sua scuola. — Il Faber. La Gerarchia Cattolica ristabilita
nel 1855. — Conversione del Drianning. — Il decennio 1859-60, e le speranze dei Cattolici. — Fervore di preghiere.
o Il tempo della visione del Savio. — La gran cosa da dire al Papa: il trionfo del cattolicesimo in Inghilterra ». — Il Savio, interro-. gato, rivela la sua visione. — La commissione a Pio IX. — Una « forte distrazione » nel ringraziamento della Comunione. — Le te¬nebre e lo smarrimento degli uomini: coincidenze con la storia. ¬Spiegazioni dell´Amico misterioso. —. Pio IX e la fiaccola.
o I segni dell´ispirazione. — Don Bosco ne riferisce al Papa (1858).
— Risposta di Pio IX nel libro e nella variante d´un teste, — una conferma e un consiglio per il Papa.
CAPITOLO V. — Carismi profetici . . . pag. 418
SOMMARIO. - Le grazie gratis datae e i carismi dei Santi. — Pa¬rallelismi col Savio. — Carismi speciali del piccolo santo e cono¬scenza di essi. — Le confidenze a Don Bosco. — L´umiltà del santo fanciullo.
O Il dono della sapienza e del consiglio. — Il dono di profezia: la predizione chiara e precisa della propria morte. — Parole di Don Bosco: e una voce divina ? ».
o La rivelazione delle cose occulte, e i fatti conseguenti. — Non è telepatia. — Un fatto solo narrato nella Vita, ma espressioni gene¬ralizzanti. — I] fatto di Carlo Savio, fuggito e ricondotto a casa. -- Il fatto dell´8 settembre 1855: la colerosa morente scoperta dal Savio.
o Il fatto narrato da Don Bosco: l´eretico morente riconciliato. La narrazione della Tosco-Savio: particolari importanti. — Com¬mento oggettivo: le difficoltà dell´itinerario sconosciuto. -- Nota topografica. -- La meraviglia di Don Bosco. — La domanda ai Savio sull´origine della notizia, e il turbamento del santo fan¬ciullo.
o La guarigione della madre. — Le due relazioni, l´orale e la scritta della Tosco-Savio. — Il silenzio di Don Bosco. — La data del fatto nei Registri Parrocchiali di Mondortio: 1z settembre 1856.
— Narrazione del fatto. — Perchè Don Bosco dà iI permesso di andare a Mondonio. — Il Savio a Mondonio. — L´abbraccio alla madre. — Guarigione immediata e felice esito. — L´abitino della Madonna. — Il ritorno: l´annunzio a Don Bosco della guarigione non veduta. — Nota sul viaggio del Savio: distanze e orario.
La fede del piccolo santo. L´abitino miracoloso. — Storia del
l´abitino.
O Due domande: Come seppe il santo figliuolo di quella malattia ? -Risposta di Don Bosco al padre, e convinzione d´una rivelazione soprannaturale. — Come quell´abitino divenne miracoloso ? — Per la santità del piccolo santo. — Il dono della rivelazione e il dono dei miracoli congiunti. — Dottrina: i carismi arrecano o deno¬tano incrementi di santità. — Nel Savio si svolge il terzo mo¬mento.

6ot

LIBRO X
IL VERTICE
CAPITOLO I. — Il " terzo momento "
Pog. 435
SomnkRio. — Il « crescendo accentuato nell´eroismo » dopo la fon¬dazione della Compagnia, notato da Don Rua. — Esito di moto precorrente e punto di partenza per nuove ascensioni. — La plena caritatis consummatio della dottrina. — Concetto del Faber: la forza vitale del fervore: « rapidità visibile sua tranquilla* di esso. ¬L´accelerazione nel Savio.
o I nove mesi segnati da Don Bosco, e quale lo ricordano i coevi ultimi. — La premiazione dei primi in condotta. — La data dell´8 giugno t856 e il vero inizio del terzo momento.
O Lo stato eroico. Y Parole del Cagliero che coincidono con la defi¬nizione di Benedetto XIV. — L´esemplarità voluta dalla Chiesa nei Santi e lo scopo del libro di Don Bosco. — La descrizione del fervore nel Faber, e le coincidenze con Don Bosco. — La leg¬giadria del fervore.
o Tutto si avvera nel Savio. — La tensione che lo consuma. — La concezione del joly: patire e agire, termini ultimi dell´amore.
II bisogno di operare. — La genitura dell´amore. — Fervore d´in
tenzioni in S. Luigi e nel Savio, e piccolo, ma grande apostolo ». — Operosità di conquista. — Come S. Teresa e Don Bosco.
CAPITOLO II. — La Compagnia dell´Immacolata . . » 441
SOMMARIO. - Il fatto storico e il fatta spirituale. — Incertezze della storia di tale fondazione: nell´origine, nei fini, nella data.
O Il Savio, autore della Compagnia: e il fatto culminante della sua vita di santo ». — Don Bosco lo afferma e Io prova. — Discordia e contraddizioni di testimonianze: Francesia e Cerruti; testi concor¬danti: Don Rua, Cagliero, Anfossi.
O La Relazione del Bongiovanni contraddice a Don Bosco e a tutti.
— Gravità di tal fatto. — Si deve stare con Don Bosco. — Come spiegare quella contraddizione.
o I fini dell´Istituzione. — L´Immacolata del 1854, priMa scaturigine: uno scopo devozionale. — Come dice e come intende Don Bosco.
— Così i testi principali, e il Savio. — Sentenza differente di Don Rua: per l´obbedienza. — l/ testo del Regolamento mette d´accordo Ie varie sentenze.
O La data dell´istituzione. — Se possa essere l´8 giugno 1856, ¬Le origini prime. — Le morti di Gavio e di Massaglia fanno anti¬cipare quella data. Le manifestazioni soprannaturali di quel tempo.
— Conclusione sulla data: l´anno 1855. — Lo Statuto o Regola viene dopo. — Forse è un lontano preludio alla Regola della Con¬gregazione ? — Le dichiarazioni del Cagliero alla pagina 289 del Summarium. — Il risveglio della pietà nel ´55-´56 attestato dal Fran¬cesia, a merito del Savio e della Compagnia.

6oz
o I1 Regolamento. — L´autore e i collaboratori. — Come lo pre¬senta Don Bosco. — ´La salesi.anità di quel documento. — Don Bosco educa nel Savio il futuro salesiano.
o Esame deI regolamento. — La premessa e suo valore. — Il mo¬dello in Luigi Comollo: significato di ciò. — I tre propositi del tenor di vita ». — Commento. — Disamina e commento dei ar articoli del Regolamento. — Dappertutto è il segno di Don Bo¬sco. — L´art. 20-21: la divozione all´Immacolata.
o Lo spirito del Savio nel Regolamento e lo spirito salesiano. — Don Bosco vi aggiunge sette condizioni: corrispondenze con la vita del santo discepolo.
CAPITOLO III. — Il Savio nella Compagnia pag. 460
SommARIo. — La Compagnia è una colleganza di amicizie spiri¬tuali. — Come vi si collegano le amicizie di Gavio e di Massa-glia. — Simpatia e apostolato del Savio. — I discoli suoi amici.
— Suoi amici particolari: i Soci della Compagnia.
o Lavoro spirituale di perfezionamento e lavoro di penetrazione. ¬Il Savio nelle adunanze: umiltà ed eloquenza.
o L´apostolato della Compagnia e la pedagogia di Don Bosco. — La consuetudine dell´assistenza ai discoli. — I « clienti a. — Il Savio al lavoro: il capo XI della Vita. — Suo patronato dei clienti. — L´im¬presa della Comunione del Natale.
CAPITOLO IV. — I due amici » 465
sommARto. — Gli amici della Compagnia e loro eccellenza. — Giu-dizio di Don Bosco. — Parole del Cagliero sui due amici speciali.
— Amicizia spirituale e super naturale. — Il Gavio: elogio di Don Bosco. — L´incontro col piccolo santo: il dialogo. — Rivelazione: il Gavio è un santo: l´abbandono alla volontà di Dio. — La santa logica del Savio: Gavio vuoi farsi santo ? — Valore di tale con
cetto. Il Gavio ascritto tra gli amici che « vogliono farsi santi ».
— Come si fa a farsi santi? — Lo spirito e stile di Don Bosco: la santità è allegria. — Squisitezza della carità nel Savio. — L´ami¬cizia. — Rapida fine del Gavio. — Come lo ha stimato Don Bosco.
CAPITOLO V. Massaglia » 470
Il capo XIX della Vita tutto dedicato all´amicizia col Massaglia
— Importanza di essa nella storia del piccolo santo: come del Co-mollo per Don Bosco. — Concetto di Don Bosco.
o Notizie biografiche sul Massaglia: testo e note. — Quell´amicizia nelle testimonianze.
o I loro conversaci. — Gli « Esercizi » del ´55 e il patto d´amicizia spirituale: monitori reciproci. — La questione delle amicizie nei Maestri di ascetica. — Come pensò Don Bosco.
o Episodio dell´andata in vacanza. — Il falcone infernale. — Altre ragioni della permanenza: Pietà e studi. — Il Massaglia chierico.
o La malattia del Massaglia. — Il ritiro in famiglia. — Assenza di notizie intime. — Ma suppliscono le due. lettere. — Spunto eri

603
tico indispensabile: la data delle lettere. — Dipende dalla data della morte (20 maggio 1856). — Inesattezze di biografi. — Rico¬struzione della cronologia circa il Massaglia.
o La missiva del Massaglia e i suoi vari punti. — Illusioni di ma¬lato, disagio spirituale. — Una direzione. — Nota: Chi era il di¬rettore spirituale a Marrnorito? Probabile confusione di personé.
— La distanza dall´amico unanime. — Non studi, ma libri santi: l´Imitazione di Cristo. — Comunanza di spirito. — II pensiero della fine. — La volontà di Dio. — La pagina mesta dell´affetto e del--l´addio. — Il saluto per gli amici della compagnia.
o La risposta del Savio. — Stile bonario e serenità. — Compren¬sione e delicatezza: la naturalezza dei pensiero soprannaturale. ¬Amenità dell´inizio della lettera. -- L´Imitazione, come va usata.
— Il disagio delle divozioni. — Come vi suppliva il Savio nelle vacanze. — Il conforto: eufemismo per l´amico e schiettezza per sè: la carcassa. — Presentimenti. — Il contratto fra i due: Aspettarsi dal Paradiso. — Lo stile di Don Bosco elevato alla sicurezza so¬prannaturale. — Magonè. — L´anelito al cielo: a farsi presto santi ».
— Significato di quella lettera.
o La morte del Massaglia e le parole del parroco. — Il dolore del piccolo santo: si sente solo. — Il pianto dell´amico: il desiderio di rivederlo. — Come Don Bosco per il Comollo: rassegnazione e dolore perfezionante nel Savio. — Una scossa alla salute.
Come Don Bosco ha compreso quel dolore. — Le forti parole det¬tate da lui.
LIBRO XI
VERSO IL CIELO
CAPITOLO I. — Lo stato d´animo pag. 489
sommAmo. — Gli ultimi nove mesi. — La nuova vita dello spi¬rito: forma ultima della santità nel piccolo santo. — Don Bosco descrive per mezzo di fatti significanti. — L´assenza di cronologia e sua ragione. — Utilità delle testimonianze dei coevi. — La som¬ma dei dati dà una sintesi rivelatrice delle condizioni di spirito.
O n tono sentimentale e l´unità psicologica degli atteggiamenti nel¬l´ultima storia interiore del Savio.
o II presentimento o previsione genera l´accelerazione del lavoro di perfezionainento. — Gli aspetti di questo lavoro del fervore. ¬a Rapidità visibile, ma tranquilla ». — Una definizione ascetico-mi¬stica dell´unione trasfonnatrice, e suoi riflessi. — Le pagine del Faber e il fervore crescente nell´appressarsi della morte. — Que¬sta è la condizione di spirito del santo fanciullo. — Affinità con la Teresa di Lisieuz. — Comprensione di Don Bosco Santo che dirige un santo.
CAPITOLO II. " Aspettazione " » 494
SOMMARIO. — Il capo XXI della Vita. — La preparazione del Sa¬vio alla morte. — L´accelerazione verso il vertice. — Uno dei

6°4
punti cardinali di Don Bosco nella formazione cristiana. — Le espressioni, le predicazioni, l´« Esercizio della buona morte e.
- II Savio vi si orienta e ne fa quasi una forma della vita spiri¬tuale. — Ciò non turba la sua serenità e letizia. — La morte, luce
della vita: per il Faber e per Don Bosco. Come la vede il santo
fanciullo.
o La sua preparazione generale. — La preparazione espressa e in
tenzionale: la Compagnia dell´Immacolata e le parole del Regola¬- mento. — La divozione a Maria conte preparazione. — Affermazioni
di Don Bosco e concordanza col Faber.
O Il terzo momento dominato dal presentimento della morte non lon¬tana. — Il crescendo accentuato dell´eroismo, ossia l´accelerazione della santificazione. — Il presentimento è previsione e profezia.
— La certezza del Savio. — La lettera al Massaglia. — La ten¬sione di spirito. = * Bisogna che io corra ». — L´ansia d´arrivare in tempo. — L´esercizio di buona morte e le sorridenti parole del santo giovanetto.
O Il Maggio del 1856. — Le domande del Savio. — Un programma comune dato da Don Bosco. — La domanda più intima e la ri¬sposta: « la grazia di farti santo ». — Le parole del Savio: nuova fiamma. — Don Bosco definisce: « Un Angelo vestito di umane spoglie ». — Intraprendenza d´apostolato e di divozione. — L´af¬frettarsi riconosciuto dai compagni: la sua risposta.
CAPITOLO III.— Consumandosi pag- 501
SOMMARIO. — L´estenuarsi delle forze. — Consapevolezza tranquilla
— La causa. — Le testimonianze si accordano con l´idea di Don Bosco. — Cose da escludere. — Sono cause spirituali: * carità pel Signore e; « tensione dello spirito e.
o Consulto di medici. — Vivacità e senno deI giovane malato. — La sentenza. — Sopra la materia. — Il sapiente linguaggio del dott. Vallauri. — Nostalgia del Paradiso. — Il rimedio: *lasciarlo an¬dare in Paradiso a.
o La data del consulto. — Don Bosco non manda subito a casa il Savio, e perchè. — La festa del Rosario ai Becchi. — Come lo trovano il Cagliero e Don Rua. — Sollecito ritorno. — Don Bosco lo ritiene.
o Importanza di questa cronologia per la storia intima del piccolo Santo. — Parallelo con la Santa di Lisieux: il sorriso. — La gioia nel dolore. — Il dono di fortezza. — Il desiderio del Paradiso.
— Testimonianze dei compagni dell´ultimo tempo. — La calma serena dei suo cammino accelerato. — La e naturalezza » delle sue virtù.
O Spiegazione di quella serena tranquillità. — Tutto per dar gusto a Dio. — L´apice della perfezione. — Il grado di perfezione della conformità assimilatrice della volontà è la nota spirituale del Savio nell´ultimo periodo.. — I coevi intimi riconoscono questa dedi¬zione. — Esaltazione di tale eroismo presso i testi: il dono di for¬tezza. — Trionfo sulle sofferenze — Una celebre sentenza di San¬t´Agostino: amore alle sofferenze. — Piacere di soffrire.

605
o Questione ascetica: se l´accettazione passiva sia un grado inferiore.
-- Senza la conformità assimilatrice non è possibile l´eroica ras¬segnazione. — Una pagina del Crispolti su S. Luigi che vale an¬che pel Savio. — L´amore rende simili al Cristo sofferente. — Sof¬frire diventa necessità e delizia.
CAPITOLO IV. — Bontà nel soffrire pag. 510
sommARIo. — La fusione del patire con la bontà è una grazia par¬ticolare e Uri, lineamento attraente. — Squisitezze di carità verso gli altri. — Soffrire con garbo fu una virtù di Don Bosco e del Savio. — Sollecitudine per la scuola e pel dovere. — Attesta¬zioni. — Fervore nel dovere, e bisogno e delizia nella mortifi-cazione.
O La bontà nel patire: la cura degli infermi. — « Lo fo con troppo gusto a. — Significato. — I conforti ai malati. — Episodi: la car¬cassa. — La medicina amara. — Testimonianze generalizzanti.
CAPITOLO V. — Il sacrificio » 514
SOMMARIO. — Il sacrificio più eroico: lasciare l´Oratorio. — Senso e valore di tal sacrificio. Uno strappo del cuore. — Come lo ha sentito Don Bosco: tratti eloquenti del suo dettato.
o Storia: l´aggravamento: la necessità di rinviarlo. Rincrescimento
di Don Bosco: affetto vicendevole. — Che cosa significa quel di¬stacco pel suo cuore. — Bella pagina.
o La data segnata dallo Scrittore: un momento doloroso e un nuova stato d´animo: *solo per farne un sacrificio a Dio e. — Commento: l´affetto alla patria spirituale. — Le spiegazioni del Savio. « Desidero di morire all´Oratorio a. —. Sopra il sacrificio della vita, il sacri¬ficio spirituale. — Valore dell´accettazione: Fiat voluntas tua. ¬Virtù di santo: serenità nel dolore interno. — S. Teresa di Lisieux.
— Don Bosco. — Imitazione di Maria. — Il Cagliero: « piccolo, ma grande Santo L a.
CAPITOLO VI. — Sui limitare » 518
SOMMARIO. — La tenerezza di Don Bosco nel suo racconto. ¬Quell´ultima sera. — Il piccolo Savio attorno al Padre dell´anima sua: urgenza di domande. — Come si merita soffrendo? — I pec
cati mi saranno perdonati ? Il «ti assicuro e di Don Bosco, teo
logo e Santo. — a Sarò certo di essere salvo ?». — II e Sì: tu sei certo e della risposta. — Analogia col Magone e col Besucco. ¬Ragione delle domande e delle risposte. — L´educazione al timor di Dio, e la sicurezza confortante della Fede. — Il demonio: do¬manda e risposta da Santo per l´ultima ora.
O Le domande del cuore. — Il Paradiso: « Potrò vedere ancora ? ». ¬e Potrò venire con loro? e. — Le altre domande: Don Bosco dice: « Come avesse un piede sulla soglia del Paradiso ». — Confronto col Magonc morente: le commissioni pel Paradiso.
o Digressione. — Perché D011 Bosco lasciò partire allora il Savio ?

— L´idea del Salotti: oscuramento od occultamento, per rispar¬miare un dispiacere a Don Bosco. — Non occultamento, ma pre¬visione provvidenziale. — Come sarebbe finita la salma del, pic¬colo santo ? — Don Bosco ha preveduta la glorificazione. Nota: Sulla ricognizione canonica del corpo dei Servi di Dio.
o Come finì quella sera. — Colloquio soave con Angelo Savio. — Come lo vede il Cagliero al mattino: « pallido, ma sorridente ».
— L´esclamazione: n Piccolo, ma grande santo I ».
CAPITOLO VII. — Il distacco pag. 525
sommAaio. — II io marzo. — L´ultimo Esercizio di buona morte
— Don Bosco vede lo straordinario. — È il Santo che muore. ¬Certezza di non tornare.
o L´ora degli addii: n uno per uno o. — Savio Angelo. — Ultimi atti d´apostolato: l´autorità deI cuore. — Come per testamento. — L´e-pisodio dei due soldi.
o L´adunanza dei fratelli della Compagnia. — II tema di quell´ul¬timo discorso: fedeltà alle promesse e confidenza in Maria. — Il Savio è tutto in quel rnornento. — Un testamento per i suoi fra¬tetli.
o Sul partire. — Con Don Bosco: il mesto lamento e la commissione al Papa. — L´addio ai compagni. — Il saluto aI maestro. — Sulla soglia: la domanda per l´Indulgenza plenaria. — Alacrità spirituale sempre desta, e serenità nell´arguzia.
O II riampianto di Don Bosco e il rammarico d´essersi lasciati in¬gannare dalla serenante giocondità del giovane santo. — La chiusa del capitolo: « Maturo per il cielo ». — Il capo IV della Sapienza nella pagina di Don Bosco come nel linguaggio della Chiesa.
LIBRO XII
LA FINE D´UN SANTO
CAPITOLO I. — I due capitoli della " Vita " » 535
somiviaaio. — Gli otto ultimi giorni: quasi un´agiografia. — Come vi spicca la personalità del piccolo Santo. — Fonti delle notizie, e documenti. — Le lettere dei parroco. — Lacuna grave: nessun accenno all´Oratorio e a Don Bosco. — I testi ocolari. — Unica via: tenersi a Don Bosco.
O Quegli otto giorni valgono una vita. — Il santo che sa di morire.
— La vicinanza di Dio: gioia della morte bella. — La serenità e allegria del Savio in quei giorni. — Bontà gentile e altre virtù: gioia e volontà di patire.
o Superiorità e signoria sui fatti_ — Tranquilla entrata. — Estasi di tenerezza: la bella cosa. — Non un altro Savio, ma il Savio più completo e più alto, e totalmente uno. — Quasi un quarto mo¬mento. — Le pagine di Don Bosco e il loro valore.

LI, 607
CAPITOLO II. — " Un vero modello di santità " . . . pag. 540
SOMMARIO. — Il Savio in famiglia. AI quarto giorno, la dia
gnosi: la cura dei salassi. — L´eroismo: come Io presenta Don Bo¬sco. — Il pensiero di Gesù Crocifisso. — Remissività e allegria nella cura che sa affrettargli l´entrata in Paradiso.
o Chiarezza di previsione. — La fallace euforia non lo inganna. — Vuole i - Sacramenti
o Il Viatico. — L´ultima Comunione descritta da Don Bosco: il pa¬ragone con S. Luigi. — Non estasi visibile, ma il possesso del¬l´amore: la Settima Mansione di S. Teresa. — L´ardente pretesta amorosa: a voce spiegata. — La tranquillità. — Sua sentenza.
O Nel decorso della malattia. — « Apparve un vero modello di san
tità ». II garbo nel soffrire: n non disturbare » come la Santa di
Lisieux. Superamento dei sensi: ricerca di patimenti: il letto
inasprito, pensando a Gesù.
o Giovialità ingannatrice. — Egli non s´inganna: conta ore e giorni.
— L´abitino ricordato. Il male è vinto a. — Il santino chiede
l´Olio Santo. — L´invocazione e il suo significato. — La relazione del Parroco: nessuno lo crede moribondo.
o Il g marzo. — Agli estremi: la Benedizione papale: «Deo gratiasl s.
— La strofe giaculatoria. — Ritorno dei Santi alle pratiche co¬muni.
CAPITOLO III. — Le ultime ore » 549

SOMMARIO. — La morte dei Santi, opera d´arte divina. — Bel¬lezza della morte, veduta da Don Bosco. — Intermezzo storiogra¬fico. — Quattro divergenti testimonianze sulla morte del Savio. — E Cerruti, suo riferimento alla lettera del Padre. — Incertezza di tale testimonianza. — Anastasia Molino, teste di veduta: particolari importanti. -- II Cagliarti e la visione della Madonna. — Il gesto. — La Memoria di Don Rua. = Suo fondamento. — Contrasto col dettato di Don Bosco per la visione. — Importanza della que¬stione. — Don Rua si corregge da se. — La Relazione del Maestro D. Cugliero: prezioso sussidio per Don Bosco. — Particolari pre¬ziosi. — La più sicura fonte è Don Bosco.
CAPITOLO IV. -- La bellezza della morte » 554
SOMMARIO. — Il capo XXV della Vita. — Il preambolo e la sua corrispondenza con una trattazione del Faber. — Serenità, pace, gióia, soavità, nella morte del Savio. — La morte rispecchia la vita. — Neppure le ansietà dei Santi.
O I motivi di quella consolazione nella vita del santo fanciullo. ¬Un adunque eloquente. — Tranquillità dell´anima innocente. ¬Neppure le sofferenze, agoniche. — Morte non dolorosa. — Titoli per la morte soave, secondo il Faber, che si avverano nel Savio: iriposo piuttosto che morte e dice Don Bosco. — Le morti pre¬ziose dei giovani santi di Don Bosco.
o Quella sera nelle pagine del Santo scrittore. — La gioia interiore

£o8
che s´irradia; il sorriso: luce di cognizione. — La grazia del desi¬derio di Dio, fatta sensibile: morte di desiderio: le sue giaculatorie.
— Come scrive Don Bosco, e Come parla il parroco.
o La domanda di « un ricordo che mi conforti n. — La risposta del parroco: «per ora, la Passione di N. S. ». — Valore di tal sugge¬rimento in un´idea di S. Andrea Avellino. — L´accettazione del morente, e le due giaculatorie consuete della Comunione e delle preghiere serali. — Il Giovane Provveduto in atto.
o « Prendere riposo a. — Il risveglio: l´invito al padre per « le pre¬ghiere della buona morte n. — Il pianto della madre e del padre.
— Il conforto esultante del figlio.
o L´attenzione alle preghiere della Buona morte: la giaculatoria ri-petuta. — L´ultimo articolo: la gioia prorompe.
o II vedere dei Santi in morte: la luce di Dio: il breve raccoglimento.
— Le ultime parole: t Oh l che bella cosa io vedo! a. — « Colle mani giunte sul petto a. — Lo spirare sorridente. — Il sorriso dei-l´angelo che riposa.
o L´apostrofe di Don Bosco: a Intra in gaudium Domini tui *. — Il pianto dei genitori.
o La lettera del padre: i due titoli emblematici.
APPENDICE. — La tomba di Savio Domenico Pag. 564
LIBRO XIII
POSTUMA
CAPITOLO I. — È morto un Santo t 571
SOMMARIO. — La morte d´un Santo: l´opinio sanctitatis. — Que-siti: se fu giudicato santo dai coevi. — Se Don Bosco lo credette un santo. — Le riserve sul termine. — Risposte affermative. ¬L´intento dei capitoli XXVI-XXVII della Vita.
o L´annunzio della morte all´Oratorio. — Non si osa pregare per. lui. — « Era un santo n. — Importanza dell´articolo. — Invocazioni e ricerca di ricordi: « a gara *. — Accordo delle testimonianze colla Vita scritta. — Esempi: anche a Mondonio si parla di un Santo.
— Attestazione del Cagliero.
O II discorso di Don Bosco la sera del io marzo: un panegirico del « piccolo San Luigi ». -- L´elogio del Prof. Picco nella scuola, Pii marzo. — Valore letterario e concettuale di esso.
CAPITOLO II. — Dio glorifica i suoi Santi . . . . . » 576
sommAmo. — L´ultimo capo della Vita e -l´intento di Don Bosco.
— I doni speciali della santità stabilita: l´edificazione e la fiducia nell´intercessione. — L´edificazione durante la vita. — Le grazie ottenute.
O Dopo la morte. — Il concetto di santo: venerazione e fiducia. ¬a Come a celeste protettore ». — L´apparizione al padre .e l´efficacia di

609
tale « curioso racconto a. — Relazione con una domanda del san¬tino a Don Bosco.
O Moltitudine di grazie ottenute. — Una, veduta da Don Bosco stesso. — La grazia ottenuta dal Vaschetti narrata nella Vita e se-condo una superstite relazione di esso. — La parte personale di Don Bosco: una e buona notte » in cui suggerisce di ricorrere al Savio per gli esami. — La preghiera del Vaschetti e la grazia ot¬tenuta. — Le grazie documentate. — L´Appendice alla za e 3a edi¬zione.
CAPITOLO III. — L´inizio d´una divozione pag. 581
SOMMARIO. — Don Bosco propone il Savio come modello alla gio¬ventù. — Ma non meno promuove la fiducia nell´intercessione di lui. — Benedizioni per ottenere grazie. — Corrente di fiducia in vita. — Don Bosco l´afferma di sè. — Uno dei carismi.
o Divozione dopo morte. — Testimonianze. — La guarigione istan-tanea del Davico, e singolare espressione di Don Bosco: « Savio Domenico non fa le grazie a metà ». — Guarigione di Edoardo Donato. — Le parole di Don Bosco.
o Fede di un Santo nel Santo. — Dichiarazioni di Don Bosco. ¬La canonizzazione prevista e predetta. — L´iscrizione inedita del 1864-
CAPITOLO IV. — La conclusione del libro di Don Bosco . » 586
sommARio. — Don Bosco ha voluto mostrare che il Savio fu Santo: la conclusione del lettore. — L´inattesa conclusione del libro. ¬In qual modo è attinente. — L´intento dell´edificazione pei gio¬vani: che cosa insegna la Vita del Savio: il modo di vivere santa¬mente anche in umile condizione, e vivere lieto. — Le espressioni parallele di PP. Pio XI.
o Il fatto pratico: come s´è formata tale santità ? Il Santo nel
Savio è opera della Confessione. — Il mezzo più sicuro.
O Don Bosco tace la propria parte. — Le due anime affini hanno collaborato.
Conclusione di questo studio - » 589
.SOMMARIO. — L´intento della nostra costruzione. — Le tre linee seguite e convergenti: la storia positiva, la storia spirituale e i suoi valori: l´opera di Don Bosco, e i suoi riflessi. — Anima prepa¬rata ad essere lavorata da Don Bosco. — Don Bosco rispecchiato nel Savio. — Santità nuova e completa. — Il Savio impersonante la spiritualità di Don Bosco e la sua tradizione. — Due nomi inseparabili come espressione del verbo d´amore nella spiritualità dell´educazione e della vita vissuta.

Visto: nulla osta
Torino, 5 agosto 1942.
D. CARNINO, Revisore.
IMPRIMATUR
C. L. Coccolo, V. G.