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Don Giulio Barberis - Vademecum dei giovani Salesiani (parte 2)

 

 

Sac. Teol. GIULIO BAEBERIS

 

IL VADEMECUM DEI GIOVANI SALESIANI

Nuova edizione riveduta e corretta

TORINO SOCIETA’ EDITRICE INTERNAZIONALE

 Corso Regina Margherita, 176

Agli ascritti ed agli studenti della Pia Società di San Francesco di Sales.

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Capo IX DELLA POVERTA’ RELIGIOSA

La povertà è il primo dei consigli evangelici.

Il primo dei tre grandi consigli evangelici, la povertà volontaria. Da questa conviene cominciare, poichè essa forma il primo ed il più saldo gradino dello stato religioso. Conviene pertanto che tu, o mio buon giovane, le vuoi consacrarti corpo ed anima al .more, cominci a praticare con vero spirito quanto con questo consiglio il Signore ti inculca. Esaminiamo insieme attentamente in che cosa consista questo consiglio, ed in qual modo pratico puoi e devi seguirlo. Poniamo come base, che è Dio che ha parlato dandoci questo consiglio; e che quando è Dio che palla, parla la Verità in persona. Perciò la cosa consigliata non può essere nè falsa, nè esagerata, nè d´impossibile esecuzione.

La povertà di tutti i cristiani.

Ogni cristiano per salvarsi, deve in un dato senso e fino ad un dato punto, osservare la povertà. Infatti Gesù benedetto ci ammaestra che i ricchi vanno incontro alla disgrazia ed alla infelicità, dicendo: « Guai a voi o ricchi! » . Ed asserisce esser più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel cielo [262]. Il pensiero di Gesù è ancor più chiaro ove dice, che chiunque non rinunzia a tutto quello che possiede non può esser suo discepolo [263]. E ci porta la parabola di Lazzaro, il mendico, che. venuto n morte, è trasportato dagli angeli nel seno di Abramo, e del ricco Epulone, che fu sepolto nell´inferno [264]. Il ricco non può esser felice, se non distaccando il cuore dalle ricchezze e largheggiando coi poveri. Il real profeta canta: « Lieto ed avventurato è l´uomo il quale compatisce l´infelice e lo solleva» [265]. Egli ha sparso i suoi doni sul misero, la sua giustizia sarà ricordata per tutti i secoli e la sua virtù coronata di gloria [266]. Ma perchè vi sia questa rinuncia che è obbligatoria per tutti, e per partecipare in qualche modo alla santa povertà di Gesù , basta mantenere il proprio cuore libero da ogni attacco alle ricchezze, pur possedendole, facendo come dice Davide: Se avete ricchezze non vogliate attaccarvi il cuore [267]. O come dice San Paolo: Usar di questo mondo come se non se ne usasse [268]. E, come commenta il Ven. Beda dopo Sant´Agostino, possedendo i beni di quaggiù , senza essere da essi posseduti. I primitivi cristiani vivevano in questo modo. L´apostolo diceva loro: Quando abbiamo da vestirci e da nutrirci siamo contenti [269]. E parlando negli Atti Apostolici del contegno dei primi cristiani, così si esprime: Niuno diceva sue proprie quelle cose che possedeva, ma tutto mettevano in comune [270].

La povertà religiosa.

L´avere il cuore staccato dalle ricchezze è povertà richiesta dal Signore a tutti, ed è obbligatoria per tutti. Ma non è ancora l´esecuzione completa del consiglio di Gesù ; e Perciò non è ancora ciò che forma lo stato religioso.

Il religioso deve fare di più ; egli non solo deve staccare dalle ricchezze il cuore, ma deve distaccarsi da esse realmente. Cioè non solo deve staccarsene affettivamente, ma anche effettivamente. E perchè la povertà sia vera virtù religiosi, non bastano neppure queste due condizioni; ce ne vuole una terza, ed è che si abbandonino le ricchezze, ed ogni cosa terrena, per amore del bene eterno che è Dio: cioè si faccia questo distacco con lo scopo di piacere di più al Signore. Non è per certo abbracciar la povertà di Gesù Cristo, il gettare ai mendicanti il proprio oro per noncuranza o vanagloria, l´affezionarsi alla povertà per un orgoglioso disprezzo alle ricchezze, o per farsi un nome, o per affetto ad un sistema. È il fine di piacere con ciò a Dio, che dà all´atto del proprio spogliamento il carattere veramente cristiano, gli assicura il suo valore celeste, e forma la vera povertà inculcata da Gesù .

In che consista la povertà religiosa.

Voglio spiegarti in modo pratico e preciso in che consista il distacco effettivo e reale del cuore dalle ricchezze e dalle cose di questa terra, in modo da formare la vera povertà religiosa. Si può stabilire fermamente, che la sostanza della povertà religiosa consiste in queste tre forme: 1) in un volontario e sincero distacco dalle ricchezze e da ogni cosa terrena; 2) in un rifiuto totale di tutto ciò che viene riputato come superfluo, cioè non necessario; 3) nel fare delle medesime cose necessarie solo quell´uso parco, che dovrebbero fare i veri poveri, cioè adoperar cose tali che siano convenienti allo spirito di povertà. Queste tre cose eseguite volontariamente e per solo amore di Gesù Cristo, ed il metter-i coi santi voti in condizione di non poter più fare altrimenti, ancorchè in qualche circostanza ne venisse la voglia, formano la vera povertà religiosa. E queste tre cose sono talmente necessarie, che, qualora ne mancasse anche una sola, non potrebbe più dirsi esistere quella virtù che formò in ogni tempo, e forma tuttora, il fondamento degli ordini e delle congregazioni religiose.

1) Il distacco del cuore.

E per quanto riguarda al primo capo, deve ognuno talmente distaccarsi dalle ricchezze e da ogni cosa terrena in modo, che non tenga più nessun danaro, e non consideri più nessuna cosa come sua; cioè che non si serva più di nulla senza il permesso del superiore. Devi considerare tutto come avuto in uso dalla casa in cui dimori, in modo da esser sempre disposto a cederla al superiore, ogni qualvolta quegli ne facesse richiesta. Da ciò ne proviene la conseguenza non esser lecito occultare alcuna cosa al superiore, e neppure mantenere attacco. Vi è da notare che l´attacco che si ha a qualche cosa, per quanto sia di piccolo valore, non è mai immune da colpa. E questa prende il suo giusto peso non tanto dal pregio della cosa, quanto dall´affezione ed attacco che si ha verso di essa. Perciò quanto ritieni devi ritenerlo col i m permesso o generale o particolare del superiore, sempre pronto a qualunque disposizione di lui. Per essere adunque ossequente alla povertà religiosa, non devi ricever mai nulla nè da benefattori nè da parenti, senza licenza o espressa o almeno tacita dei superiori, e questa, o sia particolare da domandarsi ogni volta, o almeno generale, vale a dire domandata una volta per sempre. Occorrendo accetterai cose non per te ma a nome del superiore, a cui le consegnerai appena tornato a casa, od appena se ne presenta l´occasione. Ma essendo il cuore quello che decide dell´affezione delle cose che si tengono anche con le debite licenze, qualora tu lo scorgessi attaccato ad alcuna di esse, benchè di poco momento, dovresti cercare o di disfartene facendone un sacrifizio a Dio, con rassegnarla in mano al superiore, oppure protestare innanzi a lui, d´essere prontissimo a privartene senza alcuna resistenza tosto che te ne spogliasse. Un quadretto, un libro, un temperino, uno spillo, una catenella, un orologio e cose simili si direbbero minuzie, è vero; ma, ritenute con attacco, rendono il religioso reo di colpa, e degno, per conseguenza, di pena. Conviene che ad ogni esercizio di buona morte, od almeno ogni anno negli esercizi spirituali osservi se hai tenuto possessione o cose senza permesso e come tue, o con attacco di cuore, e che te ne disfaccia senza esitazione.

 2) Rinuncia del superfluo.

Pure essenziale alla povertà è che tu cerchi assolutamente di togliere e di allontanare da te ogni superfluo, cioè l´uso delle cose superflue. Il superfluo, lo dice la stessa parola, e tutto ciò che abbonda oltre il necessario. Deve pertanto il povero religioso contentarsi del puro necessario. Tuttavia quando si dice il necessario, non s´intende solamente ciò che è strettamente richiesto per non morire, per esempio di freddo, di sete, di fame; ma si vuole indicare ciò che è conveniente allo stato religioso. Inteso così questo necessario è evidentemente relativo alla Religione che uno ha abbracciato, agli uffici che esercita, alla salute di cui è dotato, ed anche ai particolari bisogni dei quali son giudici i superiori. Quanto sorpassa tutto ciò , è appunto quel superfluo che fa d´uopo togliere fedelmente e generosamente a modo degli apostoli. E siccome gli apostoli si contentavano, al dir di San Paolo, dei semplici abiti, e del necessario sostentamento [271], così anche i religiosi che vogliono camminare sulle loro tracce, debbono contentarsi di quello solo che onestamente richiede l´umana indigenza. In forza adunque di un tal dovere non ti è lecito esser provveduto abbondantemente di quelle cose, l´uso moderato delle quali non è richiesto da un´onesta e conveniente necessità. Difatti che povertà sarebbe quella di chi non manca mai di nulla, anzi abbonda di tutto? Di chi non solo non manca dell´occorrente, come degli utensili e dei libri necessari, ma ha la camera ben provveduta di scaffali eleganti, di libri finemente legati; e pur anche di ninnoli e galanterie, di tappeti e di mobili preziosi, nonchè di cioccolate, di frutta, di bibite? Che razza di povertà sarebbe questa? Piglia per guida la santa povertà di Gesù . Alla luce di essa considera le tue abitudini: vedi se nelle cose delle quali usi, in quelle che richiedi, sia per te sia per gli uffici o studi che hai da compiere, in quelle ancora che desideri, non vi abbia nulla di cui possa realmente fare a meno. Bada che la cosa più comoda è superflua, quando basta la meno comoda: la nuova è superflua, quando l´antica permette di riuscire al fine; quella che non deve servire se non più tardi, è superflua oggi, giacchè oggi non se ne fa uso. È superfluo il sollievo, quando con un coraggio ordinario si può sostenere la pena che ci affligge. Oh quante illusioni forse vi ha a questo riguardo! Quante scuse per domandare! Quante industrie per ottenere! Quanti sofismi per conservare! Quanti religiosi mancano alla povertà per non contentarsi del necessario e per tenere il superfluo! Senza dubbio non bisogna eccedere in nulla; e la povertà che ha in orrore i bisogni immaginari, ha per sorella la semplicità, clic fa ingenuamente confessare i bisogni veri. Ma chi non sa quanto in materia dei propri interessi la natura sia cieca, parziale, esigente? Quando adunque ti parrà che questa o quella cosa ti sia necessaria, prima di tutto diffida di te, prendi tempo per riflettere, un tempo proporzionato all´urgenza del bisogno, alla vivezza del desiderio che fece nascere cotesto bisogno, all´importanza della cosa che potrebbe soddisfarlo, alla difficoltà che vi è di procacciarsela, all´effetto che potrà produrre sugli altri soci la concessione che te ne verrà fatta. Tranquillissimo allora, e disposto a cedere piuttosto ai superiori che a te, sottomettiti anticipatamente alla loro risposta. I E se questa risposta è un rifiuto, posto che non abbia la virtù di gioirne, abbi almeno quella di startene quieto e rassegnato. Sta poi molto attento affinchè il demonio non ti seduca, rappresentando come necessarie, e però anche lecite, certe cose che realmente sono superflue. È vero che alcuni generi di roba, che sono ad alcuni totalmente superflui, possono essere o per qualità o per quantità ad altri necessari, atteso il grado, l´impiego, la complessione, la sanità. Ma il tentatore, proponendo dei titoli speciosi all´amor proprio, cerca di sedurre e d´ingannare anche in quelle circostanze che sono legittimate dalla necessità, col far trascendere i limiti di una giusta e conveniente moderazione. Sa ben egli  il maligno, quanto possa a danno della coscienza d´un religioso, l´abbondanza ed il comodo. Cerca Perciò di palliare le più palpabili trasgressioni coi titoli ingannevoli d´equità di costumi, di consuetudini, i quali sono come sonniferi che placidamente lo addormentano nel male, e lasciandolo così in una pace iniqua lo incamminano per questa via a perdere la vocazione. Quindi è che la povertà può considerarsi come la pietra di paragone e quello scoglio fatale, cui urta buona parte dei religiosi. La sua trasgressione ne fa perire molti nel porto stesso della salute. Un religioso più è povero e più è assicurato di coscienza. Per la qual cosa meno egli sarà provveduto e meno ancora avrà delle interne agitazioni. Ed allora per conseguenza sarà più contento, quanto sarà più bisognoso. Imprimiti bene nel cuore, figliuol mio, questi giusti sentimenti, e, regolandoti secondo essi, non diverrai reo di violata povertà.

3) Uso del necessario.

Un terzo modo di povertà consiste in far uso anche nel necessario di cose tali, che siano convenienti allo spirito di povertà. È questo un punto forse più obbligante degli altri due. Come si potrà conciliare la povertà evangelica coll´apparenza di grandezza, di vanità mondana e di lusso secolaresco? Lo stato religioso, destinato a confondere il fasto del secolo con la povertà e con la semplicità, non permette lo sfoggio ed il lusso. Noi abbiamo bensì bisogno di adattarci ai tempi ed alle circostanze; ma anche per noi è vero che chiunque abbraccia lo stato religioso, deve assolutamente dimenticare ogni umana grandezza, deve deporre ogni ombra di lusso, deve rinunziare ad ogni larghezza propria dei mondani. Perciò anche noi, pensando che ci siam fatti poveri per amor di Gesù Cristo, dobbiamo esser pronti e generosi a seguire il Divin Maestro nella squallidità della grotta di Betlemme e della bottega di Nazareth, e fino alla nudità della croce. Con tali idee deve indispensabilmente governarsi ogni buon figlio di Don Bosco. E ciò non solo nelle cose di maggior considerazione, come negli edifizi e nelle abitazioni, ma anche nelle cose di casa come nei mobili, nelle stoviglie, nelle posate, negli inviti alle accademie, a pranzi; in ogni cosa individuale, e di minor rilievo, e più usuale, dovendo in tutto sempre risplendere la povertà attorno a noi. Bisogna pertanto che tu pensi seriamente a far vivere in te questa virtù . E non contentarti solamente di farla vivere in modo stentato, e quasi solo tanto che non muoia; ma che la faccia vivere con floridezza, affinchè cresca di giorno in giorno di più . trionfi e fruttifichi. E tu conosci e devi notar bene, che se tutti i religiosi devono far questo, lo dobbiamo I IKI tanto più noi salesiani. Noi, essendo membri di una famiglia che ha per scopo primario l´educazione della gioventù più povera ed abbandonata, non potremmo disimpegnar bene il nostro compito, se non praticassimo per primi un´alta povertà. Come potremmo, senza l´amore vero e pratico di questa virtù , mantenerci fermi in questo nostro dovere? Chi conservasse ancora attacco alle proprie comodità o alle cose già abbandonate, o molte o poche ch´esse fossero state, che pensasse ancora agli interessi della propria famiglia, come potrebbe attendere con disinteresse e zelo all´educazione dei giovani più poveri ed abbandonati?

Gradi della povertà.

La povertà religiosa, perchè abbia la sua vita piena e perfetta, e possa arrivare alla sua perfezione, deve ancora percorrere vari gradi, e fare vari progressi. Passando per essi noi siamo spinti anche a praticare molte altre cose virtuose, che ci rendono sempre più simili al divin modello, e Perciò più cari a Dio. E conviene che io qui, alia meglio che posso, cerchi di farti conoscere queste cose, affinchè tu, con l´animo tuo generoso, cerchi di arrivare al sommo di questa virtù , procurandotene la perfezione.

  1) Privazione del necessario.

E prima di tutto conviene che ti assuefaccia ad amare la privazione momentanea dello stesso necessario. Gesù diceva agli apostoli: « Quando vi mandai senza borsa, senza bastone e senza scarpe, vi mancò mai nulla? » . E a te, domando io, da quando sei in società che cosa ti è mancato? Qualche volta la Divina Provvidenza mette un poco alla prova i superiori perchè stiano esercitati nella fede; ma in conclusione non ci è mai mancato nulla. La Divina Provvidenza finora non deluse, e son certo che non deluderà mai la fede di chi in lei confida. Santa Teresa scriveva: « Quanto meno abbiamo, tanto minore è l´inquietudine mia. E nostro Signore sa benissimo che provo maggior pena quando le limosine vanno oltre al necessario, di quando ci manca qualche cosa. Nè potrei ancor dire di essere noi state nella necessità, tanto è pronto di venirci in aiuto l´adorabile Maestro » . Ma e se dovessero avvenire delle reali privazioni? Ebbene: si sopporteranno. Eh! Che cosa è mai ciò in confronto della condizione di coloro, che senza aver fatto il voto di povertà la praticano per forza? Qual è il povero, che nel secolo non manchi talvolta di pane da sfamarsi, di vestì per coprirsi, di fuoco per riscaldarsi, di riposo nelle fatiche, di medici e di medicine nelle malattie? Or che sarebbe della povertà religiosa, se, lungi dall´esporre a mancar qualche volta del necessario, offrisse a chi si è fatto povero volontario per il Signore, maggior sicurezza ed abbondanza che non avrebbe spesso trovata nella propria famiglia? È un´ambizione troppo grande voler essere povero e non riceverne incomodi, dice San Francesco di Sales, poichè è un voler l´onore della povertà e il vantaggio delle ricchezze (Filotea, p. 3, e. 16). E Santa Teresa dice chiaro che questo sarebbe davvero un voler ingannare il mondo. E San Vincenzo Ferreri soggiunge: < Oh son numerosi coloro che vanno alteri del nome di poveri! Ma spesso a quali condizioni? A quella di non mancar dì nulla. E si dicono amici della povertà; e quando si fanno innanzi i veri amici della povertà, cioè la fame, la sete, l´indigenza, l´umiliazione, essi li fuggono a tutto potere! » (De vita spirituali, Cap. I).

Tu cerca di non fuggire siffatte occasioni.

Quanto più esse son rare per te, tanto più quando Iddio le permettesse ne lo dovresti benedire, e con zelo trarne profitto. Richiama alla mente ciò che diceva Gesù per bocca del real profeta: « Io sono povero ed addolorato [272]» . Non ti rincresca pertanto se la tua povertà qualche volta ti sarà dolorosa.

2) Santa libertà nell´uso del necessario.

Ma la santa povertà distacca l´anima perfino dalle cose di cui ordinariamente non si può far a meno. L´anima povera, pazientemente coraggiosa, quando manca di una qualche cosa, rimane libera e indifferente quando ne usa. Tutto le serve, nulla la rende schiava. Non mormora, nè mai si lagna se non le si somministra ciò che non ha, se le si toglie ciò che ha, se si dispone a talento di quanto la circonda e della sua persona stessa. Arrossirebbe di spendere il tempo nel badar a queste cose da nulla! D´altra parte, come dice San Giovanni Climaco, chi si è consacrato a Dio deve tenersi per donato, alienato, venduto al Signore. Che cosa possiamo domandare con più ragione a questo religioso, che egli non ritenga cosa già data in principio, e la consegni sull´istante, con quella semplicità con la quale il mercante consegna al compratore la merce pagata?

3) Distacco da tutto.

È ancora qualità che deve ornare il vero povero l´aver il cuore distaccato da tutto. Quando anche, o per aver portato in società una grossa somma di danaro, o con un lavoro più attivo e rimunerato, avesse uno recato vantaggio alla comunità, non se ne dovrebbe prevalere per nulla, nè pretendere mai, neppure interiormente, maggiori riguardi, cure e comodi, degli altri. Deve tornargli a grado il non aver nulla. La vista del proprio spogliamento, lungi dal turbarlo lo incanta. E ripete volentieri ciò che dice Geremia, o meglio Gesù : io mi compiaccio della mia povertà [273].

Che la mira tranquillo, la contempla con amore, e la sostiene non solo con pazienza ma anche con rendimento di grazie. Egli canta con Davide: Io son solo e povero [274]. Purchè abbia colui che è il suo tutto, nulla gli importa del resto. Quanto meno egli ha, tanto più è sicuro di avere il suo Dio. E Perciò è tranquillo e contento. Oh vero povero! oh! la buona e gioconda povertà! Se un pensiero più frequente, un più vivo sentimento, un desiderio più premuroso di avere, un timore di non aver più , lo facessero entrare in sospetto di una qualche secreta affezione, egli volerebbe a confessarlo. E pregherebbe di venirne guarito, scongiurando esso stesso che gli sia tolto o negato ciò che per la preoccupazione che ne ha, potrebbe rapire forse a Dio una particella dei suoi affetti.

Qualità della povertà.

Questa vera povertà è attenta. Risparmia con sollecitudine le cose che le sono affidate, giacchè non solo le considera come affidate, ina molto più ancora come cose sacre. E però non le basta risparmiarle: le rispetta, le venera. Tratta il bene comune come il bene di Gesù : e quindi, salva la proporzione, tratta le cose comuni come tratterebbe le vesti sacerdotali o i vasi del santo sacrifizio. Se ha qualche uffizio, le sue cure aumentano assai. Dico le sue cure, non la sua inquietudine e molto meno il suo disturbo. Checchè succeda guardati dal disturbo, badando a rimanere fedele ai propri doveri, a custodire lo spirito del tuo stato. Quanto al resto affidati alla Divina Provvidenza. « Dio vuole che abbia fiducia in lui, dice ammirabilmente San Francesco di Sales, ciascuno secondo la propria vocazione. Non si richiede che un uomo laico e mondano si appoggi alla Provvidenza di Dio, nella guisa che dobbiamo farlo noi altri ecclesiastici... Nè gli ecclesiastici sono obbligati a sperar nella Provvidenza come un religioso (Lett. 45, voi. V, Ed. Migne). E dimostra che presso i religiosi questa confidenza e speranza deve salire fino al colmo. Attento in tutto, e generoso quando occorra, il povero per davvero è anche operoso. Risparmia il tempo, ma non la propria fatica. I poveri non lavorano essi molto ed aspramente? Vanno tanto per il  sottile nelle loro indisposizioni? Si fermano nei loro languori? La necessità è lì che li incalza; vi soggiacciono, e spesso senza lamentarsi. Si farà meno nella nostra Pia Società? Lo spirito di fede, la volontà di Dio, la regola, la coscienza, lo zelo della propria perfezione, l´amore a Gesù Cristo, non sono essi forse come la necessità? Ciò non pertanto non andare all´esagerazione; i riguardi che si giudicano necessari o davvero convenienti, si devono usare! I superiori lo vogliono; Perciò Iddio lo vuole, e tu usali. Ma sta negli stretti limiti voluti dai superiori. Attento poi a non lasciare le pratiche di pietà per lavorar di più . Data al lavoro la sua parte, attendi tranquillamente al servizio personale di Dio, e aspetta da lui soccorso. Le sante lagrime fecondano la terra al pari dei sudori; e quando la terra rimane sterile, l´orazione ha il secreto di far piovere la manna dal cielo. Il vero povero è costante nello spirito di povertà e perfino nelle malattie lo troviamo sempre lo stesso. I poveri hanno la loro maniera di essere ammalati, maniera che non rassomiglia a quella dei ricchi. Non dimenticarlo mai nelle tue infermità. Anche nelle malattie sii contento del poco: non domandare e neppur desiderare nè cure troppo particolari, nè rimedi straordinari. Una cura ordinaria è necessaria. Sono i superiori che la comandano, è Iddio che la vuole. Ma posti i riguardi ordinari, quanto meno penserai alla tua cura, tanto più Nostro Signore benedirà largamente quanto si farà per tuo sollievo. Oltre a ciò , badalo bene, non si tratta in religione di prolungare la propria vita ad ogni costo; ma sì di procurare ad ogni costo la perfezione dell´anima propria. Ed io non so che altro possa meglio contribuirvi dall´essere fedele allo spirito di povertà anche nelle malattie.

Benefici della povertà.

Ecco che cosa la virtù della povertà ispira, rispetto a tutti quei beni che diciamo ricchezze, e che formano il campo speciale ed immediato nel quale devi esercitarti! Ma siffatta virtù è tale, che, togliendo via da noi quello che ingombrava l´anima, vi produce quella dilatazione, che, al dire dello Spirito Santo, dà lo slancio al cuore e rende agili i piedi. Ciò spinge l´anima a staccarsi, prima interiormente e poi esteriormente, secondo che Iddio gliene dà la grazia e l´occasione, da tutti quegli altri beni naturalmente cari come l’onore, la stima, il credito, o l´autorità, l´affezione, la gioia, e la stessa scienza. Non lo lascia affezionato nè alla propria sanità, nè al suo ingegno naturale, nè alle sue abitudini, nè alle sue divozioni, e molto meno ai suoi uffizi e alle cose che l´attorniano. Non già certamente che alcuno di sì fatti beni sia male in se; che anzi in un certo senso ognuno va amato e desiderato, e quindi ricercato! Ma bisogna esser ben pronti a farne a meno, a ripudiarli, a fuggirli quando c´intralciassero nella via della perfezione, e riguardassero solo la terra o potessero piaggiare e nutrire l´uomo terreno. Questo è il caso di certa scienza che avesse a gonfiarti e darti solamente lustro, o ti spingesse a vane ricerche con nocumento della semplicità del cuore, e con pericolo che per quelle venga offuscata la limpidezza di colloquio interiore, che solo percepisce direttamente le cose di Dio.

Bellezza della povertà.

L´anima religiosa deve arrivare a godere della povertà, a tenerla come una cosa assai bella, a somiglianza di quanto si legge nella Sposa dei sacri Cantici: che essa è nera ma bella. Certo, la povertà è nera; il che fa sì che, vedendola tale, il mondo se ne spaventi, se ne scandalizzi e la compianga, quando non la disprezzi. Ma quanto a ragione può aggiungere che, se è nera, è anche bella! Sì, è bella la povertà d´una bellezza tutta divina, tanto che attirà gli sguardi e le compiacenze del Divin Redentore, il quale discese dal cielo in terra per sposarla. È bella della beltà celeste che innamorò la Madonna, San Giuseppe, in generale i santi, che l´abbracciarono come madre e sorella. E perchè , nonostante la nerezza, si può a ragione chiamar bella? Perchè ciò che l´ha scolorita così ed annerita, è il sole della divina beltà [275]. E noi pensiamo sempre che è per amore di Dio che ci siam l´atti poveri, e che se compariremo scolorati in faccia al mondo, saremo tanto più risplendenti in faccia a Dio, al sol di giustizia che ci attrasse a sè.

Pratica di questa virtù .

Or tu, persuaso di queste grandi verità, di questi grandi beni che apporta al mondo la povertà, fin dal tempo del noviziato apprendine bene la pratica, sia facendone oggetto degli esami particolari ed esercitandovi nelle piccole occasioni che quotidianamente si possono incontrare, sia prevenendo e predisponendoti a quei casi che in seguito più facilmente potranno succederti. Nè contentarti di ammirare la virtù in generale: vieni sodamente alla pratica anche nella particolarità Procura di comprender bene che un ascritto, il quale nell´anno di noviziato non fosse contento dei cibi della mensa comune e se ne lamentasse coi compagni; uno che desiderasse le comodità nelle piccole cose, che rifiutassi di ricevere a suo uso libri usati, che sentissi UH vergogna di portare una veste vecchia e rattoppata; chi non facesse volentieri quei piccoli servizi di cui è capace; chi nei casi di malattia, pretendesse dei riguardi che la casa non può usargli, dimostrerebbe di non saper neppure dove stia di casa questa necessaria virtù . Ugual cosa sarebbe a dirsi di chi entrando in noviziato si rifiutasse di fare, o facesse di malavoglia, quei piccoli servizi di cui è capace; chi sapesse ad esempio fare il sarto, .1 barbiere, il legatore, l´infermiere, e non si prestasse volentieri a queste cose secondo il parere dei superiori. Così di chi volesse essere esonerato da qualunque spesa per il suo mantenimento, mentre i parenti potrebbero aria e avesse maggior sollecitudine verso noi che verso la congregazione. Chi è chiamato a vivere in una società come la nostra è ve riconoscere nella sua vocazione un dono gratuito e singolarissimo della Divina Provvidenza; non già credere di far egli un bene alla congregazione, per cui possa ripetere favori e conoscenza. Non dà quindi prova di affetto ‚ñ† Ila Società nostra a cui vuole aggregarsi, chi dà tanta premura di gravarla di sacrifici.

Ciò che suggerisce Don Bosco.

Ricordino anche sempre gli ascritti le parole nostro caro Padre Don Bosco, il quale notò come parte della povertà il non far guasti, e l´aver cura dei libri, delle vestimenta, delle calzature. E c´insegnò che il portar abiti dimessi, usare cibi dozzinali onora grandemente chi ha fatto voto di povertà, perchè lo rende simile a Gesù Cristo. Nota tuttavia che con la povertà deve sempre andar congiunta la nettezza e la pulizia. Il religioso deve bensì sempre fuggire tutto quello che è mondano e vanitoso, ma deve anche sapersi adattare alle oneste esigenze del prossimo. Nessuna ricercatezza, ma grande cura di non aver mai le vesti stracciate, neppur lorde; calzature ordinarie, ma sempre pulite. In una parola la povertà non impedisce le convenienze sociali, anzi i superiori vogliono che ciascuno si faccia scrupolo, come già si è raccomandato altrove, di osservare con precisione le regole della civiltà e della buona creanza. Si noti finalmente, che quantunque in forza della virtù della povertà nessuno debba ritenere cosa alcuna come sua propria, tuttavia ciascuno è responsabile di quegli oggetti che furono a lui affidati, o rilasciati a suo uso particolare. E ! quindi doveroso il tenerli in conto; ed è affatto illecito il prender senza licenza, od usare »senza permesso, oggetti o libri della comunità, od affidati a qualche confratello, o compagno. Quella specie di comunismo, che consiste nel servirsi, senza permesso dei superiori, delle prime cose che s´incontrano, sebbene affidate ad altri, non è secondo lo spirito del la povertà. Tieni poi le cose che ti son date per tuo uso come se le avessi in imprestito: nulla dare, nulla ricevere, nulla disporre senza licenza. Contentati sempre delle cose comuni, ed in queste procura di andare ancora sempre restringendo. Ama di avere le cose già adoperate e quelle meno belle. Sii molto cauto a non attaccare il cuore ad alcuna cosa, per minima che sia. Specialmente nell´esercizio della buona morte osserva se hai qualche cosa di superfluo, o che ti rincresca abbandonare; e per amore della povertà perfetta spogliatene, portandola al superiore. Non è per certo gran povertà, dice San Vincenzo de´ Paoli, il contentarti delle cose che ti sono necessarie! E perciò , per essere veramente povero, sopporta pazientemente e di buon cuore di non aver tutto quello che ti è necessario. Anzi cerca di dilettarti di ogni estrema penuria, per quanto la natura potrà sopportare. E generalmente in tutte le cose sia del mangiare e del bere, sia degli abiti e calzature, sia nei libri ed altro, sappi appigliarti sempre a quello che più conviene alla povertà. È in questo modo che si avvererà in te il detto dell´apostolo, che nulla avendo, ogni cosa possederai [276]. Oh se potessi ardere talmente del desiderio di questa virtù , fino al punto di cedere volentieri e lasciare sempre agli altri quello che è migliore e più comodo, prendendo per te il più vile ed inutile, come per esempio le vesti più abbiette, il letto più incomodo, il sito più brutto, la coperta più vecchia, il libro più usato! Sappi che questo gioverebbe meravigliosamente, non solo per acquistare la perfetta povertà, ma anche per esercitare l´umiltà e la carità, virtù che si devono sempre avere in mira, e senza di cui a nulla si ridurrebbe la vita religiosa. Se pertanto vuoi esser distinto con nobile segno di predestinato e degno figlio di Don Bosco, de- 1 vi, figliuol mio, non solamente essere povero di roba ma di spirito, cioè povero di amore e di desiderio, per cui goda imperturbabile della povertà, ugualmente che un altro godrebbe dell´abbondanza. E ti sia questa una virtù cara e familiare; sia questa la tua gemma preziosa, il tuo tesoro, la tua eredità. Beato te, se saprai farti povero in questo modo. Entrerai sicuramente a parte di quegli eterni beni, al cui possedimento giunsero dopo le corse di questa vita mortale, unitamente a Don Bosco, tanti poveri, ma fortunatissimi figli della nostra Pia Società, cominciando da un Don Alasonatti. venendo a Don Chiaro, al Conte Cays, a Don Ortuzar, al Principe Czartoryski e tanti altri, già ricchi, e che si santificarono nella povertà nella nostra congregazione. Essi, affidati alle parole di Gesù Cristo, fin da quando erano in questo mondo acquistarono il diritto al celeste regno, promesso dal Signore ai poveri di spirito. Anche tu otterrai altrettanto se saprai coraggiosamente camminare dietro le loro orme.

Capo X MOTIVI, MEZZI E VANTAGGI DELLA POVERTA’

Motivi: 1) L´interesse della Società.

Per quanti motivi dobbiamo essere zelanti nella pratica della povertà? Per sei motivi specialmente, che io desumo, con altri pensieri di questa trattazione dei voti, dal dotto, profondo e pio mons. Gay [277].

Il primo è l´interesse della nostra Pia Società a cui ci siamo fatti ascrivere, ed a cui abbiamo l´onore e la grazia di poter appartenere. È dottrina di tutti i teologi, ed unanime sentire di tutti i fondatori di ordini e congregazioni religiose, esser la povertà il fondamento e la radice della vita religiosa e come suo muro di difesa. La storia è lì per dimostrare che essi hanno ragione. Facendo la storia della povertà o della ricchezza degli istituti religiosi, fate quella del loro progresso e della loro decadenza. Se tu pertanto pratichi con molta precisione questa virtù e cerchi di condurla in te alla perfezione, tu sei certo che oltre a fare un gran bene all´anima tua, fai anche del bene alla nostra società cui appartieni. Dai a vedere che l´ami davvero, sei in certo qual modo come un benefattore. Che fa invece in una casa religiosa uno che sia abitualmente infedele alla santa povertà? Ciò che fanno alle radici delle piante gl´insetti che desolano gli agricoltori. Egli divora, per parte sua, il succo di quell´albero benedetto, di quell´albero divino che lo ripara sotto l´ombra delle sue foglie, e lo nutre dei suoi frutti: ne dissecca lo stelo, lavora a renderlo sterile, e in questo modo fa l´opera di Satana. E per questo, che, trattandosi dei trasgressori della povertà, le grandi anime dei fondatori di ordini religiosi, da agnelli che erano, li vediamo per l´ardente zelo che li animava, farsi forti ed energici come leoni. Tenendo a mente un terribile e solenne castigo inflitto da San Pietro ad Anania ed a Zaffira, noi vediamo San Benedetto e San Francesco d´Assisi mai esser presi da zelo più energico, di quando vedevano trasgressioni della povertà. San Domenico nel morire minacciò della maledizione di Dio e della sua, chiunque offuscasse colla polvere delle terrene possessioni lo splendore della povertà, di cui voleva rifulgesse l´ordine dei frati predicatori. San Vincenzo de´ Paoli maledisse un giorno tre volte di seguito quelli della sua compagnia, che si lasciavano trasportare dai sentimenti del proprio interesse. Santa Teresa ha parole di fuoco, contro chi rompesse la povertà e soggiungeva: « Sia adunque, mie care figliuole, il più caro dei voti quello di conservare intatta questa virtù . Tutto corrisponda al glorioso nostro stemma: le nostre stanze, le nostre vesti, i nostri desideri. Guardatevi soprattutto dal non innalzare mai sontuosi edifizi: ve lo domando per l´amor di Dio, e per il prezioso sangue di Nostro Signore. Se questo vi succedesse, il mio voto, che formo in coscienza, si è che crollino nello stesso dì che verranno compiuti » (Cammino della perfez., II). Se San Francesco di Sales si vide una volta oltre il solito rigoroso, fu quando, nei primi giorni dacchè aveva fondato l´ordine della Visitazione, temette che le sue religiose avessero mancato su questo punto. Comprendi bene anche tu da tutto questo, che chi pratica questa virtù fa l´interesse della nostra società; mentre invece chi la trasgredisce le fa, per quanto sta da sè, il maggior male possibile. Sì: chi cerca d´introdurre in congregazione il superfluo, gli agi, le comodità, può considerarci come un sacrilego assassino della sua propria madre. Perciò proponiti fin d´ora di voler porre sempre un´attenzione e sollecitudine speciale a conservare la vera e completa povertà.

2) Solleva ad alta perfezione.

Il secondo grande motivo, che deve ispirarci zelo a questa virtù , è l´alto grado a cui solleva la nostra morale e religiosa perfezione. Ascoltiamo l´Eterna Sapienza, che, nell´eccesso della sua misericordia, fa scuola quaggiù .

Gesù apre la bocca per ammaestrare la moltitudine della montagna. È la prima volta che egli parla alle turbe: quale sarà il primo insegnamento in questo primo solenne discorso? Eccolo: « Beati i poveri di spirito» . E bada che l´evangelista ha cura di farci notare che è con questa parola che aperse la sua bocca per ammaestrare il mondo: Aperiens osuum. Su questo primo gradino ne porrà sette altri; e per mezzo di questi gradi di ascensione l´anima salirà sino alla suprema vetta ove si contempla la faccia di Dio. Ma il gradino della povertà è il fondamento, e sosterrà tutto l´edifizio. Quando uno avrà posto questa base, si affezionerà ai beni celesti n guisa da non avere, per qualunque altro be ne terreno, se non disprezzo e disgusto. Noi avrà più cuore se non per Dio; non avrà g non un cuore con Dio. E quest´è la fine: ma il principio sta nello staccare il proprio cuore dalla terra, nell´essere povero di spirito, cioè nell´amar la povertà. Fin che non si viva la vita della povertà, sarà sempre spalancata e larga la porta alla soddisfazione dei propri desideri; non solo dei desideri naturali, umani, terreni, i quali sebbene non illeciti allontanano dalla perfezione; ma anche dei cattivi, il che fa sì che essa sia una perpetua tentazione. Gli agi e le comodità che le ricchezze procurano, sono come una specie di barricata posta fra l´anima e il corpo, tra la mortificazione ed i sensi, tra i consigli di Dio e le inclinazioni corrotte, dalle quali nessun figlio di Adamo va esente. Questi agi e queste ricchezze favoriscono una certa indipendenza, c´investono di un certo potere, permettono di esercitare una certa qual alta protezione, ci collocano in una certa qual supremazia. Per conseguenza, alimentano e quasi autorizzano quell´orgoglio che è la contraddizione e l´impedimento d´ogni virtù . V´è una tale stretta parentela tra la povertà di spirito e l´umiltà, he la maggior parte dei Santi Padri spiegano egualmente dell´una e dell´altra nella prima Ielle beatitudini. E soggiungono che le ricchezze tendono sempre ad esaltare la personalità: la povertà invece tende a ridurla. E hi non sa, e chi non sente, che è appunto tra fatta esaltazione, e tra siffatta riduzione interiore del nostro io, che a noi si affaccia il problema della salvezza eterna, e che si svolge la grande lotta tra la carne e lo spirito, la quale è continua per tutto il nostro vivere? Questa vita comoda ed agiata è in opposizione allo spirito del santo Vangelo, è come un ostacolo alla vita perfetta, come un´ombra, se non come un muro, tra le anime e Dio. « Oh! Beato l´uomo che non va dietro a loro, nè ripone la sua speranza nel denaro e nei tesori! Chi è costui, dice lo Spirito Santo, e lo loderemo? Egli farà cose mirabili in vita sua [278]» . Attaccati adunque fortemente alla vera povertà per fuggire i tanti pericoli in cui il desiderio delle ricchezze ti porrebbe, e per poter avere il più potente mezzo per ascendere di giorno in giorno meglio la via della perfezione.

3) Piace al Signore.

Il terzo motivo della povertà è che piace immensamente al Signore. Essa pone tra Dio e l´anima relazioni particolari, numerose e affatto ammirabili, fino al punto da far sì, che Dio direttamente si prenda una cura tutta speciale del povero. Ascoltiamo quanto ci dice lo Spirito Santo: « O Dio, gli dice Davide, voi stesso vi prendete cura del povero [279]. Iddio medesimo tiene come affidati a sè gl´interessi del povero, e prende in mano i suoi affari. Dio stesso è il suo rifugio [280]. Dio è la fortezza del povero nella tribolazione, la sua speranza nella procella, il suo riparo nell´ardore del giorno [281]» . Dio, per così dire, non perde di vista il povero neppure per un istante, G sembra riguardarlo di preferenza a tutti gli altri: « Non mancheranno, dice, poveri sulla terra che tu abiterai; per questo io ti comando di allargar la mano verso tuo fratello necessitoso e povero, che teco dimora nella stessa terra [282]» . Vedi quanto Iddio ama il povero e come sembra non pensi ad altro che a lui! E tu conoscendo questo, rallegrati della tua povertà, osservala bene, e sta sicuro che Iddio ti benedirà in ogni modo se la praticherai.

4) Imita Gesù Cristo.

In quarto luogo dobbiamo amare molto questa virtù per imitare Gesù benedetto, il quale l´amò tanto e la praticò per tutta la sua vita. Dice San Bernardo, che, sebbene nel mondo abbondasse per tutto la povertà, il suo pregio era affatto ignoto al mondo. Ma Dio l´amava talmente, che non trovandola in cielo (poichè certamente in cielo non vi è povertà di sorta), volle scendere egli in terra per poterla abbracciare, e così insegnare a noi il suo pregio ed incoraggiarci a praticare volontariamente una cosa tanto preziosa e che arreca tanti benefizi (1[283]). Di fatto, ricchissimo qual era e padrone assoluto dell´universo, venendo al mondo abbracciò una povertà non comune ed ordinaria, ma la più stretta ed estrema. Nacque da una Madre povera, in una vile grotta; soffrì il freddo, avvolto com´era fra poveri pannicelli, adagiato su poca paglia, riscaldato dal fiato di due vilissimi animali. Volle essere condotto in Egitto senza avere nessuna comodità di viaggio, ospitato per carità. A Nazareth visse nella più squallida miseria nella casa di San Giuseppe; dovette lavorare per tutta la vita alacremente e faticosamente per guadagnarsi il pane. Nei tre nni della sua vita pubblica non ebbe casa ove potersi ricoverare, nè letto ove posare il tipo, siccome disse Egli medesimo: « Le volpi anno la loro tana e gli uccelli del cielo il ido, ma il figlio dell´uomo non ha dove posa»il capo [284] » . Viveva di stenti e di elemosine, »on tenendo neppure un soldo per pagare il tributo. La sua morte poi fu un vero prodigio i estrema ed eccessiva povertà, poichè morì in croce: e per seppellirlo fu necessario trovare un sepolcro ed un lenzuolo per limosina.

 5) Segue la dottrina di Gesù .

In quinto luogo: dobbiamo praticare la povertà per seguire gli ammaestramenti di Gesù medesimo. Egli infatti a dimostrare l´ala stima che ha per essa, oltre l´esempio, volle affermarne il pregio coi suoi insegnamenti. Fece di essa molti elogi, e promise grandi remi a tutti quelli che l´avessero imitato in nesta virtù a lui sì diletta. Ben sapeva il Redentore quanto mai venga impedito dalla ricchezza il conseguimento dell´evangelica perfezione, e quanto contribuisca la povertà ad ottenerla. Quindi consigliando il giovinetto bramoso di farsi suo seguace, nient´altro gli propose per divenir perfetto che vendere tutti i suoi averi, distribuirli ai poveri e farsi anche lui povero [285].

6) Coopera con Gesù alla salvezza delle anime.

Finalmente dobbiamo praticare ed amare la povertà perchè essa ci associa all´opera di Gesù nel salvare il genere umano, e ci dà la virtù di cooperarvi potentemente. L´opera di Gesù è opera d´illuminazione e di santificazione, opera di conciliazione e di pace universale nella verità e nell´amore; ed in tutte queste cose è coadiuvato dai suoi poveri. Il religioso che lascia tutto e non vuole possedere nulla sulla terra, ripara per parti sua quel cumulo di iniquità, di cui la ricchezza terrena è , e sarà sempre insino alla fine, l´odiosa ed instancabile produttrice. Oh come questa verità deve renderci lieve il peso delle nostre privazioni e di tutte le sofferenze che provengono da questo spogli amento totale di tutte le cose! Io son povero e soffra, sì, ma con ciò , come da uno degli altari cattolici ove Gesù è tuttora immolato, il mio sacrifizi sale fino a Dio, per rendergli un poco di quella gloria a lui rapita del continuo dall´idolatria dell´oro, e dalla materiale prosperità. E facendo questo, il povero illumina e santifica gli uomini. Egli fa vedere la sublimità del Vangelo col professare così palesemente quanto vi si trova di più rigoroso, e di più arduo, e di più perfetto. Prova la realtà della grazia, poichè solo un aiuto sovrumano dà il mezzo di far opere sovrumane, e soprattutto di vivere con perseveranza in uno stato in cui la natura è così sacrificata! Egli onora la virtù della preghiera e dei Sacramenti, che sono manifestamente ed esclusivamente i viatici della sua strada, ed i sostegni della sua forza. Il povero predica: anche nascondendosi, anche tacendo annunzia la buona novella e insegna Gesù Cristo. Egli dice chiaramente a tutti, che la vera felicità non è là dove i mondani si ostinano a cercarla! Che invece possiamo vivere di gaudio senza affezionarci a nulla di ciò che è sulla terra; che quanto meno ci affezioniamo alle cose terrene, tanto maggiore è il gaudio. Egli è il mallevadore delle divine promesse, ed il testimone anticipato delle delizie che si gusteranno in cielo. I poveri di Gesù Cristo, cioè i poveri volontari, col loro esempio non hanno mai cessato un giorno di lavorare per la santificazione universale. Ed ora specialmente, che ferve la lotta tra il capitale ed il lavoro, ed il socialismo coll´apparenza di voler la parificazione sociale soffia nelle masse e si sviluppa il più orribile degli incendi, quello dell´odio vicendevole, viene opportuna l´opera pacificatrice dello stato religioso con la pratica della sua povertà volontaria. Non è per nulla che tanto acremente si scatena in questi giorni un furibondo odio contro i religiosi! Eppure quante volte i poveri salvarono la Chiesa! Questo ci dà caparra che anche in avvenire la salveranno. In un sogno rimasto celebre il gran papa Innocenzo III vide barcollare le mura della chiesa di San Giovanni in Laterano, che è tenuta per la chiesa madre di tutto il mondo; e gli pareva che il tempio fosse per crollare e sprofondarsi. Ma un uomo, un uomo solo e di meschina apparenza, sosteneva l´edilìzio. Quest´uomo Innocenzo lo vide ben presto in realtà; era un povero, il padre di una infinità di poveri, Francesco, detto per antonomasia il Poverello d´Assisi, di cui il Papa, prima titubante, approvò pienamente la regola. Se il mondo non lo impedisse, questi poveri di Gesù Cristo pacificherebbero il mondo. Non v´è che un male, radice di tutti i inali, secondochè ci dice San Paolo: la cupidigia [286]. Non v´è che un bene, da cui derivano tutti i beni: la carità. Supponete lo spirito dei poveri di Gesù Cristo diffuso e vivente nel cuore di tutti gli uomini: le guerre cesserebbero immancabilmente e soprattutto le lotte sociali; le braccia non servirebbero più agli uomini se non per aiutarsi a vicenda, e per abbracciarsi; le classi, pur rimanendo distinte perchè tale è l´ordine stabilito dal Signore, sarebbero ciò non pertanto unite come Iddio vuole e comanda. La vera fratellanza si stabilirebbe per mezzo dell´amore, e la terra, non ostante i suoi duri lavori e le inevitabili sue lagrime, diventerebbe il vestibolo del paradiso. A questo riesce l´oracolo del Maestro: e Beati i poveri di spirito, perchè di questi è il regno dei cieli » [287].

Mezzi per conservare la povertà.

Veniamo ormai ai mezzi per conservare questa virtù . Il gran mezzo per conservare la povertà, mezzo universale, radicale, infallibile, è la vita perfettamente comune. In che osa consista la vita comune, lo abbiamo con tutta precisione dallo schema del Concilio Vaticano. Esso dice che la vita perfettamente comune consiste in questo: che qualunque bene, reddito, emolumento, e qualunque altra cosa che sotto qualsiasi titolo provenga ai renosi, vada a bene di tutta la religiosa famiglia, e che lo stesso vitto, vestito e le altre ose necessarie siano ricevute in comune traili casa; che i superiori non neghino ai religiosi qualunque cosa sia necessaria, e che i religiosi non esigano nulla che sia superfluo. Tu pertanto ama la vita comune, ama il cibo comune, le vesti comuni, i libri, gli arnesi da lavoro comuni. Ama persino e attienti agli usi comuni, e prendi parte a tutto quello che si fa dalla comunità, tranne casi particolari, verificati dai superiori, nei quali occorra qualche eccezione. Non fare in nulla il singolare. Non che non possa domandare e intenderti col superiore, per fare qualche cosa di più che gli altri; ma, accennata la cosa, sta´ subito a quanto il superiore ti dice. Sant´Alfonso dice: « È bensì vero che non si farà mai santo chi non fa un po´ il singolare. Perchè , soggiunge, la santità è sempre di pochi, e non generalmente delle masse. Perciò chi vuol esser santo deve scostarsi alquanto dall´agir comune. Ma tu capirai che il superiore non vorrà mai allontanarti dalla santità, anzi, egli stesso a costo di qualunque sacrifizio ti somministrerà le norme ed i mezzi per giungere ad essa. Tu pertanto non devi volere i mezzi che sembrano a te più atti, anzi devi capire che il mezzo principale è la mortificazione della tua propria volontà e del tuo proprio giudizio. Quando il superiore credesse necessario di farti uscire dalla via comune, lo farà lui. Ma tu intanto sta perfettamente alla vita comune, batti la via comune, escine solo col far con maggior perfezione le cose ordinarie. Avrai con ciò tracciata avanti a te una via ben sicura della santità. Oh! La eccellente povertà che è mai quella che è esercitata dal religioso che non esce nulla dalla vita di comunità! Con ciò il superfluo si trova tolto per se stesso, e lo spirito di proprietà resta inchiodato alla croce; resta impossibile l´illusione, confuso l´amor proprio. Se, ciò non pertanto, nelle cose comuni vi ha, com´è quasi inevitabile, qualche disuguaglianza, Io spirito di questa benedetta virtù , non dico che ti farà scegliere quanto vi è di peggiore, perchè il povero non sceglie, bensì prende ciò che gli vien dato; ma inclinerà il tuo cuore a preferire il meno, forse a domandare a Dio che ti sia assegnato, anche a far conoscere al superiore che tu lo accetteresti volentieri. E se è appunto questo meno che fi è dato, essa ti farà considerare come una grazia siffatto dono, e tu ne ringrazierai il Signore e ne gioirai come di una buona fortuna.

Vantaggi della povertà.

I vantaggi che arreca la povertà sono incalcolabili. Oltre ai grandi e continui giornalieri meriti già accennati, oltre al contribuire al bene generale della società, come sopra si disse, la povertà religiosa dilegua in te ogni ombra di timore di non camminare per la via della santità, distrugge le opposizioni, fa scomparire gli ostacoli che per quel cammino s´incontrano, e costituisce se stessa come potente mezzo per arrivare al desiderato fine. Dinanzi ad essa si apre, si rischiara, si allarga la strada; e la stessa vita, tolto ogni fardello di cose umane, si sente sollevata, vivificata, piena di slancio, come se dì tratto avesse messo le ali. Sant´Ambrogio osa dire invero che questa benedetta povertà è la madre di tutte le altre virtù [288]. E Sant´Ignazio di Loyola vuole che la si ami qual madre delle anime nostre [289]. La povertà ti apporterà pure la pazienza e la tranquillità. Il povero si trova nello stato di chi non ha alcun diritto. Nè solo non ne ha, ma rinuncia ad averne. Soffre senza alcun dubbio, e talvolta anche molto; ma non si scoraggia, nè si fa lecito di gemere. Non si può immaginare uno stato d´animo più propizio per attirare l´abbondanza delle grazie celesti. D più il vero povero è energicamente incamminato per la via della santità, poichè esso è inevitabilmente umile, pacifico e mansueto, naturalmente sobrio e casto. San Paolo diceva : il mondo è a me crocifisso, ed io son crocifisso al mondo. E la povertà è proprio una croce posta tra il mondo sensibile e l’anima; o meglio ancora tra l´anima e i suoi sensi e tutta la vita animale. Là dove il ricco trova l´occasione del peccato trovandovi l´occasione del godimento, il povero trova l´occasione di un´espiazione; e là dove il ricco contrae un nuovo peccato, il povero continua ad espiare i peccati antecedenti. Riguardo a quanto tenta la maggior parte degli uomini, il povero evangelico è come il giglio della Scrittura, che serba la sua nettezza e il suo candore perchè circondato dalle spine. Finalmente chi osserva la povertà è portato all´amor di Dio. Come le ricchezze somministrano scuse per non arrendersi alla voce di Dio, così la povertà rende atto e pronto ad ascoltarne la voce, a rispondere alle sue domande, a se-uirne i movimenti, a contentarne tutti i desideri. Il gran Poverello d´Assisi fu dotto in mesta scienza e visse di questa vita, ond´è rimasto nella Chiesa uno dei più meravigliosi modelli. La povertà lo diede come in preda all´amore e l´amore consumandolo mise il colmo alla sua povertà. Egli passava anche giornate e le nottate intere guardando Iddio, e con gli occhi fissi in lui esclamando: Mio Dio e mio tutto. Ti aiuti sempre Signore, figliuol mio. a praticare in qualunque tempo e nel modo più perfetto la povertà che sei per professare, perchè così " proverrebbero tutti i beni, e progredirti fino all´apice della perfezione.

 Mali e pericoli delle trasgressioni della povertà.

E ti guardi sempre il buon Dio dal trasgredire in qualunque modo questa virtù , perchè così verresti privato di molte grazie, e cadresti miseramente prima nelle imperfezioni, poi nel baratro del peccato. Sii pur persuaso che così coopereresti alla tua infelicità: perchè quando s´incomincia a conculcare la povertà religiosa, oh guai! La trasgressione delle due altre virtù religiose, cioè della castità e dell´ubbidienza, pungono tosto coi loro acerbi stimoli la coscienza, onde questa li detesta, e così cerca subito di emendarsene. Non così le violazioni della povertà, le quali s´introducono senza strepito nell´anima di un religioso, e si scusano facilmente con vari ingannevoli pretesti. Esse portano con sè del comodo e del piacevole, alle cui privazioni difficilmente sa adattarsi l´amor proprio. Cofì si tira poi innanzi anni ed anni, e talora fino ai giorni estremi della vita, senza darsi pensiero di emendazione.

Il trasgressore della povertà in punto di morte.

Rifletti molto seriamente: come ti troverai in punto di morte, tu che hai sempre cercato di far bella figura, che Perciò cer cavi di farti fare abiti con panno più fino e migliore, di farteli fare con forme più belle e più costose: tu che volevi le scarpe di cuoio più fino, a forma speciale; che volevi sempre farti procurare ogni libro utile che si pubblicasse, e forse anche libri di dubbia utilità, se non dannosi; che li volevi sempre ben rilegati e dorati; tu che volevi tavolini artistici o coperti da tappeto, ornati di gingilli, il tappeto sotto i piedi, e non ti contentavi di coperte da letto grossolane, biancherie ordinarie; che anzi, a scusa del tuo stomaco debole è del lavoro che dovevi fare, richiedevi vino speciale, uova o latte, cioccolatini e dolci lungo il giorno, mentre forse ti sarebbe bastato per rimedio l´essere un po´ più parco e mortificato? Tu che desideravi ed in qualche modo ti sei procurato orologio elegante, con rispettiva catenella appariscente, od anche spillo prezioso alla cravatta se coadiutore? Come ti troverai In punto di morte, dico, tu che perchè superiore facevi spendere in pavimenti preziosi, in pitture ricercate, in tendine ricamate per poi far bella figura al sopravvenire di un forestiero, il quale ben più si sarebbe edificato dal vedere risplendere in casa la povertà religiosa? Tu che usata un poco una cosa, ben presto ne cercavi un´altra, perchè questa piaceva di più . pur potendo servir quella allo stesso scopo? Tu che facevi viaggi quasi solo per piacere, o senza vera necessità, o avendo carpito il permesso di farli: o prendevi i posti da signore, o quasi per grandeggiare pagavi ancora lo scotto per altri? Tu che discendevi ad alberghi mentre forse con un po´ di sacrificio avresti potuto ospitare in casa salesiana: o che non ve ne era altro più ordinario ed abbastanza decente pel tuo stato? Che infelice morire sarebbe quello che fu preceduto da lunga serie di trasgressioni di questa virtù ! Che agitazione non deve mai cagionare ad un religioso moribondo il rammentarsi di aver cercato per anni ed anni le proprie comodità, di aver tenuto per tanto tempo del superfino, d´aver cercato di far bella figura spendendo di quando in quando, qua e là, qualche somma per procurarsi agiatezze e comparire in faccia ad altri; d´aver impiegato danaro o roba della comunità per aiutare sotto qualche frivolo pretesto i parenti, o per togliere altri d´imbroglio? No: il rammentarti di essere stato per tanto tempo trasgressore di sì stretta obbligazione non ti lascerebbe in pace un istante. Non ti pare che al lume di quella candela che ti si accenderà al capezzale accanto al letto di morte (se pure il Signore non giudicherà di chiamarti in modo improvviso!), ti accorgerai, ahi! troppo tardi, che molte cose ti erano parse necessarie ma non erano che appena convenienti; e molte cose in apparenza convenienti, non erano che del tutto superflue? Ad esser Perciò immune da tanta sciagura abborri sempre la vanità, la grandezza in ogni cosa di tua pertinenza, scegliendo sempre le cose più povere e modeste, e più convenienti allo stato religioso. Ama la povertà che ti apporta tanti beni, praticala con ogni sacrifizio, ed essa ti renderà felice qui in terra dandoti la completa pace dell´anima; e quel che è più ti renderà eternamente ricco in paradiso in unione a Gesù , che venne su questa terra per insegnarci questa virtù , e che la praticò tanto rigorosamente.

Capo XI DELLA CASTITA’

Il sacro invito.

Lo Spirito Santo ci ammaestra di domandargli d´essere attratti da lui; e così attratti :ioi ci porremo a correre dietro ai suoi olezzi [290]. Lasciamoci attrarre dalla soave fragranza che esala dalla bella virtù della ca‚Ä¢lità, e col nostro giglio in mano corriamo dietro alla chiamata che ne viene dallo Spirito Santo. E tu, o mio buon amico, prepara il tuo cuore alle soavi emozioni che ti verranno nel sentir parlare di questa bella virtù e sii contento che io mi estenda un poco a parlartene. Te la farà considerare nella sua essenza e nella sua bellezza; e t´ammaestrerà sulla sua eccellenza per fartela amare sempre più , e incoraggiarti a prendere vigorosamente i mezzi che ti aiutano a conservarla illibata sino al fine della tua vita.

Ragione d´essere della castità.

L´anima è la forma sostanziale, il sostegno, la vita del corpo. È l´unione dell´anima col corpo che forma la vita! Se pertanto vi è per l´anima umana una relazione necessaria, incessante, prossima, delicata, indubbiamente è quella che ha col suo corpo. Il corpo senza l´anima resta subito immoto cadavere, va in putrefazione e si discioglie; e l´anima senza il corpo non si ferma neppui più un istante su questa terra: essa vola subito al suo destino, poichè è creata per fini soprannaturali. Iddio benedetto creando l´uomo, stabilì un´armonia completa tra il corpo e l´anima. Non vi era e non vi poteva essere ribellione di sorta in questo re della creazione, quale era uscito dalle mani di Dio! Le due sostanze formanti il composto imano dovevano sempre stare unite; e alla fine dei giorni dell´uomo su questa terra insieme andare in paradiso, a godere eternamente in unione del Creatore. Ma dopo il peccato l´unione dell´anima col corpo perdette il proprio equilibrio. Invece di essere com´era e come doveva essere, il corpo affatto soggetto all´anima, esso prese il sopravvento, imbaldanzì, e l´anima, indebolita dagli effetti deleteri del peccato, si lasciò vincere, e restò inclinata verso il corpo; quasi si direbbe restò sommersa nel corpo. La vita animale è quella che generalmente si fece dominante; e la Sacra Scrittura ci dice, con una parola che è spaventosa perchè troppo vera, che dopo il peccato ed a cagione del peccato, l´uomo è divenuto carne, e questa -tessa carne ha corrotto le sue vie.

Su questo punto, come su tutte le questioni più gravi, il cristianesimo ha dato soluzione precisa e perentoria. La rivelazione c´ingegna chiaramente quanto riguarda le relazioni dell´anima col corpo; e noi conosciamo ai primi capitoli della Genesi i misteri della creazione in grazia, della caduta umana, della conseguente ribellione del corpo e dell´origine del male. Principale conseguenza fu la morte, cioè la separazione dell´anima dal corpo. Questa separazione essendo un castigo del peccato, avviene con violenza, ed il corpo è condannato a disciogliersi ed a marcire. Ma la morte stessa non divide l´anima dal corpo se non per un tempo; poichi l´infinita bontà di Dio verso di noi, sue misere creature, non permise che la catastrofe fosse irrimediabile. Anzi riparò esso in buona I parte i danni della caduta, ci richiuse l´inferno, e ci riaperse il paradiso. Ma restò la ribellione della carne contro lo spirito; e da allora la vita dell´uomo fu un continuo combattimento. Per fortuna nostra tuttavia Divin Salvatore volle che dove abbondò la colpa sovrabbondasse la grazia; ed in questa medesima lotta ci somministra le forze pe´ vincere, ogni volta che noi prendiamo i mezzi da lui suggeritici. Poichè la grazia di Dio come è lume per scoprire, è al tempo stesse lorza e virtù per operare. Iddio rialzando prima di tutto il corpo da cotesta caduta, lo guarisce col santo battesimo. Poi poco a poco Io solleva dal languore in cui lo lasciò ancora la primitiva caduta, con la grazia che gli comunica nella cresima. Finalmente lo rinforza cibandolo del Corpo stesso di Gesù Cristo; e con la virtù di sempre nuove gra: zie lo accompagna successivamente in tutti le condizioni richieste dal suo destino, finchè arriverà ancora glorioso al cielo. Ma la ribellione è avvenuta, la lotta esiste, si deve combattere! Solo sarà coronato in ciclo colui che avrà legittimamente combattuto.

Essenza della castità.

Una parola dotta e profonda epiloga l´ordine della legge morale prescritta all´anima nelle sue relazioni col corpo: la parola castità. Essa nello stesso tempo indica a noi un dovere ed una virtù . La parola castità viene da castigare: castitas a castigando, dice l´angelico San Tommaso. Perchè , soggiunge il santo, come il fanciullo licenzioso ha bisogno d´esser castigato affinchè non vada perduto dietro stolti capricci, così la concupiscenza del nostro corpo ha bisogno di esser tenuta a freno: e la virtù che tiene a freno il nostro corpo e la nostra concupiscenza, si dice appunto castità. Quindi la castità è da considerarsi come una forza ed un abito, il quale fa sì che l´anima tiene sotto il suo dominio e in una perfetta sommissione tutti gli atti del corpo, e perfino i suoi movimenti. È come un´alleanza potente che presta alla ragione e alla fede la propria forza, affinchè ira tanti organi che vi sono nel nostro corpo, i quali sì facilmente si lasciano commuovere, sono così indisciplinati e sempre pronti a ribellarsi, non ve ne sia uno solo che non aspetti suoi ordini, o almeno non si assoggetti quando li ha prevenuti. Ella pertanto, come -i vede, mette l´ordine, e un ordine divino, in itto l´andamento della vita umana organica: n quanto almeno siffatto andamento è sottomesso alla nostra libertà, e cade sotto la legge morale. Essa diventa in tal guisa come la mano di Dio applicata al corpo dell´uomo, e lo governa totalmente, sempre e senza contrasto. Se in noi il corpo diventasse il padrone, fosse pure per un solo istante, ne avverrebbe un disordine immenso, e lo scompiglio dell´uomo morale. Ma qui non si possono dare questi termini: l´anima umana o conserva l´impero sul corpo, o perisce. Non entrerà nel cielo nulla di immondo, dice lo Spirito Santo! .[291]Nè la carne, nè il sangue possono ereditare il cielo .[292] E coloro che dalle loro tendenze cattive son gettati in balia della carne e del sangue, sono lasciati a parte e precipitati: Fuori i cani e gli immondi, dirà Gesù nell´atto del supremo giudizio![293]Considerata sotto il suo pratico aspetto, la castità propriamente detta non è se non il religioso rispetto in cui l´anima tiene il suo corpo, per amor di quel Dio cui si è sposata in Gesù Cristo.

 Motivi di religioso rispetto verso il corpo. 1) Siamo proprietà di Dio.

Dio è padrone assoluto di noi come di tilt te le creature: egli è assoluto padrone dell´anima nostra, come del nostro corpo. Come Redentore poi ha ancora acquistato sopra di noi un dominio doppio; e Perciò noi doppiamente apparteniamo a Gesù . Consideriamo dunque l´uomo come proprietà di Dio, come oggetto del diritto di Dio, come sua cosa. E subito si scorge che il nostro corpo riveste un carattere di elevazione, d´importanza, di bellezza morale, quasi di maestà, che piega, o meglio costringe la volontà nostra al rispetto, ai riguardi, ai riserbi, insomma a tutti quei sentimenti ed atti che si collegano colla castità. Chi disprezzerà, ma soprattutto chi pretenderà di appropriarsi l´essere, da Dio posseduto in proprio? Chi ne userà senza discrezione, senza rispetto, senza regola, per passione, per capriccio, per egoismo? Chi ne abuserà per fare il male? È cosa indubitata he ogni colpa contro la castità inchiude, almeno in certo grado, un´attuale dimenticanza che noi apparteniamo a Dio. Ne dobbiamo conchiudere che una della migliori garantire di questa virtù è il pensiero fortemente meditato, che noi non siamo nostri, ma che apparteniamo a Dio. San Paolo non ne giudica altrimenti, giacchè dopo d´aver detto, non siete li voi stessi essendo stati comprati a caro prezzo, ne trae questa grave conseguenza: Glorificate pertanto e portate Dio nelvostro corpo.

2) Siamo amati da Dio.

Ma l´uomo non è solo proprietà di Dio: egli è anche da Dio amato. È questa per lui come una seconda investitura, un soprappiù di dignità, e per conseguenza un titolo nuovo per essere sinceramente soggetto ai voleri divini, che sono di rispettare e trattare castamente il proprio corpo. Niuno ignora il prezzo che aggiunge alle cose l´affezione. Un nonnulla che è amato, diventa un bene considerabile. Si aggiunge che col battesimo Iddio prende un possesso soprannaturale della creatura, e divinamente sequestra, per così dire, l´uomo a nome di Cristo e dei suoi diritti d Redentore. Il battesimo imprime nel fanciullo un sigillo interiore, spirituale, sacro, divino, incancellabile. E l´uomo Perciò è reso sì proprio di Dio, che, posta a pareggio di questa nuova appartenenza, par più poca cosa la sola padronanza di Dio su di noi prodotta dalla creazione.

3) Ci nutriamo di Dio.

Altro ancora si aggiunge che sempre più ci sublima. Come la vita naturale, anche la vita spirituale deve essere mantenuta ed è d´uopo sia nutrita; e perchè l´anima è divina, divino altresì sarà il suo nutrimento. L´alimento della vita cristiana è Cristo, cioè Dio medesimo. Il cristiano nella santa eucaristia si ciba di Dio, che può , se gli aggrada, ricevere ogni dì. L´uomo adunque è un essere sacrosanto; e l´abuso del corpo nostro, divinizzato dal cibo spirituale di cui vien nutrito, è la cosa più esecrabile. La castità pertanto, quella del corpo e quella dell´anima, è il più imperioso dei doveri. Dopo che vi è un tabernacolo, e al tabernacolo una porta, e dietro alla porta un´ostia, e innanzi all´ostia una mensa sulla quale noi ce ne cibiamo, non possiamo più essere meravigliati del numero di anime che, per amor di Dio, vogliono restar vergini. Era questa la visione del profeta Zaccaria, contemplante i templi del Messia, vale dire i templi eucaristici, il quale entusiasticamente diceva: « Sorgeranno da per tutto pietre sante (altari) presso questo popolo; ma he è il buono di lui, e il bello di lui, se non il frumento che produce gli eletti, e il misterioso vino che fa germogliare i vergini? » [294].

4) Siamo tempio di Dio e membra di Cristo.

Eppure vi ha ancora di più . Dalla creazione, dalla redenzione, dal battesimo, dall´eucaristia, da tutto il mistero di grazia, d´amore e di appropriazione divina, che ne consegue ancora? Noi non diventiamo solo creature amate da Gesù , le immagini di Gesù : ma diventiamo sue membra e formiamo il suo corpo. Lo dice chiaro San Paolo: Voi siete il corpo di Cristo [295]. E altrove: Non sapete voi che i vostri corpi sono membra di Cristo? [296]. Nel nostro stato pertanto noi siamo tempio, trono di Dio. Non sapete voi, continua l´ammirabile apostolo, che le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo che è in voi? [297]. Così noi tutti siamo veri templi, non solo dedicati a Dio, ma abitati da Dio. In tal guisa tutto l´uomo, anima e corpo, entra nel mistero e si unisce al Verbo Incarnato, come in noi il corpo è unito all´anima. La dottrina dei Santi Padi a questo riguardo è tanto ardita, che ci empii di meraviglia e quasi ci spaventa. San Leone papa dice: Il corpo del battezzato è divenuto la carne del Crocifisso (Serm. XIV de Passione). Sant´Agostino commentando l´apostolo San Giovanni: « Ammirate, esclama, e gioite! Siamo diventati Cristo. Egli è il capo e noi siamo le membra. Egli e noi siamo un solo medesimo uomo, l´uomo totale » (Tratt. 21). E Tertulliano insegna: « Questo tempio di Dio che è il nostro corpo ha una guardia, che è altresì una sacerdotessa: essa è la castità. Questa vieta l´entrare a tutto ciò che è impuro e profano » . La castità adunque è quel prezioso fiore di paradiso, che abbellisce tutte le altre virtù cristiane, e manda sul santo mone di Sion un gratissimo odore. È cosa sopra natura e di tanta nobiltà ed eccellenza, che la l´uomo da terreno celeste, da carnale spirituale, e lo mette a pari con la purissima vita degli angeli. È la liberazione dalle sollecitudini del mondo; è la sicurezza della mente, la sanità del corpo, la vita dell´allegrezza. È il profumo della buona fama, la sposa diletta lei figliuol della Vergine. L´umiltà, l´ubbidienza e la povertà avvicinano a Gesù ; ma la ‚sola castità si adagia e riposa sul suo petto.

Bellezza della perfetta castità.

Parlando di questa virtù a te, mio buon ‚novizio, che sei chiamato e ti prepari alla la religiosa, mi giova presentartela nella sua forma più perfetta che si dice anche verginità. Anche a te Gesù ha rivolto l´invito di seguirlo più da vicino, dopo un totale rinnegamento di te stesso. La verginità fu il tesoro nascosto, rivelato solo a miriadi d´anime elette, che gli sacrificarono affetti, speranze, gioie e la stessa vita. È la virtù bella per eccellenza la virtù di Gesù , di Maria, di San Giuseppe, dei più grandi e celebri santi, la virtù della Chiesa, del suo sacerdozio. È una gemma di inestimabile valore, che rapisce il cuore di Dio e degli uomini; è un segreto rivelato soli nei tempi nuovi del cristianesimo. È il nuovi e recondito sacramento che consacra ogni sesso ad un mistico sacerdozio, sceglie ed immola a Gesù , e con Gesù , le vittime più accette al trono dell´Altissimo. Le anime vergini sono le ostie viventi, sante, piacenti a Dio. La castità perfetta viene assomigliata al candidi giglio, al più delicato ed odoroso dei fiori E siccome il giglio rende più vago ed olezzano te tutto il giardino entro cui sorge, così la castità adorna di candore e di fragranza celesti quel giovane felice che la coltiva e la possiede. Questa virtù anche naturalmente, comunica e trasfonde nell´esteriore sembiante un candore puro, una modestia angelica. Perciò il volto, il sembiante, il portamento di un giovane casto, è tutto improntato e risplendenti di angelico fascino. Insomma: un´anima puro è cosa più celeste che terrena! Il giglio pc non è men odoroso, che candido; onde spani! all´intorno soavissima la sua fragranza. Similmente un giovane puro spande ovunque la flagranza del suo buon esempio, che edifica quelli con cui si trova. E per quel purissimo candore che in tutto il suo esteriore è diffuso, egli si rende amabile e venerabile. Gli stessi cattivi, benchè rotti ad ogni vizio, conoscono e venerano in un giovane la purità del costume, compresi nel cuor loro da stima e rispetto per la virtù . Lo Spirito Santo dichiarò (Eccl. XXVI, 20) non esservi cosa di tanto valore, che possa paragonarsi ad un´anima casta. La sua bellezza è simile a quella di Dio, e non ha paragone su questa terra. Lo Spirito Santo ne è rapito, e canta: Oh quanto è bella e gloriosa la generazione casta! È immortale la memoria di lei, giacchè è in grandissima stima innanzi a Dio ed agli uomini.

Gesù e Maria la predilessero.

Gesù poi nella sua vita mortale quanta predilezione non mostrò per la santa verginità! Ei volle per Madre la più pura delle vergini; volle per sposo della sua Madre e padre putativo il più puro dei vergini; volle precursore il Battista, perchè sovra ogni altro adorno di celeste purità; pose il suo affetto speciale sull´apostolo san Giovanni per sua speciale prerogativa di castità. Qual »poi la stima altissima di Maria per la santa verginità Avrebbe persino rinunciato ad esser Madre di Dio, se l´angelo non l´assicura va che sarebbe divenuta Madre di Gesù senza lasciar d´essere vergine. Immensa ed al tutto inenarrabile è la stima che ebbero della castità tutti i più grandi santi. E la Chiesa, come meravigliata da tanto splendore, nell´entusiasmo esclama: O santa ed immacolata verginità, non trovo lodi degne di te.

Ciò che fecero i santi per la castità.

Visto che la castità è un tesoro così prezioso, non ci farà più meraviglia se il mede- I simo San Paolo per conservarla castigasse rigorosamente il suo corpo; se per non perderla San Benedetto si ravvolgesse tra i roveti I imporporando le spine col proprio sangue- I se Macario abate camminasse a pie scalzi sopra uno spinaio e lacerasse tra quelle acuti I punte i suoi piedi. Non è meraviglia che San Francesco d´Assisi si ravvolgesse sopra la neve in mezzo alla notte più cruda; che San Bernardo si tuffasse in vino stagno gelato e v rimanesse intirizzito ed esangue; che Sai Martiniano entrasse a piedi nudi dentro le braci accese, e ne soffrisse intrepido gli ardori; che San Luigi si flagellasse anche tre volte al giorno; che generalmente tutti i santi prendessero tante precauzioni ed anche facessero tante penitenze. Che meraviglia è che questi eroi invitti facessero del proprio corpo così crudo strazio per la difesa di questo tesoro, che arricchisce di santità chi lo possiede mentre vediamo che gli uomini mondani, per l´acquisto di frali e caduche ricchezze, espongono tutto giorno a mille disastri la propria vita ed anche a cimenti di morte!?

Le tentazioni non offuscano il candore della purezza.

Voglio che tu noti accuratamente una cosa: le ribellioni involontarie e dall’anima non acconsentite, non sono peccati. Sovente l’anima non è padrona assoluta del suo corpo, e tanto meno della sua immaginazione. Ma negando loro ogni discorso, facendo ciò che le è possibile, non solamente non incappa in peccato, ma ne trae occasione di virtù e di merito. Non nel sentire la concupiscenza, ma nel- l’acconsentirvi sta il male! Il medesimo San Paolo era tanto tormentato dalla concupiscenza, che più volte pregò il Signore che lo liberasse da tanta tirannìa della carne. Ma il Signore gli fece capire dovergli bastare la sua grazia per non cadere in peccato, ed anzi nelle difficoltà rinforzasse la virtù. Ed egli stesso poi si consola, avvertendo che se avviene in lui ciò che egli non vuole e ripugna, non è responsabile di nulla. L’io in noi non è il corpo, ma la volontà! Or se noi non vogliamo questi moti disordinati, non vi acconsentiamo; e perciò non siamo colpevoli, ed anzi la virtù in questa ginnastica spirituale si rende più robusta. I più grandi santi soggiacquero a tali prove; ma il cuor loro non acconsentiva mai agli stimoli della carne od alla sfrenatezza dell’immaginazione. Non turbarti adunque, non cader d’animo; fa’ quel che facevano i santi, e ti manterrai puro, checché al di fuori di te avvenga. — Ma in qual modo, potrà dir qui taluno di timida coscienza e fortemente tentato, in qual modo saprò io se ho acconsentito o no? — Ecco la risposta dei teologi: quando tu ti allontani a tutto tuo potere dalle occasioni prossime, vigili sopra i tuoi sensi e non fai nulla con cattiva volontà cioè sapendo di far male, puoi star sicuro che, non ostante lo scapestramento dell’immaginazione e gli assalti di violentissime tentazioni, il tuo cuore e la tua volontà non ebbero parte nelle sensazioni impure. Tu sei innocente e puoi conchiudere che devi star tranquillo, e puoi con tutta ragione ripetere con San Paolo: se fo quel che non voglio, non son io che lo fo, ma la concupiscenza che abita in me. E allora rassicurati, rasserenati, riconfortati, perchè se cedi alla malinconia od allo scoraggiamento, potrebbe il demonio approfittarsene per farti cadere. Poiché nulla meglio cerca satana che di turbar le coscienze per vincerle nel turbamento o almeno scoraggiarle, e in questo modo allontanarle dalla via del bene.

Meravigliosa efficacia della castità.

Essa, più che ogni altra virtù morale, giova a farci saliti. Questa è la volontà di Dio. dice l’apostolo, che vi facciate santi[298]. E acciocché non rimanga alcun dubbio in che consista questa santificazione, che, per volere di Dio, deve da noi procurarsi con somma cura, l’espone con termini chiarissimi lo stesso santo apostolo soggiungendo subito: La vostra santificazione ha da consistere nell’astenervi da ogni impudicizia e da ogni passione di desiderio immondo. Ma come? Non sono tutte le virtù che santificano l’uomo? Sì, risponde Cassiano; ma l’apostolo vuole che questo sia pregio speciale della castità. Vuole che a questa in modo particolare si appartenga recare onore al corpo e santità allo spirito. Ed il medesimo San Paolo poco dopo torna a dare a questa virtù l’illustre titolo di santificazione[299]. Scrivendo poi agli Ebrei dice lo stesso: Procurate la pace con tutti e la santità, senza la quale niuno mai giungerà a veder Dio. E poi spiegando in che consista questa santità che ci purga l’occhio della mente e lo rende abile a vedere le divine bellezze, dice che consiste in una totale esenzione dalla fornicazione e da ogni immonda profanazione[300]. Altrove lo stesso apostolo esortando le vedove a conservarsi celibi, e le fanciulle a conservare intatto il candido giglio della loro verginità, arreca loro per motivo, che mantenendosi caste giungeranno ad esser sante nel corpo e nello spirito [301]. Nè ciò rechi alcuna meraviglia; perchè è constatato da migliaia di fatti, che la castità quanto più allontana l’uomo da ogni immondezza, tanto più purifica il suo spirito, e lo illustra, lo adorna, lo fa santo. E qui non posso fare a meno di avvertire, con San Giovanni Crisostomo, che San Paolo di nessuna cosa parla con tanta veemenza ed energia, quanto di questa bella virtù. Di questa ragiona in tutte le sue lettere, o scriva a persone private come a Timoteo, o scriva pubblicamente alle chiese, come agli Ebrei, ai Romani, ai Tessalonicesi, ai Corinti. Poi arrecando il medesimo santo dottore la ragione, per cui l’Apostolo delle Genti parla con tanta frequenza e con tanto ardore di questa nobile virtù, asserisce esser questa: cioè la perdizione che universalmente porta alle anime il vizio contrario, sia perchè le tiene a guisa di animali immondi immersi nel fango di mille laidezze, sia perchè è esso un male che difficilmente si cura. Se dunque, inferisco io, l’impudicizia è la rovina universale delle anime che cadendo nelle panie di questo vizio si perdono, ha ragione San Paolo di tornare tante volte a ripetere che la virtù opposta, quella della castità, è delle anime la vera santificazione [302].

Ci assomiglia agli angeli.

Nello stato di verginità la parte inferiore dell’uomo non ha azione alcuna sensuale: rimane tutta mortificata, oppressa, e come annientata. Quindi è che essa tiene lungi e separata affatto la mente, il cuore, la volontà, e l’anima tutta dagli oggetti carnali e terreni. Raccoglie e concentra in Dio solo e nelle cose dello spirito i pensieri, gli affetti, i desideri dell’anima. In tale stato, rimasta la concupiscenza come assopita e la sensualità come estinta, la persona vien sollevata sopra la stessa sua natura, ed in un certo modo spiritualizzata. Così il vergine non somiglia più ad essere umano cinto di carne e di sensi; bensì ai purissimi spiriti del cielo. Egli è un angelo in carne, perchè ha il corpo come se non lo avesse, sdegna e calpesta gli affetti, le brame, le cose tutte terrene. Solo al cielo sono rivolte le brame, gli affetti, i sospiri del cuor suo; e del continuo è tutto inteso a pensare, ed amare e servire il Re degli angeli. Gesù stesso lo dichiarò: saranno come gli angeli di Dio in cielo. —In conferma di ciò odi ciò che ne dicono i santi padri. San Gregorio Nazianzeno chiama la verginità « emula della gloria degli angeli ». Sant’Ambrogio dice: « La castità fece gli angeli. Colui che la conserva è un angelo: colui che la perde è un diavolo». Sant’Agostino: «La purità verginale è una proprietà degli angeli » e San Cipriano: « Voi, o vergini, siete uguali agli angeli». San Bernardo: «La castità fa dell’uomo un angelo; solo differenti in ciò: che l’angelo è beato e l’uomo è virtuoso ». Infine San Girolamo ci dice: «Appena il Figliuol di Dio fattosi uomo entrò su questa terra, si formò una nuova famiglia, affinchè egli, che nel cielo era adorato dagli angeli, avesse altri angeli che lo adorassero in terra ». Ma San Giovanni Crisostomo va ancora più avanti ed afferma, che i vergini sono cosa più bella, più meravigliosa e più stimabile che gli angeli stessi! «Poiché, soggiunge, se gli angeli sono puri ed immacolati, che meraviglia? Essi non sono impastati di carne e di sangue, non si aggirano fra mille sozzure di questa terra, non sono agitati da incentivi di accesa concupiscenza, non possono venire commossi ed allettati o dai dolci suoni, o dai canti molli, o dai seducenti aspetti. Essi quindi sono purissimi; ma senza sacrifizio, e perciò senza merito. Or non sarà dunque più bello, meraviglioso e stimabile dagli angeli stessi, chi, a loro somiglianza, se ne vive purissimo ed immacolato, benché in mezzo a violente tentazioni e pericoli infiniti che lo circondano, e perciò con tante fatiche, sacrifizi e vittorie, e quindi con grandissimo merito? Quanto adunque questo stato di verginità è incomparabilmente più eccellente, perfetto e santo delle nozze terrene! Mentre queste, per la corruzione dell’umana natura, deprimono l’anima fino alla terra, quello la sublima fino agli spiriti nobilissimi del cielo! Sì, termina San Giovanni Crisostomo, questo stato di tanto supera in eccellenza lo stato opposto, di quanto il cielo s’innalza sopra la terra! ».

Ci unisce intimamente a Dio.

Gesù parlando degli angeli ha detto: «Essi vedono perpetuamente il volto del Padre mio che è nei cieli ». Chi perciò, conservando la perfetta castità, diviene simile agli angeli per purezza, divien pure simile agli angeli per la contemplazione ed unione con Dio. Poiché, se quanto più l’uomo s’ingolfa nella materia tanto più s’allontana da Dio che è puro spirito; così chi si separa dalla carne e dalle cose naturali divien tutto spirituale, e vieppiù atto a contemplar Dio, a vederlo per lume di fede, e a possederlo per ardore di carità. Disse quindi Gesù: Beati quelli che hanno il cuor puro, perchè essi vedranno Dio. Cotesta unione con Dio significò San Giovanni nell’Apocalisse, dicendo che i vergini seguono l’Agnello ovunque vada [303].

Rende l’anima sposa di Gesù.

Gesù chiama tutti quelli che lo amano col nome di fratello, di sorella, anzi di madre. Disse infatti: Chi fa la volontà del Padre mio, questi è mio fratello, mia sorella, mia madre[304]. Ma col nome di spose chiamò solo le anime caste che a lui si consacrano: « Veni, sponsa mea ». Or questo non basterà per tutto infiammarti di ardente amore per lo stato della perfetta castità?

Rende felici in vita e in morte.

Chi conserva il bel giglio della castità sarà anche più felice in vita. Poiché è bensì vero che neppure nello stato religioso non mancano le tribolazioni, non si deve lasciare di fare gli sforzi, e tutti dobbiamo portare la nostra croce, che talvolta è anche dolorosissima e duratura, tanto da importare come un continuo martirio; tuttavia queste croci medesime sono ai Religiosi rese soavi, leggere e dolci dal pensiero e dall’amore del loro Sposo Crocifisso. Quanto perciò tra le croci ed i travagli sono essi sereni, contenti e lieti per l’interna pace e quiete dell’anima: pace continua che nasce dalla pazienza, dalla rassegnazione, dalla virtù! Per tutto ciò non godono quindi in questa terra quella felicità, che certo la maggiore non può trovarsi in questa valle di pianto? Nello stato di perfetta castità, l’anima sarà ancor più beata in morte. È preziosa al cospetto del Signore la morte dei suoi santi, canta Davide. Preziosa sarà perciò la morte del casto. Dal suo letto di dolore esso vede e guarda la vita passata, e questa lo riempie di speranza e di consolazione! Egli si ricorda come già fin dai teneri anni rifiutò la vanità ed i piaceri del mondo; che potendo soddisfarsi nei beni leciti che il mondo gli offriva, prescelse ed elesse per unico suo bene e sposo Gesù Crocifisso. Ben si ricorderà allora di tutto quel tempo che passò ai piedi degli altari, e di quegli slanci infuocati onde a lui tutto si offriva! Ora, tali pensieri e rimembranze di quanto conforto e di quanta allegrezza non riempiono quell’anima avventurata?! Nel sentirsi poi imminente l’istante di presentarsi al cospetto del giudice divino, pensa tosto che egli è altresì lo sposo amantissimo dell’anima sua; onde tutto confidato nell’infinita sua pietà, anziché venir conturbato da crudeli timori, sente sorgersi in cuore vivissima brama di presto vederlo, contemplarlo, possederlo in eterno. Ma vi è ancora di più. Poiché Sant’Alfonso de Liguori è persuaso, e a noi Don Bosco lo diceva con frequenza, esser pia credenza che la Regina dei vergini, la Madre delle misericordie, il potente Aiuto dei cristiani. Maria Immacolata, visibilmente si mostri in morte a quelle anime le quali l’imitarono in quella virtù, che fu a lei sovra ogni altra carissima, cioè nella verginità, ed a questa congiunsero quelle altre eccelse virtù che formano la corona dello stato religioso. Perciò qual dev’essere in punto di morte la consolazione e la gioia di queste anime, nel vedersi vicina la stessa Madre di Dio, la loro Madre, la Vergine Maria? Qual conforto, qual gaudio sentirsi da lei invitare al paradiso! Ecco quanto beata sarà la morte di quelle anime fortunate, che. calpestando il mondo e le nozze terrene, si elessero per unico sposo dell’anima loro Gesù benedetto, il Redentor nostro dolcissimo!

Procura un premio speciale in cielo.

Infine: nello stato di perfetta castità l’anima sarà più beata in cielo, cioè godrà di una gloria e beatitudine speciale. Ce lo insegna l’apostolo San Giovanni. Questa maggiore e speciale beatitudine consisterà nel seguire l’Agnello ovunque vada, cantando innanzi al suo trono un nuovo e dolcissimo cantico, che altri non possono cantare. Questo santo, rapito al cielo, racconta d’aver veduto l’Agnello che stava sul monte Sionne, e un gran numero di anime lo seguivano, cantando un cantico, che nessun altro poteva imparare, se non quelli che gli stavano dappresso. E domandato chi fossero questi tali, gli fu risposto essere i vergini, e godere di quel privilegio appunto pel motivo che si conservarono vergini[305]. Su questo punto San Bernardo sfoga tutto il suo entusiasmo. Giova ascoltarlo: «O Vergini felici! Oh! anime le più felici della corte celeste! Voi canterete alle nozze eterne dell’agnello quel cantico nuovo, che nessuno potrà cantare. Vi ascolterà e si compiacerà la moltitudine dei beati, di cotesto onore tutto proprio a voi e cotanto eccellente. Ma voi cantatelo, e più felicemente esulterete e più giocondamente godrete! Oh, chi potrà spiegare questa felicità! Che se i vergini tutti scioglieranno questo cantico, forse che non lo canterà per la prima la Vergine delle Vergini? Sì, ella lo canterà; e tanto più dolcemente lo canterà, quanto più pura ed immacolata ella si fu sovra ogni altra! Ma forse che non canterà altresì lo stesso Sposo delle Vergini? Sì, canterà egli pure! E quella giocondissima voce del Verbo eterno del Padre si ascolterà da tutti e sovra tutti. Oh festa senza paragone giocondissima e sempiterna! Chi non sospira di giungervi? Chi negherà di fare ogni sacrifizio, e di porre ogni sforzo per giungere colà, dove ascolterà il nuovo e dolcissimo canto di tanti vergini: ove sentirà la voce della Madre dell’Agnello sollevarsi mirabilmente sopra il canto delle altre vergini: ove sentirà altresì il piissimo e dolcissimo Agnello frammettere fra tanti cantici un cantico d’infinita armonia? ».

Conseguenze morali.

Quale pertanto sarà la conseguenza morale rigorosa, immediata ed indeclinabile di tutto quanto si disse fin qui? Tutti devono comprendere, che essendo noi membri di Gesù Cristo, e templi vivi dello Spirito Santo, l’atto del vizio impuro oltre che è una trasgressione della legge di Dio, perciò grave peccato, riveste pure la qualità di sacrilegio, perchè appunto profana gravemente una cosa consacrata a Dio.

Dobbiamo ancora conchiudere che tutta la grazia del cristianesimo termina nella castità; e che perciò chiunque professa la cristiana religione professa similmente continenza e castità. Che dire poi del religioso, il quale la consacra a Dio con voto? Come egli è assicurato di piacer molto al Signore conservandola, e perciò acquista continuamente tesori inesauribili di grazie; così trascurandola e mancando contro essa, commette molto maggior peccato di quel che non faccia un semplice cristiano. Ed ogni volta che vi mancasse, trasgredirebbe ancora gravemente il voto fattone a Dio, e si renderebbe immeritevole di ogni ulteriore grazia dal Signore. Sforzati pertanto di comprendere meglio la stupenda dignità cui t’innalza la grazia del Signore. E così comprenderai anche maggiormente con qual cura severa tu devi custodire siffatta virtù, e con qual perfezione la devi praticare. Ricordati sempre che questo è un tuo sacrosanto dovere, essendo stato fatto cristiano. Ora poi, volendo tu essere religioso, cioè volendoti vincolare a Gesù coi santi voti, ti assumi, in forza di questi, altro dovere di essere casto, puro, vergine, santo c veramente divino in tutto che sei, in tutto che pensi, in tutto che ami, che vuoi, che dici, che fai. T’assumi il dovere di non operar mai, sì esteriormente che interiormente, sotto l’ascendente delle sregolate passioni, di essere tutto e sempre e ad ogni costo docile all’ispirazione divina; il dovere insomma di non operar mai se non in Dio, cioè partendo da Dio nostro principio, terminando in Dio nostro fine, e mantenendoci esattamente in Dio nei pensieri, nelle parole, nelle opere. È questa definitivamente la perfetta castità: quello stato costante dell’anima, che mai non sottomette ciò che è superiore a ciò che è inferiore, ma che invece fa del precetto divino l’invariabile legge dell’uomo. E ricordati che, per assicurarti di non cadere in seguito, bisogna che pratichi questa virtù in modo tutto speciale nel noviziato e nello studentato. Poiché senza questo lungo e sicuro esercizio, questa virtù correrebbe poi gran rischio nelle molte prove che aspettano il socio salesiano nel difficile campo della vita attiva, che ha da durare fino al termine dei suoi giorni.

Capo XII MEZZI PER CONSERVARE LA CASTITÀ

Necessità di questa virtù.

La virtù che sopra le altre Don Bosco cercò d’inculcare in noi, e che lasciò come per eredità ai suoi figli, è appunto questa, la castità. Essa in vero è la più bella delle virtù, le cui doti la Chiesa medesima non sa come encomiare, ed entusiasmata esclama: O Santa ed immacolata verginità, non so con quali lodi degne celebrarti[306]. Ma qui per la pratica non occorre aggiungere guari a quanto è notato nelle costituzioni, nelle deliberazioni c nella prefazione di Don Bosco alle regole. Piuttosto la cosa che giudico essenziale inculcarti è, che tu procuri seriamente di non lasciare quei santi ammaestramenti come lettera morta. Osservali costantemente e fedelmente fino all´ultimo apice, e in tutte le cose cerca Dio e niente altro che Dio. Fin d’ora pertanto persuaditi, che ad ogni salesiano, nell’esercizio della sua missione, è necessario un abito di castità superiore all’ordinario. E sappi bene, che gli uffici che ti verranno affidati saranno per te una responsabilità ed un pericolo. Devi perciò prepararti ad eseguirli con timore e tremore[307]. Don Bosco vuole che chi non ha fondata speranza di mantenere questa virtù nei pensieri, nelle parole, nelle opere, non si faccia ascrivere alla nostra Pia Società. Ciò vuol dire che non devi osare avanzarti se il confessore ed il maestro, dopo di esserti tu fatto conoscere molto a fondo, non ti consigliano di farti avanti. Fatti adunque conoscere completamente, e poi sta’ a quanto ti si consiglia.

Cautela da usare.

Ricordati poi sempre che è qui dove la piccolissima scintilla può suscitare un grande incendio! Abbi perciò cura grandissima di conservare questa virtù sopra le altre; di conservarla nel corpo e nel cuore, intera, pura ed immacolata. Venendoti alla mente qualche disonesto pensiero, o qualche voglia cattiva, scacciali prontamente, con ogni diligenza, come se fossero carboni accesi dell’inferno, che ti cadessero addosso. Nè combattere contro di loro, ma allontanati senza farne conto. La medesima cautela devi avere nel conservare il cuore libero da ogni affetto sensibile. Guai, quando il cuore comincia a lasciarsi prendere da qualche simpatia per qualcuno, o da qualche affetto particolare! Quando si arrivasse alle carezze od a tratti di mano un po’ liberi, ben può dirsi che il precipizio non solo è vicino ma già vi si è dentro. Giacché se queste cose avvengono nel noviziato e nello studentato, dove si hanno tanti mezzi, tante precauzioni e tante spinte al bene, si può ben giudicare che la battaglia è vinta dal demonio, che il demonio è riuscito a scovare il tuo lato debole, ed egli non mancherà per tutta la vita di tiranneggiare la sua vittima. Perciò la cosa più importante a questo riguardo è la fuga delle occasioni pericolose. Portiamo, dice l’Apostolo, questo prezioso tesoro in vasi di fragilissima creta [308]. Ci vuole con ciò esprimere che, siccome i vasi formati di creta materiale non si conservano lungamente intatti se vengono esposti ad urto di corpo solido, così il pregevole tesoro della castità non si conserverà incontaminato, se i vasi dei nostri sensi, del nostro cuore e del nostro corpo non si tengano ben riguardati da tutto ciò che può infrangerli e farci perdere la preziosa gemma. È assai difficile, per non dire impossibile, che esponendo la fragilità della nostra carne a ricevere gli urti della concupiscenza e degli scandali mondani, non s’infranga e non si perda insieme la ricca gioia della castità.

Nemici e pericoli della castità.

Il numero dei nemici che ci assediano per rapircela è pressocchè infinito. Quello che abbiamo dentro di noi, vale a dire la concupiscenza della carne, non può negarsi che sia molto potente. Tu perciò obbligati a fargli una continua guerra. Ritieni tuttavia che quando la volontà, avvalorata dalla grazia divina, virilmente gli resiste, si vince e si trionfa delle sue forze. Riguardo poi ai nemici esteriori, il più implacabile che è il demonio, resta sconfitto e confuso tutte le volte che ricorrendo a Dio, alla protezione di Maria, e all’aiuto del santo Angelo Custode, ci fortifichiamo contro i suoi assalti. Non accadrebbe però così qualora venissimo a cimentarci con tanti altri nemici, che stanno con la mano armata di duri sassi, per colpire la fragilità della nostra carne, e rapirci il ricco tesoro della castità. Parlo delle morbidezze con cui si accarezza il corpo, delle intemperanze del mangiare e deh bere con cui si sazia il ventre, delle immodestie con cui si appaga la curiosità degli occhi. E parlo soprattutto del conversare con persone di diverso sesso, e di quelle segnatamente, che non avendo nè compostezza, nè riguardi, nè modestia, nè pudore, vibrano colpi fatali, lanciando pietre contro Fumana nostra fragilità, dalla lingua, dagli occhi, dal volto, dai gesti, dispensando buone grazie e cortesie per assassinare un incauto religioso, e fargli perdere o in una maniera od in un’altra la nobil gemma che possiede. Se anche quando la castità si custodisse colla lontananza di tali pericoli, alcune volte uno si sente tuttavia stimolato da quel fondo di pravità che vi è dentro chiunque veste carne umana, a qual manifesto pericolo non esporrà la sua virtù colui che si mette nelle occasioni? Può essere che per allora non vi ceda, ma nei momenti di riposo, nella solitudine della notte, tornando poi a suscitarsi le fresche immagini impresse nella mente dagli antecedenti oggetti, cederà facilmente. Oh! quanto le suddette rimembranze funestano il pensiero, e quanto intorbidano la tranquillità del cuore, con grande pericolo di soccombere! Bisogna pertanto che ti metta con ogni vigoria, e con estrema forza, a fuggire e ad allontanare da te ogni occasione pericolosa e cattiva. Non può essere che uno si metta in quelle e non ne trovi danno; dunque ad ogni costo bisogna evitarle!

Occasioni pericolose.

Si dicono occasioni pericolose quelle circostanze o di persone, o di cose, o di luoghi, le quali, attesa l’umana fragilità e corruzione, destano e accendono nella persona le passioni; e con ciò le eccitano e spingono a cadere in peccati, od almeno la raffreddano nel fervore spirituale, e la rendono dissipata e tiepida. Bene spesso lusingano e seducono la volontà, accecano la mente in modo, che d’ordinario spingono le anime nell’abisso del peccato. Perciò ben può affermarsi, che la persona, la quale volontariamente si espone alle occasioni pericolose, è moralmente impossibile che non cada primieramente in dissipazione e tiepidezza, e poi d’ordinario in peccati gravi. Lo Spirito Santo ci convince di questa verità. Esclama nei Proverbi: «Può un uomo nascondersi in seno del fuoco, senza che si abbrucino le sue vesti? Ovvero camminare sopra gli accesi carboni, senza scottarsi il piede? »[309]. Come tutto ciò è impossibile, così è impossibile che posto nell’occasione non cada.

E ciò conferma nell’Ecclesiastico colla seguente similitudine: Chi tocca la pece si sporcherà di pece, e chi conversa col superbo si attaccherà la superbia[310]. E per indurci a fuggire le compagnie pericolose dice: Pàrtiti dall’uomo perverso, e sarai libero dal male.

Le occasioni necessarie.

Vi sono due sorta di occasioni pericolose: le une si dicono necessarie, le altre volontarie. Le necessarie sono quelle nelle quali devi trovarti contro tua volontà, e da esse non puoi esimerti senza grave incomodo o danno, come per esempio, se fossi costretto andar sotto li primi, ove di frequente sentissi discorsi osce.ni od eccitamenti al male; o come se dovessi lavorare con chi ti è di pericolo senza potertene allontanare. Le volontarie sono quelle nelle quali uno si mette senza necessità o giusta causa. Molte volte potrà avvenire di trovarti nelle occasioni necessarie, dalle quali ti è assolutamente impossibile il fuggire. Allora Iddio, il quale non comanda mai cose impossibili, ti aiuterà in modo anche straordinario. Ala tu resti obbligato a praticare i mezzi necessari per non cadere in peccato. Essi sono: l’orazione, la frequenza dei sacramenti, cercar direzione esponendo al superiore il pericolo, e specialmente il procurare di rendere remota l’occasione. Questo si fa col non fermarsi mai appositamente nel pericolo, col mantenere un contegno grave e severo, ed anche, occorrendo, con usar modi aspri e simili.

Occasioni volontarie.

Invece vi è vero obbligo di fuggire tutte, assolutamente e senza tergiversazione, le occasioni volontarie, quando non vi sia alcuna causa o ragione di esporsi alle medesime. Epperò chi si mette in qualche occasione pericolosa senza giusta causa, posto pure (notalo bene) che non acconsenta a verun male, pure, con il solo esservisi esposto volontariamente, commette già peccato. Il qual peccato potrebbe anche essere mortale, se l’occasione si conosceva di tanta forza sulla persona da cagionarle tentazioni così violente, che sicuramente l’avrebbe fatto consentire a peccato grave. Perciò, sebbene tu non avessi alcuna intenzione cattiva, non dovresti esporti alle occasioni pericolose senza qualche giusta causa. Poiché l’occasione non cessa d’esser seducente o pericolosa, e quindi le tentazioni infallibilmente ti assalirebbero, e tu facilmente potresti darvi consenso, e cadere in peccato. Oh! Quante anime semplici si esposero ad occasioni pericolose senza malizia, anzi colle migliori intenzioni, eppure nell’occasione rimasero sedotte e vinte! San Pietro, quando entrò nella casa di Caifa, aveva forse intenzione di rinnegare il suo Divin Maestro? No certamente: eppure per ben tre volte lo rinnegò! Ma non potrei espormi a qualche occasione, per buon fine, quando per esempio avessi speranza di convertire un’anima? Questo invero non ti sarebbe imputato a peccato, anzi per sé si potrebbe prendere per zelo. Ma ascolta il consiglio di San Filippo Neri, il quale diceva non esservi cosa tanto pericolosa ai principianti, quanto il voler far da maestro e convertire altri. Egli voleva che prima attendessero a consolidare se stessi, ed a stare umili, perchè sembrando loro di aver fatto qualche cosa, non incorressero così nella superbia. Nota ancora tu, inesperto, che il demonio, al dir di San Paolo, si trasmuta bene spesso in angelo di luce, per trarre più facilmente le anime in inganno e quindi in peccato ed alla perdizione. E ciò con oscurare la mente, e indurla a giudicare che non vi sia peccato ove realmente vi è occasione di spirituale rovina. Bisogna pertanto con tutta cura fuggire le occasioni, se uno vuol conservare la perfetta castità. Affinchè i gigli si mantengano candidi ed illibati nel loro vigore, è necessario che il giardino sia custodito da una robusta siepe, è necessario circondarli di spine. Tolta questa custodia tutti possono entrare in quel giardino, e persin gli animali domestici e le fiere possono calpestare o almeno sporcare il candore del bel fiore. Ricordati che tu devi custodire te stesso. Tu medesimo devi crearti la siepe e le spine. Anche con grande energia se occorre, devi allontanare da te ogni occasione pericolosa. È pieno il mondo di chi non vorrebbe cadere, non vorrebbe avere neppure le tentazioni, e poi si inette nelle occasioni e cade. Ed anche i religiosi, che si ritirano apposta dal mondo, vanno di giorno in giorno aprendo nuove brecce, cercando di uscire o far visite, od invitando in casa persone pericolose. Certamente fin che sei nel noviziato e nello studentato non andrai esposto a questi pericoli; ma io ho bisogno di premunirti per l’avvenire. In una cosa di così capitale importanza guai se non incominci fin d’ora a prendere propositi fermi e rigorosità! Senza queste precauzioni la siepe è dilapidata, il giglio avvizzisce, o forse è calpestato ed annientato.

Del trattare con persone d’altro sesso.

Pensa antitutto a tener lontano le persone pericolose. Fuggi accuratamente l’incontro e le conversazioni con persone d’altro sesso. « Non ti mettere, dice lo Spirito Santo, a trattare familiarmente con loro, perchè molti per questa cagione sono andati in perdi zione ». Nè ciò ti sembri strano; perchè, continua lo Spirito Santo, il loro aspetto e le loro parole sono come fuoco con cui la concupiscenza si accende in fiamme d’impurità. San Bernardo, parlando di ciò a religiosi, aggiunge un’espressione che ha da farti pensare bene. Dice adunque, che trattare familiarmente con persone d’altro sesso e non lordare con grave macchia la candida stola della purità, è miracolo maggiore che richiamare i defunti da morte a vita. Poi soggiunge con enfatica espressione: Tu non puoi risuscitare i morti che è meno, e poi vorresti ch’io credessi che trattando tu continuamente con quelle persone non abbi a cadere in colpa grave, il che è molto più difficile?

Ciò che dice San Girolalmo.

San Girolamo atterrisce questi audaci, che senza tema di cadere si espongono tutto giorno a tali cimenti, col l’esempio di molti eroi ricordati nella Sacra Scrittura, che perciò precipitarono anch’essi in gravi eccessi. Sansone, dice il Santo, più forte di un leone e più duro di un sasso, che solo e disarmato aveva combattuto contro mille persone, lasciandone quali ferite e quali trucidate sul campo, trattando poi con dimestichezza con Dalila, perdette la sua fortezza. Davide, fatto secondo il cuor di Dio, eletto qual tromba profetica per pubblicare a tutto il mondo il futuro messia, ad un semplice sguardo verso Bersabea, precipita nell’abisso di un adulterio e di un omicidio. Salomone, che con la sua mente sublime disputò dal cedro del Libano all’Issopo che spunta nelle pareti, per la cui bocca parlò la Divina Sapienza e palesò le sue grandezze, col poco cauto conversare con donne, se ne invaghì pazzamente, eri arrivò a voltar le spalle a Dio, ed offerire incensi profani ad empie divinità, per compiacere a quelle. E perchè nessuno si fidi, continua il santo dottore, della familiarità colle persone parenti e congiunte del sangue, si rifletta alla caduta di Ammone che, conversando troppo liberamente con Tamar sua consanguinea, giunse a quegli eccessi che fanno sbalordire la natura. Se dunque cadono i cedri incorruttibili del Libano, e cadono le colonne inconcusse della santa fede, si potrà credere che tra simili pericoli staranno in piedi quelli, che a guisa di canne fragili si piegano all’urto di ogni tentazione? Chi mai potrebbe dormire tranquillo vicino ad una vipera, che, se non ti avvelena coi morsi, ti tiene certamente in gran timore di essere avvelenato? Assicurati fuggendo energicamente l’occasione, e allora non perirai. E dicendo qualcuno a San Girolamo stesso, che era meglio vincere esponendosi alle occasioni che fuggire da esse, il Santo rispose dicendo: « In questa specie di combattimento la vittoria è sempre dubbia anche ai più valorosi; la vittoria è certa fuggendo; ed è da stolto, in cosa di tanta importanza, lasciare il certo per attenersi al dubbio ».

Ciò che ne dicono gli altri Santi Padri.

Concordano perfettamente con San Girolamo negli stessi sentimenti gli altri Santi Padri, che con ugual fortezza di espressione stigmatizzano gli imprudenti che si mettono volontariamente nel pericolo di peccare. Sant’Agostino parlando al suo popolo dice, che contro gli incentivi della libidine dobbiamo darci alla fuga, se bramiamo riportare vittoria: e che non dobbiamo riputare disonorevole il fuggire in tali battaglie, se desideriamo ottenere la palma gloriosa della castità. Se poi alcuno, seguita a dire, poco curante della sua salute eterna, ardisce continuare nelle familiari conversazioni con persone d’altro sesso, pur volendo custodire tutto il decoro della sua castità, questa è una presunzione infelice e troppo pericolosa. Molti son quelli che in mezzo a tali pericoli speravano vanamente di vincere, ed alla fine sono rimasti bruttamente vinti. San Basilio dice, che come non è possibile che la paglia torni spesso ad avvicinarsi al fuoco e non si accenda, e che l’acqua vada a mescolarsi con la terra e non se nè formi mai fango, così non è possibile la familiarità di quelle persone senza suscitare o incendio o fango. E il Santo ne reca anche la ragione. Dice egli che più facilmente si superano quei mali che vanno congiunti coll’orrido, coll’aspro, col malagevole, quali i patimenti, gli oltraggi, le persecuzioni, il martirio; che non quegli altri mali che vanno uniti col dolce del piacere; perchè quelli la natura umana li scuote da sè come penosi; ma questi li abbraccia come dilettevoli. È per questo che i Santi Padri dicono unanimemente, non esservi altro rimedio contro un male così pernicioso, che fuggire dalla presenza di queste vipere, che ti attossicano l’anima col loro dolce veleno.

Pratica per noi.

Poste queste cose, comprendi la ragione di quanto dobbiamo star attenti noi per evitare occasioni così pericolose. Ed in pratica tieni per te come molto pericoloso l’usare familiarità, anche solo conversando senza vera necessità, con persone d’altro sesso. Ancorché ciò fosse con parenti pie e devote, se son giovani non è possibile che non vi sia pericolo. Anzi il pericolo alle volte è ben maggiore con il trattare con queste persone pie e devote, che non eoi trattare con gente cattiva ed empia. Così pure è occasione pericolosa il lasciarle entrare nelle nostre cucine, infermerie, cameroni da guardaroba. Vi è perciò obbligo di evitare per quanto si può queste cose, perchè vi è obbligo di coscienza di tener lontani i pericoli. Varie di queste cose non appartengono a te ora, ma te le dissi perchè conviene che fin d’ora ne sii istruito, e perchè possa poi ricordarle quando faranno per te. Data l’occasione, sii in grado di suggerirle parlandone con gli altri.

L’andata in famiglia.

Altra pericolosissima occasione per un religioso è l’andata in famiglia. Ti ripeto in particolar modo le parole di Don Bosco riguardo queste andate in famiglia, ed il passare le vacanze presso i parenti o gli amici del secolo: son sempre pericolose ed occasioni da evitarsi. Anzi: questo nostro buon padre insistette tanto su questo punto, che qualcuno lo credette persino importuno ed esagerato. Ciò non pertanto egli, in una circolare mandata a tutti i superiori nel primo giorno della novena della Immacolata dell’anno 1S80, ripete questo avviso, e dice queste andate a casa per passarvi le vacanze «officina di ogni male». E nelle deliberazioni che si presero nel secondo capitolo generale, dopo d’aver messo: «e specialmente non si vada a passare il tempo delle vacanze in casa dei parenti », volle si inserisse quest’altro articolo: « quelli die non si sentissero di sacrificare questa andata nel secolo, danno indizio di non esser chiamati allo stato religioso ». E nella prefazione alle costituzioni, parlando dei mezzi per conservare la bella virtù, insiste sul fuggire con grande premura i luoghi, le persone, e le cose del secolo e poi conchiude: « Io non mi ricordo d’aver letto o di aver udito a raccontare, che un religioso siasi recato in patria sua e ne abbia riportato qualche vantaggio spirituale. Al contrario se ne annoverano migliaia e migliaia, che, non mostrandosene persuasi, vollero farne esperimento. Ma ne provarono amaro disinganno; anzi non pochi rimasero vittime infelici della loro imprudenza e temerità ». Credi tu che Don Bosco avrebbe insistito tanto su questo punto, se non avesse avuto ragioni ben forti?

Altre occasioni pericolose.

Ti noto ancora qui alcune altre occasioni pericolose, che noi dobbiamo costantemente e rigorosamente fuggire, e che per lo più sono segnalate nelle nostre deliberazioni, e nei consigli che ci dava Don Bosco: il far inerendole fuori pasto, il tener vino o bibite in tua camera e a tuo uso, l’uscita di casa senza permesso e senza compagno, l’andar a trovare parenti od amici nelle passeggiate senza speciale permesso. È specialmente pericoloso l’andare a visitare musei o pinacoteche senza speciale permesso, il legger libri leggeri o vanitosi, o tenerne di quelli che si sa il superiore non esserne contento; il condurre o lasciar entrare giovani nelle nostre camere o nelle nostre celle; il trattenere giovani da soli a soli nelle scuole; il passeggiare con loro tenendoli per mano; l’avvicinarsi di notte nei dormitori ai letti dei giovani. — o comecchessia anche tra voi, nelle strette tra letto e letto, — fosse pure con buon fine; l’introdurre od anche solo permettere di penetrare qualche giovanetto nella propria cella, sia di giorno che di notte, ancorché non avvenga altro inconveniente. Altra occasione pericolosa è il tener quadri, statue, immagini, cartoline un po’ indecenti ed immodeste. Nè dirmi che tu non ne fai caso: ne farà ben caso il demonio! Che se non riuscì a fartene avere cattive impressioni subito, saprà richiamartele alla fantasia più tardi, e metterti anche in grave pericolo di cadere in peccato mortale. Fuggi anche varie altre cose che sono contrarie alle regole o furono dai superiori espressamente proibite, perchè forse anche lontanamente pericolose. Se tu ugualmente fai qualcuna di queste cose, oltre a commettere una mancanza di disubbidienza, ne commetti anche una seconda in quanto che ti metti in uri pericolo, ossia in un’occasione pericolosa. E bada bene che ancorché nel fatto non cada in altro, cioè non sia avvenuto realmente nessun atto cattivo, hai già fatto male, perchè ti sei messo in pericolo. Ama pertanto lo stare a casa e non l’uscita; il trattare coi tuoi giovani e non con altre persone, i libri scientifici e quegli scolastici di testo, e non libri leggeri e di poesie, di commedie o di romanzi. Fuggi gli spettacoli, i luoghi di gran concorso e i convegni rumorosi, e non ti troverai mai malcontento.

Pregare e mortificarsi.

Ma veniamo agli altri mezzi. Oltre al tener lontane le occasioni pericolose, due generali ce ne raccomanda il Signore, dicendoci che questo genere di demoni non si scaccia se non coll’orazione e col digiuno. Intendi che con la parola orazione viene a comprendersi ogni pratica di pietà, specialmente i sacramenti, l’udire o leggere la parola di Dio, e in generale ogni cosa che elevi la nostra mente a Dio, come già ti spiegai altrove. Con la parola digiuno poi s’intende ogni sorta di mortificazione, specialmente degli occhi, della gola e del tatto. Tieni pertanto altamente fisso nell’anima tua che chi non è ben fondato nella pietà e nello spirito di mortificazione non sarà forte nella castità, per quanto al presente sia libero da cadute, od anche da tentazioni. Non ti spiego qui questi due grandi mezzi speciali ed efficaci per la custodia della castità, perchè della mortificazione te ne ho già parlato a lungo, e dello spirito di preghiera te ne parlerò ancora in luogo apposito. Qui solo ti raccomando caldissimamente di praticare quanto già sai a questo riguardo. Ti noto però la cosa che giudico per te la più utile, ed è che ti tenga costantemente alla presenza di Dio. Pensa cioè clic Dio ti vede; e perciò, a modo di Giuseppe il casto, di’ anche tu nei momenti di tentazione: « Come commetterò tal cosa al cospetto di Dio? ». Riguardo poi allo spirito di mortificazione mi giova ricordarti, che, sebbene non ti suggerisca penitenze ordinarie, in certe circostanze della vita un po’ di penitenza esteriore ed afflittiva della carne, s´impone, e si rende come necessaria per attutire la baldanza della carne. Per questo la Chiesa comanda di tanto in tanto il digiuno: per questo il nostro mitissimo e tollerantissimo San Francesco di Sales faceva egli e suggeriva ad altri la disciplina in varie circostanze, e ne lodava l’ammirabile efficacia ed il tanto buono effetto. Ma, ti ripeto: non si richiede che tu faccia ordinariamente grandi mortificazioni. Piuttosto è necessario che t’impegni grandemente ad acquistare l’abito delle medesime, esercitandoti a superare con gaudio le continue piccole mortificazioni che occorrono continuamente.

Essere umile.

L’umiltà, come mezzo assai valevole per conservare la bella virtù, ci c proposta in modo speciale dal gran dottore San Gregorio.

Non sarà mai casto il corpo, se non preceda l’umiltà della mente. L’umiltà adunque è il mezzo efficace e necessario per mantenersi casti. Di fatto chi è veramente umile, conoscendo la propria meschinità derivante da quel fondo di corruzione che tende a far cadere in orribili precipizi, non sta mai sicuro di se medesimo; ma vivendo in un continuo timore, fugge da tutto ciò che può esporlo a qualche pericolo di cadere. Quindi è ch’egli, penetrato da questo timore salutare, vigila continuamente, e si insospettisce di qualunque cosa. Ci serva di sprone l’esempio di Maria SS., che nè in umiltà nè in purità ebbe l’eguale. Quantunque Essa fosse esente da ogni cattivo movimento di concupiscenza, tuttavia, avendo consacrata la sua verginità al Signore, se ne stava ritirata nella sua umile abitazione, segregata affatto da ogni umano consorzio. Fu ella così pavida e così gelosa del suo candore verginale, che non essendo solita a veder facce d’uomini, quando le si presentò innanzi in sembianza umana il santo arcangelo Gabriele si adombrò, le tremò il cuore e si riempì di turbamento. Non fa stupire ciò, dice San Bernardo, atteso che le anime veramente caste diffidano sempre di se medesime, stanno in un continuo timore, nè mai son sicure di sè pensando alla propria debolezza. Così è, figliuol mio: quegli cui preme di conservare illibata la castità, teme sempre di perdere una così ricca e preziosa gemma. Sia questo un documento pratico per te, affinchè non abbi mai a fidarti di te stesso, esponendo la tua fragilità ad alcun cimento. Chiudi le orecchie ai discorsi pericolosi, atteso che questi sensi sono le finestre per cui entra la corruzione del cuore e nell’anima la morte. Ti ripeto: non fidarti della tua fortezza. La nostra fortezza quando uno si mette nelle occasioni, vien rassomigliata dal profeta Isaia ad un poco di stoppa sopra cui cada una piccola scintilla; questa è sufficiente ad accendere un fuoco inestinguibile. Ed ancorché, continua il profeta, avessimo una fortezza uguale a quella delle querce, diverremmo non pertanto fiacchi; e ardendo di concupiscenza rimarremmo inceneriti. Altrove poi il medesimo profeta ci fa sapere che la nostra carne è come fieno, che al sole si dissecca, langue e muore.

Sì funeste disavventure sono effetti della umana debolezza, permessa da Dio in castigo della temeraria inconsideratezza nostra. Quando noi non facciamo da parte nostra quel che possiamo, egli sottrae da noi i suoi divini aiuti, e così è reso fiacco anche chi era forte. Qui non si tratta di un punto di perfezione; si tratta bensì di un voto, che per essere osservato in tutta la sua estensione, esige indispensabilmente una somma circospezione.

Lavorare.

Riguardo al molto lavoro, tutti i dottori sono d’accordo nel dire, ch’esso è un preservativo potentissimo contro le bruttt tentazioni. Don Bosco ci lasciò il gran lavoro e le continue occupazioni, come suo ricordo in morte.

Noi con questo otterremo doppio frutto: di operare molto a pro dei giovani, del che vi è tanto bisogno, e di tenere la nostra testa scevra da cattive inclinazioni e tentazioni nell’impossibilità di nuocerci, essendo noi sempre molto occupati. Vari santi hanno procurato d’assoggettare la carne orgogliosa con la stanchezza di esorbitanti fatiche. San Macario, abate di Alessandria, per sedar la ribellione della carne si caricava le spalle di un sacco d’arena ben pesante, e lo portava lungo quei luoghi ermi e solitari. Altri trasportava con grande fatica e sudore un mucchio di pietre da un luogo ad un altro. Noi però non abbiamo generalmente bisogno di applicarci a fatiche per se stesse infruttuose: a noi non manca mai un cumulo immenso di occupazioni, se vogliamo davvero faticare. Imitiamo perciò piuttosto San Girolamo. Egli s’ingegnò d’abbattere il corpo tumultuante con una veemente applicazione allo studio e ad un lavoro assiduo nel sacro ministero. Negli eremi della Siria, dove menò la prima volta dopo che partì da Roma la vita solitaria, per difendersi dai cattivi pensieri e dai bollori della concupiscenza, che non lo lasciavano per un momento vivere in pace, si diede allo studio della lingua ebraica. E continuò tanto alacremente questo studio, che, sebbene non fosse più giovane, la imparò così a fondo, da potersi servire di essa per tradurre molti libri dell’Antico Testamento nella lingua latina, traduzione che fu di tanto giovamento alla Chiesa e che ancor noi adoperiamo; e che non avremmo avuto senza un’applicazione così tenace durata lunghi anni.

Rifugiarsi nelle piaghe di Gesù Cristo.

Che se poi, ad onta di tutti i riguardi che adoperi a custodire incontaminata la bella virtù, ti sentissi nondimeno trascinare o dal tentatore o dal domestico nemico che è il fomite del peccato a commettere cosa atta a macchiarla, non tardare di applicarti all’usato costume della colomba, la quale, se si vede inseguita dai predatori tosto sen vola al suo nido, per ritrovar lo scampo e porsi al sicuro. 11 rifugio delle caste colombe sono le piaghe del Redentore. In esse devi ricoverarti come luogo di sicurezza al primo assalto d’impurità. Impugna tosto il Crocifisso, stringitelo dolcemente al seno, imprimigli dei teneri baci, riconfermagli la tua fedeltà e si estinguerà ogni cattivo ardore.

Questo era il mezzo che usavano generalmente in simiglianti casi i santi, e questo specialmente era il mezzo di cui si prevaleva San Bernardo. Pigliava egli il Crocifisso in mano, e dopo di avere seco lui sfogati i sentimenti del pudico suo cuore, guardando attentamente le sue amorosissime piaghe; Ah! diceva tra consolato e mesto, il mio Signore sta per me confitto in croce, ed io sarò cotanto ardito che abbia a darmi in preda ai vietati diletti? Frenavasi con questo mezzo la rea passione di questo santo; e si frenerà anche la tua in ogni circostanza di ribellione della tua carne, se come lui correrai a nasconderti nelle piaghe di Gesù, rifugio di sicurezza a lutti coloro che vogliono di proposito serbare illeso il bel candore della santa purezza.

CAPO XII DELL’UBBIDIENZA IN GENERALE. PREGI DI QUESTA VIRTÙ E VANTAGGI CHE APPORTA

Ragione ed essenza dell’ubbidienza.

Uno degli effetti più dannosi prodotti dal peccato originale fu l’avere introdotto in noi un amore disordinato alla propria libertà e indipendenza. Questo suscita nell’uomo il desiderio di scuotere ogni soggezione, ogni autorità, ogni superiorità, e d’assecondare le proprie inclinazioni, i propri voleri e capricci. Questa sfrenata libertà porta ad ogni piacere e disordine, perchè quello che è secondo i propri voleri ed i propri capricci contraria facilmente le disposizioni divine, ostacola anche la libertà del prossimo. Se questi a sua volta reagisse farebbe insorgere continue liti, risse, guerre; renderebbe perciò la terra teatro di ogni infelicità e condurrebbe l’uomo alla disperazione. Al contrario, effetto principale della Redenzione fu di stabilire la libertà vera, quella appunto di cui ci parla San Paolo, come portataci da Gesù Cristo. Essa inette un argine alla sfrenata libertà che ci porterebbe al male, alle risse, alle discordie, alle liti, alle guerre. Il Signore insegnando a tutti la soggezione alla legge eterna, alla volontà di Dio, riduce l’uomo ad amare e rispettare il prossimo, procura l’unione e la concordia fra tutti, e perciò l’unione e la felicità universale. Ma per questo ci vuole la soggezione da parte dell’uomo, il che è appunto sotto [orma d’ubbidienza. Questa si può definire: la virtù che sottomette prontamente ed in ogni cosa la propria volontà a qualunque volere e comando del superiore, perchè egli tiene le veci del Signore.

L’ubbidienza, esempio e precetto di Gesù.

Pel fatto stesso che la Persona del Verbo venne ad incarnarsi per fare la volontà del suo Eterno Padre, moralmente parlando tutto per Gesù si riduceva all’ubbidienza. Ed in quella guisa che la Scrittura ci dice che il Verbo si è fatto carne, ci dice pure che Gesù Cristo si è fatto obbediente [311]. Essersi fatto carne è la sua costituzione; essersi fatto obbidiente è la sua condizione; l’una esce dall’altra, e questa si poggia su quella. Questa ubbidienza è adunque il carattere principale della vita di Gesù; ma è ancora la virtù riparatrice ed edificante per l’uomo. Gesù saldando i debiti nostri, riedifica le rovine. E ciò che la ribellione del vecchio Adamo aveva fatto per la morte, dice San Paolo, la sommissione del nuovo Adamo lo fa per la vita. L’ubbidienza adunque è il grande esempio da Gesù propostoci, il gran´ segreto da lui melatoci, la via reale apertaci, e il dovere principale prescrittoci. Sicché nella morale evangelica, tutto, possi am dire, si compendia nell’ubbidienza; poiché l’amore stesso non ha valore pel cielo, se l’ubbidienza non vi ha messo il suo suggello e fatto scorrere in esso il suo succo. Ecco perchè Gesù ordina l’obbedienza a tutti e ne inculca dappertutto l’obbligo rigoroso. La legge è universale e non ammette dispensa: ubbidire ed essere cristiano, ubbidire e vivere secondo che vuole Dio, è una sola e medesima cosa. Il cielo cesserà di esistere, prima di aprire la porta ad un disubbidiente.

L’ubbidienza, consiglio.

Ma qui, come altrove, vi ha la virtù necessaria ed elementare, che corrisponde al precetto e stabilisce la giustizia comune dei cristiani; e vi è la virtù più alta, che, sorpassando lo stretto dovere, incammina alla perfezione coloro che l’abbracciano e vi si esercitano, e finisce per render santi coloro che vi sono consumati. Non è possibile che i membri non siano invitati a praticare in maniera eccellente quell’ubbidienza, nella quale il Capo si era tanto distinto. L’esempio di Gesù era più che sufficiente ad attrarre il fiore delle anime umane, e ad attirarne alcune irresistibilmente. In vari santi si può dire che l’ubbidienza fu così connaturata, che avrebbero provato immensa difficoltà nell’allontanarsene anche solo di un apice. A questo punto fece arrivare le anime amanti ed umili l’esempio di Gesù. Gesù ebbe a dire: Non sono venuto a fare la volontà mia, ma quella del mio Padre. E soggiunse ancora : « In capo al libro è scritto di me che io faccia la volontà di colui che mi ha mandato ». In questa medesima i guisa vari santi non vivevano e non vissero I se non per l’ubbidienza. Di Gesù si legge che faceva sempre il beneplacito del suo Eterno Padre. E di molti santi può ripetersi, che facevano sempre quel che fosse di maggior gradimento di Dio e dei superiori. All’esempio che ci diede, Gesù si degnò di aggiungere la parola. E siccome aveva consigliato di rinunziare, per amor suo, alle ricchezze temporali ed alle seduzioni della carne, così consigliò ancora di sacrificargli la propria indipendenza, e quel potere che la natura dà a tutti di dirigere da se stessi le proprie ragionevoli volontà, ed i propri legittimi gusti. Gesù ha nascosto questo consiglio nell’ultime parole dette a quel giovane che si era profferte di seguirlo: «Una cosa ti manca... vieni e seguimi» [312]. E con ciò gli apriva la via alla santa ubbidienza. Seguir Gesù infatti non significa solamente, come scrive San Girolamo, imitarlo e camminare sulle sue orme, ma ancora come insegna il Suarez, dopo San Tommaso, darsi assolutamente a lui come discepolo, farsi della sua compagnia, e porre per sempre in lui il governo della propria vita e dell’anima propria, per essere da lui istruito, formato e santificato (Suarez, De Statu Rei. Lib. X, capi IXI). E da questa parola, piena di grazia, e rischiarata dalla vita intera del Salvatore, è uscita tutta la teoria di questa ubbidienza eminente, la quale, già praticata in sostanza dagli apostoli, non ha cessato un sol giorno di essere in onore nella santa Chiesa, e vi è restata base immortale del magnifico ed imperituro stato, che è detto lo stato religioso.

Potere, e legge di Dio.

Vi sono due forme, due manifestazioni, due azioni della sovranità: la prima è il potere, la seconda è la ragione. Sotto ciascuna di queste forme essa richiede l’ubbidienza. Si deve ubbidire al potere legittimo, ed alla legge fatta legittimamente da questo potere. Dio è l’essere assoluto, ed ogni cosa viene da lui, ed ogni altra cosa è dinanzi a lui come se non fosse. Egli che ha fatto tutto, ha il potere legittimo e assoluto su tutte le cose. Ed in quanto impone un ordine, questo prende il nome di legge. E siccome Iddio non obbliga l’uomo se non per santificarlo e salvarlo, così vuole che l’ubbidienza sia libera affinchè sia meritoria, e così avvenga quel che ci fa dire lo Spirito Santo: Chi ama la legge sarà da lei ripieno [313]. Così la legge rende buoni tutti coloro che la custodiscono, e li illumina su quanto devono fare. La ragione eterna ed infinita di Dio, che è la regola essenziale di tutte le cose, si formula per noi nella legge: essa prende corpo e si acconcia ai nostri usi. La legge ci viene non solo dalla potenza di Dio, ma ci viene pure dalla sua sapienza e dalla sua bontà. La grazia accompagna regolarmente le opere di Dio; e perciò Iddio non intima alcun ordine* all’uomo, senza dargli un soccorso per comprenderlo, gustarlo e sottomettervisi. La legge in sè, e solo perchè divina, possiede una virtù che attrae. Non solo persuade lo spirito, ma alletta il cuore e soggioga la volontà: non basta certo la volontà istintiva, animale, chiamata dalla Scrittura carnale, che è un appetito anziché una volontà: ma la volontà superiore, dalla grazia resa spirituale, dopo che la natura l’ha fatta ragionevole. E così nulla di più ragionevole che l’ubbidienza e la sottomissione alla legge; come nulla di più dolce e di più facile, purché uno faccia quanto dipende da lui per assecondare la grazia di Dio, che è sempre unita alla legge. E ciò perchè Dio non ci dà legge, senza porvi accanto la grazia di eseguirla per chi ha buona intenzione.

Autorità e gerarchia di cause seconde.

Ma Iddio si compiace di adoperare in ogni cosa le cause seconde. Cioè, in certo qual modo, deifica le sue creature, e le adopera come cooperatrici dell’opera sua. Fra tanti doni che Iddio ci ha fatti, dice l’Areopagita, non ve n’è alcuno più divino, che l’assumerci a cooperare con lui al bene generale. Fra lui, potere supremo, e gli esseri più umili, affinchè questi seguano la loro via regolare e pervengano al loro fine, Iddio pone diversi ordini di potenze. Queste, investite da lui di una porzione dei suoi diritti, partecipano al suo vigore, si associano alla sua azione e contribuiscono per parte loro al buon esito dell’impresa. Fra Dio e il bambino nato testé, vi sono il padre e la madre che gli hanno dato la vita. Nella stessa guisa tra Dio, sovrano dominatore, e noi, gli ultimi di questa creazione intelligente che tutta gli è soggetta, vi sono autorità costituite, poteri d’ordine e di carattere svariato, altri invisibili e puramente spirituali come gli angeli, altri sensibili ed umani come i pontefici, i vescovi, i re, i principi, i prelati, i magistrati, insomma i superiori d’ogni ordine e d’ogni nome. In una parola Dio pone fra lui e noi la gerarchia, cioè, come spiega mirabilmente San Dionisio, un sacro e divino sistema, in cui l’ordine e la scienza e l’energia che sono eminentemente in Dio, pigliano per sua volontà una esistenza creata, affine di propagare regolarmente e soavemente in tutto l’universo quel movimento luminoso, santificante e beatifico, che, sotto l’azione dell’amore, parte eternamente dal seno del Padre, per ricondurvi e porvi per sempre le creature purificate, illuminate e diventate perfette. È questa la grande dottrina di San Paolo, espressa quando fece manifesto per tutti i cristiani il dovere dell’ubbidienza. « Ogni anima, così egli, sia soggetta alle potestà superiori; perché non vi è potestà se non da Dio; e quelle che vi sono, son da Dio ordinate» [314].

Da ciò deriva che i poteri creati sono veri e santi, e richiedono da tutti un rispetto religioso, ed un’ubbidienza fedele. Da ciò finalmente deriva, che, secondo l’espressa dichiarazione dello Spirito Santo, chi ad essi si oppone resiste alle ordinazioni di Dio e si compera la dannazione[315].

Teoria religiosa dell’ubbidienza.

Tali essendo i poteri, è cosa naturale che, come la sovranità divina dalla quale emanano, e di cui sono imitatori, abbiano, ciascuno nel proprio grado, e per il fine a cui è diretto, tutti gli essenziali attributi del potere. Hanno adunque anch’essi il diritto d’intimar ordini, possono fare vere leggi. Di qui derivano tutte le leggi umane, sia ecclesiastiche come civili; e di qui deriva l’obbligo che tut ti hanno di praticarle, per quanto loro concernono. Dal che deriva ancora, ed è questa la conclusione consolante e gloriosa di tutto quanto riguarda la teorica dell’ubbidienza che in fin dei conti non v´è che un potere ed una legge; e che, sottomettendoci liberamente a tante volontà create che hanno l’incombenza di reggere la nostra, noi, come dice San Tommaso, non facciamo mai se non la volontà di Dio, sola regola suprema dei nostri atti, come ne è il principio colla sua potenza, come ne è il fine col suo benefico amore. Tale è la teorica cristiana, e quindi la teorica vera, esclusivamente vera del potere. E tale per conseguenza è il fondamento della ubbidienza, sì cristiana come religiosa: tali i princìpi che la rischiarano e ne debbono invariabilmente regolare la pratica.

Importanza dell’ubbidienza.

Nulla pertanto vi è di più importante, nulla di più necessario e sacro, che il riconoscere praticamente l’autorità: e perciò nulla di più importante, necessario e sacro che l’ubbidienza. Essa è che lega la terra e il cielo. È la forza che porta il mondo, è l’arca santa del genere umano, l’anima della società e delle famiglie, il segreto della vita di tutti e di ciascuno. Toccar malignamente l’autorità, sollevarsele contro, contestarla, negarla, e specialmente volerla distruggere, è la grande empietà dei nostri giorni. E ciò non si può lare senza negar praticamente Iddio. E dalla Sacra Scrittura si ricava che nessuno è di solito più severamente da Dio punito, dei pubblici indocili, e degli autori di ribellioni.

San Pietro (Ep. II, li, 9) dichiara, che, fra i tanti colpevoli dell’inferno, nessuno è pi ii furiosamente tormentato dei dispregiatori del potere, degli indisciplinati, dei sediziosi, e, pei dire la parola ormai più in uso e più giusta, dei rivoluzionari. Questo spirito d’insurrezione, disprezzante e violento, è, d’altra parte, uno dei contrassegni comuni dei reprobi. Per contrario, è necessariamente il contrassegno dei buoni, dei giusti, dei santi, la docilità e l´amore. San Pietro li chiama col vero loro nome dicendo i veri cristiani figliuoli dell´obbedienza [316].

 

L’ubbidienza religiosa.

Ora tra questi cristiani, tra questi figli d’obbedienza, se ne trovano di quelli, che avendo di questi misteri un’intelligenza più perfetta, concepiscono per la giustizia una fame più appassionata. E vedendo che la giustizia dell’uomo sta soprattutto nell’obbedire. dell’ubbidienza hanno fame. Le forme divine del potere e della legge li incantano. Vedono Dio raggiare attraverso ad esse e per esse operare, quel Dio che vorrebbero servire quand’anche non ne avessero alcun pro. Anche la vista del mondo li spinge. Tante ribellioni insensate di crisi sentono la storia, quando non ne sono i testimoni, accendono nel loro cuore lo zelo delle sante riparazioni. E l’ubbidienza fino al sacrifizio non è più per loro che una soave, e forte tranquillità. Soprattutto considerano che Gesù sulla terra non ha obbedito a Dio solo. Egli si è scelto superiori umani, ha reso obbedienza a Maria ed a Giuseppe; anzi si assoggettò ad ogni potere e ad ogni autorità, per quanto cattivi fossero coloro che l’esercitavano, e non ostante l’abuso che ne facevano. Si assoggettò anche alle minuziosità della legge mosaica, fino a non trasgredirne neppure un « iota ». Siffatte mire decidono codeste anime a non contentarsi più dei poteri comuni, delle leggi generali. E perciò si cercano guide più particolari, leggi più stringenti. Richiedono ordini più numerosi e più pressanti, comandi che indichino persino le più minute particolarità dei loro fatti, precetti, insomma, che racchiudano tutta la loro vita ed il loro essere in quella reticella stretta e forte che la Scrittura ci mostra formata dalla Sapienza, e che ilice una rete di salute. Scelgono adunque una regola, si mettono sotto un superiore, e così si fanno veri e definitivamente religiosi. Questo è l’apice dello spogliamento cui si possa ridurre un essere libero, come altresì il sacrifizio più elevato che si possa offrire a Dio. Poiché avendo già il religioso consacrati e dati i propri beni a Dio ed anche il proprio corpo coi voti di povertà e castità perfetta, col fare quello di ubbidienza gli consegna interamente la propria volontà, il che è un dargli tutta l’anima, di cui questa volontà è la cima. È questa l’ubbidienza religiosa, termine e corona dell’ubbidienza cristiana. Lodevole pertanto è la povertà, lodevolissima la castità; ma ciò che forma l’essenza dello stato religioso, e che ci porta all’apice della perfezione, è questa rinuncia alla propria volontà. « Tutta la perfezione religiosa consiste nella sottomissione della propria volontà, (San Bonaventura) ». Perciò se tu vuoi sul serio camminare per la via della perfezione, devi sopra tutto attendere a domare la propria volontà, ed a sottometterla in tutto al volere di Dio espresso dai tuoi superiori. Debbono pertanto i novizi, segue San Bonaventura, per far molto profitto nelle virtù cristiane, con grande studio e diligenza assoggettare e domare bene la propria volontà. E di che giovamento può esserti l’aver lasciate le tue sostanze se tuttavia non lasci la tua volontà?

Pregi dell’ubbidienza.

Ora, prima di spiegarti i numerosi doveri dall’ubbidienza imposti, onde animarti a far sempre meglio e sempre più volentieri l’ubbidienza, conviene che ti esponga qui i principali pregi di questa virtù. Conviene che ti dica qualcosa delle grazie divine che da essa provengono, nonché degli incomparabili vantaggi che da essa ci vengono assicurati. I pregi di questa virtù si riducono ordinariamente a sette: 1) L’ubbidienza è migliore e più meritoria di tutti gli altri atti delle virtù morali. E ciò per la ragione che con essa si fa a Dio il sacrificio del massimo dei suoi doni, cioè della propria volontà. È questa la dottrina di San Tommaso, il quale scrive: «Per se stessa è più lodevole l’ubbidienza, con la quale per amor di Dio si calpesta la propria volontà, che non le altre virtù morali, con le quali per amor di Dio si disprezzano gli altri beni ». 2) L’ubbidienza è il mezzo sicuro per far la volontà di Dio. Infatti, ogni superiore tiene la propria potestà da Dio solo, e non da se stesso o da altri; perciò comanda ed ordina solo in nome di Dio, e per parte di Dio. Quindi dice San Paolo: chi resiste alla potestà, ossia al superiore, resiste agli ordini di Dio[317]. Dunque al contrario: chi ubbidisce al superiore non ubbidisce ad un uomo, nè fa la volontà di un uomo, ma ubbidisce a Dio e fa la volontà di Dio. 3) Il vero obbediente non avrà da render conto a Dio di ciò che fa o che lascia per l’obbedienza. Quindi per aver seguito l’obbedienza non si avrà nessuna colpa o castigo, ma solo merito e premio. Poiché la responsabilità di tutto ciò che i superiori comandano di fare o di lasciare, cade tutta sopra di loro. Perciò dice San Paolo: che essi debbono render conto delle anime dei fedeli loro soggetti[318]. 4)´ L’ubbidienza rende sante e meritorie le azioni per sè indifferenti. Il mangiare, il bere, il dormire, il camminare, l’affaticarsi, il divertirsi, sono operazioni per sè indifferenti, che non hanno nessun splendore di virtù; eppure fatte per ubbidienza diventano virtuose, soprannaturali, meritorie e degne di eterno premio. Perciò se tu brami accumular meriti, procura di dipendere dai tuoi superiori anche nelle cose più indifferenti. 5) Il vero ubbidiente trionfa di tutti gli assalti del demonio; perchè il nemico non può resistere all’umiltà, che si racchiude nell’ubbidienza. Dice perciò lo Spirito Santo, che l’uomo obbediente canterà sempre vittoria. 6) L’ubbidienza dimostra e prova se la persona abbia o no lo spirito di Dio. Poiché, se essa è disposta ad obbedir sempre e in qualunque cosa, è certo che la sua condotta e la sua vita è mossa da spirito di umiltà e di mortificazione, cioè dallo spirito di Dio. Invece è evidente, che se essa è disposta a preferire la propria volontà a quella dei superiori, è certo che è posseduta dallo spirito di superbia e quindi mossa da spirito diabolico. 7) Infine: L’ubbidienza rende l’uomo perfetto imitatore di Cristo. Poiché Gesù Cristo fu obbediente al suo Padre celeste, e agli uomini stessi, e obbediente fino al punto di accettare e subire la morte di croce. E se tu non mancherai mai nell’ubbidienza, sarai simile a Gesù; il che vuol dire che salirai fino ai più alti gradi della perfezione.

Vantaggi dell’ubbidienza. Avvicina l’uomo a Dio.

Al lume delle dottrine suddette si vedono chiaramente le grazie ed i vantaggi che contiene per noi l’obbedienza; grazie insigni, vantaggi mirabili, che essenzialmente sono gli stessi e pei cristiani in genere e per i religiosi; ma che sono per costoro molto più considerabili. Il primo di questi guadagni celesti è quello, che l’obbedienza avvicina sensibilmente l’uomo a Dio, e pone fra Dio e la creatura relazioni più intime e di un valore pressoché infinito. Il più grande privilegio del popolo ebreo, e fonte degli altri privilegi, era la residenza speciale che Dio teneva sempre in mezzo a loro. L’arca santa, il tabernacolo, e più tardi il tempio, erano il soggiorno personale di Dio. Quivi Iddio poneva le sue compiacenze e dichiarava trovarvi il suo riposo.

Di là regnava sul suo popolo. È per certo che Dio è il Dio di tutti; ma le sue compiacenze speciali erano sul popolo d’Israele. Ed Israele, col cuore tutto pieno del sentimento d’una sollecitudine particolare, e duna tenerezza tanto palese, esclamava con gran tripudio: No, Dio non ha fatto così con tutte le nazioni, nè ha manifestato ad essi i suoi giudizi. E Mosè aveva già detto: non vi è certo sotto il cielo altra nazione, per grande che ella sia e gloriosa, la quale per reggerla, tanto vicini a sè abbia i suoi dèi, come il Dio nostro. Ma se gli Ebrei avevano già il diritto di gloriarsi così, qual ragione non ne hanno i cristiani! Nè solo per la presenza reale che Gesù volle regalarci nella SS. Eucaristia, il che forma la gloria principale dei cristiani, e la fonte inesauribile dei loro lumi, della loro santità, delle loro delizie, l´ardente e inestinguibile focolare della vita della Chiesa; ma ancora per la presenza reale che vuole tenere in mezzo a noi, per mezzo dei superiori che fanno a noi su questa terra le sue veci.

Dio presente nel superiore.

Se vogliamo meditarvi sopra, ognuno si convincerà agevolmente che la pratica dell’obbedienza, e specialmente quella che inchiude il voto che se ne fa in religione, pone tra Dio e l’anima una comunicazione che se non è più intima che l’eucaristia, è certo più intelligibile, ed assai più frequente. Nel giorno in cui, secondo la forma prescritta dalle costituzioni, un superiore qualunque è stato regolarmente posto nel suo ufficio, in nome di Dio, fonte di tutti i poteri, in nome del sovrano pontefice, vicario di Gesù Cristo in terra, principio di ogni giurisdizione e primo superiore di tutti i religiosi, e pei superiori locali in nome del rettor maggiore dell’istituto, è avvenuto un non so che di mistico, analogo a quello che avviene sugli altari nel momento della consacrazione. Voglio dire, che come nell’istante in cui il sacerdote, che tiene il pane, compie la sacra formola, Gesù Cristo prende il posto in questo pane, e si rende sostanzialmente presente sotto le specie sacramentali; così dal momento che tutte le condizioni canoniche della elezione o della nomina si trovano compiute, Dio si è reso presente realmente, di una presenza tutta particolare nella persona del superiore eletto. Sia in un caso come nell’altro, ciò è stato pel senso umano un puro mistero di fede: misterium fìdei; ma in questo caso come in quello, ciò è stato in sè una realtà tutta divina.

Il superiore è una specie di sacramento.

Richiama a memoria ciò che il Signore diceva a Salomone il giorno in cui si celebrò la dedicazione del tempio: « Io ho esaudita la tua orazione e accolta la tua supplica; e però ho santificato questa casa edificata da te liberamente, affinchè ella porti in sempiterno il mio nome, la mia autorità, la mia sapienza: e gli occhi miei e il mio cuore saran fissi su questo luogo in ogni tempo ». Ogni superiore religioso è anch’egli un tempio; il giorno in cui è stabilito superiore, è come quello in cui questo tempio fu dedicato. Iddio pone in lui il suo potere, la sua ragione, la sua forza. Fissa in lui i suoi occhi e il suo cuore: gli occhi per vegliare su tutte le anime che gli affida, il corpo per chinarsi verso di loro; gli occhi per guidarle, il cuore per amarle. Ogni superiore diviene così una specie di sacramento umano, le cui apparenze, è vero, rimangono come quelle dell’eucaristia piccole, fragili e miserabili; ma che, come quelle del pane consacrato, contengono realmente Dio, per trasmetterlo agli uomini. Dio è nell’acque del battesimo per rigenerare l’anima e comunicarle la vita spirituale. È nel sacro crisma per far crescere quest’anima e renderla divinamente virile; è nella sentenza del sacerdote per rimettere i peccati a chi viene a confessarli colle debite disposizioni; è sostanzialmente sotto le specie del pane e del vino per mantenere la vita della grazia, dataci dal battesimo, e dalla penitenza riparata dopo che dal peccato è distrutta. Tu credi tutto questo sulla parola di Gesù: credi dunque, sulla stessa parola, che per la stessa virtù, cui nulla è impossibile, Dio è presente in quella creatura investita del potere. E comprendi bene che il fine di questa presenza di grazia è quello di formarti alla santità, e di condurti sicuramente nel cammino della perfezione, cui ti obbliga lo stato che hai abbracciato o che sei per abbracciare.

Analogie tra la Eucaristia e l’autorità.

Il mistero cresce di meraviglia sotto ai nostri occhi. Per mezzo dei superiori Dio ti parla ancor più intelligibilmente, più praticamente, più umanamente che non per mezzo dell’eucaristia. L’eucaristia è il pane di vita, l’autorità è il pane di luce. L’eucaristia sostiene la vita, l’autorità addita la via; l’eucaristia è la manna ed il pane degli angeli, l’autorità è l´angelo stesso di Dio, o meglio è Dio stesso nella persona di un angelo, che prende l’uomo per mano e lo conduce al fine. L’uomo ha bisogno di ricorrere a Dio in tutte le cose. È vero, egli va a fare una visita al SS. Sacramento, o meglio va a fare la santa comunione, e vi riceve mille grazie; ma le orecchie dell’uomo materiale son dure, e se egli non avesse che l’eucaristia per rischiarare i suoi dubbi, forse venti volte contro una lascerebbe l’altare nello stato d’incertezza con cui vi andò. Gesù infatti non sta lì per risolvere difficoltà e decidere casi di coscienza; ma, conoscendo le nostre difficoltà, è premuroso di provvederci, e perciò ha fatto in ciascuno dei superiori una specie di eucaristia parlante. E allorché, come Saulo sulla via di Damasco, tu gli rivolgi la domanda: Signore che volete che io faccia? Egli ti risponde come al futuro apostolo: «Va’ a trovare quell´uomo che si chiama Anania », mio sacerdote, mio rappresentante, mia bocca umana: «egli ti dirà tutto ciò che hai da fare». Va’ va’ dunque o mio buon figliuolo, va’ a trovare il tuo superiore, il mio rappresentante; esponi il tuo imbroglio, il tuo dubbio, il tuo bisogno, egli ti aiuterà ad uscirne. Quel che io voglio ed aspetto da te, quello che per riuscirmi gradito tu devi ora pensare, volere, fare, te lo dichiarerà lui. Chi ascolta lui ascolta me. Chi a lui ubbidisce, ubbidisce a me; sì che facendo la sua volontà tu sei sicuro di fare la mia.

L’ubbidienza ci comunica con Dio.

L’ubbidienza ci reca un secondo grande vantaggio: non solo ci ravvicina a Dio, ma ci fa anche comunicare con Iddio. Davide esprime una legge universale quando dice che la vita sta nel fare la volontà di Dio, e che da questa volontà nacquero tutti gli esseri. Il secreto della vita del mondo Consiste nello star dipendente dal proprio creatore, perchè tutto serve a Dio, e tutto ubbidisce alle sue ordinazioni. Senza Dio non si vive: e chi trovasse pesante il suo servizio e cercasse di eliminarlo dalla sua presenza, farebbe come colui che per liberare il corpo volesse segregarlo dall’anima. Il corpo senz’anima non resterebbe più che un misero cadavere; così succederebbe al mondo, se si allontanasse da Dio e cessasse di obbedirgli. Ora, siccome la sommissione fatale degli esseri irragionevoli ai voleri del loro autore è ciò che li fa vivere in vita loro propria, così l’ubbidienza degli esseri liberi è la rigorosa condizione della vita superiore, destinata loro dalla munificenza di Dio. Da ciò deriva che peccare vale quanto uccidersi. Chi invece, obbedisce, apre il suo essere alla vita. Lo Spirito Santo ce l’insegna in moltissimi luoghi della Sacra Scrittura. « Chiunque avrà osservato i comandamenti vivrà per questi stessi comandamenti »[319]. E altrove: «Sta unito con Dio, e siigli sottomesso, e vedrai nell’ultimo giorno quanto sarà accresciuta la tua vita »[320]. Ed ecco il perchè si può dire che l’ubbidienza è una vera comunione. Ciò che è la fede rispetto alle verità da Dio insegnateci, l’ubbidienza è rispetto alla vita da lui propostaci. Noi mangiamo divinamente quando obbediamo; poiché, scrive il Savio, i precetti di Dio, sono un convito, e chi li osserva si siede ad una mensa ove si ha per davvero una vita divina[321]. I conviti terreni sono di breve durata, questo può essere continuo, chè un cristiano, e molto più un religioso, può non cessare d’ubbidire. Questo appunto sapeva ed insegnava l’ammirabile San Vincenzo De’ Paoli quando diceva ai suoi religiosi: « Dio è una perpetua comunione per l’anima che fa la sua volontà ».

I superiori sono nostre vittime.

I superiori come tali sono altrettante vittime che si consumano a pro dei loro sudditi, come Gesù nell’eucaristia è vittima che si consuma per noi. Noi invero possiamo vedere che i nostri superiori sono le nostre vittime, essendo prima di tutto vittime di Dio. Ma colui che per l’amore degli uomini si è sacrificato e per primo immolato, colui che non temette di comperare col prezzo di parecchi milioni di martiri l’evangelizzazione universale e la conversione dei popoli alla fede, acconsentì similmente, che, per la santificazione e salute dei suoi cari religiosi, vi fosse sempre dappertutto nelle comunità una creatura sacrificata, che_ ridotta allo stato di ostia, sia data, quasi direi, in comunione agli altri. E così, a loro spese, ma non senza gran merito, i nostri superiori sono tra noi il sacramento di Dio, e si dànno essi stessi in cibo a noi. La vita eterna passa nell’anima dell’obbediente, la penetra, se la fa simile, e, direi, la deifica per quanto è possibile. Questo è il termine e il frutto di ogni vera comunione come di ogni vera obbedienza.

Ci rende quasi... impeccabili.

Ora di quali beni non sarà per noi fonte l’ubbidienza ? È .chiaro che l’ubbidienza ci fa compiere tutta la giustizia cristiana, salvando l’anima da ogni peccato. Non si pecca se non disubbidendo. Chi ubbidisce, lungi dal peccare, esercita una virtù. Una volontà docile a Dio è per necessità una volontà regolata, cioè un’anima pura ed innocente. Nell’inferno non si ubbidisce mai, perchè colà le volontà sono apertamente ferme in una radicale opposizione a Dio. Nel cielo invece si ubbidisce sempre, perchè Dio quivi regna senza contrasto e senza limiti, e perchè l’amore ornai perfetto forma tra la volontà divina e quella dei beati una perfetta armonia. Sopra la terra possiamo a talento nostro ubbidire e disubbidire; ma se ubbidiamo, se siamo fermi nell’ubbidir sempre, se soprattutto ne facciam voto, ci poniamo, per quanto è possibile quaggiù, nello stesso stato del cielo. L’ubbidiente non solo non commette peccato, ma possiamo dire che si pone quasi fuori della possibilità di commetterlo, poiché, per quanto lo comporta la miseria umana, inaridisce la sorgente del peccato nell’anima propria. Infatti, dando totalmente in balìa di Dio l’anima nostra, essa viene sottratta alle male cupidige, agli influssi perversi della carne e del sangue, alle passioni, ai capricci, alle debolezze, all’orgoglio, insomma alle potenze congiurate del mondo e del demonio. Da qual parte entrerà il male in un’anima così riparata contro tutti coloro che le possono far guerra? Noi siamo concordi nel dire che la propria volontà è il principio di tutte le nostre colpe, e, alla fine, di ogni dannazione. Ora questa propria volontà è uccisa dal voto di ubbidenza, dice San Gregorio (Moralia, lib. 25°, cap. VI). Questo voto è come il sacerdote che immola la volontà propria. Anzi fa di più che immolarla, la seppellisce, dice San Giovanni Climaco. Così il religioso rinnega praticamente tutto ciò che nella propria natura potrebbe indurlo al male; e soprattutto rinunzia a quella proprietà di se stesso, che è l’anima di ogni iniquità.

Ci fa praticare tutte le virtù.

Si capisce adunque quello che insegnano unanimi i padri ed i dottori, essere l’ubbidienza in qualche maniera la madre e la custode di tutte le altre virtù[322]. Essa sola ha il secreto di inserirle nell’anima, per mantenerle poi e farle fruttificare[323]. L’ubbidienza suppone e corona l’ordine intiero delle virtù, poiché tutte le virtù, secondo l’osservazione di San Tommaso, appunto perchè comandate da Dio si uniscono a questa: sicché, per far tutto bene e sempre bene, basta davvero ubbidire. Essa costituisce un atto eminente di religione, secondo che sta scritto: più vale l’obbedienza a Dio, che offerirgli vittime. Chi obbedisce alla legge fa con ciò a Dio molte oblazioni.

Essa ci guida alla perfezione, fomentando in noi la carità, cui l’ubbidienza è così strettamente unita, da parere che formino una cosa sola. Chi dice che conosce Dio, insegna San Giovanni, e non osserva i suoi comandamenti è bugiardo, e non è in costui la verità. Ma chi osserva la parola di lui (cioè chi obbedisce alla parola di Dio) in questi veramente è perfetta la carità di Dio (I, 10; XI, 4). E perchè? Perchè, dice San Tommaso, è proprio dell’amore fare tra coloro che si amano uno stesso volere e uno stesso non volere.

Ci rende liberi figli di Dio.

Un’obiezione mi giova scioglierti, che vari ti potrebbero fare e forse passò già per la tua mente. L’ubbidienza non contraddice alla libertà, o almeno non la restringe di molto? È questa oggidì gran questione, che diventa per molti un argomento di assalto contro la Chiesa, e specialmente contro la stato religioso. Non temere, mio buon figliuolo, l’ubbidienza non toglie la libertà, anzi la perfeziona. Senza dubbio tra il suo libero arbitrio ed il male che quaggiù può naturalmente scegliere e fare, il religioso, che fa voto di ubbidienza, scava un profondo abisso! Ma, nota bene: facendo egli atto da sovrano, e dimostrando con questo atto fino a qual punto Dio gli permette di esser signore di se stesso, egli costringe liberamente il suo arbitrio a proteggersi di per se stesso contro i traviamenti e le debolezze di cui è capace. Ed è questo un distruggere il libero arbitrio od anche solo sminuirlo? Chi non vede, al contrario, che con ciò si guarisce e si salva? Il libero arbitrio, dice San Tommaso (2, 2, quest. 114 art. 1 ad 1), non è dato all’uomo perchè gli sia lecito seguire le proprie fantasie o soddisfare tutti i suoi capricci; bensì perchè, a differenza degli esseri irragionevoli, egli non operi costretto da una necessità naturale, ma per libera elezione, procedente dall’esercizio regolare delle proprie facoltà. Il fine ultimo del libero arbitrio è dunque di procacciare all’uomo quella gloria e quella beatitudine colla quale Dio ha promesso di compensare le nostre virtù. Ed il suo fine prossimo è quello di costituirci e di mantenerci m uno stato tale la libertà, da non essere più, per quanto è possibile, nè trattenuti, nè ritardati nella nostra via verso i propri destini e per conseguenza di sottrarci a tutte le servitù che ci provengono dalle nostre cattive tendenze e dagli ostacoli esteriori. Forse l’uomo che pecca si affranca? Forse, specie dopo di aver peccato, è libero? È vero: l’atto insensato che fa, suppone e prova che è libero, come l’atto di chi si uccide suppone e prova che è vivo! Sì il suicidio è l’atto di un vivo; ma atto che piomba per sempre quel vivo nella morte. E così il peccato è atto di un essere libero, ma un atto che precipita quest’essere in un’orrenda schiavitù. Chiunque fa il peccato, dice Gesù, è servo del peccato .[324]

Il giusto al contrario, cioè l´ubbidiente, non è avvinto da queste catene. E se ne fu avvinto, le ruppe col pentimento e con la confessione. Egli è libero della libertà da Cristo a noi meritata e data, di quella santa, raggiante e giuliva libertà, che è come l’aurora di quella del cielo, e che la Scrittura chiama la libertà dei figliuoli di Dio. Ed il religioso, che va più innanzi e fa molto di più, il religioso che non la rompe solo col male che è il mondo, il religioso che nega praticamente tutto ciò che nella propria natura potrebbe indurlo al male, il religioso è molto più libere ancora del cristiano del mondo. Se costui ha piedi, quegli ha ali; se l’uno cammina per le vie diritte e piane, l’altro spicca il volo in un’atmosfera immensa, luminosa, aperta. Nessuno è come lui in grado di andar sempre e unicamente e tutto alla mèta dei suoi desideri, al centro del suo riposo. Nessuno è in diritto come lui di dire: O Signore, voi avete spezzato le mie catene, e vi sacrificherò ostia di lode . Io sono dunque libero, per quanto lo possa essere uomo che cammina sopra la terra. Mi ha liberato la verità dalle catene dei miei errori c pregiudizi. Godo di quella libertà della quale mi ha liberato Cristo. Il religioso esercita la libertà in grado tale, che vien da essa sottratto da mille impicci cui sono sottoposti i mondani, schiavi delle loro passioni; e vien messo sulla via della vera felicità. Nessuno come il religioso è in grado di andar sempre e unicamente e tutto con tutti i suoi movimenti, e con tutti i suoi atti a Dio, mèta dei suoi desideri, e centro del suo riposo. Egli è libero nelle sue operazioni, e fa quel bene che vuol fare. Invece generalmente il mondano è schiavo delle sue passioni e delle sue cattive inclinazioni. E mentre vorrebbe fare una cosa, dalle inclinazioni è portato ad altro; e non fa quel bene che vorrebbe, bensì cade in quel male che vorrebbe evitare. Tu rifletti bene a tutte queste cose, e proponiti di abbracciare con tutto il tuo cuore la santa ubbidienza. Amala come madre, tienila come guida, e come salvaguardia contro ogni pericolo, come quella che ti farà progredire in ogni virtù e ti darà quella vera libertà dei figliuoli di Dio, procurataci da Gesù benedetto colla sua incarnazione, colla sua passione e colla sua morte.

Capo XIV QUALITÀ CHE DEVE AVERE L’UBBIDIENZA

L’ubbidienza sia divina nella intenzione.

Spiegata la teoria dell’ubbidienza, i suoi pregi, ed i vantaggi che ci apporta, conviene che io venga più alla pratica, e che esponga le qualità che deve avere affinchè sia vera ubbidienza religiosa e produca quei frutti di vita eterna, che sempre arreca quando è praticata a dovere. E prima di tutto bisogna stare al fatto, che Dio comanda per mezzo dei superiori e per mezzo delle regole. Come a Dio fa adunque d’uopo ubbidire loro. Anche ogni semplice cristiano è tenuto a ciò. Servi, dice San Paolo, e voi tutti che avete dei padroni secondo la carne, ubbidite loro nella semplicità del cuor vostro, come ubbidireste a Cristo... Serviteli pensando che con questo fate la volontà di Dio, vedendo in essi non l’uomo, ma il Signore[325]. Stando il fatto che è Dio quegli die comanda per mezzo dei superiori, è d’uopo mantenersi nella disposizione di ubbidirli secondo l’estensione del diritto dato loro da Dio di comandare. L’ubbidienza deve pertanto essere divina nella sua intenzione. Il veder Dio nella persona dei superiori è un dovere certo. E bada che non si tratta qui di una pratica supererogatoria, che concorra alla perfezione dell’atto che accompagna, ma bensì di una pratica che ne interessa l’essenza. Sì: il guardare a Dio è una cosa essenziale all’obbedienza. Togli dall’obbedienza il pensiero di Dio, ed essa nonché religiosa, non è più neppur cristiana. La vita religiosa inchiude una relazione continua e perfetta della creatura con Dio; è una forza, che ci lega a Dio, come al nostro eterno principio, ed aìl’ultimo fine cui deve assiduamente tendere la nostra libertà. Come pertanto diremo essere da religioso un atto che non confina se non con l’uomo ? Adunque l’ubbidire al superiore come a Dio è un dovere certo ed indispensabile.

Motivi umani d’ubbidienza.

Ohimè! In pratica come avviene? Quanto spesso si ubbidisce ai superiori perchè sono savi, buoni, piacevoli; perchè se ne teme il biasimo o se ne brama l’approvazione: talvolta anche per un interesse più o meno mascherato d amor proprio, per ottenere da loro, se non riguardi particolari, almeno stima e predilezione! Anche supposto che non si faccia per amor proprio o per politica, è troppo manifesto che cotali sentimenti guastano tutto. Quando si parli solo dei sentimenti che possono contentare e dare una soddisfazione legittima, questi quando servono semplicemente per aiuto ad obbedire non sono cattivi, e possono anche accompagnare le opere di un buon religioso. Ma se all’occhio perspicace di Dio questi motivi fossero trovati i soli che ti spingono, se anche sono i principali, non potresti essere soddisfatto della tua ubbidienza. Lo ripeto: non avresti fatto nulla di buono, nè che sia proprio del tuo stato. San Francesco di Sales insiste molto su questo punto, e rimprovera chi ubbidisce solo per fine umano: « Voi obbedite ai vostri superiori perchè vi sentite inclinati verso di loro e perchè rispettate le loro persone. Ohimè! Non fate nulla di più che i mondani: anch’essi ubbidiscono a coloro che li amano» (Tratten., XI).

Stando così le cose, quante diminuzioni nei nostri meriti, e quante mancanze nelle nostre virtù! Ricorda sempre ciò che ti dissi già più volte, ma che si attaglia specialmente all’obbedienza. Le virtù sono abiti; gli abiti, almeno in quanto sono acquistati, non si possono mai formare se non per atti ripetuti: quale è la natura di un’azione, tale è altresì la natura dell’abito da essa formato. Se adunque quando ubbidisci segui umani allettamenti, se, invece di sottometterti a Dio perchè è Dio, cedi semplicemente all’uomo per umane ragioni, il tuo atto, che non è religioso, potrà costituire nell’anima tua un abito o una virtù religiosa? Non avrai scandalizzato i compagni; li avrai anche forse edificati, giacché dal solo esteriore proviene l’edificazione e lo scandalo. Avrai potuto anche esser gradito al superiore e averne guadagnato l’affetto; cose tutte per sè non cattive. Ma la tua obbedienza non fu obbedienza religiosa, fu obbedienza senza merito; e in fin dei conti tu non hai operato da religioso. santo vescovo di Ginevra conchiude: « Io dico che se il religioso non obbedisce da religioso, non avrà nessuna virtù, perchè l’obbedienza volontaria è ciò che lo rende principalmente religioso, essendo questa la virtù propria e particolare del suo stato ». Questo punto è adunque importante e richiede da te la massima attenzione. Procura di vedere sempre Dio nei tuoi superiori. Dio vuole che abbi cotesta fede; te ne dà incontrastabilmente la grazia, e prende una meravigliosa compiacenza nel vedere che gli corrispondi.

Perchè Dio spesso lascia difetti nei superiori.

Sai tu perchè Iddio bene spesso lascia dei difetti in quelli che comandano? Primieramente perchè istituire un superiore non vuol dire fare un miracolo; e perciò Iddio anche costituendo un superiore, non gli toglie la sua indole e le sue qualità. Poi perchè cotesti difetti riescono generalmente assai vantaggiosi a coloro che li hanno. È Dio stesso che lo attesta: la virtù si perfeziona nelle infermità[326]. La virtù vive di umiliazioni, e l’umiltà non si acquista senza l’esperienza delle proprie miserie. Queste imperfezioni specialmente quando sono notevoli, visibili a tutti, e soprattutto ostinate, sono, all’esaltazione interiore che possono produrre le cariche, un contrappeso felice, e talvolta necessario. Ma più ancora, questi difetti sono per gl’inferiori un potentissimo mezzo di perfezione. Ubbidire ad uno che vi va poco a genio, il cui naturale vi dispiace, i cui modi vi dànno ai nervi, non suppone forse maggior virtù che l’ubbidire ad una persona nella quale tutto è cortesia? Se una comunità avesse per superiore un angelo, sarebbe essa, rispetto all’ubbidienza, in grado di diventar più perfetta di quella, la quale, è diretta da un poveruomo? No: anzi nel primo caso correresti rischio di ubbidire per entusiasmo, facendoti pochi meriti; mentre nel secondo, dovendo far violenza alle tue cattive inclinazioni, se ubbidissi ti faresti maggiori meriti. E perciò dovresti considerare che se i tuoi superiori, pur conservando sempre nel loro cuore la mansuetudine e la dolcezza del Salesio, mettessero talvolta alla prova la tua ubbidienza per mezzo di comandi aspri e difficili, si vedrebbe se l’ubbidienza che loro presti è divina od umana, naturale o religiosa. Se pertanto a te capitasse che qualche superiore, o per indole sua, o anche appositamente ti trattasse con durezza, con modi aspri, con certe parzialità che ti sembrerebbero ingiustizie, e se questo durasse anche moltissimo tempo, e dovessi passare per prove sopra prove, non avresti ragione a scoraggiarti. Armati invece di fortezza, e di’ sempre: Dio dispone così, Dio vuole così, è Dio che opera così; e Dio sia benedetto.

Considerare Dio nel superiore.

Quando ti appressi a coloro che ti reggono procura d’accostumarti e parlare come se avessi Iddio avanti a te, e parla con tale riverenza e umiltà, che si veda anche all’esterno il tuo rispetto. Qui sta il nerbo dell’ubbidienza. Se tu ti figuri sempre Dio nel superiore, quanto saranno rischiarati i tuoi passi, quanto fermo il tuo procedere, quanto rapidi i tuoi progressi, quanto presto diventerà perfetta la tua ubbidienza! Come sarà fruttuosa! Ecco due che vanno successivamente a trovare il superiore, o che sono successivamente dal superiore chiamati per ricevere qualche ordine. Perchè uno se ne torna rischiarato, tranquillo, contento, ha compreso e gustato il comando o l’ammaestramento, o l´osservazione e colla luce portò con sè dalla camera del superiore l’unzione, la grazia e il coraggio? Perchè l’altro se ne ritorna vuoto, perduto d’animo, turbato e fors’anche inasprito? Considera a fondo le cose, e vedrai che uno andò dal superiore pieno di fede pensando di presentarsi a Dio e ricevere la sua parola, mentre l’altro procedette umanamente e non pensò se non all’esterno dell’uomo che gli parlava. Poniamo pur anche il caso, che davvero quelli che ti comandano e dirigono fossero impari al loro compito, non rappresentassero a sufficienza la parte di Dio, fossero nel comandarti più umani di quello che non si convenga ad un superiore. E con ciò? Non tocca a te portarne il giudizio! Il tuo dovere in ogni caso si è di non illuderti rispetto a loro, di considerare soprattutto, e non ostante tutto il loro carattere divino, di contemplare in loro Gesù, e di ubbidire loro come ubbidiresti a Dio medesimo.

Quando disubbidire?

In un caso solo dovresti e potresti ribellarti: quando ti comandassero un’azione apertamente e certamente cattiva, una cosa certamente peccaminosa. Allora vi è Dio che comanda chiaramente una cosa, ed un uomo che comanda un’azione contraria! Su questo punto non vi è dubbio: si deve ubbidire più a Dio, che non all’uomo. E se un superiore ti comandasse cosa che giudichi troppo grave per te, e superiore alle tue forze? Ecco allora quanto ti dice San Bonaventura: «Accetta con ogni mansuetudine il comando, ma senza superbia e contraddizione, senza alcuna mormorazione, senza contraddire menomamente; però con pazienza ed opportunità, manifesta al superiore le cause per cui giudichi la cosa per te impossibile. Che se tuttavia il superiore sta ancor fermo nella sua opinione. sappi certo che così è a te espediente. E, confidando nell’aiuto di Dio, sforzati quanto puoi di ubbidire. Poiché Gesù Cristo fu per noi obbediente fino alla morte e morte di croce. Chiese egli bensì al suo celeste Padre che allontanasse da lui il calice della Passione; nondimeno subito soggiunge: Non la mia, ma la tua volontà sia fatta. E si assoggettò alla passione e alla morte. Non aver paura: Iddio ti aiuterà anche avesse a fare dei miracoli; o disporrà che il superiore venga a conoscere l´impossibilità tua e cambi in seguito il comando. Mettiti volenteroso a voler ubbidire anche quando credi l’ubbidienza impossibile; e ti farai dei meriti straordinari per la vita eterna ».

Universale in estensione.

Divina nella intenzione, fa altresì d’uopo che l’ubbidienza sia universale nella estensione; che cioè il religioso si sottometta ad ogni persona rivestita dell’autorità, a tutto ciò che questa persona gli comanda legittimamente, ed in qualunque maniera glielo comandi. E prima di tutto bisogna ubbidire ad ogni persona rivestita della legittima autorità. Capisci bene: ad ogni persona; qualunque sia la sua età, sì naturale che di religione; qualunque sia altresì il suo carattere, qualunque la sua esperienza; qualunque la sua virtù, secondo che ci ammaestra lo Spirito Santo là dove fa dire per mezzo di San Pietro a tutti i fedeli: Siate soggetti ai padroni con ogni timore, non solo ai buoni e modesti, ma anche agli indiscreti[327]. Sant’Ignazio aggiunge alcune parole a questo riguardo: «In quella guisa, che non si deve obbedire ad un superiore perchè è prudente, buono, fornito di belle doti, o arricchito di doni divini; così se un superiore non ha se non uno scarso giudizio, ed una prudenza mediocre, non è questa una ragione per prestargli un’obbedienza meno perfetta. Chiunque egli sia, rappresenta colui la cui sapienza è infallibile; e Dio supplirà per voi a quanto fosse per mancare nel suo ministro».

Ubbidienza a tutti i superiori

Inoltre nelle comunità non è mai una sola persona che ha incombenza del governo. Come i superiori maggiori sono direttamente delegati dal Papa, dopo eletti nelle radunanze generali, così essi stessi delegano autorità subalterne. Il potere che risiede nei superiori più alti passa negli altri senza lasciar coloro da cui deriva; e vi passa nelle proporzioni richieste dalle dignità che furono loro conferite, o degli uffizi cui vengon deputati. Ora, in qualunque grado una persona sia a parte del potere, essa è, nella esatta misura di sì fatta partecipazione, altrettanto divinamente degna di rispetto quanto quella che lo possiede integralmente. Così si deve proporzionatamente la stessa ubbidienza all’ultimo dei delegati come a quello che delega, come a Dio stesso, principio di ogni delegazione. Su questo punto facilmente si falla. E perchè? Sempre per mancanza di fede. Obbedire al superiore della casa sembra cosa naturale e molto semplice; sembra invece che uno sia disonorato se ha da cedere a qualche altro potere, specie quando si ha da sottostare ad uno più giovane, meno anziano di religione, e tanto più quando si resta sottoposti ad uno cui prima si comandava. Chi ragiona così rassomiglia a coloro che avessero minor rispetto al crocifisso che tengono al collo perchè più piccolo, che al crocifisso che sta sopra il tabernacolo perchè più grosso. O come colui che avesse più divozione all’eucaristia quando venisse portata da un prete dotto, che se fosse portata da un prete meno dotto, oppure da un diacono, come può succedere straordinariamente, o anche da un laico come accade per necessità nei tempi di persecuzione.

Ubbidienza in tutto.

Estendendosi ad ogni persona legittimamente costituita in potere, la vera ubbidienza si estende anche a tutto ciò che coteste persone comandano legittimamente. E questa obbedienza deve estendersi a tutto, al temporale e allo spirituale, all’esterno come all’interno; agli atti di comunità come a quelli individuali, a ciò che si deve fare come a ciò che si deve omettere; a ciò che piace come a ciò che dispiace. Vi sono delle anime buone, che vogliono l’obbedienza, ma han troppo timore quando loro s’impongono o cariche onorifiche, o qualche eccezione, o riguardi speciali, sia perchè malaticci, sia per altro motivo. Alle volte si teme che un uffizio, anche imposto dall’ubbidienza sia contrario alla propria perfezione, come sarebbe quello di prefetto od economo, o quello di attendere a viaggi o ad udienze di esterni, quello di confessar certe persone, o simili. Brulicano le ragioni per provare che coteste cariche son dannose alla loro anima, e la mente ne è assediata. Bisogna capire che coteste sono tutte illusioni; se vi fossero in realtà, i superiori non comanderebbero: se comandano è segno che le difficoltà si potranno superare, e che certamente le supererà chi fa quanto sta da sè. Chi ubbidisce prega abbastanza; chi ubbidisce fa abbastanza penitenza.

Il non lavorare quando il riposo è comandato, vale fare quanto si deve; e fosse anche passar le notti in orazione, disciplinarsi, lavorare tanto da uccidersi, quando questo fosse contro l’ubbidienza approderebbe a nulla, per un’anima; sarebbe anzi di danno spirituale. Fuori della volontà di Dio significata in qualche modo dai superiori, tutto è vano come una nube, e pericoloso come un precipizio; mentre tutto quello che si fa con ubbidienza è santificato e meritorio.

Ubbidire esattamente.

Oltre al fare tutto quello che ti è regolarmente comandato, devi ancora farlo nel modo comandato; cioè nel luogo, nel tempo, nella misura, insomma, in tutte le contingenze nelle quali conviene che si faccia l’atto prescritto. Non credere che queste siano minuzie, oppure sappi che è il complesso delle minuzie che forma la cosa accetta al Signore. Quanto sono care all’amore le minuzie! Non son esse i fili dei quali si compone il tessuto della vita? Togli le minuzie, che resta della tua vita pratica? Sta adunque attento a quanto suol chiamarsi minuzia, e non disprezzare neppure le minime cose; il senso umano in molte cose ti suggerirà che quella è una sola minuzia da non badarvi: rispondi arditamente che invece è delicatezza. Sai tu quanto vale l’usar delicatezza tra gli amici? cento volte più dei grossi servizi. Essa forma il fior del cuore ed il profumo delle affezioni: da’ a Dio questo fiore; offrigli questo profumo! Sii diligente in ogni piccola cosa, ed egli ti farà sentire il gradimento che prova nel ricevere le tue delicatezze. Oh no! Il Signore non si lascia vincere in generosità! Abbi cura di tutti i tuoi atti anche minimi, specie in materia di santa modestia e di obbedienza. Gesù non fece così? Abbi sempre sotto i tuoi occhi il suo esempio, e seguilo. Egli non ritardò nulla, non anticipò nulla, non aggiunse nulla, nulla sottrasse, nulla trascurò finché la sua obbedienza nell’opera immensa affidatagli dal suo Eterno Padre non fosse compiuta. Non cessa finché, potendo vedere che la sua obbedienza era stata universale, potè esclamare: tutto è consumato: Consummatum est.

Ubbidire in qualunque modo si comandi.

Finalmente rendendo ubbidienza a tutti e in tutte le cose, rendila ancora qualunque sia la forma od il grado del comando. Senza dubbio, quando l’ordine non è formale, si può non assecondarlo senza trasgredire il voto. Quando palesando il suo volere il superiore non intende obbligare la coscienza, potresti non seguire quella cosa senza caricarti la coscienza di una disobbedienza. Ma anche là dove non vi è peccato contro il voto, vi è mancanza contro la virtù. Tu poi non devi accontentarti di non offender Dio, devi cercare di fargli piacere in ogni cosa che puoi, tendendo alla perfezione. Una volontà prudentemente presunta sia per te come una volontà desiderio del superiore è espresso, conviene che tu l’eseguisca come se fosse un vero comando. Sant’Alberto Magno dice che l’obbediente vero eseguisce come se fosse precetto, quello che crede essere secondo la volontà del superiore[328]. Questo forma la totalità della sottomissione, che, ben praticata, porrà il colmo alla perfezione della tua obbedienza. Davide diceva a se stesso: Non sarà adunque soggetta l’anima mia a Dio, mentre da lui dipende la mia salute?[329]. La mia salute dipende da lui: tutto ciò che posso desiderare e concepire di bene, ha la sua sorgente in colui che mi comanda, e che fa della mia ubbidienza la condizione della mia felicità. Non gli sarò dunque sottomesso senza riserbo e sempre? Riterrò io, per usarne a suo malgrado, qualche particella della mia volontà, qualche poco del mio giudizio, qualcosa delle mie potenze corporali? O Dio mio! Mio Salvatore! Vi sarà in me un nonnulla che non vi sia sottomesso?

Esecuzione esterna dell’ubbidienza.

Questo è quanto, specialmente in religione, ciascuno deve dire a se stesso. E per venire ai particolari: l’ubbidienza deve primieramente essere fedele, esatta, puntuale, fervente nell’esteriore, cioè nell’esercizio dell’atto comandato. Non si deve resistere, nè si deve dar luogo a ripetere un ordine. Oh! Quanto poco amore ha colui, che sentendo l’amico battere alla soglia della casa, non gli apre al primo colpo e lo costringe ad aspettare. Un superiore che ti intima un ordine, od anche ti esprime solo un desiderio, che cosa è per la fede se non l’amico che ti dice: Ecco che sto alla porta e picchio? [330]. E dice all’anima tua: Sorella mia, amica mia, sposa mia, aprimi  ? Gesù ci disse del suo cuore: « Picchia e ti sarà aperto » : sarà vero del tuo, che quando picchierà il Signore non aprirai subito? Dunque non mai queste ubbidienze contrastate o sgarbate, che fa d’uopo portar via come d’assalto col mezzo di formali precetti, o almeno contrattare con innumerevoli parole ed istanze infinite. « Quando suonerai una volta sola la tromba, disse Dio a Mosè, verranno a te i prìncipi ed i capi del popolo. Se vuoi invece mettere in moto la folla farai sentire suoni più prolungati ». Eletta schiera di Gesù, anime religiose, miei buoni confratelli: un solo suono, una sola parola ci basti! Si obbedisca al primo cenno senza timore, senza indugio, senza tiepidezza, dice mirabilmente San Benedetto; senza timore perchè Dio è con l’anima docile, e perchè forte di questa docilità l’obbediente non procede se non passando di vittoria in vittoria. Si obbedisca senza indugio, perchè la parola di Dio è veloce nel suo corso, e vuol veder correre coloro altresì che pretendono seguirla; senza tiepidezza infine, perchè obbedire a Dio equivale a fare un dono a lui. e Iddio ama chi dona con gioia (3). Nella ubbidienza non ci vogliono questioni, non esame. Non obiettar mai che devi fare su questa o quella cosa: la campana che suona, la regola che parla, il superiore che fa cenno, è Gesù che dice voler quella cosa. Che si ha da fare se non obbedire? I nostri antichi maestri, soggiunse mona. Gay, si compiacciono di paragonare i religiosi agli uccelli. Anche quando stanno in terra, gli uccelli vi stanno appena posati, in modo che al minimo rumore possono spiccare il volo. In qualunque luogo sii, qualunque cosa tu faccia, sii anche tu appena posato e non radicato in nessuna parte. La radice è un affetto sregolato alla casa, al luogo, alle persone od a quanto stai facendo.

Quanto più facilmente ubbidiresti se il tuo cuore fosse sempre in alto! Non ti rincrescerebbe neppure cambiar tutti i giorni occupazioni. Vedi i santi, un Abramo, un Samuele, un Giuseppe: essi sono pronti di notte come di giorno. Il sonno dei loro occhi, lascia il loro cuore sveglio. Dio parla, essi sono in piedi; Dio finisce di parlare,, ed essi già stanno eseguendo i suoi comandi. Ricordandosi di loro San Bernardo scrive: « Il vero obbediente non conosce gl’indugi, ha in orrore il domani, non sa che sia impedimento, previene il comando: tiene gli occhi attenti, tese le orecchie, la lingua pronta a parlare, le mani disposte a fare, i piedi liberi per muoversi: è tutto raccolto per tutta raccogliere, appena potrà, la volontà di colui che governa» (Serm. XLI). Ancora: il vero obbediente quando ha conosciuto la volontà di Dio, non solo la eseguisce sul momento, ma non la dimentica. Ogni prescrizione, ogni decisione, ogni intenzione espressa dai superiori si stampa incancellabilmente nella sua memoria, e non lo lascia credere, che, per non essere di bel nuovo ed incessantemente richiamato, un regolamento cada in disusanza.

Internet soggezione della volontà.

Dunque prima di tutto fedeltà, puntualità, prontezza nell’ubbidenza esteriore! Ma poi, e soprattutto, sommissione sincera della volontà, e adesione piena e cordialissima alla volontà che comanda! È questa l’anima dell’obbedienza e la sua vita. Dio non si ripaga con ostie morte. Se l’interno della coppa non è puro che importa l’esterno? Quando anche piegassi le ginocchia, se l’anima rimane altera qual ossequio avresti reso? Quando si dice di esser docili come uno strumento, ciò non s’intende di un’ubbidienza meccanica, ma d’una ubbidienza che ha la sua sorgente nella volontà. Lo strumento qui prima di tutto è l’anima, e la libertà deve in tal modo assoggettarla. « Ubbidite di cuore, ex animo », dice San Paolo. Ogni altra obbedienza non è degna di essere chiamata virtù. Quando adunque fai un’opera comandata, chinati avanti al superiore, àpplicati, costringiti a volerla, ad amarla, e farla solo perchè comandata. Metti la tua volontà sotto quella del superiore, come il cavallo è sotto il cavaliere che lo cavalca e lo guida. Rendi attaccato il tuo cuore al precetto, come si attacca la barca alla nave che la rimorchia. Sii lealmente, profondamente, totalmente dipendente, ricevendo dall’autorità ogni tuo movimento, come Gesù riceveva il suo dal Padre. Se l’opera comandata ti torna a diletto, bada bene, dice San Gregorio, di non lasciarti trascinare da essa solo dall’allettamento. Opera per virtù, non mai per sola inclinazione, o solo per uso. Che se l´opera ingiunta ti riesce faticosa, sostienila energicamente. Là dove si tratta di soffrire, la tua ubbidienza abbia la gloria di perfezionarsi fino ad amar quella pena, che sarebbe sufficiente accettare con pazienza. E là dove Dio prescrive ciò che può solleticare il tuo amor proprio, la tua indifferenza ti faccia dominare il piacere, e lasci alla tua ubbidienza tutto il suo merito, e tutta la sua purezza. Temi qui per altro una facile ed assai frequente illusione. Voglio dire quella in cui uno cade, quando per via di sagaci osservazioni, di sofismi più o meno coloriti, di lamenti, di preghiere, o di qualche altra industria, induce i superiori a comandare, od a consigliare ciò che esso desidera. È questo un rovesciare tutto l’ordine, falsare l’obbedienza, e renderla per lo meno sterile. Ascolta l’ammaestramento di San Bernardo: « Se, desiderando una cosa, secretamente o apertamente vi date attorno perchè vi sia comandata, non sperate di ubbidire in questo: non fate che sedurvi. Chi governa in questo non è più il vostro superiore, siete voi ».

Soggezione del giudizio.

Finalmente: quando Iddio formulò il suo gran precetto, la perfezione, la pienezza della sua legge, disse: « Tu amerai il Signore Dio tuo, con tutta l’anima tua, con tutto il tuo cuore, e con tutta la mente tua ». Hai visto come amare Iddio, per un religioso, praticamente vuol dire ubbidirgli. L’amore è un fuoco, l’ubbidienza ne è la fiamma; l’uno non va senza l’altra. Dio adunque dice in modo equivalente: « Tu ubbidirai con tutta l’anima tua, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua mente ». L’ubbidire con tutta l’anima, o, come sta scritto altrove, con tutte le forze, equivale ad eseguire prontamente, valorosamente e costantemente ciò che è comandato. L’ubbidire con tutto il cuore, equivale a sottomettere la propria volontà alla volontà di colui che comanda. L’ubbidire con tutta la mente, equivale manifestamente a far cedere il proprio giudizio a quello del proprio superiore, ubbidire cioè con umiltà. E infatti questo è il punto culminante della ubbidienza. Tutti in religione sono tenuti ad obbedire fino a questo punto, e sì fatto obbligo è essenziale. Se vien meno l’ubbidienza del giudizio, addio perfetta ubbidienza, addio semplicità, addio umiltà, addio coraggio e forza, addio insomma tutto il vigore, tutta l’efficacia, tutta la dignità di questa grande virtù. O noi mentiamo alla nostra professione o siamo veri olocausti, cioè dobbiamo tutta per intero consumare la nostra vita pel Signore. Ora chi pretende d’immolarsi a Dio per intero deve necessariamente consacrargli non solo la propria volontà, ma ancora il proprio intelletto, sì che non abbia più coi superiori che un solo e medesimo vedere, come non ha con loro se non un solo e medesimo volere. Senza dubbio non si tratta qui della prima estimazione, che la mente fa delle cose al momento stesso che le vede! Questa è piuttosto un’impressione che un atto. In ogni caso non è un atto abbastanza libero per cadere sotto la legge. Si tratta di un’estimazione considerata, volontaria e definitiva, in una parola di un giudizio. Ora ti dico, che, eccettuato il caso, su per giù chimerico, di un errore manifesto contro la fede o di un comando immorale, l’inferiore deve sempre giudicare che il superiore ha ragione e che la cosa che comanda è buona. Chi persiste nel voler disapprovare il superiore, ascolti le parole di San Paolo: « Se alcuno tra di voi si tien per sapiente secondo questo secolo, diventi stolto, affine di essere sapiente davvero ».[331] E primieramente, se sei nella verità, e non sei in essa se non a patto di esser umile, diffiderai molto del tuo proprio giudizio. Esso è debole, limitato, e mille passioncelle mal regolate gettano frequentemente, senza che tu lo sappia, delle ombre nella tua mente, per quanto sii tu perspicace. Non appoggiarti sulla tua prudenza, dice il Savio [332](1). Cotesta lezione è per tutti. Inoltre avessi pure il vedere altrettanto sicuro quanto ti sembra, ciò non ostante essendo inferiore, non sei in posizione da poter giudicare; cliè dall’alto e con visioni unite si possono più rettamente stimare le cose. Così le giudicano i tuoi superiori. Essi possono avere per abbracciare questo o quel- l´altro partito, venti motivi d’interesse generale, che per forza a te rimangon nascosti. Aggiungi che, di solito, essi hanno maggior sapienza e maggior esperienza. E se l’apostolo vuole che ciascun cristiano stimi i suoi fratelli a lui superiori, sino a qual punto si dovrà estendere il dovere di rispetto ai superiori di ufficio? Considera infine le grazie speciali da Dio loro accordate per governare, grazie che sono prima di tutto lumi, e che mancano a te, essendo unite alle cariche, e dette grazia dello stato. Quante ragioni accumulate onde persuaderti, che in ogni occasione i tuoi superiori abbiano davvero ragione, e per obbligarti quindi nel caso di un dissenso a preferire al tuo il loro giudizio! Bada che lo Spirito Santo ci dice, in modo che sembra assoluto: Non giudicare contro il giudice, per chè egli giudica secondo la giustizia.[333]

I superiori possono sbagliare.

Ma, finalmente, potrebbe ancora obiettare qualcuno contro questa sottomissione del proprio giudizio al superiore: anche i superiori possono sbagliare, anzi non sono infallibili! E posto che essi possano ingannarsi, anch’io posso vedere che s’ingannano. E se davvero lo vedo, come costringere la mia mente a trovare assennatezza in un ordine insensato? Ed io ti risponderei prima di tutto: dove sono le anime semplici ed ingenue, che formano la delizia del cuor di Gesù? dove sono i discepoli del presepio, i perfetti obbedienti che strappano le grazie al Signore, e formano la delizia degli angeli? Ma ancora una volta voglio accondiscendere a parlarti ragionatamente. Tu, non ostante il tuo buon volere, non ostante i tuoi sforzi, non puoi non vedere che quel tal comando che ti viene intimato non è ragionevole. Ebbene: ciò non ostante, eseguiscilo. Ciascuno è padrone dei suoi movimenti: sforza il tuo corpo ad ubbidire. Poscia conforma la tua volontà a quella del superiore; anche questo lo puoi certamente, purché lo voglia; poiché (qualunque cosa dica la mente) si vuole efficacemente ciò che si vuole. Infine, poiché la tua mente non può trattenersi dal giudicare qui qualche cosa, lasciando che l’ordine resti qual è, giudica che praticamente la miglior cosa per te, la più ragionevole perchè la sola conforme allo spirito e agli impegni del tuo stato religioso, è l’ubbidire anche là dove il comando non sembrasse ragionevole. « Al superiore il discernimento, all’inferiore l’ubbidienza », diceva San Bernardo. Dio domanderà all’uno come abbia governato, all’altro come si sia lasciato condurre. Una volta formato questo pratico giudizio, attienti ad esso assolutamente, e per tema di formarne un altro viètati di pensare alla natura dell’atto comandato. E se ritorna, come può avvenire, lotta contro di esso come si lotta contro una tentazione, nè deporre le armi finché non l’abbia compiutamente vinta. Bada che in questi casi così eccezionali, in cui non puoi persuadere la tua mente che il superiore abbia comandato giustamente, non ti dico di veder bianco ciò che vedi nero, o anche solo di sforzarti di veder bianco; ma ti dico schietto: non guardare. Per questo non si richiedono poi sforzi straordinari; si può fare da chiunque! Segui pertanto questa regola, nè dipartirtene mai; e in questo modo praticherai l’ubbidienza di giudizio anche in questi casi più rari e straordinari. E così la tua mente sarà sacrificata a Dio come il tuo cuore, e non mancherà nulla di essenziale al vero olocausto, che offrirai di te medesimo al Signore, per il bene proprio e pel bene altrui.

L’incomparabile Sant’Ignazio di Antiochia • scriveva al popolo di Efeso: «Siate premurosi di obbedire al vescovo. Uniti e d’accordo con lui sarete uniti e d’accordo coi vostri illustri sacerdoti, davvero degni di Dio. Tutti insieme sarete corde attaccate ad una lira. Entrate tutti in così fatta armonia, affinchè legati e d’accordo in quest’unità, che è la musica di Dio, non abbiate tutti se non una voce per cantare al Padre celeste il santo inno di cui Gesù è il corifeo. Il Padre vi sentirà, e giudicandovi sopra le vostre opere buone, vi riconoscerà come i veri membri del Figliuol suo ». Mio buon giovane, cui ho parlato finora della cara virtù dell’ubbidienza; se con fortezza e costanza sarai attaccato alla tua regola, sottomesso ai tuoi superiori e unito in co- testa sottomissione ai tuoi confratelli, riuscirai a formare una musica magnifica avanti all’Altissimo, e Dio metterà necessariamente in te le sue compiacenze, perchè gli fai sentire sulla terra l’armonia che sente in cielo.

CAPO XV LA PRATICA DELL’UBBIDIENZA

Rendere libero il superiore.

Ma veniamo sempre più alla pratica. Saputo che l’ubbidienza consiste nel sottomettere la propria volontà alla volontà di un altro, sforzati di renderti sempre flessibile ai voleri dei superiori, trattabile sotto ogni aspetto e non mai difficile od importuno nel domandare che ti siano concesse eccezioni. Abbandonati totalmente e senza alcuna riserva od eccezione al superiore; e sii sotto la sua potestà, in modo tale, che egli possa con tutta libertà comandarti o proibirti schietto e franco: fa questo, fa quello; e non sia necessario usar raggiri di parole, ovvero aspettare il tempo opportuno per comandarti le cose che sogliono esser gravi e noiose, e vietarti le grate e dilettevoli. Ch’egli possa in ogni luogo e in ogni tempo comandare liberamente, con una parola o cenno, quello che crederà meglio nel Signore. E tu ubbidiscigli prontamente e con allegrezza, e non con difficoltà e malavoglia, affinchè anche i superiori, come dice San Paolo, possano comandare con gaudio e non con gemiti.[334]

Morte della propria volontà.

Un buon autore, parlando dell’ubbidienza a cui deve assuefarsi il novizio, porta questo paragone: Ricordatevi quando eravate piccini, e v’insegnavano a scrivere. Yi dicevano di lasciarvi guidare la mano, senza seguire altro movimento che quello che le si dava dalla mano del maestro, per abituarla a formar bene le lettere. Senza questo, voi lo sapevate bene, non avreste fatto altro che scarabocchiare sulla carta. Ebbene, per formarvi ad essere buon religioso vi si dice a un di presso la medesima cosa. Applicando il detto alla volontà, rendetela morta, e non abbiate più che quella del vostro superiore. Senza questo la vostra virtù non sarà altro che una specie di sgorbio spirituale. Astienti soprattutto da ogni sorta di lamento o mormorazione anche solo in te stesso, e da qualunque benché minimo sospetto riguardo ai propri superiori. Non vi è cosa che più possa ritardare, per non dire del tutto impedire, il tuo progresso nella vita spirituale quanto questa mormorazione. Essa sola basta per spogliarti e privarti di tutto quello, che con le tue fatiche e stenti già ti sei acquistato.

Tre gradi dell’ubbidienza.

Usa ogni industria per praticare i tre gradi che all’obbedienza assegnano San Bernardo e Sant’Ignazio. Il primo consiste nell’eseguir sempre subito, ed in ogni cosa la volontà del superiore. Il secondo nel cercar di volere tutto ciò che il superiore vuole, cioè l’ubbidienza sia fatta così spontaneamente come se veramente fossi tu che volessi ciò che la regola ordina e ciò che il superiore stabilisce. Il terzo nel saper entrare nel pensiero del superiore, vedere con gli occhi del superiore; sottomettere cioè il proprio intelletto, persuadendoti che ciò che è ordinato dalla regola o dal superiore, ed il modo con cui è ordinato, è proprio la cosa che deve sempre ordinarsi ed il modo con cui va ordinata. Cerca di aver sempre una perfettissima conformità ed armonia con la volontà e le disposizioni del maestro, del direttore e degli altri superiori; in modo tale, che sii persuaso esser gran male il fare o lasciare alcuna cosa benché minima, proibita o comandata, o anche solo che sia contro il tacito consenso, volere o desiderio del superiore, o contro il suo modo di vedere.

Come la regola vuole la nostra ubbidienza.

Tutte queste cose sono come ricapitolate nell’articolo 44 del capo quinto delle nostre costituzioni, dove si assegnano le qualità dell’ubbidienza. Poiché quivi è detto: ognuno obbedisca al proprio superiore, considerandolo in ogni cosa qual padre amantissimo, e obbedendogli senza riserva alcuna, prontamente, con animo ilare e con umiltà; persuaso che nella cosa comandata gli è manifestata la stessa volontà di Dio. Qui pertanto, posto l’ammaestramento di considerare il superiore come padre amantissimo, son notate le quattro qualità della ubbidienza: 1° senza riserva alcuna, cioè l’universalità dell’ubbidienzu; 2° prontamente, cioè la puntualità della medesima; 3° con animo ilare, cioè la spontaneità, o il far le cose tutte volentieri; 4° con umiltà, cioè la cecità dell’ubbidienza, assoggettando non solo la volontà, ma anche l’intelletto, ossia il proprio giudizio, al parere del superiore. Finché si ragiona se la cosa comandata è più o meno buona, e le circostanze volute sono più o meno opportune, non vi è mai ubbidienza vera. E infatti in conclusione si cerca di sottomettere il parere del superiore al nostro, mentre l’ubbidienza vuole che si sottometta il nostro a quello del superiore. E tutte queste qualità sono poggiate sul punto soprannaturale, necessario, assoluto, che cioè dobbiamo ubbidire persuasi che nella cosa comandata è manifestata la stessa volontà di Dio. Senza questa soprannaturalità dell’ubbidienza, noi pur ubbidendo non eserciteremmo che un atto umano, il quale sarebbe al tutto destituito di merito, mentre poggiando sul principio soprannaturale riesce un atto grandemente meritorio avanti a Dio.

Le eccezioni e i permessi.

È della perfezione dell’ubbidienza, il procurare di non domandar mai delle eccezioni o dei permessi speciali senza vera e chiara necessità. E quando questa necessità è reale, non domandarli mai a mezzo di parole coperte, in termini oscuri, come se avessi paura d’essere compreso. Non ritornar mai alla carica con importunità in modo di strappare, come si dice, un permesso che non ti si vorrebbe accordare. Nè dar ad un permesso accordato più estensione che non ne abbia realmente: nè per il tempo, nè per il luogo, nè per le circostanze. Ogni volta che credi opportuno domandare un permesso, mettiti prima nella disposizione di ricevere con calma un rifiuto. Compi poi scrupolosamente, ma senza inquietudine, e con quello spirito affettuoso che non cerca altro che di piacere a Dio, ciò che ti viene accordato.

Rendersi abili ai ministeri nostri.

È parte dell’ubbidienza il renderti abile ai vari ministeri della Pia Società cui appartieni: imparare volentieri quanto concerne il metodo di educazione dei giovani; renderti abile a fare catechismi, a lavorare negli oratori, far bene le assistenze, insegnar bene le scienze, le arti ed i mestieri. Studia anche assai e renditi abile a subire gli esami pubblici, per procurarti qualche titolo d’insegnamento. Impara le lingue e acquista molte cognizioni, le quali possano poi servirti a far maggior bene. San Giovanni Berchmans era fiammingo, e non sapeva nulla di francese quando entrò nel noviziato. Conosciuto che la lingua francese gli sarebbe stata utile per far poi maggior bene, non esitò un momento a rinunziare all’attaccamento naturale che si ha alla propria lingua. Non lasciò passar giorno senza studiare un po’ di francese, e fare traduzioni in quella lingua. E appena potè, la parlò nelle varie ricreazioni e tempi opportuni. E questo, diceva egli, lo faceva molto volentieri, sempre con il pensiero che quello era secondo obbedienza, e che con quello diveniva più abile ai ministeri della Compagnia, e perchè neppure un’anima avesse poi ad avere qualche scapito dalla sua ignoranza d’una tal lingua. Procura anche tu di far così; non tralasciar nulla che possa renderti utile alla Società.

E se ne sei in occasione o puoi procurartela, impara varie scienze e varie lingue, e vedi di impararle bene. I vari missionari assicurano che si può fare un bene molto più grande, se s’impara la lingua del paese adottivo tanto bene che quei del luogo quasi non possano accorgersi esser noi forestieri. E Don Bosco ebbe a ripetere, per animarci a studiare varie lingue, che uno vale tanti uomini quante lingue sa. Se tu pertanto hai comodità, per esempio nelle vacanze, di poter imparare qualche nuova lingua, od hai comodità d’impararne avendo a trattare con compagni d’altre nazioni che possono istruirtene con facilità, dimostreresti poco zelo, poco amore alla nostra Pia Società, ed anche poco spirito di obbedienza, se, incoraggiato a questo dai superiori, te ne mostrassi ritroso.

Lasciarsi guidare come i bambini.

È ancora della perfezione dell’obbedienza il vedere talmente Iddio nei superiori, e il rinnegare talmente ogni tuo giudizio per stare al giudizio dei superiori, che non ti permetta di fare alcun disegno sopra te stesso per le occupazioni della vita futura. Lasciati guidare come piace a loro, e lascia ai superiori la libera disposizione di te, lasciandoti guidare come fossi un bambino d’un sol giorno. Non ti è vietato il far conoscere le tue abilità e le tue propensioni naturali, ma è anche più perfetto il credere che i superiori le studino senza che te ne accorga neppure, e che sappiano quali sono le tue abilità e disposizioni. San Francesco di Sales ripetè più volte, che egli aveva già pochi voleri e pochi desideri, e che anche in questi era poco tenace; ma che se avesse avuto a nascere un’altra volta, si sarebbe lasciato portare talmente dalla Divina Provvidenza, come se non avesse neppure un desiderio o inclinazione propria. Il Cireneo aiutò Gesù Cristo a portare la croce; ma se tu ti abbandoni completamente alla Divina Provvidenza, Gesù medesimo farà da Cireneo a te, e ti aiuterà a portare la tua. Per riuscire a questo, non hai che a figurarti sempre di vedere nella persona del superiore la persona stessa di Dio; nella volontà sua espressa la volontà stessa di Dio; e così ubbidire, quasi direi, con divozione, pensando direttamente che con quell’atto fai un atto di ossequio a Dio, più caro ancora che qualunque preghiera e qualunque sacrificio. Così non solo ubbidirai volentieri, ma ancora con avidità ed allegrezza e gaudio spirituale, desideroso persino che comandi ripugnanti alla natura nostra- vengano con frequenza, per avere frequenti occasioni di farti dei preziosi meriti pel paradiso. E questa ubbidienza sia anche altrettanto perfetta per quanto riguarda la tua direzione interna. Gli scrupoli e le meticolosità sono per lo più conseguenza e castigo del non acquietarsi con perfezione alla volontà di Dio espressa per mezzo dei superiori. Chi si persuade praticamente che il superiore è Dio medesimo, supererà facilmente ogni scrupolo, e acquisterà questa ubbidienza perfettissima. Andrà alla santa Comunione o la lascerà, secondo che gli indica il confessore, senza insistenza. Starà tranquillo nelle confessioni passate o presenti, quando il confessore dice di star tranquillo. Non sofisticherà nel credere che vi sia il vero consentimento o non vi sia, riguardo ai pensieri cattivi; che vi sia o non vi sia sufficiente dolore o proponimento, quando il confessore dice di star tranquillo; nè temerà della integrità della confessione o di far sacrilegio andando alla comunione. Tutto questo, dico, è vinto dalla perfetta ubbidienza. Mentre invece se qualcuno comincia ad impappinarsi su questi pensieri, e non è ubbidientissimo al superiore come a Dio, egli finirà per guastarsi la testa, e non più rendersi atto nè per sè nè per gli altri, e Dio non voglia che venga a perdere la vocazione e persin la fede, come avviene alle volte agli scrupolosi.

Fiducia nell’ubbidienza.

Non esser pusillanime nell’obbedienza, temendo di fare quello che ti è comandato, credendo che ecceda le tue forze, o ti sia pericoloso al corpo o all’anima. Al perfetto ubbidiente appartiene di fare ogni sforzo per ubbidire, anche nelle cose che sembrano impossibili quando gli fossero comandate. La divina bontà si compiace grandemente di quegli sforzi, perchè indicano un grandissimo e giocondissimo sacrifizio. Essa poi molte volte aiuta in modo, che quello die per sua natura sarebbe stato impossibile, diviene possibile. Così il divino aiuto, confermando l’ubbidiente con una certa forza celeste, rimuove ogni pericolo secondo che definisce il sacrosanto Concilio di Trento, il quale asserisce che Dio non comanda le cose impossibili; che perciò quando comanda vuole si faccia ciò clic si può, che si domandi ciò che non si può, ed Egli aiuta perchè si possa.[335]

Ubbidire nelle cose inutili.

Bisogna che ti assuefaccia persino a ubbidire non solo nelle cose che si conoscono utili e ragionevoli, ma anche in quelle che del tutto paiono inutili ed inconvenienti purché non siano peccati manifesti. Il merito e l’eccellenza della obbedienza, non consistono nell’utilità e grandezza della cosa che si fa dall’ubbidiente, ma nella sommissione dell’intelletto e del cuore. E questa umiliazione si esercita molto meglio quando si ubbidisce nelle cose ripugnanti, o che sembrano irragionevoli, che non nelle altre. Dobbiamo seguire l’esempio di Gesù, che fu obbediente fino alla morte e morte di croce, e aveva detto poco prima di essere catturato: voi fate come ho fatto io . [336]

Rompere la propria volontà.

In una parola: sforzati con ogni tuo potere a raffrenare e rompere la tua volontà, in tal maniera, che a guisa di cavallo ben domato possa ad un minimo cenno dell’ubbidienza correre dovunque sia guidato, pieghi facilmente in qualunque parte, e possa arrivare fino al punto che non compaia neppure qual sia il desiderio tuo, o qual cosa non desidereresti; ma l’unico desiderio sia fare la volontà di Dio, espressa nella volontà del superiore. Riduciti in modo da poter dire continuamente come Samuele: Parlate, o Signore, il vostro servo vi ascolta. E con Saulo, ormai convertito in San Paolo: Che cosa volete da me, o Signore? Procura d’arrivare al punto, da non aver a rallegrarti, ma piuttosto a contristarti, quando il superiore asseconda la tua volontà, e studiati di fare tutte le cose secondo il volere altrui. Impara a non mai fermarti a ragionare sul motivo, suH’opportunità, sulla natura del comando che ti vien fatto. Se non vedi lo scopo che si propone chi ti comanda, che importa? Tu non devi che accettare ed operare. È vero: la perfetta sommissione della volontà costa fatica e sacrifizi! Si videro uomini pronti a far grandi penitenze corporali, a far lavori al tutto superiori alle loro forze, fino a rovinarsi la salute: e tuttavia non saper assoggettare abbastanza a Dio, perciò ai suoi rappresentanti, la propria volontà. Umiliati avanti a Dio, e Dio non si lascerà vincere in generosità. Per ogni sforzo che tu farai, egli ti donerà tesori di grazie e gaudi imperituri.

Utili riflessioni sull’ubbidienza.

Eccoti ancora alcune semplici riflessioni sulla ubbidienza. Se Gesù Cristo si rendesse a te visibile e ti parlasse, al primo suono della sua voce non lasceresti tu ciò che ti occupa attualmente, per quanto urgente ed utile ti sembrasse? Aspetteresti tu, ad ubbidire, che ti parlasse chiaramente; e dal momento che ne’ suoi occhi o da qualche segno potessi indovinare la sua intenzione, esigeresti che si spiegasse meglio? Se Gesù Cristo si rendesse a te visibile, metteresti differenza tra le grandi e le piccole cose che ti ordinasse? Oseresti dirgli: Questo è troppo difficile, mi costa troppa pena, arrischierei la mia salute? Oseresti anche solo fermati a pensare tra te e te: Egli esige troppo da me: ad altri non comanda cose così difficili? Se Gesù Cristo si rendesse a te visibile lo annoieresti per farlo venire del tuo parere, o non cercheresti piuttosto subito di abbracciare il parer suo? Insisteresti presso di lui finché ti avesse cambiato di casa o di occupazione, o non ti avesse collocato con un altro superiore, o con altri compagni, in altra aria od in altre circostanze? O ti lamenteresti finché non ti avesse collocato ad arbitrio della tua volontà o del tuo gusto, o non ti avesse dato quel che reclama la tua suscettibilità piuttosto che la tua necessità? Cercheresti di guadagnarlo alla tua causa a forza di ragionamenti, o a forza di gentilezze fatte per una specie d’ipocrisia? Se Gesù Cristo ti si rendesse visibile, mormoreresti contro i suoi ordini quando tu non ne vedessi perfettamente la giustizia e l’opportunità? Faresti difficoltà nel credere che egli potesse avevere delle ragioni migliori delle tue, quantunque tu non le comprendessi? Non penseresti piuttosto che tutto ciò ch’egli comanda è santo, è buono, è utile, e che tu devi sempre e in tutto ubbidirgli? Non saresti felice di essere sotto i suoi ordini, ed essere scelto da lui per eseguire i suoi voleri? Ebbene! Tu lo sai che è Gesù Cristo che ti comanda quando ti comandano i superiori; che è a Gesù Cristo che si ubbidisce quando si ubbidisce ai superiori. Oh come a questo pensiero ben compreso, cesserebbe ogni pena nell’ubbidienza, ogni ripugnanza, ogni tiepidezza! Mio Dio, aiutatemi a comprenderlo, ad amar sempre l’ubbidienza, ed a lasciarmi guidare sempre da essa!

Motivi d’ubbidienza.

E perchè dobbiamo obbedire? Per quattro motivi principali: — 1) Per l’eccellenza di questa virtù. Essa sorpassa tutti i sacrifici che si potrebbero offerire a Dio, perchè la nostra volontà che gli si sottomette è qualche cosa di più grande e di più perfetto, che tutte le vittime del mondo. È lo Spirito Santo che ci fa notare appositamente che avendo Saulle riservato i migliori animali per offrirli a Dio. contro il comando che ne aveva ricevuto, Iddio ne fu sdegnato e gli fece dire per mezzo di Samuele, che il non obbedire era come un apostatare da Dio; e che l’ubbidienza valeva meglio che tutte quelle vittime. — 2) Per i meriti maggiori che fa acquistare all’ubbi- diente; poiché essa dà molto valore a tutte le azioni della giornata. Anche le più piccole pratiche fatte per ubbidienza, fanno acquistare maggior merito, che se si facessero anche grandi cose, senza l’appoggio dell’ubbidienza. Per esempio, il piccolo digiuno del venerdì, che da noi si fa per obbedienza, essendoci imposto dalla regola, è più meritorio che grandi digiuni fatti spontaneamente. — 3) Per la sicurezza che dà questa virtù di fare in tutto la santa volontà di Dio. Chi ubbidisce è sicuro di non ingannarsi mai dinanzi a Dio. e di fare una cosa molto gradita a questo nostro sovrano maestro.

Invero Dio disse ai superiori: Voi siete dèi. Ed altrove: Chi ascolta voi ascolta me. Ed altrove ancora: Obbedite ai superiori vostri e state loro soggetti. — 4) Per seguire l’esempio di Gesù Cristo. Egli fece come suo cibo della obbedienza, e dal principio alla fine della sua vita stette sotto l’ubbidienza. E dopo d’essere stato sempre così ubbidiente, c’ingiunge d’imitarlo: come ho fatto io così dovete fare anche voi. Imitiamo adunque Gesù: ubbidiamo sempre, facciamo anche noi nostro cibo la volontà dei superiori, e tutto ci riuscirà a vantaggio immenso dell’anima nostra.

Ciò che dice San Bonaventura della ubbidienza.

Giova ancora ascoltare San Bonaventura, che riepiloga, si può dire, le cose fin qui scritte, e le riconferma. « La prova della volontà soggetta ed obbediente, dice il Santo, consiste in due cose: sommessamente fare le cose che sono da farsi, e in queste cose ordinarie che sono da farsi pensare a farle per ubbidienza. La grandezza del merito presso Dio nel fare l’ubbidienza, dipende dallo spirito con cui si eseguiscono le cose comandate. Tutto quello che comanda il superiore, si deve del tutto accettare, ed eseguire come se fosse comandato da Dio stesso. Niuna cosa ci procura maggior merito avanti a Dio, perchè niuna cosa gli è più gradita del dono della santa ubbidienza. Nè alcuno si trova così pronto, libero e spedito nel correre velocemente pel sentiero della cristiana perfezione, come il vero ubbidiente. Per la qual cosa se vuoi esser dedicato a far sempre il volere di Dio, bisogna che ti assoggetti per suo amore alla volontà del superiore, e che perciò totalmente ti doni all’obbedienza. Anzi il perfetto obbediente non aspetta mai la parola od il comando, quando sa quale sia la volontà del superiore. E questo reputo essere l’ottimo grado dell’ubbidienza, quando il suddito accetta ed eseguisce l’opera a sè commessa, con lo stesso animo e desiderio col quale dal superiore gli vien comandata. E così dalla volontà di colui che comanda, dipende l’intenzione di chi eseguisce il comandamento. Pertanto « il vero obbediente, prosegue San Bonaventura, non deve presumere di giudicare l’opinione o la determinazione dei superiori.

Il suo ufficio è di obbedire e mandare in esecuzione quanto è comandato, come ad essi superiori si appartiene il comandare. Se tu pertanto vuoi fare gran profitto in questa virtù, conviene che tra te stesso, con costante deliberazione, proponga di voler sempre ed in ogni cosa divotamente obbedire ». Senza l´ubbidienza nemmanco le opere buone sono buone, secondo che insegna San Bernardo. Questi scrivendo sul cantico di Salomone, dice: Certo è un gran male la propria volontà, per cagione della quale avviene, che i beni che tu fai non siano buoni. Poiché dice il Signore che se nel giorno del tuo digiuno si trova la tua volontà, tal digiuno non è grato a Dio. Pertanto i nuovi discepoli di Gesù Crocifisso in tutte le cose che sono per fare, cioè nelle opere, nelle parole, nei desideri, nell’uso di qualunque cosa, debbono attendere, desiderare e seguire la disposizione ed il beneplacito dei superiori, e non la propria volontà. E non solamente devono i veri ubbidienti ubbidire ai superiori maggiori, ma anche a tutti quelli che hanno qualunque benché minimo grado di superiorità, e perfino agli eguali ed inferiori a sé; non stimando nessun altro minore di sé, ma piuttosto maggiore e superiore. Perciò conviene che, sull’esempio di San Paolo apostolo, ti faccia servo volontario di tutti; e, che così tutti siano scambievolmente (come è scritto dal medesimo Apostolo) soggetti l’uno all’altro nel timore di Cristo. E conchiude San Bonaventura, e con questo chiudo anch’io questo capitolo: «Tutto ciò che il religioso fa o dice di bene conforme a quanto desidera il suo superiore, non è defraudato dal inerito della vera ubbidienza. Questa è tanto più meritoria e grata a Dio, quanto è più volontaria e libera, e parte da un cuor magnanimo, leale ed allegro, il quale ha già donato e spesse volte ridona tutto se stesso, per amore al suo fedelissimo amatore Gesù Crocifisso; e per lui si sottomette a’ suoi ministri in terra, e ad ogni creatura. E ben felice e più che avventurata è tale sommes- sione e tal servitù, anzi gloriosa libertà. Per essa il religioso, vendutosi e dedicatosi ad una reale servitù, determinando che Iddio ed i suoi vicari piuttosto che se stesso regnino sopra di sé, rifiuta totalmente e sprezza la sua propria volontà, come quella che già sempre lo ha ingannato e inclinato al male, e condotto molte volte nella servitù di Satana ».

Capo XVI DELLA DISCIPLINA RELIGIOSA E DELLA INDISCIPLINATEZZA

A compire questa trattazione dell’obbedienza, bisogna parlare anche dell’ordine, ossia regolarità esteriore che è da aversi in ogni comunità ben ordinata, cioè della disciplina. A molti può sembrare che la disciplina e la regolarità esteriore sia una virtù piccola. Ma in realtà come l’indisciplina al religioso è sorgente di grande discapito, così la disciplinatezza è d’indicibile vantaggio, e deve tenersi dal religioso in gran conto. Tu pertanto proponiti seriamente, ora che sei giovane, di aborrire l’indisciplinatezza cagione di molti disordini, e di abbracciare con slancio di cuore la vera disciplina religiosa apportatrice d’edificazione e d’ogni bene.

Importanza dell’ordine esteriore.

L’ordine è necessario in ogni cosa, in ogni tempo, in ogni luogo. Quando l’ordine naturale dell’universo fosse violato, verrebbe la fine della creazione, il caos. Così quando quest’ordine venisse violato nelle cose morali, ne verrebbe lo sfacelo della società, delle congregazioni, dell’umanità. Come l’ordine è quello che rende forte ed invincibile un esercito, così è quello che rende salda e potente la Chiesa, fiorente e tranquilla una congregazione religiosa. Finché la nostra Pia Società sarà ordinata, ed i suoi membri ben disciplinati, essa prospererà. Dal momento che entrasse in noi l’indisciplinatezza, essa andrebbe in sfacelo. Vedi tu pertanto di quanta importanza sia questo argomento di cui ti parlo, e applicati con tutte le tue forze a fuggire l’indisciplinatezza, e ad acquistare sia l’interiore che l´esteriore spirito di ordine e di disciplina.

Che cosa è la disciplina.

Secondo la bella definizione di San Cipriano la disciplina, considerata nel suo primo e generale significato, è: « L’ordinata correzione dei costumi, e l’osservanza delle regole lasciateci in eredità dai nostri maggiori ». In pratica si prende per l’esecuzione delle norme direttrici della vita esterna di comunità, e formatrici del carattere di uomo, di cristiano perfetto, di osservante religioso. La parola disciplina include sempre l’idea di ordine, e si può dire che della parola ordine sia sinonima. Infatti la disciplina non può essere quale si conviene se non è ordinata, nè l’ordine può essere tale veramente se non è disciplinato. Può anche tenersi la disciplina per la grande maestra del vivere sociale, che, quale rispettata e potente regina, deve reggere ogni istituto religioso. La disciplina adunque riguarda tutto l’esteriore portamento del religioso, e ne forma il suo migliore ornamento.

Necessità della disciplina.

I mondani non possono vedere le virtù interne dei religiosi, fossero pur esse esimie e praticate in modo eminente. Essi non vedono se non quanto compare all’esterno, e perciò ne ammirano la concordia, la regolarità, l´ordine esteriore. E sarebbero assai scandalizzati se scorgessero nel religioso o nella comunità discordia, disordine, indisciplinatezza. È pertanto ben importante, che l’esterno, sia dell’individuo che della comunità, appaia ben ordinato e regolato. E noi siamo obbligati a dare questo esempio agli uomini ed al mondo. San Paolo conoscendo quanto bene proviene da questo buon ordine in ogni cosa, lo raccomanda e si rallegra coi Colossesi, perchè lo aveva ammirato tra di loro. E traendone da questo buoni auspici, scrisse loro congratulandosene, e mostrandosi di loro molto contento[337]. Invece egli si trova molto malcontento dei Corinti, nel timore di trovare tra loro dissensioni [338]. Nè solo la vera disciplinatezza è ordine esteriore o necessario perchè edifica i profani; ma anche perchè serve mirabilmente di buon esempio e di conforto ai nostri medesimi soci e confratelli. Occorre adunque che l’esterno tutto sia in te ben regolato. Allora esso è come uno specchio da cui traluce, agli occhi e degli esterni e degli interni, l’immagine delle tue virtù. Giova moltissimo a formare nell’altrui concetto l’impressione di virtù e di religiosa probità nel religioso, ed a far apprezzare dagli esterni la vita religiosa e la società a cui appartiene. Il quale buon concetto ognuno è tenuto a procurare per quell’amore che deve portare al proprio istituto, cui deve far onore, e cui deve procurare, dal canto proprio, tutta la stima ed il buon credito, che un buon figliuolo è tenuto a promuovere colla nobiltà delle sue azioni, al decoro ed alla buona opinione della sua casa.

Ciò che ne dice la Sacra Scrittura.

Il Savio chiama amore la cura della disciplina e la custodia delle sue leggi. E lo stesso Savio a guisa di un padre, che, bramando istruire i suoi teneri figliuoli, istilla in essi sentimenti di morigeratezza, e porge loro documenti di saggia, onorevole ed edificante compostezza, tutti esorta i giovanetti ad andar da lui, per apprendere fin dalla tenera età i tratti di una buona disciplina, volendo loro dispensare con essa un dono assai pregevole. Perciò li esorta dicendo: Accettate la disciplina e non vogliate rigettarla [339]. Ascoltate o figliuoli la disciplina del padre, ed io vi darò dei bei regali. Onde col crescere degli anni, crescendo sempre più l’ordine e la compostezza, si aumenti pure il decoro proprio e l’altrui, nel che tutta si restringe in sostanza la civiltà del vivere [340]. Quando non vi ha disciplina si va di male in peggio [341]. Ma se all’opposto un religioso, specialmente novello e giovane, non curando affatto la disciplina, la rifiuta e la disprezza, egli sarà il disonore di sè e di tutta la società cui appartiene. Hanno ricusato di sottomettersi alle giuste prescrizioni della disciplina, direbbe il profeta Geremia (X, 3), e hanno perciò costoro fatto un volto duro più dei macigni. Or vedi, figliuol mio, se l’indisciplinatezza sia quel male da nulla, che viene falsamente riputato! Vedi se la disciplina sia quella virtù, che si giudica di sì tenue rilevanza! Ad inserir pertanto nel tuo animo un santo scrupolo e una religiosa delicatezza, ti proporrò alcune cose in cui principalmente conviene che osservi una perfetta disciplina.

Pratica della disciplina: levata e silenzio.

Risplenda anzitutto ordine e buon modo disciplinare nell’osservanza esatta anche esteriore di tutte le costituzioni e le obbedienze di casa. Procura, cominciando dalle prime operazioni del mattino, d’essere esattissimo nell’alzarti dal letto, far ogni cosa con modestia, pulirti bene le mani, il volto, il collo, ravviare i capelli, assettar bene il tuo letto, vedere che gli abiti e le scarpe non siano inzaccherate. Questo primo punto di disciplina della giornata ti aiuterà a proseguire bene tutto il giorno. Bada bene che la levata comune è uno dei punti principali pel buon ordine di una comunità, e lo è pure il silenzio in tutti i tempi stabiliti, specialmente, come c’inculcò Don Bosco, dalla sera dopo le preghiere fino al mattino dopo la santa messa. Se tu pertanto trasgredissi o la puntualità nella levata, o il silenzio durante la medesima, saresti bene a ragione detto indisciplinato, e non potresti esser tenuto per un buon religioso.

Puntualità ed esattezza dell’orario.

Altro punto di disciplinatezza è di trovarti sempre a tempo a tutti gli uffici della comunità; mai arrivare con minimo ritardo, nè alle pratiche di pietà, nè agli studi ed alle scuole, nè al refettorio, nè alle ricreazioni o alle passeggiate, nè specialmente alle varie assistenze di cui fossi incaricato. Che disordine sarebbe se si lasciassero i giovani senza assistenza, per attendere a conversazioni inutili; se si abbandonasse l’assistenza del dormitorio, per andar a prender aria, o a far cicaleccio eoa altri fuori del medesimo; o, peggio ancora, per unirti ad altri a far scherzi, merenduole o simili! È vero inconveniente in una comunità il vedere qualcuno che arriva sempre un po´ in ritardo. L’esecuzione esatta, puntuale di tutto l’orario della giornata è un altro dei punti essenziali per il buon ordine di una comunità. Se non ti accostumi ad una assoluta esattezza ora che sei giovane, e che sei in una comunità ben regolare, sta’ sicuro che in seguito saresti poi un assistente negligente, un negligente maestro, e Dio non voglia che, se ti si affidasse questa carica, non avessi a riuscire un superiore negligente.

Disciplina nella chiesa, studio, scuola.

Deve poi risplender la tua diligenza e la tua disciplinatezza nel comportamento tuo e in chiesa, e nello studio, e specialmente nelle scuole. Procura in chiesa di non farti mai vedere annoiato, ma fervoroso; mai sdraiato, o malamente appoggiato, ma molto ben composto; non sbadato guardando qua e colà, osservando chi entra o chi esce, o sbadigliando, bensì raccolto e divoto. La disciplinatezza nello studio, oltre all’arrivar sempre a tempo e al non parlare e stare in una compostezza decente di corpo, richiede pure che non si perda briciolo di tempo, non si facciano rumori, si rispetti chi assiste, non si abusi per nulla quando egli si assentasse, si tengano i libri ordinati, non si straccino gli orli, nè si scarabocchi alcun libro o quaderno, e si badi che non vengano in alcun modo macchiati. Nelle scuole più che tutto è necessario la disciplina. Bada a stare con riverenza avanti a chi t’insegna, e ben attento alle spiegazioni. Non leggere o fare altro al tempo di qualche spiegazione; il silenzio deve essere completo. Non ti è lecito interrompere la spiegazione, domandare spiegazioni ad altri, far domande inopportune; e tanto meno poi rispondere se sei ammonito di qualche cosa. La medesima disciplinatezza ti vieta di brontolare dei libri di testo rivedendo le loro bucce, del metodo d’insegnamento, dei tuoi professori, o di mormorare comecchessia di essi.

Non uscire senza motivo e permesso.

Introdurrebbe il più grande e rovinoso disordine nella comunità, e perciò darebbe segno di massima indisciplinatezza chi uscisse di casa senza permesso, o senza permesso si recasse a visitare parenti od amici; chi accettasse inviti a pranzi od a divertimenti: chi si lasciasse indurre a fumare, andare a bettole, a caffè. Chi poi per star fuori mancasse alle pratiche ordinarie della comunità, od arrivasse a casa alla sera ad ora tarda, commetterebbe addirittura una indisciplinatezza imperdonabile. Questo punto dell’uscita libera, mancare a pratiche comuni o arrivar tardi, non parrebbe neppur possibile in una ben ordinata comunità. Tuttavia tra noi, con tante occupazioni, con una vita tanto attiva, con tanti disparati uffici ed impieghi, la cosa non sarà nuova. Quel che è al tutto indispensabile si è che ogni cosa sia regolata dall’obbedienza; che tu cioè, nè ora, nè in seguito, non ti prenda mai di tuo arbitrio di queste libertà tanto pericolose a ciascun individuo ed all’ordine della comunità.

Nelle conversazioni.

Risplenda ordine e buon modo disciplinare nelle tue conversazioni. Conviene che ti faccia molto socievole indifferentemente con tutti i confratelli, e coi giovani coi quali avessi a trattare. In quelle ore ed in quelle circostanze pertanto in cui si ha da conversare od a far ricreazione, conviene che ti mostri allegro, che vada un po’ con tutti, cioè con chiunque con cui abbia da fare, senza distinzione. Conserva quel contegno e quel rispetto, che viene prescritto dalla religiosa civiltà. Ma bada che non ti è lecito trattare nè coi confratelli nè coi giovani con quella certa scioltezza di tratto, che potrebbe piuttosto dirsi dissolutezza. Certi scherzi licenziosi, se ripugnano anche ai secolari, molto più disdicono ai religiosi. Da costoro debbono essere affatto escluse le profanità, le sciocchezze che possono farli comparire dissoluti di lingua e forse anche dissoluti di cuore. Una importuna serietà è biasimevole in noi; ma è altresì e molto più biasimevole una vivacità che avesse del licenzioso. Questa adunque deve essere frenata e ristretta, tra i confini di una ben regolata moderazione. Lo stesso e molto più deve praticarsi alla presenza degli scolari esterni, tutte le volte che la necessità o la convenienza richiegga di trattare con loro. Una persona savia e disciplinata, dice l’apostolo San Giacomo, deve far vedere, dalla sua buona maniera di conversare, la qualità delle sue opere. Il secolare si forma subito il concetto del religioso, particolarmente giovine, dalla sua maniera di conversare. Se lo scorge serio, ben composto, rattenuto, circospetto nelle parole, nei gesti, nelle azioni, rimane di lui edificato, formandosene buona opinione. Ma se all’opposto l’osserva sguaiato nell’allegria, se lo vede troppo franco nel prendersi delle indebite libertà, ne perde subito ogni stima, e meravigliato dice nel suo interno: nulla essere in lui di buono.

Il rispetto a tutti.

È inoltre un punto di buona disciplina esser nel tratto rispettoso verso tutti, non esclusi ancora gli eguali e gl’inferiori. Molto più per altro deve praticarsi il rispetto coi superiori e con i soci più anziani e provetti. Alla loro presenza non è lecito essere insolente, o, contro l’avvertimento dello Spirito Santo, il far molte parole, nè mostrarsi presuntuoso[342]. Non è certamente tollerabile il vedere un novello religioso senza rispetto, senza civiltà, senza creanza, trattar con tutti colla medesima libertà e confidenza. È non solo da ardito ma da sfacciato il non dimostrare il dovuto rispetto a proporzione del grado e dell’età, sempre venerabile presso gli uomini.

Disciplinatezza nei lavori manuali.

Risplenda anche la tua disciplina nei vari lavori manuali che avessi a compiere. È buona usanza nei noviziati e negli studentati di far compiere dagli alunni la maggior parte dei lavori manuali che occorrono per la casa, sia per la pulizia, sia per l’apparecchio dei refettori, come anche per gli altri lavori di casa o di campagna. Queste cose sono anche generalmente utili per la sanità. Il buon ordine vuole che tu adempia volentieri queste occupazioni, che le faccia bene, e che le compia con buono spirito, cioè proprio pensando di compiere un dovere che davanti a Dio è meritorio quanto e più di qualunque altro. Saresti al tutto biasimevole se le compissi con mal garbo e malamente, come per esempio scopando suscitassi gran polvere o gettassi la scopatura tra i piedi altrui; se preparando i refettori ti lordassi sbadatamente le vesti, rompessi i piatti, dimenticassi qualche posata o simili; se mettendo inchiostro, inzaccherassi o facessi cadere i libri. Accostumati per tempo a far bene anche le piccole cose materiali, e ti troverai poi contento.

Uso d’una data lingua e rispetto alle nazionalità altrui.

Occorre anche in vari casi, dove vi sono novizi e studenti di differenti lingue, affinchè nessuno perda l’abitudine di parlare la propria, ed anche affinchè tutti imparino bene quella del luogo in cui sono, si diano norme di parlare nella data lingua in ore o in circostanze particolari. Appartiene alla buona disciplina ed al buon ordine che tu faccia come è prescritto, e che lo faccia esattamente, con semplicità, con buona volontà. Qui è il caso e l’occasione di farsi dei meriti. Il mancare all´obbedienza in queste circostanze, il mostrarsene ritroso, è uno dei contrassegni più dannosi della indisciplinatezza. Uguale e maggior biasimo meriterebbe chi suscitasse questioni di nazionalità o dicesse parole di qualche disprezzo per altra nazione, o si lasciasse sfuggire motti o facezie meno che delicate e caritatevoli a questo riguardo. Alle volte queste piccolissime scintille sono atte a suscitare grande incendio, e capaci a distruggere affatto la carità, ad intorbidare la pace in qualche individuo, e a produrre un’indisciplinatezza completa in una comunità. Ti ripeto una seconda volta, e te lo ripeto una terza: trattandosi di sentimenti nazionali, sii guardingo fino all’eccesso nelle parole che dici, e delicatissimo in ogni tuo portamento ed espressione.

Il portamento esteriore.

Risplenda poi la disciplina nell’esteriore portamento. « Dallo sguardo, si conosce l’uomo, e dall’aspetto della faccia si conosce il sensato, e il riso ed il portamento dànno indizio di lui»[343]. Se dall’aspetto esteriore dunque si distingue la qualità della persona, se dalla compostezza del volto si viene in cognizione della sensatezza dell’uomo, se la foggia del vestire, la maniera del ridere, la guisa del camminare, formano il carattere del suo interno, una grande avvertenza si richiede e un sommo studio in un religioso, affinchè tutto l’esterno sia posato e ben composto. Tanto più che da ciò molto dipende l’edificazione di chi l’osserva ed anche il profitto di chi lo pratica, dal momento che se sarà ben ordinato l’esterno anche l’interno sarà ben composto. Di qui quella premura che si ha generalmente, e che si dovrebbe avere anche di più dai vari istituti religiosi, di accostumare i novelli soci fin dall’anno del loro noviziato in questa sì eccellente esteriore compostezza. Da questa risulta ad essi un bene spirituale grande, e un decoro a tutta la Congregazione cui appartengono. All’opposto ne deriva un detrimento ben grande allo spirito e un gran disdoro alla comunità, dalla scompostezza dell’esterno comportamento di qualcuno. Un camminare impetuoso, un occhio sempre in giro, le mani in saccoccia, l’abito mal disposto, il cappello posto a sghimbescio, la mantellina gettata a tracolla, sono cose disdicevoli ad un religioso. In occasione di passeggio indicheresti poco buon ordine, poco buona disciplina, se ti facessi aspettare, se le tue vesti non fossero in ordine, se ti sbandassi, se cercassi di andare più in fretta o più adagio degli altri, se camminassi troppo grossolanamente. Un tratto troppo confidenziale con qualche persona che s’incontrasse pei luoghi pubblici, sarebbe di disdoro ad un religioso. Oh qual trista impressione formerebbe in chi vedesse in noi siffatti andamenti, che sono purtroppo indizi manifesti di un cuor leggero, d’un animo mal educato ed indisciplinato! Così si avvilirebbe l’istituto nell’opinione del pubblico. Ah! figliuol mio: se ti preme il decoro della nostra società e il tuo buon nome, guardati sempre da tali leggerezze, o a meglio dire, da tali difetti perniciosi. Alla disciplina del portamento si appartiene ancora la compostezza del sedere, per cui è disdicevole l’abbandonare il corpo a un lato del sedile, il tenere distesele gambe, o tenerle a cavalcioni ponendone una sopra l’altra. A questo punto stesso di disciplina appartiene specialmente il tenere i capelli corti, ben pettinati; ma non mai colla spartita o col ciuffo, cose tutte secolaresche. È disciplina l’esteriore mondezza, non solo degli abiti, ma ancor della persona, della camera, del posto di studio, e di tutto ciò che appartiene al religioso. Su di che, per non mancare e nello stesso tempo per non andar negli eccessi, si osservi il nobil avvertimento, dato su tal proposito da San Girolamo a Nepoziano: la ricercatezza e la sordidezza sono parimenti da fuggirsi, altrimenti si cade nel ridicolo e nel disonore. Gli occhi del più schifiltoso mondano non scorgano in te alcuna cosa, che abbia del sordido e del ributtante. Ma non vedano neppure alcuna cosa che disdica alla povertà! Sia povera la tua camera, ma sia pulita; siano poveri i mobili di casa, ma siano netti come uno specchio; siano pur poveri e già adoperati i tuoi libri, ma non siano scarabocchiati o sudici.

Osservanza dell’urbanità.

Qui ancora mi giova rammentarti che è parte importante della disciplinatezza religiosa, di cui devi fare gran conto, l’osservanza esatta delle regole di urbanità, ossia di galateo, che ti vengono insegnate. Ogni inosservanza di quelle regole è un difetto contrario alla disciplina religiosa. Osservale, osservale tutte e sempre, in pubblico e persino da te in privato, per accostumarviti bene. Così ti farai grandi meriti in faccia a Dio, richiedendo l’osservanza di ciascuna di quelle o un atto di rinnegamento di te, o un atto di umiltà, o uno di carità fraterna. Inoltre farai anche un buon nome alla nostra Pia Società; e attirati da questo buon nome, molti genitori ci affideranno i loro figliuoli, e perciò molto maggior bene si farà alle anime.

Importanza della disciplinatezza.

Le cose sin qui dette paiono piccole, ma sono importanti. Rimane tuttavia a dire della cosa più grave che riguarda la disciplinatezza, la quale, se eseguita, forma il perno dell’ordine, e se trasgredita, il maggior disordine in una comunità, vuoi civile e vuoi religiosa. Quando è emanato un ordine generale, bisogna che tutti d’accordo si pongano ad eseguirlo. Non si possono ammettere scuse e pretesti; come non si possono ammettere indugi e ritardi. Non è più il tempo di ragionare sull’opportunità o meno di quell’ordine, sulla sua bontà o sconvenienza: è il tempo di eseguire.

Che ne avverrebbe di un esercito se gli ordini d’un generale capo, non che dei vari generali, ma anche dei capitani e degli altri ufficiali, invece di essere eseguiti fossero trasgrediti, od anche solo discussi? È la parola d’ordine: anche solo per la disciplina dell’esercito si deve pretendere che ogni ordine sia eseguito. Applica questo alle cose ecclesiastiche ed a quelle che riguardano gli istituti religiosi, e vedrai che dall’osservanza intera e compatta verrà la prosperità ed il poter riuscire a far del bene. Invece dall’inosservanza viene ogni disordine ed ogni male. I danni dell’indisciplinatezza non avvengono solo negli istituti religiosi; ma anche nella Chiesa e nella civile società. Noi non potendo di più, dobbiamo almeno dare buon esempio. Quante volte il medesimo Sommo Pontefice vede non eseguiti immediatamente i suoi ordini, ma li vede discussi, stiracchiati ed interpretati a modo proprio da molti, e che siedono in alto e che siedono in basso! Da questo vengono inconvenienti per tutta la Chiesa, o per qualche nazione in particolare. Quante volte i vescovi vorrebbero introdurre qualche buona pratica o sradicarne qualcuna cattiva, e vi è, anche tra i guardiani d’Israele, tra coloro che dovrebbero aiutarlo, chi fa opposizione o aperta o anche solo muta! Questa è indisciplinatezza. Quante volte, in fatti gravi, come di elezioni, di azione cattolica, si ha da deplorare che non vi è unione anche tra i buoni, e perciò non si può fare del bene! Che cosa è questo? È pura indisciplinatezza nel senso alto della parola. Intanto si vedono le cose che van male: comuni rovinati, posti a guidare paesi cattolici i più scamiciati nemici del cristianesimo. E perchè? Perchè non vi è unione fra i cattolici; perchè il demonio della superbia ed indisciplinatezza è entrato anche nel campo del Signore. Questo è il massimo danno dell’indisciplinatezza; e non vi hanno parole abbastanza ardenti per stigmatizzarlo, nè lacrime abbastanza cocenti per piangerlo.

Grave male dell’indisciplinatezza.

Parrebbe che questo sia l’estremo male, pure vi è ancora una cosa di più, ed è la aperta ribellione all’autorità. La radice è bensì sempre la superbia; ma la base è l’indisciplinatezza. Ario, Calvino, Lutero e tutti si può dire gli eretici, non furono che demoni d’indisciplinatezza. E tu, per te e per il nostro caso pratico, pensa che nel nostro piccolo possono accadere le cose più gravi che abbiano da far piangere a lacrime di sangue il corpo intero della nostra società. Questo avverrebbe quando si contraddicesse apertamente agli ordini dei superiori: quando, datosi un ordine pubblico in casa od in collegio, si vedesse un socio salesiano a trasgredirlo per primo; e specialmente quando si facessero capannelli per suscitare malcontenti, incitare altri, brontolare in crocchi, combinando insieme sul modo di mettersi tutti d’accordo per porre come un muro resistente alla volontà dei superiori; e più, poi, venire ad aperte ribellioni o non volervisi adattare. Ciò che vediamo altrove, può avvenire anche tra noi. Oh! preghiamo il Signore che ci dia l’umiltà, che sradichi in noi la superbia che è sempre la radice più perniciosa di ogni indisciplina. Diciamo sempre al Signore ciò che Davide ci fa dire nel Salmo 118, e che la Chiesa fa recitare frequentemente ai suoi sacerdoti nell’ora di terza: Insegnaci, o Signore, la bontà e la disciplina. Per imprimerti meglio i principi esposti in questo capitolo, pòrtati col pensiero ai gemiti disperati di quell’infelice che, secondo il detto dello Spirito Santo nei Proverbi, per aver disprezzato la disciplina e le cose piccole, cadde nelle gravi e fu sepolto nell’inferno. Quivi piangendo le sue eterne sventure si rammenta della ragione prima di tanti suoi guai, ed esclama confessando la sua colpa: « Ho detestato la disciplina, non mi sono adattato ai rimpoveri, non fui docile alla voce dei superiori! »[344]. Fu il disprezzo della disciplina che lo trasse al fondo di tante colpe, e che lo trascinò infine alla perdizione. Per non incontrare adunque sciagure così luttuose, ama la disciplina, torna a dirti il Savio; non allontanarla da te, anzi custodiscila bene, che essa è la tua vita[345]. Fa’ adunque sempre gran conto delle buone leggi della disciplina, da cui in gran parte dipende la tua eterna salvezza.

Capo XVII DEL RIVEDER LA VOCAZIONE

L’esame di vocazione.

Un sapiente decreto ecclesiastico: Regulari disciplinae vuole, che il novizio il quale crede sentirsi veramente chiamato allo stato religioso, circa due mesi prima che termini l’anno di noviziato, venga accuratamente esaminato dai superiori. Costoro devono diligentemente esplorare la sua volontà, per certificarsi se fu in qualche modo sforzato o sedotto. Devono vedere anche da quale spirito sia animato, se capisca bene quello che fa, e se conosca bene le regole e le obbligazioni dello stato religioso. Questo momento è importantissimo e si può dire decisivo per te. Perciò io ti consiglio fortemente a prendere questa circostanza per fermarti un momento sopra te stesso, e rivedere la tua vocazione. Fa’ coi compagni, se il maestro lo crede opportuno, una novena al Sacro Cuore di Gesù, mettendo come intercessori presso cotesto Cuore Sacratissimo il patrocinio di Maria Ausiliatrice Immacolata e di Don Bosco. Pregali istantemente che t’ispirino a fare ciò che è secondo la volontà di Dio, ed il maggior bene dell’anima tua. Scopo di questa novena sia il rifarti nella vocazione, e consolidarla meglio, studiandola più a fondo alla luce divina.

Esamina le tue forze.

Non basta che tu ti sia assicurato, in principio, che la vocazione ci fu. Il gran punto sta nel vedere se vi sono la forza e le qualità adatte ad un religioso salesiano, e se perciò ti senti di andare avanti sino alla morte in questo genere di vita. Io ti ho espressa- mente edotto nei primi capitoli di questo Vade Mecum, che il noviziato, per quanto riguarda te, fu stabilito perchè avessi tempo a provare. In questi capitoli precedenti poi ti esposi con precisione gli obblighi che provengono dai santi voti. Ora hai provato e sei stato ammaestrato: ti senti davvero le forze? Hai le qualità per andare avanti con sicurezza di te stesso? Se in questo tempo del noviziato ti sei occupato a ben corrispondere, ora non avrai più dubbio. O ti senti o non ti senti. In caso positivo fai la tua domanda, in caso negativo non la fai e te ne esci, o almeno preghi e provi, dato che abbiamo il privilegio di prolungare ancora il noviziato per provarti meglio.

Già te lo dissi, ed è da capir bene che molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. Saulle fu scelto da Dio ad essere il re d’Israele, e fu consacrato tale dal profeta Samuele; ma, non avendo corrisposto alla grazia, fu riprovato. La vocazione di Giuda all’apostolato fu veramente buona, essendo venuta direttamente da Gesù; tuttavia, non avendola consolidata colle buone opere, non solo non perseverò, ma venne a commettere il più gran delitto del mondo tradendo Gesù; e finalmente si disperò, e morì impiccato. Dopo sì terribili esempi, qual religioso oserà stare senza trepidazione, dicendo a se stesso: Io son sicuro di me: non temo di essere infedele alla mia vocazione? Tu hai già bensì studiata la tua vocazione prima di domandare d’essere ascritto alla nostra Pia Società, ma allora non conoscevi ancora abbastanza bene le cose. Allora potevi ancora avere dei fini umani, quasi senza accorgertene; e non conoscevi ancora le tue forze, poiché forse non avevi mai riflettuto molto e seriamente su te stesso. Ora è il tempo di ritornare sui tuoi passi. Ora che sei verso la fin del tuo noviziato, e che cominci a pen sare alla professione religiosa, è necessario che rientri in te stesso, e con molta riflessione, preghiera e consiglio ristudi profondamente la tua vocazione, e prenda l’ultima formale risoluzione, per non metterti in pericolo di fare leggermente il gran passo.

Mezzi: 1) Riflessione.

Si richiede dunque prima di tutto, molta riflessione. Ornai devi averla fatta, quasi senza avvedertene, in questi vari mesi passati, sentendo spiegare le regole e parlare degli obblighi e delle qualità richieste. Tuttavia concentrati ancora un poco in te stesso: da una parte rifletti sui pericoli che ti capiterebbero uscendo; dall’altra considera se ti senti le forze per osservare sino al fine della vita i santi voti e le regole. Piuttosto di essere poi un religioso inosservante, è meglio che non ti faccia religioso. Vedi specialmente i progressi fatti nei mesi passati. Non stare alle parole ed ai desideri umani; vedi se proprio, colla grazia del Signore, hai progredito; se, durante il noviziato hai praticato bene le virtù che sei per promettere con voto; se no, non converrebbe lusingarti. Quelli che dicono: «Nel noviziato non mi sono sforzato, ma dopo mi sforzerò », son quelli che finiranno per rovinare se stessi e la congregazione. Ricorda le parole dette dal Santo Padre Leone XIII al nostro indimenticabile Don Bosco: « Si faccia calcolo delle virtù acquistate, e non su quelle da acquistarsi ». Se non ti sei sforzato finora non lusingarti oltre; non ti sforzerai di più in seguito. Ma la tua riflessione bisogna che si aggiri specialmente sulla durezza della vita che vuoi abbracciare, e sulla difficoltà per condurre una vita perfettamente religiosa. Procura di non farti illusioni. Quando, in molte circostanze, nelle prediche e nelle conferenze hai udito parlare della felicità dello stato religioso, può essere che te ne sia fatto idee molto umane, come se si parlasse di vere felicità terrene. Saresti in un grande errore! Non hai inteso bene se ti sei rappresentato la vita religiosa come una vita dolce, esente da ogni pena e libera da fastidi e da cure terrene. Parrebbe con questo che il religioso non abbia nulla a soffrire, nulla a sopportare, che nulla gli manchi, tutto gli sorrida, e tutto gli abbia poi a succedere secondo i suoi desideri. Niente più falso di questo, se s’intende in modo umano e letterale. Gesù Cristo nel Vangelo non insegna così: ma che bisogna portare la croce, e che chi vuol seguirlo deve condurre vita di rinnegamento. Se tu entrassi in congregazione persuaso di trovarvi la felicità terrena, e di potervi condurre la vita senza aver da soffrire, troveresti per tutta la vita un amaro disinganno, e condurresti la vita più infelice che si possa condurre sulla terra. Il grande vantaggio della vita religiosa è l’abnegazione cristiana, è la mortificazione dei sensi, la croce. In re-ligione devi avere imparato a soffrir con pazienza, e tenere il tuo occhio fisso in Gesù. Devi esserti abituato a sopportare con pazienza, e forse a gioire nei sacrifizi e nelle umiliazioni, e a desiderare di aver molti patimenti e contraddizioni, e persecuzioni, per poter essere un po’ più simile a Gesù, tuo maestro e sposo dell’anima tua. Chè se non ti fossi accostumato a patire in questo modo per amore di Gesù ed a trovare la tua felicità nelle croci, come diceva San Paolo, che soprabbondava di gaudio in ogni sua tribolazione, allora puoi ben tornare indietro, che sarà meglio per te.

2) Preghiera

In secondo luogo si richiede molta preghiera. Il conoscere bene e con certezza la propria vocazione, ed avere la forza di seguirla è la grazia più importante, la grazia più grande da ottenere. Se da noi non siamo capaci di fare anche l’azione minima senza la grazia del Signore, saremo capaci di fare questa scelta, e poi star costanti in essa? Se il Signore concede ordinariamente le sue grazie secondo le preghiere, quanto devi pregare per ottenere questa di sì capitale importanza! Tu sei per legarti indissolubilmente al Signore. Per ottenere questa grazia, e per esserle poi perseverante per tutta la vita, bisogna che non finisca di pregare. Ma son persuaso che tu hai già pregato tutto l’anno ed ora conosci perfettamente la necessità della preghiera. Non aggiungo qui altro a questo proposito, riserbandomi di parlarti ancora della preghiera in altra parte.

3) Il consiglio.

Non meno importante è il consiglio. Uno non può mai essere abbastanza rassicurato da sè solo. E poi molti, per quanta riflessione facciano, non sanno mai decidersi bene. Avviene così che i migliori son timorosi e non osano andare avanti; mentre i mediocri, conoscendo poco se stessi e non sapendo dare il giusto prezzo alle cose, si possono spingere all’impazzata in qualche grave imbroglio, credendosi sempre capaci di tutto. Perciò è assolutamente necessario il consiglio. Qui però il consiglio non consiste più nel domandare a varie persone. Appositamente la Chiesa ha deciso che un saggio e prudente maestro dei novizi dirigesse questi principianti nelle vie del Signore. E vuole che questo maestro si occupi continuamente di loro, e che vi sia il direttore della casa e gli altri superiori che vigilino continuamente sui novizi. Se tu sei schietto, essi verranno a conoscerti compieta- mente e nell’interno e nell’esterno, e potranno dare il loro parere sicuro, saggio, illuminato. Con loro devi adunque consigliarti. E se il maestro ti dice: «Va’ avanti», non aver timore, Iddio sarà con te, farai dei miracoli. E se ti dicesse: « Non sei preparato », non fare piagnistei. Vedi nel consiglio suo espressa la volontà del Signore. Taci, aspetta per prepararti meglio, se ti si dà tempo; parti, se sei giudicato inetto. Qui non è il tuo posto: faresti del male a te ed alla congregazione. Il Signore ti aprirà fuori una via, e camminando su quella ti salverai. Questo consiglio del maestro e del superiore è talmente necessario, che non potresti andare avanti tranquillo senza di esso.

I segni della vera vocazione.

Or qui, per aiutarti meglio a questo esame ultimo, più serio sulla tua vocazione, ti metterò sottocchio alcune considerazioni, perchè non vorrei che ti trovassi malcontento dopo. Sono due i casi che devi considerare bene: o vi sono i caratteri della vera vocazione, o non vi sono. Se vi sono, sei obbligato a seguirla; se non vi sono devi dare indietro. Il carattere più autentico d’una vera vocazione, secondo San Francesco di Sales, è una volontà ferma e costante di servire Iddio in religione. Questa volontà non dev’essere eccitata da motivi umani, carnali e terreni. Dio ne deve essere il principio ed il fine. E se sul principio della vocazione sei stato mosso da qualche motivo più o meno imperfetto, di cui Dio talvolta si serve, questo motivo ora deve essere completamente allontanato, ritrattato, annientato. La volontà non deve attualmente essere mossa ed eccitata ad entrare in religione, se non dal desiderio di servire Iddio. Questo desiderio può essere eccitato in tre diversi modi, tutti e tre buoni. O proviene direttamente dal divino amore: e questa è una vocazione d’attrattiva e di sacrifizio. O si è spinti ad entrare in congregazione da forte desiderio di espiare le colpe passate con le austerità della vita religiosa: e questa è una vocazione di penitenza. O vi si è spinti con l’intenzione di mettersi al sicuro dall’infezione del mondo: e questa è una vocazione di preservazione.

Ma anche un’altra cosa è di assoluta necessità, affinchè tu possa essere sicuro di aver davvero la vocazione; ed è il vedere se vi sono le doti o qualità, e le virtù necessarie per lo stato che stai per abbracciare. Non tutti hanno le qualità per trattare convenientemente e con profitto coi giovani, come è nostro scopo principale. Non tutti hanno le doti che si richiedono per il sacerdozio, a cui tu aspiri. Non tutti hanno le virtù che si richiedono per non cadere in peccati, pur trovandosi nei pericoli nei quali ci troviamo noi. Ma per questo ordinariamente pensano i superiori. Purché tu non abbia tenuto nulla di nascosto, se vieni ammesso non hai nulla da temere su questo punto. Quel che è importante si è che tu segua, senza la minima recriminazione, il consiglio di chi ti guidò tutto Panno, e che dopo non tralasci di prendere e praticare i mezzi che dal medesimo ti sono suggeriti.

Non scoraggiarti.

Quando questi caratteri di vera vocazione vi sono, devi andare avanti e non lasciarti scoraggiare. Alle volte il novizio si disanima, e si persuade ch’egli non ha vocazione perchè sente qualche pena nella vita religiosa. E per questo vorrebbe uscire di congregazione! No, per queste contrarietà non hai ragione di abbatterti e disgustarti della vocazione. È da ricorrere a Dio colla preghiera, ed ai superiori per consiglio. Ricordati che sei venuto apposta a farti religioso, per combattere e farti dei meriti. Invece di scoraggiarti, dovresti ringraziare il Signore che ti abbia posto nell’occasione di fare così un po’ di penitenza, e riportare in conseguenza molti meriti. Persuaditi che colla grazia del Signore le tribolazioni ti si faranno amabili, e non ti saran ornai più di pena. « O non si soffre, o si ama la stessa sofferenza », dice Sant’Agostino di chi soffre per amor di Dio! Devi anche ben guardarti dal voler troppo provare te stesso, per vedere se la vocazione è proprio vera. Abbi timore, dubitando troppo della propria vocazione, di mancare di fedeltà alla medesima. Se è un male l’entrare in congregazione senza esservi chiamato, è pure un gran male l’uscirne quando uno entrò con vocazione. Vi è in questo una disubbidienza a Dio, un disprezzo alle sue grazie, ed un pericolo per la propria salvezza, a causa della malizia del mondo, contro la quale non troveresti preparato soccorso di sorta. Così noi vediamo ordinariamente che coloro i quali lasciano la congregazione senza ragioni vere, conducono in seguito vita poco edificante nel mondo, e arrivano alle volte a cadere nei più gravi disordini. Si osservò pure che sovente essi fanno una triste fine, disprezzati dagli uomini e abbandonati da Dio.

Come consolidare la propria vocazione.

L’infiacchimento nella vocazione e la perdita della medesima avvengono, per lo più, o per la poca pietà, o per l’inosservanza delle regole, o per le replicate cadute nei peccati. Proponi pertanto di affaticarti in ogni modo per consolidare ognor più la tua pietà, e renderla vera. Cerca di non trasgredire neppure la minima regola. Va’ anche assolutamente guardingo per non cadere più nei peccati, ed allora sarai in salvo. Prega perciò istantemente il maestro, e, per le viscere di Gesù Cristo, umilmente supplicalo di avvisarti, ed anche di fortemente riprenderti qualunque volta veda che ti rallenti nel fervore, o nella osservanza delle regole. Domandagli pur anche almeno ogni mese, per esempio, in occasione dell´esercizio di buona morte, o nel primo venerdì del mese, che in punizione della tiepidezza ordinaria avuta, e per i falli contro la regola o le altre istruzioni, e pel torpore nel mettere in pratica i consigli avuti, e per infonderti maggior vigore nel fuggire il peccato, ti dia qualche penitenza, o ti permetta qualche pratica straordinaria di pietà, o ti suggerisca qualche mezzo speciale che serva a scuoterti una buona volta, e ti aiuti a camminare con maggior fervore nel servizio del Signore.

Nel mondo si soffre di più.

Potrebbe anche essere, essendo tu entrato assai giovane in comunità, e non avendo ancora per nulla provato i disinganni del mondo, t’immaginassi che solo in congregazione vi è da patire, e che venendoti a trovare in difficoltà ti disaffezionassi della vita religiosa. Grande errore! Nel mondo vi è ancor più da soffrire: opposizioni da parte del prossimo, discordie d’ogni sorta, malignità una sopra l’altra, mormorazioni, calunnie, odii, disprezzi da parte dei malvagi quando si vuol fare il bene, discordie nelle medesime famiglie, persecuzioni d’ogni genere. Provare delle pene è cosa comune a tutti i figli di Adamo, in tutti gli stati. La differenza sta in questo: i mondani soffrono per forza, col lamento sulle labbra ed il dispetto nel cuore; e non si fan dei meriti, anzi dei demeriti nei loro patimenti, che si accrescono in questa vita, e che si rendono poi eterni ed indicibili nell’altra; i buoni invece soffrono con rassegnazione, si esercitano persino ad amare le sofferenze, e così si fan dei meriti incalcolabili. Dunque se tu sei entrato nella nostra società con buon fine, fatti coraggio, va’ avanti, e dopo che ti sei fatti gli sforzi necessari, e dopo la riflessione, la preghiera ed il consiglio, credi che la vocazione viene dal Signore. Va’ avanti, persevera, non temer nulla: Dio ti aiuterà.

Come diportarsi nei dubbi sulla vocazione.

Ciascuno sia cauto nel metter in dubbio se la vocazione sia veramente venuta da Dio o no. Avendo tu agito con buona intenzione devi credere fermamente d’essere sulla buona strada. I timori ed i dubbi ordinariamente vengono a molti, o perchè credono d’essere stati troppo corrivi ed inconsiderati nel deliberarsi d’entrare in religione, o per non avervi abbastanza attentamente pensato sopra, o perchè prima d’entrarvi non esaminarono a sufficienza le proprie forze, o perchè entrarono mossi da fini puramente umani od anche per inganno, od ancora perchè, essendo stati importuni in domandare d’essere ammessi, credono che l’accettazione sia stata loro acconsentita solo per appagarli, ovvero perchè a ciò furono indotti e quasi forzati da qualche temporale necessità, o per qualunque altro motivo. Ciascuno ha da tener per fermo, che, quantunque vi sia stato qualche motivo sbagliato e cattivo in radice, se egli ora rettifica il fine e toglie gl’impedimenti che si opponevano, può andar avanti tranquillo. La sua vocazione è del benignissimo Iddio, al quale deve diligentemente e con animo retto e semplice ubbidire. Ogni volta che cotesti o simili pensieri ti venissero in mente, subito devi scacciarli, come vipera velenosa e pestifera, mandata per tuo danno e rovina dal crudelissimo demonio. Con la stessa prontezza giova rinnovare con premura il proposito di perseveranza, stando sicuro d’essere stato chiamato alla vita religiosa dal misericordiosissimo Signore, qualunque sia stato il mezzo, purché ora si siano completamente rettificati i fini. Se per avventura stimi esservi in congregazione qualche regola o cosa eccedente le tue forze e a te impossibile ad osservare, pensa che ciò è veramente se solo hai riguardo alla debolezza della tua natura. Ma se consideri che hai da aspettare le forze dalla divina grazia, certo non è così. E lascia la cura ed il pensiero di tutto ai superiori, i quali vedranno e giudicheranno se tu sia per esser atto e buono per la congregazione o no.

Inganni del demonio.

C’è anche da stare attenti agl´inganni del demonio. L’astutissimo serpente, essendo esso tutto tenebre, spesso per ingannare l’uomo si trasfigura in angelo di luce. Dal che può nascere che per suo artificio il novizio cada in errore sotto specie di bene. Ricorda ciò che ti dissi parlando delle intenzioni dei novizi: non prestarti ai suoi inganni. Il demonio sa che se riesce a far dubitare o vacillare qualcuno comecchessia nella vocazione, ha già riportata vittoria; poiché facilmente conduce poi il poveretto dove più gli piace. Pertanto sappia ciascuno, come San Bernardo e molti altri santi dicono, che è cosa di grandissimo pericolo il dubitare o vacillare nel proposito. Questa leggerezza e incostanza d’animo, è come un gran sasso, o scoglio nel mare, e si deve evitare con somma cura. Afferma lo stesso San Bernardo aver egli più volte posto mente e notato, che questi tali che da una congregazione sono andati ad un’altra, non hanno fatto altro, con tale mutazione, che lasciare scandalo alla abbandonata congregazione e portarne a quella ove andarono. E non solo non hanno fatto profitto nella virtù, come falsamente si erano persausi; ma han perduto anche quel poco, che già pareva avessero conseguito. Nè alcuno dica leggermente essere il tempo della probazione fatto apposta per studiare se la congregazione piace o no, se è fatta per noi o no. Può essere un grande inganno, vedendo il rinnegamento necessario per seguire la vocazione, credersi di poterla lasciare se così piace, e ritornare al secolo. Sebbene non si sia ancor legati coi vincoli dei voti, non si è forse obbligati ad ubbidire al Signore che ci chiama, e camminare costantemente per la via della perfezione, nella quale una volta si è stati posti? Non v’è cosa più pericolosa, che, dopo d’esser uno entrato in una via, il dipartirsene. Sarebbe fare come la moglie di Lot, la quale, essendo per benefizio di Dio e ministero degli angeli stata liberata dall’incendio di Sodoma, avendo voltati gli occhi indietro, restò subito immobile e convertita in una statua di sale. E si vede ogni giorno per esperienza, che coloro che abbandonano la congregazione per pusillanimità o per futili motivi, quantunque non ancora astretti con voto alcuno, vengono il più delle volte, per pena di tanta loro codardia e instabilità, ad incorrere in siffatta durezza di animo. Così nulla più curando nè gustando le cose celesti e divine, passano miserabilmente tutto il resto della loro vita immersi nel fango delle cose fragili e caduche. Ciascuno finalmente si rammenti di quello che disse parlando il Redentore dell’albero infruttuoso, cioè: Tagliatelo dalle radici; perchè ancora occupa la terra? Temendo pertanto di essere albero infruttifero, eccitati con ogni studio e diligenza, ed usa ogni industria per accura- 1 amente corrispondere alle grazie del Signore ed alle cure dei superiori. Supplica spesso il Cuore Sacratissimo di Gesù con infuocate orazioni ad aiutarti. Ed aggiungivi, per più facilmente impetrare quanto domandi, l’intercessione della gloriosissima Vergine SS.ma potente aiuto dei Cristiani e di noi salesiani in particolare, nonché quella dell’indimenticabile, amabilissimo nostro caro padre Don Bosco. Questo nostro santo se già tanti segni diede della sua potenza in cielo per ogni ordine di persone, tanto più la dimostrerà verso di noi che vogliamo farci suoi degni figliuoli.

Quando bisogna lasciare la via intrapresa.

Queste cose ti dissi per animarti, e perchè non creda troppo presto ad ogni parvenza di dubbio. Ma ti dico schiettamente, che, se dopo il consiglio del superiore, ti accorgi che vocazione vera non ne hai, devi abbandonare lo stato intrapreso. È bensì vero, come ti dissi, che il fine storto può rettificarsi; ma è anche vero, che nella maggior parte dei casi non si rettifica così radicalmente, che non abbia poi di nuovo a venir fuori nei momenti di tiepidezza e di scoraggiamento. Qualora pertanto non fossi sicuro di te, e vi fosse fondato timore che i motivi umani antichi potessero di nuovo sorgere, tu saresti obbligato a dare indietro. Ciò avviene specialmente quando già si avessero avute perverse inclinazioni; quando uno si fosse fatto ascrivere solo perchè non sapeva altrimenti come campare la vita, o perchè in congregazione si godono maggiori comodità, oppure perchè si era molestati in famiglia, o semplicemente per accontentare i genitori, o solo con lo scopo di compiere gli studi od il tirocinio dell’arte e poi uscirsene, o perchè non si sarebbe potuto essere ordinati sacerdoti altrove, e si è venuto solo per raggiungere questo scopo. Succede questo ancora se vi fosse qualche disordine grave nella vita passata, che non si rivelò a chi era incaricato di giudicare sulla vocazione, e che renderebbe l’individuo indegno dello stato che vuol abbracciare; e se uno non avesse manifestati in antecedenza impedimenti, che potrebbero rendere invalida od almeno illecita la sua professione; come se avesse commesso delitto infamante, se avesse debiti, o da render ragione dei denari altrui, se fosse epilettico, o avesse già avuto accessi di pazzia, o fosse soggetto ad altre malattie contagiose. Se disgraziatamente fossi entrato con qualcuno di questi fini storti, e non avessi osato manifestarlo nei mesi antecedenti, devi palesarlo ora con franchezza e semplicità. Più si aspetta, più si perde tempo, e più si fa poi difficile il palesarlo. L’andare avanti con questi fini storti sarebbe fare una professione sacrilega, e metterti da te stesso il capestro alla gola. Devi anche considerare gli ostacoli che possono derivare dai parenti, o perchè non vogliono e tu sei minorenne, o perchè sono in grande necessità. Su questo punto conviene che sia bene istruito: attendi adunque. La critica situazione dei genitori può essere un ostacolo legittimo ad entrare in religione. Gli autori tengono comunemente che non è permesso ai figli di abbracciare lo stato religioso, quando per questo i genitori fossero ridotti alla miseria grave, ed a più forte ragione se all’estrema miseria. Vi sono però tre cose da osservare: 1) La povertà dei parenti non sarebbe d’ostacolo alla lecita entrata dei figli in religione, se, pur stando nel mondo, questi non avessero la speranza di poter venire efficacemente in loro aiuto. 2) Se vi sono altri fratelli e sorelle che possono aiutare, allora non sei più obbligato tu. 3) Si deve dire la stessa cosa quando, stando nel secolo, i figli fossero esposti al pericolo prossimo e ben fondato di cadere in peccato mortale. Quanto ai fratelli e alle sorelle, non vi è obbligo di stare nel mondo per aiutarli, che quando essi si trovassero in necessità estrema. Quando pertanto si tratta di cose cui non si possa rimediare, è giocoforza conchiudere che non vi è vocazione. Nè è da disperarsi; il Signore aprirà un’altra via: vuoi tu stare dove il Signore non ti vuole? Varie volte basterà domandare l’ingresso in un altro ordine che non sia addetto all’educazione della gioventù, e colà si potrà essere accettato. E questo specialmente quando qualcuno si trovasse con abitudini cattive d’impurità, o avesse fatti disordini gravi nella vita passata. D’altronde è meglio un buon secolare che un cattivo religioso. Nemmeno nel deporre l’abito non bisogna avere rispetto umano. Se qualcuno si burlasse di chi lo depose, esso dovrebbe disprezzare le loro burle. In fin dei conti che vergogna si ha da avere, e qual fallo si è fatto con l’aver passato qualche mese tra persone eccellenti e aspiranti alla perfezione9 Al contrario, avendo cercato d’abbracciare una vita di sacrificio, essi dovrebbero essere lodati per la generosità dei desideri. Col continuare la prova per un po’ di tempo, essi hanno acquistato sulle virtù cristiane lumi che saran loro sempre utili; e ritirandosi non ostante il loro disgusto interno, e le difficoltà esterne che incontrano, essi dan prova di fortezza e di saggezza. La vita del semplice cristiano, quantunque meno perfetta per se stessa, li condurrà più sicuramente verso la salvezza delPanima loro che la vita religiosa seguita senza le doti necessarie. Così Davide fece la prova di servirsi dell’armatura di Saulle per combattere Golia; ma dopo aver conosciuto che quella non gli conveniva, la lasciò senza rispetto umano, riprese i suoi abiti primitivi, arditamente si armò d’una sola fionda e di alcuni ciottoli ed il gigante non di meno cadde ferito a morte.

Capo XVIII PREPARAZIONE PROSSIMA AI SANTI VOTI

Sua necessità.

Tutto l’anno di noviziato è disposto a questo fine: che l’ascritto si prepari a fare il meno indegnamente che può la sua completa consacrazione al Signore coi santi voti. Perciò il noviziato intero si può dire preparazione alla professione religiosa. Tuttavia conviene che i due ultimi mesi almeno, cioè quel tempo che corre dopo che si fece la domanda dei voti, sia regolato in modo che possa servire di preparazione prossima. Questa deve poi terminare cogli esercizi spirituali, che ne formeranno la preparazione immediata. È ben giusto che in fine si faccia qualche cosa più del solito, secondo il detto che deve avverarsi non solo nelle cose fisiche, ma anche nelle morali: il moto in fine viene ad essere più veloce: rnotus in fine velocior. Sì: è ben giusto che almeno questi due ultimi mesi siano del tutto consacrati a procurarti quel progresso nella virtù e quella perfezione di animo, che sono necessari per renderti più degno della vocazione alla quale sei da Dio chiamato. È ben giusto che essi siano al tutto consacrati a prepararti ad un sì grand’atto, che ha conseguenze tanto importanti per tutta la vita, e si può dire per tutta l’eternità. £ ben necessario che ti prepari con straordinario impegno ad un atto che ha effetti così salutari per chi lo fa bene, mentre sarebbe dannoso per chi lo facesse senza la dovuta preparazione.

Disponi le tue cose materiali.

Pertanto, lasciato da parte ogni altro pensiero, mettiti tutto su questo: di preparar- viti prossimamente. Bisogna che preveda ogni cosa, e combini il tutto in modo, che dopo i santi voti non abbia più a pensare ad altro che ad amare di più, ed a servir meglio Iddio. Comincia dal dare uno sguardo alle cose esterne, ed a regolare a dovere quanto riguarda le tue cose temporali e finanziarie. Se non Thai fatto prima, conviene faccia ora quanto è prescritto nelle nostre costituzioni al capo III. E se hai ancora qualche accordo speciale da prendere coi parenti, o con qualche altra persona, conviene lo faccia subito. Alle volte prima di fare i voti non si pensa abbastanza a disporre quanto riguarda il voto di povertà, e si hanno poi pene di coscienza. È meglio stabilire ora ogni cosa con precisione. La spiegazione che il maestro o il direttore della casa avrà certamente dato in pubbliche conferenze, e quanto ti verrà privatamente consigliato da chi di ragione, siano la guida delle tue determinazioni. Io qui non posso discendere ai particolari. La mia insistenza sta su questo: che pensi bene prima, e che disponga bene ora, affinchè dopo fatti i voti non abbia a trovarti in pericolo di non eseguirli. E fa’ che avvicinandoti ogni dì più ai voti, non abbia altre cose a cui pensare, se non a quelle dell’anima.

Preparazione interna.

Il più consiste nel preparare l’interno. Indirizza pertanto le tue preghiere, le meditazioni, le visite ed altre pratiche di pietà allo scopo di prepararti meglio ai voti. Riuscire degni Salesiani, degni figli di Don Bosco, è tutto: è conseguire il fine prossimo per cui sei entrato in congregazione. Se tutto l’anno hai dovuto essere esatto nel praticare gli esercizi e le regole della nostra società, in questi due ultimi mesi devi esserne esattissimo. Vi son sempre di quelli che credono tutto facile, ma intanto non sono esatti nelle piccole osservanze. Costoro, venuto il momento difficile cadono miseramente. Tu sappi, che, se la osservanza dei voti è paragonata al martirio, è segno che chi vuol poi osservarli tutti ed esattamente deve davvero essere forte nel bene. Perciò tu fa’ ora propositi molto efficaci per riuscire in seguito.

Esami dei requisiti necessari.

Devi poi, in fine del noviziato special- mente, esaminare se sei abbastanza distaccato dalle cose del mondo, per abbandonare tutti i beni terreni ed abbracciare la povertà con tutto il suo rigore; sei hai il cuore abbastanza puro per osare di far voto di castità; e se hai l’animo abbastanza docile per sottometterti in tutto e sempre ai superiori, conformemente al voto d’ubbidienza; se ti sei ridotto ad un naturale abbastanza dolce e pieghevole, per adattarti ai caratteri ed agli umori differenti e alle volte fra loro contrari, quali s’incontrano nelle comunità; se sei abbastanza caritatevole e mortificato per rinnegarti ad ogni tuo compiacimento e comodità, per attender continuamente al bene dei giovani che verranno alle tue cure affidati ed alla salvezza delle anime. Se non avessi questi requisiti, faresti meglio a differire l’emissione dei voti e domandare ai superiori che si degnino prolungarti il tempo della prova, affinchè abbia tempo a prepararti meglio.

Letture utili.

Sarebbe anche cosa buona che ti procurassi, secondo il parere dei superiori, qualche libro ascetico tra i più pregiati, che abbia a servirti di sollievo morale negli sconforti della vita. Puoi servirti della Filotea o dei Teotimo di San Francesco di Sales, della Pratica di amar Gesù o Del gran mezzo della preghiera di Sant’Alfonso, della Imitazione di Cristo del Gersen, dello Scupoli Il combattimento spirituale, del Faber Tutto per Gesù, o di altri che ti possa suggerire il maestro come a te più adatti. È molto conveniente avere uno di questi libri da leggere più e più volte, in modo da poterlo ridurre in succo ed in sangue. Basterebbe anche il servirsi a tal effetto di questo Vade Mecum.

Considerazioni sull’interrogatorio della professione.

Ora prendi in mano il libro delle costituzioni. e vedi in fine l’interrogatorio che ti farà il superiore nell’atto della emissione dei voti. Vi sono in esso ammaestramenti della più alta importanza, che devi conoscere, e considerare, per trarne molti vantaggi spirituali. Il superiore ti domanderà se hai già messe in pratica le nostre costituzioni. E tu devi poter rispondere: ho fatto quello che ho potuto per praticarle nel tempo del mio noviziato. E se non avessi fatto quanto hai potuto, sarebbe questa una bugia bell´e buona. Se caso mai fossi stato trascurato per una parte dell’anno, procura che almeno di questi due mesi possa proprio dirlo con tutta coscienza: che hai fatto quanto hai potuto. Tuttavia per evitare scrupoli, sappi bene che se il maestro (posto, come spero, che gli abbia sempre aperto tutto il tuo cuore) ti dice di andare avanti perchè ti trova abbastanza preparato, tu devi star tranquillo, e fare i santi voti senza esitazione e senza timore. Vuoi dire che lo stretto necessario vi fu, e questo è il superiore che deve deciderlo; tu procurerai poco per volta di ottenere, coi tuoi sforzi e colle tue preghiere, il resto. Poni specialmente attenzione dove il superiore ti domanderà se hai ben compreso che voglia dire fare i voti. Pondera parola per parola ciò che hai da rispondere. Devi dire prima di tutto che l’hai compreso. E ti spieghi chiaramente da te stesso, asserendo comprendere tu benissimo che facendo i voti prometti a Dio di aspirare alla santificazione dell’anima tua, intendi di rinunziare ai piaceri ed alle vanità del mondo, di fuggire qualunque peccato avvertito, di vivere in perfetta povertà, in esemplare castità e in umile ubbidienza. Protesti inoltre di rinunziare a tutte le comodità ed a tutte le agiatezze della vita; che sei deciso di consacrare al Signore ogni tua parola, ogni tua opera, ogni tuo pensiero, e ciò per tutta la vita... Oh se ben ponderassi queste parole, che pure tu pronunzi solennemente al cospetto non solo di Dio e dei santi, ma anche al cospetto di tutti i superiori e confratelli radunati, ti si vedrebbe progredire di giorno in giorno nel bene! E non avverrebbe più che qualcuno scioccamente, e certo colpevolmente, domandi poi lo scioglimento dai voti, colla ridicola ragione che egli fece i voti senza capire quel che facesse. Ripeti a te stesso dieci, cento volte questa risposta, e se non ti senti in cuore la forza di eseguir bene quanto in essa prometti, dà piuttosto indietro fin che sei in tempo. E se vai avanti, sappi che Iddio ti abbraccia e ti terrà sempre per suo diletto; ma sappi ancora che tu resti obbligato ad osservarla, e non potrai più svincolartene, e che, se ti svincolassi per forza, Iddio ti rigetterebbe da sè.

Impegnati di passare tutta la vita nella congregazione.

Altro punto devi considerare attentamente, poiché fai solo i voti triennali. Bada bene, che con solennità, e al cospetto di Dio e dei superiori, all’interrogazione che il superiore ti fa « se desideri di fare i voti perpetui o triennali », tu rispondi schiettamente che hai ferma volontà di passare tutta la vita in questa congregazione; che se fai solo i voti per tre anni, non è che per osservare le regole le quali così richiedono. La spiegazione di tali parole è questa: che la regola, per timore dell’instabilità umana, e perchè possono sopravvenire sode ragioni mentre si è minorenni, richiede che per due volte i voti si facciano solo triennali, affinchè, verificandosi proprio siffatte ragioni, tu possa con coscienza sicura, servirti di questo privilegio di poter uscire dopo tre anni. Ma bada, che se coteste ragioni non sovraggiungessero, tu non potresti senza alcuna colpa uscire. Che se poi tu facessi appositamente i voti triennali per qualche fine umano, ed avessi, già nel farli, l’intenzione di uscire dopo di averli terminati, tu faresti un grave inganno alia congregazione, e non saprei qual teologo possa scusarti d’avere peccato. E di più, uscendo dopo questo formale inganno, saresti obbligato per giustizia a rifare la società delle spese che sostenne per te, facendoti studiare quei tre anni. Non parlo di chi facesse anche i voti perpetui con questi fini umani, o per poter ricevere le sacre ordinazioni, mentre avesse già deciso di uscirne in seguito. Costui sarebbe nò più nè meno che un sacrilego, e le lagrime di tutta la vita non sarebbero sufficienti a lavare sì grave colpa e scandalo, e vi sarebbe pericolo che lo aspettasse la sorte di Giuda. Neppure, notalo bene, non ti scuserebbe il dire che tu in quegli anni rendesti qualche servizio alla congregazione, per esempio con qualche assistenza o qualche scuola; perchè non cessa per questo d’esservi l’inganno, e inganno in cosa grave. Avendo poi quei fini, cioè essendo già deciso di voler uscire dopo, quasi sicuramente non adempiresti con edificazione quegl’impGgni ed uffìzi, di modo che sarebbe più il male che il bene che faresti. Posto pure che facessi bene in tutto, questo certo non basterebbe per corrispondere alle spese che la congregazione fece per te. E finalmente chi potrebbe assolverti dallo scandalo ?

Gli ultimi ammonimenti dell’interrogatorio.

Oh come devi poi tenere preziose quelle ultime parole che il superiore ti dirà! Dovresti scrivertele in mente, affinchè non avesse a passar giorno della vita senza ponderarle. « Ricordatevi spesso, ti dirà, della grande mercede che pi omette il Divin Salvatore a chi abbandona il mondo per seguire lui. Egli ne riceverà il centuplo nella vita presente e la ricompensa eterna nella futura ». E termina: «Se poi qualche volta l’osservanza delle nostre regole vi tornasse di pena, allora ricordatevi delle parole di San Paolo, che dice: Sono momentanei i patimenti della vita presente ma sono eterni i godimenti della vita futura; e che colui il quale patisce con Gesù sopra la terra, con Gesù sarà un giorno coronato di gloria in cielo ». Imparale a memoria, te ne prego: ripetile tanto da rendertele familiari. E specialmente nei momenti difficili, nelle circostanze critiche, quando il demonio soffiasse forte nel tuo cuore, ripetile e ne avrai sollievo e vittoria. Se in quelle circostanze più difficili le dimenticassi, correresti pericolo di naufragare nella vocazione.

Fa’ la, confessione generale.

Preparati a fare la confessione generale, sebbene già fatta sul principio dell’anno: sono le costituzioni che lo richieggono, e non si è mai purificati abbastanza per un atto così solenne e di tante conseguenze.

L’osservanza delle regole.

Mi rimane ancora una parola da dirti, ed è, che preparandoti ai santi voti, devi capir bene la dichiarazione con cui si chiudono le nostre, e quasi tutte le regole delle congregazioni religiose; che cioè le costituzioni non obbligano sotto pena di peccato. Certo queste parole come le altre regole, ti furono già spiegate nelle conferenze, e le capirai bene. Tuttavia parmi conveniente richiamarti qui a memoria ciò che già ti dissi altrove, ed avvisarti bene con le parole di Sant’Alfonso, che, sebbene le regole non obblighino per sè sotto peccato, neppur veniale, quasi mai la trasgressione volontaria di esse, fatta senza sufficiente motivo, va esente dal peccato, o per ragione dei mezzi dei quali ti privi, o per ragione dei pericoli che sopravvengono quando quelle non si osservano, o per ragion dello scandalo che con la detta trasgressione ne avviene. Tu pertanto facendo i santi voti proponiti seriamente di voler osservare esattamente e sempre, una per una, tutte le regole e le deliberazioni dei capitoli generali, debitamente approvate da Roma, che hanno forza di regole. Così ti troverai sempre contento della consacrazione di te stesso fatta a Dio, e ti troverai poi in fin di vita con un cumulo di meriti, che non ti verrà meno per tutta l’eternità e che ti renderà per sempre felice.

Capo XIX DELL’EMISSIONE DEI SANTI VOTI

Il giorno solenne.

Che giorno importante non è mai per l’anima religiosa quello, in cui, ammessa alla professione religiosa, va a pronunziare i santi voti, e promette, e giura a Dio di praticare i tre grandi consigli evangelici e così si lega a nostro Signor Gesù Cristo, con le più fortunate e gloriose catene che si possano immaginare! Sì, il giorno è solenne, il momento è sublime! Sono fortunate quelle catene che ti legano al Signore, poiché non sono quelle degli schiavi, bensì quelle che uniscono lo Sposo alla sposa, l’anima a Dio. Perciò, per niente al mondo l’anima le vorrebbe vedere rotte. E lungi dal pesare sul tuo cuore, devono formare il tuo sollievo e la tua maggior consolazione. Da lungo tempo l’anima tua aspettava questo momento, e aspirava a darsi in questo modo al Signore. I tuoi desideri sono compiuti. È con gran cuore, che, vittima volontaria, godi di andare all’altare per immolarti a colui che non ebbe timore di sacrificarsi sulla croce per te. Nutri bene in te questi pensieri, e fa’ che non siano momentanei e passeggeri, ma duraturi.

Il sacrificio perfetto.

Ed eccoti al punto di poterli emettere: ecco che cominci già gli esercizi spirituali in preparazione! Concentrati: ripensa al grande atto che sei per fare. La professione religiosa offre a Dio un sacrificio perfetto. A Dio solo è dovuto l´onore del sacrificio, poiché egli solo è l’arbitro sovrano della vita e della morte. Fin dal principio del mondo nella legge di natura si cominciò a rendergliene in gran numero. Fra i sacrifizi l’olocausto è il più perfetto, perchè in esso la vittima resta tutta distrutta, per affermare che Dio solo è tutto e merita tutto, e che la creatura è niente. Or la professione è un perfetto olocausto poiché, come dice San Tommaso, vi è olocausto, quando si offre a Dio tutto ciò che uno ha. Ora per mezzo dei tre voti, l’uomo offre a Dio tutti i beni che egli ha e che può avere. I sacrifizi che offrono a Dio gli uomini del mondo sono sempre imperfetti, perchè parziali. Ma quello che si offre col farsi religioso è perfetto perchè totale. Si offre al Signore con il voto di povertà tutto ciò che si possiede, cioè tutto ciò che è esterno a noi. Col voto di castità Gli si offre il nostro corpo; col voto di ubbidienza la nostra volontà, cioè l’anima nostra; dimodoché più nulla ci resta da offrire. 1 mondani con troppa frequenza agiscono come Faraone, che era loro figura, agiva con gli Israeliti, quando domandavano d’uscire dall’Egitto per andare nel deserto a sacrificare al Signore. Egli prima permise loro di sacrificare a condizione che ciò si facesse nell’Egitto: «Sacrificate al vostro Dio in questa terra ». Dopo permise loro di andare a sacrificare nel deserto; ma a condizione clic non vi andassero che gli uomini, e che i fanciulli e le gregge stessero in Egitto: « Ande te solo voi uomini e sacrificate al Signore ». Finalmente permise di andare nel deserto a sacrificare al Signore coi loro figliuoli, ma a condizione che stessero in Egitto le gregge: «Andate e sacrificate al Signore, ma il vostro gregge e gli armenti rimangano ». In questo medesimo modo si diporta il mondo riguardo ai cristiani che al mondo stesso restano attaccati. Il mondo non proibisce assolutamente d’offrire a Dio qualche sacrificio, poiché la sua empietà non è sempre consumata. Ma vuole che lo facciano senza abbandonare il secolo, ed allora i loro sacrifizi sono mescolati ed imperfetti a causa del benessere, del rispetto umano, delle preoccupazioni, delle massime corrotte che regnano nel suo seno: sacrificate in questa terra. Se loro permette qualche volta di allontanarsi da lui, egli vuole che essi gli siano sempre attaccati con qualche legame sensibile. Questo attaccamento del cuore li impedisce di darsi intieramente al Signore, e li fa ritornare al più presto a ciò che pareva avessero abbandonato: le vostre pecore e gli armenti rimangano. Tutti questi sacrifizi sono imperfetti, divisi, e perciò poco accetti a Dio. Mentre invece i religiosi, nel sacrifizio della loro professione non entrano in nessun patto col mondo, e non accettano nessuna condizione nella loro consacrazione al Signore. Simili a Mosè essi dicono coraggiosamente al mondo ciò che il santo legislatore rispose a a Faraone: Noi non possiamo sacrificare nell’Egitto, poiché noi dobbiamo immolare al Signore nostro Dio le abbominazioni degli Egiziani, e se noi distruggiamo in loro presenza ciò che essi adorano essi ci lapiderebbero. F per questo che noi vogliamo andare nel deserto a sacrificare al Signore nostro Dio come egli vuole, e noi vi andremo con tutto quello che possediamo: non ne rimarrà neppure l’unghia. I religiosi devono pure essi immolare al Signore le abbominazioni del mondo, cioè le ricchezze, i piaceri, gli onori, l’attaccamento alla propria volontà, cose tutte che il mondo adora. Essi adunque agiscono saggiamente con l’uscire dal mondo e col ritirarsi nel deserto della religione, per offrire il loro sacrifizio in pace, e per evitare tutto quello che ne diminuirebbe la perfezione. Ma conviene che abbandonando il mondo lo si abbandoni interamente, e non si stia attaccati ad esso per nulla, nemmeno per le cose più piccole. Così la loro professione sarà un vero olocausto; e le loro azioni, attaccandosi alle promesse della professione, parteciperebbero della sua eccellenza e sarebbero come altrettanti atti di religione come dice Sant’Agostino: I religiosi sono coloro che si consacrano totalmente a Dio come olocausto.

Il secondo battesimo.

È per questo che i Santi Padri chiamano la professione religiosa un secondo battesimo. Invero, con la consacrazione intera che in essa si fa, uno si spoglia interamente dell’uomo vecchio per non viver più che dell’uomo nuovo, e vi riceve la remissione di tutti i suoi peccati. In modo che, come coloro che vengono dal ricevere il battesimo se morissero entrerebbero subito in paradiso senza passare per le fiamme del purgatorio, così quelli che fanno professione con le dovute disposizioni, ottengono la remissione di tutti i loro peccati e delle pene loro dovute, ed andrebbero diritti in paradiso se la morte li prendesse subito dopo. La stessa grazia conseguono coloro che entrano in religione come quelli che si battezzano, dice San Tommaso riassumendo e confermando l’opinione degli altri Santi Dottori.

Il martirio incruento.

I teologi ed i Santi Padri paragonano anche la professione religiosa al martirio, perchè essa fa morire il religioso a se stesso, e l’immola continuamente a Dio. Il martirio è l’atto il più eccellente della carità, e perciò cancella tutti i peccati e tutte le pene, ad essi dovute, conducendo il testimone della fede direttamente in paradiso. Nello stesso modo l’oblazione, che il religioso fa di se stesso a Dio con la professione dei santi voti, è così eroica, che non se ne può avere altra maggiore, visto che non resta più nulla a dare a chi ha dato tutto ed anche se stesso. Io ho bisogno, mio buon ascritto, di animarti alla perseveranza nella tua vocazione. Ma non con lusinghe, con promesse non eseguibili, sebbene con dirti in antecedenza: Bada che la professione religiosa è un martirio; ti senti? sei disposto al martirio? In caso affermativo io ti dico: Coraggio, avanti, Iddio è con te. Se ti piace la gloria del martirio bisogna che ne abbracci con animo generoso i patimenti.

So che mi rispondi: Ma io non lo vedo questo martirio; sono al termine del mio noviziato, e non trovo che gioie e consolazioni; e nei medesimi soci professi che conosco non scorgo per nulla traccia di martirio. È vero: il buon Dio cosparge molte volte di consolazione la vita religiosa. Ciò non toglie che per sè non sia una vita di grande sacrifizio, ed anzi vita di martirio. Tu ora sei, come si dice, nella luna di miele; tutto ti torna a bene: hai buona volontà, e Iddio ti dà gli zuccherini delle consolazioni. Finché farai ogni cosa con slancio, sta’ sicuro che sarai sempre allegro e contento, come allegri e contenti erano i martiri nel martirio stesso. Ma appena si rallentasse in te il fervore, subito sentiresti il peso del sacrificio. Non vorrei poi che ti venisse di non sentire il peso dello stato religioso, pel motivo che non osservando bene le regole non senti tutto il peso delle medesime. Questo sarebbe il segno vero della tiepidezza, che rovinerebbe tutto l’edificio della tua santificazione: le regole vanno osservate, anche quando la loro osservanza richiede sacrifizio. Occorre ancora notare che gli sforzi devono essere grandi per sradicare i difetti. Uno è orgoglioso, altri è collerico, altri pigro o geloso. Questi difetti non son compatibili con un buon religioso. È giocoforza sradicarli. Ma lo schianto costa alle volte sudor di sangue! Li sradichi tu con quanta violenza occorre, o te li tieni? Se vuoi esser vero religioso devi sradicarli, e sradicarli ad ogni costo, ti costasse qualunque sforzo. Fa’ coraggio, non cedere, sradica bene ogni difetto, e vedrai che otterrai la gloria come del martirio.

Il martirio dei religiosi, che è un martirio di perfezione, ha ancora sul martirio della fede il vantaggio della durata, poich’esso dura tutta la vita, mentre l’altro finisce spesso con un sol colpo di spada. Ha pure il vantaggio di una scelta pienamente volontaria, ossia d’una spontaneità completa. Poiché, mentre i martiri sono alle volte nella necessità di fare il sacrifizio della loro vita per non apostatare e dannarsi, i martiri della professione religiosa si decidono all’immolazione spontaneamente, senza esservi costretti da nessuna legge, da nessuna circostanza, da alcuna necessità; sono spinti solo dall’amore. Fortunate queste vittime sempre pronte ad essere immolate al Signore dalle mani dei superiori!

Fortunata necessità!

Nel medesimo tempo che la professione, considerata in rapporto a Dio, è un sacrifizio completo, essa considerata in rapporto all’uomo, gli apre una sorgente di meriti speciali in tutte le sue azioni. Quest’obbliga- zione che i religiosi contraggono per mezzo dei loro voti, non diminuisce per nulla la loro libertà, come fa notare San Tommaso: al contrario essa la perfeziona. Se uno considera la libertà in ciò che essa ha di meglio, tal quale si trova in Dio e negli angeli, essa si compendia nella facoltà di poter fare il bene. Ora la proprietà dei voti è precisa- mente di confermare la volontà nel bene, e di metterla nell’occasione di praticare la perfezione. Fortunata necessità, dice Sant’Agostino, che obbliga a fare ciò che è il meglio! Non pentirti adunque mai d’aver fatto i voti! Anzi al contrario rallegratene sempre, per non aver più il potere di fare ciò che non avresti potuto fare che per tua sventura.

Catene gloriose.

Se pertanto i voti sono in qualche modo delle catene, lungi dall’esser catene vergognose e da schiavi esse sono catene gloriose, poiché esse fanno onore al coraggio dei religiosi, e sono i contrassegni della loro perfezione. Esse sono catene fortunate, poiché rompono la disgraziata servitù del peccato, e vincono gli attacchi insidiosi del mondo. Sono catene salutari, poiché rendono fissa l´incostanza naturale, fortificano le risoluzioni, le sostengono nelle tentazioni, e confermano il religioso nel bene, come dice San Tommaso: per il voto la volontà si rafforza nel bene. Esse sono finalmente catene di amore, che lo elevano più presso a Dio, e gli apportano un ornamento, non un peso, come dice molto bene Sant’Ambrogio parlando del giogo di Gesù Cristo.

I voti rendono meritori tutti gli atti dei religiosi.

I voti che pronunziano i religiosi danno ancora un merito particolare a tutto quello che essi fanno. San Tommaso lo prova con tre ragioni che riguardano la qualità degli atti, la loro quantità e la perfezione della volontà che li emette. Quanto alla qualità degli atti, un’azione è tanto più eccellente e più meritoria quanto più appartiene ad una virtù più nobile e più elevata. Ora per mezzo dei voti tutte le azioni di chi li emise appartengono alla virtù della religione, che è la più eccellente di tutte le virtù morali. Così queste azioni hanno due meriti: l’uno della virtù a cui appartengono per se stesse, l’altro della virtù della religione, della quale assunsero il carattere. Per esempio la mortificazione della maggior parte dei sensi appartiene alla virtù della castità; ma per mezzo della professione ogni atto si onora ancora della dignità d’atto di religione, essendo le nostre persone consacrate al Signore. E quest’ultima eccellenza secondo Sant’Agostino, è ben maggiore dell’altra. Poiché, dice egli, la verginità è molto stimabile, ma non tanto perchè essa è verginità, quanto perchè essa è consacrata a Dio. Per quanto concerne la quantità di merito e di donazione, le azioni che il religioso fa con voto dànno più a Dio che quelle ch’egli compie di suo proprio impulso, senza esservi obbligato in modo alcuno. Invero, il religioso per la sua professione non offre solo le sue buone opere ma ancora tutto il potere che aveva di farle o non farle, di compirle per un dato tempo e di lasciarle in seguito. Esso si mette volontariamente nell’impossibilità d’interrompere quelle opere sante che egli votò a Dio (1)[346]. Ora questa offerta acquista agli occhi di Dio un valore considerevole, primieramente a causa dell’atto di rinuncia definitiva di noi medesimi che esso racchiude; in seguito a causa del lato positivo e fecondo dei suoi risultati. Invero i voti, lungi dall’incatenare le nostre forze, chiamano a rassegna tutte le risorse della nostra anima, per metterle d’una maniera completa e perpetua nelle mani di Dio, e potere per mezzo loro e in loro fare qualche cosa di costante e di grande. Infine se si vuole considerare l’azione sotto il rapporto del merito, questo è tanto maggiore quanto esce da una volontà più perfetta; poiché la bontà degli atti esteriori dipende anzitutto dal principio da cui essi emanano. Ora le azioni che si fanno in virtù dei santi voti, nascono da una volontà più perfetta che le azioni le quali, contenendo pure la medesima qualità e la medesima quantità di bene, son fatte senza voto, e perciò produrranno molto maggiori meriti. Invero la volontà è tanto più perfetta quanto è più ferma, più costante e più invincibile. Ed è principalmente proprietà dei voti di dare alla volontà questa stabilità e questa energia invincibile per il bene, come dice San Tommaso. Il medesimo dottore angelico spiega ancora questa medesima cosa con i suoi contrari, dicendo: Come un peccato commesso con una volontà risoluta di peccare e con vera malizia è un peccato più grande, perchè denota una volontà più cattiva, ed un’anima più depravata, che se essa fosse stata fatta per debolezza o per il subito impeto di qualche passione, così un atto di virtù che procede da volontà ben determinata e ben ferma, è più grande che se ella procedesse da una volontà fiacca e languente.

Sii riconoscente e fedele a Dio.

Quanti vantaggi riuniti nella professione! Quanto è buono Dio di farne parte alle anime che hanno fame e sete di giustizia e di perfezione! Quanto fu buono nell’aver attirato anche te a far parte di questo numero, e di averti aperto senza misura i tesori di tutti questi beni. Oh come è bello poter offerire a Gesù tutto quello che abbiamo ed essere sicuri ch’egli lo accetta e lo gradisce! Tu però cerca di prepararti affinchè realmente riesca ad offerir tutto non ritenendo proprio nulla per te. Come Gesù sarà contento di questa tua generosa offerta, e come te ne compenserà se la farai volentieri e completa! Oh mio amatissimo figliuolo: la morte piuttosto che essere infedele alle solenni promesse che fai! Fa’ questa risoluzione: di morire piuttosto che separarti dalla croce di Gesù, alla quale ti leghi coi santi voti. Tutti gli anni da noi si rinnovano i santi voti; ma tu ascolta il mio consiglio, prometti fin d’ora di rinnovarli tutti i giorni dopo la santa comunione. San Francesco Saverio, li rinnovava tutti i giorni, e fu per lui uno dei mezzi più grandi per farsi santo, e diceva di non conoscere miglior preservativo contro gli attacchi del demonio che viene tutti i giorni a tentarci. Prometti di fare il medesimo anche tu, e te ne troverai contento.

Il momento prezioso.

Il momento dell’emissione dei voti è tanto opportuno per domandare grazie speciali, e per fare speciali promesse, che abbiano a durare per tutta la vita. Io ti suggerisco qualche grazia speciale da domandare e qualche promessa da fare in questa circostanza; e tu aggiungi poi quelle altre che troverai più utili per te in particolare, o che ti saranno suggerite dal superiore. Prendi pertanto, tra le altre, questa risoluzione, e sta’ certo che te ne troverai contento: Non mai lasciare un giorno senza fare la santa comunione; rileggerti tutti i mesi di tua vita, in occasione dell’esercizio di buona morte, i proponimenti fatti negli esercizi preparatori ai santi voti, facendovi mese per mese quelle piccole aggiunte o modificazioni che le circostanze suggeriranno; e questo potrà farsi in modo tutto speciale negli esercizi spirituali annuali. Prometti ancora di non voler passare un giorno della tua vita senza fare un qualche ossequio al Cuore Sacratissimo di Gesù, a Maria Ausiliatrice, ed anche a Don Bosco, e procura di concretizzare qual ossequio vuoi fare, e fallo approvare dal superiore.

Grazie da chiedere.

Chiedi poi qualche grazia speciale: specialmente quella di non aver più con qualche nuovo peccato avvertito a perdere la stola dell’innocenza riacquistata coi santi voti, quella di poter fare del gran bene, di poter salvare molte anime. Ed a questo fine offriti a Gesù, pronto a soffrire quanto egli disporrà, anche moltissimo e in ogni modo, purché ti scelga a salvare molte anime. Domanda, se lo vuoi, la grazia di poter essere missionario; di poter morir martire, se non di sangue almeno di fatiche; quella di poterti occupar molto in bene della nostra Pia Società, procurando molte vocazioni, o consolidandone molte. Un altro gran pensiero deve aiutare a ciò chi è nella via del chiericato. È cosa buona che cominci fin d’ora a pensare alle sacre ordinazioni. Lo Spirito Santo ci fa appunto dire per mezzo di Davide: Chi sarà degno di ascendere al monte del Signore, cioè al sacerdozio, o chi starà nel luogo suo Santo? [347]. E risponde; L’innocente di mani e chi ha il cuore mondo. Bisognerebbe essere innocenti e mondi di cuore. Ebbene; tu di’ a te stesso: Sebbene io abbia già avute delle disgrazie spirituali per il passato, ora ho potuto riacquistare l’innocenza. Oh! voglio conservarla questa seconda stola candida, che il Signore per sua bontà mi diede ancora, avendo avuta la disgrazia di perderla prima! E con questi pensieri animati a fare qualunque sacrifizio, pur di non offendere più il Signore.

Capo XX I PRIMI MESI DOPO 1 SANTI VOTI

Sono mesi pericolosi ed importanti.

I primi mesi che seguono immediatamente dopo il noviziato sarebbero mesi grandemente pericolosi per te, se non stessi in guardia sopra te stesso. Il demonio non lascia di tentare, anzi arrabbiato perchè gli sei sfuggito, con gran furore ti assale ancor più fortemente. Alle volte poi ai santi voti succede un tempo di crisi, da cui può dipendere la vita intiera. Sii perciò attento e vigila sopra te stesso, e raffermati nel proposito di volere non solo non tornare indietro, ma bensì continuamente ed alacremente progredire nell’esercizio delle virtù religiose. Devi pensar sempre che ora sei tutto di lui. Devi applicare a te quelle parole che lo Spirito Santo applica ai giusti, che essi cioè tutti i giorni procurano di ascendere e di andare sempre più avanti.[348] Lo Spirito Santo ci avverte inoltre, che colui il quale ben comincia è a metà dell’opera. Giova pertanto che tu, il quale or ora hai fatti i santi voti, cominci veramente bene la vita nuova che hai intrapresa; che ti metta con animo generoso per continuare bene. La via da percorrere fu ben preparata nel noviziato; ma tuttavia ti riesce quasi nuova nella pratica. Uscendo dal noviziato devi essere ben persuaso che la tua virtù è ancora ben poco solida, che il minimo pericolo e le piccole prove possono esserti ben funeste; e che non puoi conservarti virtuoso che a condizione di una vigilanza sostenuta, e della più grande fedeltà alle prescrizioni delle nostre sante regole.

Attento al demonio.

Ricordati anche sempre dell’altro avviso dello Spirito Santo, il quale dice dover preparare l’anima sua alla lotta chi s’incammina al servizio di Dio. Non crederti, no, di non aver più bisogno di vigilar tanto sopra te stesso, nella persuasione che il demonio ti tenterà meno ora che ti sei legato al Signore coi san- li voti. Generalmente il demonio tenta ancora di più; e, rabbioso d’essere stato scacciato da te, dice il Vangelo, va a cercare altri sette demoni peggiori di lui, e riviene ad un assalto anche più feroce; perciò vigila. Sta´ tranquillo: il demonio non può nulla se tu fai la parte tua, perchè il Signore in conseguenza dei santi voti ti aiuta anche di più. Ma se tu dopo grazia così segnalata non facessi la parte tua, il Signore potrebbe permettere al demonio un assalto disperato, e tu, già resoti debole con la poca corrispondenza, cadresti miseramente.

Non dormire nelle consolazioni.

Talvolta invece Iddio concede al novello professo per un tempo notevole un’epoca di tranquillità, di pace, di consolazione. In questo caso sappine ringraziare il Signore. È un dolce che ti concede, affinchè tu sia sicuro del gradimento della tua offerta. Ma neppure in questo caso pensa di addormentarti sui tuoi allori. Attento, che questa stessa tranquillità può essere un laccio del demonio, affinchè lasci di vigilare, per poterti quindi sorprendere all’improvviso, impreparato.

Primi raffreddamenti: 1) Nella pietà.

Ciò che mi fa più paura in te dopo i voti si è, che poco per volta ti lasci andare al raffreddamento. Ciò avviene ordinariamente su due punti: si trascurano un poco le pratiche di pietà, e non si bada più tanto alle piccole cose, lasciandosi sfuggire di tanto in tanto le piccole mancanze. Attento a questi due lacci. Ordinariamente le rovine anche grandi cominciano da una di queste due radici, o meglio da tutte e due insieme, perchè per lo più sono correlative. Se comincia il raffreddamento nelle pratiche di pietà, cominciano pure le piccole mancanze; se cominciano le piccole mancanze, comincia pure il raffreddamento nella pietà. Il primo punto di raffreddamento, per ordinario, avviene nelle visite al Santissimo Sacramento, e nelle meditazioni. Io ti raccomando, per quanto so e posso, che tu non ne lasci alcuna di queste visite che facevi nel tempo del noviziato, e che cerchi di non diminuirle nè nella durata nè nell’intensità della divozione. Per la meditazione dovresti mettere anche maggior impegno. Devi cercare di riuscirci anche me- i glio: s’impara a meditare meditando. Se pertanto ti vedi a riuscir meno, sappi subito scuoterti e prendere mezzi energici per progredire.

2) Nelle piccole cose.

Il secondo punto di raffreddamento deriva dal non tener più tanto conto delle piccole cose. Qui sta il gran pericolo: Chi non fa conto del poco, un po’ alla volta cadrà. Le grandi cadute per lo più non vengono repentinamente, ma son sempre preparate da negligenze e cadute piccole. Sta’ sull’avviso. Anzi bada che il non progredire è già un male. Perciò, appena ti vedessi di non far progresso, rifletti subito sopra te stesso ed al pericolo che sei per correre, e fa’ proposito di badar di più alle piccole cose e di fuggire le piccole mancanze.

3) Nell’umiltà.

Terza causa del raffreddamento è la superbia. Si comincia col dire: «Oh ma adesso non son mica più novizio! ». Sì sì, considerati sempre come novizio, giacche invero lo siamo sempre nella via della perfezione! Non volere qualche privilegio sugli ascritti, nè a tavola, nè in occasione di feste, nè altrimenti. Il Signore richiede che chi è primo si consideri come l’ultimo; ed egli ce ne diede l’esempio. Animo adunque! Se vuoi conservare il fervore, fatti umile, sta’ umile, rintuzza tutti i desideri di comparire, di figurare, di primeggiare. Cerca di primeggiare nell’abbassarti. D’altronde sai quali sentimenti dovrebbe a buon diritto suscitare in te quel dire: Ora non son più novizio? Non sei più novizio; perciò devi già essere bene istruito negli obblighi religiosi. Se prima potevi scusarti allegando l’ignoranza, ora non lo puoi più. Non sei più novizio; dunque devi essere più avanti, più spedito nella via della perfezione. Sarebbe una vergogna per un allievo, essere più indietro al fine di un anno di studi che sul principio. Medita bene questa verità e sappila valutare pel suo peso. Umiliati nel vedere che dopo vari mesi di professione sei forse solo come prima, e forse più indietro di prima, ed adopra decisamente tutti i mezzi per progredire. Facendo i santi voti hai rinunziato a te stesso, ed hai promesso di far vivere in te Gesù; dunque non devi più cercare quanto ti piace, ma quel che piace a Gesù. Alle volte avviene che, fatti i voti, uno crede, come si direbbe, d’essere uscito di minorità e di tutela. Tu non lusingarti con tale idea, che sarebbe un inganno ed un laccio troppo insidioso. Bisogna farsi piccoli, e tenersi piccoli per tutta la vita. Per poco che ci innalziamo, noi non siamo più degni di quel Gesù che abbiamo eletto di seguire e imitare. L’intenzione della Chiesa si è, che il primo triennio dopo i voti sia considerato come un prolungamento ed un perfezionamento del noviziato. Entra in questa intenzione della Chiesa, e considerandoti ancor sempre novizio procura di non lasciar la minima pratica che facevi al noviziato.

4) Nella semplicità.

Quarta causa di raffreddamento nel bene proverrebbe dal non essere più così semplice nei tuoi rendiconti come eri prima, credendo che non sia piu tanto necessario; ed alle volte si arriva ad avere meno stima dei superiori. Bada che questo è inganno del demonio. La confidenza e schiettezza, credo doverti dire, deve essere uguale, quasi maggiore se fosse possibile, perchè entri in un periodo di crisi. Il direttore è stabilito specialmente per te: sta’ pur sicuro che continuerà a dirigerti bene, se tu ti apri sempre con lui. E se fosse un direttore nuovo, da te non conosciuto, sappi che per te non deve mai essere nuovo. Quello che avevi prima teneva le veci di Dio: questo ugualmente tiene le veci di Dio; perciò, avanti tranquillo nelle mani di Dio.

Due raccomandazioni speciali.

Che se la terza prova, che è quella dei voti triennali, si facesse unitamente ai novizi, due cose in particolare ti raccomanderei: 1) Procura di essere agli ascritti di buon esempio. Questo servirà loro per mettersi subito di buona volontà, e la casa prenderà subito l’aspetto di vera casa religiosa. E servirà anche molto a te, poiché cercando di essere di edificazione agli altri, starai in guardia su di te stesso e non farai nessuna azione biasimevole. 2) Associati subito con tutti: non voler stare solo coi piu anziani. Anzi mortificati e va´ subito con chi vedi meno atto, meno attraente, più solitario. È con questo che devi incominciare a dar saggio di essere degno figlio di Don Bosco, e che ti avvii ad essere poi un buon assistente, un buon educatore.

Avvertimenti di San Bonaventura ai nuovi professi. — 1) Non lasciare l’osservanza ed il maestro.

Or tu godrai, se ti aggiungo ancora alcuni buoni ammaestramenti che dà San Bonaventura a questo proposito. « Devono i novelli professi, dice egli, avere grandissima cura di non rilasciarsi dalla cominciata osservanza. Per quanto ti sia perfezionato nel tempo del noviziato, fossi pur arrivato a gran perfezione, devi stare attento ed usar diligenza ed energia per non cader mai con l’opera o con il pensiero in alcun minimo difetto. Perchè se non sei ben risoluto di voler emendare le piccole colpe, a poco a poco insensibilmente ingannato piglierai ardire di commettere anche le colpe maggiori. Il prudente religioso non rifiuta mai nè getta da canto quegli ammaestramenti, che ricevette al tempo della sua prova del noviziato. Neanche subito lascia il suo maestro, come quasi presuma di essere già sufficiente a se stesso. Che se il novizio ha bisogno di guida, anche chi è giovane professo ha bisogno di chi l’ammaestri e governi nel suo profitto spirituale. È vano e finto religioso, colui che subito uscito dalla cura del suo maestro diventa insolente, prende le corna della superbia, si fa presuntuoso ed audace, e come giovenco lascivo, trova da dire contro chi l’istruì e va mancando dalla primitiva sua osservanza, e intiepidendosi nello spirito di preghiera, e con la trascuratezza delle piccole regole va dimenticandosi di se stesso. Lasciando gli accurati esami di coscienza, senza dubbio ne avviene che appaia mondo agli occhi propri, ancorché più non lo sia; e mentre inghiotte le colpe, viene assorto dalla dimenticanza di esse. E intanto le colpe si moltiplicano, e non ci si bada, mentre così moltiplicate impediscono ed oscurano la vita interiore. E siccome i suoi difetti non sono da lui veduti, non si emendano, e poco per volta si diventa sommamente viziosi quasi senza accorgersene. In tal modo, dice la Sacra Scrittura (Eccli., XXII), va sempre diminuendo e peggiorando. Mentre invece chi continua ad amare chi lo istruì, ed a praticare anche nelle piccole cose quanto imparò, va sempre avanti nel bene sino alla perfezione.

2) Umiltà e distacco.

« Or dunque quei che sono professi, facciano professione di far profitto spirituale camminando innanzi nella via delle virtù, e sbandiscano da sé ogni presunzione. A ciò molto gioverà loro la perseverante costanza dell’umiltà e della povertà, la spogliazione degli affetti e delle cure terrene, l´esercizio della carità e l’attenzione del considerare, la quale abbraccia ogni cosa. È dunque una somma virtù del religioso l’umiltà, la quale lo sana da ogni infermità spirituale, lo fa perfetto, e lo conserva; mentre senza umiltà niuna virtù e niuna perfezione si acquista nè si mantiene. Poiché l’umiltà è un certo buono e stabile fondamento nella virtù: in modo che se ella manca, senza alcun dubbio il cumulo di virtù non è altro che rovina. E siccome l’umiliazione è la via che fa scorta all’umiltà, perciò i religiosi non debbono vergognarsi delle cose umili e basse; essendo che chi si umilia per Iddio, sarà esaltato. Nè debbono cercare di procurare che facciano altri gli uffici umili che fossero loro commessi. Fuggi pertanto accuratamente ogni presunzione. Ed ai confratelli che sono avanti a te nella religione devi rendere onore, e sempre in comparazione di loro devi riputarti inferiore.

3) Non visitare spesso i parenti, o immischiarsi negli affari loro.

« Neppure debbono i nuovi professi spesso andare a visitare i propri parenti, nè intricarsi nelle cure o nei loro negozi esteriori; ma ricordevoli della loro salute, attendere piuttosto a far penitenza. Non mai esca dalla mente loro la professione fatta; ma sempre pensino a che fine siano venuti alla religione. Considerino invece quel che di alcuni ragiona San Gregorio, dicendo : Alcuni spesse volte lasciano manifestamente le vie della iniquità e prendono l’abito della santità; ma subito che hanno toccati i principi del ben vivere, scordandosi di quel che già sono stati, non vogliono poi, per la penitenza delle perdonate loro scellerataggini, sentire alcuna afflizione, anzi desiderano di essere lodati, e bramano anche di essere superiori ad altri.

Fuggire le soverchie familiarità

« Inoltre i nuovi professi devono fuggire le soverchie familiarità. Se la familiarità sarà ordinata, non sarà mai nè lusinghevole nè adulatrice, nè fanciullesca e leggera. Ma se non è ordinata si cade in scurrilità, e per l’affetto ad uno si disprezza un altro, e per cagion dell’amico si offende il prossimo[349]. Non si deve poi mai cercare di acquistarsi la grazia od amicizia di alcuno con regalucci.

Servizi di carità.

« Stiano attenti i novelli professi a far volentieri quei servizi che richiede la carità, la quale quanto più si esercita tanto più fa debitori chi l’usa. E se ella si deve usare anche verso i nemici, come mai si potrà rifiutare agli amici? E devi amare e pregare anche molto per quelli che attendono agli esercizi comuni nella casa. Essi con l’umile servitù loro sollevano gli altri. Tutti devono pregare per quelli che si affaticano per la comunità. Conviene che nei beni spirituali Marta partecipi con Maria, giacché certamente sono sorelle. Ed è cosa giusta ed equa che sia uguale la porzione di quello che va alla battaglia e di quello che resta alla guardia dei bagagli, in modo che ugualmente tra loro dividano le spoglie. Perciò quelli che ci fanno servizi materiali è giusto che partecipino con noi nei beni spirituali a loro necessari ».

Molti altri avvisi pone San Bonaventura ai nuovi professi. E tu praticando questi qui sopra esposti procura di sostenerti bene nella via della santità e di progredirvi ogni giorno.

Capo XXI DEL SANTIFICARE GLI STUDI ED IL LAVORO

Necessità per noi di veri studi.

La nostra Pia Società , animata com’è dallo spirito di carità verso il prossimo, deve cercare tutti i mezzi che possono aiutarci a giovare al medesimo. Oltreché un buon sacerdote deve essere sale della terra con la scienza, dovendo catechizzare, predicare, confessare, dirigere anime, il nostro istituto ha ancora per scopo speciale l’educazione della gioventù e la diffusione della buona stampa. Come potremo noi conseguire questo fine nostro, se non si facessero tra noi gli studi, e studi seri? Ciò è portato pure dalla necessità dei nostri tempi, in cui gli studi son tanto progrediti e la stampa cattiva dilaga pel mondo. Vi è di più; i genitori non ci affiderebbero più i loro figliuoli se non si istruissero bene; e nessuno più leggerebbe i nostri libri, se non fossero scritti a dovere. Questa è una ragione di più per noi di attendere seriamente agli studi. La vita del salesiano ecclesiastico, da più a meno, dovrà sempre essere in mezzo agli studi.

Obbligo di studiare.

Gran conto dovrebbe rendere a Dio un trascurato salesiano, che non impiegasse come dovrebbe il suo talento, defraudando colla sua peccaminosa oziosità le premure dei superiori, le sante sollecitudini della congregazione, e l’aspettazione della Chiesa, bramosa di operai che si affatichino con intelligenza nella porzione della vigna del Signore che è a noi affidata. Tu conosci benissimo ciò che accadde a quel servo neghittoso del Vangelo. Costui per aver tenuto ozioso il talento datogli dal padrone affinchè lo trafficasse per trarne vantaggio e lucro, fu condannato come servo infedele ed inutile ad essere gettato nelle tenebre esteriori, a piangere la sua oziosità e colpevole pigrizia. Questa è una parabola, è vero. Ma non è solo parabola bensì una realtà, che tanti e tanti ignoranti religiosi al tribunale del Signore saranno condannati a pagare il fio della loro trascuratezza e vergognosa ignoranza. Avrebbero potuto fare del gran bene trafficando convenientemente i loro talenti, e per essere stati neghittosi formano il disonore e l’ignominia dello stato da loro abbracciato. Non tenere, figliuol mio, sepolto nell’ozio quel talento che Iddio ti ha dato! Proponi di trafficarlo, quando sarà tempo, in grande misura, e di non voler perdere neppur un briciolo di tempo. Tieni come se fosse detto direttamente a te dallo Spirito Santo : « Nessuna particella del buon dono sia da te sprecata ». Come fece Sant’Alfonso in mezzo alle cure immense dell’episcopato, e come fondatore e superiore generale dei Redentoristi, a comporre tante e sì poderose opere? Egli aveva fatto voto di non perder mai un momento di tempo. Come fece San Francesco di Sales, in mezzo a tante cure e sollecitudini, a scrivere tanti libri, e così belli e sapienti? Con tenere da conto ogni ritaglio di tempo. Come fecero tanti uomini illustri, come fece Don Bosco ad operare tante cose ed a trovar tempo di scrivere tanti libri? Noi sappiamo con che usura occupasse anche i più piccoli ritagli di tempo. Procura anche tu d’imitare cotesti sì gloriosi esemplari.

Anche per i coadiutori.

Questo che dico dello studio per i chierici, va detto dell’applicazione allo studio ed al lavoro per i coadiutori. Nè basta il non stare oziosi; noi abbiamo bisogno di un lavoro intelligente, serio, costante! Molti nostri coadiutori devono divenire abili nei vari mestieri e nelle arti, tanto da saper sostenere laboratori, tipografie, librerie. Altri devono imparare a condurre macchinismi, impianti elettrici, cantieri, fabbriche. Altri occorre che siano esperti nei negozi, nelle compere, nelle vendite; che sappiano sostenere uffici di registrazione e di contabilità: vari anche devono essere esperti professori e maestri. In questi impieghi non si può riuscire senza fatiche e continue esercitazioni. Chi perdesse tempo, dovrebbe rispondere al Signore, oltre che del tempo perduto, anche del minor bene che viene atto a fare. Energia pertanto e fortezza nel rendere usufruibili tutte le facoltà compartiteci dal creatore!

Santificare lo studio.

Ma l’occupar bene il tempo e lo studiar molto non basta. È di necessità assoluta d’imparare a santificare questi studi e questi lavori, chè diversamente per fare del bene agli altri trascureremmo noi, o peggio, ci faremmo del male. Niente di più nocivo della scienza, quando non è ben indirizzata. San Paolo ci mette sull’avviso chiaramente: la scienza gonfia (I Cor., Vili, 1). Don Bosco poi vide che gli sforzi maggiori dei demoni, che cercano in ogni modo di rovinare la nostra Pia Società, sono rivolti ad assalirci dalla parte degli studi, facendo rendere profani gli studi, facendoci studiare per fini di vanagloria, e facendo dare maggior importanza agli studi che alla pietà. È quindi di massima importanza per te il trovar modo di santificare i tuoi studi ed i tuoi lavori.

Mezzi: 1) Preferire gli studi sacri.

Io credo che gli studi non ti saran di nocumento, anzi ti serviranno di gran bene, se tu li santificherai appigliandoti ai mezzi, che io qui verrò suggerendoti. E prima di tutto prometti di volerti dare più volentieri agli studi sacri che non ai profani. Noi abbiamo bensì bisogno degli studi profani, e perciò tu devi attenerti anche ad essi a titolo d’obbedienza. Posto ciò attendivi molto volentieri, entrando nell’idea dei superiori che devono comandare tali studi per necessità, essendo un mezzo a noi indispensabile per far del bene. Ma per conto tuo aspira più alle discipline sacre che alle profane. Così se hai qualche tempo libero, anche per contrapporre un antidoto alla proclività naturale che ci porta a conoscere le cose profane, procura di studiare o di leggere qualche trattazione d’istruzione religiosa, di apologetica o polemica cattolica; studia qualche trattato di storia ecclesiastica, di ermeneutica sacra. E specialmente poi dèdicati, quando ne sarà il tempo, con assoluta alacrità alla sacra teologia. Fanne una promessa solenne, di voler a tutti i costi aspirare alla teologia, e di voler poi studiarla bene con tutte le tue forze a suo tempo. Quando le vacanze te lo permettessero, o circostanze speciali te ne dessero agio, prendi volentieri il consiglio di San Girolamo: Occupati a studiare a memoria il Salterio: discatur psalterium ad ver- bum. Ad ogni occasione possibile manda a memoria qualche salmo, quelli principalmente che si recitano con maggior frequenza; e procura anche di capirli, facendone uno studio apposito. San Girolamo racconta che ai suoi tempi fin gli agricoltori di Betlemme, dov’egli passò vari anni, imparavano a memoria i salmi, che poi cantavano in tempo delle loro faccende di campagna [350]. Che vergogna per noi religiosi, che alle volte ci lasciamo prender la mano nell’amare e benedire il Signore dalle vecchierelle e dai buoni campagnoli! Il sacerdote, secondo che lo vuole il Signore, deve essere istruito, deve darsi alla scienza, per poter poi diffonderla al popolo; ed il popolo deve venire da lui per essere istruito, secondo quanto dice la Sacra Scrittura[351].

Anzi il Signore minaccia fortemente, e rigetta quel sacerdote che non cura la scienza[352]. Il nostro San Francesco di Sales vuole che il sacerdote studi molto, e chiama la scienza l’ottavo sacramento pel sacerdote. Insiste nel dimostrare che il male prodotto dai cattivi, e specialmente la così rapida diffusione del protestantesimo, avvenne perchè l’arca santa della scienza, sfuggita dalle mani sacerdotali, era caduta in mani profane. Tu dunque che tendi al sacerdozio, devi imprimerti bene questi detti nella mente, e darti sodamente agli studi, se vuoi che il Signore ti aiuti a compiere un dì la missione a cui egli ama eleggerti.

Non perdere tempo.

Proponiti in secondo luogo di non perder un momento di quel tempo che dalle regole è assegnato agli studi. Il tempo si può perdere in due modi: o collo stare ozioso, o con occuparti in materie non attinenti agli studi imposti. Proponiti di non voler perdere neppure uu briciolo di tempo, neppure un minuto. Ricordati sempre del proverbio che dice: ogni momento di tempo è un tesoro. Non credere questa una esagerazione; è una realtà per tutti; ma una realtà tanto più grave per gli ecclesiastici e per il religioso. In quel momento perduto hai forse lasciato una cognizione che ti avrebbe poi giovato grandemente a fare del bene, che forse t’avrebbe aiutato meglio a salvare un’anima.

Avere intenzioni soprannaturali.

Ti aiuterà in terzo luogo a santificare gli studi, il non lasciar insinuare nessun motivo umano nella loro esecuzione. Non parlo a te di lasciar entrare il desiderio di soppiantare altri, il desiderio di comparire, far bella figura, ecc., che sono indegni al tutto di un religioso! Ma neppure devi lasciarti guidare dal sentimento di curiosità, da quello solo di contentare i professori, di riuscire negli esami, di avere un onesto avanzamento, di studiare perchè gli studi ti piacciono. Questi motivi sono troppo bassi e naturali; tu devi mirare più in alto, assorgere al soprannaturale. Motivi soprannaturali sono: il desiderio di meglio conoscere Dio e le opere delle sue mani, per venir più in chiaro delle divine sue perfezioni; innamorarti sempre più di lui, della sua bellezza, delle sue grandezze: studiare perchè è tuo dovere, cioè perchè è Dio che te lo comanda; perchè con questo la congregazione ne avrà un bene: studiare pensando che lo studio è un mezzo per far del bene alle anime. Studia per questi motivi soprannaturali, e ribatti assolutamente quanto può penetrare di vanagloria, di curiosità o di semplice soddisfazione. Questi, che sono i fini propri di un religioso, sono altresì i motivi che obbligano l’Autore della sapienza ad aprirti meglio la mente, ed a benedire col profitto degli studi la tua applicazione.

Pietà nello studio.

E per venire sempre più al pratico, io ti esorto a studiare pensando che stai alla presenza di Dio, che ti osserva. Pertanto pensa direttamente a dar gusto a Dio collo studio. Oltre all’Actiones ben detto al principio e l’Agimus al fine, converrà che lungo lo studio sappia elevare il tuo spirito con qualche giaculatoria. Pensa a rinnegare ciò che ti piace per far quel che piace al Signore. Da’ ad ogni studio quel tempo che merita, secondo la sua importanza. Studia di più quelle materie che ti piacciono di meno. Tieni qualche immagine sacra, come per esempio quella del Crocifisso, del Sacro Cuore di Gesù, o della Madonna, avanti agli occhi, affinchè ti servano di richiamo. Sappi da cose materiali sollevarti a pensieri soprannaturali, e nelle difficoltà guarda con fiducia al Crocifisso, come faceva San Tommaso d’Aquino. Egli protestò d’aver imparato più ai piedi del Crocifisso, che dai libri. O come San Francesco di Sales, che nelle difficoltà invocava subito Maria SS. quale Sede della Sapienza. Non lasciarti prendere mai dall’impazienza quando non puoi capire o quando non puoi ritenere qualche cosa, nè disturbare comecchessia quando manchi l’assistenza. Non tenere i compagni in poco conto, nè dar loro alcun titolo spiacente. Non ti avvenga mai nelle scuole di star disattento. Tanto meno attendi ad altro studio quando il professore spiega una cosa. E meno poi ancora mostrati superbo coi professori, non acquietandoti alle loro ragioni. Peggio di tutto poi sarebbe se rispondessi ai medesimi.

Non voler immergerti in maniera tale negli studi, che per essi abbia a trascurare la coltura del tuo spirito; onde non si converta in detrimento dell’anima tua, una occupazione che è diretta ai tuo maggior profitto. Già San Paolo ci ammoniva scrivendo ai Romani, a non voler sapere più del necessario[353]; e a non voler saper cose alte, ma di accordarsi cogli umili[354]. Attienti perciò al pratico insegnamento che da un angelo fu dato al santo abate Antonio. Un giorno in cui questo santo sentivasi colmo l’interno di moleste agitazioni nella sua solitudine, gli comparve un angelo in sembianza di monaco. E questi si fece vedere per qualche spazio di tempo al lavoro manuale, che interrompeva poco dopo, mettendosi a pregare; indi tornava al lavoro e poi all’orazione. Ed infine, esortando anche lui a far lo stesso, sparve pronunciando le parole: Fa’ così e sarai salvo. Lo stesso dobbiamo fare noi. Si diano le ore prescritte allo studio, e in quelle si studi alacremente. Via si diano anche le ore all’orazione, e in quelle si preghi ferventemente. In questa maniera tu obbligherai Iddio a non privarti di quegli aiuti che ti son necessari, onde perseverare nella vocazione e nello zelo di fare il bene.

Fa’ quello che puoi e sii umile.

Che se non avessi sortito dalla natura un ingegno aperto per le scienze, sii almeno disposto a fare quello che puoi, raddoppiando l’applicazione, affinchè alquanto più di fatica supplisca al difetto di natura. E se non verrai ad imparare cose molto sublimi, imparerai quanto è necessario per far del bene tra i poverelli. Ma sta’ sicuro che se tu sarai veramente umile e ti adatterai a tutto, c ti occuperai con vera alacrità e pazienza, i superiori sapranno trovarti un’occupazione in cui possa fare non meno bene che un dotto. Perchè agli umili il Signore abbonda di grazie; e ciò che non potranno fare colla dottrina, lo faranno colla santità, come avvenne al santo curato d’Ars, Giovanni Battista Vianney. Fuggi adunque sempre l’ozio. Applicati agli studi che più si adattano alla tua capacità, senza pretendere di volar sublime. E se non si potrà dire che sarai un uomo di gran dottrina, sarai almeno un religioso (erudito nella scienza dei santi.

Capo XXII DEL PASSAGGIO DAL NOVIZIATO O STUDENTATO ALLE ALTRE CASE

Punto importante e pericoloso.

Uno dei punti più importanti e più pericolosi nella vita religiosa è certamente il passaggio dal noviziato o dallo studentato alle altre case. Fin che si è nelle case di formazione, ciascuno ha da pensare a se solo, al suo perfezionamento, a far progresso nella virtù, nello studio e nel lavoro. Nei collegi o negli ospizi si ha da pensare anche agli altri, e si ha da sorvegliare i giovani e lavorare in loro favore. Nelle prime si è guidati quasi per mano, nelle seconde si devono guidare gli altri. È pertanto necessario che ti prepari bene a questo passaggio, e che prenda varie precauzioni, affinchè il mutamento non ti arrechi danno, anzi ti abbia a tornare di tutto vantaggio spirituale.

Giusto concetto della tua missione di educatore.

E primieramente, affinchè nel lasciare il luogo dove hai sempre pensato a te solo per recarti dove sarai in dovere di pensare anche agli altri non abbia ad incespicare ed a far mala prova, è importante che durante lo stesso noviziato, e specialmente nello studentato, acquisti un giusto concetto della missione di educatore della gioventù, a cui è specialmente destinata la nostra Pia Società. Educare (secondo l’etimologia stessa della parola, educere, estrarre), vuol dire sviluppar nei giovanetti le loro facoltà fisiche, intellettuali, e morali, prima non esistenti in loro che in germe. Vuol dire far prender buone abitudini ai propri alunni, e correggere le abitudini cattive a chi già ne avesse contratte; formare degli uomini buoni e morigerati. Yuol dire insomma far cambiare, poco per volta, la faccia della società, render felice l’umana famiglia anche su questa terra, e, quel che è più, preparare veri adoratori a Dio e felici abitatori del paradiso.

Compito difficile.

Ma oltre ad una giusta idea della sublimità della tua missione, devi altresì scolpirti altamente nell’anima, che il compito che ti verrà assegnato, quanto più è sublime ed importante, tanto più è difficile. L’arte del- l’educare vien detta dai sapienti l’arte delle arti, e pochi sono quelli che sanno esercitarla bene. Sì, la missione che ti attende è sublime, ma è pur piena di difficoltà e di pericoli, a superare i quali non è sufficiente il tuo senno e vigore. È missione onorifica avanti a Dio ed avanti agli uomini, ma è aggravata da un’enorme responsabilità; missione efficace ma che serba i suoi premi solo a coloro che sanno sacrificarsi per Iddio e per i giovani. Non credere perciò di potere poi farne un campo di ambizione o di vanità personale. Non credere di poter poi a tuo senno guidare le cose, ed essere lo spauracchio dei giovani, nè che tutto abbia poi a piegarsi al tuo volere. Pensa invece che quell’ufficio che ti verrà assegnato è una responsabilità ed un pericolo, e che l’avrai ad esercitare con timore e tremore, nel modo che è prescritto dalle regole, e sotto la guida dei superiori. E non avvenga mai che, pieno d’una cieca presunzione, pensi a servirti dell’occupazione, che ti venne affidata, per soddisfare la tua ambizione e la tua vanità od il capriccio. Nè credere di poter a tuo senno dominare o tiranneggiare. E non lusingarti d’avere a trovare nella missione che ti sarà affidata un paradiso di delizie e di trionfi. Sappi anzi che avrai a lottare contro te stesso, poiché nuove passioni cercheranno d’insorgere, sia coi nuovi compagni e superiori, poiché il demonio seminatore di zizzania saprà ben far sorgere pretesti di discordia ed occasioni di ribellarsi; sia ancora con le passioni ed ostacoli esterni, e con l’indole proterva di certi giovani. Sono male incamminati coloro che si credono furbi, e tali si vantano ancora coi confratelli e in faccia ai giovani. Questi tali avvisati dei loro mancamenti non faranno caso alcuno degli avvisi, e continueranno a seguire l’inclinazione della loro volontà, e poi la sbaglieranno della grossa, e rovineranno tutto. Se ti lasci guidare dalla presunzione, non avvezzo alle fatiche ed alle privazioni, non padrone di te stesso, non pratico perchè non hai ancora avuto occasioni di lottare colle passioni e cogli ostacoli esteriori, ti confonderai e ti avvilirai alle prime difficoltà. Quante difficoltà nuove e non mai pensate ti si faranno innanzi! E come ti potrai disimpegnar bene in ogni cosa?

Mezzi di preparazione.

Compreso della sublimità, dell’importanza e della difficoltà dell’ufficio che ti sarà assegnato, devi fin d’ora prepararviti nel raccoglimento, nello studio, nella preghiera. Devi fin d’ora esercitarti con l’energia del lavoro e con l’esercizio della pazienza. Vi son poi tre mezzi da prendere, ch’io credo i più efficaci e che qui intendo proporti. Questi tre grandi mezzi per riuscir bene nelle case sono: confidenza in Dio; docilità nel seguire il sistema educativo insegnatoci da Don Bosco e nel lasciarti dirigere dai superiori; spirito di sacrifizio da parte tua. Con queste tre cose spero riuscirai; senza queste perderesti te e perderesti altri.

1) Confidenza in Dio.

Ed anzitutto occorre illimitata confidenza in Dio, operando in tutto con spirito di fede. Procura di capir bene, che nell’educazione della gioventù la parte principale deve esser fatta dal Signore. Devi pertanto tutto sperare da lui. E tu con umiltà non intralciare l’opera di lui immaginandoti che tutto dipenda da te! Ricordati sempre che è indispensabile la grazia di Dio. Ed il buon volere in te non sarà mantenuto che dalla più schietta pietà, fortificata dalla meditazione quotidiana ben fatta, e dalla frequenza alla santa comunione. Ti è necessario un attento esame di coscienza; è questo che farà conoscere bene te a te stesso, e ti aiuterà ad estirpare i tuoi difetti, cosa fondamentale per venire poi in aiuto ad altri.

Retta intenzione.

La vera confidenza in Dio ti farà operare con purità d’intenzione, e manterrà in te lo spirito di fede nell’operare. Nelle nostre azioni, dice Sant’Agostino, bisogna distinguere due cose, il corpo e l’anima: il corpo che è come il fondo dell’azione, e l’anima che è come il motivo di essa. Se non vi è l’anima, per Iddio non vi ha nulla; l’intenzione ed il motivo son quelli che procurano la sua gloria. Questa retta intenzione, mentre accrescerà a dismisura il merito delle tue azioni, ti aiuterà ad acquistare la semplicità, e sarà la più sicura salvaguardia contro i pericoli che potrai incontrare al principio della tua missione.

Spirito di fede.

Lo spirito di fede, cioè il pensiero e la persuasione che tu sei uno strumento nelle mani del Signore, e che i tuoi superiori ti manifestano la volontà di Dio, ti riempirà l’animo di coraggio. Esso allontanerà da te lo spirito di pusillanimità, ovvero quella falsa umiltà e sfiducia vile di te stesso, per la quale taluno non osa slanciarsi nel bene. Allorché ti è affidata un’obbedienza, un’occupazione, mettiti con- tutto l’animo attorno ad essa, come se l’esito dipendesse totalmente da te. Ma intanto confida tutto in Dio, sapendo che ogni cosa dipende da lui.

Riflessione e prudenza.

Evita tuttavia quella prontezza materiale nel fare quanto ti è prescritto, che pur conoscendo qualche inconveniente nell’ordine ricevuto non ti lascia parlare, coll’idea che l’ubbidienza deve essere cieca. In questo caso conviene far vedere l’inconvenienza della cosa, purché tu sia sempre disposto a sottometterti con semplicità e prontezza quando il superiore vede diverso, persuaso che la cosa riuscirà ancorché non combini colle tue viste particolari. Soprattutto evita l’inconveniente di chi manifesta agli altri, o almeno lascia trasparire il suo disparere coi superiori. Neppure in caso di cattiva riuscita non voler far palese l´errore di chi ti diede l’ordine, quasi per giustificare la tua condotta dinanzi ai giovani ed agli esterni. Questo manterrà in te l’umiltà, nella casa la carità, dinanzi ai giovani ed agli esterni l’amore e l’onore della congregazione.

Non aver prevenzioni.

Una cosa direttamente contraria a questo spirito di fede è l’andare in una casa con prevenzioni. Bisogna che stia premunito contro il contagio delle mormorazioni, sull’andamento di qualche casa, o sul modo di fare di qualche confratello, e persino di qualche superiore. Questi malaugurati pregiudizi sulla qualità delle case e delle persone fan sì che sì vada in quelle già mal disposti, e se uno è già di poco spirito va con perenne malcontento e celato disgusto, e questo sarebbe principio di fatali traviamenti. Se tu vai nelle case con vero spirito di fede, poco t’importano le chiacchiere di chicchessia. A te poco importa che la casa abbia una posizione invece che un’altra; non darai ascolto a chi ti dirà che nella casa i confratelli non hanno buon spirito, che non potrai adattarviti. Tu va’ deciso di far sempre e in tutto il tuo dovere, e sicuro che Iddio ti aiuterà. Parimenti procurerai di tener lontano qualsivoglia pregiudizio riguardo il carattere dei giovani che ti saranno affidati, degli uffici che dovrai disimpegnare. Disponiti a lavorare unicamente per Iddio, e non fermarti affatto, per quanto sta da te, sopra queste umane considerazioni.

Non preoccuparti.

Le preoccupazioni sono un altro male, che deriva anch’esso dalla mancanza di spirito di fede, e che ti può essere sommamente pernicioso. Non lasciarti preoccupare di nulla. Non andare nelle case con mille progetti per la testa, e non fabbricar castelli in aria, che non potranno mai verificarsi. Va’ con tutta semplicità, disposto a lasciarti dirigere, e sicuro che il Signore ti aiuterà. La preoccupazione produrrebbe cattivo effetto, nello stesso disbrigo delle tue occupazioni. Pensando a quel che ti potrà succedere in avvenire, se potrai conseguire quello che aspetti, vivresti inquieto e disturbato. Non lasciarti preoccupare da pericoli futuri, pensando come potrai superarli considerando la pochezza del tuo ingegno, la scarsezza delle tue facoltà. È il demonio che suscita in te questi timori! Egli non tralascia di fare la parte sua; se tu non confidi in Dio, ti metti in pericolo di perdere il coraggio, e giungerai persino a dubitare della tua vocazione.

Non spirito profano.

Alla mancanza di spirito di fede va attribuito lo spirito profano, che alle volte si acquista appena andato in una casa. Vi è chi, a modo dei mondani, riguarda la vita religiosa come una carriera, e si propone il conseguimento delle varie cariche ed uffici come una promozione dovuta. E persino si attendono gli ordini sacri, come una ricompensa dei servizi resi. No: l’ubbidienza, togliendo e donando, è sempre onorifica; e non devi cercare l’avanzamento che nelle virtù! Il sacerdozio, notalo bene, non lo devi considerare come premio delle fatiche, dell’ingegno e degli studi, ma solo corona di provate virtù. Se non procedi con questo spirito di fede, tu non otterrai niente avanti al Signore; non edificheresti i compagni, non riusciresti a fare del bene e ti troveresti a mani vuote nel dì del giudizio.

Docilità al sistema di Don Bosco e ai superiori.

Devi inoltre proporti d’essere docile nel seguire il sistema educativo insegnatoci da Don Bosco, e nel lasciarti dirigere dai superiori. Salomone domandava al Signore un cuor docile, ed io dico a te, che una delle cose a cui devi maggiormente attendere, è di farti docile, lasciandoti guidare volentieri da chi di ragione. Il primo atto di docilità consiste nel seguire le tracce lasciateci da Don Bosco. Egli nel suo mirabile sistema preventivo per l’educazione della gioventù, ci tracciò in poche pagine una via da seguirsi; noi dobbiamo tenerci attaccati a quello come polipi allo scoglio, sia perchè ci viene dal padre e perchè assolutamente buono, sia per l’uniformità di metodo in tutta la congregazione, sia ancora perchè, essendoci proposto dai superiori, saremo benedetti dal Signore se lo praticheremo. Nè basta proporsi di seguire in generale il sistema propostoci. Vi son mille pratiche applicazioni di questo sistema che sfuggono alle menti anche più acute. Il modo di applicazione del sistema nelle sue particolarità, adattandolo alla qualità della casa, dei giovani, delle circostanze, dev’essere indicato dai superiori. Pertanto è necessario che tu vada nella nuova casa che ti è assegnata, con lo slancio bensì della buona volontà, ma spoglio di ogni presunzione. E sebbene abbia già avuto molte cognizioni teoriche riguardo all’educazione, e forse anche abbia già esercitato questa arte con qualche tirocinio, devi andarvi profondamente convinto che solo con l’umiltà, con la docilità, con la fedele guida dell’esperienza dei maggiori, e man mano colla propria esperienza, riuscirai fin da principio a far qualcosa di bene. Invece con la stolta presunzione non farai nulla di bene, e riuscirai anzi a guastare l’opera altrui. Molti credono di sapere troppo, più di quello che non sanno; e perciò giunti nelle case non solo non accettano con docilità i consigli dei superiori, ma la pretendono a maestri e riformatori. Questo è quello che rovina tutto, sia perchè così si privano del potente aiuto che possono somministrare i superiori, sia perchè questa presunzione è per lo più in ragione diretta con la loro ignoranza.

Lasciati guidare minutamente.

Uscito testé dalle cure quasi materne del noviziato e dello studentato, e gettato nel campo del lavoro, hai bisogno, anche per quel che riguarda te privatamente, di un padre che ti compatisca, ti ami, ti consoli. Guidato finora quasi per mano nell’andamento dei tuoi doveri religiosi, ed avvezzo ad essi quasi per consuetudine, ed attiratovi dall’esempio dei compagni, se ora non ti fai guidare molto particolareggiatamente dal nuovo direttore, corri pericolo di cadere nella tiepidezza e nel languore. È di assoluta necessità che una mano esperta, una voce benevola tenga ognor desto in te il fervore, e t’insegni ad operare a modo. Fa’ pertanto con assoluta regolarità il rendiconto, affinchè il direttore possa ben conoscere gli andamenti ed i bisogni tuoi, e ti possa esser largo di consigli e degli aiuti opportuni. Non far distinzione tra direttore e direttore, ma avvèzzati a vedere in lui coll’occhio della fede il rappresentante di Dio.

Non pretendere troppo.

Non credere tuttavia che il direttore delle case particolari abbia da fare per te tutto ciò che per te faceva il maestro dei novizi, od il direttore delle case di noviziato o di studentato. Ciò è impossibile. Nelle case di formazione l’unica cura dei superiori è di pensare a formare voi; nelle altre si ha anche da pensare ai giovani, ed il direttore deve contare sulla tua formazione già in parte compiuta. Egli sa che sei giovane, e che abbisogni ancora di molte cure; ma sa pure che le basi della tua formazione sono già poste, che tu devi già in molte cose sapere sostenerti da te. Tu pertanto procura di porre in te fin d’ora un fondo di virtù sode, e di prudenza pratica, che t’aiuti poi in quelle circostanze nelle quali non potrai consultare il tuo direttore. E persuaditi, che nel disimpegno costante del tuo dovere e nelle pratiche di pietà, troverai abbondantemente tutti i mezzi e sostegni che avevi nel tempo del noviziato e studentato.

Lasciati guidare nel trattar coi giovani.

Nè meno grave è il bisogno che hai di sorveglianza e di direzione, per trattare coi giovani che ti saranno affidati. Anche dopo aver studiato pedagogia, anche dopo aver letto il regolamento del tuo ufficio, chi ti scioglierà le difficoltà che incontrerai nella pratica, se non il direttore e gli altri superiori locali? Riconosci bene, che, per quanto tu sia di buona volontà, sei inesperto; e che perciò la tua riuscita dipende specialmente dal farti guidare. Devi, in modo particolare in questi tuoi princìpi, molto, frequentemente comunicare coi superiori. Gèttati pertanto a corpo perduto nelle mani del direttore, rivolgiti molto frequentemente al catechista, al consigliere scolastico. Informati umilmente presso gli altri professori ed assistenti più anziani. Senza questo incorreresti in mille sbagli, prima di arrivare ad orizzontarti bene nel nuovo tuo ufficio. Felice chi si fa cauto dall’esperienza degli altri, e non a proprio scapito. Specialmente nel primo anno tienti in continua relazione col maestro del noviziato o col direttore dello studentato. Esponi loro le tue difficoltà, affinchè essi che già tanto bene ti conoscono, possano aiutarti nelle varie difficoltà che eventualmente potresti incontrare. A tale effetto sappi che è secondo le nostre consuetudini che, quando un chierico od un coadiutore parte dalla casa di noviziato o di studentato per recarsi nei collegi a compiere qualche ufficio, pel primo anno il maestro od il direttore della casa da cui parte si tenga in relazione con lui rispondendo alle sue lettere, e dandogli gli opportuni consigli e conforti, e sciogliendo le difficoltà, per rendere così meno sensibile, e perciò meno pericoloso il cambiamento di vita avvenuto.

Tu pertanto sappi servirti di questa buona norma, e tienti in relazione, e domanda consigli, ed anche i conforti di cui abbisognassi, dall’antico tuo maestro o direttore.

Spirito di sacrificio.

Il terzo gran mezzo, che devi prendere fin d’ora per riuscire poi a far del bene nella casa dove sarai inviato, consiste nel procurarti un vero spirito di sacrificio. La vita dell’uomo non può andare esente da patimenti, e nessuno mai riuscì in cosa alcuna senza fare dei sacrifizi. Ma l’educazione della gioventù richiede sacrifizi perseveranti e continui, ed alle volte ben grandi. Se uno non è pronto ai sacrifizi, anzi se non acquistò già l’abito di far sacrifizi, non riuscirà mai un educatore. Senza grandi sacrifizi non si è mai riusciti a ridurre al bene certi caratteri ribelli e neghittosi. Questi sacrifizi ;sono multiformi, e si presentano a noi sotto vari aspetti.

Perfetta osservanza regolare.

Si richiede anzitutto molto spirito di sacrificio per mantenerti nella perfetta osservanza della vita religiosa. Diametralmente opposta a questo spirito di sacrificio è l’accidia e la trascuratezza nelle pratiche della comunità. Molti sanno esigere dai giovani la regolarità, il silenzio e la disciplinatezza; ma poi essi stessi non praticano quello che raccomandano. Non si fanno scrupolo di perder tempo, o lo impiegano a leggere libri inutili, o giornali, che disseccano lo spirito e lo rendono fiacco, nauseato della vita spirituale e della regolare osservanza. Tutto questo è deleterio; com’è deleterio il non stare alle regole comuni, il cercar sempre dispense ed eccezioni. Vi è chi pretende dai giovani; poi, per futili motivi, egli stesso non si trova puntuale nell’assistenza, manca nelle ricreazioni, non si prepara adeguatamente le lezioni, non corregge i compiti dei giovani, esce di casa, o vuol far giochi a sè. Sta’ attento ad evitare questi difetti, se vuoi riuscire bene nel nuovo compito tuo.

Vittoria su se tessi.

Grandi sacrifizi ti son necessari per vincere te stesso. Per riuscire ad educare bene è necessario aver grande carità, mansuetudine e dolcezza nei modi; andar sempre di buon accordo con tutti, non offendersi mai con nessuno. Vi abbisogna umiltà coi superiori, cordialità con gli uguali, pazienza e zelo con gl’inferiori. Occorre uno spirito di castità e d’imparzialità da superare l’ordinario; distacco da se stessi, dagli studi geniali e dalle letture amene e divulgative, e studio indefesso di cose serie. Come acquisterai tutte queste qualità e praticherai tutte queste cose se non hai acquistato grande spirito di sacrificio?

È poi di certo assai commendevole, giova ripeterlo, lo zelo ed il desiderio di lavorare molto in mezzo ai giovani. Ma sarebbe intempestivo e male ordinato, qualora, pel vano pretesto di lavorare per gli altri, desiderassi di accorciare il tempo del tuo ritiramento e degli studi, o del tuo tirocinio pratico, per esercitarti più presto a pro degli altri. Si farà molto più in pochi anni da uno che esce dallo studentato ben preparato, che non in molti anni da uno che non abbia atteso nel debito tempo a consolidarsi bene. A questo riguardo è bene richiamarti alla memoria, che col non domandare b ricusare nulla, si fa più sicuramente e con maggior merito la volontà di Dio.

Attento al mal esempio.

Avverti in ultimo di scansare uno scoglio pericolosissimo, in cui potresti urtare se non vegliassi su te medesimo: è il mal esempio. Iddio alle volte, per mettere alla prova la nostra virtù, permette che vi sia qualcuno di non regolare condotta. Ma tu cammina diritto per la tua via, segui gli ammaestramenti del direttore e gli esempi di molti buoni confratelli. Qualora ti avvedessi che qualcuno si mostrasse mormoratore, o che facesse partiti, non lasciarti adescare. Abbandona recisamente quella compagnia, ti costasse anche sforzi gravi! I partiti, anche se suscitati con buona intenzione, fanno sempre del male. In tali circostanze stattene sempre inflessibilmente col direttore, e tutto ti riuscirà bene.

Capo XXIII I RICORDI DEL NOVIZIATO

II mazzolino dei ricordi.

Eccoti adunque arrivato sul campo del lavoro. Tu hai desiderato molto di poter lavorare nella vigna del Signore, stavi nascosto volentieri e ti preparavi là nello studentato alle lotte. Sapevi quel che dice il Vangelo, che se il grano di frumento non è gettato sotterra e non muore, resta infecondo; che se è gettato sotterra e muore, renderà gran frutto.[355] Tu adunque sei stato nel noviziato e nello studentato nascosto e sepolto, e ti sci preparato. Ora è il caso di render frutto. Va’ adunque, va’ tranquillo: gettati con coraggio a far del bene nella vigna del Signore; molti aspettano da te la salute. Ma affinchè il lavorare a pro degli altri non abbia ad essere di danno a te stesso, fa’ come un mazzo delle principali cose che ti dissi fin qui, e, secondo le parole di San Francesco di Sales, adoperalo con frequenza, e ti serva come ricordo che porti dal noviziato.

Conserva la tua vocazione.

Ricorda sempre anzitutto che la vocazione è una grande grazia, e come una perla preziosa che devi custodire fino alla morte. Ogni tua opera sia indirizzata ad ottenere la perseveranza nella medesima. Disgraziato te, se facessi pur miracoli, ma intanto perdessi la vocazione. Certamente che anche a Giuda il Signore diede il dono dei miracoli, ma non corrispose alla vocazione e si perdette. Nè cercar solo di conservarla in generale; ma datti ad amare la vocazione tua particolare. Ama molto la nostra Pia Società, a cui ti sei incorporato. Pensa ad onorarla; rifletti sempre che sei figlio di Don Bosco, e questo sia tenuto da te come una gloria. È questo il nostro titolo, il solo titolo di nobiltà che abbiamo, e nobiltà obbliga. Non avvenga mai che quasi non osi professarti tale! Ricorda che la vocazione non si conserva senza il sacrifizio. La tua vocazione è certo il maggior bene che abbia ricevuto dopo il battesimo; così a conservarla devi esser pronto a fare i sacrifizi anche più grandi. Che se per conservare la fede si deve esser pronti, occorrendo, a subire anche il martirio, dovresti esser pronto al martirio stesso, per conservar la vocazione. E poiché non verrà forse il martirio nel senso assoluto della parola, tieni che se dovessi sopportare un martirio di umiliazione, un martirio di persecuzioni un martirio di sforzi, sei obbligato a sopportarli. Applica a questo, quanto San Paolo diceva ai fedeli che trovavano dura l’osservanza della legge di Dio[356]: « Avete voi già forse resistito fino al sangue? No: dunque avanti, pronti a resistere fino alla effusione del sangue! ».

Rinnega te stesso.

Ricordati sempre che l’essenza dello stato religioso è riposta in quelle parole del Divin Salvatore: « Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso»[357]. Devi rinnegarti, non devi più viver secondo il mondo. Devi esser affatto un altro da quel che è il mondano. Se non rifai completamente te stesso e se collo spirito non mortifichi le opere della carne, finirai per non essere un religioso degno di tal nome: finirai per morire alla religione. Bada che la grande opera da compiere, che è la completa trasformazione di te fino a vincere totalmente il tuo carattere, non è cosa che si compia tutta nel noviziato, e neppure nello studentato; è opera di anni ed anni: è opera che può dirsi di tutta la vita. Bisogna che, specialmente quando cominci ad esser più padrone di te, quando cominci a comandare un poco, ad avere qualche carica tu stia attento a rintuzzare fortemente le corna della superbia, della sensualità, della irascibilità, dell’accidia, dell’infingardaggine e dell’invidia, appena cominciano a scattar fuori. Energia in questo! Guai se la superbia ti cornicia a mettere in contraddizione con qualche altro superiore, e la vanità ti fa cercare di comparire! Guai se la sensualità ottiene da te che cominci a desiderare il mangiare od il bere meglio, od a porre la tua affezione più ad un giovane che ad un altro. Guai se l’irascibilità ti vince e ti fa trattar male i giovani, e ti porta a qualche violenza contro di loro; o se l’accidia nelle cose spirituali o l’infingardaggine cominciano a farti indifferente nelle cose di pietà o negligente nei tuoi doveri! Tu saresti perduto. Attento ad attutire i princìpi delle passioni. Prenditi per stemma: Niente, mai ciò che piace a me; tutto, sempre ciò che piace al Signore. Con questo principio tu non troverai scoglio di sorta nella vita religiosa. Ti troverai anzi sempre contento e farai del bene, del gran bene, perchè da Gesù sarai eletto a strumento della sua gloria. Ma questo principio non sia teorico; riducilo alla pratica. Giorno per giorno, azione per azione, specialmente nelle principali, in ogni evenienza e circostanza sappi ripetere: Niente, mai ciò che piace a me; tutto, sempre, ciò che piace al Signore.

Carità e pazienza.

Procura d’andar di buon accordo con tutti. Ciò non si ottiene mai senza sacrifizi da tutte le parti. Tollera, cedi, sopporta, perdona; anzi cerca di neppur accorgerti di certe sgarbatezze o freddezze; o piccole malignità di qualcuno. Dopo sarai contento; che se tu stai sopra i piccoli puntigli, e cerchi le piccole vendette, avrai continui dispiaceri e disgusti. Se tu fossi di quelli che si sogliono chiamare caratteri forti, ma che altro non sono che caratteri duri e testardi, e avessi ad incontrarti con altro carattere simile al tuo, la pace sarebbe al tutto sbandita da quella casa; e quella che doveva essere per te e per tutti casa di benedizione, sarà casa d’inferno. Anche dai giovani avrai tante occasioni di esercitare la pazienza e la carità. Alle volte saranno importunità o sgarbatezze, impertinenze e perfino provocazioni che fanno ribollire il sangue, altre volte malignità di più grave genere che turbano e vorrebbero eccitare allo sconforto ed allo sdegno. No, caro, non sdegnarti! Non colle esorbitanze e colle escandescenze, non coi puntigli e coi risentimenti della natura, ma con la soavità della grazia e colla grande carità dobbiamo promuovere, zelare il bene del prossimo. È proprio dell’uomo, è vero, in questi casi sentirsi alterare; ma deve pur essere proprio del buon religioso, il rendersene superiore e reprimersi e tacere nell’ impeto della passione, e contrapporre la carità a chi l’ha violata. Per riuscire a meglio padroneggiarti in tali eccitazioni ti varrà il pensare subito alla passione del Signore; sarà questo un gran mezzo per scontare a tua volta le offese che tu stesso hai fatto al Signore. Considera nello stesso tempo che questo è anche un mezzo di gran merito per te, costandoti esso tanto sacrificio. Più che tutto, pensa a ritrarre la mansuetudine di sù e di Don Bosco nostro padre.

Osservanza e studio.

Abbi poi sempre in mente che la regola è regola, e che tu hai abbracciato le regole per osservarle; e che è la loro osservanza che forma il religioso. Non cominciare a tenerne qualcuna in poco conto o trasgredirla: fatto il primo strappo, non mancherà motivo di fare il secondo, e tu saresti rovinato nella tua vita religiosa. Qui applica il « principiis obsta ». Guai se si comincia a trasgredire qualche regola; guai se si comincia! Per qualunque occupazione tu abbia, non dimenticare mai di fare qualche studio sacro: non fosse che di qualche quarto d’ora. Ma non dimenticarlo; anzi da’ ad esso tutta l’importanza che si merita. E negli altri studi occupati solo per necessità e per ubbidienza e solo fino a quel punto che la necessità e l’ubbidienza richiede. Ricordalo questo avviso! Non ti sembrerà di troppa importanza, eppure può essere l’avviso più importante, quello che ti salva.

Due scogli da evitare.

I due scogli maggiori che puoi incontrare saranno: nell’interno delle nostre case, le mormorazioni; per l’esterno, gli inviti dei parenti ad aiutarli. Io ti prego e ti scongiuro per quanto hai di più caro al mondo: fa’ guerra assoluta alle mormorazioni, non frequentare chi mormora; e non solo non farlo tu, ma non voler sentire altri mormorare. Il malcontento è tanto facile ad insinuarsi; è tanto facile il venire a perdere la stima di qualcuno; noi siamo tanto fragili! Che se in casa vi fosse qualche partito, come sopra dicevamo, tu non cedere a prendervi parte, e mai contro il direttore, per nessun motivo. Se conoscessi qualche cosa di grave rivolgiti all’ispettore, o direttamente al rettor maggiore; ma non palesare mai ad altri quel che tu sapessi di male di qualche superiore. Ai parenti hai rinunziato: la tua famiglia è la congregazione. Non bisogna che ti immischi più nelle cose loro; procura di neppur sapere i loro interessi. Non interrogarli mai nè a voce nè per iscritto in proposito: è già troppo se stai ad ascoltarli quando te li contano, senza che tu li interroghi. Questo è un sacrifizio grande: ma è necessario.

Rendiconto e sistema preventivo.

Abbi confidenza. Fa’ sempre bene i tuoi rendiconti; falli con schiettezza infantile. E se ti capitasse qualche grave disgrazia morale con altri, sappi che solo il direttore può salvarti; va’ subito a lui, esponi tutto, fa’ quanto ti dice. Se per timore taci, può venirne gran danno a te, e gran danno all’Istituto dove sei, e forse all’ intera congregazione.

Il sistema preventivo è il sistema della carità. È certamente il Signore che lo ispirò a Don Bosco. Non ascoltare chi ti consigliasse ad adoperare altro sistema coi giovani. Oltreché non otterresti i buoni frutti che si desiderano, allontaneresti anche la benedizione del Signore da te. Perchè non saresti obbediente alle cose volute da Don Bosco e inculcate da tutti i superiori. E poi semineresti la ribellione in casa, e con questo l’infelicità tua, e l’infelicità di altri.

Divozione al Sacro Cuore ed a Maria Santissima.

Abbi una divozione grande al Sacro Cuore di Gesù ed una tenerissima a Maria Ausiliatrice. Queste saranno le ali, con cui potrai veramente volare nella via della perfezione e librarti sicuro fino al paradiso. Ma l’una e l’altra divozione siano pratiche: fa´ quindi frequenti visite in chiesa; di’ ancora più frequenti giaculatorie, massime nelle circostanze e nei casi più gravi; fa’ frequenti comunioni, sia sacramentali che spirituali; e sempre, in tutto, una confidenza, un ricorso illimitato a sì buon Padre e a sì buona Madre Celeste.

Confessione e meditazione.

Non lasciare la confessione settimanale; fìssati bene il giorno e sii costante in esso. Non cercare altro confessore fuori degli stabiliti. E, sceltone uno, procura di non più cambiarlo se non per ragionevoli motivi. Credi a me: fa’ sacrifizi anche eroici se occorrono, suda sangue se è necessario; ma non cercare altri confessori. Il Signore saprà premiarti; lo sforzo che dovrai fare ti sarà ben compensato con altri vantaggi e consolazioni. E la meditazione? Quanti sforzi farà il demonio per stornartene! Sii costante, e costante non solo nel farla sempre, ma costante negli sforzi per farla bene. Le rovine spirituali pei religiosi cominciano quasi sempre di qui. Uno si intiepidisce nella meditazione, comincia ad arrivar tardi, poi a stare mal composto; poi si lascia svagare apposta la mente a pensare ad altro, poi qualche volta tralascia affatto la meditazione. La rovina è bell’e terminata.

Evita le piccole mancanze.

Bada molto a quelle che si dicono piccole mancanze. Non uscire senza permesso; uscendo con permesso, non andar a trovare conoscenti, amici, parenti. Anche in casa non stare a perder tempo con chi venisse solo per contare le cose di fuori. Non scrivere assolutamente, neppure una volta, lettere senza farle passare pel tramite del superiore. Non entrare nelle camere o celle altrui; e assoluta- mente non permettere che altri entri nella camera o cella tua. Non tener bibite e commestibili: sii costante ad alzarti alla levata comune. Sono tutte cose che sembrano piccole e son grandi. Ricorda che non ti è lecito tener danari; se ti lasciassi vincere su questo punto, non mi stupirei » neppure della tua apostasia.

Attento ai libri ed alle idee!

Non lasciarti prendere dalla curiosità o velleità di voler leggere ogni sorta di libri. Ora vi è la smania delle idee nuove, e si vorrebbe legger ogni nuovo libro che esce. Guardati! San Paolo ci avvisa di essere guardinghi prima di dare ascolto alle idee nuove[358]. Ed altrove ci previene di non voler sapere più del necessario [359]. Stiamo col Papa, coi superiori e non si sbaglierà. Ma il voler leggere libri curiosi e su ogni sorta di idee è una delle cose che maggiormente ha servito di rovina a vari dei nostri, e che potrebbe sedurre anche te se non te ne guardassi bene. Tieni questi come ricordi che porti con te partendo dal noviziato, e il Signore ti benedirà .

PARTE TERZA DELLA PIETÀ

Capo I DELLA VERA PIETÀ E DIVOZIONE

Necessità della pietà.

Lo Spirito Santo inculca a tutti di esercitarsi nella pietà perchè essa è utile a tutto, e per le cose della vita presente, e per quelle della vita futura[360]. Essa nella vita spirituale è necessaria, come è necessario l’olio nella lampada perchè sia mantenuta la fiammella. Nello stesso modo che la lampada si spegne mancando d’olio, così le nostre virtù illanguidiscono e vengono meno se non sono corroborate dalla pietà. La pietà adunque è la molla generale, che ci fa progredire nella virtù, e ci rende degni del nostro stato. È essa che ci rende abili ad osservare prontamente, completamente e costantemente tutte le regole e gli ammaestramenti dei superiori. Senza di essa è impossibile esser costanti nell’osservanza delle nostre Costituzioni e dei nostri doveri, e divenire buoni religiosi.

Come dev’essere.

Ma la pietà e la divozione non devono essere superficiali o fittizie, bensì profonde e sode. Devono informare tutto il cuore del religioso, ed occuparlo tutto, affinchè egli possa corrispondere alla sua vocazione. È da notarsi bene, che come non tutti quelli che dicono: Signore, Signore, sono giudicati da Dio atti pel regno dei cieli, così non tutti quelli che si dicono divoti posseggono la vera divozione. Sarà pertanto necessario spiegare qui in che cosa consista la vera divozione, ed il vero fervore nella medesima, per non cadere in abbaglio in cosa di tanta importanza, e non lasciarsi stornare, come purtroppo avviene molte volte tra le persone poco istruite, da un esteriore di pietà malintesa. Quindi la terza parte di questo Manualetto consisterà nell’in- segnare ai nostri cari ascritti e giovani salesiani in che cosa consista la vera divozione, ed indicare, una per una, come vadano eseguite le pratiche di pietà che le Costituzioni ci propongono, affinchè siano fatte in modo che conducano alla vera divozione, e non solamente ad un´apparenza della medesima. Quando la tua pietà sarà ben soda, le tue pratiche, quale incenso odoroso, ascenderanno al trono dell’Altissimo, e attireranno sopra di te le celesti benedizioni. E queste entrando nel tuo cuore, quale aroma fortificante, ti aiuteranno in tutte le circostanze a fare il bene, ad evitare ogni male, ed a perseverare nella tua vocazione: in una parola ti formeranno e ti manterranno degno figlio di Don Bosco.

In che consista la divozione.

Richiamando ciò che dissi al capo XXXI della I parte, la divozione, secondo San Tommaso, è una certa volontà disposta a praticare con prontezza le cose relative al culto ed al servizio di Dio[361]. Pertanto tutta l’essenza della divozione consiste in questa prontezza della volontà nel fare atti relativi al culto ed al servizio del Signore, cioè nell’aver voglia grande e desiderio ardente di fare atti che diano onore e gloria al Signore, e contribuiscano al suo servizio. Ora da questa prontezza della volontà al bene, alle volte ridonda nella parte inferiore dell’uomo un certo affetto, che muove ai sospiri ed alle lacrime. E quando ancora non arrivi a cagionare nei sensi esteriori tali effetti, almeno si fa sentire nel senso interiore con una certa dilettazione piacevole, la quale, se cresce molto, diviene tanto dolce, che non si cangerebbe con qualunque diletto terreno. È questo che si dice fervore sensibile. Noi dobbiamo ringraziare il Signore quando ce lo dà; ma nello stesso tempo si ha da ritenere, che questo fervore sensibile non è parte essenziale della divozione. Quindi non si ha ragione di scoraggiarci quando non l’abbiamo, e si deve ben capire che non è un male quando avviene che la nostra volontà muovendosi con prontezza agli atti santi, lo fa in modo che la parte inferiore nulla sente degli effetti sopraindicati. Anzi avvenisse pure che la volontà provasse ripugnanza, tedio, rincrescimento, nell’atto stesso che opera il bene con celerità e con prontezza, non avremmo da sconcertarci. Piuttosto allora sarebbe da ricordarsi che la divozione, essendovi per la parte sostanziale, sarebbe di buona tempra. E lo ripeto perchè voglio che tu comprenda bene che la sostanza, il succo, e quasi il midollo della divozione, sta tutto in quella decisione ferma e prontezza di volontà nel fare quegli atti e quelle operazioni che dànno onore a Dio, e coi quali gli si presenta il debito culto, quantunque la natura ripugni, sia restìa, e ricalcitri. L’affetto sensibile, grato e gustoso, che si prova nel cuore, è solo una conseguenza accidentale della divozione, e non la divozione stessa. E perciò l’uomo è divoto, se, ad onta delle ripugnanze del senso, persiste colla volontà pronta a fare atti relativi al culto ed al servizio di Dio.

Esempio di Gesù.

Il medesimo Gesù Cristo, nella sua bontà, per nostro ammaestramento ce ne volle dare un chiaro esempio. È certo che nell’orazione che Egli fece nell’orto del Getsemani, non ebbe nessun fervore sensibile. Anzi vi ebbe tedii, tristezze, timori, affanni e mortali malinconie. Eppure è certissimo che nel tempo stesso v’era nella sua volontà una somma divozione verso il suo eterno Padre, perchè, non ostante le resistenze del senso indevoto, fu pronto ad assoggettarsi alla volontà di lui, ed abbracciò con prontezza di volontà flagelli, spine, croci, obbrobri, strazi e morte cotanto dolorosa.

Dovere di divozione.

Tutti i cristiani sono obbligati ad atti di divozione, perchè col santo battesimo si sono consacrati al servizio di Dio. Ma i religiosi hanno bisogno di averla in un grado molto più elevato. Essi infatti devono abituarsi a seguire con prontezza non solo i comanda- menti di Dio ma anche i consigli evangelici, e devono tendere a perfezione, essendo impiegati in modo permanente agli esercizi del culto divino. Essi devono procurarsi una vita interiore, raccolta in Dio per quanto si può, ed abborrire dalla vita puramente esteriore e mondana. Tu devi capir bene questo, e cercare con tutte le tue forze la vita interiore. E non hai da crederti buon religioso finché non l’abbia acquistata.

La vita interiore.

Condurre la vita interiore vuol dire vivere abitualmente alla presenza di Dio. Essa abitua a riguardare il cuore come un tempio in cui Dio risiede. Ed è in presenza di Dio che l’anima pensa, parla, agisce e compie tutti i doveri che le sono imposti. Essa è il regno di Dio nelle anime: è la vita della Santa Vergine sulla terra, e quella che Gesù Cristo stesso conduceva nella bottega di Nazareth. È la vita di cui parla San Paolo dicendo: vivo io, ma non io, bensì Gesù Cristo vive in me. Tutti i santi vissero e vivono di questa vita, ed il grado della loro santità è in rapporto alla perfezione della loro unione con Dio. Come l’anima dà vita al corpo, così Gesù Cristo dà vita all’anima. In questo modo le anime si elevano a poco a poco al disopra delle pene e delle miserie della vita. Sia pur l’universo in preda a tutte le calamità, avvenga pure checché possa avvenire, le anime interiori son sempre unite a Dio. I principali atti della vita interiore sono sei: — 1) Vedere Dio, cioè tenersi abitualmente alla presenza di Dio; — 2) Ascoltare Dio, cioè essere attenti alle sue ispirazioni, alle sue proibizioni, ai suoi consigli. Egli parla con le parole del Vangelo che ci vengono a memoria, con i buoni pensieri che illuminano d’un tratto l´intelligenza, con le parole pie e pie esortazioni che si odono nelle prediche, dal confessore, da buone persone,, oppure che si leggono in buoni libri; — 3) Parlare a Dio, cioè trattenersi con lui piuttosto col cuore che colla bocca, con la meditazione, con le preghiere, con le giaculatorie, e frequenti visite al Santissimo Sacramento; — 4) Amare Iddio, cioè attaccarsi a Lui e a Lui solo; non amare altri se non in unione a Lui; — 5) Pensare a Dio, cioè rigettare qualsiasi pensiero che escludesse quello di Dio, e fare ogni cosa in unione con Dio; — 6) Lavorare per Iddio, cioè con lo scopo diretto di piacere a Lui, occuparsi continuamente del proprio dovere e non d’altro, compirlo con quella perfezione di cui si è capaci; non perdere un minuto di tempo, pensando che esso ci è dato da Dio affinchè con quello possiamo guadagnarci l’eternità.

Qualità della vera divozione: 1) forte.

San Francesco di Sales, ci dà in proposito questo bell’ammaestramento: «Durante il noviziato, si cerchi di fortificare il cuore con la divozione, ma non con una divozione vaga, tenera e piagnucolosa, bensì con una divozione forte e coraggiosa, umile e confidente ». Queste qualità pertanto deve avere la tua divozione. Sta’ attento che essa non sia vana e piagnucolosa, contenta solo di sensazioni tenere. Questa non è la pietà maschia che voleva Don Bosco! I sentimenti più teneri e troppo ricercati durano poco, e quando passano, restando l’anima secca e inaridita, viene con facilità lo scoraggiamento, per cui uno si crede abbandonato da Dio, e finisce per lasciare ogni preghiera. Invece quando la divozione è forte, umile e confidente, non si scoraggia mai e s’irrobustisce sempre più anche nelle difficoltà e nelle aridità. Divozione vuol dire ossequio, e l’ossequio non consiste in un atto che piace o lusinga, in una preghiera che commuove, in una lettura che fa versare lagrime; ma nell’accettazione piena ed intera dello stato nel quale Iddio ci vuole e nell’adempimento perfetto del dovere imposto. Ciò, non ostante le ripugnanze della natura, le difficoltà esteriori che s’incontrano, e il disagio procurato dall’immaginazione. Tu devi pregare, comunicarti, confessarti perchè Dio lo vuole, perchè senti che questo è un mezzo di farti più buono, per acquistar maggiori grazie, e non perchè provi un certo piacere ed un sollievo in queste pratiche. San Francesco di Sales scriveva ad un’anima tribolata che lo consultava: «Voi fate molto bene a continuare i vostri esercizi di pietà in mezzo alle aridità ed ai disgusti. Non volendo servir Dio che per amor suo, ed essendogli più gradito il servizio che gli rendiamo nell’afflizione e nelle aridità di quello che gli rendiamo nelle dolcezze, ne segue che, dal canto nostro noi dobbiamo gradirlo di più, almeno con la volontà superiore. E benché, secondo il nostro proprio gusto e secondo l’amor proprio, le consolazioni ci riescano più dolci, pure, secondo il gusto di Dio e secondo il suo amore, le aridità ci riescono di maggior profitto ». La vera divozione è forte, e perciò ti aiuta, come dice San Francesco di Sales: 1) a sopportare le tentazioni, che non mancano mai a chi vuol servire bene Iddio; 2) a sopportare la varietà degli spiriti che si trovano nelle Congregazioni; 3) a sopportare ogni propria imperfezione, a non inquietarsi di vedervisi soggetto; 4) ti rende forte a combattere le proprie imperfezioni; 5) a disprezzare le parole ed i giudizi del mondo, che non manca mai di tartassare i religiosi; 6) a tenerti indipendente dalle affezioni, dalle amicizie particolari affine di non vivere secondo gli impulsi della natura, ma secondo le ispirazioni della grazia: 7) ti aiuta a tenerti indi- pendente dalle tenerezze, dolcezze e consolazioni che ci vengono tanto da Dio che dalle creature; 8) ad intraprendere una guerra continua contro le cattive inclinazioni, umori, abitudini e propensioni per violente che esse siano.

2) Nell’obbedienza.

Fin dalla tua entrata in noviziato, rinunzia alle tue divozioni particolari, per attenerti a quelle che si praticano dai compagni, secondo le regole e le costituzioni nostre, e fuggi accuratamente ogni divozione singolare, ed ogni singolarità nelle divozioni. Queste singolarità dan negli occhi degli altri, dànno occasione al demonio di tentarti di vanità, e di portarti al disprezzo, o almeno alla disistima degli altri, e turbano l’armonia della comunità. Non importi alcun impegno di divozione senza aver preso consiglio dal tuo Maestro, qualunque sia l’attrattiva che questo impegno abbia per te. Ama sempre gli esercizi fatti in comune, ancorché tu ti senta più raccolto facendoli da solo perchè il Signore abbonda maggiormente nelle sue grazie nel primo caso, avendo detto: « Quando sono due o più congregati nel nome mio, mi trovo in mezzo a loro ». Non cercare di far molte pratiche di pietà, bensì di fare molto bene e con perseveranza quelle di regola e quelle che dopo maturo consiglio hai abbracciato. Ma San Francesco di Sales non vuole che sia talmente schiavo delle tue pratiche, da non saper lasciarle senza pena, quando l’ubbidienza, la carità o anche la convenienza lo esigano. Senza dubbio avrai il tempo necessario per compiere i tuoi doveri religiosi. Ma se un giorno ti toccasse per esempio di abbreviare il tuo ringraziamento dopo la Comunione, che ti si tolga una parte delle solite preghiere, che ti si proibisca il digiuno prescritto al venerdì, resta tranquillo egualmente. Sappi bene che onori più Iddio adattandoti all’obbedienza, alla carità, alla convenienza, che colle preghiere che avresti fatto, o con le privazioni alle quali ti fossi sottomesso seguendo il tuo parere.

I libertini del mondo alle volte si lamentano della divozione, e condannano le persone devote, perchè, invero, alcuni sedicenti devoti sono superstiziosi, taccagni, inquieti, incomodi agli altri. Ma questo è ingiusto, perchè la piccolezza di spirito di qualcuno, e i difetti di certi altri provengono non da vera ma da falsa divozione, e non dan diritto ad estendere alla divozione in generale ciò che è difetto di qualche individuo che la snatura. In minori proporzioni bensì, ma anche nelle case religiose si dà talvolta lo stesso caso. Anche tra noi talvolta potrebbe avvenire che un confratello derida un poco la divozione, perchè un compagno fa qualche atto di pietà con un po’ di esagerazione o con certi contorcimenti affettati, come può avvenire che questi devoti cadano in qualche difetto esteriore che ecciti assai ammirazione. Ma prendere occasione da questo per burlarsi della pietà, è assolutamente irragionevole. Lo sai, che anche i migliori son soggetti a mancamenti e ad eccedenze; e chi è perfetto in questo mondo? Tu pertanto invece di deriderli devi compatirli dei loro piccoli difetti, mentre essi nella loro bontà, ben di cuore compatiscono in te quel molto in cui tu manchi.

3) Fondata sulla fede.

La divozione, perchè sia vera e sostanziale, deve essere fondata sullo spirito di fede. Questo spirito richiama l’anima sulla grandezza, sulla bontà e sopra le altre perfezioni di Dio, e fa comprendere l’onore che è il servire Iddio con affetto. La divozione fondata sullo spirito di fede, cresce in noi l’amore verso Dio, e con questo eccita nel nostro cuore un desiderio ardente di rendere all’Onnipotente il culto sovrano che gli è dovuto, e ci anima al sacrifizio interiore ed esteriore di tutto il nostro essere, di tutti noi stessi. Vi è chi si dice divoto, ma che non prende le mosse da questi alti principi, e fa bensì le pratiche di pietà nel loro esteriore, ma il cuore non è di Dio: questa non è divozione vera. Tu sta’ attento a fare le tue pratiche di pietà in modo da rendere a Dio il culto che gli è dovuto, riconoscendolo davvero come sovrano signore e padrone; e bada che tali pratiche non siano puramente esterne, bensì che partano davvero dal cuore.

4) Fondata nell’amor di Dio.

Perchè la divozione sia di buona qualità è necessario anche che sia fondata sull’amor di Dio, che cioè l’anima non cerchi se non gli interessi e l’onore di Dio, conseguendo un completo distacco ed un disprezzo profondo delle viste e degli interessi propri. Con questo principio l’anima deve regolare saggiamente i diversi doveri di pietà nel loro esteriore, quali le preghiere vocali, le adorazioni, le genuflessioni, gli inchini, i digiuni, le altre mortificazioni dei vari sensi, cioè tutte le pratiche esteriori di virtù. Se tu procedessi a rovescio, se cioè dessi la primaria importanza alle esteriorità, e non pensassi al distacco da te stesso, dalle tue comodità; e peggio ancora se facessi queste pratiche esteriori non con lo scopo diretto di dar gloria a Dio, ma per qualche fine umano d’interesse, di vanagloria, di compiacimento proprio, od altro, la tua pietà non varrebbe nulla, ed il Signore ti rigetterebbe sdegnosamente da sè, dicendoti sepolcro imbiancato, e applicando a te quel che diceva al popolo giudaico, che esso lo onorava con le parole, ma non col cuore[362].

5) Solida.

Quando la divozione è ben fondata sulla fede e sull’amor di Dio, allora diventa solida. Essa comincia ad attaccarci ai comandamenti di Dio; poi ci stringe alla pratica delle virtù, e specialmente agli esercizi propri della nostra vocazione. Essa preferisce sempre l’essenziale all’accessorio, il precetto al consiglio, il necessario alla convenienza, l’utile al dilettevole, quello che è stretto dovere a ciò che è di supererogazione. Per il compimento dei suoi doveri essa sormonta le difficoltà con coraggio, mettendo la sua confidenza in Dio e nei superiori; in Dio, il quale saprà addolcire tutti i travagli intrapresi pel suo servizio; nei superiori, che gli insegneranno la via per arrivarvi sicuramente. Sta’ attento che sarebbe falsa la tua divozione se mancassi nelle cose principali per occuparti in quelle meno necessarie; se ti dispensassi facilmente dagli esercizi della comunità per darti a pratiche tutte tue particolari; se ti mostrassi bizzarro, cambiando le tue pratiche ad ogni tanto; se fossi infedele ai tuoi esercizi di pietà al minimo ostacolo che s’incontra. Sarebbe ancor falsa la tua divozione se fossi così attaccato alle tue pratiche particolari, da resistere quasi ai superiori, quando ti confidassero qualche occupazione che non te le lasciasse fare. Manca in tutti questi casi la vera e solida base di pietà, che è riposta nel desiderio di piacere unicamente a Dio, compiendo anzi tutto ciò che egli si degna comandarci per mezzo delle Regole e dei superiori.

6) Disinteressata.

La vera divozione è disinteressata. Essa risplende e giganteggia nelle aridità, nel disgusto, nelle tenebre, e nella ripugnanza della natura. Il contento del vero divoto consiste tutto nel sapere che le sue pratiche di pietà piacciono a Dio. Per sè poco gl’importa di far sacrifizi e contrariare la propria natura; purché Iddio sia contento. Invece vi sono delle persone che si credono devote, e non sono mai in pace. E quando non sentono consolazioni sensibili, temono subito che il loro agire non piaccia a Dio. Qualche volta, è vero, questa paura proviene da semplice timidità, e allora non è male. Ma il più delle volte deriva dall’amor proprio, che si compiace nelle dolcezze, e non trova il suo conto nelle aridità. Sta’ attento su te stesso, perchè certo, se. così fossi anche tu, saresti ancora ben lontano dalla vera divozione, che fa dimenticare se stesso per cercare unicamente l’interesse di Dio e delle anime.

7) Umile e dolce.

La vera divozione è umile e dolce, poiché essa proviene dalla carità, che, secondo l’apostolo San Paolo, è il complesso di tutte le virtù, il vincolo della perfezione (Coloss., Ili, 14). Il religioso quindi deve aver paura di se stesso e temer di cadere senza accorgersi nelle illusioni. Egli deve sempre essere pronto a far del bene con grazia e buon umore, poiché la gioia della buona coscienza che regna nel suo cuore si esterna nelle sue azioni. Egli tuttavia non ha per nulla falsa compiacenza per se stesso, nè alcun rispetto umano. È sempre fedele a compiere esattamente tutti i suoi doveri. E se si crede obbligato di avvisare o correggere altri per impedire l’offesa di Dio, egli procede in ciò con gran prudenza, moderazione ed umiltà. Indicherebbero invece di avere una divozione falsa coloro che facessero mostra di disprezzarsi come se fossero i peggiori degli uomini, ma poi si offendessero, s’indispettissero e andassero fuori di se stessi, per le più piccole umiliazioni, e se ne mostrassero avviliti, e fossero esclusivi e personali nelle loro divozioni, non stimando in altri se non quella divozione che è conforme alla loro. Darebbero ancor segno di divozione falsa coloro che si mostrassero impazienti, insofferenti, inquieti, al punto da rendersi insopportabili a tutti; e quando il loro zelo aspro comparisse fin nelle correzioni fraterne, se si può alle loro correzioni dar questo nome, e facessero così disprezzare la virtù e pietà vera degli altri. Iddio ti guardi da una divozione sì malintesa.

8) Energica.

La vera divozione, sebben dolce a riguardo degli altri, non cessa di essere energica, muovendo guerra accanita alle proprie cattive inclinazioni. Essa non è soddisfatta, se non quando vede l’anima in cui è penetrata simile a Gesù benedetto, che continuamente condusse vita dura e crocifissa. Nello stesso tempo la vera divozione ci fa amare quella stessa fatica e quelle pene a cui dobbiamo sottometterci per correggerci completamente dei nostri difetti, perchè l’idea di far cosa gradevole a Gesù addolcisce tutto. Se tu ami una divozione egoistica e comoda, che non ti fa vigilare su te stesso, e non ti fa severo contro di te, o che ti fa parere gran cosa ogni sforzo che fai per farti buono, o ti fa subito parere che fai grandi sacrifizi quando ti devi sacrificare un poco, o ti fa parere pesante il giogo del Signore e grave il peso della legge di Dio: allor sappi che la tua divozione non può esser buona. E se questo è già vero per tutti i cristiani, lo è specialmente per un religioso, che è obbligato a maggior santità, che deve applicarsi più alla lettera il detto di San Paolo, dove dice che Gesù non cercò mai il compiacimento proprio :«Christus non sibi placuit » (Rom XV, 3).

9) Libera e tranquilla.

La vera divozione, per ultimo, serve Iddio con libertà di spirito e pace interiore, poiché essa non cerca se non quanto piace al Sovrano Maestro. Ora il piacere di Dio è di essere servito come un padre, cioè con buonissima volontà e animo allegro. Vi son di coloro che servono il Signore con ansietà di spirito, col cuore turbato, con inquietudine di coscienza. Queste paure e questi imbarazzi tolgono loro la pace interiore, e sono di ostacolo al progresso spirituale. Tal difetto proviene ordinariamente da un’immaginazione inacerbita, da una timidità mal combattuta, da mancanza di retto giudizio. Alle volte proviene anche da mal diretta riflessione sulla propria condotta, da un incaponimento nelle proprie opinioni, o da amor proprio che li impedisce di conoscere se stessi. La semplicità, l’abbandono filiale nelle mani del superiore, e l’umiltà, sono i rimedi che dovresti prendere per liberartene se ne fossi affetto, e ciò formerebbe la tua salute e la fonte della tua allegrezza.

Come ottenere la vera divozione.

E come governarsi in pratica, per ottenere questa vera e soda pietà, e per farne costantemente bene tutte le pratiche? San Bernardo c’insegna quattro cose, che alimentano e fan crescere in noi la pietà soda. Io non fo che accennartele, e tu fanne oggetto di sode riflessioni, e ricorri a questi mezzi quando ti sentissi illanguidire in essa. Queste quattro cose sono: a) il ricordo dei propri peccati passati, il che deve renderci umili; b) la memoria dei Novissimi, e specialmente della Morte, del Giudizio, e dell’Inferno, che devono renderci forti e stimolarci a lasciare il peccato e a fare il bene; c) il pensiero dell’eternità, considerando che la vita non è che un pellegrinaggio; il che deve renderci solleciti, e portarci a disprezzare le cose materiali; d) il pensiero della bontà di Dio, o desiderio della vita eterna, che deve renderci amanti, animarci alla perfezione e tenerci cauti, affinchè non diamo mai la volontà propria in balìa delle creature.

Capo II DEL FERVORE NEL SERVIZIO DI DIO E DELLA TIEPIDEZZA

Che cosa è il fervore.

Il fervore è un desiderio ardente ed una volontà generosa di piacere a Dio, facendo la sua santa volontà in tutte le cose. Questo desiderio, dice San Tommaso, ha la sua sorgente in un grande amore; poiché l’amore fa sempre desiderare di piacere a colui che si ama, conformandosi alla sua volontà. Il fervore ha molta rassomiglianza con la pietà; ma si distingue da essa in questo: che la divozione riguarda in particolare le pratiche dirette al culto di Dio, mentre il fervore riguarda in generale le cose che piacciono a Dio, cioè le virtù.

Sue specie.

Vi sono due specie di fervore. L’uno si chiama fervore sensibile, di cui già ti parlai. E consiste in consolazioni e gusti aggradevole e che ci fan sopportare con piacere le pene provenienti dalla pratica dei nostri doveri, e ci fanno agire con grande ardore. Questo fervore lo si prova specialmente quando si comincia a servire Iddio. Ma per lo più non dura a lungo; esso a grado a grado si va attenuando. Ciò perchè è come un dolce, un latte spirituale, che Iddio ci dà per farci dimenticare il mondo, e in appresso deve essere surrogato da un nutrimento più solido. E poi esso è prodotto dalla novità delle cose che colpiscono i principianti, e che a poco a poco, diventando loro familiari, cessano di esercitare su loro tanta impressione. Infine Iddio, il quale loro diede queste consolazioni per incoraggiarli, le ritira quando minacciano di riuscire un alimento alla loro vana compiacenza od un ostacolo al proprio rinnegamento. Vi è un’altra sorta di fervore, che si dà tra le persone più avanzate nella perfezione. Esso proviene da una virtù solida e coraggiosa, e soprattutto da una carità più ardente di quella che non si trova nella maggioranza degli uomini. Questa carità porta ad intraprendere, per piacere a Dio, tutto ciò che si conosce poter contribuire alla sua gloria ed alla propria perfezione, anche quando non si ricevono consolazioni sensibili e si vive in grande aridità interna. Perchè, dice San Basilio, è proprio del vero fervoroso di far la volontà di Dio con ardente affezione, con desiderio insaziabile di piacergli, e con assidua diligenza. Oppure come il medesimo santo dice altrove: Il vero fervore consiste nel desiderio di pia      cere a Dio in tutte le cose con desiderio veemente, stabile e costante[363]. Come ben devi capire, o mio buon figliuolo, il fervore sensibile è come uno zuccherino che Iddio ti dà quando lo crede bene per animarti alla virtù. Perciò tu lo devi ringraziare, essere contento nel vedere che il Signore usa con te tante delicatezze e riguardi. In vista della tua debolezza, puoi anche domandarlo ardentemente al Signore, nel timore che mancandoti quella attrattiva non abbia forze sufficienti a perseverare nella vocazione. Ma devi capire ancor più, che questo fervore non è necessario per inoltrarti nella via della perfezione. E perciò quando il Signore te lo togliesse, non devi per nulla scoraggiarti o vivere malinconico o di mal animo. Anzi, devi capire questo essere segno che Iddio vuol già trattarti come uomo più maturo, e darti cibo bensì men dolce, ma più sostanzioso pel tuo organismo, che oramai deve essersi consolidato e fatto robusto.

Sforzati al vero fervore.

Tutto il tuo sforzo invece deve consistere nell’acquistare e non perdere mai il -vero fervore. Esso, come ti dissi, consiste tutto nel cercare ed intraprendere con grande energia tutto ciò che piace a Dio e che giova al bene delle anime. Sebbene tu non senta nel tuo cuore soddisfazione o piacere nelle azioni che fai, se tu le fai sempre con lo scopo diretto di piacere a Dio, di perfezionare te stesso, di prepararti per fare poi del bene alle anime, sta tranquillo: sebbene ti senti freddo interiormente, tu hai il vero fervore, tu piaci a Dio. San Tommaso dice che per mezzo del fervore, la carità si rende molto attiva. Essa fa molte cose, e crede d’aver fatto pochissimo: compie cose grandi e crede sempre ed è persuasa che esse son piccole [364]. Coraggio adunque! Procurati anche tu questa carità fervente, e sta sicuro che, sebbene ti sembrino poche le cose che fai, saranno molte, e sebbene ti sembrino piccole, saranno grandi agli occhi di Dio.

Pensa ed ama il buon Dio.

Mezzo che direi onnipotente ed infallibile per acquistare il vero fervore, si è di far le cose pensando che Dio è presente. Egli è infinito, onnipotente, nostro creatore e conservatore. È niente quel che noi possiamo fare per lui, anche facendo tutto il nostro possibile. Egli è immensamente buono, e merita tutto il nostro amore. Egli ci fece i più grandi benefizi, e trova sua delizia nello stare in mezzo a noi. Egli viene sovente, forse tutti i giorni a trovarti nel tuo cuore, nella santa comunione. Oh dunque, cerca direttamente di fare tutto per piacere a Lui! Cerca di rinnegar sempre ciò che piacerebbe alla tua natura corrotta o poco mortificata. Abbi sempre avanti agli occhi ciò che piace a lui, e così sarai vero fervoroso e diventerai perfetto. Oh se conoscessi i meriti immensi che ti puoi fare operando sempre con lo scopo diretto di piacere a Dio! Oh si scires donum Dei!

Fuggi la tiepidezza.

Oh certo! se conoscessimo il gran bene che è l’amare Iddio con fervore, non ci lascerem- mo mai cadere nella tiepidezza, difetto che direttamente si oppone al fervore. La tiepidezza come sai è un languore della volontà per il bene, un rilassamento nel servizio del Signore, senza vera risoluzione di adoperarsi per correggersene. Bisogna pertanto che ti persuada bene, che quanto più piace a Dio il fervore, tanto più gli dispiace la tiepidezza. Il Signore dice chiaro che essa gli dispiace enormemente, e minaccia il tiepido di cacciarlo lontano da sè [365]. Il tiepido fa le cose del Signore negligentemente, per cui Iddio lo mmaledice [366]. Sta solo attento a non confondere la tiepidezza vera come te la definii, con la aridità nelle pratiche della divozione, o con quel languore nelle cose di pietà, che alle volte ti può sorprendere senza tua colpa, languore che tu detesti e che t’adoperi con sforzi per iscacciare. Questa non è vera tiepidezza, e tu non devi disanimarti se ti sopraggiunge. Quando tu, interrogando te stesso, puoi rispondere: io faccio quanto posso per praticare esattamente i miei voti, per dare buon esempio, per far bene le cose di pietà; è vero che riesco poco, ma se sapessi qualche mezzo che mi aiutasse per riuscirci lo prenderei ben volentieri, fosse pure un mezzo aspro e ne avessi pure a soffrire... allora sta tranquillo: sotto le apparenze di tiepidezza, tu sei fervoroso, ed il Signore è contento di te. Invece se hai solo parole; se vi è in te un certo qual desiderio, una velleità di scuoterti; ma intanto, sapendo come fare per risorgere, non prendessi i mezzi dovuti per iscuoterti davvero, allora ci sarebbbe la tiepidezza vera; e tu saresti in vero pericolo di perdere a poco a poco e vocazione ed anima, ed il Signore comincerebbe a rècerti e gettarti lontano da sè.

Capo III DELLA PREGHIERA

Ciò che ne dicono le costituzioni.

Prima di venir a parlare delle pratiche di pietà in particolare, secondo che ci sono prescritte dalle nostre Costituzioni, conviene ancora dar qualche cenno della preghiera in generale, della sua necessità, della sua efficacia e del modo di farla bene. Le regole nostre non ci ordinano molte preghiere e pratiche di pietà. Anzi ci dicono espressamente, che la vita attiva cui tende la nostra Pia Società non può ammetterne molte in comune. Tuttavia, oltre all’inculcare anche le orazioni vocali, là dove volendo farsi strada a parlare dell’orazione mentale, dicono: «Oltre le orazioni vocali attenderà per non meno di mezz’ora all’orazione mentale », insistono ancora aggiungendo: «La compostezza della persona, la pronuncia chiara, divota e distinta delle parole nei divini uffici devono essere tali nei nostri soci, che li distinguano da tutti gli altri ». Asseconda tu adunque quanto le nostre Costituzioni richiedono, e procura davvero che la compostezza interiore e la pronunzia divota delle preghiere formi un tuo distintivo.

Obbligo della preghiera.

Tutti gli uomini sono obbligati a pregare: senza la preghiera non si può essere cristiani; come si potrebbe adunque essere religiosi? La nostra professione stessa richiede molta preghiera. Anche la gente di mondo parlando del religioso dice quasi per disprezzo: Non sanno fare altro che pregare! E gli amici ed i buoni si raccomandano ai religiosi dicendo: Almeno voi pregate per noi. La preghiera è il pane dell’anima, la chiave del cielo. L’anima senza preghiera è come un pesce fuor d’acqua; e l´uomo che non prega è come un corpo senz’anima. San Giovanni Crisostomo dice che chiunque non prega è morto.

Necessità della preghiera.

Dobbiamo fondarci bene fin da principio, sulla base della necessità della preghiera. Da noi siamo capaci a nulla [367]. Senza l’aiuto della grazia di Dio non siamo neppur capaci a respirare, a sollevare una festuca da terra; non possiamo neppur concepire un buon pensiero: tutto ci viene da Dio. Ora Iddio è buono, e ci vuol bene e ci vuol fare molte grazie di cui abbiamo bisogno; ma vuole che gliele domandiamo, che ci ricordiamo di Lui, che comprendiamo bene che tutto viene da Lui; vuole che preghiamo.

Precetto di Gesù.

E ce lo raccomandò in mille circostanze: « Domandate e riceverete, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto ». E ci fa le più lusinghiere e assicuranti promesse: Tutto quello che domanderete a mio Padre in nome mio, Egli ve lo, accorderà[368]; e il divin Salvatore finisce col dirci, che bisogna sempre pregare e mai lasciar di pregare [369]. E San Paolo insiste: Senza interruzione pregate (I Thess., V, 17). Il corpo per vivere respira senza desistere mai: la preghiera è il respiro dell’anima. Si sta così bene all’aria buona! Si sta meglio ancora intrattenendosi continuamente nella preghiera con Dio!

Esempio di Gesù e dei santi.

Nostro Signore ed i santi ci insegnano a pregare col loro esempio. Che faceva Gesù e nella sua vita privata, e nella pubblica, e nella passione? Pregava e pregava giorno e notte [370]. Che fa in cielo e nel tabernacolo? Prega e vive in eterno per intercedere per noi [371]. La vita della Madonna è una copia della vita di Gesù. E dopo di loro ed a loro esempio, la preghiera fu il pane quotidiano degli eletti. I deserti si riempirono di anacoreti, che pare non vivessero che per pregare. Sant’Antonio al mattino si lamentava col sole, chè veniva troppo presto a disturbarlo dalla preghiera, durata tutta la notte. San Francesco Saverio, dopo essersi logorato tutto il giorno pel bene delle anime dei suoi poveri indi, passava la maggior parte della notte nel pregare. Altrettanto faceva San Carlo Borromeo; tutti i santi pregarono molto, e nessuno si fece santo senza pregare. Per arrivare al paradiso bisogna prendere la via battuta dai santi. Coraggio adunque; tu pure datti per davvero alla vita di preghiera.

Bisogno nostro di pregare.

Noi abbiamo bisogno di preghiera, perchè .senza di essa non si ha la vita eterna. Tutte le creature domandano a loro maniera ciò di cui abbisognano: le piante domandano il calore, la luce, l’aria, l’umidità; i fiori la rugiada ed il sole, le erbe disseccate la pioggia; il mendicante si rivolge a tutti quelli che passano per avere la limosina; i fanciulli domandano senza posa. Ciascun essere ha un elemento fuori del quale muore: l’uccello ha l’aria; l’angelo Iddio. L’uomo essendo un essere intermedio tra l’animale e l’angelo, ha bisogno esso pure della sua aria e dei suoi alimenti per la sua natura animale, ed ha bisogno di Dio per la sua vita soprannaturale. Colui che non volesse mangiare, muore. Colui che non vuol pregare è perduto. Comprendi bene da questo quanto importi pregare, specialmente per te che hai bisogno della perseveranza nella vocazione e di tanta forza per osservare le sante regole ed i voti; che hai bisogno di tendere alla perfezione; che pur stando nel mondo, devi vivere da vero religioso; tu che hai nel cuore di provvedere non solo alla salvezza tua, ma che devi abilitarti a far del bene a tanti giovani, a salvare tante anime. Come vuoi che Iddio ti scelga a salvare tante anime, se il salvarle è tutto frutto di preghiera e di sacrificio, qualora tu non pregassi, rendendoti così anche inabile a fare dei sacrifici? Ricordati poi del grande obbligo che hai di pregare specialmente nel tempo dei pericoli e delle più violente tentazioni. La notte camminando senz’armi in una foresta, uno è assalito da un ladro vigoroso ed armato: impossibile difendersi. Che mezzo gli resta? L’unico è il gridare, chiamare aiuto; senza questo colui è perduto. Il demonio è questo ladro, questo assassino, più forte e più scaltro di te. Chiama dunque in soccorso Iddio, la Vergine, i santi, almeno con giaculatorie: senza questo sei perduto.

Ne hai bisogno anche ora.

E bada bene di non illuderti, credendo di non averne più tanto bisogno ora che ti sei allontanato dal mondo, e che ti sei dato a Dio. Ne hai bisogno più di prima. Gli ebrei appena usciti d’Egitto e traversato il Mar Rosso, come tu uscito dal mondo e traversate tante difficoltà, si trovarono attaccati dagli Ama- leciti. Come poterono liberarsene? In nessun altro modo che con l’azione vigorosa e la preghiera costante. Mentre i soldati combattevano tutti vigorosamente, Mosè ascende il monte e prega. Ed il Signore volle far capire bene che la vittoria era frutto della preghiera, perchè mentre Mosè teneva le braccia elevate e pregava i soldati suoi vincevano, e quando questi le abbassava un qualche momento perdevano. Attaccatelo all’orecchio questo esempio, e sappi trarne profitto.

Bisogna pregar sempre.

Non solo il Signore ci comanda di fare orazione, ma di farla continuamente, di pregar sempre[372]. Ed i santi Padri riconoscono tanto necessario l’uso continuo di questo esercizio, che senza di esso asseriscono non potersi vivere vita di grazia, nè conseguirsi perciò vita eterna. Come pertanto avrai da governarti in pratica per adempire bene quest’ob- bligo stretto della preghiera? Io ti consiglio a fare due cose, che sebbene possano sembrarti difficili da principio, tanto maggior frutto produrranno in appresso. La prima si è che cerchi di abituarti al pensiero della presenza di Dio; la seconda di offerire bene, con buono spirito, direttamente a Lui tutte le azioni della giornata.

Della presenza di Dio.

Il pensiero della presenza di Dio è una delle pratiche più raccomandate dalla Sacra Scrittura, ed uno dei mezzi più potenti per farci arrivar presto alla perfezione. « Cammina alla presenza di Dio e sarai perfetto », dice il Signore [373]. Per abituarti al pensiero della presenza di Dio non è necessario, come ci ammaestra San Francesco di Sales, di fare sforzi di mente: è un pensiero che deve venir tutto naturale. Iddio è sempre presente a noi, perchè egli in tutte le cose risiede per essenza, per presenza o per potenza. Ora, la presenza di Dio di cui ti parlo non è altro che il ricordare questa sua presenza- è cioè un pensiero o ricordo di Dio, con cui in tutti i luoghi ed in tutti i nostri affari Lo rimiriamo presente, ed a lui ci rivolgiamo coi nostri affetti.

Modi di questa presenza.

Ma in pratica come si fa a star sempre alla presenza di Dio? Vi sono due modi: il primo consiste nel rappresentarti colla fantasia Dio presente mentre sei occupato in opere esteriori. Per riuscire a ciò, bisogna figurartelo come visibile, immaginandoti di vedere l’amabilissimo Redentore in quelle sembianze, in quegli atteggiamenti che ti conciliano maggior divozione e interiore raccoglimento. Puoi renderlo presente osservandolo in croce, e che ti presenti il suo Sacro Cuore. A ciò può aiutarti l’avere appeso alle pareti o esposto avanti ai tuoi occhi un crocifisso, un’immagine del Sacro Cuore o di Gesù Bambino od altra che attragga di più la tua divozione, affinchè la vista di essa te lo rammenti ditanto in tanto. Ed anche quando esci di camera o di casa, figurati ancora di rimirare quegli oggetti devoti e, assorgendo dal figurato alla realtà, sfogati in affetti verso Gesù; indirizzagli le tue operazioni, riferisci a Lui ciò che vedi, o ascolti, od operi; cerca in tutte le cose il suo beneplacito. Il secondo modo di stare alla presenza di Dio si fonda sulla pura fede, indipendentemente da uno studio particolare d’immaginazione, ricordando che Iddio ci sta intorno, per ogni parte ci circonda, e con occhio penetrantissimo mira ed osserva ogni nostra azione secondo l’espressione di San Paolo: Noi viviamo, ci muoviamo, e siamo in Dio. Altro non si richiede per aver Dio presente in questo modo, che rammentarci di ciò che la fede c’insegna circa l’immensità di Dio, e prestarle un semplice ed affettuoso consenso. Con questo pensiero terrai l’anima tua in timore ed amore filiale, cauta, guardinga e circospetta, attenta ad ogni sua operazione per non offendere gli occhi di quel gran Dio che ti sta rimirando, senza mai rimuovere da te per un momento lo sguardo. Il terzo modo è il considerare Dio nelle varie creature, e così dalle cose visibili innalzare continuamente il tuo cuore alla contemplazione delle cose invisibili. Si può considerare Dio vivente nei superiori, nei compagni; lo si può considerare come motore della terra e delle stelle, lo si può considerare nei fiori, nelle erbe, nelle piante. Lo si può considerare come fonte della luce, del calore; nelle proprietà degli animali, nelle azioni degli uomini; negli avvenimenti prosperi e negli avversi che possono accadere nella giornata; e da tutto prendere, come faceva San Francesco di Sales e come faceva anche Don Bosco, occasione per atti di amore al Signore. Il quarto modo di formare la presenza di Dio è dentro di te stesso. Dice San Paolo che noi siamo templi di Dio, e che lo Spirito Santo abita in noi. Sebbene Iddio si trovi dappertutto e sia in qualunque luogo presente, ha però alzato il trono nelle nostre anime, e in esse come in suo tempio risiede per esservi specialmente onorato da noi. Egli sta adunque nel mezzo del tuo cuore, e quivi con presenza più, speciale che altrove. A lui adunque rivolgiti, mirandolo nel tuo tempietto, tutto per te. Quivi ascolterà le tue preghiere, quivi udirà i tuoi colloqui, quivi gradirà i tuoi affetti, quivi si comunicherà intimamente al tuo spirito, e quivi sarà più liberale a concederti i suoi doni. Dentro di sè, dirò con San Basilio, si ritiri ogni anima che brama essere sposa di Gesù. Anche nei più grandi tumulti e nelle più grandi agitazioni e divagazioni del mondo si troverà il più completo raccoglimento. Santa Cecilia in mezzo ai canti profani ed ai suoni lascivi, continuamente teneva il cuore innalzato a Dio e gli cantava lodi[374]. Santa Caterina da Siena, vedendosi tolta dai suoi genitori ogni comodità di ritirarsi nella sua cella per ivi pregare, così istruita da Gesù medesimo, si fabbricò nel suo interno un’altra stanza, cioè si figurò che il suo cuore fosse come un tempietto entro cui stava Gesù. In questo tempietto mentre lavorava e mentre aveva mille distrazioni esteriori, essa se ne stava sempre ritirata con Dio in amorosi colloqui. Fa’ anche tu così; e giocando e studiando e uscendo, e nei gaudi e nelle tribolazioni rivolgi lo sguardo al tuo cuore, al tuo tempietto interiore. Offri tutto a Gesù, ed egli ti benedirà, e tu farai progressi da gigante nelle vie del Signore.

Il religioso ne ha più bisogno.

Sì, adopera energicamente questi mezzi. Se quanto più è ardua un’impresa, tanto più validi si richiedono i soccorsi per riuscirvi, un religioso, obbligato ad uno stato di perfezione, per giungere alla quale si richiedono speciali e sempre nuovi aiuti della divina grazia, si darà egli a credere non essere necessario a lui in particolare l’uso continuo dell’orazione? Se poi la vita in generale, al dir del Santo Giobbe, è una continua battaglia (milititìa est vita hominis super terram), la vita del religioso sarà una vita meno esposta a combattimento? Sarebbe dunque error massimo se poco pregasse il religioso. Egli invece dovrebbe continuamente stare prostrato in un angolo del santuario ad impetrare assistenza, difesa, e vittoria contro i nemici della propria perfezione, contro i nemici del popolo di Dio. Non è tempo, figliuol mio, di star ozioso quando si deve impetrare da Dio forza per ben combattere e trionfare non solo contro il inondo, il demonio e la carne, che anche nei religiosi portano all’anima i loro fieri assalti; ma anche contro le passioni del cuore, contro i mali abiti, contro le cattive inclinazioni, tutti nemici capitali dello spirito e dell’eterna salute.

Aspirazioni e giaculatorie.

Nè occorre per pregare sempre star di continuo genuflesso in chiesa o altrove, in atto di orazione. Che anzi Don Bosco raccomandava di non sopraccaricarsi di divozioni, per giungere poi a compier le quali necessiti lasciare altri doveri, od a fare quelle divozioni strapazzandole frettolosamente e senza fervore. Ti dico che l’assiduità nell’orazione raccomandata da Gesù medesimo consiste nell’elevare con frequenza la mente a a Dio, anche in mezzo alle occupazioni proprio stato, come appunto facevano quei santi Maccabei, che nell’atto di guerreggiare contro Nicànore, maneggiavano con le mani le armi e con il cuore porgevano suppliche al Signore [375]. Possono benissimo eseguirsi le opere dall’ubbidienza ingiunte, si può anzi prendere anche un onesto sollievo, e nello stesso tempo fare orazione; purché in queste opere materiali la mente sia elevata a Dio, e che di tanto in tanto con qualche infuocato sospiro o qualche divota giaculatoria, con qualche pia aspirazione ti unisca a Dio, assicurandolo che fai tutto per piacergli.

Obbligo che hanno i Salesiani.

Un motivo impellente a pregar molto abbiamo noi Salesiani, ed è l’obbligo che c’incombe di pregare per i benefattori delle nostre opere e per i cooperatori nostri. Essi ci aiutano a fare il bene, e sostentano i nostri buoni giovani colla caritatevole generosità delle quotidiane loro limosine. Se, al dir di San Tommaso, per legge di necessità, siamo in obbligo di pregare per noi, e per titolo di carità siamo obbligati a pregare per i prossimi, per quelli che ci han fatto del bene non ci stringe altresì debito di giustizia? Ci somministrano essi, dice San Bernardo, doni temporali e noi dobbiamo contraccambiarli con doni soprannaturali.

Ammonimenti circa le preghiere vocali.

Ecco ora alcuni ammonimenti per le preghiere vocali fatte in comune. Nelle preghiere in comune procura di star sempre ben composto, anche esteriormente, ricordandoti che sei alla presenza di Dio. Pronunzia le parole come dice la regola, con voce chiara e distinta. Non dire mai le preghiere con precipitazione, ma adagio affinchè possa effettuarsi quanto il catechismo c’insegna, di seguire le parole con l’attenzione della mente e l’affetto del cuore, poiché invano si prega colla bocca se il cuore non partecipa[376]. Sta’ fisso su questo punto, di non voler mai precipitare le preghiere. Ponga mente a questo specialmente chi le guida, nè mai cominci l’orazione seguente se non è ben finita da tutti l’antecedente. Non si lasci trascinare dalla corrente, qualora vari andassero troppo in fretta. La tiepidezza nelle cose di pietà molte volte comincia da questa premura nel recitare le orazioni comuni. Ecco alcuni avvisi pratici, che dà San Bonaventura, specialmente per le preghiere in privato: «Bada anche, quando sei con altri, a non far tumulto col mormorio della voce, con l’importunità dello sputare o dello spurgarti il naso, ovvero con l’impetuoso e indiscreto movimento del corpo o delle sedie. È anche da dirsi disordinato e leggero chi non sa raffrenare la sua veloce lingua. Sappi bene che si deve evitare l’orazione che sibila, quella cioè che nel dirsi sotto voce manda fuori dai denti alcuni zufoli che molestano gli altri. È sciocca quell’orazione la quale, detta da un solo, molesta e impedisce molti; e spesse volte essendo la peggiore e la più tiepida, dà impedimenti alle migliori e più ferventi ».

Questi sono mezzi esteriori per pregar bene; ma se ne richiedono altri più importanti, che occorre adottare accuratamente. Il Signore infatti ci avvisa che per lo più se non si ottiene ciò che si domanda nella preghiera, è perchè non si prega bene. La cosa principale nell’orazione, dice San Bonaventura, è la retta intenzione e purità del cuore di chi la fa. Bisogna che tutta l’intenzione della mente sia separata dalle cure e dai negozi esteriori e sia applicata e dedicata alla vigilanza dell’orazione, in modo che l’animo non pensi ad altro se non a quello che in quell’orazione si domanda o si desidera. Perciò dice Sant’Isidoro che l’orazione non appartiene alle labbra, ma al cuore. E bisogna che quelli che pregano considerino se stessi come se fossero presenti innanzi alla maestà del Signore; perchè le preghiere negligenti e tiepide certamente non possono ottenere quello che vogliono.

Formati profonde convinzioni a questo riguardo.

Per conoscere bene le altre qualità che deve avere la preghiera, perchè sia ben fatta, leggi Sant’Alfonso: Del gran mezzo della preghiera; o qualche altro libro simile. Ma leggilo accuratamente, leggilo anche più volte e riducitelo in sangue. Mi pare che non possa mai divenire un buon religioso chi non conosce a fondo la necessità della preghiera, e perciò non ne acquista lo spirito. Sebbene al momento ti vedessi di buona volontà, temerei troppo che, non essendo molto impressionato dalla necessità della preghiera e delle qualità che deve avere, alle prime gravi difficoltà, che non possono non avvenire nella vita religiosa, tu abbia a cadere gravemente, e poi abbia a perdere la vocazione, forse anche dopo d’aver dato scandalo a chi per tuo uffìzio dovevi edificare col buon esempio e salvare. Occorrerebbe dire molte altre cose sulla preghiera, ma mi rimetto alla certezza che leggerai, ed anche ripetutamente, il sovra indicato libro od altri che trattino di questo argomento. L’importante è che sia perseverante nelle tue pratiche di pietà. Più per- severi e più ne prenderai gusto, al contrario delle cose umane, secondo che dice San Gregorio: «Le cose umane più si provano e più annoiano, le cose divine più si praticano e più si gustano ».

Parole consolanti.

Credo cosa buona terminare questo soggetto con alcune parole di conforto. Avviene alle volte, che uno ami molto le preghiere, e si eserciti in esse con tutte le sue forze perchè ne conosce l’importanza; ma poi cade come scoraggiato vedendo che non riesce a pregar bene, perchè non sente fervore, anzi è in preda a continue e persistenti distrazioni ed aridità. Il Signore non è come i padroni della terra, che osservano se il lavoro è riuscito bene, e non varrebbe nulla presso di loro che l’artista od il suddito protestasse d’aver impiegato quanto era da sè per riuscirvi, se poi l’opera resta imperfetta. Il Signore è buono, vede il cuore, e non guarda la riuscita bensì gli sforzi fatti, i mezzi energici presi, il desiderio di far meglio, costasse pure dei sacrifizi. Se pertanto hai fatto tutto quello che potevi, hai da star tranquillo; il Signore è contento di te, sebbene la preghiera sia passata tra continue e gravi distrazioni. Io vorrei soltanto che non illudessi te stesso, col dire che hai fatto ciò che potevi solo perchè le distrazioni non furono direttamente volontarie. No, ciò non basta: bisogna che tu prenda i mezzi necessari, quelli specialmente che il superiore ti suggerisce. Bisogna che sia energico, e anche se occorressero dei sacrifizi un po’ gravi devi esser disposto a farli. Ma quando davvero avessi fatto ciò che potevi, non fosse stata la tua preghiera che il passaggio da una distrazione all’altra, ti dico franco: Sta’ tranquillo; la tua preghiera fu buona; il Signore è contento di te.

Capo IV ORDINE DELLE COSE DA CHIEDERSI A DIO NELLE PREGHIERE

Già ti ho accennato quali sono le cose più importanti nella vita cristiana e religiosa per arrivare a quella perfezione che Iddio vuole da te. Ma tu sai che nulla possiamo da noi soli; perciò tutte queste cose dobbiamo domandarle a Dio. Qui pertanto conviene compendiare e disporre come in un quadro le principali da domandare a Dio, cominciando dalle più importanti e venendo alle altre di minor importanza, affinchè tu venga a conoscere da quali si convenga incominciare e come debba proseguire nelle tue petizioni all´Altissimo.

Prima cosa da chiedere è la carità, cioè la santità.

Il fine del religioso, abbiamo detto, è di eseguire nel modo più perfetto possibile la santa volontà di Dio in tutte le cose, e in conseguenza di raggiungere la santità, cioè la perfezione dell’anima propria. È quel che dice l’apostolo: Questa è la volontà di Dio, che vi facciate santi. La santità, abbiamo anche detto, consiste nella carità: nell’aver noi per unico e semplicissimo oggetto degli affetti nostri Iddio. Tanto la carità come la beatitudine può dirsi fine dell’uomo; la carità è il fine che l’uomo deve proporre a se stesso; la beatitudine è il fine che Dio si è proposto creando l’uomo. Dal che consegue che la nostra preghiera principale ed essenziale e continua dev’essere quella che chiede incessantemente la carità, cioè la salate e perfezione dell’anima propria, e di farci ognor più buoni e più santi. Per comprendere sempre meglio questa verità e penetrarne l’importanza, procura di capir bene, e di stamparti nel più profondo del cuore questa grande verità: che nella giustizia e nella santità dell’anima propria ciascuno possiede ogni bene, perchè possiede Iddio, bene infinito, oltre al quale non può estendersi alcun desiderio. Anzi non v’ha desiderio di creatura, che possa arrivare ad esaurire mai e poi mai quel bene, che è l’essenza del bene, e perciò. come dicevamo, è ogni bene. E dimmi, tu che hai fede, e credi fermamente in Dio, qual bene può mancare a colui che ha la carità cioè la grazia di Dio? Gesù disse infatti: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte le altre cose vi saranno aggiunte[377]. E San Paolo a sua volta: Sappiamo che a quelli che amano Dio, tutte le cose cooperano a bene [378]. E l’apostolo con- chiude: Che dunque diremo? Se Dio sta per noi, chi è contro di noi? Non avendo l’Eterno Padre nemmanco perdonato al proprio Figlio, ma avendolo dato per tutti noi, in che modo può essere che insieme con lui non ci abbia donate ancora tutte le cose?[379]

Pregare per questo non è egoismo.

Pensando a nient’altro che a farsi santi, potrebbe affacciartisi questa obiezione: « Se penso a farmi santo io solo, non sarò un egoista? e la salute altrui non è altrettanto pregevole quanto la mia? ». Rispondo cominciando da questa seconda domanda. La salute degli altri rispetto ad essi è certo pregevole e necessaria quanto la tua rispetto a te. Ma come ad essi non gioverebbe che tu ti salvassi se essi si dannassero, così a te non gioverebbe se essi si salvassero e tu ti dannassi. L’anima tua non può redimersi con le anime degli altri fratelli tuoi che si salvano. Tu pertanto comincia a farti santo per salvare l’anima tua, e poni tutti i tuoi sforzi in questo. E intanto prega Iddio che aiuti efficacemente anche gli altri a salvare la loro, e con questo tu puoi star sicuro d´aver operato secondo la più perfetta ed ordinata carità. Quanto poi al primo dubbio, che la massima su espressa senta d’egoismo, questo è un non averla intesa. L’avidità delle cose terrene è certo cagione ed effetto di egoismo, poiché, prendendomi per me le cose di questa terra, gli altri non possono più averle. Invece il farsi santi non è che un ardentissimo desiderio di dare a tutti il proprio, ed esser a tutti buoni, a tutti generosi, a tutti senza fine benèfici. Perciò la santità propria importa una carità universale; e il pregare che io fo che Iddio mi renda santo e gran santo, è pregare implicitamente per tutti i miei prossimi, nessuno eccettuato. Poiché io con ciò non solo non tolgo nulla a nessuno, ma di più prego Dio che mi renda ottimo con tutti, e mi conduca a fare a tutti tutto quel bene che è secondo il divin beneplacito, cooperando all’infinita carità sua verso il mondo.

Questa è la preghiera più esaudita.

Gesù disse a Maria: Vi ha una cosa sola necessaria[380]. Oh, eleggiamo per noi questa parte, e sta’ certo che il domandare la tua santità è la cosa più eccellente e più necessaria che tu possa fare! Come questa orazione domanda la cosa che solo è necessaria e sulla quale la volontà di Dio è palese; così essa è anche la sola petizione che viene con ogni certezza esaudita, non potendo mai esser privo di effetto il desiderio sincero della giustizia e della santità. Di questo Gesù disse: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perchè saranno satollati [381]. Perciò in questa domanda trovasi la pace ed una sicurezza interiore di piacere a Dio facendola. Invece nelle domande delle cose non necessarie, possiamo stare in timore di sentirci rimproverare da Gesù Cristo con quelle parole: Voi non sapete che vi domandiate.

Falso zelo.

Alle volte il falso zelo, che va accompagnato da segreta presunzione, non ci lascia vedere l’eccellenza altissima di questa orazione. Alle volte cioè potrebbe avvenirti, che, dimenticando te stesso, come se non avessi gran bisogno di andare avanti nelle vie dello spirito, desiderassi solo d’affaccendarti per la salute dei prossimi. Ciò avverrebbe se tenessi perduto il tempo del noviziato e della vita nascosta, o, dopo il noviziato, tenessi come perduto il tempo che darai alla preghiera ed alla meditazione, e, tutto occupato degli altri, ti sottraessi al pesante e molesto lavoro di conoscere e vincere i propri tuoi difetti; e che andassi lusingandoti che tutto consista nel far del bene ai prossimi, e che questo tuo zelo tenga per te le veci di tutte le virtù; e che difendessi questo tuo giudizio col pretesto della gloria di Dio. Questo, o caro figliuolo, è un grande inganno del demonio, il quale purtroppo guadagna molti non lasciandoli pensare alla propria santificazione, col pretesto del bene altrui.

Prima cosa che Dio vuole da ognuno.

Bisogna anzitutto che tu comprenda bene, che la prima cosa che Iddio vuole da te è la tua propria santificazione; e che perciò non piacerai a Dio se prima di tutto non pensi a santificare te stesso. E poi devi capire bene che tu da te non sei capace a nulla, assolutamente a nulla; e solo puoi far qualche bene agli altri se il Signore ti aiuta. E credi tu che ti aiuterà, se non cominci a contentarlo nella cosa essenziale, in quella cioè che più gli sta a cuore, che è la tua santificazione? Ed ancora: ha forse bisogno Iddio della gloria che tu vuoi dargli contro sua volontà? Dico contro sua volontà, perchè su di un punto solo sappiamo la precisa volontà di Dio, e questo è sul volere la nostra santificazione. Non si sa inoltre, generalmenie parlando, quando e come voglia servirsi dell’opera tua, per la santificazione del prossimo. Se tu fai con zelo quanto ti è comandato, allora quanto fai per il prossimo diventa un dovere per te, e perciò diventa parte della tua stessa santità; ma gettarti negli affari, nei pericoli, mentre Iddio non domanda da te questo, è un voler perire in essi[382]. È un voler annegare te stesso per salvare un altro, il che non è carità ben ordinata.

Rimane adunque ben fermo che la cosa principale cui dobbiamo attendere, e che dobbiamo continuamente domandare a Dio, è la nostra santità, abbandonandoci poi nelle mani di Dio stesso quanto ai mezzi che Egli possa impiegare al fine di comunicarci questa sua santità e giustizia.

Chiedere la salvezza di tutte le anime.

Questa prima domanda è complessa e ne indica una seconda di non minore importanza: ed ecco quale. Ciò che noi vogliamo è la santità e la giustizia; dunque implicitamente dobbiamo anche volere e domandare tutto ciò che è giusto e santo. Ed è per questo che il Signore nell’orazione che c’insegnò ci fa domandare al Padre, che sia santificato il suo nome, che venga il suo regno, che si faccia la sua volontà; perchè appunto in queste cose sta la nostra santificazione. E per noi stessi ci fa domandare il nostro pane quotidiano soprasostanziale, la remissione dei nostri debiti e la liberazione dalle tentazioni e dal male: cose tutte che si riferiscono alla nostra santificazione. E con questo domandiamo anche la salvezza e la santificazione di tutte le altre anime. Queste cose tutte adunque dobbiamo domandare con ogni insistenza e continuamente al Signore, senza timore d’insistere mai troppo.

Pregare per la Chiesa.

La terza cosa, che sopra tutte le altre noi dobbiamo domandare, si è la glorificazione, l’esaltazione, l´estensione della santa Chiesa, che è la sposa prediletta di Dio. Dobbiamo domandare che essa produca il maggior frutto e la massima gloria di Dio. Per la Chiesa trionfante non preghiamo direttamente perchè non abbisogna più di nulla, ma bensì indirettamente, affinchè sempre maggior numero di fedeli vada a prenderne parte. Per la Chiesa purgante deve effondersi tutto il nostro zelo, essendo quelle anime da una parte già certe della loro salvezza, e perciò in diritto d’andare in paradiso; dall’altra parte essendo impotenti a meritare e dovendo soddisfar tutto col patire, noi possiamo sollevarle con le nostre preghiere, con le nostre mortificazioni, con le indulgenze che acquistiamo in loro suffragio. Per la Chiesa militante faremmo bene a pregare prima per i moribondi, che si trovano nel momento più pericoloso e più importante, poi per la perseveranza dei giusti e per la conversione dei peccatori, e così pei più bisognosi, e per tutti gli altri.

Pregare per la Congregazione.

Dopo la gloria di Dio ed il bene della Chiesa, facciamo bene a domandare la prosperità, l’incremento della nostra Pia Società, nella persuasione che questo conferisca molto alla gloria di Dio ed alla salute delle anime. Tutte queste cose sopraccennate sono appunto quelle che continuamente faceva il nostro impareggiabile confratello Don Andrea Beltrami. Egli, con animo risolutissimo e fermissimo, incominciò a porre per base di ogni sua azione e preghiera la propria santificazione, ed a questo tese per tutta la sua vita con un’energia immensa. Poi cercava con pari zelo tutto ciò che è giusto e che è santo, cioè quanto Gesù Cristo ci fa domandare nel Pater noster; quindi quanto può giovare alla Chiesa, specie alla Chiesa purgante. Per la liberazione delle anime del purgatorio non solo fece l’atto eroico di carità, suggerito dal S. P. Pio IX, ma si offeriva pronto a soffrire tutti i patimenti possibili a soffrirsi nel mondo. Quanto alla Chiesa militante si propose continuamente di pregare e soffrire pei moribondi e per i poveri peccatori; e poi in modo tutto speciale per la perseveranza dei giusti, e per tutti e singoli i confratelli della nostra Pia Società. Imita anche tu questo carissimo confratello che Iddio ci diede per esemplare, e vedrai che anche il tuo progresso nel bene sarà grande, e più grande l´onore e la gloria che ne proverrà a Dio.

Pregare per le anime affidateci.

Dobbiamo poi domandare la salute delle anime che sono da Dio affidate alle nostre cure. Poiché se Dio ci affidò quelle anime, noi abbiamo il dovere di pregare per esse, chè questo è il più efficace mezzo di poter loro essere utili. E ciò è conforme all’esempio datoci da Gesù, il quale nell’orazione che fece dopo l’ultima cena, pregò in particolare per quelli che gli erano stati affidati, soggiungendo: « Padre santo, salva nel nome tuo quelli che tu mi hai dato e per essi domandò grazie spirituali ed in grado sommo, acciocché fossero una cosa sola con Dio [383].

Regole nella preghiera per gli altri.

Gioverà tuttavia tenere, pregando per gli altri, queste due regole principali: che cioè prima di tutto si metta l’intenzione di pregare per la loro salute eterna, secondo quella legge che è pure del Vangelo: < Qualunque cosa volete che facciano a voi gli altri, e voi fatela a loro . » E quell’altra: Che cosa giova al- l’uomo se guadagna il mondo universo e poi perde l’anima sua? . La seconda regola è che pregando pel bene di una o più anime in particolare, s’intenda pregare implicitamente pel bene di tutto il corpo della Chiesa, cioè si preghi affinchè la vigna di Cristo produca il massimo frutto, e ciascuna anima abbia da produrre il massimo frutto che possa dare al padrone, stando in questo la gloria del Padre. Ciò si fa per esempio col Pater noster, nel quale uno applicando la preghiera anche per sè individualmente, prega in essa per tutta la Chiesa, dicendo a Dio in plurale: Padre nostro, cioè Padre di noi tutti quanti siamo incorporati in Cristo, Padre di tutti i membri della Chiesa, Padre di me e di tutti i miei fratelli.

Pregare per le proprie incombenze.

Ciascuno poi deve pregare affinchè ogni incombenza ricevuta, e perciò annessa al proprio stato, sia benedetta da Dio, cioè riesca bene a salute dell’anima propria, a gloria di Dio, ed a vantaggio delle anime altrui, sia chiedendo lumi e forze per poter eseguire perfettamente quel dovere o incombenza, sia chiedendo che l’opera stessa in tutte le sue circostanze venga protetta dalla divina bontà. Non è mai abbastanza inculcata questa verità, che noi non possiamo fare nulla da noi, e perciò non possiamo eseguire i nostri doveri bene, se non è Iddio che ce ne dà la forza. Ogni nostro sforzo non approda a nulla se non è il Signore che lo benedice e che lo fa produrre. Dunque non contentiamoci mai di fare; ma preghiamo continuamente, affinchè quel po’ che facciamo sia benedetto da Dio, e riesca a produrre quel bene che ci proponiamo nel farlo.

Pregare per i superiori e benefattori.

Intanto ciascuno in quanto è soggetto deve pregare pei superiori; e prima per il sommo Pontefice e per tutto il regime della Chiesa universale, poi per le altre autorità, ecclesiastiche e civili, attesa l’influenza grandissima che queste autorità possono avere nel bene della Chiesa, ed a salvezza anche spirituale del popolo. Dalla legge naturale stessa deve essere mosso ciascuno a pregar pei suoi benefattori tutti, e spirituali e corporali, e non solo per i benefattori vivi ma anche per i defunti. E qui conviene anteporre i genitori, come quelli da cui ci venne l’esistenza che è condizione di tutti i beni sì spirituali che temporali. Quelli poi cui dobbiamo benefizi spirituali, vanno innanzi agli altri cui dobbiamo solo benefizi temporali.

Ordine da seguire per i vincoli spirituali e naturali.

Tutte le su esposte grazie dobbiamo domandarle a Dio in forza dei nostri doveri, della nostra condizione. Ma vi sono cose che dobbiamo domandare al Signore pel nostro prossimo, suggeriteci dalle esterne circostanze. Queste esteriori circostanze sono specialmente due: il nesso o vincolo spirituale che abbiamo con essi, e il nesso naturale. Quanto al nesso spirituale, prima convien pregare per quelli che attualmente pregano con noi. Giacché pregando essi attualmente per noi, hanno con noi il nesso spirituale più intimo. Davanti a Dio sono un cuor solo, un’anima sola: è una sola voce di un solo corpo, che s’éleva al trono della divina Maestà da quelli che pregano insieme. In secondo luogo, ciò che ci deve muovere a pregare per i prossimi, è la dimanda che essi stessi ne fanno, riconoscendo nella loro istanza un invito della provvidenza ad esercitare verso loro la carità, secondo un onesto e buono loro desiderio. Oltre a ciò vi è un nesso spirituale, il quale essendo ragionevole vien come santificato dalla grazia, e ci deve essere di eccitamento a pregare. Questo è il nesso della compassione. Ogni moto di compassione, come pure ogni altro ragionevole affetto naturale, può riguardarsi da noi come uno stimolo della divina provvidenza ad usare carità al prossimo, anche col pregare per esso. E tutto questo è pur secondo l’esempio di Gesù, che pianse e pregò al sepolcro di Lazzaro, che risuscitò il figlio della vedova di Nairn, preso da compassione per quella donna che tanto piangeva. Questi eccitamenti non devono tuttavia essere quelli che direttamente ci abbiano a muovere alla preghiera; ma solo quelli che ci indicano più determinatamente la materia della preghiera. Poiché la mossa principale a pregare deve venirci da un impulso dello Spirito Santo, il quale ubi vult spirat (Giov., Ili, 8).

La formula più efficace e fondamentale.

Ma l’orazione nostra non errerà giammai, se rimarremo costanti nelle petizioni necessarie e fondamentali, di cui sopra si parlò, con qualunque formula si voglia. Riconosciamo tuttavia che nessuna formula è più eccellente ed efficace di quella che Gesù stesso si compiacque d’insegnarci, il Pater noster. E perciò a questa orazione essenziale e fondamentale, come alla più sxiblime di tutte, sia portato il più sovente possibile lo spontaneo moto delle nostre anime. Essendo quella suggeritaci da nostro Signore direttamente, essa ci dà maggior certezza d’incontrare il suo divino beneplacito.

Capo V LE DIVOZIONI DEL NOVIZIATO

Le pratiche di pietà prescritte e permesse.

Gli ascritti devono adempiere esattamente, e, per quanto si può, in comune tutte le pratiche di pietà specificate al capo XII delle nostre Costituzioni, e all’articolo 294 dei Regolamenti, e quelle raccomandate dai superiori ed introdotte nel noviziato da una santa consuetudine. Ma nessuno, sebbene privatamente, se ne imponga delle nuove senza il consenso del maestro. Ed in comune non s’introduca nessuna pratica nuova, senza l’espressa approvazione dei superiori maggiori. E tu metti la tua applicazione non nel crescere il numero delle pratiche, bensì a fare con più grande impegno, divozione e profitto quelle che ti sono o comandate o consigliate.

L’unione con Dio.

Don Bosco, come già sopra si disse, venne definito dal Cardinal Alimonda, l’unione con Dio. Dunque anche tu, che vuoi essere fedele imitatore di questo nostro caro padre, procura di tenere continuamente il cuore rivolto a Dio. Questo non porta via tempo, e non richiede molte pratiche di pietà in comune od esteriori, bensì attenzione interna su di te, affinchè non faccia alcuna azione che non sia diretta alla maggior gloria di Dio. Anche qui devi poter dire: Niente di ciò che piace a me, tutto e sempre quel che piace al Signore. Don Bosco raccomandava il pensiero della presenza di Dio come uno dei più potenti preservativi contro il peccato, e voleva che in molti punti della casa vi fossero appesi cartelli con la scritta : « Dio ti vede.

Divozione a Gesù Sacramentato.

Fa’ quante più puoi visite al SS. Sacramento. È vero che il salesiano quando si trova sul campo del lavoro, occupato nell’assistenza od in altri uffici, non potrà molte volte recarsi ai piedi di Gesù Sacramentato lungo il giorno! Ma egli potrà tuttavia supplirvi con le frequenti e fervorose giaculatorie, potrà trattenersi spiritualmente in intimo colloquio col Sacro Cuore di Gesù e con Maria SS. Per riuscire a questo è necessario che nell’anno di noviziato tu ti assuefaccia a simili aspirazioni e giaculatorie durante le tue occupazioni, ed anche a fare frequenti visite a Gesù Sacramentato, specialmente nel tempo delle ricreazioni più lunghe.

Il segno di croce.

Ciascuno faccia il segno della santa croce servendosi dell’acqua benedetta, non solo nell’entrare e nell’uscire di chiesa, ma ogni volta che entra od esce dagli studi, dalle scuole, dai dormitori, presso la porta dei quali è collocato l’acquasantino con acqua benedetta. E tu procura di fare questo segno del cristiano con vera divozione, e proprio come insegna il catechismo, e come ci è inculcato dal regolamento delle case. Porta anche sempre sulla tua persona, e tieni appeso al collo qualche oggetto benedetto, come crocifisso, medaglia, o scapolare. Abbi poi sempre con te la corona per la recita del santo rosario.

Atti esteriori di culto.

Eseguisci esattamente, devotamente, posatamente, e secondo le regole stabilite, tutti gli atti esterni di religione, quali le genuflessioni, gli inchini, le cerimonie e tutto quanto può giovare alla divozione. Anzi proponiti di voler dare molta importanza, ora e sempre, all’imparare adeguatamente ed eseguire esattamente e posatamente e devotamente tutte le cerimonie della Chiesa. Addestrati anche a rendere più divote le sacre funzioni col canto gregoriano. Così pure, quando si deve stare in piedi sta’ ben diritto, mai appoggiato al muro, e se inginocchiato sta’ in debito modo.

Divozione al Sacro Cuore.

La divozione al Sacro Cuore di Gesù fu quella che sopra ogni altra Don Bosco raccomandò alle case di noviziato e di studentato: tu pertanto procura che essa sia la divozione tua principale. Unisciti con grande impegno e spirito di divozione agli altri compagni nel consacrare in modo speciale ad onore di cotesto Cuore Sacratissimo il mese di giugno, che terminerà con una festa solenne, ed una accademia devota, ordinata a farne conoscere meglio le meraviglie, e ad accrescerne in tutti la divozione e l’illimitata fiducia. Impegnati a praticare qualche divozione speciale in onore di questo Cuore adorabile, specialmente quella così detta dei Nove Uffici e l’altra della Guardia d’Onore, cercando che queste divozioni non consistano in sole preghiere vocali; ma ti servano d’incitamento a sode virtù e ad acquistare vero spirito di sacrificio. Ricorda sempre in modo particolare il primo venerdì del mese. In tal giorno sono stabilite nei noviziati alcune pratiche speciali in comune, e tu falle con grande spirito. Ed in privato domanda di poter fare di tanto in tanto l’ora santa, o qualche piccola penitenza. Specialmente non dimenticar mai la comunione riparatrice. La divozione al Sacro Cuore di Gesù dev’essere come incarnata nella divozione al SS. Sacramento. Perciò animati molto a questa divozione, ed a tale scopo, oltre alla visita comune a Gesù sacramentato datti gran premura di farne altre lungo il giorno. E quando non potrai recarti in chiesa fa’ frequenti comunioni spirituali. Di’ con frequenza delle infuocate giaculatorie, ed assisti alla sera con gran divozione alla benedizione che si dà col SS. Sacramento. Proponiti in particolar modo di voler sempre correre subito ai piedi di Gesù nei momenti delle grandi afflizioni, nelle tentazioni, e quando qualche forte passione agita il tuo cuore. Di qui deve sempre cercarsi la vera forza, come il vero conforto.

È caldamente raccomandata agli ascritti la comunione frequente, e per quanto si può, quotidiana; mai però senza il consenso del confessore. Procura di essere zelante in questo, e sia una delle grazie speciali che con maggiore intensità e costanza domandi al Sacro Cuore di Gesù, quella di non avere a tralasciarla nemmanco una volta e di poter sempre farla meglio e con maggior profitto per l’anima tua.

Divozione a Gesù Crocifisso.

Una gran divozione a Gesù Crocifisso deve farti parere cosa da poco il digiuno del venerdì e le altre piccole mortificazioni ed umiliazioni, a cui fossi assoggettato. Ti farà anche abbracciare volentieri tutte le croci che il buon Dio vorrà mandarti, le ingiurie che per caso ti venissero fatte, le persecuzioni a cui dovessi soggiacere; e ti farà anche desiderare di poter far grandi sacrifizi, per poter cooperare con Gesù nell’opera della salvezza delle anime. Invoca l’incomparabile nostro confratello Don Beltrami, tanto desideroso di patire, affinchè dai patimenti di Gesù tu pure possa informarti a quel vero ed eroico spirito di sacrificio, ed anche a quel grande amore ai patimenti che è caratteristica delle anime sante, e mezzo indispensabile per poter poi zelare la salute delle anime.

Sarà anche buona cosa, che di quando in quando domandi qualche penitenza o il permesso di fare qualche mortificazione, sia in espiazione dei peccati passati e delle trasgressioni giornaliere, sia per assuefarti ad una vita rigorosa ed un po’ meno dissimile da quella di Gesù e dei santi. Ma non dimenticare mai che le mortificazioni interne, il perdono delle ingiurie, il sopportare le molestie del compagno, il mostrarti grazioso con chi ti offese, e specialmente il sopportare con gaudio e buon esempio il peso della perfetta vita comune, e l’osservanza perfetta delle regole, è la penitenza più gradita a Gesù, e che porta maggiore utilità all’anima tua. Perchè il pensiero della passione di Gesù resti più impresso nel tuo cuore, fa’ con quella frequenza maggiore che ti sarà permesso, l’esercizio della Via Crucis. Specialmente domanda di poter fare più volte questa divota ed utilissima pratica, dopo che fossi caduto in qualche disgrazia spirituale.

Divozione a Maria Santissima.

Una divozione soavissima, che è mezzo di perseveranza e ad un tempo segno di predestinazione, è la divozione verso Maria SS. Tu pertanto ti applicherai ad amare questa nostra buona madre celeste, ad imitarla nelle sue virtù, a farle molti ossequi, e specialmente a ricorrere a lei in ogni occorrenza.

Proponiti con San Giovanni Berchmans, e col nostro Don Beltrami di non acquietarti finché non sia riuscito ad avere una divozione profonda e tenera verso sì buona madre, nostro conforto e nostro grande aiuto in ogni tempo ed in ogni circostanza della vita. San Francesco Borgia, come riporta Sant’Alfonso nelle sue mirabili glorie di Maria, una volta richiedendo ad alcuni novizi a qual santo avessero più divozione, si accorse che alcuni non avevano una special divozione a Maria.

Avvertì il maestro dei novizi, che tenesse gli occhi sopra quei disgraziati; ed avvenne che quasi tutti quelli che non dimostrarono speciale divozione alla Madonna, perdettero miseramente la vocazione e se ne uscirono dall’istituto.

Divozione a Maria Ausiliatrice.

Per ogni salesiano deve essere caratteristica la divozione a Maria SS., invocata come Aiuto dei cristiani. Con questo titolo la invocava Don Bosco, in suo onore erigeva la grande chiesa in Valdocco, coniava medaglie, stampava immagini. Di questo titolo volle fregiare la famiglia di suore che egli fondò, denominandole appunto Figlie di Maria Ausiliatrice. La Beata Vergine dimostrò e dimostra tuttora quanto gradisca di essere invocata sotto questo glorioso nome, concedendo un numero infinito di grazie, come si ricava dai volumi delle grazie ottenute, stampati in proposito da Don Bosco, e da quelli che in altri fascicoli e nel Bollettino si pubblicano anche oggi. Ai Salesiani si può dire che la Madonna stessa affidò questa divozione e noi vediamo con immensa consolazione, che essa è ornai estesa fino agli ultimi confini della terra. Tutta l’Oceania in una radunanza di vescovi fu consacrata a Maria Ausiliatrice. Varie diocesi presero a titolare Maria Ausiliatrice; molte chiese già si consacrarono e molte se ne vanno consacrando, anno per anno, alla Madonna sotto questo augusto titolo. Già possiamo contarne oltre trecento, se comprendiamo le chiesette private di collegi, educandati e case religiose... Tu pertanto figurati che anche a te Don Bosco raccomandi questa speciale divozione, e ricorri a lei in ogni propizia circostanza. Parla di lei, racconta le sue grazie, e propagala quanto sta in te. E proponi fin d’ora di voler poi fare ben di più quando ti troverai in grado di farlo. Ora specialmente, che per insigne favore il Santo Papa Leone XIII volle che a suo nome e autorità fosse coronata la sua grandiosa icona in Torino nel suo santuario principale, tu devi accenderti del desiderio di confidare sempre più nel suo potente aiuto e di volerne propagare la divozione fino agli ultimi confini della terra.

Pratiche di questa divozione.

A questo fine di volerla onorare, consacrerai alla Madonna l’intiero mese di maggio ed i sabati di tutto l’anno, e farai devotamente tutte quelle novene e feste che, secondo i luoghi, occorreranno con la maggior solennità. Si solennizzi poi da tutti in modo speciale la novena e la festa dell’Immacolata, essendo in quel giorno che Don Bosco cominciò l’opera sua in pro della gioventù. E siccome questa festa si suole terminare con una devota accademia in suo onore, tu vi assisterai con gran divozione e ti preparerai a fare qualche cosa, che in qualunque modo possa contribuire a rendere sempre più solenne, e per te più devota questa festa. Abbi anche molta divozione alla Vergine Addolorata, recitando, quando ti sarà possibile, la corona dei suoi sette dolori, ed a lei sappi raccomandarti specialmente nei momenti di grandi ambascie e di grandi tentazioni.

Vi è ordinariamente una statua od un’immagine di Maria Ausiliatrice in cortile, sotto i portici, per le scale, nei corridoi, nelle scuole, nelle camere. Tu proponiti di onorarla togliendoti rispettosamente la berretta passandole davanti, e rivolgendoti a lei con numerose e ferventi giaculatorie come meglio ti sarà possibile. E, se ti sarà concesso, proponiti anche o di prenderti cura della pulizia o degli addobbi nelle principali solennità, o di circondarla di fiori, o di accudire il lumicino che fosse da tenersi acceso avanti a lei in varie circostanze. Questi benché piccolissimi atti di ossequio, se fatti con cuore ardente e generoso, servono ad accrescere la divozione ed attirarti molte grazie da questa buona Mamma dei Salesiani.

Prima di andare a riposo recita, inginocchiato accanto al tuo letto, tre Ave Maria, per ottenere la grazia di conservare sempre e perfettamente la purità di mente, di cuore e di opere, e non ti alzerai di ginocchio senza fare devotamente il segno della santa croce dicendo: Nos curri prole pia benedicat Virgo Maria, figurandoti di ricevere la benedizione della Madonna stessa.

Divozione a San Giuseppe, ed altri Santi.

Si deve pur onorare con divozione tutta speciale il glorioso San Giuseppe, stabilito come uno dei principali protettori della nostra Pia Società. A tal fine solennizzerai le sue feste nel miglior modo possibile, consacrando inoltre a lui il mese di marzo e tutti i mercoledì dell’anno, affinchè, come fu custode di Gesù Bambino, così voglia essere anche custode nostro, bambini come siamo nella via della virtù. Tu inoltre prega anche con tutto il cuore questo gran santo, maestro speciale della vita interiore, affinchè ti aiuti ad avere raccoglimento, a fuggire le distrazioni nelle preghiere, ed a far bene la meditazione. Anche San Francesco di Sales, nostro titolare, merita i nostri speciali ossequi. Tu quindi parteciperai con amore al triduo solenne che si suol fare in preparazione della sua festa, per ottenere da lui una grande umiltà, mansuetudine, carità e zelo per la salute delle anime. Nel mese che precede la festa, od almeno nella novena, approfitterai della lettura che in refettorio o nei dormitori si fa della sua vita e delle sue virtù. San Luigi, protettore in generale della gioventù, è protettore speciale dei chierici novizi e studenti. Lo si deve perciò festeggiare solennemente facendo precedere alla sua festa le sei domeniche e la novena. Tu fa’ tutte queste pratiche con lo scopo di ottenere da lui un’obbedienza veramente religiosa, una castità perfetta e spirito di preghiera e di penitenza. Anche a San Tommaso d’Aquino debbono divozione speciale i chierici. In suo onore si fa un’accademia scientifico-religiosa. Tu in sì bella occasione domanda a lui una scienza vera indirizzata a buon fine, unita a quell’umiltà profonda che caratterizzò questo santo, affinchè la scienza non abbia mai in te a produrre raffreddamento nella pietà ed affìevolimento nella virtù.

Divozione agli Angeli.

Abbi poi grande devozione ai Santi Angeli e proponiti di ascoltare in modo speciale le ispirazioni del tuo buon Angelo Custode. Onora in particolare San Michele, per ottenere da lui la fortezza contro i nemici di Dio e dell´anima tua; San Gabriele, affinchè t’insegni ad onorar meglio la Madonna; San Raffaele affinchè ti serva di guida e ti preservi dai pericoli negli anni difficili del chiericato.

Divozione alle anime purganti.

A sollevare le anime del purgatorio, se non Thai ancora fatto, fa’ volentieri l’atto eroico di carità, tanto raccomandato dal Santo Padre Pio IX e da lui arricchito di moltissime indulgenze, e fa’ altre preghiere pei defunti. Nè lascia mai di adempiere, con grande cuore, quelle pratiche comandate dalle regole per sollievo dei fratelli già da Dio chiamati all’eternità.

Divozione a Don Bosco.

E posso io tralasciare di raccomandarti anche in particolare una confidente divozione ed una speciale fiducia nel nostro santo Fondatore Don Bosco? Ora che la Chiesa ha parlato e tutto il mondo celebra le virtù e la potenza d’intercessione del nostro Santo, la divozione verso di lui è un dovere più certo e più stretto, cui assolveremo con fede ed amore di figli. Egli è grandemente potente in cielo, come ne fanno fede le innumerevoli grazie e miracoli ottenuti per sua intercessione. Egli ama la Pie Società da lui fondata, e non se ne può dubitare. A lui adunque ricorriamo con fiducia e senza esitazione, e offriamo quegli atti di divozione che dai superiori ci sono inculcati o prescritti. Procura di dedicargli il martedì, il giorno della sua morte, con qualche pia pratica personale; contraddistingui la Commemorazione mensile l’ultimo giorno del mese con qualche devoto atto di pietà; celebra con filiale tenerezza e speciale devozione il Triduo prescritto e la solennità della sua Festa; e tutti i giorni pregalo che ti renda suo degno figliuolo, e ti aiuti ad imitare le sue virtù e le sue opere. Generalmente, per ottener grazie interponi lui come mediatore, e prega lui stesso che s’inginocchi un momento per noi ai piedi della Madonna e le strappi quelle grazie di cui tanto abbisognamo, e che tanto ci stanno a cuore.

Circoli di pietà.

Mezzo potentissimo per progredire nelle virtù sono anche i circoli di pietà, in cui ciascuno s’ingegna di ripetere con qualche buon compagno, scelto di comune accordo con il maestro o col direttore, le cose udite nelle prediche, nelle conferenze e negli avvisi datisi alla sera. In questi circoli ciascuno s’impegni a dare buoni suggerimenti ai compagni, ed a praticare i buoni suggerimenti che dai medesimi riceve. Tu cerca di essere tra i più zelanti in questa pratica. Procura di farli, se puoi, un poco tutte le sere, e troverai in essi un mezzo potentissimo per conservare il fervore, per progredire nelle virtù e riuscire un po’ più degno figlio di Don Bosco. Ciò riuscirà specialmente se prenderai questo compagno come tuo monitore secreto, pregandolo che senza riguardi umani ti avvisi dei tuoi difetti; e se poi con umiltà prenderai le sue ammonizioni, e con risolutezza procurerai di vincertene.

Ciò in sottordine alle pratiche di pietà prescritte.

Nota però bene che tutte le sopraddette divozioni non devono impedir l’esecuzione costante e perfetta delle pratiche di pietà prescritte dalle nostre Costituzioni, e delle quali ti parlerò in seguito; anzi le presuppongono. Chi trasgredisce quelle per eseguir queste od altre a suo talento, sarebbe fuor di strada. Prima le cose prescritte e poi le cose consigliate. Solo quando alle prime si fan seguire queste altre, tu potrai dirti divoto in modo ben ragionevole, e ti attirerai copiose le benedizioni del Signore.

Capo VI LA CONFESSIONE

Si è parlato fin qui della divozione e delle pratiche di pietà in generale; ora conviene discendere a spiegare in particolare, una per una, quelle prescritte dalle nostre Costituzioni Sarebbe cosa bella e confortevole poter fermarsi a lungo su ciascuna, e dimostrarne l’eccellenza, la necessità, i beni che da essa derivano; ma questo porterebbe troppo a lungo. Qui devo limitarmi ad insegnarti il modo pratico di compierle, e le cose più importanti che le riguardano. Ciò spero sarà sufficiente per animarti a farle tutte con assiduità e fervore, se tu prenderai queste poche cose che ti dirò con animo docile, e procurerai di far cadere la semente su terreno ben preparato.

La confessione settimanale.

La prima pratica di pietà che le Costituzioni ci indicano è la confessione. Essa deve essere settimanale e fatta da confessori, che siano autorizzati dal Rettor Maggiore o dall’Ispettore ad esercitare questo ministero verso dei soci. La parola settimanale Don Bosco la spiegava in questo modo: non è da stabilirsi da nessuno per regola ordinaria la confessione più volte la settimana; ma ciascuno può secondo le circostanze andare anche altre volte. Ciò per esempio quando uno ha qualche dubbio, quando ha qualche tentazione straordinaria, quando si ha timore di far la santa comunione senza confessarsi, e sempre quando si fosse commesso qualche peccato grave avvertito, e quando il confessore stesso  raccomandasse per motivi speciali e per un dato spazio di tempo di andare due o più volte nella medesima settimana.

Fissarsi il giorno della confessione.

Come non sono da moltiplicarsi, per regola ordinaria, le confessioni, così è dà non lasciare mai passare la settimana senza confessarsi. Per questo è raccomandato di fissarsi il giorno e tenerlo costantemente tanto da poter dire: questo è il mio giorno. E quando per qualche circostanza una volta si dovesse cambiare, subito dopo si torni al giorno stabilito. Pare questa una cosa di poca importanza; eppure chi è pratico, la trova di somma importanza. E tu proponiti di voler accostarti tutte, assolutamente tutte le settimane a questo santo sacramento, senza lasciarne una. Chi conosce i grandi vantaggi che provengono dal sacramento della Confessione non si priverà mai di questo potentissimo mezzo di salute, e lo praticherà con precisione secondo la regola. Pensa che esso è stato stabilito da Dio non solo per ottenere il perdono dei peccati, ma per cancellarne persino le tracce, per rimettere almeno in parte la pena ch’essi meritano, affievolire le cattive propensioni, abbellire l’anima e riacquistare il merito di tutte le buone azioni, che era come sospeso e annientato dal peccato mortale.

Confessori della casa.

La seconda cosa che prescrive la regola è che la confessione sia fatta da confessori che esercitano questo ministero col permesso del superiore. In ogni casa vi sono uno o più confessori stabiliti dagli ispettori e approvati dal Rettor Maggiore, notati nel catalogo della nostra Pia Società. La confessione fatta da confessori non designati dal superiore resta bensì valida: ma il farla così è contro la regola, e perciò devi proporti che in via ordinaria questo non ti abbia a succedere.

Efficacia di questo sacramento.

Accostandoti alla confessione procura di riflettere bene, che questo è il sacramento delle misericordie, quello che dà la pace alla coscienza, produce la concordia nelle famiglie, e la felicità nei popoli. Esso è necessario perchè è lunico mezzo ordinario che il Signore abbia stabilito per il perdono dei peccati; esso è mezzo convenientissimo, perchè ci fa riflettere su di noi e ci fa conoscere meglio noi medesimi. Esso ci umilia salutarmente, secondo il nostro bisogno, perchè come origine d’ogni male fu ed è la superbia, così origine d’ogni bene è l’umiltà. Esso è al tutto conforme alla natura umana, che ha bisogno per una parte di esternarsi con un buon amico e qui lo troviamo, ed ottimo, nel confessore; e per un’altra parte si ha bisogno di essere assicurati del perdono, il che non può avvenire se non da una parola assolutamente autorevole, quale è appunto quella del confessore, che è buon padre, mentre è pure vero giudice. Il peccato vulnerò l’anima nostra, la quale perciò resta piagata e come ammalata; nella confessione noi troviamo il medico adatto a curare le piaghe. Se i denigratori di questo sacramento istigati dal demonio (che nulla teme di più della confessione, poiché è lì dove il peccatore gli rompe le corna), blaterano contro di essa e dicono essere difficile e pesante, tu pensa invece che non vi è nessun sovrano o padrone del mondo, che offeso dia perdono così sincero e completo, richiedendo sì poca soddisfazione. Bisognerebbe conoscere com’è grande la maestà di Dio che viene offesa, e come è davvero vile l’uomo che l’offende, conoscere quanto è più grande la bontà di Dio nel crearci, redimerci, perdonarci già tante volte, e venir persino tante volte in persona a visitarci; e quanto è grande la nostra ingratitudine e malizia, nel non voler servire un Signore sì buono ed anzi nel servirci dei doni che ci fece per ribellarci a lui così ingratamente, per così capacitarci che è nulla quel che richiede da noi per darci il perdono e riconciliarci con lui.

Importanza di prepararci.

Ora importa prepararti bene a questo gran sacramento. Bisogna che metta una grande applicazione per adempiere un sì sublime atto; poiché i frutti che può produrre una buona confessione sono meravigliosi. È bensì vero che il sacramento opera per sé, o, come dicono i teologi, ex opere operato, e che perciò basta non porre impedimenti, e apporterà sempre il perdono dei peccati mortali; ma esso può produrre anche altri innumerevoli e specialissimi vantaggi; e questi non si arriva ad ottenerli che ponendo al loro conseguimento tutta l’attenzione possibile, e facendo quanto i maestri di spirito c’insegnano. Apprendi a confessarti veramente bene ora nel noviziato, e allora riuscirai facilmente a fare confessioni buone per tutta la vita.

Dell’esame.

Per riguardo all’esame di coscienza, trattandosi della confessione settimanale, non occorre gran tempo. Prendi questo metodo: dopo breve preghiera, e dopo un ricorso ardente alla Madonna, ricerca in particolare quanto ti sembra aver commesso di male contro Dio, contro il prossimo e contro te stesso, e ciò in pensieri, desideri, parole, azioni, omissioni, cooperazione. Bada ancora, esaminandoti, che se per disgrazia avessi commesso peccati mortali, devi cercare di conoscerne con precisione il numero. Questo esame può esser fatto in pochi minuti, perchè non trattandosi che di una settimana, e supponendo che tu sia diligente nel fare tutti i giorni il tuo esame di coscienza, ti ricorderai presto dei tuoi mancamenti.

Della contrizione.

La cosa più importante nel sacramento della Confessione è la contrizione, tanto necessaria che senza di essa non si può ottenere la remissione di nessun peccato. È necessaria quanto l’acqua nel battesimo. Neppure il Signore potrebbe perdonarti il peccato, se tu non fossi pentito d’averlo commesso, e non lo detestassi con tutto il cuore. E neppure i peccati veniali vengono cancellati senza questo dolore, mentre essi, anche senza l’assoluzione, si cancellano con la contrizione. Tuttavia nota bene per la pratica, che questo dolore dei peccati deve bensì esse sommo, cioè il peccato ci deve dispiacere più che non ogni altro male temporale, nel quale noi avessimo potuto incorrere, poiché il peccato in verità è il più grande di tutti i mali, o piuttosto l’unico e vero male; ma non è necessario che il dispiacere sia sensibile. Il dolore è un atto della volontà, e la volontà è una potenza spirituale elevata al disopra dei sensi; non è pertanto da stupire se i sensi non trovano il dispiacere e la pena che è nella volontà. D’altronde la stretta unione dell’anima col corpo fa sì che l’anima senta più vivamente l’impressione degli oggetti corporali che non quella delle cose spirituali. Questa osservazione è necessaria per rassicurare quelli che hanno una coscienza troppo timorosa, e gli scrupolosi, che temono di far sempre cattive confessioni per mancanza di contrizione sufficiente. In pratica basta che la contrizione ti decida a non voler più fare peccati e a volerli fuggire più che tutti gli altri mali temporali.

Mezzi di contrizione: 1) L’accusa dei peccati della vita passata.

Molte volte riesce difficile eccitarci alla contrizione non avendo a confessare che le piccole miserie della settimana; ma io ti esorto, per riuscirvi, a far due cose. E prima di tutto conviene aver dolore dei peccati della vita passata, ed accusarti di qualcuno di essi in particolare. Mio caro: se tu non avessi commesso che un solo peccato mortale in vita tua, avresti ben grave motivo di piangerlo per tutta la vita. Perchè, per quanto fu da te, con quel peccato ti sei chiuso per sempre il paradiso e meritato per sempre l’inferno.

Tutte le preghiere dei cento anni che avessi ancora a vivere, tutte le penitenze di tutti i santi, tutta l’intercessione della Madonna con tutti i suoi meriti, non sarebbero sufficienti a riaprirti il paradiso e a chiuderti l’inferno. Ci volle il sangue di Gesù. Tu adunque sei stato davvero il carnefice di Gesù; tu sei stato il manigoldo che l’hai legato, trascinato, flagellato, coronato di spine, sputacchiato, disprezzato in ogni modo e confitto in croce, secondo quanto dice San Paolo, che il peccatore è come se rinnovasse la crocifissione di Gesù[384]. Sia pure che l’abbia crocifisso una volta sola, tu devi per tutta la vita ricordare che sei stato un manigoldo, un carnefice, e peggiore di quelli che han crocifisso Gesù. San Pietro rinnegò una volta sola Gesù; ma pianse il suo peccato per tutta la vita. Davide commise quel sol delitto, ma diceva: Ho sempre presente il mio peccato. E tutte le notti piangeva, e le sue lagrime gli irrigavano il capezzale[385]. E tu forse ne avrai commesso più d’uno, e perchè è passato già un po’ di tempo, perchè l’hai già pianto qualche volta, te ne stai ora impassibile?

2) Considerare la gravità del peccato veniale.

La seconda cosa è il considerar meglio il gran male che è il peccato veniale. Poniamo pure che tu non abbia commesso peccati mortali; ma non hai tu mai meditato un po’ profondamente che cosa sia il peccato veniale? Dopo il peccato mortale, è il più gran male del mondo. Se non dà la morte all´anima, la ferisce, l’imbratta, la piaga in modo da renderla la cosa più orrida e puzzolente che possa immaginarsi. Se non diede la morte a Gesù, l’ha tuttavia disgustato, offeso, vilipeso, maltrattato; e questo abbandono e vilipendio di Gesù parte da chi non solo fu amato e tanto beneficato, ma coperto di benefici e confuso pel grande amore. Sei tu che l’hai offeso; tu, che formi come la pupilla dell’occhio suo, cui ha già perdonato mille altre volte, mille altri peccati veniali, tu cui si comunica tutti i giorni, tu chiamato a seguirlo così da vicino, tu trapiantato nel suo giardino più eletto, coltivato da Lui con cura paterna! Non solo il vero peccato veniale dovrebbe inorridirti, ma le leggerezze, le più piccole trascuratezze, le piccole freddezze con un Signore sì buono, dovrebbero tormentarti.

Orrore dei santi per il peccato.

Non è da credere esagerazione l´umiltà dei santi che si credevano grandi peccatori, degni di ogni disprezzo, degni solo di essere messi sotto i piedi degli altri, immeritevoli di alzare lo sguardo verso il cielo. Ciò che li rendeva tali è il conoscere l’immensità di Dio, la sua infinita bontà con noi in particolare, e il vedere come egli trova sua delizia nello stare tra noi. Il vedere che Egli arrivò al grado, quasi direi, di pazzia d’amore volendo sacrificarsi per noi e subire tanti strapazzi e la morte stessa; e voler stare personalmente sempre con noi nel SS. Sacramento, ove il suo Cuore Sacratissimo non lascia un minuto di palpitare per noi, e per amor nostro si sottopone continuamente a sconoscenze, a profanazioni ed a sacrilegi; e poi veder se stessi sì delicati, sì suscettibili, sì freddi, sì poco curanti di lui! Oh se i santi avevano un orrore sì grande pei loro peccati, che erano sì rari e sì piccoli, qual dolore dovremmo avere noi delle nostre venialità, che forse non saranno nè sì piccole, nè sì poco numerose?

3) I tre pellegrinaggi della contrizione.

Vuoi tu un mezzo pratico per procurarti il vero dolore dei peccati? Fa’ tre peregrinazioni. Spicca con la tua mente un volo fino al paradiso, e vedrai che esso è chiuso inesorabilmente a chi ha il peccato mortale. E tu rifletti che di questi peccati ne hai fatti, che perciò senza l’infinita misericordia di Dio che venne ad incarnarsi e morire per te, esso ti sarebbe chiuso per tutta l’eternità. Maledetto peccato, che mi chiuse il paradiso! Recati quindi alle porte dell’inferno, e lo troverai colla bocca spalancata per ingoiarti ed eternamente tenerti in quelle voragini orrende. È il peccato che te lo aperse sotto i piedi, ed è solo per estrema misericordia di Dio se non vi sei precipitato. Ci volle il sangue di Gesù per chiuderlo. Maledetto peccato, che ci mise in pericolo così imminente di precipitarvi dentro! Ea terza peregrinazione sia al Calvario. Vedi Gesù penante, agonizzante, straziato in ogni modo, disprezzato, deriso, fatto ludibrio delle genti e finalmente tra i più orridi strazi morire in croce. Chi è che fece tale scempio di Gesù? È il peccato: quel peccato che tu hai commesso! O maledetto peccato, che tanto costò al Redentore! Benedetto Gesù che mi sopportò[386]. Puoi tu pensare a queste cose, e non detestare il peccato?

Del proponimento. 

Quando il dolore è vero, non può mancare il proponimento; poiché i medesimi motivi che ci portano ad odiare ed espiare i peccati passati, devono farceli detestare e fuggire per l’avvenire. Quello invece che può mancare, e in pratica manca varie volte, è questo: col cuore si detesta il peccato e si propone di non farlo più; ma intanto non si fuggono le occasioni, e non si prendono i mezzi adatti per fuggirlo davvero. Bisogna pertanto che tu ponga tutto l’animo tuo su questi due punti: fuggire le occasioni ed usare i mezzi per non più cadere. Se tu per esempio sei stato soggetto a cattivi pensieri, devi vedere se ne hai data occasione con la curiosità degli occhi, rimirando figure cattive, o troppo curiosamente i compagni, o altre persone; se non li hai eccitati con la lettura di libri, se non cattivi, mondani o geniali o fantastici, ecc., ed in questi casi non basta dire non voglio più quei pensieri cattivi; ma è necessario fuggire quegli sguardi curiosi, fuggire quelle letture leggere e futili. Se tu ti sei lasciato portare a suscitare in te movimenti indebiti, devi osservare quali ne furono le cause; forse l’ozio, forse il mangiare o bere soverchio, forse qualche tenerezza d’amicizia particolare, forse qualche indelicatezza in tratti. È necessario proporre di fuggire queste occasioni.

Appigliarsi ai mezzi per non ricadere.

E devi anche appigliarti ai mezzi adatti! Tu hai bisogno di maggior umiltà, poiché le tue inclinazioni cattive son molte ed abbisogni di grazie proprio particolari, che il Signore non dà ai superbi ma solo agli umili; tu hai bisogno di maggior spirito di mortificazione, ecc. È necessario che prometta di prendere questi mezzi, se vuoi che il tuo proposito riesca a buon esito. Nota ancora che a perseverare nei buoni propositi, è al tutto necessario che tu non ti appoggi per nulla sulle tue proprie forze, ma tutto sulla grazia di Dio. Egli non può negarci il suo aiuto, se la nostra preghiera è piena di confidenza nella sua bontà e di diffidenza in noi medesimi.

Propositi pratici e particolareggiati.

Facendo i tuoi propositi sta’ attento a non voler abbracciare troppe cose, e far troppi proponimenti e troppo difficili; poiché così ti metteresti a rischio di non eseguirne poi nessuno. Bisogna fare le cose energicamente bensì, ma prudentemente. Bisogna cominciare a prendere il proposito di vincere la passione che sembra in te predominante, ed a praticare quelle virtù che sono più facili, e delle quali ti avvien con più frequenza l’occasione di esercitarle, poi man mano passerai alle altre. Questi propositi devono essere pratici e particolareggiati: i proponimenti vaghi e generali d’ordinario non conchiudono nulla. Il nostro amor proprio, dice San Francesco di Sales, è un grande imbroglione, che vuol sempre abbracciare molto e nulla poi perfeziona. La regola della prudenza dei santi è di abj bracciar poco per volta, e quel poco perfezio narlo grandemente.

Dell’accusa.

Anche parte essenziale del sacramento della Confessione è la dichiarazione dei peccati, ossia la confessione propriamente detta. Figurati anzitutto di deporre i tuoi peccati nei costato aperto di Gesù, che pieno di misericordia ti aspetta, come il padre del figliuol prodigo, onde perdonarti. Da’ quindi uno sguardo a Maria SS-, che è lì per aiutarti; quindi accostati al confessore. Eseguisci con precisione e in bel modo quanto dice il catechismo. Ben inchinato ai piedi del confessore comincerai con dire: Mi benedica, Padre, perchè ho peccato. Ricevuta la benedizione, esporrai subito ii tempo dacché ti sei confessato, se hai fatto la penitenza, se e quante volte hai fatto la tua comunione. Quindi dichiarerai e spiegherai i tuoi peccati, cominciando con dire: Mi accuso, Pache, di avere in questa settimana mancato così e così. Ed in fine soggiungerai: Di questi e di tutti gli altri peccati della vita passata e specialmente.... domando perdono a Dio, ed a lei, mio padre, la penitenza e l’assoluzione.

L´accusa sia umile...

Riguardo all’esposizione dei peccati devi notar bene, che la confessione dev’essere una accusa, non una narrazione qualunque; perciò bisogna che sia fatta in modo umile, con sentimenti di confusione, per avere offeso Dio. Pertanto ti guarderai bene di scusare i tuoi peccati, dandone la colpa alla violenza della tentazione, alla malizia del demonio che ti ha sorpreso, all’occasione che te ne diede qualcuno, o a qualche altra causa. Tanto meno cercherai di sminuirne la malizia; anzi, per umiliarti e confonderti, cercherai di porla in piena evidenza dicendo chiaro che la caduta avvenne per la mancanza di buona volontà e per tua malizia; perchè se tu avessi avuto virtù, se tu avessi presi i mezzi necessari, certo non saresti caduto, per quanto violenta fosse stata la tentazione; se tu avessi vigilato meglio su te stesso, e pregato, come ci ammonisce il Signore, non saresti caduto per quanto il demonio astuto ti avesse sorpreso e per quanto fosse ripetuto l’assalto. L’umiltà t’insegnerà pure a far risaltare nella confessione, per quanto puoi, ma senza snaturare le cose, le circostanze aggravanti che provengono dal tempo, dal luogo, dalle buone ispirazioni avute, dalle grazie speciali che Iddio ti fece, e dalla ostinazione colla quale hai resistito alla grazia.

... sia integra...

Per quanto concerne l’integrità della confessione, tu sai che dei peccati mortali deve dirsi il numero. Non sarebbe sufficiente, per esempio, se tu conosci che le cadute furono quattro, il dire: son caduto tre o quattro volte. Si dice così quando non si è sicuri se siano tre o quattro; ma quando si sa certo che son quattro, ci si deve accusare come di quattro. Anche dei peccati veniali più gravi e commessi deliberatamente fai bene a cercare e dire il numero. Invece crederei eccessivo se di tutte le imperfezioni, o distrazioni, o disattenzioni volessi stare a romperti la testa per cercarne il numero ed allungare la confessione per volerlo dire. Anzi, delle mancanze fatte senza avvertenza sarà meglio dire solo le principali, sia per non allungare la confessione, sia per fissare meglio il dolore su quelle poche.

... sia sincera.

Non posso e non devo nasconderti, che d’ordinario sulla sincerità è dove il demonio fa gli sforzi più grandi per ingannarci, essendo anche dove noi siamo più deboli, perchè lede direttamente la superbia; e su questo punto si richiede un atto di umiliazione. Per quanto uno sia progredito nella via della virtù, anzi per quanto perfetto già sia, quando si avesse la disgrazia di cadere in qualche colpa considerevole, si trova una pena grandissima a dirla in confessione. Anzi direi, che più si è avanzati nella virtù e più uno si crede già perfetto, più pena troverà a dirla, perchè maggiormente il demonio soffierà nel fuoco, e perchè maggiore resta la nostra umiliazione. Il demonio specialmente cercherà d’i- spirarti una malintesa vergogna, suggerendoti nel cuore: Come! tu che sei già stato così buono! Che dirà il confessore! Per carità: metti subito fuori il veleno che hai nel cuore, rigetta il serpente fuori da te con un colpo vigoroso, e tutto sarà fatto. Va’ a confessarti, ascolta il mio consiglio, ma subito, immediatamente, appena ne puoi avere l’occasione. Più ritardi, più dài tempo al demonio di tentarti. Scappa immediatamente nella camera del confessore, gettati, senza dirgli altro, ai suoi piedi, anche stesse lui seduto al tavolino, e accusati lì sul momento della disgrazia che ti è avvenuta.

Considerazioni per vincere la vergogna.

Leggiamo nelle vite dei padri del deserto, che alle volte dei solitari in riputazione di santità, pressoché taumaturghi, ebbero la disgrazia di commettere gravi peccati. Coraggio adunque! Di’ tra te stesso: Terra dedit fruc- tum suum: sono un miserabile ed ho operato da miserabile. Gesù è d’infinita bontà e colla confessione tutto sarà aggiustato. È cosa giusta aver vergogna del peccato commesso; ma sarebbe ingiustissima la vergogna di scoprirlo, dacché si ebbe la disgrazia di commetterlo. Del resto la vergogna è passeggera, e questa medesima ripugnanza che si prova a confessarlo, e lo sforzo che si fa per vincerla, è già una parte della penitenza che si deve fare dei peccati. Certo Iddio tien conto di questa umiliazione del confessare senza riserva i peccati commessi, con tutte le circostanze più gravi ed umilianti, dichiarando i motivi e le intenzioni più o meno maliziose che li accompagnarono, e rivelando certe brutture e nefandezze che non si vorrebbe che neppur l’aria sapesse. L’orgoglio se ne risente, la naturale superbia freme e si contorce; ma rallegrati: quanto più è lo sforzo che devi fare, tanto più il Signore ne tien conto e reputa a premio. Esso poi ci libera dalla spaventevole confusione che se ne avrebbe al giorno del giudizio per aver voluto evitare quella d’un momento, e libera dai rimorsi terribili da cui si sarebbe tormentati giorno e notte se si fosse diminuito, pasticciato, o affatto taciuto qualche cosa.

Della soddisfazione.

Riguardo infine alla penitenza, è conveniente farla sùbito dopo la confessione, sia perchè essa fa parte del sacramento, sia per non esporsi al pericolo di dimenticarla, ed anche per farla in stato di grazia. Conviene tuttavia farla dopo d’aver dette alcune preghiere di ringraziamento della confessione. Ma per quanto puoi, ti consiglio di farla prima d’uscir di chiesa, dopo di esserti confessato.

Due consigli di San Bonaventura.

Ora conchiudo esponendoti due consigli che dava San Bonaventura ai suoi novizi. Ecco le sue parole: « Non debbono i novizi spesso mutar confessore; e quando talvolta è necessario di farlo, debbono riferire di poi le cose più notabili all’ordinario loro confessore. Ed anche per divozione possono le stesse cose accusarsi a più confessori, quando con questo non si nutriscono scrupoli inutili e non si procurano cattive sensazioni. Pertanto non è indizio di coscienza ordinata e pura il cercare diversi confessori. E sarà molto profittevole il confessarsi ordinariamente a quello stesso, al quale già si è fatta la confessione generale delle colpe passate. E quando uno deve cambiare confessore ordinario, sarà molto prudente manifestare di nuovo anche a costui in generale il lezzo delle piaghe occulte e le radici dei vizi non mortificati. Neppure si devono tenere occulte le tentazioni od i brutti pensieri, nè si deve far poco conto delle colpe piccole, per non trascorrere a poco a poco alle maggiori. Poiché, come in una casa, quantunque essa sia perfettamente netta, tuttavia entrando un raggio di sole la illumina in modo tale che da chi vi guarda con diligenza, son vedute in quel raggio i minutissimi atomi; così il cuore, che viene illuminato dai raggi della grazia, vede anche le minime colpe e scopre e discerne gli occulti lacci dei vizi. Di maniera che, quanto più alcuno si trova di mente purgata, tanto più vede la moltitudine delle sue bruttezze, e trova più efficaci cause di doversi umiliare ».

Capo VII LA SANTA MESSA

Sua importanza per noi.

La seconda pratica di pietà propostaci dalle nostre Costituzioni è la santa Messa. I sacerdoti della nostra Pia Società devono celebrarla ogni giorno, ed i non sacerdoti devono assistervi quotidianamente. Don Bosco poi voleva che anche tutti i giovani delle case sue vi assistessero tutti i giorni. Si mostrava poi tanto compreso dell’importanza di questo sacrosanto mistero, e tanto persuaso della sua efficacia, che protestò più volte, non credere possibile riuscire ad educar bene la gioventù, se non metteva per base l’assistenza quotidiana alla santa Messa.

Sua eccellenza.

La santa Messa è il gran sacrificio della nuova legge, che comprende in se stessa e supera infinitamente in dignità ed efficacia tutti i sacrifizi della legge antica. Da essa ci provengono i doni e le grazie più segnalate. Essa è quel vero tesoro nascosto, quella vera perla preziosa, che comprende in sè ogni bene. San Leonardo da Porto Maurizio (Il tesoro nascosto) dice che: «La Messa è il sole della cristianità, l’anima della fede, il centro della religione cattolica, dove mirano tutti i riti, tutte le cerimonie, tutti i sacramenti della medesima; insomma è il compendio di tutto il buono e di tutto il bello che si trova nella chiesa di Dio ». E San Francesco di Sales nella sua Filotea parlando della santa Messa si esprime così: « Il santo sacrificio dell’altare è, tra le varie altre pratiche di pietà, ciò che è il sole tra gli astri; poiché essa è veramente l’anima della pietà, il centro della religione cristiana, al quale sono subordinati tutti gli altri misteri e tutte le altre leggi della medesima. Esso è il mistero ineffabile della divina carità, per mezzo del quale Gesù Cristo si dà realmente a noi, e ci colma delle sue grazie d’un modo altrettanto amabile che magnifico ».

Bisogna conoscere questo tesoro.

Ma i tesori, per grandi e preziosi che siano, non sono mai apprezzati, se prima non sono conosciuti. Or ecco perchè da molti non si ha la dovuta stima del sacrosanto sacrificio della Messa: perchè, sebbene sia questo il più gran tesoro che illustri ed arricchisca la Chiesa di Dio, è però un tesoro poco conosciuto, e può dirsi un tesoro nascosto. Oh se da tutti fosse conosciuta questa gioia di paradiso! Conviene pertanto che ogni novello Salesiano, e tu in particolare che con tanta attenzione mi segui, sia ben istruito su quanto riguarda questo eccelso sacrificio, e che ne venga a conoscere non solo l’essenza ma anche le particolarità, poiché ogni cerimonia nella Messa ha significazioni mistiche di grande importanza. Seguimi perciò con tutta l’attenzione.

Perchè si dice « Messa ».

L’angelico San Tommaso c’insegna che la parola latina missa corrisponde alla parola oblazione ossia offerta. E si dice Messa, soggiunge questo grande dottore, perchè il sacerdote per mezzo degli angeli manda, ossia, offre le preghiere a Dio, e il popolo le manda per mezzo del sacerdote; o anche meglio perchè Gesù Cristo è ostia da noi mandata ed offerta all’Eterno Padre. Perciò in fine della Messa il diacono licenzia il popolo dicendo Ite, missa est: andatevene, perchè già l´ostia propiziatoria e l’ambasceria nostra per mano del sacerdote si è mandata al Signore; si è al Signore offerta (3 p. q. 83 art., 4, ad 9).

È lo stesso sacrificio del Calvario.

La principale eccellenza del sacrosanto sacrificio della Messa sta in questo, che l’oblazione che quivi si fa è il corpo ed il sangue santissimo di un Dio umanato, cioè è lo stesso, lo stessissimo che si offerse sul Calvario. E benché ministro di tale oblazione sia un uomo misero ed abbietto, il principale offerente però è quel medesimo Gesù Cristo, che già offerse se stesso vittima propiziatoria sull’altare della croce. Tra l’offerta fatta all’eterno Padre sul Calvario e l’offerta che si fa sui nostri altari, non vi è che questa differenza: che sulla croce Gesù si offerse spargendo il suo sangue, per cui il sacrificio si dice cruento; e sull´altare si offre senza spargimento del sangue, per cui il sacrifizio si dice incruento. O con altre parole, sulla croce Gesù si offerse all’eterno Padre morendo, qui non muore perchè non può più morire. Nella Messa dunque quanto alla sostanza è il medesimo Cristo, uomo e Dio, che spontaneamente si offrì sulla croce; la differenza sta solo nel modo di fare l’offerta. Il sacrificio della croce poi si fece una volta sola; e in quella volta sola soddisfece pienamente per tutti i peccati del mondo. Quello dell’altare si può replicare infinite volte, e fu stabilito per applicarci in particolare quel pagamento universale che Gesù Cristo sborsò per noi sul Calvario. Sicché il sacrificio cruento fu il mezzo della redenzione, e l’incruento ce ne pone in possesso. L’uno ci apre l’erario dei meriti di Cristo Signor nostro, e l’altro ce ne dà l’uso. Bisogna però che tu avverta bene, che nella Messa non si fa una sola rappresentazione o una semplice memoria della passione e morte del Redentore; ma si fa in qualche vero senso quella stessa azione sacrosanta che si fece sul Calvario. E si può dire con tutta verità che in ogni Messa il nostro Redentore torna a morire per noi misticamente. Non è come avviene ogni anno nel dì del Natale, quando si rappresenta dalla chiesa la nascita del Salvatore, ma non è già vero che in quel giorno Egli nasca; o come nel giorno dell’Ascensione e della Pentecoste che si rappresenta la salita di Gesù al cielo e la discesa dello Spirito Santo in terra, ma non è già vero che il Signore in quel giorno salga al cielo e lo Spirito Santo visibilmente discenda in terra! Nella Messa non vi è una semplice rappresentazione, ma si fa incruentemente lo stesso sacrificio che si fece sulla croce con lo spargimento del sangue, cioè il sacrificio si effettua realmente. Quello stesso Gesù Cristo che si offrì sul Calvario, si offre ora nella santa Messa; solo il modo è diverso.

Il suo istitutore è Gesù Cristo.

Comprenderai anche la dignità ed eccellenza di questo divin sacrificio se ne consideri l’istitutore, che fu il medesimo Gesù Cristo. L’istituzione avvenne nell’ultima cena. Fu nell’ultima cena che il Redentore istituì la santa Messa, quanto alla sostanza di ambo le specie di pane e di vino, perchè fu egli medesimo che consacrò, ed in seguito diede ordine agli apostoli, che il medesimo facessera sempre in sua memoria: Hoc facile in meam commemorationem.

Dissi in quanto alla sostanza; poiché le circostanze accidentali e di riti, preci e cerimonie, queste sono a noi pervenute parte dalla tradizione apostolica, e parte con somma prudenza sono state ordinate dai vari pontefici per edificazione del popolo cristiano e per riverenza e decoro di così augusta funzione (Conc. Tridentino, Sez. 20, Cap. 5).

Essenza della santa Messa.

Or qui bisogna tu sappia, che l’essenza propria e formale del sacrificio consiste nella consacrazione del pane e del vino. Infatti con tale consacrazione si pone e si offre a Dio la vittima costitutiva del sacrificio, cioè Gesù Cristo, vero, totale, ed immolato; ed è la consacrazione che perfettamente rappresenta il sacrificio cruento già offerto sopra la croce. La consumazione delle specie, cioè l’assunzione dell’ostia e del calice che fa il sacerdote dopo il Domine, non sum dignus, concerne l’integrità del sacrifìcio. La ragione si è che, essendo stata istituita la Messa perchè sia non solo sacrificio, ma anche sacramento e convito, ne segue che il sacrifìcio della Messa non ha la sua integrità se non quando le sacre specie sono consumate e mangiate dal sacerdote.

Anche parti molto importanti, e che appartengono alla perfezione intrinseca del sacramento sono le due oblazioni od offerte che il sacerdote fa, l’una prima di consacrare, che si dice offertorio, l’altra dopo, che forma la prima parte del Canone. Le altre cerimonie o preci che si pongono nella Messa vi si richiedono solo, come dissi, per edificazione nostra e per decoro e compimento esteriore del sacrifìcio. Senza di esse sarebbe intiera ugualmente la sostanza del sacrificio; ma siccome dànno grande decoro al sacrificio medesimo, e furono dalla Chiesa comandate, come sarebbe colpa nel sacerdote il tralasciarle, così sarebbe colpa in noi se le tenessimo in poco pregio.

Suoi effetti.

Questo unico sacrificio della nuova legge racchiude in sè tutti i sacrifici della legge antica, e da solo procura alla SS. Trinità maggior gloria ed onore, che non tutti insieme i sacrifici dell’antico patto. Nella legge mosaica si offerivano quattro sorta di sacrifizi: l’olocausto, per riconoscere il supremo potere di Dio sulle creature, ed onorare la sua divina maestà e celebrare la sua infinita bontà: e questi si dicevano sacrifici latreutici; i sacrifici eucaristici, o di ringraziamento, in riconoscenza dei benefici ricevuti; i sacrifizi espiatori o propiziatori, per l’espiazione dei peccati degli uomini, propiziandoci così il Signore prima sdegnato per le nostre colpe; ed i sacrifici pacifici od impetratori, stabiliti per domandare ed ottenere le grazie necessarie onde camminare nella via della giustizia. Il sacrifizio della Messa da solo produce questi quattro medesimi effetti, e li produce in un modo infinitamente più perfetto, essendo stato istituito ed offerto da Gesù Cristo per questi medesimi fini, cioè per onorare la suprema maestà di Dio, per ringraziarlo dei suoi favori, per riparare le ingiurie che gli son fatte dal peccato, e per ottenere da lui tutte le grazie di cui l’uomo ha bisogno. È pertanto necessario assistere al santo sacrificio della Messa con gran rispetto e raccoglimento e divozione, se si vogliono da essa ricavare i frutti che può recare, pensando che è Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, che immola se stesso sull’altare per le mani del sacerdote, come fu immolato sul Calvario per le mani dei carnefici; è la medesima vittima e il medesimo sacrificatore principale.

Gesù Cristo sacerdote offerente.

Conviene che tu noti bene ciò che dissi qui sopra, che il primario e vero offerente di questo santo sacrifizio è Gesù Cristo medesimo: non è il sacerdote, non è il vescovo, neppure il Papa. Non volle Gesù che il sacrificatore fosse un angelo, neppure che fosse la stessa sua madre santissima; volle essere egli medesimo, prete dei preti, vescovo dei vescovi, Figlio unico di Dio, sacerdote eterno secondo l’ordine di Melchisedech. È lui che dà alla santa Messa la sua eccellenza incomparabile. I sacerdoti non ne sono che i servitori. Essi imprestano a Gesù, direi così, la loro bocca, la loro voce, le loro mani per l’esecuzione del divin sacrifizio, ma il sacrificatore è Gesù medesimo. Il dolce Salvatore si degna di farsi nostro sacerdote, nostro medico, nostro avvocato! San Paolo nella sua Epistola agli Ebrei, (VII, 26), ci spiega il perchè di questo, dicendo: Conveniva che noi avessimo un tale Pontefice, santo, innocente, immacolato, segregato dai peccatori, e sublimato sopra dei cieli, il quale non ha necessità, come gli altri sacerdoti, di offerir ostie ogni giorno prima pei suoi peccati, poi per quelli del popolo: cosa che egli fece una volta, offerendo se stesso. Poiché la legge mosaica costituì sacerdoti uomini infermi, ma la parola del patto posteriore alla legge, cioè la legge evangelica, costituì sacerdote il Figliuolo di Dio, perfetto in eterno.

Valore della Messa.

Segue da ciò, che ogni Messa è d’un valore che ha dell’infinito, ed è celebrata da Gesù Cristo stesso con una divozione, un rispetto, un amore al disopra di quello che possono comprendere gli angeli e gli uomini. Noi pertanto non possiamo comprendere tutta l’eccellenza del sacrifizio dell’altare. Oh Gesù! Quale incomprensibile mistero, e quale fortuna per noi, poveri peccatori, di essere ammessi ad assistere alla santa Messa e di potercene appropriare i frutti! Considera attentamente, o mio buon figliuolo, il vantaggio che te ne proviene dal poter assistere a così santo sacrificio. Nostro Signore si offre per te; egli si fa mediatore tra la tua colpabilità e la giustizia divina; egli trattiene i castighi che ogni giorno meriterebbero i tuoi peccati. Oh! se aprissi bene gli occhi a que- sta verità, quanto ameresti la santa Messa! Come sospireresti la fortuna di potervi assistere, come l’ascolteresti devotamente, come soffriresti ogni qualvolta fossi impossibilitato di assistervi! Quanto anzi desidereresti di poterne ascoltare varie ogni giorno!

Altri offerenti.

L’essere Gesù Cristo medesimo in persona il vero sacrificatore e principale sacerdote della Messa, non toglie nulla di dignità ai sacerdoti terreni di cui egli vuole materialmente servirsi. Sono essi con ciò elevati a rappresentare Gesù Cristo medesimo, tengono le veci di Gesù ed agiscono in nome di Gesù. Essi sono i ministri, gli strumenti che gli prestano le loro mani e la loro voce. Ma bisogna ancora sapere che in terzo luogo sono offerenti del sacrifizio anche quelli che partecipano alla santa Messa, poiché tutti i fedeli in unione di Gesù e del sacerdote hanno il potere di offrire il santo sacrificio. Inoltre vanno notati come offerenti, e perciò il valore della Messa è applicato primieramente a loro, quelli che somministrano la limosina per farla celebrare; quelli che procurano l’apparato necessario per il sacrificio; ed infine tutti coloro, che impediti dalle loro occupazioni non potendo assistervi corporalmente, vi si uniscono con l’intenzione. Tutti costoro offrono la vittima divina e partecipano al frutto dell’offerta.

L’offrire la Messa è privilegio di tutti.

Tengo per certo che una delle più eccellenti grazie che Dio abbia accordate a tutti i fedeli, senza distinzione di sesso, d’età o di stato, sia questa: che non abbia concesso ai sacerdoti soltanto, ma altresì a tutti gli uomini di poter offrire a sua divina maestà questo augusto sacrificio. È per questo che l’apostolo San Pietro proclamò i fedeli stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo di acquisto, affinchè esaltino le virtù di colui che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce.

 Gesù ti dà il diritto di offerire questo sacrificio non solo per te, ma a modo dei sacerdoti anche per gli altri, cioè per coloro, chiunque essi siano, per cui l’offri. E questo è certo, poiché nel canone della Messa il sacerdote dice espressamente non essere il sacerdote solo che offre il sacrifizio, ma essere tutti i circostanti. E nell’Orafe fratres il sacerdote, voltandosi ai fedeli, aggiunge: « Affinchè il mio e vostro sacrificio sia accettevole presso Dio Padre onnipotente ». E dopo l’elevazione del calice il sacerdote ripete che non è egli solo, ma unito al popolo che offerisce alla sovrana maestà, un sacrificio puro, santo ed immacolato. Bisogna pertanto che chi assiste al santo sacrificio, o colle parole o almeno con l’intenzione, si unisca al sacerdote, onde partecipare più abbondantemente del frutto del sacrificio. Che privilegio hai tu sebbene non sacerdote, di poter offrire così facilmente il corpo ed il sangue del Salvatore! Oh! approfitta di questo potere! Esercita tutti i giorni quel sacerdozio di cui la misericordia di Dio ti ha investito, e pensa proprio ad unirti spiritualmente al sacerdote, e ad offerire con lui il divin sacrificio. Senza questo non sentiresti bene la Messa; perchè ascoltare la Messa non è solamente esser presente materialmente, è offerire il sacrificio in unione col sacerdote.

Come opera la messa.

La messa non opera solo, come avviene delle altre preghiere, ex opere operantis, cioè secondo la divozione e la purità di chi le recita; ma bensì, come dicono i teologi, ex opere operato, cioè per se stessa. Infatti, sebbene lo strumento che offre sia indegno, l’offerta è del corpo e del sangue di Gesù, sempre degno di essere esaudito da Dio sebbene offerto da un miserabile. Siccome poi qui si offerisce Gesù medesimo, tu comprenderai come questa offerta sia infinitamente più accetta a Dio che qualunque altra opera di pietà, per eccellente e sublime che sia. Una messa può ben valere innumerevoli rosari ed altre preghiere, perchè col sacrifizio della messa noi ci appropriamo realmente i meriti della passione e della morte di Gesù Cristo. Questi meriti così ricevuti ci appartengono realmente, e noi possiamo offrire al Signore come veramente nostri i meriti di Gesù Cristo medesimo.

L’occupazione migliore durante la santa messa.

L’offerta è la cosa migliore che si possa fare durante la messa; e quindi quanto più spesso e più di cuore tu offerisci qualche cosa al Signore, tanto maggior bene fai. Quando pertanto non sei presente alla messa, fai bene ad offerire le tante messe che si celebrano nel mondo. Poiché quante più volte offri all’eterno Padre il sangue del suo divin Figliuolo, tanto più si rallegra Iddio, tanto più si pagano i debiti dei nostri peccati, tanto maggior merito si otterrà in paradiso, tanto più efficacemente si sollevano le anime del purgatorio. Quante volte tu dici: «io offro, io offro», vale quanto dire: io pago, io pago. Pago per diminuire i miei debiti, per comperare beni celesti, per liberare anime dal purgatorio; pago per ottenere grazie a quelli per cui offro.

Anche la preghiera fuori della messa vale molto avanti a Dio, ma nella messa, o unendosi con l’intenzione alle messe che si celebrano, si offre un sacrifizio reale, si offre Gesù Cristo medesimo. Gesù si offre per noi al suo Padre celeste; il valore è infinitamente maggiore. Fossi pure un peccatore per quanto grande si voglia, tu puoi tener per certo il perdono se offri la passione di Gesù al suo eterno Padre.

Nessun paragone vale a questo proposito.

Vuoi sapere con un paragone quanto valga la messa? Vale più che tutto l’oro e tutte le perle della terra. Se qualcuno fosse il vero e reale possessore di tutto il mondo, ed offrisse questa sua possessione all’onnipotente Iddio, resterebbe il suo dono infinitamente di sotto al valore della santa messa. Se potesse colui disporre anche di tutto il paradiso e dei suoi beati abitatori, e tutto offrisse a Dio, anche questa offerta non reggerebbe al paragone del dono che si offre a Dio nella santa messa. Poiché nella santa messa si offre all’eterno Padre un dono così eccellente, che vale quanto l’onnipotente ed infinito Dio stesso, con tutte le sue perfezioni e con la maestà e gloria sua. Più oltre non si può andare nell’indicare il valore della santa messa, perchè non si può trovare nè pensare cosa che superi la divinità, o che superi l’infinito. Se dai un tozzo di pane od un bicchier d’acqua, Gesù ci disse che questo ha già gran valore, quando si faccia per amor di Dio. Se un principe offre le sue ricchezze, un imperatore il suo impero per amor di Dio, questo è un eroismo degno di essere encomiato per tutti i secoli. Ma quando il sacerdote ed il popolo che assiste alla santa messa offrono all’eternò Padre il Figlio di Dio stesso, questa è offerta di valore incalcolabile.

Grandi mali dal non sentir bene la santa messa.

Se son vere, e sono verissime, le cose sopra esposte sulla grande efficacia del sacrificio eucaristico, bisogna ben dire che se tu continui i tuoi peccati, e non ti senti una buona volta la forza di correggerti, è perchè non assisti bene a questo sacrificio. Se i peccatori non si convertono, e perdurano nella loro impenitenza fino all’ultimo, non sarà forse per colpa tua? Poiché se avessi offerto per loro il sangue di Gesù Cristo con calda preghiera, senza dubbio si sarebbero convertiti. Se il purgatorio non è ancor vuoto dei suoi abitanti, non sarà forse perchè, di tante messe che si celebrano, i fedeli o non vi assistono o non v’assistono bene? E se tu non sei ancora arrivato alla perfezione, alla quale sei chiamato, non sarà forse per la tua negligenza nell’offrire col sacerdote all’eterno Padre l’agnello che toglie i peccati del mondo e che dà la vita eterna? Se ti fossi trovato presente sul Calvario, e con quell’amore che nutri adesso per Gesù avessi preso con ambe le mani d sangue suo che colava per terra, l’avessi offerto a Dio tenendolo alto, con ferma fiducia e con cuore contrito, non è vero che con questo avresti avuto fiducia di ottenere ogni grazia e per te e per coloro per i quali avessi offerto a Dio quel sangue preziosissimo? Questo è quello che otterresti ora, facendo questa offerta con gran fede e ardente amore. Quali peccati sono così orribili, che non si possano lavare con cotesto sangue preziosissimo? Quali debiti saranno così enormi, che non si possano pagare con questo infinito tesoro? Il sangue di Gesù è atto a purificare e perdonare e pagare più di quello che tutto il mondo possa insozzare, incolpare, indebitare. Metti pure un’illimitata fiducia nel sangue di Gesù, e offrilo molto diligentemente a Dio durante la santa Messa, e non temere che otterrai ogni cosa.

Santa comunione nella santa messa.

Che se nella santa messa oltre che offerire col sacerdote l’ostia santa, tu ancora ti unisci a lui a fare la santa comunione, tu compisci non solo il sacrificio, ma partecipi con lui al sacramento. Perciò ne avresti molto maggior merito ancora e molte maggiori grazie, e pagheresti molti maggiori debiti, e Dio sarebbe ancora più convenientemente da te adorato e ringraziato. Di modo che la santa Chiesa, nel concilio di Trento, come esorta caldamente tutti i fedeli ad assistere tutti i giorni alla santa messa, così espone l’ardente desiderio, che ogni volta che si assiste alla santa messa si faccia la santa comunione, e questa non solo spiritualmente ma anche sacramentalmente.

Capo VIII VARI MODI DI ASSISTERE ALLA SANTA MESSA

Parti della messa.

La messa può considerarsi come divisa in quattro parti. La prima è una preparazione del sacerdote al gran sacrificio che ha da compiere, e si estende dal principio a tutto il vangelo ed il credo. La seconda è la solenne preparazione della materia del sacrifìcio, e si estende dall’offertorio fino alla consacrazione. Vari dividono la messa in tre parti sole e riuniscono queste due prime chiamandole insieme la preparazione al solenne sacrifìcio. La terza parte forma il vero sacrificio e comprende la consacrazione e tutte le cerimonie sino al fine della comunione. La quarta parte forma come il ringraziamento del sacrificio stesso, serve cioè a ringraziare il Signore dell’essersi sacrificato per noi, come serve di ringraziamento per la comunione o sacramentale o spirituale, e comprende il resto della messa, dalla comunione sino alla fine.

1° Modo di assistere alla santa messa: pregando.

Or ecco alcuni modi pratici, di cui puoi servirti per assistere con divozione alla santa messa. Il primo e più popolare consiste nel pregare durante il sacrificio, per esempio recitando le tue orazioni del mattino, il rosario, od altre preghiere che ti tornano più divote. E questo è modo buono, e va adoperato specialmente quando si assiste alla santa messa coi giovanetti, i quali, se non pregassero vocalmente, non saprebbero assistervi con divozione. Solo ti esorto che, recitando dette preghiere lungo la messa, non dimentichi, almeno all’elevazione, di raccoglierti ed offerire all’eterno Padre il santo sacrificio. Puoi servirti di quelle parole d’uso: «Eterno Padre vi offro il sangue preziosissimo di nostro Signore Gesù Cristo, per adorarvi, ringraziarvi, risarcirvi, domandarvi le grazie di cui abbisogno. Ve l’offro in sconto dei miei peccati, pei bisogni della santa Chiesa, per la conversione dei peccatori, per la perseveranza dei giusti, in suffragio delle anime del purgatorio, affinchè il mio cuore altro non voglia, altro non cerchi e non desideri che voi. Voi siate la mia speranza, voi solo il mio conforto, voi solo il bene dell’anima ». Ed al tempo della comunione del sacerdote cerca, se puoi, di fare anche tu la santa comunione; e se non puoi farla sacramentalmente, procura almeno di farla spiritualmente.

2° Pensando ai quattro fini del sacrificio.

Il secondo modo consiste nel pensare durante la messa ai quattro fini per cui fu stabilito questo sacrificio. Figurati cioè di trovarti realmente sul Calvario ad assister alla morte di Gesù; e pensando che Gesù si sacrifica per noi tutti, per quei quattro fini sopra indicati, effonditi verso di lui in atti di adorazione, di ringraziamento, di risarcimento e di domanda, chiedendogli grazie in abbondanza e promettendogli di voler corrispondere alle medesime. Anzi puoi adottare addirittura il metodo che insegna San Leonardo da Porto Maurizio. Secondo il suo suggerimento nella prima parte della messa adora Iddio, lodalo, benedicilo, emetti atti di amore verso di lui. Nella seconda domandagli perdono dei peccati propri e di quelli di tutto il mondo, cercando di placare l’ira sua, e di risarcirli per tanto male che si fa. Nella terza ringrazialo dei benefizi fatti alla umanità intera ed a te in particolare, e specialmente pel benifizio dei benefizi che è la redenzione del mondo, e Tessere egli morto per noi; Tessersi per amor nostro adattato a star sempre con noi nascosto nel SS. Sacramento; come pure di quei benefizi che ti ha accordati nell’averti fatto cristiano e religioso, e nell’averti tante e tante volte perdonati i tuoi peccati. Nella quarta parte domanda grazie senza riserva per la Chiesa, per la nostra Pia Società, per noi, per i parenti, per le persone raccomandate alle nostre preghiere, pei peccatori, pei moribondi e per le anime del purgatorio.

3° Meditando divotamente la passione di Gesù.

Il terzo modo di assistere con divozione alla santa messa consiste nel meditare divotamente la passione di Gesù, di cui questo tremendo sacrificio è la rinnovazione. Nella prima parte della messa, considera Gesù che esce dal cenacolo, va all’orto, prega e suda sangue; è catturato dai soldati, è tradito con un bacio da Giuda, è trascinato nei vari tribunali, e condotto a Pilato viene dichiarato innocente. Dall’offertorio all’elevazione è da considerare Gesù spogliato dai manigoldi, flagellato alla colonna, sputacchiato, schiaffeggiato, coronato di spine, presentato al popolo (ecce homo), che ne domanda tumultuariamente la morte. Nella terza parte della messa considera Gesù con la croce sulle spalle che si avvia al Calvario, consola le pie donne, giunge al momento fatale, viene inchiodato in croce, elevato soffre per tre ore una terribile agonia e muore in croce; poi vien ferito da Longino nel costato, indi è deposto e chiuso nel sepolcro. Nella quarta parte considera Gesù che risuscita glorioso, che visita sua Madre e gli Apostoli, conversa coi suoi per quaranta giorni, e sale al cielo. E all’ultimo vangelo considera gli Apostoli, che si spargono per tutto il mondo e lo convertono.

4° Seguire il sacerdote pensando alla passione di Gesù.

Il quarto modo consiste nel pensare alla passione, seguendo il sacerdote in ogni sua azione. Ciascuna delle cerimonie, che fa il sacerdote nella santa messa, può facilmente rappresentare una delle circostanze della passione di Gesù. Ed ecco in che modo. Il sacerdote che si avvia all’altare e che incomincia la messa raffigura l’andata di Gesù all’orto del Getsemani, e la preghiera che quivi fece. Il sacerdote che dice il Confiteor rappresenta Gesù quando prosteso in terra sudò sangue. Il sacerdote baciando l’altare rassomiglia Gesù quando con un bacio fu tradito da Giuda; e recandosi a dire l’introito lo rappresenta quando fu catturato dagli sgherri. Il sacerdote che legge l’introito rappresenta Gesù condotto innanzi a Caifa. Quando recita il Kirie ricorda Gesù che tre volte venne da Pietro rinnegato; dicendo il Dominus nobiscum rappresenta Gesù che si rivolge a San Pietro perchè si converta. Il sacerdote che legge l’epistola rappresenta Gesù falsamente accusato in casa di Pilato; e quando chinato dice il Munda cor meum ricorda Gesù Cristo condotto da Pilato ad Erode. Il sacerdote che legge il vangelo rappresenta Gesù quando fu rimandato da Erode a Pilato, e quando scopre il calice rassomiglia a Gesù quando fu ■-spogliato delle sue vesti. Quando offre l’ostia, raffigura Gesù legato e flagellato alla colonna, quando copre il calice rappresenta Gesù che vien coronato di spine, quando si lava le dita rappresenta Gesù dichiarato innocente da Pilato. Il sacerdote invitando il popolo a pregare ricorda Gesù esposto agli Ebrei da Pilato colle parole: Ecce homo; allorché dice il prefazio ricorda Gesù condannato a morte da Pilato. Nel memento dei vivi raffigura Gesù con le spalle oppresse dal pesante legno della croce, ponendo le mani sull’ostia e sul calice rappresenta Gesù incontrato dalla Veronica, e facendovi sopra vari segni di croce, ricorda Gesù inchiodato sulla croce. Alzando l’ostia rassomiglia Gesù elevato in croce, ed alzando il calice rappresenta Gesù versante il sangue in croce dalle sue piaghe. 11 sacerdote che prega pei defunti raffigura Gesù orante in croce per i suoi crocifissori. Al Nobis quoque peccatoribus, chiedendo perdono per i peccatori, ricorda la conversione del buon ladrone; recitando il Pater nosier rappresenta Gesù che raccomanda a San Giovanni la Beata Vergine. Quando rompe l´ostia raffigura Gesù che esala in croce l’anima sua, e ponendone una parte nel calice ricorda Gesù disceso al Limbo. Il sacerdote che dice L’Agnus Dei rappresenta il dolore del centurione e degli altri con lui per la morte di Gesù, ed allorché si comunica raffigura Gesù Cristo posto nel santo sepolcro. Nel purificarsi le dita ricorda quando il corpo di Gesù fu imbalsamato, nel leggere il Post communio la risurrezione di Gesù, nel dire il Do- minus vobiscum Gesù quando apparve ai suoi discepoli. Nel dire le ultime orazioni rappresenta la dimora di Gesù per quaranta giorni coi medesimi discepoli, e nel dire l’ultimo Do- minus Dobiscum ricorda l’ascensione al cielo di nostro Signor Gesù Cristo. Il sacerdote che benedice il popolo raffigura la venuta dello Spirito Santo sopra gli apostoli. E quando dice l’ultimo vangelo rappresenta la predicazione evangelica degli apostoli per tutto il mondo.

5° Seguendo il sacerdote nelle cerimonie: a) ai piedi dell’altare.

Il quinto modo che puoi adottare con profitto per assistere convenientemente alla santa messa, è quello di servirti di un libro divoto e con esso accompagnare ogni singola cerimonia della messa pensando a quello che secondo l’intenzione della Chiesa, che le ha stabilite, vogliono significare. Osserva pertanto il sacerdote in sacrestia, e pensa al significato degli arredi sacri. Seguilo dalla sacrista all’altare, ed all’altare medesimo seguilo in tutto quello che dice e in tutte le singole sue azioni, per eccitarti ad aspirazioni analoghe ed offrire la santa Vittima in unione con lui. Arrivato ai piedi dell’altare il sacerdote genuflette o si inchina. Prostrati anche tu davanti alla maestà di Dio, per riconoscere che egli è il creatore ed il padrone di noi e di tutte le creature. Il sacerdote fa il segno della croce. Tu devi aver paura di portare un’anima brutta di peccato nel trattar con Dio; perciò nascondi sotto la croce di Gesù la tua povera persona, e coprì colle sue piaghe le tue miserie. Col salmo ludica me Deus rende grazie al Signore e col Confìteor il sacerdote (sempre per sè e per noi) domanda perdono delle colpe, affinchè possiamo meno indegnamente assistere al santo sacrificio. E questo t’insegna che la prima preparazione per assistere alla santa messa e partecipare ai suoi frutti, consiste nel ringraziare il Signore del favore che ti fa col potervi assistere, e nel domandargli perdono dei tuoi peccati, eccitandoti ad una contrizione piena d’umiltà e di perdono.

b) Introito e Kyrie.

Col salire all´altare il sacerdote prega il Signore di purificarlo per la santa azione che ha da compiere. Col baciare l’altare, dove sono le reliquie dei santi, ci fa intendere che noi coi santi formiamo una sola famiglia intorno al Padre nostro che è nei cieli. E tu prega il Signore che purifichi anche te, ed in pari tempo prega i santi del loro aiuto nel- l’assistere al divin sacrificio. L’introito indica il desiderio degli antichi patriarchi, quando essi domandavano al Signore che mandasse il Messia, l’Agnello dominatore della terra, per salvare colla sua morte il popolo d’Israele. E tu accompagnali nei loro desideri e ringrazia Gesù che li volle appagare, salvando essi e te. Il sacerdote tornato in mezzo all’altare, sotto la croce, recita il Kyrie elei- son, quasi dicesse: « Guardiamo, fratelli, che cosa vuol dire peccare! Per i nostri peccati ha dovuto il Figlio di Dio morire sulla croce. Domandiamo pietà per le anime nostre ». E ripete nove volte il Kyrie ed il Christe eleison: Signore, abbiate pietà di noi.

c) Gloria, Oremus, Epistola.

Al Gloria la Chiesa c’invita a lodare, benedire, glorificare, ringraziare il Signore della grazia fatta al mondo per aver inviato il Messia, il quale doveva condurre alla gloria celeste gli uomini di buona volontà. Tu dagli lode e gloria anche per i benefizi che ha fatti a te, perchè tu con maggior abbondanza potessi partecipare alla redenzione. Digli di gran cuore: Laudamus te, benedicimus te, adora- mus te, gratias agirnus tibi; e digli con cuore contrito: Qui tollis peccata mundi miserere nobis. Poi dice il Dominus vobiscum e gli Oremus, preghiere che si dicono in onore del santo di cui si celebra la messa, o del mistero che in quella messa viene specialmente commemorato: il tutto per attirarci anche la protezione del santo, della Beata Vergine. E tu prega perchè t’aiutino a celebrare od assistere con maggior profitto alla santa messa. L’Epistola, che è presa dall’antico testamento o dagli scritti degli apostoli, ci rappresenta che tutta la legge antica testimonia in favore di Gesù Cristo, e che gli apostoli prepararono le vie al suo Vangelo, quando essi cominciavano a predicare in una regione per salvarla. E tu devi considerare che la parola di Dio è come una lettera, che il Signore ti scrive dal cielo, per farti conoscere la sua volontà, per mostrarti la strada del paradiso. Perciò infine si risponde Deo gratias, per ringraziarlo di averci parlato con tanto amore.

d) Vangelo e Credo.

Nel Vangelo è Gesù Cristo che parla di propria bocca. Si fa il segno della croce sulla fronte, sulla bocca e sul cuore, per ricordarci che siamo tutti di Gesù, che Gesù deve essere nella nostra mente, nella nostra bocca e nel nostro cuore. Si sta in piedi ad ascoltare la parola di Dio, come se ci mettessimo in procinto di eseguirla, e di difenderla, anche col pericolo della vita, ed anche pronti a camminar lontano per farla conoscere ed abbracciare da chi non ha ancora la fortuna d’esserne illuminato. Recitando o cantando il Credo, la Chiesa ci fa notare, che noi non solamente dobbiamo credere le verità proposte dal Verbo divino, ma che anche nella manie- ra di formularle e di interpretarle, uno s’inchina da buon figliuolo all’autorità della Chiesa cattolica, apostolica, romana. Qui finiva la messa dei catecumeni, i quali a questo punto dovevano uscir di chiesa, e qui finisce la prima parte della messa.

e) Offertorio, lavabo, prefazio.

All’offertorio i fedeli offrivano il pane ed il vino, che dovevano servire pel sacrificio, che cioè dovevano essere consacrati. Il sacerdote prende l’ostia, la tiene elevata nella patena, la offre; poi mette il vino nel calice e lo offre parimenti al Signore. È il momento per te di offrire col pane e col vino al Signore anche il tuo cuore. Riconosciti meno degno dei catecumeni di assistere al santo sacrificio, ed offri il cuore a Gesù perchè lo purifichi. Se avessi dispiaceri, umiliazioni, persecuzioni da sopportare, offri qui tutto a Gesù, pronto ad unirti a Gesù, e ad essere sacrificato pel bene delle anime. Offri a Gesù anche il proponimento di far tutto quel bene che le tue forze ti permetteranno, e di evitare ogni male, anche il più piccolo, e le trasgressioni delle regole, e di fuggire anche le minime negligenze. ’Dopo l´offertorio prima del lavabo il sacerdote fa un solenne segno di croce sopra l’offerta, e nelle messe solenni anche s’incensa l’offerta e l’altare. Questo indica che essendo l’altare la figura del Calvario, il sacerdote vi inalbera la croce, sopra cui Gesù tra breve si offre di nuovo in sacrificio per noi, sull’altare come allora sul Calvario, sebbene ora lo faccia senza suo dolore ma con egual merito. Tu devi pertanto richiamarti a memoria che ti trovi ai piè del Calvario, con Maria Vergine addolorata, ad assistere al tremendo sacrificio, e devi assistervi con gran compunzione dei tuoi peccati. Il lavabo ti ricordi la purezza di coscienza con cui devi assistere alla messa; e perciò stando per cominciare la parte essenziale del sacrificio, se hai ancora qualche cosa sulla coscienza, fa’ un atto di contrizione per purificar meglio l’anima tua, come il sacerdote lava le dita per purificare meglio il corpo. Nei primi tempi della Chiesa a questo punto dovevano uscire dal tempio i peccatori soggetti a penitenze pubbliche; si chiudeva la chiesa e quelli stavano sotto il portico dei penitenti. Dopo raccomandata la preghiera con l’Orate fratres, poiché è prossimo il tempo del sacrificio, il sacerdote comincia il prefazio per preparare gli astanti ad offrire con lui l’adorabile sacrificio. È per questo che si avvisano di elevare i cuori a Dio col Sursum corda, e di ringraziare il divin Padre d’aver loro donato il suo figlio e di lodarlo e glorificarlo per Gesù Cristo, e di unire la loro voce a quella degli angeli, che cantano continuamente nel cielo il Sanctus.

f) Canone.

Dopo il sanctus comincia il canone, o regola costante della messa, e si fa il Memento dei vivi, in cui, dopo d’aver raccomandato al Signore la Chiesa, il papa e il vescovo della diocesi, il sacerdote presenta le sue intenzioni, parenti, amici, e quelli che si sono raccomandati alle sue orazioni. Tu unisciti a lui a raccomandare specialmente la Chiesa, la nostra società, i superiori, i compagni e parenti, e tutti quelli cui sei in qualche modo tenuto, e quelli che si raccomandarono alle tue orazioni.

È importantissimo il momento prima della elevazione, quando il sacerdote stende le mani coi pollici in croce, sopra l’offerta. Per ben comprendere questo rito, è da ricordare come nella legge antica si offriva ogni anno solenne sacrificio per i peccati. Il sommo sacerdote degli ebrei stendeva le mani sopra un capro, legato ai piè dell’altare; e confessando i peccati di tutto il popolo: Sopra questo capro, diceva, discendano i peccati di tutti. Poi ributtava dall’altare quel capro maledetto, e battendolo lo spingevano fuori a morire nel deserto abbandonato. Gesù nell’orto del Getsemani in particolare si caricò dei nostri peccati, così cominciò la sua passione. Ora il sacerdote con quell’atto pone di nuovo su Gesù, che è in procinto d’essere sacrificato, i nostri peccati, che per il sacrificio della croce devono esserci rimessi. Oh ! pregalo Gesù che te li rimetta bene; ma intanto, piangili i tuoi peccati, che lo fecero tanto penare! La consacrazione, e la conseguente elevazione è certo il momento più solenne della santa messa. Con le mistiche parole che il sacerdote pronuncia in questo momento Gesù benedetto discende vivo e vero nelle sue mani, col corpo, sangue, anima, divinità. L’elevazione della santa ostia e del calice significa la crocifissione di Gesù, quando fu elevato sul patibolo della croce, e fu esposto alla vista di tutto il mondo. E la consacrazione dell’ostia fatta separatamente da quella del calice ci rappresenta la sua morte, con la quale l’anima sua fu separata dal suo corpo, sebbene la divinità sia sempre stata unita sia all’anima che al corpo. Cadi prostrato a tanto mistero e adora Gesù con la faccia a terra, mentre gli angeli discendono in folla attorno all’altare e lo adorano invisibilmente. Poco dopo l’elevazione si fa il Memento dei defunti. Ah! non per noi soli Gesù si sacrifica sul santo altare, ma anche pei defunti! E tu ricorda al Signore le anime dei tuoi parenti, benefattori, amici e nemici; ma in particolare raccomanda anche le anime dei nostri soci defunti. Deh! su tutti il nostro Redentore benedetto faccia piovere il suo sangue da questo altare, e quelle sante anime che si trovano in purgatorio abbiano luce e pace in paradiso. Dopo il Memento il sacerdote fa cinque croci sul SS. Sacramento, e vuol dire che Gesù dall’altare in questo momento offre per noi al divin Padre le sue cinque piaghe, come le offeriva quando era sulla croce. Non può essere che l’eterno Padre non accetti con compiacenza l’offerta del Figlio, e non ci distribuisca per amor suo tutte le grazie che ci abbisognano per salvarci, ed anche per far del bene agli altri secondo la nostra vocazione.

g) Il Pater e la comunione.

Il Pater, che il prete recita ad alta voce e che canta nelle messe solenni, c’indica le grazie che noi, coll’autorità stessa del Salvatore, dobbiamo di preferenza domandare a Dio. Finito il Pater, il sacerdote divide l’ostia santa in tre parti, come in tre parti si divide la Chiesa, per così indicare, che col santo sacrificio Gesù dall’altare consola la Chiesa trionfante in paradiso, solleva le anime del purgatorio dalle loro pene, e resta nel SS. Sacramento con noi per aiutarci in tutti i bisogni e consolarci ad ogni evenienza. L’Agnus Dei, che si dice in seguito, rianima in noi i sentimenti di confidenza nell’Agnello divino, di dolore per i nostri peccati, e di sincera umiltà, che dobbiamo avere se vogliamo partecipare degnamente al frutto del santo sacrificio. Ecco, viene il tempo della santa comunione, preceduta dalle parole di fede e di umiltà necessarie: Domine, non sum dignus... Anticamente, come abbiamo detto, i peccatori stavano fuori della chiesa, e tutti i fedeli presenti facevano la santa comunione. Quando tu non puoi farla sacramentale, non dimenticarti di farla almeno spirituale con un ardente desiderio di unirti e di stare sempre unito con Gesù.

h) Dopo la comunione.

Fatta la comunione, comincia la quarta parte della messa. Il Post communio indica la gioia che ebbero gli Apostoli per la risurrezione di Gesù. Gli Oremus, che il sacerdote dice dopo, sono orazioni di grazie per dimostrare la propria riconoscenza al Signore dei benefìzi che accordò nel santo sacrificio, e specialmente nella santa comunione. E tu ringrazialo di cuore, specialmente delle grazie che ti fece durante la messa. La benedizione che il prete imparte, quando la messa è finita, richiama alla memoria la benedizione che Gesù diede ai suoi discepoli sul punto di ascendere al cielo, ed anche la benedizione solenne che darà ai suoi eletti nel giorno del giudizio finale, quando dirà loro: « Venite, benedetti dal Padre mio, a possedere il regno che vi preparò fin dal cominciamento del mondo ». Inchinati profondamente e pregalo, che questa benedizione confermi in te il desiderio di essere sempre suo, ed il proponimento di voler piuttosto soffrire tutti i patimenti del mondo anziché ancora offenderlo. Son pienamente convinto che per poco che tu abbia meditato e seriamente studiato tutti questi misteri, che la Chiesa rivela con lo spendore di sì significanti cerimonie, tu assisterai alla santa messa con maggior attenzione e raccoglimento, con più umile rispetto e, direi, con un certo qual sacro terrore. San Giovanni Crisostomo esclamava: « Credete voi ancora di abitare sulla terra quando assistete all’immolazione di Gesù sull’altare? Non vi sembra piuttosto che, spogliati di questa corruttibile carne, e trasportati nel cielo, voi siate in mezzo agli spiriti beati che adorano l’Agnello senza macchia, immolato per i peccati del mondo, e che si prostrano rispettosamente davanti a lui? ».

6° Il metodo di Don Beltrami.

Eccoti ancora, per la pratica, un mezzo di ascoltare la santa messa, adoperato anche da San Giovanni Berchmans e dal nostro Don Beltrami. « Nell’andar alla santa messa pensa dove vai, cioè dinanzi a Dio; ed a che fare, cioè ad offerirgli il suo Figliuolo. Fa’ la composizione del luogo immaginandoti di trovarti sul monte Calvario´, figurati di vedere Gesù insanguinato e piagato, che si offerisce per te all’eterno Padre. Nel luogo della celebrazione domanda la grazia di assistervi bene, rinnova l´intenzione fatta alla mattina, cioè a gloria di Dio, in preparazione o ringraziamento della santa comunione, in risarcimento delle tue colpe, e per impetrare le grazie di cui abbisogni. Unisci infine questo sacrificio incruento con quello che si offrì cruento sull’altare della croce, e metti la tua attenzione figurandoti di assistere a quello stesso sacrificio. All’offertorio mira Cristo, che, arrivato al Calvario, alzando gli occhi al Padre, offre se stesso per i peccati del mondo e per i tuoi in particolare, e fa’ colloqui con lui fino al sanctus. Al dirsi il sanctus osserva Gesù che viene steso sulla croce, ed ivi dai carnefici vien confitto con chiodi. All’elevazione figurati di veder Gesù alzato in croce; e tu, elevato lo spirito a Dio Padre, lo inviterai a guardare il suo Figliuolo, aspice, Domine, in faciem Christi tui. Per il capo di lui coronato di spine, e pel corpo di lui dilaniato dai flagelli, e per le piaghe che gli squarciano le mani ed i piedi, pregherai pel sommo pontefice e per tutte le autorità ecclesiastiche, per i re e principi cristiani, chiedendo per essi grazia di ben governare. Pregherai per la nostra società e specie pel Rettor Maggiore, l’Ispettore, pei Direttori, maestri e superiori tutti; per i tuoi genitori, fratelli, sorelle e congiunti, per le missioni; e man mano verrai pregando per i compagni, per gli amici e nemici, e specialmente per i tuoi benefattori e per i benefattori tutti della nostra Pia Società. Giunto poi a contemplare la piaga del costato, allora pregherai per te stesso, e specialmente per questi fini: perchè possa amare Iddio con tutto il cuore, aver zelo per la salute dei prossimi, perseverare nella vocazione, osservare bene i santi voti, portare un grande affetto alla Beata Vergine ed a questo venerabile Sacramento. Nella comunione pensa che la beata Vergine, insieme con gli angeli e con i tuoi protettori, ti porti Gesù per seppellirlo nel tuo cuore; e tu accoglilo con grande umiltà e carità. Indi eccita la fede e rendi grazie; offriti ospite al divin Ospite, ed offri a lui tutto te stesso; chiedi e proponi ». Sono persuaso che recandoti ad assistere alla santa messa coi sentimenti suindicati, e meditando i sacrosanti misteri cui assisti nei modi suesposti, tu trarrai dal santo sacrificio dell’altare gran profitto per l’anima tua, procurerai la maggior gloria di Dio ed otterrai la salute di molte anime.

Capo IX LA SANTA COMUNIONE

L´atto più grande della giornata.

Senza dubbio l’atto più grande, il momento più prezioso della giornata è quello in cui si fa la santa comunione. Quando noi riceviamo Gesù nel nostro cuore la sorgente di tutte le grazie è in noi. Nella comunione l’anima nostra è nutrita del pane della vita: le sue forze si aumentano, le sue infermità si guariscono, le sue macchie vengono scancellate. Essa ci arricchisce di tutte le virtù; la concupiscenza s’affievolisce in noi, l’anima nostra riceve un germe di vita, un preservativo contro la morte del peccato, un pegno, una caparra di sua salute e di sua beatitudine eterna.

Frequenza alla santa comunione.

Questi frutti maravigliosi che si ricevono dalla SS. Eucaristia, devono ispirarti il desiderio di accostarviti colla massima frequenza. Comincerò a dirti quanto le costituzioni prescrivono a questo proposito; poi ti darò alcuni ammaestramenti riguardo alla frequenza e riguardo al modo di fare la comunione sempre con maggior frutto. La nostra regola dice che i sacerdoti celebrino ogni giorno, e che gli altri si accostino alla sacra mensa con frequenza, anzi, se è possibile, ogni giorno. Ma vorrei che ponessi ben mente alle parole espresse nella regola: se è possibile, ogni giorno. Queste parole delle costituzioni, senza obbligare, esprimono il desiderio del legislatore, che si vada alla santa comunione quotidianamente; però in questo sta’ completamente a quanto ti dirà il confessore, col consenso del quale non devi aver timore di sorta. E ricorda specialmente che vi devi andare con gran desiderio. La regola ci vuole « convenientemente disposti ». Pensa che col ricevere quotidianamente e fervorosamente la SS. Eucaristia, l’unione con Gesù si fa più stretta, la vita spirituale viene alimentata più abbondantemente, l’anima vien più riccamente ornandosi di virtù, e lo stesso pegno dell’eterna felicità vien dato più sicuramente a chi con tanta frequenza lo riceve.

Intenzione di Gesù su questa frequenza.

E quale consiglio generale si può dare a questo riguardo? Il consiglio è assoluto e chiaro. Vediamo quale sia a questo riguardo l’intenzione di Gesù nello stabilire tale sacramento, e della Chiesa nel proporcelo; e tu fa secondo che Gesù desidera e secondo che la Chiesa raccomanda. Non una volta soltanto nè velatamente, Gesù insinuò la necessità di mangiare spesso delle sue carni e di bere il suo sangue. Soprattutto lo fece con queste parole: « Questo è quel pane che è disceso dal cielo. Non sarà come dei padri vostri che mangiarono la manna e morirono; chi mangia di questo pane vivrà in eterno»[387]. Da questo paragone del cibo angelico col pane e colla manna, facilmente potevasi comprendere dai discepoli, che siccome il corpo si nutre ogni giorno di pane, e gli Ebrei del deserto si cibavano ogni giorno di manna, così l’a- uima cristiana, può cibarsi e ristorarsi quotidianamente col pane celeste. Inoltre nell’orazione domenicale noi chiediamo al Signore il nostro pane quotidiano. I santi Padri quasi unanimemente insegnano, che questa espressione non devesi tanto intendere del pane materiale, nutrimento del corpo, quanto del pane eucaristico da riceversi quotidianamente. Ed invero là ove San Luca (XVII, 3) dice: Dacci oggi il nostro pane quotidiano. San Matteo (VI, 11) dice: Dacci oggi il nostro pane soprasostanziale. Quale sarà questo pane soprasostanziale, che Gesù c’insegna a chiedere al Padre, se non la santa eucaristia? Eppure ci si indica di domandarlo per tutti i giorni, quotidianum! L’intenzione di Gesù si ricava anche chiaramente dall’uso dei primitivi fedeli. Sappiamo con certezza dalla storia ecclesiastica, e dai medesimi Atti Apostolici, che i primitivi fedeli andavano tutti i giorni alla santa comunione. Gli Atti Apostolici dicono: erano assidui alle istruzioni degli apostoli, e alla comune frazione del pane.

Da chi impararono i primitivi fedeli a far la comunione quotidiana? Certo dagli Apostoli! E certamente gli Apostoli non la introdussero da sè, ma perchè sapevano chiaramente questa essere l’intenzione di Gesù. Anzi lo fecero certamente in conseguenza delle istruzioni ed ammaestramenti che ebbero da Gesù medesimo. Pertanto l’intenzione di Gesù è che si vada tutti i giorni alla santa comunione.

Ciò che ne dicono i santi Padri.

Sant’Ambrogio conferma così una tal dottrina universale: «Se questo è il pane quotidiano, perchè non lo mangiate voi se non alla fine dell’anno? Ricevetelo ogni giorno, affinchè ogni giorno vi sia utile. Vivete in modo che meritiate di riceverlo ogni giorno. Chi non merita di riceverlo ogni giorno non merita di riceverlo neppure alla fine di un anno». Secondo Sant’Agosti no, come pure secondo San Cipriano, San Giovanni Crisostomo, San Girolamo, uno non si deve privare della comunione nel giorno della celebrazione dei misteri, se non quando si sente colpevole di un qualche peccato mortale. « Perchè dunque scandalizzarsi, esclama l’insigne vescovo Mons. Fénelon, quando si vedono dei buoni laici, che per meglio vincere le loro imperfezioni, e per meglio superare le tentazioni del secolo corrotto, vogliono nutrirsi ogni giorno di Gesù Cristo? Se si aspettasse per comunicarsi ogni giorno d’essere esenti dalle imperfezioni, s’aspetterebbe senza fine ». Iddio ha voluto, come dice Sant’Agostino, che fossimo ridotti a vivere umilmente, sotto il giogo della confessione giornaliera dei nostri peccati. San Giovanni dice, senza eccettuare veruno: Se noi diciamo di non aver peccati, inganniamo noi medesimi, e la verità non è in noi. Se diciamo di non aver peccati, facciamo Dio mentitore, e la verità non è in noi. E l’apostolo San Giacomo ci grida: Noi tutti commettiamo molti falli. Se si aspettasse pertanto a non aver più alcun peccato per comunicarci quotidianamente, dovremmo aspettare sempre. Si noti solo che qui non si parla di chi commette i peccati apposta, ad occhi aperti; di chi cioè non cerca di conformare la sua vita alla vita di Gesù Cristo; bensì parliamo di quelle anime che sentono le loro imperfezioni, i loro difetti, e vogliono correggersene per mezzo del nutrimento celeste. Ma esse sono imperfette, si dirà. Appunto si comunicano per diventar perfette! Sant’Ambrogio non diceva egli, che il peccato è la nostra piaga, e il rimedio sta nel celeste e vero sacramento? Comunicatevi adunque, come gli Apostoli hanno fatto comunicare i primitivi cristiani! Lasciate ragionare coloro che vorrebbero riformar tutto secondo i loro concetti: voi state a quanto insegnarono e fecero praticare gli Apostoli, e mangiate il pane quotidiano, affinchè vivendo di Gesù Cristo viviate per lui. E tu tieni senz’altro con Fénelon, che: «Se Gesù Cristo a noi si dona sotto le specie del pane che è l’alimento più familiare dell’uomo, lo fa per addimesticarci col suo corpo risuscitato e glorioso». (Lettere sulla frequente comunione). lieni con San Giovanni Crisostomo, che: «la temerità non consiste nell’accostarsi troppo spesso alla mensa del Signore, ma nell’acco- starsi malamente; che la purità della coscienza è quella che segna il tempo dell’accostar- visi... Pei veri fedeli la Pasqua dura tutto l’anno » (Horn., I, in Cap. 2. Ep. ad Timoth.).

Raccomandazioni della Chiesa sulla frequente comunione.

Quali sono le raccomandazioni della Chiesa? Essa non solo approva, ma raccomandò sempre questa pratica dei primitivi cristiani. I vescovi della cristianità, radunati nel concilio di Trento, dichiararono formalmente l’intenzione della Chiesa essere che i fedeli assistano ogni giorno alla santa messa. E poi formularono e promulgarono questo canone: (Sess. 22, con. 6) « Desidererebbe il sacrosanto sinodo, che ad ogni messa i fedeli che vi assistono si comunicassero, non solo spiritual- mente, ma anche sacramentalmente ». E nota bene, che qui non si parla a religiosi, ma a tutti gli uomini e donne del mondo: scienziati, mercanti, industriali, impiegati, bottegai, ecc. Ora se è così, come dovremmo esser d’accordo, noi religiosi, a non volerci lasciar passare avanti dai semplici fedeli! Noi che siamo entrati in congregazione per imitare la vita degli Apostoli e per riprodurre in terra il fervore dei primi cristiani! Vedi adunque se non aveva ragione Don Bosco d’inculcare ai suoi giovani, e più ancora ai membri della nostra pia società, la comunione frequente ed anche quotidiana; e non solo d’inculcarla, ma di porre la comunione frequente come base del suo sistema educativo. Io pertanto te la raccomando quanto so e posso, affinchè, col permesso del tuo confessore, cominci subito, e faccia un fermissimo proposito di non voler lasciar mai una volta in tutta la tua vita, per quanto dipende da te, di accostarti alla sacra mensa eucaristica. È chiaro che il concilio tridentino per la comunione quotidiana non richiedeva santità eminente, la quale non è mai nelle masse; nè preparazione straordinaria, impossibile a farsi generalmente; ma bensì solo una buona condotta generale, non aver colpa mortale, e una preparazione ordinaria. Quelli che volessero concedere la comunione quotidiana solo a coloro che aspirano con tutte le forze alla perfezione cristiana, e che per farla così frequente richiedessero una grande e squisita preparazione, non concorderebbero con la comune dottrina dei Santi Padri, collo stesso concilio di Trento, e col catechismo romano; e si troverebbero in contraddizione colla pratica antica della Chiesa.

Fine principale della santa comunione.

Il desiderio di Gesù e della Chiesa che tutti i fedeli cristiani si accostino ogni giorno alla sacra mensa, a questo mira specialmente: che i fedeli cristiani, uniti a Dio per mezzo del sacramento, ne ricavino la forza a frenare la concupiscenza, ad astergere le colpe veniali, che si commettono ogni giorno, e ad evitare i peccati mortali ai quali la fragilità umana va soggetta. Non è già fine principale che si provveda all’onore ed alla venerazione del Signore; nè esso deve essere per quelli che lo ricevono quasi un premio delle loro virtù (S. Agost., Ser. 57 in Matth. de orai. Dom. V, 7). Per questo il sacro concilio di Trento chiama la santissima eucaristia « un antitodo pel quale siamo mondati dalle colpe quotidiane, e preservati dai peccati mortali » (Sess. 13, cap. 2).

Don Bosco e la comunione frequente.

Don Bosco può considerarsi come un grande apostolo della comunione frequente. Egli voleva bensì che i suoi figliuoli facessero quanto potevano per prepararsi bene, ma si contentava di ciò che ciascuno poteva dare. Quel che voleva era una certa santità di vita adatta alla stato di giovanetti: cioè che procurassero di non far mancanze avvertite, e che commesso un difetto ne fossero malcontenti. E poi, pur cercando con mille mezzi di ottenere molto da chi poteva dar molto, si contentava dei volenterosi piccoli sforzi da chi non poteva dare di più. E continuava ad inculcare a tutti, ed a permettere ai più, la comunione anche quotidiana. E quando qualcuno gli domandava con qual frequenza doveva fare la santa comunione, la sua risposta ordinaria era: «Fatti coraggio; procura di star buono; e va’ pure alla comunione tutte le volte che hai la coscienza tranquilla ». Egli credeva, con tutta la tradizione, che l’adorabile eucaristia è il pane quotidiano che domandiamo a Dio nell’orazione domenicale. Egli era perfettamente convinto che la divina eucaristia è il fondamento della vita cristiana, il segreto di tutti i portenti di fede, d’abnegazione e di sacrifizio che il cattolicismo produce ogni giorno sotto gli occhi del mondo, così avvezzo a vederne che più non si stupisce; il focolare, a cui si accende il disinteresse degli apostoli, la costanza dei martiri, la generosità dei confessori, la purità delle vergini. L’eucaristia è detta a ragione il pane dei forti; il vino che fa germinare la verginità. Così la credeva Don Bosco con tutti i santi. Perciò permettimi che con molta maggior ragione anch’io concluda per te con le parole di Don Bosco: Fatti coraggio, procura di star buono, e va’ pure alla santa comunione tutte le volte che hai la coscienza tranquilla.

« Compello intrare»: spingo ad entrare.

Come gl’israeliti nel deserto avevano cura tutti i giorni di raccogliere la manna che era figura dell’eucaristia, così noi chiusi nella nostra mistica solitudine dobbiamo desiderare niente di più, che di poter raccogliere tutti i giorni nell’anima nostra questa manna celeste, onde sostenere meglio la nostra vita di sacrificio, e progredire vigorosamente nel cammino della santità. Per certo io non t’inculco mai la comunione quotidiana, senza insistere sul punto d’aver l’anima monda da peccato, e di prepararti convenientemente! Piuttosto di far comunioni sacrileghe è meglio non andar neppure a far la comunione pasquale. E piuttosto di farle malamente, solo per abitudine, è meglio ritardare quanto si vuole. Ma io dico ed insisto che tu faccia sforzi per essere preparato il meglio che puoi, e che cerchi di non lasciare mai una volta la santa comunione. Che se qualcuno mi dicesse che io insisto soverchiamente, che con questo mi rendo importuno, io replicherei le parole del Vangelo, dove Gesù racconta la parabola degli invitati al gran banchetto. Siccome erano troppo pochi gli intervenuti, il padrone mandò fuori a cercare chi si trovasse, e diede ordine ai servi dicendo insistente: Costringeteli ad entrare: compelle intrare. L’unica condizione era, che avessero la veste nuziale, il che significa aver l’anima in grazia di Dio.

Parole e pratica dei santi.

Dopo tutto ciò, spero che nessuno mi vorrà condannare, se, appigliandomi senza restrizione alla dottrina di San Tommaso, io non consiglierò neppure, che uno si astenga qualche volta dalla comunione per semplice atto di rispetto. È bensì vero che Sant’Alfonso e San Francesco di Sales non biasimavano tale astensione; ma è anche vero che essi per se stessi non volevano astenersene, neppure una volta in tutto l’anno, neppure al venerdì santo, giorno in cui la comunione non è permessa se non per viatico, eccetto quella che fa il sacerdote che celebra la messa in quel giorno, coi pr e santificali. E si legge infatti nella vita di Sant’Alfonso scritta dal padre Tannoja, che alle volte, trovandosi in missione nella settimana santa, procurava di tornare in quel giorno a casa, per poter celebrare e non rimaner privo in alcun giorno del pane eucaristico. San Giovanni Batt. Vianney, curato d’Ars, inculcava la comunione frequente e quotidiana con queste parole: «Andate alla comunione, fratelli miei, andate a Gesù con amore e fiducia. Andate a vivere di lui se volete vivere per lui. Nè state a dirmi che avete troppo da fare. Il divin Salvatore ha detto: Venite a me voi tutti che siete in travaglio, o più non reggete al peso della fatica; venite ed io vi ristorerò. Potrete voi resistere ad un invito così pieno di tenerezza e di amicizia?! Non dite di non esserne degni. È vero, non ne siamo degni, ma ne abbiamo bisogno. Se il Signor nostro avesse guardato al nostro merito, non avrebbe istituito mai questo gran sacramento di amore, poiché nessuno al mondo ne è degno, nè i santi nè gli angeli, nè la SS. Vergine stessa; ma egli ha guardato i nostri bisogni e noi tutti ne abbisognarne. Neppur ditemi: Son troppo cattivo, ho troppe miserie, perciò non oso accostarmi con frequenza; sarebbe quanto dirmi: Son troppo ammalato, e perciò non voglio nè medico nè medicine! Era la comunione quotidiana che rendeva i primitivi fedeli sì pazienti nelle afflizioni, sì zelanti per la gloria di Dio, sì rassegnati alla sua volontà, sì caritatevoli verso il prossimo, sì distaccati dai beni di questa terra, sempre pronti a sopportare il martirio. È la comunione quotidiana che ha da far correr noi nella via della perfezione.

Preparazione aliai comunione quotidiana.

San Francesco di Sales spiega qual preparazione si richieda per la comunione frequente e quotidiana. Dice che per primo bisogna non avere peccati mortali, e per secondo non avere affetto al peccato veniale. Qui c’è da capire bene che cosa voglia dire affetto al peccato veniale. Quando uno commette delle venialità, ma se ne pente e promette subito di non volerle far più, dimostra che non ha affetto ai peccati veniali. Perciò anche essendo caduto in qualcuno di essi può andare alla comunione. Quando invece uno ha dei difetti, ma perchè sa non esser peccati mortali non cerca di correggersene, ed ha la volontà disposta a farli ancora altre volte, allora è da temere che abbia affetto a questi peccati veniali, e fin che dura questo affetto non sarebbe prudente suggerirgli di fare la comunione quotidiana.

Ciò che dice il decreto della Sacra Congregazione.

Godo di trovar conferma di quanto ti ho esposto sopra, nel decreto della Sacra Congregazione del Concilio, in data 20 dic. 1905 . Giudico pregio dell’opera riportarne qui gli articoli principali. Questo decreto dimostra anzitutto, essere stata intenzione di Gesù nello stabilire il sacramento dell’eucaristia che i fedeli vi partecipassero tutti i giorni. Poi per riguardo alla preparazione necessaria soggiunge, che, essendo insorte controversie tra i medesimi teologi, la detta Congregazione del Concilio presentò al santo padre Papa Pio X la questione, affinchè egli con la suprema sua autorità, si degnasse di scioglierla. Ciò nel desiderio che quest’uso salutare e carissimo a Dio della comunione quotidiana, non solo non abbia a diminuire tra i fedeli, ma piuttosto si accresca e dovunque si propaghi, in questi giorni specialmente nei quali la religione e la fede cattolica vengono da ogni parte assalite, e il vero amor di Dio e la pietà lasciano non poco a desiderare. Sua santità, avendo sommamente a cuore, nella sua sollecitudine e nel suo zelo, che il popolo cristiano sia invitato più frequentemente che si possa ed anche quotidianamente alla sacra mensa, e goda dei suoi frutti amplissimi, ratificò, confermò e ordinò che si pubblicassero le ordinazioni di detta Sacra Congregazione del Concilio, la quale, tra le altre cose, ha stabilito quanto segue: « a) La comunione frequente e quotidiana, come sommamente desiderata da nostro Signor Gesù Cristo e dalla Chiesa cattolica, sia permessa a tutti i fedeli di qualunque ordine e condizione, così che nessuno, che sia in istato di grazia e si accosti alla sacra mensa con intenzione retta e pia, possa esserne impedito.

« b) L’intenzione retta e pia sta in ciò, che chi si accosta alla sacra mensa non lo faccia per abitudine, per vanità, o per ragioni umane, ma con animo di soddisfare alla volontà di Dio, di congiungersi a lui con più intima carità, di rimediare con quel farmaco divino alle sue infermità ed ai suoi difetti.

« c) Quantunque sia sommamente conveniente che quelli i quali si comunicano quotidianamente siano scevri da colpe veniali, almeno da quelle pienamente deliberate, e dal- f affetto a quelle, tuttavia è sufficiente che siano liberi da colpe mortali, insieme col proposito di non peccar più in avvenire. Con questo sincero proponimento, non può essere che quelli i quali si comunicano quotidianamente a poco a poco non si liberino dai peccati anche veniali e dall’affetto ad essi.

« d) E poiché i sacramenti della nuova legge, sebbene conseguano il loro effetto ex opere operato, ciò nondimeno producono un effetto maggiore a proporzione delle migliori disposizioni che si hanno nel riceverli, per questo è da procurarsi, che alla santa comunione preceda una diligente preparazione, e segua una conveniente azione di grazie, secondo la capacità, la condizione e le occupazioni di ciascuno.

« e) Affinchè la comunione fequente e quotidiana si faccia con maggior sicurezza

ed abbia merito maggiore, è necessario che v’intervenga il consiglio del confessore ». Fin qui l’accennato decreto.

Non portare scuse

Sforzati pertanto, o mio buon amico, di emendarti sodamente dei tuoi difetti, e poniti con proposito deliberato di far la santa comunione, frequente, e possibilmente quotidiana. E non istare a portarmi scuse o ragioni in contrario. Esse devono scomparire davanti al desiderio vivissimo di Gesù, di venir ad arricchirti dei suoi doni e delle sue grazie, ed ai pressanti inviti della Chiesa. Gemi tu, ad esempio, per non avere molta divozione? Bisogna che ti accosti alla santa comunione, che è fuoco consumatore, capace d’infiammare i cuori più tiepidi. Ti senti troppo pieno di debolezze o d’imperfezioni o d’aridità? Ricorri alla santa comunione: è il pane dei forti, il latte dei deboli, il rimedio per gli ammalati, l’energia dei viaggiatori che desiderano di avanzarsi nella via della perfezione. Hai forse orribili tentazioni, e specialmente contro la fede o la purità? Senti le altre passioni far tumulto nell’anima tua? Il frumento degli eletti, il vino che fa germogliare i vergini produrrà in te casti pensieri, desideri santi, affezioni tutte regolate ed angeliche. Provi forse troppo attacco ai parenti, alle cose terrene, o a te stesso? L’eucaristia è il pane disceso dal cielo, che t’inspirerà un gran distacco dalle creature, un desiderio sempre crescente della vita eterna. Ma tu mi dirai: Io non sono abbastanza preparato per fare la comunione quotidiana. È appunto perchè ti possa preparar meglio che bisogna andarvi! Niente più ti disporrà alla comunione di domani che la comunione d’oggi. Se tu attendessi un anno intero col pretesto di prepararti meglio, al fin dell’anno saresti meno preparato di quel che eri al principio. La principal preparazione deve venire da Dio stesso, perchè egli solo può ornare la dimora, che per sua immensa bontà, egli si scelse. Ora più egli entra in un’anima colla comunione e più la dispone a riceverlo degnamente. Nè dirmi: Io non fo abbastanza profitto nella via della virtù; io mi vedo sempre lo stesso, e temo, perchè il non avanzarsi nella perfezione è tornare indietro. No, io t’invito anzi a farti coraggio, chè a poco a poco il progresso lo vedrai. Non ti fa bisogno di vederlo lì per lì; d’altronde io ti dico schiettamente che se è vero che il non progredire è un regresso, dal momento in cui tu non vedi regresso è segno che progredisci. Il rimedio che preserva dal cader ammalato, non è certo meno utile di quello che guarisce la malattia già contratta. D’altronde già ti dissi che la comunione quotidiana non è stabilita come premio degli sforzi fatti, bensì come antidoto per non più cadere; è come corroborante per poter essere sempre più forti in seguito Temi tu forse col comunicarti tutti i giorni, di perdere il rispetto dovuto a questo sì grande sacramento? Questo sarebbe dimenticare che esso aumenta la carità, e che con la carità si sviluppa pure il rispetto, il timor filiale, e le altre virtù. Non avviene dei beni celesti ciò che avviene dei beni terreni, nei quali con l’uso diminuisce il gusto e il desiderio! Dei beni celesti avviene il contrario: prima d’averli gustati se ne ha poca attrattiva; ma a proporzione che essi si conoscono meglio e che si godono, si desiderano più fortemente e si gustano più deliziosamente. Perciò il Signore ci invita dicendo: gustate et videte. Se pertanto io non condanno coloro che avevano per sistema di astenersi qualche volta dalla santa comunione per rispetto, dico tuttavia che è meglio accostarvisi per affezione e con confidenza, poiché le azioni che son fatte per amore, valgono meglio di quelle in cui predomina il timore.

Appoggio dell’esperienza.

L’esperienza viene in appoggio a tutte queste ragioni. Essa ci fa vedere che i religiosi i quali frequentano la santa comunione, diventano più regolari e più virtuosi, e che quelli che se ne allontanano o la fanno appena di rado, diventano negligenti e dissipati. È questo un fatto che occorre osservar bene, anche nei giovani dei nostri collegi: dove si fan tutti gli sforzi, e si prendono tutti i mezzi per ottenere la comunione frequente, quivi si ha virtù e si procede bene; dove invece non si pone questo impegno, e non si ottiene questa frequenza, si vedono i giovani mal incamminati, che dànno dei fastidi, ed abbisognano di castighi. Il frutto che si trae dalla comunione frequente è un segno evidente che è bene il continuarla.

Ma abbi retta intenzione e purità di coscienza.

Ma se io ti spingo tanto alla comunione frequente ed anche alla quotidiana, intendo pure che tu prenda i mezzi per comunicarti veramente bene e con profitto. E per prima cesa, procura di avere una grande purità di intenzione e di partecipare alle intenzioni per cui nostro Signore ha istituito il sacramento, cioè di trasformarci in lui, e di perpetuare la memoria della sua passione e morte, come ci comandò Egli stesso. E per seconda cosa procura in te una grande purità di coscienza; non solo sii puro da peccato mortale, che questo è di necessità assoluta per non fare un orribile sacrilegio, ma ancora detesta fortemente ogni peccato veniale, e, per quanto puoi, non commetterne nessuno. Non saremo mai abbastanza fervorosi, non avremo mai il cuore abbastnza puro per ricevere il Santo dei Santi, colui che persino nei suoi angeli trova delle macchie; ma che almeno detestiamo con tutte le nostre forze ogni colpa avvertita.

Tre altri mezzi.

Ad ottenere un effetto sempre più sicuro e consolante dalle tue comunioni, prendi ancora questi tre mezzi che ti suggerisco qui, e posso assicurarti a nome di Dio che tu presto ti farai santo. Ravviva dunque la fede, e per primo mezzo particolare pensa che è proprio Gesù che viene in te. Figurati che sia Maria SS. che ti cede un po’ di tempo tra le braccia Gesù benedetto; ovvero San Giuseppe che te lo porge raccomandandoti di trattarlo delicatamente. Sì, è proprio Gesù che viene in te, pronto a farti santo se tu lo ascolti, pronto a produrre in te miracoli di virtù, se tu insisti per averli, e sei docile nel seguire le buone ispirazioni. La seconda cosa che ti suggerisco è questa: giorno per giorno, prima di ricevere Gesù, pensa quale difetto vi sia nel tuo cuore per cui Gesù abbia da venire pocQ volentieri in te, prometti fermamente di volerlo sradicare, e domandane la grazia a Gesù stesso. E dopo d’averlo ricevuto in te, pensa un momento quale sia la virtù che il Signore sta cercando di più nel tuo cuore e che non trova, o la trova sbiadita, e prometti di volervela mettere a tutti i costi. E conoscendo la tua debolezza, che dici e non fai, interessa Gesù medesimo ad aiutarti efficacemente, e prendi subito i mezzi pratici ed energici per riuscirvi. La terza cosa che ti suggerisco pure caldissimamente si è, che tu metta la comunione come il centro della giornata. È indubitato che l’ora della comunione è senza paragone la più preziosa tra tutte le ventiquattro ore della giornata È indubitato che noi tutti dobbiamo vivere per Gesù; che Gesù, anche dopo consumate le specie sacramentali, fa dimora in te con grazie speciali. Dunque è cosa ben conveniente che tu subordini tutte le azioni della giornata alla santa comunione. Perciò dal momento della comunione fino a sera dopo le orazioni, proponi di voler fare le tue azioni in modo che possano servire di ringraziamento a Gesù che venne a te. Pensaci lungo il giorno, dicendo: Voglio che Gesù sia contento di me; stamane venne nel mio cuore, voglio che quest’azione sia fatta per ringraziarlo. Alla sera dopo le orazioni, dopo i piccoli ricordi che danno i superiori, inginocchiati ancora un momento prima di partir di chiesa e comincia a pensare alla comunione del domani: alla fortuna che si ha di poter di nuovo andare il giorno dopo a ricevere Gesù. Digli: Vi lascio, o Signore, il mio cuore perchè lo prepariate. E poi raccolto va’ in camera, pensando alla comunione del domani. Procura di addormentarti con questi pensieri. Se per buona sorte ti svegliassi la notte, il medesimo pensiero occupi sùbito la tua mente. Al mattino, appena desto, ed anche nella meditazione pensa a questo; così nelle varie piccole azioni prima di messa sta’ fisso in sì santo pensiero. In tal modo tu vivrai in un continuo ringraziamento delle comunioni fatte, e in una continua preparazione a quelle che devono ben presto seguire. Io ti posso assicurare che se tu sarai perseverante nel fare la tua comunione tutti i giorni, e nelle tue comunioni procurerai d’adottare questi mezzi, tu in breve progredirai nella virtù, persevererai nella vocazione, ed il Signore ti sceglierà per salvare molte anime.

Capo X L’ESAME DI COSCIENZA

Sua necessità.

L’esame di coscienza è uno dei mezzi più efficaci per purificare l’anima dai suoi difetti, perchè discopre le interne radici e le occasioni esterne che in essi ci fanno più frequentemente cadere. È perciò uno degli esercizi più inculcati dai maestri di spirito, più praticato dai religiosi, uno dei più importanti della giornata, che, se si pratica bene, produrrà senza dubbio grandissimo profitto. Si può ritenere giustamente che tutti quelli i quali trascurano l’esame di coscienza restano stazionari nel cammino della virtù, se pure non retrocedono; mentre quelli che lo praticano con una costante applicazione fanno necessariamente progresso. San Francesco di Sales raccomanda molto questo esame, e soggiunge che bisogna andare a letto come al confessionale, dopo d’essersi esaminati. I commercianti contano tutte le sere le loro entrate e le loro uscite. L’anima che vuol guadagnare il cielo, deve fare altrettanto: esaminare bene alla sera tutte le perdite fatte, affine di ripararle. Esàminati pertanto alla sera, prima di andare a dormire, su tutti i mancamenti della giornata, sia in pensieri che in parole, in opere ed omissioni. Trascorri così colla memoria tutte le azioni principali fatte dalla sera antecedente a questo momento dell’esame.

Nostri debiti quotidiani

Per essere eccitati a far questo esame e prendere forza a farlo bene, bisogna anzitutto capire e persuadersi, che ogni dì noi facciamo, oltre agli altri antichi, due nuovi debiti col Signore, sebbene molto differenti e per titoli molto diversi. Il primo debito è per i benefici innumerabili che da lui quotidianamente riceviamo; il secondo è per i nostri innumerevoli difetti, trasgressioni, divagazioni, sbadataggini, disattenzioni, mancanza di energia nelle pratiche religiose, e nel cercar di vincere i nostri difetti; e voglia il Signore che non sia qualche volta con peccati avvertiti e gravi! Il primo debito si paga col ringraziamento, il secondo col dolore. È giusto pertanto che ogni giorno prima d’andare a riposo li paghiamo tutti e due. Pagherai il primo col recitare con special devozione le preghiere della sera; pagherai il secondo coll’esame seguito dall’atto di contrizione.

L’esame generale.

Nell’esaminarti, nota che se trovi qualche cosa buona in te, l’hai da attribuire a Dio con gratitudine, mentre il male non devi scusarlo, ma attribuirlo tutto a te, alla tua negligenza, alla tua poca attenzione, al tuo poco zelo. In questo esame passa in rassegna tutte le azioni principali della giornata, e specialmente il proponimento della meditazione, e quelli fatti in occasione dell’ultima confessione, per vedere se li hai osservati. Generalmente per l’esame quotidiano basta quel momento che si lascia a tale scopo nelle orazioni comuni. Ma se in quello non hai potuto riflettere abbastanza, rifallo prima d’andare a dormire, quando inginocchiato accanto al letto sei per dire le tre Ave Maria. Atto essenziale, che deve seguire l’esame di coscienza, è appunto l’atto di contrizione, unito ad un fermo proponimento di non più ricadere. Disgraziata l’anima, che non sente in sè gran dispiacere dopo che ha offeso Iddio, fosse pur solo con una piccola venialità avvertita. Dopo l’esame, dice San Leonardo da Porto Maurizio, figùrati di confessare al Signore i mancamenti fatti, e imponiti da te stesso la penitenza. Poi inviluppa così in blocco tutti i difetti della giornata in un atto di contrizione, e gettali nella fornace della misericordia di Dio, perchè ivi restino consumati.

L’esame particolare.

Questo, di cui ti parlai finora, è quello che si dice l’esame generale della coscienza; e si dice generale perchè cerca tutti i mancamenti della giornata, di qualunque sorta siano. Vi è un altro esame da farsi, e che non ha minore importanza: si chiama ordinariamente esame particolare. Questo si può fare in qualunque momento della giornata ed anche molte volte nella giornata stessa, sebbene nelle comunità si usi fare prima di pranzo. Questo esame si dice particolare perchè si occupa di un difetto solo, e consiste nell’esaminarci sul nostro difetto principale, quello che si prese a combattere nel mese. Ognuno ordinariamente ha qualche difetto o peccato in cui cade più facilmente, o qualche propensione cattiva, che per lui è la cagione e la radice degli altri mali. L’esame particolare consiste nel determinare bene quale difetto o quale abitudine si vuol distruggere, e quindi nel rendersi conto, almeno una volta al giorno, delle lotte che si sono sostenute contro quel difetto, delle vittorie che si sono riportate, delle sconfitte che si sono ricevute. E benché in alcuni siano vari i principali vizi o difetti, conviene nondimeno prenderne di mira uno solo per volta, per poterlo estirpare con sicurezza. È necessario soprattutto che di applichi a ben conoscere la radice e la sorgente di quel difetto che ti predomina. E non contentarti di riformare solamente l’esteriore, ma va’ a fondo nell’anima tua, e cerca di svellere fino le radici del male. L’esame particolare fatto seriamente, anche solo durante un mese, dà alla fine di questo mese risultati meravigliosi. Pertanto, mese per mese, nell’Esercizio di Buona Morte, scegli uno dei tuoi difetti, e d’accordo col maestro proponiti di combatterlo fortemente per tutto il mese. Ogni giorno in una visita al SS. Sacramento esaminati su quel difetto, e sii energico nel volerlo a tutti i costi sradicare. Comincia dallo sradicare quelli più appariscenti, i quali possono offendere il prossimo o scandalizzarlo. Non cambiare il soggetto dell’esame finché non hai distrutto, o almeno grandemente indebolito, quel difetto che ti sei proposto di combattere. Se il maestro lo giudica conveniente segnati tutti i giorni su di un quadernetto apposito e molto esattamente i risultati del tuo esame, e obbligati a presentarlo alla fine di ogni settimana, o almeno al termine d’ogni mese, al maestro. Imponiti ogni giorno qualche mortificazione in rapporto al difetto che vuoi combattere e alla virtù che vuoi acquistare. Non contentarti di gemere dinanzi a Dio delle tue infedeltà, delle tue debolezze, della tua tiepidezza; punisciti! Saranno piccolissime cose, ma osservate costantemente produrranno gran frutto.

Modo di far l’esame particolare.

Un buon modo di fare bene l’esame particolare di coscienza è il seguente. Anzitutto figurati di essere alla presenza di Dio, e domandagli lume per conoscere i tuoi mancamenti, grazia per comprenderne la bruttezza e vedere tutto il torto che gli fai. Quindi domandati ragione di ogni ora della giornata, delle occasioni che hai avute, delle cadute fatte, delle debolezze di cui hai da rimproverarti, delle vittorie riportate, segna il numero delle cadute ed anche delle vittorie, se così ti consigliò il maestro. Per scuoterti pensa che questo difetto aumenterà il tuo supplizio in purgatorio e diminuirà il tuo grado di gloria in cielo; può anche a poco a poco trascinarti al peccato mortale; ti rende incapace di elevarti alla perfezione che Dio domanda da te; t’impedisce di fare il bene che il buon Dio ti destinava, contrista lo Spirito Santo, ferisce il Cuor di Gesù, e ti allontana le tenerezze affettuose della Beata Vergine. Indi domanda sinceramente perdono a Dio, proponiti qualche atto di espiazione e ringrazia il Signore di averti fatto conoscere un po’ meglio te stesso. Sarebbe anche buona cosa fare un piccolo esame al termine di tutte le azioni di maggior importanza della giornata, per vedere se si fecero con quell’impegno che era necessario. Sant’Ignazio di Loyola faceva questo esame tutte le ore, e ciò ancora 1 ultimo giorno di sua vita, e prendeva nota dei suoi mancamenti in un quadernetto; e questo fu uno dei mezzi che più l’aiutò a farsi santo.

Esame di previdenza.

Vi è ancora l’esame di previdenza. Lo si può fare utilmente al mattino, cercando di prevedere il bene che si potrà fare lungo il giorno, e le occasioni che ci possono far cadere in qualche difetto, e determinando con precisione il modo di evitar quei difetti. Tu pertanto bada alle difficoltà che ti occorreranno nella emendazione dei difetti. Previeni cogli occhi della prudenza al mattino tutte le difficoltà, gravezze, disprezzi ed occasioni d’inciampare, che probabilmente ti si possono offrir in quel giorno, attese le tue inclinazioni ed il tuo stato ed ufficio, e le persone colle quali devi trattare; e fa’ proposito di voler assolutamente riuscire a vincerti. Proponi in tali occasioni di diportarti in tal modo nel- l umiltà e nella pazienza, in tal modo nelle tentazioni di golosità e di impurità, in tal modo nel trattare con quel tal giovane o compagno, o con quel tal superiore. E ciò non fidato nelle tue forze, ma in quelle che Iddio ti darà. Fa’ cioè come Gesù benedetto nell’orto del Getsemani; Egli si pose avanti gli occhi tutti i patimenti che in quella sera medesima e nel giorno seguente doveva patire, e li accettò con grande amore. Lottò contro il timore e la tristezza fino a sudar sangue; ma non desistette, e si propose di prender tutto dalle mani del suo eterno Padre. E tutto quindi offerse con quella fortezza ed amore che formerà sempre l’ammirazione degli uomini.

L’esame della confessione.

Vi è poi l’esame che si fa in preparazione alla confessione sacramentale. Per riuscire a far bene questo esame, giova immaginare di trovarsi avanti al divin Giudice, il quale ci assicura, che se ci giudichiamo bene da noi, non ci giudicherà più egli nell’estremo giudizio[388]. Ma bisogna che ci esaminiamo e giudichiamo profondamente, come farebbe il divin giudice medesimo. Egli dice che giudicherà la Gerusalemme dell’anima nostra fin nei più reconditi siti; scoprendo con luminosa lucerna tutte le colpe che si troveranno in essa, ancorché siano molto minute. Dobbiamo pure esaminare, come il medesimo Signore ci ammaestra per mezzo di Davide, non solo le opere cattive ma anche le buone, nelle quali sogliono alle volte mescolarsi circostanze cattive: ego iustitias iudicabo. E che anzi ci giudicherà anche dei peccati occulti, per cui dobbiamo domandare col salmista: mondami dai peccati occulti. E peccati occulti sono quelli che si commettono per ignoranza o inavvertenza colpevole o per illusione o inganno del demonio, tenendoli quasi virtù: come se tu prendessi per zelo quello che è ira, se prendessi per energia e fortezza di carattere ciò che è cocciutaggine ’e ostinatezza. Devi anche esaminarti dei peccati altrui, cioè di quelli che altri possono aver commessi per cagion tua. Perdona al tuo servo i peccati altrui. Ciò avviene specialmente a chi non è riguardoso e delicato nei suoi modi, e così finisce per dare vero scandalo ad altri, anche senza attualmente accorgersene; come di chi coi cattivi modi eccita altri all’iracondia, a dire parole spropositate, ecc. Fatto questo, quando si trattasse di una confessione generale o annuale, farai bene a passare uno ad uno i comanda- menti della santa legge di Dio e della Chiesa e le obbligazioni del proprio stato, ed i sette vizi capitali. Ma nell’esame per le confessioni settimanali basterà esaminarti su quelle cose che sai già per esperienza formare il tuo debole, cercando i peccati direttamente contro Dio e poi quelli verso il prossimo, e infine verso te stesso, e ciò in pensieri, in parole, in opere, in omissioni. Ti sarà anche di somma utilità il far servire l’esame quotidiano a preparazione dell’esame per la confessione. Se tu ogni giorno ti sei notato l’esito dell’esame quotidiano, il tuo esame si può dire già fatto.

Istituire un confronto.

Alla fine della settimana, nel giorno cioè in cui vai a confessarti, confronta anche i vari giorni, e se vedi nei tuoi difetti che ogni giorno della settimana hai diminuito un poco, danne grazie a Dio. Ma se vedessi che sei sempre stato lo stesso, o se per disgrazia ancora avessi aumentato, scuotiti bene. Pensa quanto poco Gesù deve essere stato contento di te in quella settimana, e fa’ un proponimento più serio di combattere da soldato meno vile nella nuova settimana, che speri il Signore ti voglia ancora concedere per emendarti. Figùrati anche che quella sia l’ultima settimana che il Signore ti conceda ancora per farti buono, e che se non vedrà emendazione ti abbia a punire, come fece con la ficaia infruttuosa[389]. Questo ti servirà anche per star più all’erta nelle tue azioni.

Come fare l’esame di coscienza.

Prima di cominciare l’esame di coscienza per la confessione, farai bene a richiamarti i molti benefizi ricevuti da Dio, e le obbligazioni che hai di servirlo perfettamente. Poi domanderai lume per conoscere bene i tuoi mancamenti. E mentre ti esamini, procura che quest’azione non sia soltanto una ricerca speculativa, ma causa di rossore e di vergogna d’essere stato ancora così cattivo dopo tanti benefizi ricevuti, pentendotene con tutto il cuore.

Formulario d’esame di coscienza.

Ora qui per aiutarti a fare un esame generale di coscienza in occasione di esercizi di buona morte, o degli esercizi spirituali in cui si è soliti fare una confessione più accurata, ti pongo un formulario adatto. Dei peccati più gravi non hai bisogno che te ne parli. In pochi minuti passi a rassegna i comandamenti di Dio e della Chiesa, e ti ricordi subito se ti occorsero cose direttamente e gravemente contrarie. Basta qui dare cenno per conoscere i più ordinari mancamenti che possono commettersi giorno per giorno nello stato religioso. Per maggior semplicità ridurrò le cose a cinque punti.

1) Pratiche di pietà. Che stima hai delle pratiche di pietà? Sei ben persuaso che meritano la massima stima che ti sia possibile? Come sono andate esse lungo la giornata? Le hai fatte con fervore e costantemente? Non ne hai mai omessa qualcuna per tua trascuratezza? Quando non le hai potute fare in comune, non le hai compite con negligenza, o fors’anche totalmente lasciate? Qual’è il tuo raccoglimento in esse? Freni con diligenza le distrazioni, per quanto sta da te? Ti sforzi per ottenere il fervore? Alzandoti al mattino non hai mai lasciato d’elevare il tuo cuore a Dio e dire quelle giaculatorie e fare quelle pratiche che sono indicate dal catechismo e dalle regole? Alla sera andando a letto hai dette con divozione le tre Ave Maria raccomandate, ed hai domandato la benedizione della Madonna? Come sono andate le tue preghiere vocali? E le piccole preghiere lungo il giorno? Ed il segno di croce, il prender l’acqua benedetta, le genuflessioni, l’Actiones e l’Agimus, e le preghiere prima e dopo il cibo, l’Angelus, ecc.? Ti sei esercitato lungo il giorno nelle orazioni giaculatorie, nelle pie aspirazioni, nelle comunioni spirituali, nell’offerire sempre le tue azioni a Dio e nel tenere il pensiero della presenza di Lui? Non hai mai lasciata la tua meditazione? E come riesci? La fai forse con distrazione volontaria o sonnecchiando, o tenendo un contegno indevoto? Fai bene la preparazione? Sei fedele a seguire il metodo che ti fu insegnato? Quale, ne è il risultato pratico? Qual è la causa precipua delle tue distrazioni in essa? Ne domandi perdono al Signore in fine? Pensi lungo il giorno alla risoluzione presa? La richiami a memoria nelle visite che fai al SS. Sacramento? Fai tu con cura e profitto l’esame di coscienza generale? Il particolare? E le tue visite al SS. Sacramento ed a Maria SS. le fai tutte, secondo il costume della casa? Le fai volentieri? Vai con raccoglimento, o disturbi nell’entrata o nell’uscita di chiesa? Stai attento alle letture spirituali e ne ricavi frutto? Non hai mai tralasciata tutta od in parte la santa messa? Con che divozione vi assisti? La sai servire con tutta esattezza? La servi con gravità e divozione? Ti prepari bene alle sacre cerimonie, in modo che, per quanto dipende da te, le funzioni riescano gravi e devote? Qual è la tua divozione verso Maria SS.? È essa puramente affettiva, o ne cerchi la sostanza procurando d’imitarla nelle sue virtù, e di fare degli sforzi per darle gusto colle tue opere ben fatte? Procuri di crescere nella fiducia della sua intercessione? Come reciti il suo rosario? Come hai recitato o cantato alla domenica l’ufficio della Beata Vergine? Hai pensato ad offrirlo bene a lei, come uno degli ossequi che le sono più graditi? E con che devozione hai cantate le lodi sacre? Non trovi nulla da migliorare nelle tue confessioni? Hai il tuo giorno fisso per andarti a confessare? Ti sei preparato bene prima? Ti sei eccitato bene alla contrizione? Sei stato talmente sincero, che il confessore abbia potuto farsi un’idea esatta dello stato di tua coscienza? Hai fatto il tuo proponimento ben fermo, specie su quelle venialità in cui sei solito cadere quasi per abito? Hai procurato di schivare le occasioni dei peccati? Hai praticato gli avvisi del confessore? Sei contento delle tue comunioni? L’hai fatta quotidiana, o con la frequenza indicata dal confessore? La rendi come il centro della giornata, consacrando il tempo che corre tra le due comunioni, metà al ringraziamento e metà alla preparazione della comunione seguente? Segui quel consiglio di proporti prima della comunione l’emendamento di qualche difetto, e dopo, la pratica di qualche virtù? L’hai lasciata qualche volta per tua negligenza o poca veglia? Che preparazione vi porti? Quali frutti ne ricavi?

Qual è la tua docilità nel seguire gli avvisi che ti son dati? Sei tu fedele nel riguardare il maestro, o altro tuo superiore, come colui che tiene le veci di Dio, e come stabilito da Dio per guidarti secondo le regole e lo spirito della congregazione? Hai tu fatto esattamente e con umiltà il tuo rendiconto? Ti sei presentato altra volta in tempo opportuno, quando non l’hai potuto fare nel giorno che ti sei fissato?

2) Cura della perfezione e della vocazione. Quale idea hai tu della vocazione? L’hai tu consolidata col fedele compimento dei tuoi doveri e delle tue regole? Hai tu per essa la stima che merita e la riconoscenza che deve inspirarti? La tua cura principale è di avanzarti nella perfezione? Riguardi tu la perfezione come l’unico importante affare per cui vivi? Qual è la tua corrispondenza alla grazia ed alle divine ispirazioni? Quali vittorie hai riportato sulla passione dominante? Che sforzi hai fatto per domare la tua indole, il tuo carattere? Le tue disposizioni, sia per emendarti come per progredire, sono le stesse che erano all’inizio del tuo noviziato? Che progresso hai fatto nelle virtù cristiane e religiose? La tua fede è semplice, viva ed attiva? La tua speranza è ferma, senza scoraggiamenti e presunzioni? Qual è il tuo amore per Iddio? Non vi è forse nel tuo cuore qualche attacco sregolato verso le creature? Nota che l’ambizione e le amicizie sensibili producono sempre questo dannoso effetto! Hai tu zelo per la gloria di Dio? Sei tu afflitto degli oltraggi che riceve? Hai tu quella delicatezza di coscienza che fa intimorire il buon religioso, anche alla sola apparenza del male? Non ti sei tu permesso varie mancanze sotto il pretesto che esse erano piccole? Non ti sei esposto al pericolo di commettere mancanze gravi? A che punto sei tu riguardo l’unione con Dio, il ricordo della sua presenza e la conformità alla sua volontà? Qual è il tuo rispetto e la tua sommissione alla divina Provvidenza nei casi avversi, e nelle persecuzioni che incontri? Fai le cose sempre, direttamente, per piacere a Dio? Esaminati specialmente sugli sforzi che fai per vincere la tua passione dominante, e sui progressi nella virtù che in particolar modo hai promesso d’acquistare e praticare. Che concetto hai della nostra pia società? Che amore le porti? Comprendi tu bene che essa è per te l’unica arca di salvamento? Che per te è fonte di ogni bene? Parli sempre con edificazione di essa, dei superiori, delle opere che intraprende, delle opere dei membri della medesima, delle cose letterarie, scientifiche, musicali, artistiche, ecc.?

3) Osservanza dei santi voti. Se il novizio non è obbligato alla povertà e alla obbedienza in forza dei santi voti, esso vi è tenuto per regola, e per prepararsi alle obbligazioni che sta per assumersi.

Riguardo alla povertà: Non hai mai tenuto danaro? Non hai ricevuto, preso, comperato o imprestato senza permesso? Hai disposto di cose di qualche valore come proprie, o per darle ad altri in dono, o per consumarle senza licenza? Non conservi niente senza autorizzazione? Niente con qualche attacco sregolato? Niente di superfluo o poco conforme alla povertà religiosa? In tutti questi casi devi spogliartene senza dilazione e rimetterti all’esattezza della santa povertà. Tieni con cura tutto quello che hai in uso? Oppure hai recato danno alla casa o alla congregazione? Sciupi qualche cosa, o guasti o lasci andar a male, o nelle impazienze stracci, rompi qualche cosa? Ami tu la povertà come una madre, godendo di poterne portare le livree e di provarne gli effetti? Hai attacco smodato alla roba, alle comodità, procurandotele con dispendio o senza averne vero bisogno? Non t’avviene mai di cercare le cose migliori per lasciare il resto agli altri? 0 di ridire o mormorare della biancheria, degli abiti, dei libri, che ti sono assegnati?...

Riguardo alla castità: Vegli fedelmente perchè nulla ti avvenga contro la castità? Vigili sui tuoi pensieri, sul tuo cuore, sui tuoi sensi? Non ti sei mai permesso nulla che potesse essere per te occasione pericolosa o almeno occasione di turbamento? Sei sempre stato fedele a ricorrere prontamente a Dio ai primi attacchi delle tentazioni? Hai tu combattute con forza le affezioni un po’ troppo naturali e sensibili? Hai fatto letture leggere, fantastiche, o che riguardano amori profani, o comunque atte a suscitare in te le passioni? Hai dato occhiate a figure meno che decenti? Ti senti reo di confidenze ad altri, di cose facili a destare pensieri cattivi o passioni sregolate? Hai usato la dovuta moderazione nel mangiare, e specialmente nel bere vino o liquori? Oppure hai dato con questo occasione in te di ribellione del senso? Hai evitato ogni familiarità e troppa domestichezza coi confratelli e coi giovani? Non ti sei lasciato andare a giochi di mano, carezze, e fors’anche a baci con qualcuno? Hai dato occasione ad altri di pensar male di te? Hai dato occasione ad essere accarezzato, o ad attirarti gli sguardi altrui? Non hai detto parole atte a svegliare in altri pensieri meno puri? Fai tu con amore quanto dipende da te per imitare la purezza degli angeli?

Riguardo all’obbedienza: Hai forse mancato agli ordini espressi o ai comandi dei superiori? Hai loro resistito o mancato di rispetto con le parole, o con i gesti, in loro presenza, o in loro assenza, in te stesso o con altri? Hai allegate finte scuse per sottrarti alla volontà dei superiori? Non sei stato almeno ritroso nell’ubbidienza? O ti sei servito di intercessioni forti per non fare l’ubbidienza, e legare le mani ai superiori? Vi è nella tua obbedienza lo spirito di fede e di sommissione così dalla parte della volontà come dalla parte del giudizio? Vedi tu Iddio nella persona dei tuoi superiori? Hai tu ascoltata la loro voce come la voce di Dio, disposizione questa che è l’anima dell’ubbidienza? Non fai tu nulla di mala grazia? Sei pronto all’obbedienza al primo segno, o al primo tocco della campana? Ti sei sempre levato al mattino a tempo? Hai tu fatto silenzio nei tempi e nei luoghi dovuti? Hai tu rinunziato alla tal occupazione, al tal impiego, al tal luogo al primo ordine, anzi al primo avviso, pensando che a questo mondo, e tanto più nello stato religioso, si deve essere indifferenti a tutto eccettochè a far la volontà di Dio espressa per mezzo dei superiori? Non ti sei permesso riflessioni, burle, critiche, mormorazioni sugli ordini emanati, o su certe circostanze od accessori riguardo gli ordini, o sulla persona dei superiori, sminuendo in questo modo nel tuo concetto ed in quello degli altri il rispetto che loro è dovuto? Non v’è qualche superiore verso cui limiti la tua soggezione e riverenza? Ti ricordi di pregare per loro? e di dare quelle dimostrazioni di rispetto che meritano? Vi è schiettezza ed amore nei tuoi rapporti con loro? Sei tu fedele nell’osservanza di tutte le regole, o ve n’è forse alcuna formalmente esclusa dalla tua obbedienza, o di cui ti sia venuta abituale la violazione? Dipendi sempre in tutto, ovvero in qualche circostanza ti permetti qualche licenza di tuo arbitrio? Nei casi di negative, di ordini di contraggenio, senti forse troppa avversione e ripugnanza, e almeno cerchi di reprimerle?

4) Sulla vita comune e diligenza nei propri doveri. Hai tu soprattutto stimata e seguita la regolarità, che ti è imposta dai tuoi doveri quotidiani, così importanti per la comunità in generale, e per te in particolare? Sei tu contento della classe, della sezione, del genere di studi, del metodo che si tiene in essi; dei libri che si usano, delle varie materie assegnate? Hai procurato d’impiegare nello studio tutto il tempo a ciò destinato? Ti sei sempre fatto un religioso scrupolo di non perdere neanche un istante di tempo così prezioso? Hai cercato di disporre il tuo tempo in modo che tutti i doveri potessero essere terminati a tempo, senza trascurarne nessuno? Non hai assegnato troppo tempo ad una materia con detrimento delle altre? Ti sei sempre ben preparato alle scuole, alle ripetizioni? o ti sei anche occupato in studi estranei al tuo dovere? Hai mai intrapresa la lettura di nessun libro senza esserti prima consigliato con il tuo superiore? Tieni per caso nascosto qualche libro che non vuoi che il superiore conosca? O nella nota dei libri consegnata al superiore sul principio dell’anno ne hai occultato qualcuno? O dopo, lungo l’anno, ne hai ricevuto qualcuno e non l’hai ancora fatto vedere? Quale fu la tua premura per apprendere il canto gregoriano? Quale la diligenza nell’apprendere le cerimonie? Non ti sei servito di questi tempi per divagarti? Hai sempre tenuto nella debita stima tali scuole? Sei sempre stato attento alla scuola? Non hai mai avuto di mira di comparire nel rispondere alle interrogazioni, nel leggere i tuoi lavori, nello sciogliere le difficoltà? Non ti capitò di fare altro mentre il professore spiegava? Non hai fatto rumori per far ridere o disturbare senza che i professori potessero sorprenderti, e dopo almeno te ne sei accusato al superiore? Sei contento degli altri piccoli impieghi che ti sono affidati? Li eseguisci con tutto quell’impegno che è loro dovuto? Vi hai tu portato quello zelo, quell’attività, quella prudenza che in essa erano necessari? Non hai mai conteso o trattato poco caritatevolmente con coloro che stavano con te nel medesimo impiego? Hai aiutato i tuoi compagni quando potevi? Li hai sopportati con allegria quando dimostravano umore diverso dal tuo? Hai fatto quanto potevi per contentare i tuoi compagni? Hai usato con loro bei modi? Hai osservato le regole di civiltà che tanto servono a cementare la carità fraterna? Hai eseguito le regole di pulizia, che giovano anche a non dispiacere agli altri? Come fai le tue azioni ordinarie? Hai pensato costantemente con esse di piacere a Dio, od hai anche cercato la tua soddisfazione propria? Sei costante ad animare le tue azioni con pensieri di fede? Sei tu ben persuaso che la tua perfezione consiste nel far bene i tuoi doveri quotidiani senza trascurare neppure il più piccolo, neppure la cosa più indifferente? Hai tu bene economizzato il tempo? L’ordine dei tuoi lavori è ben subordinato all’obbedienza? Nelle tue azioni poni quella diligenza religiosa che è necessaria o le fai con precipitazione, o con lentezza, o con indolenza; o con perdita di tempo o comunque, senza buono spirito? Come impieghi il tempo delle tue ricreazioni, delle passeggiate, dei giorni di vacanza? Hai vera cura di santificare i tuoi pasti? i tuoi riposi? I tuoi esercizi corporali?

5) Di alcune altre virtù più necessarie (umiltà, carità fraterna, mortificazione). Come ti trovi riguardo all’umiltà? L’hai trasgredita col vantarti, con esser troppo suscettibile, con la mala grazia, coll’alterezza verso i compagni? Hai tu cercata la stima e la lode invece di amare d’esser dimenticato, e tenuto in poco conto e umiliato? Hai agito per rispetto umano? Non hai tu troppo buona opinione del tuo ingegno o della tua virtù? Non hai tu l’abitudine di parlare di te stesso? Sei tu fedele nel riconoscere i tuoi torti e mancamenti o ti scusi facilmente? Rendi conto della tua coscienza con quella umiltà, con quella confidenza infantile che è tanto secondo lo spirito della congregazione? Non resti un po’ abbattuto quando non riesci in qualche cosa? o quando di qualche cosa sei ripreso? Fai tu con frequenza atti di umiltà, offrendoti per quegli uffizi che son più bassi,o contrari alla comune estimazione, o ributtanti alla natura? Almeno accettandoli con sommissione? Hai tu un’indole arrendevole ed affabile? Ovvero sei sostenuto ed altero, in modo che si debba trattare con te con riserbo e riguardi? E gli stessi superiori non devono forse essere molto cauti per non offendere la tua suscettibilità nel darti certi ordini ed incombenze ?

Devi ai tuoi confratelli l’affetto, la stima, la benevolenza più tenera, la più cordiale. Devi favorire l’unione dei cuori. Non hai detto o fatto qualche cosa contraria a questi doveri che la carità fraterna richiede? Ti sei per caso lasciato portare all’avversione, all´invidia, alle maligne interpretazioni, ai ri- sentimenti, alle contestazioni, agli atti di collera verso di loro?

Hai tu rigettata con tutte le tue forze quella bassa gelosia che s’affligge nel vedere i buoni successi altrui, le distinzioni che dan loro i superiori, o persino le loro virtù? Non ti sei mai permesso, riguardo ai confratelli (e mille volte peggio riguardo ai superiori) maldicenze, rapporti indiscreti, calunnie, desideri di vendetta, o scatti di malumore? Nè nulla che possa mal edificare o produrre disunioni? Ti sei guardato bene dal criticare ciò che fanno gli altri, o dal riprenderli senza averne il diritto o solo per mal umore? Il tuo affetto pei compagni è tutto fondato sull’amore di Dio? È esso generoso, e senza eccezioni? Hai tu un sufficiente orrore per quelle miserabili amicizie particolari che scandalizzano i compagni, che dividono il tuo cuore e lo allontanano da Dio? Hai tu mai pensato alle conseguenze del cattivo esempio in una comunità, e alla necessità di dare buon esempio? Qual è la tua carità verso le anime del purgatorio? E il tuo zelo per la salute altrui? Non potresti praticamente far qualche cosa di più in favore delle une e degli altri? Come stai riguardo allo spirito tanto necessario della mortificazione di te stesso? Hai tu eseguite, in tutta la loro integrità e secondo il loro spirito, le regole contrarie alle inclinazioni tue ed al tuo naturale? Quali sforzi hai già fatto per giungere alla perfetta osservanza della modestia esteriore negli occhi, nel tratto, ed in tutto il tuo procedere? Nelle circostanze un po’ difficili non hai tu dato segno d’impazienza, di collera o di turbamento? Hai tu compiuto con coraggio e costanza le piccole mortificazioni e penitenze in uso nella congregazione, come il digiuno del venerdì e quel lavoro indefesso che deve formare la nostra caratteristica e la nostra gloria? Sei stato mortificato nei cibi, non hai mangiato o bevuto fuori pasto? Non hai tenuto bibite o commestibili con te? Hai osservato perfetto silenzio in refettorio durante le letture? Anche dopo che si può parlare, hai usato moderazione non parlando forte e non volendo parlar coi lontani? Non hai mai lasciato un incarico, un’assistenza, per tua colpa e poca mortificazione? o preparato poco le lezioni, o non corretti i compiti tuoi o degli altri per negligenza? O abbandonata la ricreazione, o rifiutato il passeggio coi giovani per tua poca voglia? Ti sei applicato soprattutto alla mortificazione interna ed all’abnegazione, almeno in quelle cose ordinarie che capitano a ogni piè sospinto? Hai fatto sufficienti sforzi per riformare il tuo carattere, il tuo mal umore? Come hai ricevute le pene che t’inviava la Provvidenza? Quanto hai tu faticato per acquistare la perfetta conformità alla volontà di Dio? Hai tu, in una parola, avuto spirito di mortificazione? Cioè, sapendo che le sofferenze sono un eccellente mezzo per espiare i tuoi mancamenti, sradicare i tuoi vizi, renderti un po’ più simile a Gesù Cristo, che è lo scopo per cui sei entrato in congregazione, le hai tu amate e desiderate? Non ti metterai una volta con impegno efficace per farti santo? Quando ti proponi di cominciare davvero, e non solo più a parole? Quali proponimenti pratici fai conto di prendere in questo momento? Scriviteli, e il Signore ti aiuti a praticarli d’ora in poi fedelmente.

Capo XI VISITA AL SS. SACRAMENTO

Invito di Gesù.

La bontà straordinaria del divin Salvatore di stare in mezzo a noi nel SS. Sacramento e il dirci con tanta affabilità che sua delizia è lo stare con noi, e più l’invito amorosissimo che ci fa di andare continuamente a Lui tendendoci le braccia aperte per riceverci, sono inviti talmente pressanti al cuore dei cristiani, e specie a quello dei religiosi, che dovrebbero eccitarci a correre continua- mente a Gesù, ed a bramare di tenerci continuamente alla sua santa presenza. Don Bosco, ed a voce e per iscritto, raccomandava continuamente le visite frequenti, benché brevi, al SS. Sacramento. E nel Giovane provveduto, sebbene non parli ai confratelli, bensì a semplici giovani dei nostri collegi, insiste che se ne facciano più al giorno, quanto è possibile.

Dovere di star vicini a Gesù.

Essendo Gesù la fonte d’ogni grazia, bisogna che s’avvicini a lui chi desidera ricevere molte grazie. Egli è un fuoco tutto avvampante. A lui bisogna che s’accosti chi desidera riscaldarsi. Egli è come il sole: bisogna stia molto esposto ai suoi raggi dardeggianti luce e calore, chi vuol esserne illuminato e infervorato. È questa la divozione principale del religioso, il quale ha la felicità di vivere vicino a Gesù realmente presente, e di riposare sotto il suo stesso tetto. Non vi è divozione più solida di questa: essa è al tutto conforme alle mire ed alle intenzioni di Gesù Cristo: essa è al sommo salutare per chi la pratica.

Santi esempi.

Queste visite son necessarie per chi è desideroso di far gran progresso nel bene. Santa Maria Maddalena de’ Pazzi faceva trentatrè visite al SS. Sacramento ogni giorno. San Domenico si può dire non avesse altra cella che l’altar maggiore ove si conservava il SS. Sacramento. Per molti religiosi era devota costumanza passare le notti intiere avanti al SS. Sacramento. Don Bosco vi passava tutto il tempo che poteva; i suoi primi alunni, come Savio Domenico, facevan lo stesso. Oh quanti dei nostri soci li imitarono! Io non ricordo qui che il nostro Don Buffa. Egli non poteva togliersi di chiesa, e lo vidi piangere quando per curare la sua salute gli proibii di stare in chiesa più di un dato tempo determinato. Molti dei nostri antichi novizi erano attirati in chiesa come da una forza irresistibile, ogni volta che uscivano da qualche occupazione. Sembrava non potessero poi distaccarsene dovendo uscire di chiesa; e potrei citare più decine di casi in cui dovetti proibire di prolungar troppo le visite. Moltissimi mi domandavano di poter passare in chiesa, avanti al SS. Sacramento, il tempo del teatrino e delle passeggiate, assicurandomi che divertimento maggiore non avrebbero avuto nè da bellissimi drammi nè da attraentissime ricreazioni. E siccome generalmente non permetteva questo, erano poi gongolanti di gioia quando concedeva di uscire dal teatrino e star in chiesa durante un intervallo od un atto, o di fermarsi in chiesa fino al suono delle occupazioni, quando la squadra arrivava un po’ prima del tempo da passeggio. Cerca d’imitare, per quanto ti è concesso dall’ubbidienza, cotesti ottimi esempi.

Visite al Santissimo nei viaggi.

Oltre al visitarlo in casa è bene, passando vicino a qualche chiesa, avendone occasione propizia e permesso, entrare per salutarlo. I buoni religiosi essendo in viaggio cominciano ad ardere d’amore avvicinandosi ad un paese nel vederne il campanile, perchè esso richiama al pensiero che lì accanto sta la chiesa col SS. Sacramento. Ed arrivati in paese, prima d’ogni cosa procurano di andare a visitar Gesù, prigioniero d’amore nel santo tabernacolo per noi. Ricordo come il nostro principe Czartoryski si risentisse tutto al vedere una chiesa, ed emettesse infuocate giaculatorie; e quando non aveva l’ubbidienza d’entrare in chiesa, si sfogava con caldi ed ardenti desideri e slanci di amore. Così devi far tu pure passando vicino a qualche chiesa, e non avendo il permesso o la comodità d’en- trarvi, trarre dal tuo cuore infiammate giaculatorie e far egualmente da lontano la tua visita. Questo pure ti conviene promettere di continuare poi a fare quando sarai in qualche collegio, in cui l’assistenza dei giovani t’impedisse di entrare in chiesa.

Gesù ne ha diritto.

Nell’Eucaristia invero nostro Signore è vivente. Egli sta nel tabernacolo col suo corpo, sangue, anima, divinità. Egli sta nascosto sotto il velo del sacramento per non spaventare o sbalordire la nostra debolezza collo splendore della sua gloria; ma vi è tale quale come quando era in Nazareth, a Gerusalemme, sul monte Tabor, tale quale è in cielo. Avrà Egli minor diritto al nostro rispetto ed alla nostra riconoscenza per essersi annientato per l’amore che ci portava?

Fortuna nostra di poterlo visitare.

Chi non avrebbe desiderato d’essere stato nel novero dei suoi discepoli, di quelli che ebbero la fortuna di contemplare il Signore durante la sua vita mortale? Ah! se noi avessimo la fede più viva, non ci preoccuperemmo per questo, , poiché conosciamo benissimo che volendolo abbiamo la fortuna di di poterlo visitare, di intrattenerci con lui, stare ai suoi piedi, nelle nostre chiese. Qualcuno dirà: essi lo vedevano personalmente, assistevano ai suoi discorsi. Ed io noto per noi ancor di più. Essi non vedevano che il corpo, e avrebbero potuto sbagliarsi nel crederlo Dio, noi ne siamo già assicurati dalla fede. Essi videro qualche miracolo, ma quasi nessuno ne vide tanti quanti ne sappiamo noi. Essi potevano toccarlo, baciargli i piedi, ma noi possiamo ben di più. Il sacerdote non solamente tocca, ma egli comanda di venire nelle sue mani ; ogni fedele non solo lo tocca colla sua lingua ma lo immedesima con sé nella santa comunione, o meglio Iddio ha la bontà di innalzare in quel momento infinitamente noi, immedesimandoci con lui. Molti pellegrini, dice Sant’Alfonso de’ Liguori, fanno dei grandi viaggi sia per visitare la casa di Loreto, dove Gesù Cristo ha passato parte della sua vita, sia per venerare i luoghi di Terra Santa dove Egli è nato, e dove sofferse, e dove è morto. Ma il Venerabile Giovanni d’Avila diceva con ragione, che egli non poteva trovare alcun santuario più amabile e più divoto che una chiesa dove si conserva il SS. Sacramento. Poiché questo non è solo un luogo ove nostro Signore visse una volta o sofferse, ma una dimora dove attualmente è presente e vivente. Così i santi in nessun luogo gustarono qui in terra fortuna più dolce che avanti al SS. Sacramento. Se Gesù riposasse in una sola chiesa del mondo, quanto fortunato si stimerebbe ognuno di poterlo visitare ed adorare almeno una volta in vita! Se la sua somma bontà l’ha ridotto a comunicarsi a noi in tutte le parti del mondo, saremo noi più ingrati per essere egli stato più liberale? Gli renderemo noi minor ossequio, perchè per puro suo amore si è reso a noi troppo familiare? Tale è la misera condizione della natura umana, depravata per il peccato, d’assuefarsi a tutto, e di giungere a stimar poco le cose più sacre, e a trattarle quasi con disprezzo ed irriverenza, perchè esse son troppo comuni. Purtroppo che anche nelle cose più gravi e sacre, ciò che diventa solito non impressiona. Ma un’anima spirituale ed illuminata deve procedere ben diversamente! E tu certamente vorrai essere di queste, e perciò farai tutto il tuo possibile per trovarti con frequenza alla presenza del tuo Gesù salvatore.

Fortuna speciale dei religiosi.

La fortuna di poter stare avanti al SS. Sacramento può senza dubbio essere provata da tutti i fedeli; ma nessuno è così vicino al tabernacolo quanto i religiosi, i quali ordinariamente vivono sotto il medesimo tetto con il divin Maestro. Per visitarlo essi non han che a fare pochi passi. Nelle altre chiese il Signore è là per tutto il popolo; ma nelle nostre è là solo per i nostri giovani e per noi. Se noi chiudessimo la casa, non ci sarebbe più ragione di tenere Gesù in sacramento. Ah!, esclama Sant’Alfonso, nelle case religiose i religiosi dovrebbero stare giorno e notte come altrettante amorose farfalle attorno a Gesù, ed il loro cuore dovrebbe abbruciare continuamente accanto a lui, meglio che i ceri e la lampada dell’altare. Ma disgraziatamente neppure i religiosi son sempre così ferventi, ed anch’essi alle volte abbandonano Gesù solo nel ciborio, senza darsi premura d’andare a visitarlo. Ed è appunto di questo che il Signore si lamentava con Santa Margherita Maria Alacoque: « Io non ricevo che ingratitudine e disprezzi in questo sacramento d’amore. E ciò che più mi affligge è che quelli mi vengono da cuori a me consacrati », cioè da religiosi. Oh! Che Gesù non abbia a lamentarsi di te! Per quanto l’ubbidienza te lo permette non lasciar mai solo Gesù, e fagli continuamente atti di grande amore.

Esempio di Don Beltrami.

Saremo noi ingrati perchè Dio è buono? Visitiamolo adunque con frequenza. Il nostro caro confratello Don Beltrami stava quasi tutto il giorno in un coretto in fondo del loggiato da cui poteva vedere il tabernacolo, e sebbene sempre gravemente ammalato, vi si teneva in adorazione gran parte del giorno e anche lunghe ore della notte, durante la quale con gran pena discendeva in chiesa e stava adorando il SS. Sacramento fino alla mezzanotte. E durante queste lunghe ore, che egli trovava brevissime, che faceva egli mai? Adorava il caro Gesù colà nascosto, lo glorificava, gli effondeva atti di amore. Poi lo ringraziava dei benefizi, specie per quello della redenzione, d’averlo fatto sacerdote e salesiano; e cercava di fare atti di espiazione pei peccati suoi e pei peccati di tutto il mondo. Quindi passava a domandar grazie, domandava di poter soffrire di più; nè guarire, nè morire, ma vivere per patire. Poi pregava per la nostra pia società e per ciascun socio in particolare, partendo dai superiori venendo ai missionari, poi alle case di noviziato e studentato, poi a ciascuno dei collegi. Veniva quindi alle sue grandi divozioni, pregando pei peccatori, pei moribondi, per le anime del purgatorio e passavano alle volte quattro, sei, otto ore, ed egli appena se ne accorgeva. Oh! se anche noi avessimo un po’ di fede, non ci annoieremmo avanti a Gesù in Sacramento!

Ossequi da prestare nelle visite a Gesù Sacramentato.

Pertanto anche tu trovati tutte le volte che puoi, e sta’ tutto il tempo che ti è permesso avanti al SS. Sacramento. Sappi adorarlo, glorificarlo ed esprimergli i dovuti atti di a- more, non solo per te, ma ancora per i cattivi cristiani che non lo amano, per gli eretici che non lo glorificano, pei pagani che non lo adorano. Sappi inoltre ringraziarlo dei benefizi fatti a te, specialmente coll’averti chiamato allo stato religioso, coll’esser venuto tante volte nel tuo cuore dopo d’averti tante volte perdonato i peccati. E poi ringrazialo anche per quelli che non lo ringraziano, specialmente per il benefizio dei benefizi, la redenzione, per essersi cioè degnato di venire in persona su questa terra ad incarnarsi, d’averci insegnato la via del cielo, e poi con la sua dolorosissima passione e morte avere aperto a tutti le porte del paradiso e chiuse quelle dell’inferno. Dopo d’aver considerata tanta bontà passa a considerare l’ingratitudine degli uomini, la maggior parte dei quali non vuol riconoscerlo neppur come Dio e Redentore, mentre tanti che lo riconoscono come tale non lo amano, nè lo servono, anzi brutalmente l’offendono. Cerca tu di espiare questi peccati degli uomini, di risarcir Gesù per quanto sai e puoi. Passa quindi a considerare i tuoi peccati coi quali l’hai tanto offeso pel passato, e poi la freddezza nell’amarlo, l’indifferenza, la tiepidezza presente e la poca corrispondenza, e struggiti di dolore nel pensare a quell’infinità bontà che volle non solo redimerti ma stare continuamente con te su questa terra, e alla tua ingratitudine a non tenere che in pochissimo conto questa infinita degnazione.

Domandare grazie.

Mettiti in seguito a domandar grazie. Domandane senza timore: domandane per la Chiesa, pel Papa, pei vescovi, pei sacerdoti e pei religiosi di tutto il mondo. Domandane per la conversione degli infedeli, degli eretici e dei peccatori. Domandane per la pia società, pei superiori, pei confratelli, compagni e giovani di tutte le nostre case. Domanda grazie pei cooperatori nostri, pei benefattori, per le Figlie di Maria Ausiliatrice; domandane, chè ti è permesso, per la tua famiglia, parenti, amici e benefattori. E poi, più che tutto, vieni a te in particolare: domanda grazie pure pel corpo, domandane anche per gli stufi. Ma tutto il tuo più grande impegno sia rivolto all’anima. Domandagli la perseveranza nella vocazione, la grazia di non aver mai più in tua vita da fare neppure un peccato, domandagli molto perdono dei peccati già commessi, la grazia di vincere ogni tentazione, di poter superare le prove difficili che ti possono attendere; quella di vincerti del tuo carattere cattivo, dei tuoi difetti dominanti; quella di poter riuscire a far del gran bene, a salvare molte anime. Domandagli pure, se lo vuoi, la grazia di poterti fare missionario, di poter morir martire, almeno martire di sacrificio e di lavoro. Ma bada che queste non siano domande vaghe e superficiali, bensì mentre domandi proponi pure di fare sforzi seri per corrispondere alla divina grazia. Prometti d’essere pronto ai sacrifizi, al rinnegamento completo di quanto piace a te, per far sempre ciò che piace di più al Signore; d’essere mortificato davvero, pronto alle umiliazioni, alle persecuzioni, a tutto. Termina poi cercando di conoscere bene che, non ostante queste tue promesse, non ne sarà nulla se il Signore con un colpo di grazia ben grande non ti aiuta in modo straordinario. Perciò pregalo che ti aiuti, che ti getti nelle circostanze, che ti fortifichi, e quasi ti costringa malgrado la tua ripugnanza; ma che ti faccia santo davvero, anche contro tutte le tue ritrosìe, debolezze e riluttanze.

Così saranno belle le visite.

Oh se farai così, son persuaso che anche per te passeranno veloci le ore avanti al SS. Sacramento! Son persuaso che verrai a desiderare con tutte le tue forze quei giorni in cui si fa la esposizione del SS. Sacramento, nei quali si permette di passar l’ora in adorazione. Verrai a desiderare quell’ora di adorazione che qualche volta si concede dal giovedì al venerdì specie al primo venerdì del mese. Desidererai quei giorni del carnevale o di preghiere speciali, in cui si permette di passar qualche ora avanti al Santissimo; e se per qualche motivo, come di mezza malattia o di vacanza, ti troverai libero da scuole o da studi, non ti annoierai e saprai trovare le tue delizie nello stare avanti al SS. Sacramento.

Visita a Gesù nelle prove e nelle pene.

L’importante, secondo che ci diceva Don Bosco, è di non tralasciare le visite proposteci, nei tempi di aridità o di freddezza. Anzi in quei tempi le visite andrebbero aumentate! Ed esse dovrebbero aumentarsi nei giorni rii afflizione, di scoraggiamento, quando uno si crede perseguitato o venisse umiliato, nei giorni di malinconia o di maggiori tentazioni. Oh sì! allora il tuo rifugio sia il Cuore Sacratissimo di Gesù, che palpita d’amore per te nel SS. Sacramento. A nessun costo lascia le visite; anzi moltiplicale e allungale, ed io te ne assicuro vittoria e profitto. Invece dovrei profetarti cadute e regresso, se in quei giorni più difficili ti allontanassi da Gesù o rallentassi dallo stare al suo cospetto. In siffatti momenti disgraziati e più difficili, fa’ violenza a te stesso e vinci la tentazione del demonio, perchè Dio sarà sempre contento che ci presentiamo davanti a lui ancorché non facessimo altro che portargli i nostri corpi, perchè allora anche i cuori sarebbero meglio disposti, essendo questo atto certamente un argomento della viva fede che gli professiamo.

Conclusione.

Concludendo pertanto ti esorto a fare quante visite ti è permesso al SS. Sacramento. Falle pure anche brevi, ma moltiplicale quanto puoi. E col desiderio tuo lascia e giorno e notte il tuo cuore avanti a Gesù, affinchè arda qual lampada avanti a lui, e per lui si consumi. L’esperienza mi ha fatto vedere il gran profitto e notabile progresso nelle virtù, che ricavasi da queste frequenti visite, in quelli che si affezionano alle medesime. Animati a praticare questo commendabile esercizio, col pensiero che Gesù sta nel santo tabernacolo apposta per te, per l’amore che ti porta.

È quindi troppo giusto e ragionevole che lo visitiamo e gli rendiamo insieme il dovuto omaggio. Gli angeli ce ne porgono esempio, perchè sempre lo assistono, ancorché non stia quivi per essi, bensì per noi. E come biasimiamo gli ebrei per non aver riconosciuto, accolto e venerato il Redentore mentre trattenevasi visibilmente con loro, così procura che non possano poi applicare a te il medesimo rimprovero, che cioè abitando nel medesimo luogo ove Gesù Cristo fa la sua residenza, non ti presentassi avanti a lui per tributargli il tuo più riverente ossequio.

Considera in ultimo che visitare Gesù è veramente incominciare il nostro paradiso in terra, il goder Dio nel SS. Sacramento come i santi lo godono in cielo. Esser con Gesù è un dolce paradiso, esclama San Bernardo. E siccome i beati si pascono e si rallegrano della vista di Dio, così noi dobbiamo qui in terra collocare tutta la nostra felicità in contemplare nostro Signore nel SS. Sacramento. Chi sarà dunque che s’infastidisca o si disgusti d’un esercizio che lo deve condurre eternamente al cielo?

Capo XII DELLA MEDITAZIONE

Che cosa è in generale.

La parola meditazione, presa nel suo senso più vasto, è la considerazione attenta di qualche verità, a fine di comprenderla bene e penetrarle dentro quanto più possibile. È una premurosa investigazione d’una verità occulta. Così medita il filosofo, medita il matematico, medita anche il negoziante per conoscere a qual punto sono i suoi interessi. Noi però diamo alla meditazione un significato più speciale. Noi consideriamo solo le verità spettanti alla fede ed alla morale cristiana. Nè ciò col solo scopo di capirle, come può fare il teologo; ma con lo scopo di muovere la volontà ad atti ed affetti di ossequio, di amore, di desiderio fermo di renderci migliori.

Sua efficacia.

Per comprender bene l’efficacia della meditazione è da considerare che la volontà è guidata nei suoi atti dall’intelletto. Se questo le presenta una cosa amabile, essa l’ama; se come degna di odio, l’aborre. Le verità cristiane hanno certo la forza di muovere la volontà ad odiare il peccato, ed amare la virtù. La considerazione della caducità delle cose umane, delle pene e dei giudizi futuri, dell’infinita bontà di Dio e d’altre verità, sono al certo opportune a distaccare un’anima dalle cose del mondo, e muoverla ad amare Iddio, ad essere tutta di Lui e pronta ad ogni cosa del suo servizio. Ma questa forza la volontà non la sente finché non le sia applicata. Il fuoco ha la forza di bruciare, ma non brucia ciò che non gli si avvicina. La luce del sole ha la forza d’illuminare gli oggetti; ma se tu chiudi gli occhi non li vedi. Or come si fa questa applicazione delle verità eterne a noi? Colla meditazione.

Che cosa è l’orazione mentale.

La meditazione pertanto, ossia, come ordinariamente anche si dice, l’orazione mentale, non è altro che un’elevazione, ed insieme una applicazione della nostra mente e del nostro cuore a Dio, per mezzo di una seria considerazione delle verità eterne. Si può anche chiamare un trattenimento interiore ed un seguito di buoni pensieri e santi affetti, su qualche materia da cui l’anima desidera ricavare la sua edificazione. Essa è un discorso spirituale con cui noi veniamo a conoscere, e confidentemente scopriamo a Dio le piaghe e le pene del nostro cuore, le nostre male inclinazioni, e generalmente tutti i nostri bisogni ed infermità, supplicando umilissimamente la sua bontà di compassionare tutte le nostre debolezze, riceverci nella sua amicizia, e farci la grazia di non perderla mai più, sulla risoluzione che prendiamo di mutar vita e riformare i nostri costumi. Santa Rosa da Lima chiamava la meditazione una farmacia spirituale, dove si trovano i rimedi per far guarire tutte le malattie dell’anima.

Suo compito.

L’orazione mentale, dice San Bernardo, avvisa, insegna ed eccita: avvisa la memoria, ammaestra l’intelletto, ed eccita la volontà, istruendo, suggerendo, commovendo. Agisce cioè sulla memoria, sull’intelletto e sulla volontà. Agisce sulla memoria facendoci tener sempre avanti agli occhi i nostri peccati, i patimenti del Signore, e gli altri misteri della nostra santa religione. Agisce sull’intelletto istruendoci sul modo che abbiamo a tenere per conformare la nostra vita alla volontà eterna di Dio. Agisce sulla volontà facendoci prendere quelle forti risoluzioni che fan rompere ogni laccio del demonio che ci terrebbero attaccati al mondo, ed ogni vincolo di concupiscenza che cercasse tenerci attaccati alle ricchezze ed ai piaceri. San Bernardo ancora ci addita la diversità che vi è tra la meditazione e la preghiera. La meditazione, dice nel sermone primo su Sant’Andrea, insegna ciò che manca all’anima, la preghiera fa sì che non manchi; la meditazione insegna la via, la preghiera ci ottiene la forza a camminare costantemente per questa via. È pel suo agire sulla memoria, sull’intelletto e sulla volontà, che la meditazione vien anche detta l’esercizio delle tre potenze.

Paragone di David e lamento di Geremia.

Com’è bella la campagna allorquando le piogge nei tempi opportuni ne irrigano le terre! Come cresce fiorente quell’albero che è piantato presso qualche corrente d’acqua! L’occhio si ricrea alla semplice vista di quella campagna, e sotto l’ombra di quell’albero lo stanco pellegrino può nel più cocente estate riposare sicuro le affaticate sue membra. E, quel che è più, quella campagna e quell’albero daranno a tempo opportuno abbondante raccolto. Così è dell’anima nostra quando noi facciamo la meditazione. Il paragone è del real profeta Davide, il quale nel suo primo salmo ci dice appunto: « Beato l’uomo che medita giorno e notte la legge del Signore. Egli sarà come l’albero piantato lungo il decorso delle acque, che a suo tempo darà frutto ». Mentre per contro il profeta Geremia, vedendo tanti mali sulla terra ai suoi tempi, vedendo che quasi più non vi era idea di giustizia e di onestà, andava cercando le ragioni di ciò; e non seppe trovare altra causa, se non questa, che non si meditava più. « Se di gran desolazione è desolata la terra, andava esclamando il santo profeta, è per questo: nessuno medita di cuore». Il continuo strepito delle cose mondane fa sì che non si possa più dagli uomini udire la voce di Dio. Non si medita e perciò non si fa il bene, non si medita e perciò si fa il male.

Necessità della meditazione: 1) per evitare il peccato.

È per questo che il santo concilio di Trento, vuole che i parroci esortino i fedeli a non passar giorno senza meditare qualche mistero della passione di nostro Signor Gesù Cristo. Poiché, soggiunge, il motivo per cui si cade così presto nei peccati, anche al primo attacco della tentazione, è perchè non si ha cura di eccitare in noi il fuoco dell’amor divino con la meditazione delle cose celesti. Lo Spirito Santo poi ci avvisa e ci rassicura, che se ricordiamo bene i nostri ultimi fini non peccheremo in eterno. Invece senza la meditazione il Signore può ben stare, come sta, a battere alla porta dei nostri cuori; ma tanto resta sempre il frastuono delle faccende, degli affari, che la voce del Signore non si può più udire, la voce della coscienza non può più farsi strada.

Ci dicono i santi, e specialmente ce lo conferma Sant’Alfonso: meditazione e peccato non possono stare assieme. Il peccato, ci dice questo santo, può stare con le preghiere vocali, anche coi digiuni e colle penitenze, e persino con la frequenza ai sacramenti; ma non può stare con la meditazione. O che non si medita, o meditando il peccatore si converte, e il giusto si avanza per le vie della perfezione. Come farà il peccato chi si pone sull’orlo dell’inferno e vi guarda bene addentro, e considera che peccando vi può precipitare da un momento all’altro? Come farà il peccato, chi si pone bene a .considerare il crocifisso, e riflette che tutto quel mare di patimenti fu prodotto dai nostri peccati, e che il Signore volle soffrire tanto per liberarcene? È in vista del gran bene che la meditazione produce che il demonio fa tanti sforzi per non lasciarcela fare.

 2)Per progredire nella virtù.

Non solo la meditazione è necessaria per tenerci lontani dai peccati, ma specialmente è necessaria per far progredire le anime nella virtù e nella via della perfezione. Fuggiva il patriarca Giacobbe la collera vendicatrice di Esaù, quando, pervenuto in una vasta pianura, si soffermò al sopravvenire della notte in mezzo a quell’erboso terreno, e, stanco del lungo viaggio, si abbandonò ad un sonno placido e tranquillo. Nel più bello del sonno ecco apparirgli una visione misteriosa. Egli vide una scala lunghissima, che ferme avendo le basi sopra la terra poggiava colla sommità al più alto dei cieli. Mille bellissimi angeli scendevano e salivano per essa, mentre Iddio dalla cima della scala fissava amorosamente gli occhi sopra il maravigliato Giacobbe, e tra le altre cose gli promise di benedire in lui, e nella sua discendenza, tutte le nazioni dell’universo. Ecco un’immagine assai viva della meditazione. Essa è una scala che parte dalla terra dei nostri cuori, e tocca fino al cielo. Essa ci distacca dall’amore delle misere cose di questa bassa terra, ed invogliandoci delle celesti solleva i nostri pensieri, le nostre brame ed i nostri affetti alla patria beata del cielo. Quelli che scendono e salgono per quei misteriosi gradini hanno il volto di angeli, poiché coloro che meditano seriamente, partecipano tutti in qualche maniera della natura angelica: colla purità d’intenzione, colla santità delle opere, coll’amore celeste di cui ardono in cuore. Iddio sta alla sommità della scala; e questo dimostra la provvidenza specialissima che egli nutre per queste anime buone, e la premura che si prende di guidarle sicure pei sentieri pericolosi di questa vita, e come per ultimo le accolga tra le sue braccia in paradiso. Oh dunque quanto è mai nobile, preziosa, utile l’orazione mentale, per chi vuol battere il sentiero della perfezione! L’anima nostra non si trova estremamente bisognosa? Perchè è arida? perchè non ha virtù? perchè ha tante imperfezioni? Perchè non medita in se stessa. Adunque come fare per rimettere in noi il fervore? Ce lo dice di nuovo Davide nei suoi salmi: Con la mia meditazione il fuoco del divino amore si accenderà. Meditando non si pecca più: meditando si riaccende il fervore. Dobbiamo perciò fare sempre la nostra meditazione, e dobbiamo farla bene. Gesù ce ne diede l’esempio: passava le notti in orazione. Tutti quelli che vollero farsi santi lo imitarono e vi riuscirono; mentre invece nessuno riuscì alla santità senza questo potentissimo mezzo. Questa verità è incontestabile. I più grandi santi si può dire non facessero altro che meditare: essi, anche nelle loro grandi e normali occupazioni, tenevano sempre la mente fissa in Dio. Sant’Antonio al comparire del sole mattutino dolcemente si lamentava con lui, perchè veniva a disturbare le care meditazioni che aveva fatto per tutta la notte. San Francesco d’Assisi si ritirava settimane intiere senza mai parlare con nessuno e senza veder nessuno: solo meditava. San´Ignazio di Loyola faceva lo stesso: ciò che compì la sua conversione e che lo innalzò a tanto grado di santità, fu la meditazione. Ma anche i santi più operativi, San Bernardo, San Domenico, San Filippo Neri, San Vincenzo de’ Paoli, San Francesco di Sales, che tanto operarono per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime, si può dire che erano in continua meditazione.

3)È necessaria ad istruire ed a guidare le anime.

La meditazione è poi indispensabile per chi ha da istruire altri nella santa legge di Dio, e da guidare le anime nelle vie del Signore. A quel modo che il mondo materiale ha un doppio aspetto, l’uno pel volgo e l’altro pel naturalista; come un libro veste differente aspetto per chi lo capisce e per chi non lo intende, così avviene per la santa legge di Dio. Per conoscere le cose divine,

penetrarne il midollo, mostrarci ripieni dello Spirito Santo, è di tutta necessità la meditazione. « Avvicinatevi e sarete illuminati ». Come potresti capire il beato Sebastiano Val- fré che si chiamava di tutto cuore gran peccatore, e che confessandosi tutti i giorni, si accusava di aver commessi molti peccati e delitti? Chi comprenderà Santa Teresa, se non si è uomini di molta meditazione, se non si comprende fino al fondo il cuore umano? E noi saremo poi destinati a dirigere anime, e perciò siamo obbligati a prepararci con sode e quotidiane meditazioni. Secondo le nostre costituzioni noi dobbiamo lavorare molto a pro dei giovani e del prossimo; dobbiamo pertanto accenderci d’un grande zelo per la salute delle anime. Ma per lavorare utilmente alla santificazione degli altri, bisogna applicarsi bene alla meditazione. Infatti la nostra vita sempre a contatto col mondo riesce più difficile a mantenerci nel fervore, e ci espone a molti maggiori pericoli, che non siano esposti coloro i quali appartengono ad Ordini che non hanno per iscopo l’occuparsi dei giovani. E poiché bisogna riempirsi meglio dello spirito di pura e viva luce, se si vogliono illuminare gli altri, così si deve riempire il cuore di sempre maggior fuoco se si vuol riuscire ad infiammare gli altri. Nella meditazione poi si comprenderà meglio che la buona riuscita di un giovane o la conversione d’un peccatore dipende più dal buon esempio, dall’unzione delle nostre parole e specialmente dalla grazia di Dio che non dai nostri sforzi materiali.

4) Necessità di meditare per un religioso.

La necessità della meditazione è molto maggiore in un religioso, che deve non solo fuggire il peccato osservando i comandamenti, ma anche tendere alla perfezione praticando i consigli, cosa assai più ardua, tenuto conto che il religioso è anch’egli impastato di fango, e dalle passioni pur lui trascinato verso terra ed all’amore dei beni sensibili. Senza la meditazione non si viene nemmeno a capire che cosa sia perfezione, parlando in modo pratico; mentre invece non può essere che uno, il quale mediti bene, non s’invogli di tendere con ardore alla medesima. San Tommaso dice che la prontezza della volontà ad eseguir sempre tutto ciò che piace a Dio, nel che consiste la perfezione cristiana, oltreché dalla grazia di Dio nasce dalla meditazione. « Poiché, dice, la meditazione delle proprie miserie da una parte e delle divine perfezioni e benefizi dall’altra, fa l’anima umilmente soggetta a Dio, e pronta, per la sua infinita bontà e per gratitudine ai benefizi di lui, a darsi tutta al suo servizio ». Il Caietano, commentando questa dottrina dell’Angelico, soggiunge che la meditazione deve essere quotidiana nel religioso; nè merita il nome di religioso colui, che almeno una volta al giorno non vi si esercita. E soggiunge ancora che come non si dà effetto senza causa e non si ottiene il fine senza i mezzi, così non si vive da religioso senza l’uso della meditazione. Il religioso non può contentarsi d’una vita esteriormente regolata; ma la nostra ha da essere vita interiore. Sono da regolarsi i nostri giudizi basandoli sui giudizi di Dio, stimando ciò che Iddio stima e tenendo in poco conto quello che Dio non stima. Sono da regolare i nostri affetti amando Dio e ciò che Iddio ama. Ora in questa vita interiore chi ci è maestro? Lo Spirito Santo. Nella scuola della perfezione noi siamo discepoli dello Spirito Santo: quello che impariamo l’impariamo da lui, e ciò che egli non c’insegna non lo possiamo sapere in nessun modo. Or come e quando mai lo Spirito Santo ci fa scuola? In nessun altro tempo più che in quello della meditazione. Il religioso che non medita, è uno scolaro ignorante che trascura di andare a scuola. Quindi Santa Teresa diceva, che il tralasciare la meditazione è chiudere la porta per la quale ci vengono i lumi e le grazie dello Spirito Santo. Ecco perchè i santi stimavano tanto, e praticavano così assiduamente questo esercizio. Il dottissimo Suarez si dichiarava pronto a rinunziare a tutte le sue cognizioni filosofiche e teologiche, acquistate con lunghi e faticosi studi, prima che perder il frutto di un quarto d´ora di orazione mentale. Sant´Alfonso sotto un certo aspetto stimava la meditazione più ancora che la comunione. Gli eremiti del deserto non si comunicavano con frequenza perchè non potevano; ma meditavano del continuo e si facevano santi e gran santi.

5) Necessità della meditazione alla santità.

Il religioso deve santificarsi. Ora il santificarsi consiste nel ritrarre in se stesso l’immagine di Gesù Cristo. Questo lavoro si eseguisce mirando spesso il modello e la copia, e confrontandoli. Questo confronto si fa appunto nella meditazione, la quale ci mette innanzi quel che dovremmo essere per assomigliare a Gesù Cristo, e quel che realmente siamo, e, come lo specchio, ci fa conoscere le macchie o brutture che deturpano il volto. D’altra parte il religioso sa quali potenti nemici lo circondano e lo assediano: fuori il demonio ed il mondo, entro la concupiscenza e l’amor proprio; nemici astutissimi, che con infinite frodi cercano ingannarlo e farlo cadere. Importa assai lo scoprirne le mosse ed i raggiri. La meditazione ci fa appunto conoscere i disegni del nostro avversario ed i lacci che ci tende. Chi non medita è simile a quel sovrano, che assediato dal di fuori ed insidiato dal di dentro, se ne stesse tranquillo in ozio, senza prendere le debite precauzioni.

Noi religiosi specialmente siamo obbligati a fuggire il peccato, a correggere i nostri difetti, ad aver fede, speranza, carità, timor di Dio, zelo del prossimo. Ebbene, è per mezzo della meditazione che queste cose si ottengono. E se tra i religiosi medesimi vi sono dei tiepidi, è da ascrivere a questo, che non fan bene la meditazione. Infatti meditazione e vera tiepidezza non possono stare insieme, essendo che in meditatione mea exardescet ignis. San Bonaventura ci dice che la meditazione è come uno specchio, in cui l’anima vede i suoi difetti e cerca di farli scomparire. Inoltre, soggiunge ancora questo santo, per praticare le virtù è necessario conoscerle. Non è con gli occhi del corpo, nè alla luce materiale del sole che esse si conoscono; ma con lo sguardo penetrante dell’anima, ed alla luce divina, il che si fa solo con la meditazione. Sì, l’orazione mentale è una lampada; ma questo non basta, poiché dopo d’avere conosciute queste virtù è ancora necessaria la grazia e la forza di praticarle, ed è la preghiera che ci ottiene questa grazia e questa forza. Chi non medita, non sente bisogno della preghiera, e la pratica delle virtù riesce per lui impossibile. San Giovanni Crisostomo dice che l’orazione è una fontana posta in mezzo ad un giardino: essa spande dappertutto la freschezza, e fa sbocciare i fiori di tutte le virtù. Un giardino non irrigato inaridisce. Sant’Agostino ci dice che l’uomo è stato creato da Dio per conoscerlo, amarlo conoscendolo, e per quietarsi in lui con perfetto amore. E questo è quanto fa la meditazione. La meditazione, abbiamo detto, è il gran mezzo per giungere alla perfezione. La perfezione consiste nel perfetto amor di Dio; ma questo grande amor di Dio quando e dove si accende? Nella meditazione. Onde dice il nostro San Francesco di Sales, che la meditazione è moralmente indispensabile per arrivare alla perfezione, essendo che è essa che rischiara l’intelligenza per mezzo di un lume divino, come è essa che spinge la nostra volontà all’amore del Signore. San Luigi Gonzaga diceva che senza molta orazione mentale non si arriverebbe mai ad un eminente grado di virtù. I profumieri conservano il profumo della profumeria anche dopo finito il loro lavoro, e l’anima che vive con nostro Signore nella meditazione, spande attorno a sè il buon odore di Gesù Cristo anche quando non è più in preghiera. Siamo il buon odore di Cristo, dice San Paolo. E siccome il ferro gettato nel fuoco lascia le sue proprietà naturali e prende le qualità del fuoco, così colui che occupa frequentemente il suo spirito nelle cose di Dio, perde a poco a poco i sentimenti, le inclinazioni e le debolezze della natura corrotta, e riceve sentimenti e qualità tutte divine. Per questo i santi fecero della loro vita una continua meditazione. Tu pertanto ritieni quell’ammaestramento di San Francesco d’Assisi: «La grazia che maggiormente deve desiderarsi da un religioso deve essere lo spirito di orazione (meditazione), perchè s’egli avrà questo dono potrà promettersi d’arrivare alla perfezione. Se esso invece non potrà acquistarlo, si condanna per forza ad indietreggiare ogni giorno invece di progredire >. È adunque questa la pratica di pietà attorno a cui devi fare i tuoi più grandi sforzi. Da tutto ciò che si disse sopra, si può conchiudere che la vera differenza tra il religioso che vive santamente ed il religioso mortificato è, che l’uno fa bene la meditazione, e l’altro no, poiché, come dice Sant’Agostino, saprà viver bene colui che saprà pregar bene . E molti dànno gran numero di precetti per la perfezione; ma credo che in pratica l’assidua meditazione sia il precetto più importante. Aveva perciò ben ragione San Filippo Neri, affermando che un religioso senza meditazione è un religioso senza ragione; e Sant’Alfonso de’ Liguori che un religioso che non fa meditazione non è più un religioso ma un cadavere di religioso.

Ciò che ne dice San Bonaventura.

San Bonaventura, nello Specchio della disciplina, rivolgendosi ai novizi dà loro questi ammaestramenti: «Debbono i novizi esser solleciti e ferventi nell’orazione mentale; non solamente quando si trovano nell’atto di farla nelle solite ore a loro determinate, ma devono anche meditare in ogni luogo e tempo. Essi sono il tempio di Dio; e perciò in ogni circostanza, o coricati per riposare, o mangiando o lavorando, debbono nel loro interno, senza proferire parole articolate, pregare il Signore con puro cuore, perchè l’orazione tanto più è sicura e fruttuosa quanto più è secreta ed intrinseca. E come se facessero una esortazione o conferenza a se stessi devono quotidianamente esaminarsi, e tra se stessi ricercare in quali cose facciano profitto e in quali manchino al debito loro. E così devono rendere quotidianamente grazie a Dio con tutta la divozione della mente loro per il benefìzio ricevuto della vocazione, e per tutti gli altri benefizi da lui, Salvator nostro, ricevuti. E fa anche bisogno che con instantissime suppliche lo preghino, affinchè egli si degni di finire in loro quel bene che hanno incominciato. Quanto più l’uomo conosce se stesso e considera lo stato suo interiore, tanto più viene a pregar bene. È dunque cosa necessaria che, se noi vogliamo utilmente star uniti a Dio, esercitiamo l’animo nostro nella meditazione e nella considerazione della nostra miseria, impariamo che cosa ci faccia bisogno di domandare a Dio. E nel meditare la misericordia di Dio, bisogna che impariamo con qual desiderio, confidenza ed umiltà dobbiamo domandare. Giacché con queste due ali, cioè con la considerazione della miseria dell’uomo, e con quella della misericordia di Dio Redentor nostro si solleva e ingagliardisce l’orazione.

Ciò che ne dicono i santi fondatori e le nostre regole.

Essendo la meditazione il gran mezzo per correggersi dei propri difetti ed arrivare alla perfezione, non credo vi sia ordine religioso o congregazione che non abbia nelle sue regole un articolo che la prescrive. Anzi in molti è stabilita mattino e sera, e per un’ora. Il serafico dottor San Bonaventura dice: « Guai a quelle religioni che trascurano la meditazione! Con tal omissione in esse si introdurrebbe la nausea della divozione, e si darebbe l’adito alle imperfezioni, e si aprirebbe la via al precipizio»[390]. Sant’Agostino dice che la meditazione è il principio del ben operare[391]. Nei salmi poi Davide ci dice che perisce l’anima che non fa meditazione[392]. Le nostre costituzioni non n e stabiliscono che mezz’ora al giorno, ma richiedono che questa mezz’ora vi sia sempre, e non sia diminuita, dicendoci che: «ciascuno, oltre le orazioni vocali, farà ogni giorno non meno di mezz’ora di orazione mentale ». Pertanto è di massima importanza che tu ti persuada essere questa la molla della vita religiosa, affinchè non abbia mai da avvenire, in tutto il tempo della tua vita, che per leggeri motivi l’abbia a tralasciare o l’abbia a fare con diffidenza.

Quanto la meditazione sia osteggiata dal demonio.

È veramente cosa degna di stupore il vedere, che l’esercizio della meditazione, mezzo tanto eccellente e necessario, sia nondimeno sì poco amato e sì poco da molti fedelmente praticato, anche da religiosi, e che si diano vari, i quali vi provano una grandissima ripugnanza. Ma lo stupore prende a dileguarsi quando si consideri essere il demonio che osteggia grandemente questa pratica, come quella che è per lui tanto dannosa. Egli fa certamente ogni sforzo per impedirla; affinchè, otturato questo fonte, l’anima nostra resti in secco, senza forza e senza resistenza alle proprie tentazioni. Egli sa che nell’inferno non v´è nessuno che sia stato assiduo a fare la meditazione; mentre invece vede che tutti quei che vi sono, vi andarono perchè non meditavano. Vedendo ciò non ci stupirà più se l’abate Agatone ebbe a dire, non esservi maggior travaglio pel religioso di quello che talora prova in far meditazione; poiché i demoni sapendo molto bene non esser potenti contro quelli che vi si applicano davvero, suscitano contro di essi tanti disturbi che è maraviglia se non l’abbandonano. Onde tu conoscendo bene la fonte della noia o ripugnanza che possono venirti, cioè che ha origine dal demonio, sta’ in guardia, e quanto più esso tenta di vincerti, tanto più veglia su di te affinchè non giunga mai a sopraffarti.

Meditazione privata o senza libro.

Noi siamo soliti fare la meditazione col libro in comune; però può anche capitarti di non poterla fare con gli altri. Allora sta’ attento a non dimenticare quest’atto così importante. Se hai il libro puoi farla da te, servendoti di quello nello stesso modo come la fai le altre volte in comune. Ma se ti trovi in viaggio o in casa altrui, o anche da solo senza comodità di libro, oppure anche se per qualche impossibilità, come se per mal d’occhi, o per essere all’oscuro non potessi servirtene, non lasciare ugualmente di fare la meditazione. Vi sono molti modi e molto facili per cui potrai certamente riuscirvi. Io te ne indico qui alcuni. Si può prendere utilmente per soggetto della meditazione la formula d’una preghiera che si sa a memoria, per esempio il Pater, l’Ave Maria, gli atti di Fede. In tal caso si recita una di queste preghiere, fermandosi qualche tratto su ogni parola a riflettere, per penetrarne il senso e nutrirne l’anima. Facendo così ti passa la mezz’ora di meditazione, anche col solo scorrere il Pater noster. I comandamenti di Dio e della Chiesa possono anche fornirti soggetto di meditazione molto pratica. Si fan passare uno ad uno i comandamenti, si riflette con ponderazione che cosa proibiscono e che cosa comandano: intanto si esamina in che modo li osserviamo noi; si domanda perdono delle nostre infedeltà nell’osservare la santa legge del Signore; si fan seri propositi su ciascuno. Si possono far passare i setti vizi capitali e vedere i danni che ci recano uno per uno, e prendere i mezzi per reprimerli. Altro metodo ben semplice e adatto è far passare i misteri del rosario, fermandosi a meditare su ciascuno. Potresti persino far benissimo la tua meditazione guardando la campagna, i fiori, i frutti; innalzando lo sguardo al cielo stellato, ecc., riflettendo a lungo sulla potenza, sapienza, bontà di Dio; sulla corrispondenza e gratitudine che gli dobbiamo e via via. Altro modo ben salutare consiste nel percorrere in spirito le cinque piaghe del Signore. Uno si mette ai piedi del crocifìsso con la Maddalena, e con lei si raccolgono le gocce di sangue che stillano dal corpo scarnificato di Gesù. Si abbracciano i suoi piedi e si chiede perdono dei passi colpevoli che si son fatti andando in compagnie o luoghi pericolosi, o fuggendo dalla chiesa o dall’ubbidienza. Si baciano le mani trafitte dai chiodi, si adorano e si domanda perdono di tutte le azioni colpevoli che si ebbe la disgrazia di fare, con esse, o col rubare, o col battere, o col servircene immodestamente. Si considera la corona di spine, e così ti ecciti al pentimento delle vanità, dei capricci, della superbia, ecc. Infine si entra per la piaga del costato in co- testo cuore adorabile e sempre aperto a noi, e vi si nasconde come in porto di salute: quivi erigeremo le nostre tende, perchè quivi si sta bene.

Frutti della meditazione.

I frutti che noi dobbiamo ricavare dalla meditazione sono i seguenti: riformare i costumi, allontanarsi dai peccati sebbene molto leggeri, fuggirne le occasioni ed ogni imperfezione, domar le passioni ed i sensi, mortificare le cattive inclinazioni, vincere le ripugnanze e difficoltà che s’incontrano nelle virtù, combattere valorosamente contro le tentazioni, avvezzarsi a sopportare molti travagli con allegrezza, animarsi ad adempiere prontamente la volontà di Dio dichiarata nella sua santa legge, e nei consigli evangelici, e nelle regole ed ordini dello stato ed ufficio in cui uno si trova, e nei consigli che dànno i superiori. Inoltre procurare l’accrescimento nelle virtù dei tre voti, povertà, castità, ubbidienza; nella carità, umiltà, pazienza nei travagli, ed amore alla croce, al dispregio ed alla macerazione della carne. E particolarmente ciascuno deve procurarsi le virtù che gli sono più utili, considerata la qualità dello stato suo: sia modestia, o castità, o fortezza, od altra delle teologali o morali. Quando pertanto tu ti esaminerai sulla meditazione fatta, dovrai notar bene se hai cavato alcuni di questi frutti nel modo suddetto; e se la ricerca ti dà un risultato negativo, procura e proponiti i mezzi pratici per riuscire nell’intento.

Stima ed amore alla meditazione.

Ti stia adunque sommamente a cuore la meditazione; abbine una grande stima. Non vi sia cosa da te maggiormente desiderata, poiché nulla meglio di essa può purgare il tuo intelletto dalle sue ignoranze, e il tuo cuore dai suoi affetti depravati. La meditazione mette il nostro intelletto nella chiarezza e luce divina, ed espone la nostra volontà al caldo del calore celestiale. La vostra parola, o mio Dio, esclama il real profeta, rischiara le tenebre della mia mente, e dirige i miei passi nel retto sentiero[393]. Si può ben dire che se la nostra vita è un viaggio al cielo, la meditazione è la via che vi conduce. Se la nostra vita è un faticoso cammino, la meditazione è quell’albero benefico sotto cui dobbiamo riposarci onde prendere ristoro e fortificarci. Coraggio: prendi amore a questo mezzo potentissimo di santificazione. Oh se potessi io oggi essere persuaso d’averti invogliato ad essa! Potessi esser persuaso di averti fatto penetrare nel cuore l’utilità che da essa deriva! Io mi sentirei tutto consolato per aver così posto nelle tue mani la chiave della perfezione. Taccia il Signore che sia così.

Capo XIII DEL MODO PRATICO PER FARE LA MEDITAZIONE

Fare il possibile.

Quando si ha buon volere si riesce sempre nella meditazione, perchè essa dipende più dall’ispirazione dello Spirito Santo che dalla nostra industria, e lo Spirito Santo è sempre con chi fa quel che può. Tuttavia, perchè la volontà sia veramente buona, si richiede che l’individuo faccia davvero quanto può da parte sua, perchè il Signore vuole che noi prendiamo i mezzi convenienti per riuscire ad un’impresa sì eccellente ed utile. Chi pertanto vuol riuscire a far bene la meditazione deve cercar di conoscere il miglior modo possibile per farla bene. Io qui cercherò di spiegarti il metodo che si suole tenere da noi, che non possiamo consacrare gran tempo alla meditazione, avendo sempre da stare coi giovani, da attendere ad altre cose relative alla nostra vita molto operativa in bene delle anime. Esso è basato su quanto c’insegna nelle ammirabili sue opere il nostro titolare, il gran dottore di santa Chiesa, San Francesco di Sales, e su quanto c’insegnano Sant’Ignazio, Sant’Alfonso e gli altri autori più accreditati in materia.

Le tre parti della meditazione: 1) Preparazione.

 Nell’orazione mentale si possono considerare tre parti: la preparazione, la meditazione propriamente detta ossia i punti della meditazione, e la conclusione ossia ringraziamento. La preparazione è necessaria. Gesù medesimo ce l’ha inculcata facendoci dire nel Vangelo: Prima dell’orazione prepara l’anima tua. Ciò viene a significare che, essendo la meditazione quasi una conversazione che l’anima fa con Dio, non va bene che l’uomo vi s’accosti sbadatamente, senza aver prima raccolti i suoi pensieri e richiamata l’attenzione alla somma riverenza con cui si deve trattare con Dio. San Bernardo stima tanto necessaria questa preparazione, che da essa fa dipendere l’esito dell’orazione, dicendo: « Come tu andrai preparato a Dio, così Iddio apparirà a te nella tua orazione ».

Preparazione remota.

La preparazione è remota e prossima. Quanto alla preparazione remota, oltre al viver bene, come deve uno che è ammesso a conversare con Dio, e al mettersi in grazia di Dio se per sventura non vi fosse, si richiede che già prima del tempo della meditazione si pensi ad essa. Già fin dalla sera antecedente, se puoi, ma specialmente fin dalla levata, procura di star raccolto quanto ti è possibile. Non svagarti o curiosare; non chiacchierare, o leggere cose estranee. Recati in chiesa o nel luogo della meditazione con raccoglimento, prendi con riverenza l’acqua benedetta, fa’ devotamente il segno della croce e la genuflessione, ed arrivato al tuo posto, subito concentrati in preghiera, e stacci con gran raccoglimento e compostezza. Ma ricordati sempre che la preparazione principale è la disposizione stessa della volontà, cioè occorre gran desiderio di trar profitto. Che se sentissi difetto di questo gran desiderio, sarà bene suscitarlo in te con qualche devota considerazione. Figurati ad esempio d’andare a questo santo esercizio come andrebbe un avaro ad un ricco tesoro di cui si potesse impadronire, o come un viandante assetato ad una chiara fonte a cui potesse refrigerarsi, o come un affamato ad un buon banchetto nel quale si potesse rifocillare. Più che tutto ti gioverà il considerare che nella meditazione è direttamente Iddio che ti parla. Il Signore disse: « A chi fu già dato, abbonderà; a chi non ha, anche quel poco che ha sarà tolto ». Perciò chi vuole approfittare porti alla meditazione un cuore buono ed ottimo, disposto a ricevere la semente che il divino agricoltore vi spargerà. L’uomo che viene con questo cuor docile ed arrendevole alle sante ispirazioni, è colui di cui fu detto che ha; e perciò a lui sarà dato sempre di più. È anche parte della preparazione remota il procurare che il luogo dove si fa la meditazione sia silenzioso, il trovarsi diligentemente al principio della medesima, perchè arrivando tardi, non si faccia rumore all’aprire o chiudere le porte con disturbo proprio e degli altri, e non si perda nessuna preghiera o parola della lettura di essa. Importa pure molto il guardarsi attentamente dal tossire, dal soffiarsi il naso, sospirare in modo da essere avvertito dagli altri, o far comecchessia rumore col muovere il banco o la sedia. Deve poi essere cura attentissima di chi legge i punti della meditazione, il porsi in luogo e volgersi in modo da poter essere ben inteso da tutti, di far detta lettura con voce molto spiccata, con senso, e sufficientemente adagio, che non abbia a sfuggir sillaba di quanto egli legge. La trascuranza di queste piccole attenzioni talora è anche causa del poco profitto che se ne trae.

Preparazione prossima.

La preparazione prossima racchiude le tre parti seguenti: 1° mettersi alla presenza di Dio, cioè ricordarsi di essere alla presenza di quel Dio che noi vogliamo onorare, che ci ha da dare le grazie che ci occorrono, e che dovrà giudicarci se noi abbiamo fatto il possibile per far bene la meditazione. 2° Domandar perdono dei nostri peccati con l’umiliarci davanti a Dio, poiché la meditazione è specialmente quella che deve farci conoscere noi medesimi; e non verremo mai a conoscerci bene, se non sprofondandoci nel nostro nulla e nel riconoscerci bisognosi di tutto. 3° Domandare a Dio la grazia di poter far bene la meditazione, recitando anche qualche piccola preghiera vocale in proposito, che per noi è quella notata nel nostro Manuale: Mio Dio, prostrato alla vostra presenza...

a) Metterci alla presenza di Dio.

Giova assai mettersi bene fin da principio alla presenza di Dio; e questo deve essere un atto che non duri solo quel momento, ma devesi rendere presente per tutto il tempo della meditazione. Questo si può fare in molti modi: te ne suggerisco qui qualcuno affinchè scelga quel che ti va meglio, ed anche lo vari secondo le circostanze. Facendo la meditazione in chiesa, il modo più semplice è questo: guarda il tabernacolo e figurati che veramente Gesù da esso ti osservi. Egli è là vivo e vero, col suo cuore ardente di amore per noi, e che si dispone a farti maggiori o minori grazie secondo il maggiore o minor impegno che porrai nel far bene la meditazione. Oh! fìgurati proprio di vedere Gesù con gli occhi tuoi: figurati che egli tenga gli occhi suoi per tutto il tempo della meditazione sopra di te: allora la meditazione ti riuscirà certamente bene. Altro modo, e lò potresti specialmente adottare quando non facessi la meditazione in chiesa, e in tempo di quaresima o di passione ed al venerdì, è questo: guarda il crocifisso, e, concentrato in te stesso, figurati di vedere realmente Gesù in croce, mentre è in agonia per gli immensi spasimi che soffre e che egli volga gli sguardi a te, e trovi qualche sollievo se tu fai con gran divozione la meditazione, mentre gli si aggiungerebbero nuovi dolori ai tanti che già soffre se ti vedesse distratto e freddo nel meditare. Giova anche, quando è opportuno, o si fa la meditazione da solo, tenere il crocifisso in mano, e avanti gli occhi, ed osservare continuamente Gesù penante figurandotelo ancor vivo, e che ti stia vicino per aiutarti a penetrare nelle verità che mediti, ed a prendere generose risoluzioni. Vari che sperimentarono questo metodo mi confermarono aver loro giovato immensamente a scuotersi dal loro torpore. V’è un terzo modo, che adoperava alle volte Don Bosco, specie quando era ancor chierico, e che dice adoperasse anche il suo amico Luigi Comollo morto in concetto di santità, e di cui egli poi scrisse la vita, metodo che tu potresti specialmente usare nel tempo pasquale e alla domenica. Consiste nell’idearsi il paradiso, la SS. Trinità, con Gesù benedetto glorioso e trionfante; poi la Beata Vergine, San Giuseppe, tutti gli angeli e santi in uno sfolgorìo di luce; fare così la tua meditazione alla loro presenza. E figurati che ti osservino, e che ti preparino una corona di grazie se tu la farai con grande impegno, mentre ne sarebbero sdegnati se ti vedessero in essa mal disposto. Nulla t’impedisce di porti alla presenza di Dio in qualche altro modo, che più attiri il tuo raccoglimento; come se volessi figurarti d’essere avanti al divin Giudice, il quale fosse pronto a scagliarti la sentenza di reprobo se tu fai male le meditazione, ed a lenire invece la sua collera e benedirti se tu metti tanto impegno per farla bene e trarne frutto. Così se volessi, per esempio al sabato, figurarti la Madonna che ti osserva e ti guarda; se volessi figurarti altra volta San Giuseppe o l’Angelo Custode, oppure anche le anime del purgatorio, che resterebbero sollevate se tu vinci tutte le ripugnanze e le distrazioni, mentre invece continuerebbero a soffrire orribilmente se tu fossi freddo e noncurante nella medesima. Basta anche che avvivi la fede, e miri Iddio presente a te, come è presente in tutti i luoghi del mondo, e ti persuada che quando fai meditazione non sei solo ma che si trova con te la SS. Trinità, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, con cui parli, e ciré ti vede, ode, e vuol rispondere nel tuo cuore con ispirazioni ed illustrazioni. Altra volta ancora puoi mirare Dio che ti sta accanto e ti circonda da ogni parte, e mirar te entro lui come un pesce entro il mare. Altra volta mirare Gesù in te, nel tuo cuore, e che tu gli eriga un tempietto, come fece Santa Caterina da Siena, che poi tutto il giorno mirava Iddio nel piccolo santuario da lei eretto nel suo cuore.

Son persuaso che se fin dal principio della meditazione ti applicherai a metterti in qualcuno di questi modi alla presenza di Dio, riuscirai davvero a far bene questo grande atto di religione, e ne ricaverai frutto abbondante e sarai certo di vincere poco per volta tutti i tuoi difetti, ed incamminarti presto realmente sulla via della perfezione, per la quale Iddio ti vuole.

 b) Chieder perdono dei propri peccati.

Il secondo atto della preparazione consiste nel prostrarsi in ispirito profondamente avanti il Signore, e domandargli perdono dei tuoi peccati, umiliandoti avanti la maestà sua. La superbia è quella che più ci allontana la grazia del Signore; l’umiltà è quella che più ce l’attira, e specialmente nell’orazione l´umiltà giova immensamente[394]. Rifletti adunque ai tuoi peccati, pensa che per tante colpe commesse non dovresti neppur osare di stare alla presenza di Dio, o ad alzare lo sguardo a lui, e umiliati profondamente, pieno però di riconoscenza che il Signore ti sopporti e sia ancor pronto a farti grazie.

 c) Chieder la grazia di poter ben meditare.

Il terzo atto è offrire a Dio l’orazione che sei per fare e domandare la grazia di farla bene e di ricavarne gran frutto. Se ti sei bene umiliato ti verrà spontanea questa preghiera, poiché vedendoti incapace a tutto, indegno di tutto, ti getterai con grande slancio e volenterosamente nelle braccia di Gesù, la bontà e misericordia del quale è tanto grande che riceve nel suo amplesso tutti quelli che a lui si rifugiano. Prega ferventemente lo Spirito Santo che t’illumini. Non dimenticare di ricorrere anche all’intercessione della Madonna, affinchè ti sorregga. Ricorda pure che San Giuseppe è costituito come padre della vita interiore e meditativa: ricorri quindi anche a lui come pure al tuo Angelo Custode, e poi entra nella meditazione.

Questi vari atti, che esposti qui largamente sembrano dover durare gran tempo, coniti)

presa la piccola preghiera Mio Dio ecc., che noi siam soliti fare, in pratica possono e debbono esser fatti in pochi minuti (per lo più in quattro) per non togliere il tempo alla parte principale che è la meditazione propriamente detta.

 d) Rappresentazione del soggetto.

Una quarta cosa conviene ancora fare prima di entrare direttamente nel corso della meditazione, e consiste nel fare prima la rappresentazione del soggetto, dare cioè un colpo d’occhio generale sul mistero o sulla verità eterna che si vuol meditare. Questo colpo d’occhio generale o rappresentazione del soggetto o preludio alla meditazione è assai importante, specialmente quando si tratta della vita di Gesù, in cui questo soggetto ci è dato dal testo evangelico. Conosciuto prima in generale di che cosa si tratta, riesce poi più facile e naturale la divisione della meditazione nei vari punti che si vogliono considerare. Questa rappresentazione del soggetto è bene renderla sensibile, figurandoti di vedere il luogo e le persone che prendono parte, e di udirne le parole, vederne i fatti; per esempio se si medita la Vita di Gesù figurarci di vederlo, vedere le persone che l’attorniano, sentirne le parole: se si medita l’inferno, figurarti di vedere come una gran fornace incandescente, e tu lì presso come sull’orlo in pericolo di cadervi dentro. Perchè con questo ripiego la nostra mente è più disposta a tenersi concentrata e raccolta, e così ci aiuta a capire più facilmente nelle sue particolarità quanto si legge.

2) Punti della meditazione.

Sono la meditazione propriamente detta. Noi siamo soliti a dividere la nostra meditazione in tre punti: si legge sul libro adottato un punto, e poi si medita qualche minuto, in modo che tra la lettura e la riflessione scorrano circa sette minuti. Quindi si legge il secondo, poi il terzo punto, e di nuovo, dopo ogni lettura, si lascia un tempo adeguato di riflessione. Ma, che fare in questo tempo di riflessione? Come comportarsi? Questa è la parte più importante; ma riesce anche la più difficile, perchè da molti non si è capaci di tenere la mente ben fissa sul soggetto, e non si sanno occupar bene i ritagli di tempo. Questa pertanto è la parte a cui maggiormente devi attendere. È bene sapere che la meditazione, come dice l’angelico dottore San Tommaso, è l’esercizio delle tre potenze interiori dell’anima: memoria, intelletto, volontà. Bisogna pertanto in detto tempo esercitare queste tre potenze. Si entra nella meditazione senza sforzo, coll’esercizio della memoria, richiamando alla mente le cose lette, come se si avesse da recitarle. L’esercizio della memoria deve occupare brevissimo tempo, ma esser fatto esattamente e chiaramente il più possibile, perchè l’intelletto trovi preparata a sè la via. Si procede con l’intelletto, studiandosi di capir bene nelle singole sue parti quanto si è detto, cercando di impossessarci bene della verità esposta. Finalmente si esercita la volontà, applicando le cose lette a noi stessi, industriandoci così di eccitarci al bene.

a) Esercizio della volontà.

Il maggiore sforzo deve essere rivolto all’esercizio della volontà; poiché è nel muovere la volontà al bene dove consiste il vero frutto della meditazione. È bene notarlo qui che l’esercizio della memoria e dell’intelletto non si fa per sè, poiché il frutto della meditazione non sta propriamente nel capir bene la verità che si medita o nel concepire buoni pensieri, bensì nella volontà, la quale deve prendere forti risoluzioni. Perciò non è neppur buona cosa il lasciarsi perdere in sublimi considerazioni, o in vaghe cognizioni e lumi d’intelletto; ma bisogna che tutto converga a scuoter la volontà. Però la volontà è detta dai filosofi potenza cieca: essa vuole solo ciò che l’intelletto le propone come buono, secondo la nota sentenza: niente è voluto, che non sia stato prima conosciuto. Si vuole fermamente e fortemente ciò che si capisce esser molto buono e molto utile. Perciò conviene esercitar bene l’intelletto, affinchè esso agisca potentemente sulla volontà. Ma si può dire, che tutto il frutto della meditazione sta nel persuadere la volontà e scuoterla verso il bene, facendole applicare all’anima nostra le cose meditate, e inducendola a prender serie risoluzioni pratiche di fuggire quel difetto ed esercitare la tal virtù, prendere quel mezzo, perdonare a quei tali, mortificarsi nella tal cosa, fare quel tal sacrificio.

b) Esercizio dell’intelletto.

Ora: qual è il modo pratico di diriger l’intelletto, in qual modo guidare la volontà, affinchè vengano ad ottenere il loro scopo? L´esercizio dell’intelletto consiste nella considerazione e nell’applicazione.

Primo atto dell’intelletto è la considerazione attenta della cosa che si deve meditare. Esso deve ben penetrare la verità proposta, facendo vari discorsi e considerazioni intorno al mistero che si medita, con andare investigando le verità che stanno in essa nascoste, con tutte le cagioni, proprietà, oggetti e circostanze che ha, ponderandole assai minutamente, servendosi anche di qualche analogia o paragone, secondo i casi, in modo tale che l´intelletto si formi il concetto chiaro e proprio delle cose che medita. Ciò non a modo di studio, ma di colloquio con Dio, e con la mira santa d’accender nell’anima l’amor di Dio, il desiderio di divenir migliore, e restare convinto e persuaso dell’importanza ed utilità di ricevere ed abbracciare quella verità che hai meditato, per proporla alla volontà e con ciò muoverla ad esercitare anch’essa gli atti indicati da tali massime. Procura intanto d’indagare le radici e le cagioni dei tuoi difetti, e da che cosa dipende questo poco slancio nel correggerti di essi. Cerca i mezzi efficaci per sradicare, col divino aiuto, queste radici e cagioni dei mancamenti. E stabilisci i! proponimento di aborrire quei difetti e le radici dei medesimi, e di metter mano ai mezzi che giudichi adatti a sradicarli interamente. In seguito bisogna che tu coll’intelletto procuri di applicare a te stesso quanto si è detto. Puoi domandare a te stesso: 1) Quali doveri me ne sorgono? Cioè quali ragioni mi spingono a far così o così? E considera: gloria di Dio, edificazione del prossimo, santificazione propria, aumento di meriti, danni che ne deriverebbero dai contrari. 2) L’ho fatto sinora? in punto di morte sarei contento del come l’ho fatto sin qui? Ti raccomando poi specialmente che ti fermi a confrontare attentamente la tua vita con la verità che hai preso a meditare. E trovando che la tua condotta non le sia conforme, proponi tosto di emendarti e di adoperare tutti i mezzi a ciò necessari.

 c) Rappresentazione di luogo.

Giova a questo fine anche qui in particolare figurarti di vedere le persone e i luoghi, di udire le parole, di considerare le opere che si compiono meditando quel mistero; considerare il fine che si ha, i mezzi che si prendono, la maniera con cui la cosa avviene, indirizzando a te stesso queste interrogazioni: per esempio, chi è che soffre, che cosa soffre, come lo soffre, per chi soffre, chi è che lo fa soffrire? Riguardo alle persone figurarti per esempio di vedere Gesù, Dio d’infinita bontà e maestà sì grande e sì potente, e che pure patisce e soffre; vedere i giudici, i carnefici, gente vile, abietta, i quali non pertanto osano maltrattare il Datore d’ogni bene, così permettendo Iddio per castigare i tuoi peccati. Riguardo alle azioni figurati per esempio di vedere Gesù nella flagellazione starsene umile, senza muoversi e lamentarsi ed i Giudei batter crudelmente, spietatamente; fìgùrati di vedere il sangue grondare, brandelli di carne staccarsi dal corpo di Gesù. Se consideri Gesù che monta al Calvario, miralo affaticato, ansante, tutto piagato, insanguinato, curvo sotto il peso della croce, i Giudei che lo guardano con disprezzo, lo beffano, lo minacciano, le pie donne che piangono, che vengono ad abbracciarlo, ad asciugargli i sudori, ecc. Puoi anche nel silenzio dell’afflittissimo tuo cuore indirizzare la parola alle persone che sono presenti a quel mistero, interrogarle, ascoltarle a parlare, anche sdegnarti contro i cattivi e contro te medesimo, rimproverarli, ecc. Quando poi il soggetto su cui si medita è di cose che non cadono sotto i sensi, come quando si medita sopra gli attributi di Dio, sopra una virtù od un vizio, allora San Francesco di Sales c’insegna a considerare la definizione della cosa, i suoi caratteri principali, e le sue differenze, i suoi effetti, e specialmente il modo pratico di acquistare quella virtù o fuggire quel vizio. Il che tutto si può ridurre a due punti: i motivi di abbracciare la virtù o di evitare il vizio, e i mezzi per acquistare quella virtù o per fuggire quel vizio.

d) Applicazione dei sensi.

Sant’Ignazio c´insegna anche a fare in certe circostanze l’applicazione dei cinque nostri sensi, aiutando con la nostra immaginazione la debolezza dello spirito nostro. Ciò si fa rimovendo i nostri sensi da ogni sensazione terrena, e immaginandoci di vedere con gli occhi la bellezza del celeste sposo e di quanto stiamo meditando; di assaporare col palato il cibo spirituale delle sue parole; di udire la dolcezza della sua voce colle orecchie; di sperimentare la soavità dei suoi profumi coll’odorato; e col tatto la felicità dei suoi amplessi. E così tutte le potenze nostre occuparle del Signore o dei misteri che meditiamo.

e) Propositi.

Per guidare poi la volontà alla fuga assoluta del vizio od abbracciare energicamente la virtù, conviene fare sgorgare dalla medesima varii affetti o atti virtuosi, corrispondenti a quelli già emanati dall’intelletto. Alcuni in ordine a se medesimi, come: di odio di sè, di dolore dei peccati e confusione della propria miseria; altri in ordine a Dio nostro Signore, come: amore verso di lui, fiducia nella sua misericordia, di lode, rendimento di grazie per ricevuti benefizi. Ma non è mài da dimenticare che lo scopo vero, primario della meditazione consiste nel far piegare molto risolutamente la volontà a buoni e seri propositi di migliorare la propria vita, cioè distruggere in noi i difetti, ed erigere un fermo edificio di virtù. Perciò la parte principale ed il tempo più lungo deve spendersi nel conoscere i nostri difetti ed eccitarci a desideri di acquistare le vere virtù, propositi efficaci di far buone opere, e di mutare e migliorare la vita, rassegnazione della volontà propria alla divina, disporsi a fare con affezione e gusto della volontà quel che più piace a Dio. Questi proponimenti devono sgorgare naturalmente dalle serie considerazioni dell’intelligenza, e conviene che siano spontanei. Ciascuno per fragilità dell’umana natura ha dei difetti, e specialmente qualche difetto dominante; poi facilmente s’accorge meditando che manca di qualche virtù necessaria al suo stato. Or costui deve procurare ad ogni meditazione di piegare la sua volontà a questo, ed in questo appunto consiste quello che chiamiamo sostanziale divozione, da cui nasce la pace e la naturale allegrezza dell’anima; ed a questo, come dice San Tommaso, si ordina principalmente la meditazione .

f) Affetti.

Fatto ciò, occorre ancora una quarta cosa: siccome tutto vien da Dio, e noi non possiamo nè prender risoluzioni nè eseguirle senza di lui, dobbiamo domandar grazie a Dio, parlando e facendo colloqui dentro noi medesimi con Dio nostro Signore, trattando familiarmente con lui. Conviene sfogarci in vari affetti corrispondenti alle considerazioni fatte: amore verso Dio che ci ha illuminati su quella verità, dolore per non aver praticato quel mezzo e specialmente domanda. Questa ha da essere anche ripetuta e motivata. Per esempio: Voi sapete, Signore, che da me non posso far questo: voi potete aiutarmi; mostrate la vostra potenza che risplenderà tanto meglio quanto è maggiore la mia debolezza; voi siete infinitamente buono... per i meriti di Gesù Cristo, di Maria SS. E così domandare a Dio i suoi doni, e procurare di impetrare da lui tutto quello che è necessario per la nostra salvezza e perfezione. Queste cose dobbiamo domandarle con grande insistenza, e ciò più per muovere il nostro cuore a domandare con fervore, divozione e confidenza, che per muovere Iddio ad ascoltarci, poiché molto più Iddio desidera di darci le grazie che riguardano il nostro bene spirituale, di quello che noi desideriamo di riceverle, secondo che ci ammonisce Sant’Agostino: « Dio ci esorta a domandare; e poi ci negherà quel che domandiamo? ». Sant’Alfonso de’ Liguori in particolare insiste su questo punto, di pregare e domandare molte grazie al Signore. Ed io ti soggiungo che se, non ostante tutte le regole sopra indicate punto per punto, non sai come meditar bene ed esercitare bene l’intelletto, e ti trovi arido e senza pensieri, appigliati a questo altro mezzo: di pregare, non tanto con preghiere vocali recitando il Pater o l´Ave, ma piuttosto con preghiere affettive, con aspirazioni, con colloqui indirizzati all’Eterno Padre, a Gesù, a Maria, all’Angelo Custode. Quando poi anche gli affetti ti mancassero, umiliati in te stesso e figurati come mendico avanti ad un gran Signore. Digli che ti faccia la carità di qualche grazia, che tu sei lì che aspetti: « Fatemi un po’ d’elemosina... almeno le briciole che cadono dalla vostra mensa... son qui che attendo... ». E intanto mettiti a pregare, e domanda con gran fede ed insistenza grazie per te e per gli altri, specialmente pel bene della nostra pia società e pei missionari, pel trionfo della santa Chiesa, per la conversione dei peccatori; la grazia pei moribondi e per le anime sante del purgatorio. Così, dopo che hai fatto ciò che hai potuto, preghi e stai tranquillo; cessi d’esercitare direttamente le potenze dell’anima, per dar luogo al Santo Spirito di parlarti al cuore. Gli puoi dire con Samuele: « Parlate, Signore, che il vostro servo vi ascolta»; ovvero con San Paolo: «Che volete che io faccia? ». « Noi, soggiunge Sant’Alfonso, possiamo seminare ed irrigare, possiamo anche fare i proponimenti che ci paiono i più seri, efficaci e stabili; ma la semenza morirà prima di nascere o non porterà frutto, se il Signore non le dà esso l’incremento ».

g) Colloqui.

Così dunque si applicano l’intelletto, la memoria, la volontà, gli affetti e le preghiere considerando il primo punto. Intanto si leggerà il secondo e il terzo, e si ripeteranno le stesse operazioni. Giova poi molto, specialmente verso la fine della meditazione, nell’intima e squisita unione collo Sposo celeste, fare colloqui con lui: udire e rispondere; sfogare i propri affetti, trattare di tutti i negozi nei quali si ha bisogno di lume e di quiete, sia per sè sia per gli altri. Conviene in questi colloqui tenere l’anima propria assai quieta e non tumultuosa: stare anche un po’ di tempo senza dir nulla, attendendo unicamente a ciò che il Diletto le dice, e con riverenza ascoltare le sue voci. Ma per riuscire a far bene e con vero frutto la meditazione ci vogliono veri sforzi. Hai udito le tante volte raccontare del raccoglimento di San Luigi nelle sue meditazioni; egli non aveva mai distrazioni. E tu dirai: Oh potessi anch’io esser così! Bisogna sapere che San Luigi per venire a questo punto si fece tanti e tantissimi sforzi da giovine, e talvolta durava buona parte della notte in preghiera: ma in questo modo riuscì. Sforzati anche tu adeguatamente alle tue circostanze e secondo gli avvisi del maestro, e riuscirai anche tu.

 3) Conclusione: a)Risoluzione.

Terza parte della meditazione è la conclusione. Anche questa contiene tre atti. Ed è, il primo, prender qualche buona risoluzione, cercando il modo di metterla in pratica. Questo è quanto inculca di più San Francesco di Sales, insistendo che non si parta mai dalla meditazione senza fare il mazzolino spirituale, cioè, senza aver colto qualche nuovo fiore di virtù da ricordare e praticare in particolare lungo la giornata. Il nostro santo insiste molto su ciò, come sulla parte più importante della meditazione. Ed invero chi uscisse dalla meditazione senza aver preso qualche buon proponimento, si potrebbe paragonare a chi in un banchetto si contentasse di vedere le vivande, si compiacesse del bell’ordine, dei magnifici servizi, o di lodarne lo splendore, senza però gustare cosa alcuna. Al contrario alle volte qualcuno si trova al fine della meditazione, quasi senza averla incominciata, tante furono le distrazioni, accortosi in fine, concepisce risoluzioni efficacissime e riporta maggior frutto degli altri.

La risoluzione sia pratica.

Non bastano le risoluzioni generali che si fecero lungo la meditazione; ma di queste è da sceglierne qualcuna ben pratica e da attuarsi nella giornata: quella di cui hai più bisogno. Se il proposito non è ben pratico, ordinariamente giova poco. Pertanto non basterà dire per esempio: quest’oggi voglio mostrarmi molto umile; bensì specificare in che cosa, come sarebbe di cercare un ufficio Aule, un abito brutto. Non solo dire: voglio esser mortificato, ma specificare in quale cosa. Io poi ti consiglio a non prendere molte risoluzioni; prendine sempre precisamente due. Una deve versare sul difetto dominante, su cui lungo il giorno fai esami particolari di coscienza, che riguarda la virtù che vuoi acquistare o il difetto che stai combattendo in quel mese, e questa non si deve cambiare per tutto il mese. L’altra risoluzione da cambiarsi tutti i giorni deve sgorgare dalle cose meditate, oppure dalle circostanze in cui ti trovi o deve essere adattata alle occasioni che ti si presentano probabilmente lungo la giornata. Sia ad esempio, se quello fosse giorno di passeggio, proporti in esso qualche particolare mortificazione; se fosse festa, proporti qualche speciale pratica; se fosse giorno in cui si fan le osservazioni o si dànno i voti di condotta proporti di voler ringraziare chi t’avvisa e non scusarti, correr subito in chiesa a dire una preghiera per chi ti fece l’osservazione; se avessi avuto il giorno precedente qualche rimbrotto o dispiacere, proporre di non pensarci più, anzi domandar tu perdono a chi t’avesse offeso, ecc. Nè basta che tutte queste risoluzioni siano pratiche, devi ancora stare attento che abbiano ad essere efficaci, cioè devi cercare i mezzi propri per eseguirle lungo il giorno, per sormontare tutti gli ostacoli che si leveranno contro di essa.

b) Ringraziare il Signore.

Il secondo atto consiste nel « ringraziare il Signore dei lumi che ci ha comunicati e domandargli la grazia di mettere in pratica le prese risoluzioni ». Non dobbiamo mai lasciare di ringraziare il Signore per ogni grazia che ci fa: il ringraziamento è come un mezzo per attirarci nuove grazie. L’aver poi avuto agio di fare la meditazione è per certo una grazia, e come non lasciamo di dire un grazie di cuore a chiunque ci avesse fatto anche il più piccolo regalo, così non dobbiamo lasciar passare questa circostanza, e partire dalla meditazione senza ringraziarne il Signore. Conoscendo poi che, malgrado la nostra buona volontà attuale, noi non saremmo poi atti a praticare lungo il giorno la risoluzione presa senza altra grazia speciale del Signore, dobbiamo domandare a Dio di poter esser forti nel praticare le risoluzioni prese. Riconosci la tua debolezza ed instabilità e raccomandati con grande fede al Signore perchè ti aiuti a praticare lungo il giorno la risoluzione presa.

c)Esaminarsi e pentirsi.

Il terzo atto consiste nell’esaminarti un istante se hai fatto quanto hai dovuto e potuto per far bene la meditazione e domandare di gran cuore perdono della poca diligenza messa, dei pochi sforzi fatti, con proponimento di far meglio un’altra volta. Si conchiude facendo qualche breve preghiera vocale. E noi abbiamo per norma di recitare quel bellissimo atto di consacrazione a Maria Ausiliatrice, che contiene nello stesso tempo quanto di meglio abbiamo da chiedere al Signore per intercessione della Madonna, sia per il corpo come per l’anima, sia per noi come per gli altri. Faresti poi bene, subito dopo uscito dalla meditazione, notarti sul piccolo quadernetto secreto la risoluzione presa, sia per imprimerla meglio nella tua mente, e per ricordarla meglio lungo il giorno, sia per vederle poi alla fine del mese, nell’esercizio della buona morte.

Tre osservazioni.

Tre piccole note potranno giovarti, e serviranno di conclusione a questo capitolo. La prima si è che qualora ti venissero molte distrazioni nel meditare, non devi lasciarti prendere da scoraggiamento, poiché il Signore non guarda la riuscita bensì gli sforzi che si fanno per riuscire. Così se tu ogni volta che t’accorgi di essere distratto cerchi di comporti ad attenzione, tu puoi considerare d’aver vinta la tentazione e d’aver acquistato merito. E se venti o cento distrazioni venissero, e tu sempre cercassi di allontanarle, riporterai venti e cento vittorie: in questo modo quella meditazione che si direbbe essere stata la più disturbata può essere per te la più fruttuosa; purché davvero tu abbia fatto tutto quello che stava in te per meditar bene, e abbia presi tutti quei mezzi che conoscevi per allontanare la distrazione. In secondo luogo ti osservo che non è sempre necessario nei punti della meditazione seguire con precisione il metodo delle tre potenze. Poiché se alla semplice lettura della verità che mediti ti senti mosso ai propositi, agli affetti, puoi benissimo omettere l’esercizio dell’intelletto. Finalmente ti noto e ti consiglio una cosa molto importante, ed è questa: che nell’udir leggere i punti non consideri che sia il tale o tal altro che legga; ma immaginati che Gesù Cristo medesimo venga a te per istruirti intorno a ciò che devi fare per salvarti e per migliorarti, ed egli stesso dica a te, ed a te solo, quelle cose che senti leggere.

Facendo in questo modo spero che anche tu potrai trarre dalla meditazione quei frutti che ne ricavava un San Bernardo, un Sant’I- gnazio, un San Luigi, un Don Beltrami. Essi dopo la meditazione si sentivano tutti accesi di amore pel Signore, non sentivano più gusto per nessuna cosa terrena, si sentivano pronti a fare qualunque cosa, anche la più difficile, anche a subire il martirio per amor del Signore, piuttosto di offenderlo anche minimamente. Sì: fatti animo, ed il Signore sarà con te: ed anche tu riuscirai a trarre dalla meditazione tesori inestimabili di grazie celesti per la santificazione dell’anima tua e del prossimo.

Capo XIV LA LETTURA SPIRITUALE ED IL SANTO ROSARIO

Importanza della lettura spirituale.

E’ tanta l’importanza della lettura spirituale, che tutti i fondatori di ordini religiosi fecero della lettura un punto di regola per i loro aggregati, e tutte le anime che hanno a cuore di santificarsi, pur stando nel mondo, si dànno alla lettura spirituale. La nostra regola non prescrive un tempo determinato per questa lettura dicendo solo: «Ogni giorno si attenderà per un po’ di tempo alla lettura spirituale ». L’uso introdotto da Don Bosco medesimo è che se ne faccia circa un quarto d’ora. Con questo resterà eseguita la regola; e questo è quanto si fa generalmente in comune. Ma se ti sopravanza qualche tempo alle tue occupazioni, io ti esorto con tutte le mie forze a non darti a letture frivole e leggere. Conserva invece sempre presso di te qualche buon libro spirituale, e servitene in tutti i momenti di tempo. Come son di danno le letture frivole e leggere, altrettanto i buoni libri sono salutari. Sant’Isidoro ci ammonisce che tutto il nostro progresso spirituale ha la sorgente nelle letture e nelle orazioni. Con la lettura apprendiamo ciò che ignoriamo; con l’orazione conserviamo quanto abbiamo appreso. E S. Leonardo da Porto Maurizio dice la lettura spirituale la sorella della meditazione; e San Bernardo asserisce essere nella lettura spirituale dove trovava le maggiori consolazioni. San Girolamo nota che quando preghiamo noi parliamo a Dio, quando leggiamo Dio parla a noi. Essa è uno specchio fedele in cui noi scopriamo le macchie che sfigurano l’anima nostra, una lampada che ci rischiara la via del cielo. San Paolo apostolo ne conosceva talmente l’importanza, che scrivendo a San Timoteo, suo discepolo, gliela inculcò in modo speciale: « attende tibi et lectioni; esaminati e leggi ».

Necessità della lettura spirituale.

Non fa perciò meraviglia se Sant’Atanasio ci fa sapere che senza di questo esercizio non può il nostro spirito innalzarsi a Dio, nè può occuparsi nelle cose divine . E quel che più fa stupire è quel che San Giovanni Crisostomo in termini ben chiari ed espressivi ci dice: essere impossibile che giunga a salvamento chi spesso non si occupa nella lettura dei libri sacri. Di qui provengono quelle sì forti premure con cui può dirsi che tutti i santi Padri Finculcarono generalmente a tutti. Riassume per tutti Sant’Ambrogio, il quale dice: « Esercitiamoci ogni giorno nella lettura spirituale» .

Necessità per un religioso.

Il religioso in generale e noi in particolare abbiamo bisogno di essere ben istruiti nelle vie del Signore. Non sempre possiamo avere il superiore accanto che ci guidi e ci consigli in tutte le nostre operazioni. Se l’anima tua è ben impinguata di istruzione spirituale, allora saprai in questi casi guidarti bene da te; altrimenti faresti spropositi e soccomberesti. Sullo stesso tono parlano l’Imitazione di Cristo, ed in generale tutti i maestri di spirito. P la lettura spirituale che ti somministrerà lume e guida per fuggire i lacci del demonio e gli inganni del mondo e del tuo amor proprio, e per accertarti insieme della divina volontà. Il mulino macina quel grano che riceve, la lettura dei libri profani, quasi senza che te ne avveda, ti riempie l’anima di sentimenti mondani e distrattivi; quella dei libri buoni la riempie di santi pensieri e buoni desideri. Dopo d’aver letti i libri profani non suggeriti dall’obbedienza, come farai a stare raccolto? Come terrai il pensiero della presenza di Dio? Come andranno le tue meditazioni? le tue comunioni? Quali saranno i tuoi discorsi e le tue conversazioni? Tutto in te sarà mondano, tiepido e sguaiato. Al contrario se hai la mente piena di pensieri devoti procurati con buone letture, queste ti accompagneranno non solo nell’orazione ma anche fuori di essa. Le tue meditazioni e le tue comunioni saranno fervorose, i tuoi discorsi edificanti, i tuoi studi santificati, e le stesse tue ricreazioni profittevoli. Narra di se stessa Santa Teresa, che datasi da giovinetta alla lettura di profani volumi, succhiò in quelle pagine il veleno della vanità e della bizzarria, imbevendosi di quei sentimenti che aveva letti in quei libri insulsi. Ma accortasi in breve del gran pregiudizio che le cagiona- i vano, cambiò metodo, dandosi alla lettura di libri buoni e santi. Ne trasse sì gran profitto, che da essi riconobbe la risoluzione di darsi tutta a Dio, di dedicarsi tutta al suo amore, con precisa idea di farsi santa.

Efficacia della lettura.

Bisogna nella lettura spirituale figurarti che sia direttamente il Signore che ti parli. Accostati così al Signore e sarai illuminato. Se uno si accosta con questo buono spirito a Dio, Egli pone su di lui gli occhi suoi di misericordia, e lo ammaestrerà mentre legge. È’ ammirabile, dicono i santi Padri, l’efficacia di sì pio esercizio, coll’illuminare l’intelletto attorno alle verità con un lume pratico e direttivo. Esso eccita la volontà, dati i lumi somministrati alla mente dai buoni sentimenti che si leggono, scuote la tiepidezza, corregge il costume, riforma la vita, muovendo il cuore a compunzione, dandogli nuove forze nel conflitto dello spirito contro i nemici dell’anima, animandola nelle fatiche al conseguimento del paradiso. Con questo spirito tu devi andare alla lettura come chi si mette vicino per udire il divin Maestro che gli parla interiormente. In che modo tanti uomini passarono da una vita mondana ad un tenor di vita perfetta? Spesso avvenne per la lettura di qualche buon libro. È ai buoni libri che dobbiamo la conversione di Sant’Agostino, di Sant’Ignazio di Loyola, del Beato Giovanni Colombini, e di tanti altri. Ma è importante leggere non solo collo scopo d’istruirsi, e tanto meno per curiosità, bensì direttamente collo scopo di giovare all’anima propria. I santi poi hanno trovato nella lettura spirituale la loro delizia. San Domenico baciava teneramente i suoi libri di pietà, e li stringeva con amore sul suo cuore dicendo: « Questi libri mi dànno il latte che mi nutre ». E San Filippo Neri consacrava tutto il tempo che aveva libero alla lettura spirituale.

Obbligo della lettura.

Giacché adunque questo esercizio è di tanta importanza ed utilità spirituale per un religioso, non sarà questa da lui giudicata una occupazione arbitraria, la cui omissione non gli porti nè danno nè scrupolo veruno. Deve anzi riputarla un’occupazione a lui necessaria e indispensabile. A te poi, il cui studio principale deve essere di perfezionarti nella virtù, di sempre più inoltrarti nel santo timor di Dio, interessarti ogni giorno più del profitto del tuo spirito, dico schietto che saresti condannabile, se non potendo far la tua lettura in comune, lasciassi poi trascorrere giorni e giorni senza far una attenta lettura spirituale da te.

Scelta dei libri.

Io poi t’incoraggio, generalmente parlando, a non cercare tra i libri spirituali stessi libri

difficili o molto elevati, ma preferire i devoti e facili. Specialmente metti un amore speciale alla lettura delle vite dei santi, che Don Bosco c’inculcava tanto. Nelle opere ascetiche troviamo quel che bisogna fare; ma nelle vite dei santi si vede il modo pratico di farlo, e ci si tolgono tante scuse e pretesti, e si appianano tante difficoltà. In esse si legge ciò che han fatto tanti uomini e tante donne illustri, che però erano di carne ed ossa come noi, e perciò, tacitamente sì ma potentemente, siamo incitati a fare anche noi lo stesso.

Come fare la lettura.

Ed affinchè questo esercizio non sia per te una sterile occupazione, bisogna che qui t’insegni la maniera di farla con profitto. Siccome al dire di Sant’Efrem Siro, la lettura si fa dal religioso non per un semplice trattenimento, ma per alimentare la pietà, per pascer l’anima con un cibo spirituale, per fomentar la divozione, per partecipare di molti altri beni da essa derivanti; così prima d’o- gni altra cosa si devono implorare i lumi del Signore con una breve ma fervida ed affettuosa supplica, onde si degni di aprire gli occhi e le orecchie del nostro cuore per conoscere i suoi divini voleri. E poiché nella lettura è Iddio che ci parla per mezzo dei libri, debbono perciò essi leggersi con quel raccoglimento di spirito, con quell’applicazione di mente, con quell’umiltà di cuore, con quella pietà, che si conviene a sì santa occupazione. Non vi è pia lettura che non racchiuda per grazia speciale qualche cosa di utile per tutti coloro che la ascoltano con spirito di fede. Va’ pertanto alla lettura col pensiero che in essa Iddio ti darà un avviso, un ammaestramento, e lo darà proprio per te. E tu sta come in agguato per non lasciarlo passare senza approfittarne.

Lettura in privato.

Quando poi fai la lettura spirituale in privato, abbi cura di leggere posatamente e senza fretta. L’ape non lascia un fiore senza averne prima estratto il succo. Non basta mangiare abbondantemente per essere nutriti, ma è necessario digerire bene. Perciò non temere di rileggere quei tratti che possono giovarti di più. Interrompi anche qualche volta la lettura per pregare, e così ti abituerai di più alla preghiera, e ne trarrai maggior frutto. Non passar da un capo all’altro, o da questa a quella pagina;’ nè curar la bellezza dello stile, o l’eleganza delle parole, ó qualunque altra cosa che alletti o nutrisca la curiosità. Invece, occorrendoti l’occasione, prorompi in santi affetti verso Dio, o di lode o di ringraziamento alla sua bontà. Confonditi nello scorgerti tanto diverso da quel che furono i santi e da quel che dovrebbe essere un religioso. Confida in Dio, e pregalo per ottener quella virtù di cui ti vedi privo, e quello spirito buono che non hai. E proponi di fare ogni sforzo per acquistarlo con l’emenda delle più frequenti mancanze, con un’esatta custodia dei sensi, con una maggior vigilanza sopra te stesso. Finalmente umiliati, implorando il perdono delle tue negligenze ed ingratitudini. Insomma chi fa la lettura spirituale per trarne frutto, conclude Sant’Efrem, dalla varietà dei sentimenti sparsi pel libro che sta leggendo va raccogliendo il rimedio alle imperfezioni del suo spirito, a somiglianza di ape industriosa, che da diversi fiori va succhiando il nettare per formare il miele.

Gli studi profani.

E qui, dacché parlo delle letture che ciascuno può fare da sé in privato, consentirai che io disapprovi coloro che amano gli studi profani a preferenza degli studi sacri, e le letture di libri scritti da gente cattiva e nemica di Dio, a preferenza di libri scritti da autori cristiani e da santi. Sarà necessità per te il fare anche studi profani, o leggere autori non timorati di Dio; ma quando lo fai per bisogno, il Signore ti aiuterà a non riportarne danno. Invece fa spavento il vedere qualcuno porre amore ad autori profani, pericolosi od empi, o darsi a studi profani non necessari, trascurando quelli sacri, doverosi ed utili. È cosa che meriterebbe le vendette di Dio sopra di te e sopra la casa in cui ti trovi, se ponessi affetto ad autori dichiarati nemici di Gesù, come sono molti autori moderni che van per la maggiore. Tu dirai: ma han del buono. Ed io riporto le parole precise di San Girolamo: « Che bisogno vi è di andar cercando un poco d’oro in mezzo a tanto fango, quando puoi leggere libri dove troverai l’oro senza il fango? ». Quando pertanto non sei obbligato per ragion di dovere a leggere e studiare cose profane, i libri a te familiari, di cui devi fare la tua più assidua occupazione, siano i sacri, gli spirituali, i devoti, che ti facciano conoscere e ti animino ad eseguire le più precise occupazioni del tuo stato, che ti guidino all’acquisto delle virtù, che t’insegnino le vie per giungere al conseguimento della religiosa perfezione. E procura che questo proposito non abbia a durare solo pel tempo in cui stai ritirato in noviziato e nello studentato; ma chiama Dio in testimonio, che vuoi essere fedele a questo proponimento sino al fine della tua vita.

Le distrazioni ed il sonno.

Grande scoglio per la lettura spirituale in comune sono le distrazioni ed il sonno. Bisogna che ti metta bene nella mente essere il Signore che ci parla nella lettura spirituale, e perciò devi porre fin da principio grande attenzione per non perdere gli ammaestramenti che il Signore ti dà. Riguardo al sonno bisogna essere energici e risoluti. Se uno comincia a chiudere gli occhi, in molte circostanze non si libererà più dal sonno. Bisogna fin da principio proporsi di vigilare a tutti i costi. Se poi assecondi il sonno una volta, puoi star sicuro che quel bisogno ti verrà di nuovo il giorno dopo con maggior intensità, e tutti i giorni soccomberai un poco a questo bisogno fittizio. Invece, se prendi mezzi energici sul principio, questo bisogno scomparirà. Se vai soggetto al sonno, bada prima di tutto di stare bene inginocchiato senza appoggiarti; e se occorre sta in posizione incomoda, come poggiato sopra un sol ginocchio. Non volere chiudere gli occhi neppure un istante come per sollievo. Se occorre, mettiti in luogo dove, senza dar nell’occhio, tu possa stare in piedi. Stuzzicati da te stesso, o prega il vicino che ti avvisi subito appena ti vedesse sonnolento. Vinto che ti sia alcuni giorni, in seguito non troverai più grande difficoltà.

Ama la lettura e praticala.

Or tu, avendo udito dire così belle cose della lettura spirituale, sappi approfittarne ed amala. Conchiudi di non voler mai far letture profane se non per necessità dei tuoi studi e delle tue occupazioni coi giovani, e che terrai conto delle raccomandazioni sopra esposte. Ed in particolare ascolta ancora questo consiglio, che io in pratica ho trovato utilissimo per molti, i quali attestarono dover attribuire a questo il loro risorgimento spirituale. Se ti accadesse per disgrazia di trovarti raffreddato nelle vie del Signore, e avessi già provato a tirarti su e non ci fossi riuscito guari, mettiti a leggere per un tempo notevole ogni giorno alcune pagine delle vite dei santi; per esempio la vita di Sant’Agostino, quella del nostro Don Beltrami, o qualche libro ascetico di Sant’Alfonso, come la Pratica di amar Gesù Cristo, l’Apparecchio alla morie, Del gran mezzo della preghiera. Proponiti, specialmente in tempo di vacanze, di darti per un mese a queste sante letture. Vedrai che produrranno in te un effetto magico, e tu in breve ti troverai rinnovellato nello spirito.

Ciò che ne dice San Bonaventura.

Ecco infine gli ammonimenti che dà San Bonaventura ai suoi novizi riguardo alla lettura spirituale: «Fa bisogno di nutrir l’anima con le letture spirituali. Si badi a leggere più per Fini´orinazione dei virtuosi costumi, e per prender consiglio ed ammaestramento nel profitto spirituale, e cioè nel mortificare le passioni viziose ed acquistare le virtù cristiane, piuttosto che per cagione d’imparare cose scientifiche. Di modo che i novizi debbono attendere sollecitamente a regolare i propri affetti con l’esercizio della virtù, piuttosto che pascere l’intelletto con letture curiose. E la scienza, che per far profitto nella virtù si lascia, per mezzo di essa in seguito si troverà. Non conviene passare curiosamente da una lettura ad un’altra, e incominciare a leggere sempre cose nuove; ma con l’ingegno e la ponderazione si deve essere costanti ed assuefar l’animo nelle incominciate. È segno d’uno stomaco guasto e mal disposto, il voler assaggiare sempre cibi diversi. Dalla lezione di ogni giorno fa bisogno trarre sempre qualche nuovo proponimento, e conservarlo bene nella memoria affinchè con diletto e frutto spirituale l’anima sia intrattenuta in cose buone e non si metta a pensare cose sconvenevoli e lontane dalla virtù ».

Il santo rosario.

Le nostre costituzioni ci ordinano anche di recitare ogni giorno la terza parte del santo rosario. È il più bell’ossequio alla Vergine, ed attira molte grazie. Non basta che tu ti proponga di non lasciar mai in nessun giorno della vita questa cara pratica; ma occorre che cerchi di recitarlo veramente bene, in modo che piaccia alla Madonna e che ti arrechi molti meriti. E per non distrarti è bene che cerchi qualche modo che ti aiuti a tener ferma l’attenzione. Tra i vari metodi che s’insegnano per recitar bene il rosario, io te ne suggerisco quattro, che potrai adoperare a tua scelta, e anche cambiare di tanto in tanto, e rinnovellare così in te la divozione.

1) Attenzione a quel che si dice.

Il primo metodo e più naturale è di pensare al significato di quel che si dice, seguendo coll’attenzione della mente e coll’affetto del cuore ogni preghiera, cioè recitando i misteri porre attenzione a che cosa indicano, recitando il Pater, l’Ave, il Gloria seguire colla mente queste preghiere, come recitando le litanie porre attenzione alla invocazione, e dire con gran cuore o il Miserere nobis o l’ora pro nobis. Come questo è il modo più naturale, così è anche il più facile ed ordinario, e ti sarà grandemente proficuo. Fissa special- mente la tua attenzione su qualche parola, per esempio, sul fiat voluntas tua, sull’ora pro nobis peccatoribus, e questo ti aiuterà a tener l’attenzione su tutta la preghiera analoga.

2) Incoronare di rose Maria.

Il secondo modo consiste nel figurarti, ad ogni Ave Maria, di porre una rosa attorno alla figura della Madonna in modo da coronarla e circondarla tutta di rose. Questo si addice appunto al nome rosario, che significa mazzo o corona di rose. Saluta pertanto la Madonna dicendole: Ave, Maria, e porgile una rosa. E puoi figurarti che sia una rosa color d’oro se si tratta dei misteri gaudiosi, color rosso se si tratta dei dolorosi, color bianco se si tratta dei gloriosi. Altra volta, siccome Maria ci si dipinge coronata di stelle, puoi figurarti ad ogni Ave Maria di aggiungere una stella alla sua corona, ed incoronarla così tu stesso a tua regina.

3) Meditare i misteri.

Un terzo modo consiste nel meditare il mistero che si recitò sul principio, e, senza attendere tanto al senso delle parole che si dicono, meditare per tutta la decina il mistero proposto, ed intender di onorare la Madonna secondo che è contemplato in quel mistero. È questo il modo migliore e che fa maggior bene all’anima, unendo insieme l’orazione vocale e le mentale. Tu preferiscilo a tutti gli altri, ed abituati a praticarlo bene. È forse il metodo più difficile, e perciò ti esorto ad impararlo e ad esercitarti molto fin d’ora.

 4) Proporsi una virtù o grazia particolare.

Il quarto modo è: per ciascun mistero proporti una virtù od una grazia particolare da ottenere per te o per qualche altra persona. E quando reciti il rosario da solo, praticando questo metodo, potresti, ma solo mentalmente, aggiungere per ogni decina alla parola Iesus, che si dice neYYAve Maria, qualcuna delle seguenti od altre somiglianti invocazioni: qui nobis augeat fiderà rectam — qui nobis augeat spem firmam — qui nobis augeat charitatem perfectam — qui nobis intellectual illuminetqui nobis noluntatem perficiat — qui nobis memoriam roboret — qui dirigat cogitationes qui regat verba — qui gubernet opera, etc. Sono piccoli mezzi ed amminicoli che alle volte si vorrebbero dire insignificanti, ma che in pratica aiutano molto, e fomentano la divozione tenendo viva l’attenzione.

Capo XV L’ESERCIZIO DELLA BUONA MORTE

È’voluto da Don Bosco.

Fin dai primi tempi dell’oratorio D. Bosco stabilì sodamente l’Esercizio della Buona Morte tra i suoi giovani, dando a questa pratica molta importanza. Fondata poi la Società Salesiana, la pose per regola ai confratelli, e fu sempre una fra quelle su cui il buon padre insisteva maggiormente. Ecco le parole della regola a questo riguardo: «L’ultimo giorno di ciascun mese, o in altro designato dal direttore, ognuno, liberandosi per quanto gli sarà possibile dalle cure temporali, si raccoglierà in se stesso, e farà l’Esercizio della Buona Morte, disponendo le cose spirituali e temporali come se fosse per lasciare il mondo e partire per l’eternità ».

Nella prefazione alle regole poi, il nostro buon Padre ci dà le norme pratiche onde farlo bene, norme che ti adoprerai di praticare sempre e a puntino, richiamando a mente quelle parole, che egli tiene assicurata la salvezza di colui, che ogni mese fa bene l’Esercizio di Buona Morte. Da’ pertanto anche tu molta importanza a questo giorno di ritiro mensile ed attendi specialmente a quelle parole della regola, di disporre in quel giorno le cose spirituali e temporali come se davvero dovessi abbandonare il mondo ed avviarti all’eternità.

Vantaggi che procura.

Si trae straordinario vantaggio da questo Esercizio di Buona Morte, quando è ben fatto. Da una parte il nostro spirito presto si infiacchisce nell’esercizio delle virtù e tende ad una specie di torpore e di sonnolenza, assai vicina a quella tiepidezza che è fonte di ogni male e tanto perniciosa all’anima; dall’altra parte la consuetudine dei nostri lavori quotidiani impedisce che la pietà eserciti su di noi un´azione viva e forte, ci tenga desti, vigilanti, pronti e coraggiosi al lavoro necessario per la nostra perfezione. L’esercizio ci scuote: si videro dei cambiamenti completi in seguito ad uno di questi Esercizi ben fatti. Qualche volta vi si ricupera il primitivo fervore; e quasi sempre si esce da esso più fermi nel bene. L’affare della nostra santificazione è certo il più importante affare del mondo, ma nello stesso tempo è anche l’affare più difficile. La via del cielo è stretta ed è facile allontanarsene prendendo sentieri tortuosi ed ingannevoli. È perciò una grande provvidenza questo giorno di ritiro (fogni mese. Amalo, e benedici il Signore che te lo concede. Fermati bene a vedere se mai non avessi deviato un poco lungo il mese, da quella strada regia che ti conduce alla santità. Ben saprai anche tu per propria esperienza che le nostre risoluzioni, anche le più ferme, ben presto svaniscono se non abbiamo cura di rinnovarle e confermarle sodamente. Sai che il fervore si disperde e diminuisce presto; sai che una funesta abitudine s’ingerisce presto nelle azioni anche le più sante, e che quasi senza avvedertene vieni a cadere nella tiepidezza e nella volontaria trascuratezza. O benedetto Esercizio di Buona Morte, che ben fatto, ci preserva da questi pericoli! Proponi qui fermamente, ora che ne conosci l’importanza, di non volerlo lasciare pur una volta in tutta la vita. Giura al Signore nella tua santa comunione, che vorrai farlo sempre e farlo bene. Ti consiglio questo tanto più nei collegi. Non potendosi sempre fare in comune le varie pratiche indicate, potrebbe darsi che intiepidito incominciassi a farlo freddamente, poi lo rendessi un mero atto comune, senza applicarti con quella serietà che esso richiede, e finissi poi anche per lasciarlo con grande scapito dell’anima tua.

Ciò che si deve fare: 1) Rivista mensile della coscienza e Confessione.

Stando a quello che è stabilito da Don Bosco nella prefazione alle nostre regole, quattro cose devono distinguere il giorno dell’Esercizio di Buona Morte, ed anzitutto: si faccia come una rivista mensile della coscienza e la confessione, che da tutti si ha da fare in detto giorno, sia più accurata del solito. Entra meglio nei secreti dell’anima tua. Chiama a più diligente esame la maniera con cui hai soddisfatti i tuoi doveri lungo quel mese. Rinnova le buone risoluzioni del mese precedente, aggiungine, se occorre, qualche altra, per venir incontro a qualche nuovo bisogno spirituale che ti fosse sopraggiunto. Procura che in questo giorno il tuo raccoglimento sia completo. Già dallo svegliarti al mattino figurati che quel dì abbia ad essere l’ultimo di tua vita, e che ti sia dato appositamente per assestare i conti con Iddio. Fa’ la tua meditazione, le tue orazioni vocali, assisti alla santa messa, come se quelle fossero l’ultima meditazione, le ultime preghiere che puoi fare, che quella sia l’ultima messa che puoi ascoltare. Così figurati che quella confessione che fai in quel giorno sia l´ultima della tua vita; e la santa comunione figurati di farla per viatico; che sia Gesù che per l’ultima volta viene a trovarti con infinito amore per accompagnarti all’eternità.

2) Rileggere le Costituzioni ed i propositi.

In secondo luogo è raccomandato che in detto giorno si rileggano in tutto o in parte le Costituzioni della nostra Pia Società. Questo si suol fare in comune; ma conviene che tu lo faccia anche in privato, in modo che nel corso di pochi mesi le faccia passar tutte, riflettendo seriamente su ciascuna. Conviene anche rileggere i proponimenti che si son fatti negli esercizi spirituali e quanto si è promesso nei mesi precedenti. E tu sappi che da questa pratica puoi ottenere un gran bene; falla con vera accuratezza e vedi un po’ come in quel mese, ora scorso, hai osservati i propositi fatti antecedentemente; e intanto prendi propositi seri pel mese che sta per incominciare.

3) Proporre la virtù, pratica e santo del mese.

La terza cosa che Don Bosco suggerisce si è che in detto giorno ciascuno si proponga una virtù od una pratica di pietà da coltivarsi nel mese seguente, ed un difetto da combattere energicamente, virtù da praticare e difetto da fuggire che tu dovrai eleggerti come primo proponimento speciale in ogni meditazione del mese, ed attorno a cui farai in tutti i giorni del mese il tuo esame particolare. Fissati bene su questo punto, che, coll’aiuto di Dio, può riuscirti uno dei mezzi principali per emendarti dei tuoi difetti, progredire nelle virtù e praticare meglio gli esercizi di pietà per tutto il mese seguente. Nello stesso tempo ti sceglierai anche un santo protettore del mese.

Schema generale.

È per darti una guida, così in generale, in modo però che tu possa col consiglio del maestro o del direttore meglio adattarla a te secondo i tuoi bisogni interiori, che ti suggerisco il seguente prospetto di virtù e difetti da proporti in tutti i mesi dell’anno, cominciando dall’ottobre che è il mese in cui si fanno per ordinario le prime numerose accettazioni pel noviziato.

Ottobre. — Virtù del mese: imparare a far bene le pratiche di pietà, pensando a rendersi degni figli di Don Bosco. — Difetti da estirpare: fuggire i difetti di corpo, come la trascuratezza, la sudiceria, la inciviltà ed ogni ricercatezza ed ambizione nel portamento esteriore, pensando che ciò è richiesto dalla vita religiosa che si sta intraprendendo. Prendi per protettore l’Angelo Custode.

Novembre. — Studiare seriamente in che consista la vita religiosa, proponendosi la perfetta vita comune. — Distaccare il proprio cuore dalle cose di patria, di casa, dei parenti, pensando che questi attacchi sono la rovina delle vocazioni. — Le sante anime del purgatorio.

Dicembre — Confidenza illimitata coi propri superiori. — Fuggire con vera fortezza d’animo ogni rispetto umano, pensando ad acquistare un carattere vigoroso e stabile. — Gesù Bambino.

Gennaio. — Mansuetudine, dolcezza, bei modi, ad imitazione di San Francesco di Sales nostro speciale patrono. — Vincere l’irascibilità — San Francesco di Sales.

Febbraio. — Diligenza nei propri doveri. Occupar bene il tempo. — Vincere sodamente la pigrizia e l’infingardaggine. — Don Beltrami.

Marzo. — Praticar bene la povertà religiosa. — Fuggire ogni golosità, specie dei vini e liquori e del mangiare fuori pasto. — San Giuseppe.

Aprile. — Ubbidienza ed osservanza di tutte le regole. — Combattere l’attacco naturale al proprio giudizio ed alle singolarità. — Santi Salesiani defunti.

Maggio. — Ad onore di Maria SS. praticare diligentissimamente la castità. — Fuggire i difetti di cuore specialmente le tenerezze, le carezze, le simpatie, e le antipatie. — Maria Ausiliatrice.

Giugno. — Esercizio della vera carità verso Dio e verso il prossimo: aiutarsi a vicenda.

Fuggire rigorosamente ogni mormorazione.

Il Sacro Cuore di Gesù.

Luglio. — Pensare sodamente alle obbligazioni che ci provengono da ciascun voto, riconfermando così praticamente la vocazione, dovendosi alla metà del mese fare la domanda dei voti. — Fuggire la malinconia, lo spirito bizzarro e di contraddizione. — Preziosissimo Sangue.

Agosto. — Umiltà vera in pratica, sia di mente che di cuore. — Sradicare da noi l’attacco naturale ai propri comodi cercando di contraddire in tutto alle proprie perverse inclinazioni. — L’Assunta.

Settembre. — Esaminar bene una per una le pratiche di pietà delle regole, e far propositi seri di volerle eseguir tutte bene fino al fine della vita, e ciò in preparazione prossima ai santi voti. — Fuggire l’accidia e la tiepidezza nelle cose spirituali. — Don Bosco.

4) Esame speciale di coscienza.

Riguardo alla mezz’ora che è prescritta per pensare al progresso od al regresso nelle virtù, voglio raccomandarti di farla, per quanto puoi, in chiesa, avanti al SS. Sacramento, raccogliendoti poi per iscriverti le buone risoluzioni prese, od anche modificare quelle prese già nel mese antecedente. Ma occorre che l’esame che farai di te stesso in questa occasione sia molto serio. Per quanto puoi, serviti anche del modulo di esame che ti tracciai parlando dell’esame di coscienza.

Prendi mezzi determinati e seri per vincere meglio nel mese seguente, come di camminare di più alla presenza di Dio, di essere più esatto in ogni tuo dovere, di lavorare più indefessamente, non volendo perdere nep- pur un briciolo di tempo, di fare un po’ più raccolta la meditazione, procurando di entrare in chiesa sempre dei primi, di praticare un po’ meglio l’umiltà e la carità fraterna coi confratelli e coi giovani: o il distacco dai parenti e dalle cose mondane, e l’attaccarti sempre più fortemente alla tua vocazione ed alla congregazione.

5) Rendiconto completo.

Se ti è possibile, riserva per quel giorno il tuo rendiconto, che devi procurare di far molto accurato. Già varie altre volte lungo il mese vai a trovare il maestro o il direttore e gli fai un po’ di rendiconto; ma se le altre volte basta farlo su qualche punto particolare di cui ti senti più bisognoso; una volta al mese va fatto il vero rendiconto completo su tutti i punti notati nella prefazione delle regole, e su tutto ciò che credi possa dare maggior chiarezza del tuo interno al superiore, affinche ti possa diriger meglio. Ti dò qui alcuni avvisi in proposito che potranno aiutarti molto. Nel rendiconto non si hanno solo da manifestare le proprie mancanze, ma ancora le proprie propensioni, ed i bisogni sia corporali che spirituali. Procura d’esser chiaro in tutto, in modo che il superiore veda sin nel fondo dell’anima tua. Se qualche cosa ti rincrescesse anche solo menomamente di manifestarla in rendiconto, sia la prima ad esser manifestata, almeno per esercizio di mortificazione di te stesso e di penitenza. Quello invece che inavvertitamente avessi dimenticato ancorché fosse di cosa importante, non ha ragione di affannarti. Questa dimenticanza non ti nuocerà gran fatto, perchè il Signore non esige da noi più di quello che un impegno moralmente sufficiente ottiene; e avrai occasione di manifestarti in proposito altra volta. Non affannarti a voler immediatamente dire tutto, specialmente i secreti di coscienza, al tuo maestro o al tuo direttore nel rendiconto. Basta che tu sia risoluto di confidargli quanto man mano crederai possa servirgli a ben dirigerti riguardo alla tua vocazione. Sappi poi bene che la confessione ha nulla a che fare col rendiconto. Quanto si dice in confessione è soggetto al sigillo sacramentale; invece riguardo a quanto dici in rendiconto, il superiore può servirsene a tuo vantaggio ed alla buona direzione della casa. Non lasciare mai nel rendiconto di dir chiaro il tuo pensiero sulla vocazione, e dare quelle notizie di parentela, di vita anteriore, di studi, di occasioni, di propensioni ed altro che possano aiutare il superiore a conoscere il tuo carattere ed i disegni della Provvidenza sopra di te. Il superiore ha bisogno di conoscer queste cose per capire che cosa voglia fare di te il Signore, cioè per poterti guidare a compiere perfettamente il suo beneplacito.

Discendi ai particolari.

Nel rendiconto conviene discendere ai particolari, come se t’impegni ad eseguire le regole di civiltà e di buona educazione; se schiamazzi troppo a tavola; se sei delicato nei cibi; se nelle ricreazioni discuti molto coi compagni e ti lasci uscir anche parole ingiuriose o almeno incivili o indelicate. Digli se sei pronto alla levata ed all’andare a riposo; se ti senti bisognoso di qualche riguardo speciale nei cibi o nel riposo, se t’impegni a santificare gli studi col non voler se non il dovere; se hai forti propensioni per qualche studio speciale, se desideri studi geniali e leggeri, letture frivole, se hai tenacità assoluta per compiere i propri doveri e se li compi sempre a tempo. Poi passerai a manifestare le cose che riguardano direttamente la pietà e le virtù, se reciti posatamente, bene, le preghiere vocali; se dài grande impegno alla meditazione e come ti diporti in essa: se fai sempre e con impegno l’esame di coscienza e su che punto fai quello particolare del mese. Dirai se le tue confessioni sono sempre accurate, fatte col dolore, nei giorni prefissi; se la comunione è quotidiana, fervorosa, e se per ottenere ciò prendi quei mezzi che sono suggeriti; che preparazione, qual ringraziamento fai; se le tue visite in chiesa sono costanti e ben fatte; se i circoli di pietà sono ben sostenuti. Dirai pure se la divozione al Sacro Cuore è costante; se reciti ed eseguisci sempre e bene i nove uffizi, la guardia d’onore, l’ora santa, se la divozione a Maria Ausiliatrice è ben radicata, e quali pratiche fai in suo onore. E poi in particolar modo farai passare l’osservanza delle virtù dei tre voti; quindi della carità, dell’umiltà, della pazienza e mansuetudine, della mortificazione. Indicherai bene le tue simpatie ed antipatie, e chiuderai il rendiconto col dichiarare molto schiettamente, come sopra si disse, ciò che riguarda la propria vocazione.

Circoli di pietà.

Converrà anche, in occasione dell’Esercizio di Buona Morte, regolare i circoli di pietà. Domanda al maestro se non sia il caso di cambiar compagni; prendi i suoi suggerimenti riguardo al trarre da essi maggior profitto. Se li avessi fatti più poche volte del convenuto, o se li avessi fatti male, o senza alcun frutto, palesalo al maestro e ripromettiti più diligenza, essendo questa una cosa tra quelle che, ben fatte, producono maggior profitto all’anima tua. Bada tuttavia in questi ragionamenti spirituali coi compagni di non entrare mai in cose interne di coscienza, o di manifestare le tue tentazioni ad altri: questo devi farlo solo coi superiori. Non arrogarti poi l’autorità di fare da maestro tra i compagni, essendo tutti principianti in questa arte.

Oggetto di questi circoli.

Le cose da trattarsi nei circoli spirituali siano ristrette a cose pie ed edificanti, riandando le cose udite nelle conferenze, nei discorsetti della sera, nelle meditazioni e letture spirituali. Quindi si parli: dei beni della vita religiosa, delle cose che possono aiutare nell’osservanza delle regole; del come fare per emendarsi dai comuni difetti esteriori contro le regole; come si potrebbe totalmente rinunziare al proprio giudizio, alla propria volontà ed attacchi terreni. Si può parlare del come fare per avanzarsi meglio di giorno in giorno nelle virtù ed acquistare maggior umiltà ed ubbidienza, pazienza, carità, purezza di cuore, spirito d’orazione; di quello che ci avverrà nell’ultima ora della morte, come prepararvisi; del giudizio rigoroso che dovremo rendere a Dio di ogni nostra azione. Sono argomenti ottimi anche: come faremo particolarmente per evitare l’inferno, per procurarsi un buon posto in paradiso, come praticare con maggior frutto la divozione al Sacro Cuore di Gesù, a Maria, a San Giuseppe, all’Angelo Custode; come suffragar meglio le anime del purgatorio. Si può anche parlare della vocazione; per qual via abbia Iddio liberato colui che parla, dalle turbolentissime tempeste e periglioso mare dell’infelice mondo e condottolo al sicurissimo porto della pia nostra Società; in qual modo corrisponder meglio ad una tanta grazia per non incorrere nella taccia d’ingratitudine: dei lacci e dei pericoli grandissimi che ci sono nella vita secolare e della gran vanità, incostanza e fallacia delle cose temporali.

Buoni fruttii

Io ho sempre visto ricavare gran frutto da cotesti circoli di pietà, fatti in questo modo; come vidi sempre nelle nostre case di noviziato e studentato, ad ogni Esercizio di Buona Morte, un vero rinnovamento di spirito, un riprendere slancio e fervore straordinario, un mettersi a posto in vari che sembravano già sull’orlo del precipizio. Questi buoni effetti prodotti finora devono continuare anzi devono crescere. Ma per ciò è necessario che tu ti metta con tal fermo proposito di farlo bene, che quel giorno non abbia paragone con nessun altro giorno del mese per l’impegno che vi metterai.

Capo XVI GLI ESERCIZI SPIRITUALI

Son voluti dalle regole e da Don Bosco.

Le nostre costituzioni ordinano dieci od almeno sei giorni di esercizi spirituali ogni anno, notando che per entrare nel noviziato e per fare i santi voti questi non possono essere meno di dieci. Inoltre vi sono gli esercizi spirituali che si sogliono fare a metà anno nei vari collegi. Questi esercizi spirituali sono una vera benedizione del cielo. La nostra Pia Società incominciò a prendere regolarità, quando nel  si comunicarono a fare detti esercizi dai soli soci salesiani separatamente dai giovani, cosa che prima non si era potuto fare. Don Bosco medesimo per molti anni vi faceva le istruzioni, e quando non poteva più predicare li dirigeva. Non lasciò questo fino al termine di sua vita, tanta importanza dava ai medesimi. E fu in questo modo che la congregazione andò consolidandosi e poco alla volta prese quella forma fissa che ancora mantiene, e che giova sperare, vorrà sempre mantenere senza indebolirsi o deviare giammai, poiché è forma tutta impressale direttamente da Don Bosco.

Utilità degli esercizi spirituali.

La prima utilità pertanto che proviene da questi esercizi si riferisce al bene generale della nostra Società. Essa al certo si manterrà nel buono spirito e nel fervore finché si fa ran bene gli esercizi spirituali, predicati da salesiani, in cui senza debolezze i predicatori facciano vedere gli obblighi generali del buon religioso, ed in particolare quelli del buon salesiano, e pongano anche in chiaro i difetti, indicando i modi pratici di correggerli e finché d’accordo si prenderanno i mezzi pratici per mantenersi saldi sulle orme tracciate da Don Bosco. Ma non minor bene devono apportare a ciascun confratello in particolare. Le comunità religiose in generale sono composte di anime fervorose. Ordinariamente però non mancano le anime tiepide, e qualche volta, anche trascurate e irregolari. In tutti questi casi si ha bisogno di rientrare di tanto in tanto in se stessi: le anime perfette per prendere slancio a perseverare, le anime tiepide per infervorarsi, quelle trascurate e irregolari per rientrare nella via da cui si allontanarono. Ecco quel che ha fatto stabilire in tutte le comunità gli esercizi spirituali ogni anno.

Ciò che dice San Francesco di Sales.

Il nostro caro San Francesco di Sales inculca assai detti esercizi, e coi suoi bei modi paragona i bisogni dell’anima propria coi bisogni di un orologio per mantenersi ben regolato. « Un orologio, scriveva egli, per buono che sia, ha bisogno d’essere spesso rimontato (caricato), e di tanto in tanto essere regolato, e qualche volta è necessario pure togliergli bene la polvere, dare dell’olio alle ruote ed occorrendo, anche smontarlo per cambiar le molle ed i pezzi rotti o corrosi dal troppo uso ». E noi se vogliamo mantenere in buono stato l’anima nostra, in modo che corrisponda alla sua vocazione, dobbiamo ogni giorno fare un po’ di meditazione e di esame di coscienza, che è come il caricar l’orologio; ogni settimana far la nostra confessione che è come il regolarlo; ogni mese far bene il nostro Esercizio di Buona Morte che è come un toglier la polvere e dare un po’ d’olio ai perni delle ruote; ed ogni anno fare gli esercizi spirituali, che è come smontare addirittura l’orologio e rinnovarne le parti difettose.

Ciò che devi fare.

Negli esercizi spirituali pertanto procura di penetrare a fondo nell’anima tua. Figurati pure di smontarla; esaminane uno per uno i pezzi, vedi bene i difetti che l’han fatta camminar male, ed anche distruggi e cambia quanto vi è di rotto, di logoro e difettoso. Cerca sodamente di rimettere le cose dell’anima tua, in modo che possa servir bene per tutto il tempo della prossima annata. Questi esercizi così fatti ristoreranno le tue forze abbattute dal tempo, infervoreranno il tuo cuore, faran rivivere i buoni propositi, e rifiorire le virtù nell’anima tua. Figurati d’essere tu solo davanti a Dio, e che il Signore ti dia quei giorni perchè tu riprenda nuovo ardore nel bene, nuove forze per operare il bene. Immagina se sei tiepido che ti dia questa buona occasione come l’ultima prova che vuol fare di te; dopo di che, se non ne approfitti, abbia a metterti da parte dicendo: «Abbiamo curato Babilonia ma non risanò:abbandoniamola».Temi Iddio che passa con la sua grazia. Timeo Deum transeuntem.

Il programma di Sant’Arsenio.

Fin dal primo giorno fa’ tuo per tutto questo tempo il consiglio che Sant’Arsenio dà generalmente ai monaci : fuge, tace, quiesce. Fuge. Fuggi ogni distrazione; ancorché te ne venisse qualche occasione, non assecondarla. Non comunicare assolutamente con compagni estranei agli esercizi, e con i medesimi compagni con cui fai gli esercizi, nel tempo libero, non voler divagarti, rammentando le cose e le vicende passate lungo l’anno; parla di cose buone, di vicendevole edificazione. La fuga delle distrazioni è il primo mezzo per fare bene gli esercizi.

Tace. Non voler dire neppure una parola fuori del tempo in cui è permesso parlare, cioè nel dopo pranzo e dopo cena, e proponiti qualche piccola penitenza ad ogni parola che ti sfuggisse. Questo silenzio è necessario per stare più raccolto. Nelle ricreazioni dopo la colazione e dopo la seconda istruzione puoi benissimo passeggiare, ma da solo, pensando a Dio, facendo qualche preghiera o riflessione; ed in modo da non affaticare troppo la mente. Nè accontentarti del silenzio della lingua! Procura ancora di far tacere ogni passione, ogni parola, ogni noia, ogni impazienza. Fa’ tacere l’immaginazione, che vorrebbe rappresentarti i dispiaceri sofferti lungo l’anno. Tutto deve esser silenzio attorno a te; tu sei alla presenza di Dio per trattare della tua santificazione propria, e dei mezzi di santificare poi anche gli altri.

Quiesce. Sta’ in pace. Il demonio negli esercizi adopera, come tattica principale, quella di inquietare le coscienze. Agli uni cerca d’infondere scoraggiamento, facendo vedere il poco o nulla di bene che si è fatto durante l’anno. Ad altri mette scrupoli per le confessioni passate, o per quella medesima confessione che si prepara o che lì per lì si è fatta. Ad altri ancora insinua inquietudini per le occupazioni che si ebbero od a cui si sarà destinati nell’anno seguente, o pel collegio o casa dove si sarà mandati. In una parola il maligno cerca di suscitare inquietudini, perchè, se ottiene questo, è paralizzato ogni bene. Tu sta’ attento: quiesce: sei tra le braccia del più amoroso dei padri, Iddio. Egli disporrà il meglio per te. Pensa con somma quiete a riparare i danni sofferti lungo l’annata ed a prepararti una buona corazza e buone armi per l’anno prossimo, onde combattere con vero vantaggio le battaglie del Signore.

Bisogno degli esercizi.

Per quanto si sia esatti nel fare il proprio dovere, uno si rallenta a poco a poco dal primitivo fervore, a causa dell’inclinazione della natura corrotta che tende naturalmente al rilassamento ed alla sensualità. Abbiamo perciò bisogno di prendere di tanto in tanto qualche tempo per rinnovellarci, e per ritrovare quanto si è perduto dell’antica regolarità. Le terre, anche le più fertili, han bisogno con frequenza di piogge, o di essere bagnate un po’ straordinariamente, e di essere ben concimate, ed anche di riposare qualche tempo. Così l’anima nostra dovrà prendere un po’ di riposo interiore, e darsi un po’ di più alla preghiera, alla lettura spirituale, alle meditazioni ed agli altri esercizi di pietà, per avanzare sempre più nella santità.

Gesù sia il modello.

Bisogna entrare negli esercizi con quello spirito con cui Gesù effettuò il suo ritiro e digiuno di 40 giorni, guidati come lui dallo Spirito Santo. Nel medesimo modo che egli non pensava se non a quello che poteva procurare l’onor del suo eterno Padre, e la nostra santificazione, così noi dobbiamo durante gli esercizi non pensare che a prendere i mezzi di glorificare Iddio e di vegliare alla nostra santificazione. Non bisogna scoraggiarsi in una così santa impresa se al principio non si trova tutto il gusto che si può desiderare, e se invece si trovano pene interiori; Gesù medesimo permise al demonio di tentarlo ripetutamente in quei quaranta giorni! Non è dunque sorprendente che anche noi sentiamo tentazioni negli esercizi. Ma come il nostro divin Maestro resistette al demonio, e fu in seguito visitato e servito dagli angeli, così mostrandoci noi fedeli a resistere alle tentazioni meriteremo la visita di Dio medesimo seguito dalle sue grazie e dalle sue consolazioni. E come Gesù ritirato nel deserto digiunò tanto rigorosamente, così quelli che sono negli esercizi possono praticare qualche digiuno od altra mortificazione o penitenza, secondo gli accordi presi con il maestro o con il direttore, secondo i propri bisogni, le proprie attrattive, le proprie forze.

Norme pratiche.

Per trarre da questi esercizi tutto il frutto che si ha diritto d’aspettare da essi, bisogna ancora applicarsi a far bene le occupazioni ordinarie.

Dobbiamo quindi essere più puntuali nel levarsi, nell’ubbidire, più ferventi nel dir giaculatorie, tenere la mente elevata a Dio, e ad assistere alle azioni della comunità. Bisogna mettere più attenzione e divozione nel dire le preghiere in comune, pronunziando chiaramente ed adagio tutte le parole, nella recita dell’uffizio che è uno degli atti di culto più tenuto in conto dalla Chiesa, facendo la debita pausa dell’asterisco, e pronunziando tutte le parole senza strascichi o cantilene indebite. Si deve far silenzio, praticare la modestia e la mortificazione dei sensi e delle passioni, camminare più costantemente alla presenza di Dio, ecc. Così avendo preso una santa abitudine di praticare con fervore le azioni ordinarie, si potrà continuare in esso durante il resto della vita. Poiché sebbene gli esercizi non durino materialmente che pochi giorni, il loro effetto spirituale deve perseverare per tutta la vita, mantenendo per progredire nella perfezione la stessa generosità che si sentiva nel corso di essi. Riguardo alla santa messa che si ascolta senza dire preghiere in comune, ti raccomando di non istare con la mente inerte e quasi intontita, come avviene facilmente se non si fanno sforzi. Fìssati invece su qualcuno dei modi che ti ho indicato parlando della messa, od anche passa in rassegna durante la medesima i tanti benefizi che il Signore ti fece in quell’anno, esaminandoti sul modo poco degno con cui hai corrisposto, oppure anche facendo il tuo esame su qualcuno dei punti che ti ho già innanzi tracciati. Riguardo alla confessione, se è passata la tua settimana, fa’ subito la tua confessione settimanale; ma quella annuale o generale, che devi fare se vuoi eseguire la regola e se vuoi trarre frutto dagli esercizi, aspetta almeno due giorni perchè ti possa preparare proprio bene e farla con gran frutto. Però la santa comunione bada di non lasciarla mai.

Riguardo alle prediche, sta’ ben attento affinche non ti capiti di dormire, ed affinchè nulla abbia a distrarti. Io non ti suggerisco di scrivere al tempo delle prediche, eccetto che si tratti di prender solo alcuni appunti principali e notarti i testi. Insisto invece con tutto il mio potere che nel tempo di ritiro spirituale, nella camera di riflessione, cerchi di notarti le cose che ti fecero maggior impressione. Ad ogni predica prenditi e scriviti qualche proponimento, che deve poi formare il tuo regolamento di vita per tutto l’anno. Nel ritiro sta’ molto concentrato in te. Oltre al prenderti i piccoli appunti delle prediche, è là specialmente che devi fare accuratissimo l’esame di quanto ti passò nell’annata. Conviene pure che ti prenda nota delle cose più importanti. Se ti resta tempo leggi qualche buon libro; ma vorrei che fosse qualche libro già scelto, già preparato prima, come la Pratica di amar Gesù, o il Gran mezzo della preghiera, di Sant’Alfonso, il Tutto per Gesù del Faber. E, se non l’avessi ancor fatto, non lasciar passare questa circostanza senza leggere l’Imitazione di Gesù Cristo od il Teotimo del nostro San Francesco di Sales, con proposito di terminare dopo gli esercizi quelle parti che non avessi avuto tempo di leggere.

Conviene ancora che non lasci terminare gli esercizi, se ciò sarà possibile, senza che vada a parlare privatamente col superiore che li dirige, che per lo più sarà il Rettor

Maggiore o l’Ispettore. Farai con lui un rendiconto annuale, esponendogli con gran candore le cose principali succedute a te lungo l’anno.

Compito degli esercizi.

Se vuoi che il frutto degli esercizi spirituali riesca completo, bada bene che essi devono riuscire a tre intenti: devono riparare il passato, correggere il presente, e provvedere per l’avvenire. Se gli esercizi non operano questi tre effetti, il frutto sarà monco ed incompleto.

Ma affinchè riesca in questi tre fini è al tutto necessaria un’operazione preliminare. Bisogna prima di tutto che tu venga a conoscer meglio te stesso. Parte principale pertanto di questi esercizi si è di fare una rivista accurata all’anima tua, esaminare a fondo quel che hai fatto, quel che stai facendo e come lo fai, e quel che vuoi fare per f avvenire; come hai fatte le tue azioni e come le vuoi fare in appresso. Vi è bisogno adunque di un esame accuratissimo di te stesso, che basti non solo per la confessione, ma che serva a te di scossa, di luce e di guida. È per questo che ho giudicato bene, per aiutarti in cosa così difficile ed importante, di esporti nei capi antecedenti un modulo di esame, che mentre ti deve servire per la confessione annuale, ti aiuti anche a conoscerti meglio, affinchè con frutto possa piangere il passato, correggere il presente, e provvedere per il tuo avvenire. Detto esame ti servirà anche per dare una rivista ogni mese nell’Esercizio di Buona Morte all’anima tua. Se tu però avessi a fare una confessione generale di tutta la vita farai bene a servirti anche degli ordinari libri di divozione. Poiché qui sopra il mio scopo fu solo di mirare allo stato religioso, rilevandone e le cose più gravi, e i difetti più piccoli, e le massime di perfezione, ma sempre riguardate sotto il punto di vista dello stato religioso.

Ripara il passato.

Bisogna adunque che cerchi sodamente di ripararlo questo passato. Avanti a Dio le cose si aggiustano presto. Se hai fatte confessioni con poco dolore o fiacco proponimento od anche avessi fatto confessioni cattive, con una confessione ora proprio ben fatta, con grande dolore e fermissimo proponimento, tutto resta aggiustato. Ma poi se non vuoi averne a fare penitenza in purgatorio, bisogna che ci pensi adesso a rimediare ai peccati fatti! Spirito di sacrifizio, vera mortificazione, sforzi molto seri, lavoro incessante e fatto con buono spirito, son le cose che generalmente si suggeriscono per riparare il passato. Se però hai dato cattivo esempio, anche solo con la tiepidezza ed indifferenza, non basta piangere il male fatto, bisogna ripararlo col buon esempio. Se hai tolta la fama a qualche confratello, se hai perseguitato od anche calunniato qualcun altro, non basta il pentimento: ci vuole la riparazione. Se avessi risposto in pubblico, insultato, o anche solo fatto scherzi indebiti a qualche superiore, non basta il pentimento; bisogna in qualche modo riparare.

E se per causa tua qualcuno avesse perduta la vocazione? Se per essere troppo rigido, o per la tua negligenza nel fare scuola od assistere, qualche giovane avesse commesso qualche grave mancanza, o si fosse annoiato del collegio e andato via, ed ora corresse la strada del vizio, crederesti tu che basti una lagrimuccia, ed il dire: un’altra volta non .farò più così? Devi riparare nell’anno prossimo col buon esempio quel che è riparabile, e del resto almeno dire col profeta Davide: « Insegnerò ai cattivi le tue vie, ed essi si convertiranno a te». Se non puoi reintegrare l’anima che hai rovinata, devi almeno imitare Zaccheo, il quale promise di restituire quattro volte tanto il mal tolto. Se cioè non puoi restituire l’anima da te rovinata, bisogna che almeno cerchi di condurne molte altre al Signore.

Correggi il presente.

Per correggere il presente devi considerare lo stato delle tue passioni ed inclinazioni, secondo Tesarne che ti ho proposto: vedere a che punto sei, e quali sono i mezzi pratici per sorgere dal letargo in cui ti trovi. Devi specialmente badare al tuo carattere, se Thai migliorato con sforzi adeguati. Devi vedere se sei abbastanza istruito nelle cose che riguardano i tuoi doveri e nelle cose di religione, di cerimonie, di canto, secondo che si richiede dal tuo stato. Devi inoltre osservare se nel tuo cuore vi è qualche avversione, o capriccio, o testardaggine di non volere qualche carica, o qualche ubbidienza. Vedi se hai attacco a qualche cosa di famiglia od alle tue comodità, o affetto a qualche giovane, ovvero se hai ripugnanza a trattare con qualche superiore, o astio con qualche giovane che perciò tratti meno bene che gli altri. O se essendoti stato suggerito lungo Tanno qualche mezzo o qualche consiglio dal confessore o dal superiore, non ti fossi ancor deciso bene di praticarlo. Inoltre, per correggere il presente, osserva un po’ se tieni libri od oggetti senza permesso, se tieni libri di altra casa, libri di biblioteca, cose che ti furono imprestate e poi tenute come tue; più ancora se tieni qualche libro od oggetto pericoloso.

È necessario che gli esercizi producano un frutto completo. Se non puoi al momento rimediare perchè non è presente quel tale o non hai qui quell’oggetto, nota la cosa come appendice ai proponimenti per ricordarti di eseguirlo appena potrai. Bisogna poi che ti applichi ad acquistare la virtù che più ti è necessaria. Per esempio, se uno sente un’inclinazione per l’orgoglio coltivando apposta pensieri di vanità, di buona stima, o di soddisfazione di se stesso, dicendo volentieri parole a propria esaltazione, cercando modi e circostanze per esser lodato, ecc., bisogna applicarsi ad acquistare l’umiltà. Se uno è inclinato a cedere alla golosità, ed a soddisfare i suoi desideri, non volendo mancare in niente nel nutrimento, negli abiti, ecc., ricercando queste cose con troppa sollecitudine, e preoccupandosene con frequenza, bisogna mettersi attorno e procurarsi la povertà e la mortificazione. Se uno si sente attaccato al proprio giudizio ed alla propria volontà in modo da essere proclive a volere che gli altri siano sempre del suo parere, a sostenerlo con pertinacia, ed a contristarsi quando gli fan resistenza, bisogna applicarsi ad acquistar l’obbedienza, il disprezzo e la dimenticanza di noi stessi; e così delle altre virtù.

Bisogna inoltre, durante gli esercizi, cercare di conoscere i difetti, che forse sono meno gravi per se stessi ma che son più in vista, e scandalizzano di più i confratelli. Bisogna prendere i mezzi efficaci per correggersi an-

che di quelli ed acquistare le virtù che loro si oppongono. Se si è molto fermi ad osservare questi vari punti, si trarrà gran frutto dagli esercizi spirituali e si regolerà veramente bene il presente.

Provvedi per l’avvenire.

È già gran cosa l’aver riparato il passato e cercato di correggere il presente; ma il più sta nel provvedere che per l’avvenire le cose tue abbiano a camminare proprio bene. Senza di questo sarebbe frustrato il motivo principale per cui si fanno gli esercizi. Pertanto getta posatamente, ma energicamente uno sguardo all’avvenire. Bada con serietà quel che è necessario che faccia d’or in avanti, e quali sono i mezzi da prendere per riuscirvi. Ad ottenere questo frutto io ti suggerisco due mezzi in particolare. Il primo è che rilegga e corregga ed adatti al bisogno presente e futuro le deliberazioni prese negli anni scorsi, coordinandole con i proponimenti che fai ora, promettendo di leggerli ogni mese all’Esercizio di Buona Morte. E se negli esercizi antecedenti non te li fossi ancora scritti, sarebbe cosa buona per precisarteli meglio e per ricordarteli poi di più, che li ponessi ora per iscritto onde poterli rileggere di tempo in tempo lungo l’anno, specie nell’Esercizio di Buona Morte. Poiché essendo questi propositi frutto che la grazia ti suscitò in mente, sono capaci, quando si rileggono, di far rivivere detti pii sentimenti nel tuo cuore. I proponimenti devono essere di due sorta. Ti dissi, di prenderne qualcuno predica per predica, secondo chè tanto ci inculcava Don Bosco, e questi, uniti a quelli che avevi già scritti gli anni scorsi, devono formare come il tuo « regolamento di vita ». Ma ciò non basta. È necessario che tu prenda un proponimento speciale, uno solo o pochi, che formino come il proponimento caratteristico degli esercizi. Questo va fatto verso la fine. Ora, dalle prediche e dagli esami che hai fatto su di te, hai capito qual è la cosa di cui più di tutto abbisogni. È su questo che devi prendere il proponimento speciale degli esercizi. Prendilo fermo; giurane l’esecuzione a Gesù nella comunione dell’ultimo giorno! Pensa ai mezzi pratici per eseguirlo bene tutto l’anno, e proponi di volertene esaminare seriamente in ogni Esercizio di Buona Morte. È con questa tenacia di propositi che si riesce a fare qualche cosa di buono.

Rinnovazione dei voti.

Noi siamo soliti ogni anno al termine degli esercizi, di rinnovare i santi voti. Questa rinnovazione è utilissima quando è preparata e ben fatta. Essa ha due parti: la prima è di entrare in noi medesimi, vedere i mancamenti che si commisero contro questi voti, specialmente nell’anno decorso, concepirne un gran rincrescimento, domandarne perdono a Dio, e proporre una emendazione efficace. La seconda consiste nel ripetere questi voti con una nuova divozione e coraggio. Per comprendere l’utilità di questa rinnovazione dei voti bisogna capire come l’osservanza dei medesimi può essersi affievolita in noi, e non aver più quella medesima forza di quando si fecero. Disgraziatamente ciò è facile alla natura corrotta, che tende sempre in basso per il peso della sua corruzione. Ora questo indebolimento nell’osservanza dei voti consiste in una diminuzione di riguardi, di divozione, di fervore, di zelo e di amore nel custodirli, e nei mancamenti che questa diminuzione e questo raffreddamento ci fecero commettere contro di essi. Bisogna pertanto che il religioso si esamini su questo raffreddamento e prenda le risoluzioni opportune e che non faccia come il popolo di Israele, che dopo d’essere uscito d’Egitto adorò il vitello d’oro nel deserto. Simil cosa avverrebbe a te se dopo d’essere stato tratto dal mondo, non fossi poi mortificato, e adorassi anche tu qualche idolo nella religione medesima, o mancando contro la povertà per un desiderio delle tue comodità e del tuo agio; o contro la castità con l’affezione disordinata a qualche creatura, o con la ricerca di qualche piacere sensuale tra te stesso; o contro l’ubbidienza con troppo attacco alla propria volontà, ed al proprio giudizio.

Perchè si rinnovano i voti.

La rinnovazione dei voti si fa per crescere in divozione, per ricordarci sempre meglio le nostre obbligazioni, e per confermarci sempre più nella nostra vocazione. Si fa per testimoniare a Dio, che, lungi dall’essere malcontenti e pentiti d’esserci consacrati a lui con voto, si farebbe di nuovo la stessa cosa, posto che essa non fosse ancor fatta, e per ringraziarlo della forza che ci diede di farli. La vita religiosa è in conseguenza dei voti come un olocausto perpetuo ed un sacrifizio di tutta la vita. Ma la vita è una cosa che non si può sacrificare tutta in una volta, poiché essa si dilegua a poco a poco. Ora la forza di questo sacrificio può insensibilmente affievolirsi per varie cause: perciò è ben conveniente e pressoché necessario di rinnovare i voti, e ripeterli con frequenza. Ma è con queste disposizioni che bisogna fare la rinnovazione dei voti. Fa bene chi li rinnova anche privatamente con frequenza c ben anco tutti i giorni, secondo che ci insegna Davide: « To compirò i miei voti di giorno in giorno ». Rinnoviamo perciò questi voti con tutto l’amore di cui è capace il nostro cuore. La rinnovazione fatta in questo modo sarà ben cara a Dio e ben utile a te. Rinnova pertanto ogni giorno nella santa comunione i tuoi voti; e così tutti i giorni ti nobiliterai di più, e di più piacerai al Signore. In quest’occasione domandagli sempre con la più grande fiducia che ti sarà possibile le grazie abbondanti ed efficaci, che ti abbisognano per osservarli con tutta la perfezione che egli esige da te. Chiedi la grazia di essere perseverante in cotesta osservanza fino alla fine della vita. Con questa rinnovazione dei voti ordinariamente si terminano i santi spirituali esercizi. Si videro sempre grandi frutti dagli esercizi spirituali ben fatti. Si vedono sovente dei confratelli che escono veramente trasformati, e perseverano in queste disposizioni anche per tutta la vita. Tu pertanto tieni preziosa questa occasione e procura che il frutto che ne ricaverai non abbia poi da essere paralizzato col metterti in qualche occasione pericolosa. Tienti saldo nei propositi, e Iddio ti benedirà.

Capo XVII I SUFFRAGI AI CONFRATELLI DEFUNTI

Fortuna nostra per tanti suffragi.

Tra le cose che devono farci apprezzare maggiormente la nostra Pia Società è al certo la cura che essa si dà, per suffragare le anime dei confratelli defunti e le anime dei loro genitori. Le nostre costituzioni ordinano l’applicazione di varie messe, sia alla morte di ciascun socio, sia alla morte del padre e della madre dei medesimi. Ordina inoltre che tutti i confratelli non sacerdoti della casa a cui appartiene il socio, facciano almeno una volta la santa comunione in loro suffragio, e recitino la terza parte del rosario. Ogni anno poi, il giorno dopo la festa di San Francesco di Sales, tutti i sacerdoti celebrano una messa pei confratelli defunti, e tutti gli altri soci fanno la santa comunione e recitano in loro suffragio il santo rosario ed altre preghiere.

Tutto questo senza contare le preghiere, le comunioni dei giovani, e mille altri suffragi che si fanno nella casa dove si muore. In ogni corso di esercizi spirituali, poi, verso la fine, quando già tutte le coscienze sono purificate, si canta per loro la messa de Requiem, e tutti fanno la santa comunione in loro suffragio. Quanti corsi di esercizi si tengono anno per anno! E questo in perpetuo finché durerà la nostra Pia Società. Quanti suffragi! Oltre a questo è da considerare che in congregazione è molto radicata la divozione per le anime del purgatorio, per cui si può star certi che ogni sacerdote, ogni giorno, nel memento dei morti della messa, raccomanda come prima cosa i confratelli defunti che ancora abbisognassero di suffragi, e specie i più dimenticati. E simil cosa eseguiscono generalmente tutti i soci non sacerdoti facendo la santa comunione. Tu pertanto rallègrati entro te stesso, per appartenere ad una società che si prende tanta cura di suffragare le anime dei confratelli defunti. Ed anche questo pensiero si rinnovi subito in te contro il nemico, quando questo ti volesse metter noia della vita religiosa, e ti assalisse contro la vocazione. La vita mondana può ben essere più comoda in vita; ma l’aiuto che la congregazione porta in punto di morte, ed i suffragi così abbondanti dopo morte, non li troveresti certamente fuori dello stato religioso.

Proposito di suffragare i defunti.

Tu, per parte tua, devi prendere una fermissima risoluzione: di non lasciar mai di fare, anzi di mettere tutto il tuo impegno per far sempre meglio le pratiche consacrate e stabilite dalle costituzioni per i soci defunti ed i loro genitori. Non dimenticar mai, anche nelle altre tue preghiere, visite, sacrifizi e specialmente comunioni, di pregare in modo speciale per i confratelli defunti. San Francesco di Sales assicura che col pregare per le anime del purgatorio e così sollevarle dalle loro pene, si esercitano tutte le opere di misericordia comandate dal Signore. Ecco le sue parole: « a) Discendere tra quei fuochi divoratori, apportare alle anime che giacciono sul duro letto di fuoco la elemosina delle vostre preghiere, non è in qualche modo visitare gli ammalati? b) Non è dare a bere a quelli che han sete, versare la dolce rugiada della grazia celeste su anime divorate dalla sete di veder Dio faccia a faccia? c) Affrettare per esse il momento in cui entreranno in possesso della beatitudine del cielo, di Dio, di cui esse sono più affamate che non il mendico del pezzo di pane che noi gli diamo, è veramente dar da mangiare ai poveri affamati, d) Sì, noi riscattiamo dei prigionieri pagando la taglia delle sante anime prigioniere della giustizia divina, rompendo le catene che le tengono lontane dal cielo, e quali catene! e) Noi vestiamo magnificamente coloro che sono nudi, aprendo ai morti colla nostra penitenza il soggiorno della gloria, in cui il Signore tien loro preparata una inseparabile veste di luce di eterna chiarezza, f) Quale ammirabile ospitalità non esercitiamo noi introducendole nella Gerusalemme celeste, nella città trionfante degli spiriti beati! g) Potremo noi paragonare il merito di seppellire il corpo abbandonato al pascolo dei vermi, con la inapprezzabile felicità di far salire al cielo anime immortali? ». Tu pertanto, persuaso che col suffragare le sante anime del purgatorio pratichi le varie opere di misericordia, devi accenderti di gran desiderio di occuparti molto di coteste anime per così preparare anche per te molti meriti pel paradiso.

L´atto eroico di carità.

Se tu hai fatto, come spero, l’atto eroico di carità in suffragio delle anime del purgatorio, mettendo nelle mani della Madonna tutti i tuoi meriti e tutte le indulgenze che puoi acquistare, affinchè le distribuisca essa a suo piacimento, allora sarà ancora meglio, perchè, avendo da fare con la più buona delle madri, puoi star certo che essa le distribuirà prima di tutto in suffragio dei tuoi confratelli che stanno tanto a cuore a te ed a lei. Se non l’avessi fatto, io ti consiglio di farlo; ti spiegherò meglio in che consiste.

L’atto eroico di carità in suffragio delle anime del purgatorio, consiste nell’offerta o donazione volontaria di tutte le nostre opere soddisfatorie personali fatte durante la nostra vita, e dei suffragi che ci saranno applicati dopo la nostra morte, che noi deponiamo nelle mani della Beatissima Vergine, affinchè questa tenera Madre ne sia distributrice e le dispensi a suo beneplacito a quelle anime del purgatorio che ella vuole liberare dalle loro pene.

In virtù di quest’atto, che basta fare una volta per sempre, noi ci spogliamo solamente del frutto che a noi perverrebbe da queste soddisfazioni e da questi suffragi. Questo non c’impedisce di pregare per noi, per i nostri parenti vivi e defunti, e di adempiere a nostro vantaggio le altre pratiche di pietà. Quel solo che vi è di soddisfattone nelle opere che si fanno, è applicato alle anime del purgatorio. Il frutto del merito di propiziazione o d’impetrazione ci rimane sempre, non potendosi applicare ad altri. Questo atto non obbliga sotto pena di peccato nè mortale nè veniale. Basta farlo in cuore senza bisogno di pronunziare alcuna formula per aver parte alle indulgenze che gli sono proprie. Per tua norma tuttavia ti suggerisco questa forma, della quale potresti giovarti se lo credi: « O Maria, madre di misericordia, faccio nelle vostre mani, in favore delle anime del purgatorio, l’intero dono delle mie opere soddisfattone durante la vita, e dei suffragi che mi saranno applicati dopo la morte; e non mi riservo che la compassione del vostro materno cuore ». Questo atto si può rinnovare di tanto in tanto.

Esso non solo fu approvato dai Sommi Pontefici, ma da Pio IX inculcato, e con decreto 20 Novembre  arricchito d’indulgenze plenarie, e specialmente di questo: che in ogni comunione si acquista l’indulgenza plenaria se si applica alle anime del purgatorio, ed ogni sacerdote può godere dell’altare privilegiato in tutti i giorni dell’anno. Termino questo capitolo ammonendoti di ricordar sempre quel detto di Sant’Ambrogio: « Tutto ciò che diamo per carità alle anime del purgatorio, si cambia in grazia per noi e dopo la nostra morte ne troveremo il merito centuplicato ».

Iesus et Maria, amores mei dulcissimi, pro oobis patiar, pro vobis moriar, sim totus vester, nihil meus: O Gesù e Maria, amori miei dolcissimi, che io per voi patisca, per voi muoia; che io sia tutto vostro, niente mio!

APPENDICE

Regolamento di vita che San Francesco di  Sales si prescrisse mentre era studente in legge all’università di Padova.

Credo farti cosa grata ed utile, mio buon chierico, riportandoti qui il Regolamento di vita che San Francesco di Sales si prescrisse quando, ancor giovane di 21 anni, era studente in legge all’università di Padova. Egli è nostro patrono e noi dobbiamo cercare di imitarlo: egli passò per pericoli più grandi di quel che non abbia forse da passar tu; ma seppe superar tutto ed uscirne illeso. Ma perchè? Perchè a tempo s’appigliò ai mezzi. Cerca anche tu ora, sul fiore della tua età, di farti un regolamento di vita adatto a te, come te ne parlai trattando degli esercizi spirituali, e poi sii costante quanto lui nel praticarlo, ed allora riuscirai tu pure a santificarti.

Francesco non aveva ne’ suoi studi altro di mira che di piacere al Signore; perciò non lasciava che il desiderio d’imparare, come talvolta avviene, assorbisse la brama e il desiderio di santificarsi. Cercava di fare ogni giorno nuovi progressi nella pietà e nella virtù, animandosi con queste parole, tratte dalla Sacra Scrittura, che si udivano pronunziare da lui varie volte, e che la storia ci tramandò : « Per qual fine sei tu al mondo ? I giorni dell’uomo sono brevi e passano come l’ombra. Facciamo il bene finché abbiamo il tempo; poiché s’avvicina la notte, in cui non si può più lavorare ». È con questo pensiero che si fece quel mirabile regolamento, serio, preciso e approvato dal direttore dell’anima sua, regolamento che formò e forma l’ammirazione di noi tutti.

E tu animati ugualmente; non volerti imporre troppe cose, ma con San Francesco di Sales sta fisso nel voler eseguire il tuo regolamento in ogni congiuntura, ad ogni costo, avessi pur da sottoporti ad ogni sacrifizio.

Questo suo regolamento si divide in quattro parti. La prima, ch’egli indica col nome di preparazione, ha per oggetto l’esame di previdenza, da farsi ogni mattina per ben passare la giornata. La seconda contiene devote pratiche, che si stabilisce di eseguire dì per dì. Nella terza si prescrive le regole per l’orazione, che egli chiama riposo spirituale, ossia sonno dell’anima in Dio. Nella quarta il santo giovane si fissa le regole da praticare nelle sue relazioni col mondo. Le due prerogative, che più risplendono nel regolamento, e che tu devi specialmente cercar d’imitare, sono: l’impegno suo di tenersi sempre alla presenza di Dio, ed il fare ogni cosa per piacere a Lui solo.

 I Della preparazione.

Io metterò sempre prima di tutte le altre cose l’esercizio della preparazione, facendolo almeno una volta al giorno, cioè la mattina. Che se mi si presenterà qualche occasione straordinaria, me ne servirò in modo particolare, e l’adoprerò come rimedio al pericolo che potrebbe sovrastarmi. E perchè la preparazione è come un foriere, che precede tutte le opere, procurerò di dispormi con essa a far bene e lodevolmente ogni mia azione.

La prima parte di quest’esercizio sarà l’invocazione: perciò, riconoscendomi esposto ad infiniti pericoli, invocherò la divina assistenza, e dirò: Se tu, o Signore, non custodisci l’anima mia, invano veglia chi la custodisce. Di più, riconoscendo che la conversazione m’ha fatto cadere altre volte ne’ mancamenti, sgriderò me stesso: O anima mia, di’ pur arditamente: dalla mia più tenera età ho sofferto frequenti persecuzioni: o mio Dio, sii mio protettore, mio luogo di rifugio; salvami dalle insidie de’ miei nemici: Signore, se vuoi puoi rendermi puro. Insomma lo pregherò di farmi degno di passare quel giorno senza peccato, al che gioverà ciò che sta scritto nel Salmo 143: «Liberami, o Signore, da’ miei nemici, giacché a te ricorro: insegnami ad eseguire il tuo volere, perchè sei il mio Dio. Il buono spirito mi condurrà nel diritto cammino, e per gloria del tuo santo nome mi vivificherai nella tua equità ».

La seconda parte è l’immaginazione, che altro non è, se non un antivedere tutto ciò che mi può accadere in quel giorno: penserò adunque seriamente a tutti gl’incontri possibili, alle compagnie nelle quali dovrò trovarmi, a quei luoghi dove sarò sollecitato di recarmi, alle occasioni che mi potrebbero inavvedutamente sopravvenire: e così congetturando i pericoli ne’ quali potrò incorrere, con la grazia di nostro Signore andrò con cautela incontro alle difficoltà ed occasioni pericolose, che potrebbero sorprendermi.

La terza parte è la disposizione: perciò dopo avere con discrezione congetturato i diversi labirinti, pei quali facilmente potrei uscire dalla buona strada e correre rischio di perdermi, considererò diligentemente, e ricercherò i mezzi per sfuggire i cattivi passi, disporrò le cose che dovrò fare, la maniera e l’ordine che dovrò tenere nel trattare i negozi, nel parlare con le compagnie, e tutto ciò che dovrò abbracciare e fuggire.

La quarta è la risoluzione: in seguito adunque agli atti precedenti farò un fermo proponimento di non offendere più Iddio, e specialmente in questo giorno, valendomi delle parole del re profeta: Ebbene, anima mia, non ubbidirai tu a Dio, dipendendo da Lui la tua salvezza? Ah! che grande viltà è il lasciarsi tirare al male, contro l’amore e desiderio del Creatore, per timore, amore, desiderio od odio delle creature, di qualunque condizione o grado siano! Certamente questo Signore d’infinita maestà, degno di infinito amore, onore e servitù, non può essere vilipeso, se non per mancanza di coraggio! Come mai opporsi alle sue giustissime leggi per ischivar i danni del corpo, de’ beni, dell’onore? Che ci possono fare le creature? Consoliamoci adunque e fortifichiamoci col Salmista dicendo: Mi facciano pure il peggio che potranno gli empi. Iddio è assai potente per soggiogarli. Schiamazzi contro di me quanto potrà il mondo, quegli che sta assiso al di sopra de’ Cherubini, è mio protettore.

La quinta parte è la raccomandazione, lo adunque rimetterò tutto me stesso, e tutto ciò che m’appartiene nelle mani dell’eterna bontà, supplicandola di sempre custodirmi. Io le abbandonerò senza eccezione, interamente, la cura di me, e le dirò con tutto il cuore: Ti ho dimandato, Signor mio e Gesù mio, una grazia, questa ti domando di nuovo, ed è, che io eseguisca i tuoi voleri tutti i giorni della mia vita. Ti raccomando l’anima mia, lo spirito, il cuore, la memoria, la volontà, l’intelletto. Fa’ ch’io sempre ti serva, ti ami, ti piaccia, ti adori.

II Sette articoli che si prescrive Francesco per passare bene i suoi giorni.

La mattina, subito svegliato, renderò grazie al mio Dio, con le parole del Salmista: Dall’alba del giorno mediterò i tuoi misteri, perchè tu sei il mio aiuto. Poi penserò a qualche mistero, come sarebbe alla divozione de’ pastori, che vennero ad adorarlo bambino, o all’apparizione di Cristo risuscitato alla sua dolcissima Madre, alla diligenza delle Marie, che prima del sole si incamminarono al sepolcro, mosse dalla pietà. Considererò che Gesù è la vera luce de’ peccatori, ed il lume de’ Gentili, che dissipa le tenebre dell’infedeltà e della colpa. Ed in seguito dirò col santo Davide: La mattina mi metterò alla tua divina presenza, considerando che l’iniquità ti dispiace, perciò la fuggirò a tutto potere.

Non mancherò di assistere ogni giorno al santo sacrificio della messa; ed affine di assistere come si conviene a quest’ineffabile mistero, inviterò tutte le potenze dell’anima mia a fare il loro dovere dicendo: Venite a vedere i prodigi che Iddio ha posto sulla terra. E soggiungerò: Andiamo fin a Betlemme, a vedere questo Verbo che si è fatto carne e che il Signore ci ha mostrato; giacché nella Chiesa appunto si forma per nostra consolazione il pane soprasostanziale con le parole che Dio pose in bocca dei sacerdoti.

Siccome il corpo ha bisogno di riposo, per sollevarlo quando è stanco per le fatiche, così è pur necessario all’anima di prendere di tanto in tanto qualche dolce sonno per riposare nel seno del divino Sposo, affine di ristorarsi. Determinerò adunque in ogni giorno certi tempi per riposare con questo sacro sonno, ad imitazione dell’amato discepolo, sul petto del Salvatore; e siccome nel sonno tutte le corporali potenze sono raccolte, così in quel tempo mi ritirerò tutto in me stesso per non estendermi in altre funzioni, se non in quelle della divina volontà ed obbedienza, dicendo a somiglianza del real Profeta: O voi tutti, che vi cibate del pane del dolore, per la considerazione delle proprie o delle altrui colpe, non sorgete nè intraprendete le fatiche ed occupazioni di questo secolo, senza che prima non vi siate riposati nella considerazione delle cose eterne.

Che se non potrò ritrovar tempo per questo sonno spirituale in altr’ora, come accadrà non di rado, ne ruberò una parte al sonno corporale; o veglierò nel letto se non posso fare altrimenti, o sorgerò dopo il primo sonno, o mi leverò la mattina più per tempo, ricordandomi della sentenza del Salvatore: Vegliate e pregate per non incorrere nella tentazione.

Se il Signore mi farà la grazia di risvegliarmi la notte, io risveglierò subito il mio cuore con queste parole: A mezza notte sorse un grido: ecco, viene lo sposo, uscitegli incontro. Andrò dunque incontro allo sposo, e, con la riflessione delle tenebre esteriori, entrerò a considerare quelle dell’anima mia e dei peccatori, e formerò la seguente preghiera ricavata dal cantico di Zaccaria: Ah Signore, poiché ti sei degnato di visitarci, per le viscere della tua misericordia, illumina quelli che camminano tra le tenebre e giacciono nell’ombra di morte, e indirizza i loro passi nella via della pace. Oppure mi servirò delle parole di Davide: Sollevate di notte le vostre mani al cielo e benedite il Signore.

Ritornerò qualche volta al mio Dio e Salvatore dicendo: No, che non dormi tu, che custodisci Israele. Le più folte tenebre della notte non mettono ostacolo a’ tuoi raggi divini. Tu, che sulla mezza notte ti degnasti di nascere dalla tua purissima Madre, puoi similmente far nascere i tuoi favori nelle anime nostre. Deh, Redentore pietoso, illumina talmente il mio povero cuore coi bei raggi della tua grazia, che giammai non resti nella notte del peccato. Non permettere che i miei nemici possan dire: L’abbiam vinto. E finalmente, considerate le tenebre e le imperfezioni della mia anima, dirò con Isaia: Custos, quid de nocte? O vigilante guardiano, resta ancor molto della notte delle nostre imperfezioni? E sentirò rispondermi: Il mattino delle buone ispirazioni è venuto; perchè ami tu più le tenebre che la luce?

E perchè i timori notturni possono talora impedire le mie divozioni, mi ricorderò del mio buon Angelo, il quale sta alla mia destra e replicherò il versetto di Davide: Il Signore mi sta alla destra affinchè non abbia a vacillare. Ti circonderà lo scudo della sua verità, e non temerai di notturne angoscia Lo scudo della confidenza in Dio mi proteggerà, sulla parola di Davide: Il Signore è il mio lume e la mia salute, e chi temerò? Il che vuol dire: Nè il sole, nè i suoi raggi sono la mia luce principale, nè la mia salvezza dipende dall’aver compagnia, ma da Dio solo, il quale m’è così propizio di notte come di giorno.

III. Del riposo spirituale, ossia dell’orazione mentale.

Mi fisserò un tempo opportuno a questo santo riposo, ed ogni giorno, quando questo tempo è arrivato, procurerò di ridurmi a memoria tutti i buoni movimenti, desideri, ispirazioni, affezioni, risoluzioni, che Dio mi ha date altre volte, e m’ha fatte gustare nella considerazione de’ suoi sacri misteri, della bellezza della virtù, della nobiltà di chi lo serve, e de’ suoi infiniti benefizi. Non mi scorderò la grazia fattami qualche volta di indebolire i miei sensi e le mie membra con le malattie, il che m’è riuscito di grande utilità. Dopo questo confermerò la mia volontà nel bene e nella irremovibile risoluzione di non voler mai più offendere Dio.

Fermerò il mio spirito nella considerazione della vanità delle grandezze, onori e comodità del mondo. Rifletterò alla loro caducità, incertezza e fine, ed all’impotenza che hanno di contentare appieno il cuore. In seguito a ciò il mio cuore li disprezzerà, sdegnerà ed aborrirà dicendo: Andatevene, oh! andatevene da me lontani, diabolici affetti: lungi da me, niente dobbiamo avere da fare io e voi, giacché siete comuni anche cogli empi ed insensati; cercate pure altrove chi vi riceva e desideri.

Mi fisserò nella considerazione della deformità, abiezione, e deplorabile miseria che si ritrova nel vizio, e nelle anime che vi sono ingolfate; e poi, senza turbarmi ed inquietarmi dirò: Il peccato è cosa indegna di una persona bennata e che vuole profittare nel bene; esso non porta mai un gaudio vero; non contenta che l’immaginazione; attira nel cuore mille ansietà, inquietudini, amarezze e supplizi; ma quando anche non fosse, basta sapere che dispiace a Dio per doverlo detestare.

Mi riposerò dolcemente nella considerazione dell’eccellenza della virtù; della virtù, dico, la quale è in sè, nobile, generosa, potente, dotata di attrattive ammirabili. È essa che rende l’uomo interiormente ed esteriormente bello; è essa che rende l’uomo caro al suo Creatore, essendo propria dell’uomo. È essa ancora che in ogni tempo gli reca consolazione e delizie, lo santifica, lo cambia in angelo, ne forma una piccola divinità e gli dà in terra un paradiso.

Ammirerò la bellezza della ragione data da Dio all’uomo, come luce con cui, scoprendo ciò che è male o bene, fa amare la virtù ed abbominare il vizio. E certamente se noi seguissimo il lume datoci da Dio per vedere dove dobbiamo mettere i piedi, se noi ci lasciassimo condurre da’ suoi dettami, raramente inciamperemmo, e difficilmente cadremmo in peccato.

Pondererò attentamente i rigori della divina giustizia, la quale senza dubbio non risparmierà quelli che abusano de’ doni della natura e della grazia. Questi tali devono grandemente paventare i divini giudizi, la morte, il purgatorio, l’inferno. Risveglierò adunque la mia pigrizia ed infingardaggine, replicando con frequenza queste parole: Ecco che ogni giorno me ne vo morendo; a che mi gioverà la primogenitura e l’abbondanza dei beni presenti e quanto v’ha di bello al mondo? Meglio è che io disprezzi ogni cosa, e vivendo nel timore filiale di Dio, sotto l’osservanza de’ divini precetti, io mi applichi a crescere in spirito, ed a procurarmi i beni della vita futura.

Contemplerò l’infinita potenza, sapienza e bontà di Dio, attributi che risplendono mirabilmente nella vita, passione e morte del nostro Salvatore, e nell’eminente santità della Beata Vergine nostra Signora, e nelle perfezioni dei fedeli servi di Dio che noi dobbiamo imitare. Di là passando al paradiso, ammirerò la sua gloria, la perpetua felicità dei beati, e come la SS. Trinità manifesta la grandezza dei suoi attributi coi premi, che fanno beati quei felici abitatori.

Mi addormenterò infine nell’amore della sola ed unica bontà di Dio: la gusterò, se posso, in se medesima, e non solamente ne’ suoi effetti; berrò quest’acqua di vita, non già con i vasi delle creature, ma al fonte medesimo: gusterò quanto sia buona in sè, buona a sè, buona per se medesima, questa adorabile Maestà, essendo la bontà medesima, tutta bontà, eterna, indeficiente, incomprensibile. O Signore, dirò, tu solo sei buono per natura e per essenza, tu solo sei necessariamente buono; le creature tutte non sono buone, se non perchè sono partecipazione della infinità bontà tua.

IV. La santa Comunione.

1. Quando vedrò da lontano una chiesa, la saluterò con quel versetto di Davide: Vi saluto, o chiesa santa, le cui porte sono state più amate da Dio, che tutti i tabernacoli di Giacobbe. Indi considererò l’antico tempio, e facendo confronto, vedrò quanto più augusta è la minima delle nostre chiese di quello che fosse il tempio di Salomone, perchè sopra i nostri altari si offerisce il vero Agnello di Dio per ostia pacifica dei nostri peccati. Se non potrò entrare in chiesa, adorerò da lontano il SS. Sacramento, anche con qualche atto esteriore, levando il mio cappello e piegando le ginocchia se la chiesa è vicina, senza badare a ciò che mi diranno i miei compagni.

Mi comunicherò più spesso che potrò, secondo il parere del confessore, ed almeno non lascerò passare le domeniche senza mangiare questo pane azimo, vero pane del cielo; poiché, come potrebbe essere per me la domenica vero giorno di riposo, se non potessi ricevere l’Autore del mio eterno riposo?

La vigilia del giorno della comunione scaccerò dalla mia casa, cioè dalla mia coscienza, tutte le immondizie dei miei peccati, con una accurata confessione, nel far la quale, userò tutta la necessaria diligenza per non essere poi molestato da scrupoli; ed all’incontro lascerò da parte le cose inutili, vane ed inopportune.

Se mi sveglio la notte, rallegrerò l’anima mia dicendo per consolarla dagli orrori notturni che mi molestano: Anima mia, perchè sei tu malinconica, e perchè ti conturbi? Ecco che viene il tuo sposo, la tua gioia, il tuo salvatore, andiamogli incontro con una santa allegrezza e con un’amorosa confidenza.

Venuto il giorno mediterò la grandezza di Dio e la mia bassezza, e con cuore umilmente allegro canterò con la santa Chiesa: O ammirabil cosa! Il povero e vii servitore alloggia il suo Signore, e lo riceve e lo mangia (Inno del SS. Sacram.). Sopra di ciò farò vari atti di fede e di confidenza, meditando quelle parole del santo Evangelo: Se qualcuno mangia di questo pane, vivrà in eterno.

Avendo ricevuto il SS. Sacramento, darò tutto me stesso a colui che ha dato tutto se stesso per me. Non avrò più affetto alcuno per cosa veruna, sì del cielo che della terra, dicendo: Che cosa voglio io in cielo e che mi resta da desiderare in terra, se ho il mio Dio, che è il mio tutto? Io gli dirò semplicemente, riverentemente e confidentemente tutto ciò che il suo amore mi suggerirà, e mi risolverò di vivere secondo la santa volontà del Signore, che mi nutrisce colla sua propria carne.

Quando mi sentirò arido e secco nella santa comunione, mi servirò dell’esempio dei poveri quando hanno freddo, perchè non avendo da far fuoco, camminano e fanno esercizio per riscaldarsi. Raddoppierò le mie orazioni, e la lettura di qualche trattato del SS. Sacramento da me umilissimamente e con ferma fede adorato. Iddio sia benedetto.

V. Regole per la conversazione.

Prima di tutto devo distinguere tra conversazione ed incontro: l’incontro viene a caso, e la conversazione avviene per elezione. Nell’incontro per lo più la compagnia non è durevole, non grande la familiarità che si usa, onde non ingenera troppa affezione; ma nelle conversazioni si usano confidenze, si va spesso a visitare quelle persone che si scelsero per avere con loro qualche soave trattenimento.

Negli incontri non dimostrerò giammai avversione a chichessia; poiché questo fa passar l’uomo come persona orgogliosa, arrogante, severa, satirica, sindacatrice. Mi guarderò anche dalla troppa famigliarità, fosse pure colle persone domestiche, perchè questo dagli altri potrebbe essere attribuito a leggerezza. Non mi prenderò libertà di fare o dire cosa che non sia ben regolata, per non comparire insolente o senza moderazione. Starò attento per non offendere con parole o con motti piccanti e mordaci o di disprezzo il mio prossimo, essendo sproposito pretendere di disprezzare o deridere chichessia, senza incorrere l’odio di chi non ha motivo di sopportarci. Onorerò ognuno in particolare, osserverò la modestia, parlerò poco e bene, affinchè la compagnia parta edificata dal mio incontro anziché annoiata. Se rincontro è breve, e che qualcuno abbia già incominciato a parlare, il meglio sarà di non far altro che salutare la compagnia e tenermi con un contegno nè austero nè malinconico, ma bensì modesto ed onestamente libero.

Quanto alla conversazione, sarà questa con poche ed onorate persone, essendo troppo malagevole di riuscire, in compagnia di molti, a non imparare il vizio dagli empi. Osserverò particolarmente questo precetto: Amico di tutti, familiare di pochi. Benché dovrò usare giudizio e prudenza anche in questo, perchè non vi è regola così generale, che non abbia le sue eccezioni, eccettuata questa: Nulla contro Dio, fondamento di tutte le altre. Nella conversazione adunque sarò libero senza austerità, modesto senza insolenza, dolce senza affettazione, docile senza contraddire, fuorché non lo volesse la ragione, cordiale senza dissimulazione; e perchè gli uomini si compiacciono di conoscere quelli coi quali trattano, converrà aprirsi più o meno secondo le compagnie.

Essendo, non di rado, necessario di conversare con persone di qualità differenti, devo ricordarmi che con alcuni non dovrò parlare che delle cose richieste, con altri di cose buone, con altri di indifferenti, ma con niuno di cose cattive. Co’ superiori di età, di professione, di autorità, discorrerò solo delle cose sopra le quali sarò interrogato. Con uguali, di cose buone; cogli inferiori parlerò anche di cose indifferenti. Quanto alle cose cattive, ai difetti di animo e di corpo, o cose ributtanti, non conviene giammai scoprirle a chichessia; poiché queste cose non possono che offendere gli occhi di chi le vede, e rendere deforme l’uomo che le ha. Di fatto i grandi non ammirano che le cose squisite e ricercate; le quali poi dagli uguali sarebbero attribuite a troppa affettazione, e dagl’inferiori a troppa gravità. Alcuni spiriti melanconici si compiacciono di conoscere i vizi degli altri; ma a questi devono nascondersi anche più, come quelli i quali avendo più forte l’impressione, non si persuadono poi di nulla; filosoferebbero dieci anni sopra la minima imperfezione. E poi a che effetto loro scoprire i nostri mancamenti? Troppo si veggono e discoprono da sé. È bene confessarli, non già manifestarli agli altri. Tutto questo deve intendersi con discrezione, essendo cosa buona il sapersi accomodare alla varietà delle compagnie, purché si faccia senza pregiudizio della virtù.

Se avrò a conversare con persone libere, insolenti, o melanconiche, userò questa precauzione: agl’insolenti m’asconderò del tutto; con le libere, purché temano Dio, mi discoprirò tutto affatto e parlerò loro col cuore alla mano. Colle melanconiche starò, come si suol dire, alla finestra: cioè mi mostrerò, ma solo in parte: mi mostrerò perchè queste sono grandemente curiose d’investigare i cuori degli uomini, e se si sta in riserbo, entran in sospetto; e mi nasconderò anche in parte, perchè, per esser soggetto ad osservar troppo da vicino chi le frequenta, sogliono notare troppo le condizioni di chi con loro conversa, e filosofare troppo sopra di loro.

Se la necessità mi obbliga a conversare coi grandi, starò come al fuoco; cioè mi accosterò, ma non troppo da vicino, e starò alla loro presenza con singolare modestia, accompagnata però da una onesta libertà. I grandi vogliono sempre essere amati e stimati; l’amore genera la libertà, e la riverenza genera la modestia. Il rispetto però deve stare al disopra. Con gli uguali sarò ugualmente libero che rispettoso. Cogli inferiori la libertà deve essere superiore alla riverenza.

Questo regolamento era scritto in latino e sottoscritto: Francesco dì Sales studente di legge in Padova. Se lo trascrisse in principio ed in fine del libro di preghiere che adoperava ogni giorno per poterlo avere più continuamente sotto


[261] « Qui vult post me venire abneget semetipsum (MATTEO, XVI, 20).

[262]Facilius est camelum per foramen acus transire, quam divitem intrare in regnum coelorum(Matteo, XIX,24)

[263] Sic ergo omnis ex vobis qui non renuntiat omnibus quae possidet, non potest meus esse discipulus( Luca, XIV,33)

[264] Factumest autem, ut moreretur mendicus et portaretur ab angelis in sinum Abrahae. Mortuus est autem et dives, et sepultus est in inferno. ( Luca, XVI,22)

[265] « lucundus homo qui miseretur, et commodat; in aeternum non commovebitur » .

[266] « Dispersit, dedit pauperibus, iustitia eius manet saeculum saeculi, cornu eius exaitabitur in gloria Saimi, CXI).

[267] « Divitiae si affluant nolite cor opponere » (Salmi LXI, 11).

[268]Qui utuntur hoc mundo tanquam non utantur (I Cor., VII, 31).

[269] Habentes alimenta et quibus tegamur, his contenti sinms » (I Tim., VI, 8).

[270] « Neo quisquam corani quao possidebat, aliquid suum esse dicebat, sed eraut illis omnia oommunia» (Act, IV, 32).

[271] Habentes alimenta et quibus tegamur his  contenti simus »(I Tim. VI,8)

[272] « Ego sum pauper et dolens » (Salmi, LXVIII, 30)

[273] Ego vir videns paupertatemmeam(Treni III,1)

[274] Unicus et pauper sum ego ( Salm XXIV,16)

[275] Nolite me considerare quod fusca sim quia decolorabit me sol. ( Cant, I, 5)

[276] Nihil habentes, omnia possidentes.

[277] “De la vie et des vertus chrètiennes “di Mons. Charles Gay

[278] Beatus vir, qui inventus est sine macula, et qui post aurum non abiit, nec speravit in pecunia, et thesauris.Quis est hic, et laubimus eum? Fecit eim mirabilia in vita sua. ( Ecclesiastico, XXXI,8-9)

[279] Oculi eius in pauperem respiciunt.( Salmi, X,4)

[280] Et factus est Dominus refugium pauperi: adiutor in opportunitatibus, in tribulatione( Salmi IX,9)

[281] Factus est fortitudo pauperi, fortitudo egeno in tribulatione sua, spes a turbine: umbraculum ab aestu.( Is, XXV,4)

[282] Non deerunt pauperes in terrahabitationis tuae, idcirco ego praecipio tibi ut aperias manum fratri tuo egeno et pauperi, qui tecum versatur in terra. ( Deut. XV,11)

[283] Paupertas non inveniebatur in coelis, in terris abundabat, et nesciebat homo pretium eius. Hanc itaque Dei Filius coneupiscens, descendit, ut eam diligat sibi, et nobis faciat pretiosa » (Serm. de Naliv. Virg.).

[284] Vulpes foveam habent, et volucres coeli nidos, filius autem hominis non habet ubi caput reclinet.( Matteo, VIII,20)

[285] « Si "Vis perfectus esse, vade, vende quae habes et da pauperibus » .

[286] « Radix omnium malorum est cupiditas »(Tim. VI, 10).

[287] « Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum coelorum » (Matteo, V, 3).

[288] Generatrix nutriixque omnium virtutum( In Ep. I ad Tim.; VI)

[289] Diligant eam ut matrem

[290] Trahe me: post te curremus in odorem unguentorum tuorum (Cant.I,3)

[291] Nihil coinquinatum in eam incurrit ( Sapienza VII, 25)

[292] Caro et sanguis regnum Dei possidere non possunt ( I Cor. XV,50)

[293] Foris canes et impudici(Apoc. XXII, 15)

[294] Frumentum electorum, et vinum germinans virgines ( Zach. IX, 17)

[295]"Vos autem estìs corpus Christi et membra de membro” (I Cor., XII, 27).

[296] « Nesctitis quoniam corpora vestra membra sunt Christi? (Ibid VI, 15).

[297] « An nescitis quoniam membra vestra templun sunt Spiritus Sanctì qui in vobis est? »

[298]« Haec est voluntas Dei santificatio vestra »(Tess., IV, 3)

[299]« Non enim Deus vocavit nos in immunditiam, sed in sanctiflcationem

[300] « Ne quis fornicator et profanus » (Ebr., XII, 16)

[301] « Mniier imrapta et virgo cogitat quae Domini sunt, ut sit sancta corpore et spiritu » (I Cor., VII, 34)

[302] « O quam pulcra est casta generatio cum claritate: immortalis est enim memoria illius quoniam et apud Deum nota est et apud homines » (Sap., IV, 1).

[303] « Sequuntur agnum quocumque ierit » (XIV, 4)

[304] « Quicumque fecerit voluntatem Patris mei, qui in coelis est, ipse meus frater et soror et mater est » (Matteo, XIII, 50)

[305] « Hi sunt, qui cum mulieribus non sunt coinquinati, virgines enim sunt » (Apoc., XVI, 4).

[306] « O sancta et immaculata virginitas quibus te l audibus efferam nescio »

[307] « Cum timore et tremore ».

[308] Habemus thesaurum istum in vasis fictilibus» (II Cor., IV, 7)

[309] Numquid potest homo abscondere ignem in sino suo, ut vestimenta illius non ardeant? Aut ambulare super prunas, ut non comburantur plantae eius? » (.Prov., VI, 27).

[310] « Qui tetigerit picem inquinabitur ad ea et qui communicaverit superbo, induet superbiam » (Eccli., XIII, 1)

[311] « Factus oboediens usque ad mortem » (Filipp. II, 8).

[312] «Veni, sequere me » (Marco, X, 21)

[313] « Qui quaerit legem, replebitur ab ea » (Eccli XXXII, 10)

[314] « Omnis anima potestatibus sublimioribus subdita sit: non est enim potestas nisi a Deo: quae autem sunt, a Deo ordinatae sunt » (RomXIII,1)

[315] « Qui resistit potestati, Dei ordinationi resistit; qui autem resistunt, sibi damnationem acquirunt » {Rom., XIII, 2)

[316] « Quasi fìlli obeedientiae » (I Pietro, I, 14).

[317] « Qui resistit potestati, Dei ordinationi resistit » (Bom., XIII, 2).

[318] « Ipsi enim pervigilant quasi rationem pro animabus vostris reddituri » (Ebrei, XIII, 17).

[319] «Custodite ieges meas atque iudicia, quae faciens homo vivet in eis » (Lev., XVIII, 5)

[320] « Coniungere Deo et Bustine ut crescat in novissimo vita tua » (Ledi., II, 3).

[321] « In mandatis ejus epulabuntur » (Eccli., XXXIX, 37)

[322] « Obedientia in creatura rationali mater quodammodo est omnium, custosque virtutum » (Sant’Acostino. De Civ. Dei, lib. 14°, cap. XII)

[323] « Obedientia sola virtus est quae virtntes caeteras menti inserit, insertasque custodit » (San GreeoRio, Moralia, lib. 25°, cap. XII).

[324] Omnis qui facit peccatum servus est peccati (Jov. VIII,34)

[325] Servi obedite dominis carnalibus… in simplicitate cordis vestri sicut Christo… cum bona voluntate servientes, sicut Domino, et non hominibus(Efes. VI,5,7)

[326] « Virtue in infirmitate perficitur » (II Cor., XII, 9).

[327] « Subditi estote in omni timore dominis, non tantum bonis et modestis, sed etiam dyscolis » (I Petri, II, 18)

[328] nunquam expectat, sed solam praelati voluntatem sciens vel credens ferventer exequitur pro praecepto(De virt. III)

[329] Nonne Deo subiecta erit anima mea?Ab ipso enim salutare meum( Salmi, LXI,1)

 

[331] « Si quis videtnr inter vos sapiens esse in hoc eaeculo, stultus flat ut sit sapiens » (I Cor., Ili, 18).

[332] «Ne innitaris´prudentiae tuae » (Prov., Ili, 5).

[333] « Ne iudices contra iudicem, quoniam secundum quod iustum est iudicat » (Eccli., Vili, 17).

[334] « Obedite praepositis vestris, et subiacete eis... ut cum gaudio hoc faciant et non gementes » (Ebrei, XIII, 17).

[335] « Deus impossibilia non iubet: iubendo monet facere quod possis, petere quod non possis, et adiuvat ut possis ».

[336] « Exemplum enim dedi vobis, ut quemadmn- idum ego feci vobis ita et vos faciatis » (Gtov., XIII, 15).

[337] Videns ordinerà vestrum et flrmamentum eius » (Coloss., II, 5).

[338] « Ne forte contenti ones... dissentiones... sint inter vos » (II Cor., XII, 2).

[339] Accipite disciplinam et polite abiicere eam ».

[340] Tene disciplinam, ne dimittas eam, custodi illam: quia ipsa est vita tua »

(1)                  [341] « Est processio in malis viro indisciplinato » {Eccli., XX, 9).

[342] « In medio magnatorum non praesumas, et ubi sunt senes, non multum loquaris » (Eccle. XXXII, 13).

 

[343] « Ex yìsu cogTLOScitur vir, et ab occursu faciei cognoscitur sensatus... et risus dentium, et ingressus hominis enuntiant de ilio » (Eccli., XIX, 26-27).

[344] « Detestafrus sum disciplinarti, et increpationibus non acquievit cor meum, nec audivi vocem docentium me, et magistris non inclinavi aurem meam » (Prov V, 12-13).

(1)                  [345] « Tene disciplinam, ne dimittas earn, custodi illam, quia ipsa est vita tua ».

[346]« Subicit se Deo, non solum quantum ad actum, sed etiam quantum ad potestatem, quia de coetero non potest aliud tacere ».

[347] « Quis ascendet in montem Domini, aut quia stabit in loco sancto eius? Innocens manibus et mundo corde ».

[348] « Ascensiones in corde suo disposuit » (Salmi, LXXXIII, 6).

[349] «Noli fieri pro amico inimicus proximo» (Ec- cli., VI, 1).

[350] « In Christi villula tota rusticitas, et extra psal- mos silentium est. Quocumque te verteris, arator sti- vam tenens alleluia decantat, sudans messor psalmis se avocat, et curva tondens vitem falce vinitor ali quid Davidicum canit ».

[351] « Labia... sacerdotis custodient scientiam et legem requirent ex ore eius » (Malac., II, 7).

[352]  « Quia tu scientiam repulisti, repellam te, ne sacerdotio fungaris mihi » (Osea, IV, 6).

[353] Non plus sapere, quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem » (Rom., XII, 3).

[354] « Non alta sapientes, sed humilibus consentien- tes » db., XII. 16

[355] « Nisi grammi tramenti cadens in terrain mor- tuum fuerit, ipsum solum manet; si autem mortuum fuerit, multum fractum affert » (Giov., XII, 24-25).

[356] Ja Nondum usque ad sanguinerà restitistis » (Ebrei, XII, 4).

 

[357] « Si quis vult post me venire, abneget seme- tipsunv» (Matteo, XVI, 24).

 

[359] Non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem » (Rom., XII, 3).

[360] « Exerce te ipsum ad pietatem. Nam pietas ad omnia utilis est, promissionem habens vitae, quae nunc est, et futurae » (I Tim., IV, 7, 8).

[361] « Dovotio est voluntas quaedam prompts tradenti se ad ea quae pertinent ad Dei famulatum » (2, 2, 82).

[362] «Populus hic labiis me honorat, cor autem eorum longe est a me » (Matteo, XV, 8)

[363] Fervorem esse existimo cupidi tatem vehemen- tem placendi Deo in omnibus ».

[364] « Charitas operatur multa et reputat pauca, operatur magna et reputat parva »

[365] « Quia tepidus es, incipiam te evomere de ore meo’» (Apoc., Ili, 16).

[366] « Maledictus homo qui facit opus Dei negligente? ».

[367] « Sine me nihil potestis tacere » (Giov., XV, 5).

[368] « Si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis » (Giov., XVI, 23).

[369] « Oportet semper orare et non deflcere * (Luca, XVIII, 1).

[370] « Erat pernoctans in oratione Dei » (Luca, VI, 12)

[371] « Semper vi vena ad interpellandum pro nobis » (Hebr., VII, 25)

[372] Semper..., omni tempore..., sine intermissione»

[373] «Ambula coram me, et esto perfectus * (Oen., XVII, 1)

[374] Cantantibus organis, corde suo Deo decan- tabat ».

[375] Manu quidem pugnantes, sed Dominimi cor- dibus orantes • {Mac., XV, 57).

[376] «Si cor non orat in vanum lingua laborat ».

[377] « Quaerite primum regnum Dei et iustitiara eius et haec omnia adiicientur vobis ».

[378] « Diligentibus Deum omnia cooperantur in bo- num » (Rom., Vili, 28)

[379] « Quid ergo dicemus ad baee? Si Deus pro nobis qui contra nos? Qui etiam proprio Filio non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit ilium, quomodo non etiam cum ilio omnia nobis donavit? » (Ib., Vili, 31,32)

[380] « Porro unum est necessarium. Maria optimam partem elegit » (Luca, X, 42).

[381] « Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam, quo- niam ipsi sa turatomi tur » (Matteo, Y, 6).

[382] « Qui amat penculum in ilio penbit III, 27).

[383] « Ego pro eis rogo... Pater sancte, serva eos in nomine tuo, quos dedisti mihi, ut sint unum, sicut et nos » (Giov.,

[384]  « Rursus crucifigentes sibimetipsis filium Dei( Ebr.VI,6)

[385]  « Fuerunt mihi lacrymae meae panes die ae nocte... » (Salmi, XLI, « Lacrymis meis stratum menni rigabo » (ibid., VI, 7).

[386]  « Misericordiae Domini quia non sumus con- sumpti » (Treni, III, 22)

[387] « Hic est pania qui de coelo descendit. Non sicut manducaverunt patres vestri manna et mortai Bunt; qui manducat Imnc panem vivet in aeternum» (S. Giov., VI, 59)

[388] « Si nosmetipsos diiudicaremus, non utique iudicaremur » (7 Cor., XI, 31).

[389] « Succidite ergo illam; ut quid terrain occupat? » (Luca, XIII, 7).

[390] « Sine isto studio omnis religio est arida, imperfecta, et ad ruinam promptior » (De Prem. Relig., I, 2, c. 69).

[391] Intellectus cogitabundus est principium omnis boni » (In Libr. Sent. III).

[392] « Nisi quod lex tua meditatio mea est, tunc forte periissem in humilitate mea » (Salmi CXVIII,92)

[393] « Lucerna pedibus meis verbum tuum, et lumen semitis meis » (Salmi, CXVIII).

[394] Oratio humiliantis se, nubes penetrabit( Eccli.; XXXV,21)