IL RETTOR MAGGIORE: L'eccidio di Mons. Luigi Versiglia e di D. Callisto Caravario in Cina pag. 852
ATTI DEL CAPITOLO SUPERIORE
II Rettor Maggiore.
J. M., J.
Carissimi Confratelli e Figli in Nostro Signore Gesù Cristo,
La dolorosissima notizia dell'uccisione dei nostri eroici Missionari Monsignor Luigi Versiglia e D. Callisto Caravario ci fu comunicata telegraficamente da Hong Kong il 28 febbraio con tre parole: « uccisi dai pirati ».
Quasi contemporaneamente le Agenzie di pubblicità la divulgarono con affrettate ricerche quotidiane di particolari più o meno plausibili sull'orrendo misfatto.
Da parte nostra, dolorando e adorando le disposizioni della divina Provvidenza, abbiamo sollecitato sull'istante notizie telegrafiche dettagliate e precise. Queste arrivarono successivamente in un crescendo impressionante di particolari barbari e gloriosi ad un tempo, che il telegramma del 9 marzo espose con ordine e semplicità evangelica, quasi lettera mortuaria, miniata di palme con il sangue delle vittime.
Eccola:
Mons. Versiglia, Don Caravario, catechistesse e maestri, mene tre risalivano il fiume verso Lin Chow, furono assaliti da una dozzina di pirati e derubati di quanto avevano. Avendo poi i pirati tentato di rapire le catechistesse ed essendosi opposti risolutamente i missionari, i briganti si scagliarono su questi insultando la religione e li bastonarono, fracassando loro le braccia: indi trascinatili in una boscaglia, li massacrarono, fucilarono e seppellirono. I loro cadaveri sono stati ricuperati: sono pure state liberate le catechistesse che fanno testimonianza dell'eroica fine di Monsignor Versiglia e di Don Caravario.
Ai confratelli caduti sul campo dell' apostolato per la propagazione della fede e per la difesa dell'onestà di catechistesse, già consacrate, o già iniziate alla consacrazione di se stesse al Dio d'ogni purezza, ben si addiceva una simile lettera mortuaria, che è la più breve e la più
sollecitamente comunicata a tutti, fra quante furono redatte finora in Congregazione. Quale contrasto tra l'efferatezza degli assassini che incrudeliscono nel lungo martirio delle lor vittime, e l'eroismo di questi che non cedono alle loro nefande richieste se non quando sono ridotti all'impotenza dalle percosse, dalle ferite e dalla rottura delle braccia!
Non par quasi che i nostri confratelli della Cina con questo lor messaggio telegrafico si siano appropriate le parole di S. Ambrogio, nell'elogio di S. Agnese: Appellabo martyrem, praedicavi satin.:. Prolixio laudatio est, quae non quaer0, sed tenetur, Sono martiri ed abbiamo detto tutto: è superfluo ogni elogio dinanzi alla realtà dell'eroica lor morte, nota ormai a tutto il mondo.
Per questo dalla Cina non è stata "spedita alcuna lettera mortuaria, e neppure lo sarà questa mia, perchè con essa intendo solo comunicarvi a comune edificazione, alcune delle numerose particolarità contenute nelle relazioni ricevute, onde sia in più chiara luce la grandezza del loro e nostro sacrifizio.
Con questo però non intendo derogare alla preziosa tradizione ricevuta dal Beato Padre delle Lettere mortuarie che sono destinate a coronare la mutua carità f rdteìna che univa quaggiù i nostri cuori ai confratelli entrati nel regno, di Dio; a sollecitare più copiosi suffragi per loro e ad arricchire di nuovi esempi di virtù religiose il patrimonio sociale della nostra perfezione. L'eccezione conferma la regola per l'eccezionalità stessa della morte degli ottimi e gloriosi nostri missionari.
Dalle varie relazioni avute e anche dai giornali — primo tra i quali L'Osservatore Romano, che ha pubblicate le notizie sicure dell'Agenzia Fides, gran parte dell'elogio funebre letto ai solenni funerali nel santuario di Maria Ausiliatrice, dal missionario D. Braga, ed ultimamente una particolareggiata relazione del P. Gallagher, missionario in Cina della C. di Gesù — possiamo ricostruire con relativa precisione lo svolgimento del luttuoso avvenimento.
Si sa che la Cina 'é'in continue guerre e le bande di rapinatori vi regnano sovrane; ma i missionari non ci badano troppo per la sete d'anime che li sospinge, e perchè finora, tutte le volte ch'eran caduti nelle lor mani avevan potuto, grazie a Dio, uscirne incolumi. Anche Mons. Versiglia, nelle sue escursioni e visite apostoliche era stato catturato quattro volte dai pirati. Una volta, anzi, egli venne fatto prigioniero nello stesso punto ove ora è stato trucidato. La località si presta,
perchè il fiume delle Perle fa in quel punto uno stretto gomito ed i monti vicini offrono una facile ritirata in caso di insuccesso. Ma poi riusciva
a trarsi d'impiccio. Una volta i briganti si accontentarono di spogliarlo d'ogni cosa, impossessandosi di una raccolta di oggetti locali che egli aveva collezionati per la Mostra missionaria di Torino.
Ultimamente le cose parevano così migliorate, che Monsignore, appena un mese e mezzo prima della sua fine, poteva scrivere alla sua veneranda mamma: Pericolo nessuno affatto; e D. Caravario dalla sua residenza di Lin Chow assicurava pure la sua mamma: Qui siamo in perfetta pace e tranquillità.
Monsignore compiva ogni anno la visita pastorale dei distretti del suo Vicariato, eccetto quello di Lin Chow, dove non poteva recarsi già da quattra anni, causa le guerre e le perturbazioni che vi regnavano. Ma il bene delle anime e lo sviluppo della Missione esigevano la sua presenza, e Monsignore decise di recarvisi, benchè non fosse troppo consigliabile. Tuttavia da alcuni indizi sembrava che i tempi fossero tornati normali e che la via non avrebbe dovuto essere tanto più pericolosa. Infatti il nostro caro confratello Cinese Michele Leung Kai Man della Casa di Lin Chow, che ai primi di gennaio aveva accompagnato D. Guarona a Shiu Chow, essendo nel ritorno stato preso ben due volte dai pirati, n'era lasciato libero appena riconosciuto appartenente alla Missione. E D. Caravario di là era venuto a Shiu Chow per prendere e accompagnare Monsignore, senza che gli succedesse nulla di grave. Monsignore perciò, che aveva appunto compiuta la visita nel nord e nell'Est del suo Vicariato, dopo qualche giorno di riposo a Shiu Chow, si dispose a rimettersi in viaggio per continuare la visita pastorale nel sud e nell'ovest.
La partenza avvenne il 24 febbraio. Erano con Monsignore: D. Caravario e sei Cinesi, cioè, due giovani maestri dell'Istituto Don Bosco; la suora T'ong Maria, delle Cuneon, istituite da Monsignore stesso, che era destinata a fungere da catechistessa nella stazione missionaria di Lin Chow; due maestre della scuola normale di Maria Ausiliatrice ed un fanciullo di dieci anni, di nome Apiao.
Il mattino 25 febbraio, a Lin Kong How, dove avevano pernottato, s'imbarcarono su d'un battello coperto, per iniziare il viaggio di dieci giorni che li doveva portare a Ham Kwong, Yeung Shan, Lin Chow., ecc.
La narrazione di quanto segue è dei maestri e dei barcaiuoli che ne furono testimoni.
Vogando contro corrente, la barca era entrata nel Shiu Kak Kong (il piccolo Nord River), ed oltrepassato, alle 11, il piccolo affluente Shiu Pin, verso mezzodì era vicina al piccolo villaggio Li Tàu Tseui, sulla sponda sinistra del fiume. Qui l'insenatura del luogo si presta, come abbiam detto, alle imboscate. I nostri avevano appena terminata la recita in comune dell'Angelus, che s'udì una voce rozza gridare con forza:
I barcaiuoli dovettero ubbidire, perchè circa una dozzina di uomini armati li avevan presi di mira. I rapinatori erano infatti ben forniti di fucili, di rivoltelle e di una mitragliatrice.
Appena la barca si fu alquanto appressata, domandarono quei della riva:
In quel momento i pirati scorgono la suora cinese e le due maestre, fino allora nascoste dalla tenda del .battello, e si precipitano su di esse per trascinarle alla riva. Le tre gioóari donne in preda al terrore, stridono, invocano il Signore e, con lamentevoli invocazioni, si aggrappano a Monsignore e a D. Caravario, che fanno di tutto per impedire ai banditi di rapirle. Questi imprecano, bestemmiano e tentano di incendiare la piccola imbarcazione, ma Monsignore riesce a spegnere le fiamme. Poi, udendo che i missionari e i cristiani invocavano Iddio; i pirati esclamano:
Non è Dio che ,,voi dovete invocare, ma noi! — Il Vescovo tenta con gentili parole cl`l intenerire i loro cuori, mentre con lo sguardo indica il cielo alla catechistessa che lo tiene stretto per la mano. Gli assalitori si inferociscono e .percuotono ripetutamente i due missionari con i calci dei fucili e con grossi tronchi di legna da ardere. Sono sparati anche due colpi di fucile, che per dichiarazione unanime dei testimoni dovevano colpire i missionari, ma che fallirono la mèta, in seguito alla discordia tre( i pirati, alcuni dei quali erano contrari alla violenza e strappavano i fucili a quelli che tiravano.
Intanto i due missionari continuano a fare ogni sforzo possibile per proteggere le giovani, ma le percosse li riducono ben presto all'impotenza e quasi esanimi. Allora i banditi fanno un altro tentativo di impossessarsi delle religiose. Una riesce a gettarsi nel fiume per sfuggire ad un'ingiuria peggiore della morte, ma è subito estratta e trascinata a viva forza alla riva con le altre due. Vengono pure fatti scendere i due missionari, più morti che,vivi. Però D. Caravario riesce ancora a camminare con grande stento, mentre Monsignore non può più muoversi.
I pirati gli strappano la catena e la croce pettorale, rovistano le sue tasche e quelle di D. Caravario, cercando denaro o valori, ma non trovano nulla. Tutto il denaro che essi possedevano, circa trenta dollari, era nascosto in uno dei cesti di viaggio. Poi legano ad entrambi le braccia dietro la schiena e son lasciati per qualche tempo soli, mentre i briganti trasportano il bagaglio dal battello. Dapprima i maestri e i barcaiuoli sono tenuti a bada con i fucili spianati, ma poi per fare più presto, li forzano ad aiutarli. Uno dei banditi diceva agli altri : — Questi oggetti vengono dalla Missione cattolica, non li toccate — ma son parole buttate al vento. I rapinatori mettono da parte tutto ciò che può a loro servire; il resto (vestiti, libri, quadri) accatastano in un mucchio e bruciano davanti agli occhi dei missionari e delle religiose, che stavano sotto guardia, ad una certa distanza.
I maestri e i barcaiuoli sono ancora costretti a trasportare le cose rubate ad un posto più lontano e più sicuro; e poi cacciati dal posto, sono obbligati ad entrare nella barca e ad allontanarsi, remando, seguiti da uno dei pirati, finchè furono fuor di vista.
Qui cessa la narrazione dei maestri e degli uomini della barca; ma per divina disposizione, alcuni dì appresso sono state prodigiosamente messe in libertà e incolumi le tre giovani religiose, direttamente coinvolte nei fatti, e che perciò furono testimoni di tutta l'orrida scena. La lor testimonianza circa i fatti esposti sopra, è identica a quella dei maestri e dei barcaiuoli, cosa che avvalora la narrazione delle successive barbarie, delle quali sono state esse sole le doloranti spettatrici.
v — Quando i nostri uomini furono lontani — hanno continuato esse — i pirati condussero i missionari e noi tre nella foresta. Eravamo divisi in due gruppi, ma abbastanza vicini per vederci l'un l'altro. Per non dovere portare seco troppa preda inutile, i pirati rovistarono ancora una volta le cose rubate e diedero fuoco a ciò che non potevano adoperare immediatamente.
» Durante tutto questo tempo essi imprecavano con il più terribile linguaggio contro Dio, la Chiesa, gli stranieri e contro il Governo nazionalista, dalla quale circostanza si potrebbe dedurre che fra essi c'erano dei comunisti. Poi tennero consiglio sul modo più pratico di uccidere i missionari. Quando udimmo ciò, implorammo dai banditi di uccidere anche noi, perchè volevamo morire con i Padri.
» Il Vescovo e Padre Caravario furono condotti ancora più addentro nella boscaglia, in modo che non li potevamo più vedere. 'Dopo pochi minuti udimmo lo scroscio di cinque fucilate e sapemmo che erano morti».
Esse non videro l'orribile scempio fatto dei due corpi; ed è stato un bene, perchè, quando furono ritrovati, le teste erano ridotte ad una massa informe di ossa infrante.
Compiuto il sacrilego eccidio, i pirati s'internarono nei loro nascondigli portando il bottino e trascinando a viva forza le tre giovani religiose. Ognuno può immaginare il loro terrore nelle mani di tali uomini. Per tutto il tempo che si trovarono prigioniere non accettarono nè cibo, nè bevanda di sorta, ma invocarono senza intermissione Iddio e la Madonna Ausiliatrice di essere preservate dall'ignominia e messe in libertà. La lor preghiera, ardente come quella dei tre giovani nella fornace di Babilonia, non poteva non essere esaudita, anche perchè era certo presentata al trono di Dio dai loro Padri, i quali avevan versato tutto il lor sangue per la salvezza della loro onestà e con i quali avrebbero voluto essere accomunate nella loro eroica morte. Non essendo state degne di tanto onore, ora impetravano il dono della libertà per potere attestare e pubblicare al mondo quanto essi avevan sostenuto per salvarle dal disonore.
Intanto i maestri e gli uomini della barca, ancor tutti esterrefatti, scendevano la corrente del fiume per recare la notizia della cattura dei missionari a D. Cavada in Lin Kog How, mentre la divulgavano pure
nei paesi che attraversavano. È più facile immaginare che descrivere come restasse D. Cavada a simile annunzio. Fece telegraficamente consapevole il Vieario delegato di Monsignore in Shiu Chow. Questi, informate le autorità, incaricò D. Lareno di recarsi subito da D. Cavada . per iniziare con lui le ricerche dei prigionieri. Si ignorava ancora la lor morte.
Essi, dimentichi di ogni pericolo, giunsero sul posto dell'eccidio la sera del 26. Dal cristiano Li. A Sak vennero a sapere che i missionari erano stati trucidati, ma che i cadaveri erano scomparsi. I contadini del vicinato, temendo di essere comp,i•cati nel crimine, dopo la partenza dei briganti, avevano segretamente.' raccolti . i cadaveri, e, trasportatili dall'altra parte del fiume, li avevan seppelliti in basse fosse tra i bambù della sponda. Essi perciò non volevano dare nessuna informazione: ma i nostri riuscirono a grande stento ad indurre uno dei contadini a dare alcune vaghe indicazioni intorno al luogo della sepoltura.
Allora i nostri si diedero a perlustrare a palmo a palmo tutto il bosco, chiamando ripetutamente i cari nomi, nella illusione di avere una risposta. Finalmente,,ùlcuni bambù appassiti attirarono la lor attenzione, e sotto vi scopersero prima D. Caravario e poi Monsignor Versiglia.
» ... Nell'indicibile dolore di tanta perdita, noi due (cioè, D. Lareno che scrive, e D. - Cavada) ci stimiamo molto fortunati per avere avuto l'alto onore di metterci su le loro tracce quindici ore dopo la lor cattura; di avere imbevuto questo fazzoletto (che le mando come preziosa reliquia) del loro sangue caduto su la via, quando li trafugavano, per involarli alle nostre ricerche, e di averlo tutto plasmato di cervella- che pure trovammo su quel tragitto; di avere scoperto, nel letto del fiume Lien Chiw, il loro secondo sepolcro; di averti disseppelliti più con le mani che con il miserabilissimo zappino che avevamo portato con noi; di averli religiosamente, t»;aspbrtati prima a Ling Kong How per la ricognizione legale delle autorità, e infine a Shiu Chow, per ricevere il tributo dell'affetto e della venerazione dei confratelli, e per continuarvi, invisibili sì, ma ancor presenti, il loro apostolato di protezione celeste sopra la missione da Monsignore fondata e da ambidue tanto amata... ».
Questi due confratelli raccolsero pure religiosamente le funi con le quali furono legati i cari martiri, il breviario mezzo abbrucciato con il Rosario di Monsignore, la catenella di D. Caravario, le vesti e quant'altro trovarono loro addosso o anche solo intriso del lor sangue.
Mentre tali cose si svolgevano per la ricerca, il ritrovamento e il trasporto delle salme con tutto ciò ch'era loro appartenuto, il Signore esaudiva le preghiere delle tre prigioniere, risolute a morire d'inedia, piuttosto che venir meno alle lor promesse. I soldati ,inviati subito dall'autorità, appena fu noto l'eccidio, contro i banditi, s'erano scontrati con essi il 2 marzo e ne catturarono uno nel breve combattimento succeduto. Lo stesso dì le tre prigioniere poterono tornare felicemente salve e incolumi alla Missione. La lor salvezza pare dovuta, oltrechè al timore di maggiori rappresaglie da parte dell'autorità civile, anche all'ascendente della moglie di un capo dei pirati, la quale ebbe pietà delle poverine e non permise venisse fatto loro del male.
« Le esequie funebri, celebrate il. 13 marzo, furono — scrive il Rev. P. Gallagher, che vi ha assistito personalmente — veramente impressionanti. Vi presero parte circa trenta sacerdoti, il Vescovo di Macao, i Vicari Apostolici di Canton, di Kongmoon e di Hong-Kong. Immediatamente dopo il clero, seguivano i militari della guarnigione ed i rappresentanti del Governo di Canton. La solenne Messa di Requiem fu cantata da Mons. Fourquet, Vescovo di Canton. Il mandarino del distretto e molti altri dignitari di Canton hanno assistito alla funzione. All'altare e in coro erano rappresentate dodici nazioni: Italia, Cina, Portogallo, America, Francia, Irlanda, Germania, Austria, Cecoslovacchia, Spagna, Polonia e Uruguay. Fu uno splendido spettacolo della cattolicità della Chiesa ».
La salma. di D. Caravario era già stata solennemente tumulata con apposito funerale il 6 marzo, all'entrata della chiesa di Ho Sai, nel recinto del piccolo Seminario da poco inaugurato. Quella di Mons. Versiglia riposa ora nella chiesa matrice del suo Vicariato in Shiu Chow, centro di tutte le opere sorte nel decennio del suo episcopato.
E degna di nota la coincidenza che il giorno stesso in cui a Shiu Chow si facevano le accennate impressionanti esequie funebri, qui, nella Basilica di Maria Ausiliatrice e del Beato D. Bosco si è svolto pure un solenne funerale per i nostri martiri della fede e dell'onestà, tessendone l'elogio commoventissimo e commosso un missionario autentico di quel Vicariato Apostolico così dolorosamente provato con la lor morte.
Ed ora è bene notare, o miei cari, che la vera causa della morte di questi due eroici missionari non è stata tanto la cupidigia del denaro quanto l'odio dei pirati contro la religione cattolica, i cui ministri sanno, quando occorra, difendere l'onestà delle vergini del Signore con la lor vita. Il vicariato di Shiu Chow fioriva a vista d'occhio in nuove opere apostoliche, in proseliti più numerosi e in sacre vergini anelanti all'apostolato suscitatore di più fitte schiere di seguaci dell'Agnello immacolato. Il demonio non poteva soffrire uno smacco così forte proprio nel suo secolare dominio. Mirò quindi a levare di mezzo il capitano, la mente direttiva di tutto quel fervore di opere contro di lui. Il denaro è stato solo il pretesto e l'occasione prossima. Se i pirati volevano solo depredare, avrebbero adottato la procedura solita dei predoni cinesi. Questi tendono imboscate alle carovane di viaggiatori, e s'impadroniscono di quanto portano, e li tengono prigionieri per farsi versare maggiori somme. Dapprima trattano molto bene i loro ostaggi e procedono gradatamente. Da somme vistosissime passano a somme irrisorie e solo alla fine usano vessazioni, e ciò, non per inveire contro i loro ostaggi, ma per piegare i parenti a sborsare la somma richiesta. Raramente infliggono la morte, perchè questa toglie loro ogni speranza di guadagno. Con i nostri dalle pretese del denaro, passarono bruscamente alle percosse per odio contro i ministri della religione, acuito ancor più dalla passione brutale cui s'opponevano energicamente i due missionari. «Nessuno di noi — scrive un confratello — ha paura dei ladri, perchè sappiamo che i ladri non hanno nessun vantaggio di ucciderci ».
Inoltre l' efferatezza dei maltrattamenti fatti subire per lunga ora ai nostri due e la ferocia con cui li finirono nel fitto della boscaglia, dove pensavano di non essere visti da alcuno, crivellando loro il capo da ridurlo ad una sola massa informe di ossa, non può trovare altra plausibile spiegazione all'infuori dell'odio religioso eccitato al massimo del furore Ne della passione contrastata.; i
Per questo in Cina si dice altame 1te-da tutti a cominciare dai Vescovi I che siamo dinanzi a due martiri. /Registriamo con animo grato questa voce unanime che viene di laggiù, n''ella fiducia e con la preghiera che un giorno venga ratificata dalla suprema Autorità della S. Chiesa cattolica, la quale, nata nel sangue del suo divin Fondatore, s'imporpora incessantemente, attraverso i secoli, anche con il sangue dei figli, violentemente versato per propagarla e difenderne le conquiste.
Anche in altre nostre Missioni si sono avute vittime violentemente sacrificate dall'odio ,dei nemici della fede, della Chiesa e dell'Eucari- stia, quali gli indimenticabili D. Agosta nella Patagonia; D. Thannhuber nel Matto Gros'so e D. Moltzer Augusto vittima delle fiamme mentre tentava di mettere in salvo la SS. Eucaristia. Per essi in modo speciale prima, e poi per tanti altri che hanno soccombuto e cessato di vivere per le anime, la nostra Congregazione ha riportati grandi trionfi e su di essa son discese più copiose le benedizioni del cielo. La parola profetica del Beato Padre si avvererà in un crescendo di trionfi e di benedizioni.
Nelle sue luminose visioni egli aveva contemplato in modo chiarissimo, ma inesplicabile, come in un punto solo il passato, il presente e l'avvenire delle Missioni Salesiane.; con tutte le fasi, i pericoli, le riuscite, le disdette rdiSinganni momentanei che accompagneranno quest'apostolato... Aveva veduto lo sviluppo delle sue Missioni anche in Oriente (Cina) dove le donne avevan i piedi tanto piccoli, che stentavano a star diritte e quasi non potevan camminare... Di più gli era stato dichiarato con il simbolismo di fichi bagnati nel sangue che solo col sudore e con il sangue i selvaggi ritorneranno ad essere attaccati alla pianta e ad essere gradevoli al Padrone della vita.
Senza pretendere di dire che il Beato abbia veduto e tanto meno profetizzato la fine gloriosa del suo primo missionario in Cina, possiamo però essere certi che le sue luminose visioni si vanno un po' per volta svolgendo nella realtà di avvenimenti che ricingono la sua Congregazione di corone e palme nobilissime.
Riandando questi ricordi delle visioni paterne e delle meraviglie che si succedono nella Congregazione, delle quali il Signore ha disposto che sia testimonio oculare e notaio autorizzato per la carica che occupo, la vita e l'apostolato dei due ' Confratelli, svelti da mani barbare di mezzo a noi, s'illumina della luce soave della speranza che non confonde
e nel conforto immortale di più gloriose conquiste: Sanguis martyrum, semen christianorum!
Di queste due vite e due apostolati, che la morte ha unificati nell'edificazione dei posteri e nella gloria del regno celeste, non è possibile dare qui anche solo un cenno brevissimo. Confido che lo farà altri e presto.
Non posso però non ricordarvi, cari confratelli, che Mons. Versiglia ebbe la fortuna di compiere il corso ginnasiale qui all'Oratorio negli ultimi tre anni della vita del nostro Beato Padre; e che lo potè avvicinare non poche volte, confessarsi da Lui, essere consigliato sulla sua vocazione, bearsi nel suo infallibile sorriso, baciargli la mano benedicente o che gli aveva messo nelle proprie le moltiplicate nocciuole... Egli insomma è stato ancora alimentato e cresciuto nell'atmosfera della santità vivente del Beato, e tutta la vita e l'apostolato di lui ne sono un luminoso riflesso.
Di qui infatti la condotta esemplare, glifitudî egregiamente superati, il suo amore e attività negli Oratori festivi, la sua elezione a direttore, a soli 24 anni; e a 34, a superiore della prima spedizione dei nostri missionari in Cina. Di qui, allora, nella pienezza della sua virilità, il fervore d'opere fatte sorgere a Macau e a Canton, dove la gioventù esperimentò in breve tutta l'efficacia del sistema educativo del Beato nei fiorenti Collegi e nelle Scuole Professionali, una vera rivelazione per quelle regioni; di qui l'apostolato missionario nello stretto senso della parola, instancabile, prudente, e sapientemente organizzato prima a Hueng Shan e poi nella vasta regione del Kwang Tung che divenne il suo Vicariato Apostolico nel 1920. Ivi prima di costruirsi una residenza conveniente, provvide ai missionari e alle opere vitali della missione. Mentre per lui era più che sufficiente la piccola stamberga di Lin Tung Mun, sorgevano, oltre le cappelle, le residenze, le chiese, le stazioni di ogni distretto: il piccolo Seminario nell'Or f anatro fio di Ho Shi; le Scuole Professionali D. Bosco con le scuole elementari, tecniche
e normali inferiori ; la scuola Maria Ausiliatrice con classi elementari e complementari; la casa di formazione dei catechisti e quella delle Kuneon, le catechistesse; più di 20 scuole parrochiali e distrettuali; il ricovero per i vecchi e l' asilo d' infanzia. E quando tutto questo fu provvisto, costrusse anche la casa centrale per i missionari, non essendo più possibile avere ospitalità nel Collegio D. Bosco sviluppatosi in pochi anni al punto da superare i 200 alunni.
Se questa semplice, approssimativa enumerazione di opere dice la sorprendente attività del nostro compianto Monsignore, crescerà l'ammirazione quando si pensi che curò egli stesso personalmente, qual abile architetto, la costruzione degli edifizi, come aveva già fatto con le costruzioni di Macau, dove si guadagnò dalla direzione delle opere pubbliche, lode di architetto non comune.
Ma i cinque lustri del suo apostolato creativo e fecondo nella Cina, ci diranno soprattutto ch'egli è stato il pastore buono che lavorò unicamente e incessantemente per la salvezza delle anime, fino all'immolazione totale di se medesimo, nell'esercizio delle più elette virtù salesiane. La bontà, la fortezza e la magnanimità si riflettevano luminosamente nel sacrifizio, nella tolleranza, nella compassione e nell'inalterabile confidenza e fiducia che sprizzavano dallo sguardo, dalle parole e dagli atti, sia che trattasse con grandi o piccoli, con istruiti od ignoranti, con nobili o plebei, con cristiani o pagani. Egli possedeva la vera fraternità salesiana senza distinzione di persone. Per farsi tutto a tutti rinunziava volontieri a molte nostre costumanze e si adattava a quelle cinesi, sicchè pareva ne avesse persino' la mentalità e fosse proprio uno di loro. Non dimenticava però la patria natia, che amava profondamente, e, con l'ingegno e- le opere, rende:4:a più grande e stimata dinanzi alle popolazioni che evangelizzava.
Oltre l'italiano, il francese, il portoghese e l'inglese parlava bene il cinese, cosa che lo rese presto il consigliere e il confidente non solo dei pochi cristiani, ma anche dei primari pagani della regione. Parlava delle lor cose materiali e se li cattivava con la saggezza di consigli e norme che non fallivano nella pratica.
Lavoratore indefesso non conobbe riposo. Quando ritornò in Italia quale Vescovo fu instancabile nel predicare e cercare mezzi per la sua Missione. Percorse l'Italia, la Francia, la Spagna, la Svizzera, la Germania e altri paesi suscitando ovunque grande entusiasmo con la parola ardente e con la bontà squisita del suo cuore apostolico. Fece altrettanto quando alcuni anni appresso dovette recarsi per salute negli Stati Uniti: la salute corporale dovette fare la parte secondaria perchè il buon pastore pensava solo a cercare mezzi per il bene spirituale dei suoi Cinesi.
Per le sue pecorelle rinunziò persino alla gioia più pura e più desiderata da quanti avevano avvicinato D. Bosco anche una sola volta: quella cioè di potere assistere„ alla sia glorificazione in S. Pietro e al suo trionfale ritorno ,nsel 'Santuario di Maria Ausiliatrice. I superiori gli avevano telegrafato due volte che venisse: ma il buon pastore andava ripetendo ai suoi confratelli che insistevano perchè si recasse a -tanta gioia di festa: « Come posso io partire ora che s'inizia un' altra guerra, ora che le nostre condizioni si fanno così difficili? Ho già sofferto abbastanza quando per obbedienza e per malattia fui tenuto lontano da voi nel 1927, mentre eravate assaliti dalla bufera rivoluzionaria. Non posso, non debbo partire: voi sapete quanto ami D. Bosco e quanto desidererei partecipare al suo trionfo, ma non posso, non debbo, per godermi una così santa gioia, lasciare i miei confratelli, le suore e i cristiani nel pericolo... ».
E non si mosse: la convinzione del maggior bene gli fece rinunziare al vivo desiderio suo e dei superiori che l'avevano invitato con tanta insistenza. L'anima sua retta e delicata aveva intuito che forse ne avrebbero avuto dispiacere, per cui ultimamente sentì ancora il bisogno di dichiarare che non aveva agito per altri motivi « se non per la convinzione intima che sarei stato assai più utile, date le circostanze, restando al mio posto in missione che non venendo a Torino »,
Il Signore forse l'andava così preparando al distacco finale da tutte le cose di questa terra.
Fra un anno egli avrebbe compiuto il venticinquesimo di missione : i confratelli con i cristiani del suo Vicariato e di tutta la Cina salesiana pensavano già tra loro al modo migliore di celebrare questo suo fausto giubileo. Allora « le opere avrebbero parlato, come son più che sufficienti ora a dire dei suoi meriti copiosi ».
Anch'egli in quella data avrebbe potuto esclamare, non per vanagloria ma con legittima soddisfazione: bonum certamen eertavi, ho combattuto il buon combattimento (II Tim., IV, 7-8). Non avrebbe però aggiunte le altre parole dell'Apostolo, perchè per il buon Salesiano la carriera è compiuta solo quando avrà ricevuta la corona della giustizia nel regno di Dio.
Il Signore però gli andava anticipando questa corona immortale, e gliene dava presentimenti non dubbi del suo appressarsi, onde fosse pronto a tutto, anche allo spargimento del-sangue nel solco stesso già irrorato per tanti anni dai suoi sudori e dalle sue lagrime.
Tanto più ch'egli s'era parecchie volte offerto'vittima per la salvezza della patria del suo apostolato. — « Se per dar pace (diceva negli ultimi tempi) a questa nostra povera Cina, Iddio volesse anche il sacrifizio della mia vita, ho chiesto al Signore ch'io sia preso pel primo... ». E di quando in quando lo si udiva ripetere: ma sì, il Signore prenda me... ». Ora quei certi presentimenti ch'egli coglieva quasi senz'avvedersene in fondo al cuore e palesava agli intimi, non saranno stati forse uno dei tanti modi con i quali il Signore suole rispondere alle offerte sincere che gli facciamo di noi medesimi.?
Così Monsignore fin dal 1928 andava ripetendo di frequente: « Sento che al massimo avrò ancora due o tre anni di vita! » e a chi gli faceva osservare che dopo l'operazione si trovava più robusto, più ben messo e senza gli antichi acciacchi, sorrideva mestamente e soggiungeva: « Sento che il Signore mi chiama. Perchè nella vita spirituale, sempre nuova e più splendida luce mi illumina e guida ».
Altra volta: « È meglio che io invece di pensare ad un possibile ritorno in Italia, mi prepari a fare una buona morte ». E a chi diceva ciò perchè lo vedeva incredulo, disse : « vedi ho finito ora di scrivere il mio testamento ».
Una persona religiosa, dopo aver ascoltato una serie di sue conferenze ebbe a dire: « Monsignore è maturo per il cielo: non rimarrà più a lungo con noi. Nel suo dire non c'è più nulla dell'uomo, udiamo solo il pellegrino stanco della terra ed assetato di paradiso ».
Ma restò sulla breccia fino all'ultimo...
Una voce gli sussurrava cose misteriose, ma egli continuava il suo lavoro come se nulla fosse: si teneva solo preparato momento per momento, e per il resto si abbandonava nelle mani di Dio. Continuava a lavorare, soffrire e macerarsi per la salvezza dei suoi. « Tutti abbiam visto, scrive .un confratello, quanto si sia speso e quanto abbia sofferto proprio nella prima quindicina dello scorso giugno, quando il nostro D. Dalmasso fu prigioniero dei bolscevichi. Il buon pastore passava le notti in orazione, dopo aver brigato tutto il giorno, ed il suo corpo già spossato dal lavoro, veniva ancora macerato con il cilicio che si trovò tutto intriso di sangue ».
Quanti motivi di edificazione per noi in queste cose venute alla luce solo ora affrettatamente, e quante altre ne ricorderanno in seguito i confratelli che gli vissero al fianco e i cristiani che gli vanno debitori del dono della fede e dell'amore verso N.S. Gesù Cristo! Ma quant'altra infinità di sacrifizi e di opere buone che non saranno conosciute se non negli splendori dei santi!
**
Molte delle cose edificanti, accennate sopra, si riferiscono anche al carissimo D. Callisto Caravario, che nella nostra memoria sarà sempre inseparabile dal Padre e Maestro delle primizie della sua vita missionaria, venute a maturità in pochi istanti sotto i raggi ultravermigli e ultrapotenti del martirio.
La sua vocazione germogliò nell'Oratorio festivo di S. Giuseppe — il quarto ché ?l Beato aveva aperto in Torino — dove la sua bontà e pietà gli meritarono l'aiuto dei compagni e del Direttore per compiere gli studi. Così sotto il manto dell'Ausiliatrice e al soave calore dell'atmosfera dell'Oratorio di Valdocco, sbocciarono i promettenti germogli missionari, che fiorirono definitivamente nel noviziato e nel triennio pratico.
Disimpegnò con ilare semplicità le varie mansioni affidategli, ma pose le sue delizie in mezzo ai giovani degli Oratori festivi. Emessi i voti perpetui nel 1924, partì per le Missioni, lavorando prima a Shangai, poi a Macao, ad Hong Iong, a Timor e a Shiu Chow. Qui venne ordinato sacerdote dai,Mbnsignor Versiglia nella solennità della Pentecoste dell'anno scorso, e fu subito incaricato della missione di Lin Chow.
Nelle sue lettere palesava la felicità di essere finalmente sacerdote e missionario proprio in mezzo a popoli ancor pagani. Nei pochi mesi del suo apostolato a Lin Chow si manifestò subito bene attrezzato alla vita missionaria per robustezza fisica, resistente ad ogni disagio, e per ardore ed entusiasmo al lavoro, unitamente a carattere allegro e ad una bontà trasparente che lo faceva amare da tutti.
Venuto a lavorare nella vigna del Padre di famiglia fin dalle prime ore della sua giornata, compì in poche ore il suo lavoro con tanta intensità da meritarsi anticipata una mercede superiore ad ogni aspettazione... Ma il nostro D. Callisto deve averla sognata e sospirata questa mercede eccezionale. Scriveva infatti l'ultima volta a sua madre : « La morte per noi missionari è nulla, purchè si salvino le anime di questo povero popolo! », Non teme la morte perchè sa che se il Signore la manda lo fa per dare la vita alle anime a lui affidate.
Perciò era anche lui ben preparato, e la giovane vittima è stata immolata assieme al Padre che l'aveva preparato a tutti i sacrifizi.
Hanno ambidue dato il lor sangue per la salvezza di quel popolo; mentre essi ora sono introdotti nella gloria per offrire al nostro Beato le purpuree palme delle vittoriose conquiste che faranno i loro successori.
* *
Nel terminare questa mia, permettetemi, o miei cari, che vi raccomandi vivamente di fare molti suffragi per le anime elettissime di questi nostri due confratelli. È vero che la lor morte eroica ci potrebbe dare quasi la certezza che non ne abbiano bisogno: tuttavia non dobbiamo negare ad esse il quotidiano fraterno suffragio, fino 'a quando, a Dio piacendo, ne saremo dispensati dalla S. Chiesa. Il nostro suffragio però può unirsi alla prece impetratoria di nuove vocazioni missionarie, interponendo anche la mediazione di quelli che sacrificarono cruentemente le lor vite per la redenzione dei pagani e selvaggi.
Oh! sì, pregate tutti i santi dì, o carissimi confratelli e figli, per le vocazioni missionarie; ma soprattutto coltivatene di queste vocazioni che il Signore ha seminate numerose intorno a voi, nelle vostre famiglie, negli Oratori festivi, nei collegi, nelle scuole, nei laboratori. Pur troppo dobbiamo confessare che molte vanno perdute per la nostra trascuratezza.
Sia questo il nostro fioretto e proposito nella prima festa del nostro Beato e nel dolcissimo mese della sua e nostra Ausiliatrice, la cui benedizione invoco ora più che mai copiosa ogni dì sopra ciascuno di voi.
E voi non dimenticate di pregare per il
Vostro aff.mo in C. J.
Sac. FILIPPO RINALDI.
Il Prefetto Generale.
È con trepida commozione che rivolgo, quest'anno, il consueto appello per la spedizione missionaria.
Non giudico necessaria l'esortazione ehe dovrei farvi a nome del nostro venerato Rettor Maggiore, ,'quando, con sovrana eloquenza, vi ha già parlato il sangue dei .itiétri Fratelli caduti eroicamente sul campo dell'apostolato.
I nomi di Mons. Versiglia e di D. Caravario sono lo stimolo più efficace.
Il sangue dei martiri ebbe, attraverso i secoli, prodigiosa fecondità; e noi sappiamo che sono molti i generosi confratelli che aspirano ai più eccelsi eroismi.
Mi limito a dirvi che tutte le nostre missioni hanno estremo ed urgente bisogno di ,personale e particolarmente di sacerdoti.
Siccome le p,ratiche per le partenze sono piuttosto lunghe prego i candidati di voler inviare le loro domande con sollecitudine.
Il Signore, nel cui nome e per la cui gloria corrono i Missionari a salvezza delle anime, ricompenserà ampiamente le loro fatiche e i loro sacrifizi.
Il Direttore Spirituale.
La magnifica lettera del nostro veneratissimo Rettor Maggiore comparsa nel No 50 di ATTI DEL CAPITOLO SUPERIORE è stata accolta con gioia e plauso da tutti i Confratelli, i quali hanno gioito sinceramente nel sentirsi richiamare da lui con tanta chiarezza e forza i principii e le massime fondamentali del sistema educativo del nostro Beato Padre. Essa è di tale importanza che io credo mio dovere richiamare di nuovo la vostra attenzione almeno sopra alcuni punti e studiarne la pratica applicazione.
AI punto IV (pag. 799 e seg.), con parole veramente inspirate e degne del Successore del nostro gran Padre, dopo averci indicato ciò che dobbiamo evitare, passa ad animarci a compiere ciò che è parte essenziale e caratteristica del sistema salesiano. Quanto alla prima parte è sufficiente che ci fermiamo su due divertimenti da lui accennati: il foot-ball e il cinema.
Non condanna egli senz'altro e in modo assoluto il foot-ball, ma vuole che, per introdurlo o mantenerlo nelle nostre case, lo battezziamo, vale a dire, lo regoliamo e moderiamo in modo da renderlo innocuo, ad esempio del nostro B. Padre che introdusse nelle sue case e teatro e musica e ginnastica e altri divertimenti ai suoi tempi banditi da altri istituti religiosi, ma seppe trasformarli e regolarli in modo che, non solo non fossero di nocumento alla buona e cristiana educazione, ma divenissero anzi nelle sue mani un aiuto potente di educazione. Ove adunque si debba permettere ai nostri giovani il football, si procuri di evitare gli inconvenienti che ne possono derivare. Si cerchi di frenare la passione dei giovani per questo giuoco, si limitino i giorni e il tempo destinato ad esso, si vigili che il costume non abbia nulla che disdica al sentimento cristiano e religioso, che le partite abbiano luogo nei nostri cortili, che si evitino le gare nei campi pubblici e sopratutto che le funzioni di chiesa non ne abbiano per esso in nessun modo a soffrire.
Lo stesso è da dire del cinema. Non lo si proibisce assolutamente, ma si vuole che, e per l'igiene e per altre ovvie ragioni, che non è qui il caso di enumerare, lo si limiti il più possibile. Ma quando si crede bene doverlo concedere, si sia risoluti nell'eliminare quelle pellicole che rappresentano scene, cose e persone che le regole del teatrino lasciateci dal B. Don Bosco non permettono. Anzi, si scelgano solo quelle di carattere istruttivo, morale e religioso che possono fare del bene. A questo riguardo richiamo le prescrizioni già date in ATTI DEL CAPITOLO SUPERIORE No 45 pag. 678 e seg. Si procuri di non lasciare mai la sala delle proiezioni totalmente
oscura, neppure durante le proiezioni, ma vi sia sempre qualche lampada accesa che diradi le tenebre e permetta continuamente di discernere quello che avviene tra gli spettatori.
Invece di favorir troppo il cinema si sia più solleciti in preparare numerose e belle recite, declamazioni e accademie, che erano tanto tenute in conto e raccomandate dal B. D. Bosco, sì da farne una caratteristica delle sue case. Lo so bene che costa più fatica la preparazione di queste recite, ma è pure fuor di dubbio che il vantaggio che se ne riporta è di gran Funga superiore. Sono esse una vera scuola pratica che compensa,. abbondantemente quel poco di incomodo che si deve incontrare ciel:.. scegliere le composizioni e curare che siano convenientemente declamate davanti a un pubblico rispettabile. A ciò poi devesi ancora aggiungere il vantaggio morale ed educativo sia per chi recita come per chi solo assiste alle recite, vantaggio che non si ricava quasi mai dalle rappresentazioni cinematografiche.
Venendo poi alla parte più positiva dello spirito salesiano, il Sig. D. Rinaldi xaqeomanda con parole veramente accorate di dare molta importanza alle pratiche di pietà e alle funzioni religiose, di fare queste coii':uera divozione, con decoro e splendore in modo da farle amare dai giovani. Ed egli accenna a questo proposito al piccolo clero e al canto ecclesiastico. Sia adunque cura di ogni direttore e di ogni catechista che nella propria casa assolutamente non manchi il piccolo clero, si invoglino i giovani ad appartenervi col parlarne sovente, col ricordar loro la stima in cui era tenuto dal B. Don Bosco, l'importanza che aveva nei bei tempi del Beato all'Oratorio, il lustro che dà alle sacre funzioni ecc. Si scelgano i migliori giovani ad appartenervi, si istruiscano convenientemente nelle sacre cerimonie, consecrandovi, se fa d'uopo anche un po' di tempo di studio o di ricreazione, Si insegni loro ad eseguirle con compostezza e raccoglimento, in una parola con divozione; e si invigili anche che le vesti e le cotte siano ben pulite e in ordine, non stracciate o macchiate di cera. Bisogna ,poi dar loro di tratto in tratto qualche piccolo premio o distinzione per invogliarli sempre più a far bene il loro dovere. Si disponga che sovente, e non solamente nelle grandi feste, il piccolo clero prenda parte alle funzioni. Oh quanta buona impressione può fare sui giovanetti delle nostre case e su chiunque prenda parte alle funzioni il vedere una bella schiera di chierichetti, decorosamente vestiti, che con raccoglimento e divozione, come tanti angioletti, fanno corona in presbitero durante la celebrazione dei santi misteri!
Per far gustare ancor di più le funzioni religiose bisogna eseguire in esse buoni canti e buona musica. Non è facile descrivere tutta l'attrattiva e lo splendore che essi aggiungono alle sacre funzioni. Fatte così le funzioni religiose certo non sembreranno lunghe, desteranno anzi nei nostri giovani rincrescimento quando finiscono, i quali per molti anni al ricordarle ne proveranno una santa nostalgia.
E non sono le funzioni di chiesa celebrate col dovuto splendore che hanno suscitato tante vocazioni?
Mi par doveroso richiamare qui nuovamente alla vostra attenzione l'importanza della Costituzione Apostolica di Pio XI Divini cultus sanctitatem sulla liturgia, il canto gregoriano e la musica sacra, di cui già vi feci parola nel N° 48 pag. 738 di questi ATTI DEL. CAPITOLO SUPERIORE. In esecuzione di quelle saggie prescrizioni, ci sia in ogni casa la scuola di canto, vi si esercitino quotidianamente, o quasi, gli alunni, si preparino delle belle messe e dei canti scelti per averne un repertorio adatto e sufficiente per tutte le occasioni. Così si potrà ottenere che non vi sia festa di qualche importanza senza che nelle nostre case si canti la messa in gregoriano o in buona musica, non tralasciando, ben inteso, le parti variabili.
È certo che con questi mezzi così pedagogici e così nostri noi riusciremo a mantenere in fiore in tutte le case il vero spirito salesiano, affezionare gli alunni al collegio sì che vi passino con piacere anche le più grandi solennità senza sentire la nostalgia della casa paterna, e, quel che più ci deve stare a cuore, renderemo al nostro Beato Padre, il più bello e grato omaggio per la sua beatificazione.
Il Consigliere Professionale.
Si permette di insistere ancora sui due punti principali, che furono oggetto di speciali discussioni.. e deliberazioni nell'ultimo Capitolo Generale (il biennio di Perfezionamento e le vocazioni per confratelli coadiutori), che reclamo; una diligente e sollecita attuazione in ogni Ispettoria.
1° Si sono ricevute già da vai'ii Ispettori risposte consolanti èd esaurienti riguardo a stabilire non solo il Corso di perfezionamento, ma anche per destinare una Casa e Scuola professionale ad hoc per i giovani confratelli che si preparano al Magistero.
Però, senza richiedere tante cose e sacrifizi (specie per Ispettorie che già scarseggiano di mezzi e di personale) noi possiamo fin d'ora compiere ciò che si era stabilito nel N° anteriore degli ATTI (pag. 842). «In ,queste condizioni (ivi citate) s'impianterebbe in ogni Ispettoria, per" resti piccoli gruppi di giovani confratelli (recentemente usciti dal Noviziato) il 1° anno di perfezionamento nella Scuola di Arti e Mestieri (o di Agricoltura) scelta dall'Ispettore ed approvata da Capitolo Superiore ».
Quindi questa Direzione Generale presenta a tutti gl'Ispettori, e Visitatori che hanno Scuole Professionali ed Agricole l'unito formulario relativo ai confratelli del Perfezionamento, pregandoli di riempirlo diligentemente e di rimetterlo a questa Direzione con religiosa prontezza. — Così entreremo anche su questo punto nella tanto desiderata regolarità riguaprdo'a quegli articoli 60 e 53, relativi alla formazione dei nostri Coadiutori, Maestri o Capi, dei quali ha così urgente bisogno la nostra Congregazione
2° I1 secondo punto, su cui tanto si è studiato e discusso negli stessi Capitoli Gen., si riferisce alla necessità di promuovere le vocazioni per Confratelli Artigiani o Coadiutori, di cui si sente difetto in tutte le Ispettorie. — Anzichè formulare delle nuove proposte, noi dovremmo insistere di più nell'imitare gli esempi che ci diede il nostro Beato Don Bosco, sia nella vita di pietà, di carità, di famiglia, che egli stabilì nelle sue Case e nei suoi Ospizi, sia anche nell'essere veri Padri riguardo ai nostri giovanetti degli Oratori Festivi, dei. Collegi di interni ed esterni, e specie per i nostri poveri Artigiani ed Agricoltori, molti dei quali sono anche orfanelli...
Uno degli espedienti classici, diremmo così, di cui si valse il Beato Don Bosco per promuovere le prime vocazioni fra i suoi artigiani (fino dal 1859...) fu quello di dar loro uno speciale Assistente, che fu anche il primo Catechista degli Artigiani, il Chierico Giovanni Bonetti, ripieno di zelo, di carità e dello Spirito del Signore, studente allora del 20 anno di Filisofia e recentemente ritornato dal
Seminario di Chieri all'Oratorio, . trattovi dall' affetto a Don Bosco e dal desiderio di aiutarlo nelle sue imprese ... Egli, compiendo il desiderio del Beato e sotto la sua guida, iniziò nell'Oratorio il 20 Marzo di quell'anno, la Compagnia di S. Giuseppe, fra i suoi artigianelli, li animò alla Pietà, alla pratica di ogni virtù colle sue belle conferenze settimanali, esercitandoli anche in opere di Carità ed entusiasmandoli nello studio e nel lavoro fino a svegliare ben presto qualche vocazione, che poi si coltivava, in unione col Ch. Bongiovanni, nella Compagnia del SS. Sacramento e del Clero. Ed ecco formarsi nell'Oratorio, anche per gli Artigiani un piccolo Aspirandato, che poi crebbe ed ancora in vita del Beato Fondatore giunse al suo apogeo in quella bella fioritura di vocazioni di Coadiutori, che ci diede l'epoca classica, l'età d'oro nel Noviziato e Casa di formazione di San Benigno.
Altro mezzo per ottenere vocazioni di Coadiutori è quello di ammettere nelle nostre Scuole Professionali ed Agricole un certo numero di giovanetti, già provati o scelti fra quelli degli Oratori festivi (gratuiti o semigratuiti), purchè mostrino buone disposizioni verso la pietà e la moralità: essi facilmente si invoglieranno della vita salesiana, se sono ben guidati dai loro Maestri e Catechisti.
Abbiamo attualmente un esempio ed una lezione eloquentissima nelle due Case di Foglizzo e di Cumiana dove si trovano riuniti un 150 Aspiranti per le Missioni, attirati unicamente dal desiderio di lavorare per la Gloria di Dio e per le anime. Non sarà possibile che in ogni Ispettoria, sia pure in minime proporzioni si possa dagli Oratori Festivi, dagli Ospizi, fra i giovani famigli che vengono alle nostre Case e Chiese a chiedere pane e lavoro, trovare o scegliere ogni anno un manipolo di queste probabili vocazioni?
Riflettano su di ciò tutti i Confratelli addetti agli Oratori Festivi, agli Artigiani ed Agricoltori, ai giovani famigli, e specialmente i Sacerdoti che dirigono le anime di tanta gioventù nell'epoca degli Esercizi Spirituali ed in tutte queste Feste, Tridui e Novene dedicate al Beato Don Bosco che tutta la Chiesa chiama Padre e Maestro dolcissimo della gioventù.
Adoperiamoci dunque con ogni mezzo per poter raccogliere dalle nostre 134 Scuole Professionali ed Agricole (alcune delle quali gareggiano perfino coll'Oratorio nell'avere fino a 50 Artigiani di 50 Corso, ogni anno) un bel contingente di vocazioni . per i Noviziati e per il biennio di perfezionamento: così avremo Capi o Maestri Salesiani per le stesse nostre Scuole Professionali in tutte le Nazioni.
Il Consigliere del Cap. Sup.
In seguito alla disposizione del Rev.mo Rettor Maggiore, pubblicata nel No 50 degli Atti del Capitolo Superiore, affidandomi la cura degli Oratori Festivi e degli ;ExAllievi, sarebbe stato mio vivissimo desiderio mettermi subito in relazione coi confratelli interessati in queste due opere. Cifrc6stanze indipendenti dalla mia volontà mi hanno obbligato a ritMare fino ad oggi l'adempimento di questo dovere. Non debbo tuttavia esserne dolente, giacchè questo ritardo viene ad essere la causa di una felice coincidenza, quella cioè di scrivere queste linee proprio nei giorni in cui, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, si sta celebrando con grande fervore, il triduo in preparazione alla prima festa del nostro Beato Fondatore, dopo il decreto della sua Beatificazione. Perciò non vedere in questa coincidenza, l'augurio di una particolare benedizione del nostro :,Beato Padre sopra una nuova mansione affidatami? — benedizione che gli chiedo di tutto cuore, perchè venga essa a supplire tutto quello che io non saprò o non potrò fare, nell'adempimento della medesima.
Ora dovendo rivolgermi specialmente ai confratelli addetti a queste due opere di attività salesiana, non posso non pensare al bene immenso che si è compiuto e che viene, per grazia di Dio, compiendosi, tanto nelle Unioni di Ex Allievi, come nei nostri Oratori Festivi, ad uno dei quali, tuttora -fiorentissimo, debbo, per parte mia, il benefizio inapprezzabile. ,della vocazione. Sia quindi la mia prima parola, una parola "di lode sincera per lo zelo indefesso con cui questi cari fratelli svolgono un apostolato che, se non è privo certamente di sacrifizi, è però sempre ricco di liete promesse e di frutti copiosi di salute per la cara gioventù.
Ma se il pensiero del bene finora compiuto, può giustamente esserci di grande consolazione ed anche di conforto nelle inevitabili difficoltà, esso deve sopratutto stimolare il nostro zelo e spronare l'animo nostro, nella ricerca dei mezzi atti ad accrescerlo sempre più.
A questo, appunto, ci invitava il Rev.mo Rettor Maggiore nella sua lettera del 24 ottobre 1929 (No 50 degli Atti, p. 802), ove appare vivissimo il suo desiderio che la Beatificazione del nostro Fondatore abbia a segnare un risveglio generale in favore di queste due opere genuinamente salesianē. Anche ai Cooperatori ha voluto raccomandare lungamente, nella sua lettera annuale, l'opera degli Oratori Festivi, chiamandola « importantissima, la prima di Don Bosco, l'opera proprio del suo cuore » ed aggiungendo queste infiammate parole che tutti dobbiamo raccogliere con filiale rispetto : « Vorrei che la mia voce accorata giungesse all'orecchio di tutti i miei confratelli, dei nostri cari ex-allievi, dei nostri Cooperatori ed amici, per gridar loro: Oratorii, Oratorii, Oratorii ».
Non sembra, cari confratelli, che la voce del Padre, fedele interprete del Fondatore, ci chiami ad una vera Crociata? Ascoltiamo questa voce e proponiamoci di attuare il programma che egli stesso ci traccia con una luminosa concisione. Riguardo agli Oratori Festivi:
l° In ogni casa, un Oratorio Festivo.
2° In ogni Oratorio Festivo, i mezzi necessari perchè possa svolgere la sua opera.
3° In tutti gli Oratori Festivi i giovani siano avviati al bene ed educati secondo i criteri di Don Bosco e non del mondo.
Riguardo agli Ex Allievi:
l° Tutte le case ed opere nostre abbiano una Unione di Ex Allievi.
2° Si cerchi di renderla fiorente ed attiva.
3° Scopo principale della medesima sia quello di aiutare i nostri Ex Allievi a perseverare nella via del bene, dei buoni principii e dell'educazione cristiana ricevuta.
A questo programma chiaro e preciso, nulla aggiungeremo oggi se non un invito pressante, perchè tutti, Ispettori, Direttori, Incaricati, pienamente convinti dell'importanza dell'argomento, assecondiamo, con tutte le nostre forze, la volontà del nostro Rettor Maggiore.
Intanto per poter seguire meglio l'attività di queste opere, prego tutti i Direttori ed Incaricati che non lo fanno ancora a voler inviare regolarmente a questo Ufficio, un esemplare di ogni Foglio periodico o Rivista, di ogni Circolare e Programma, e di qualunque altra pubblicazione riguardante la vita dell'opera, come articoli di giornali, resoconti di feste, ecc.
A questo stesso fine, saranno inviati ai Sig. Direttori, due moduli riguardanti, uno gli Oratori Festivi e l'altro le Unioni di Ex-Allievi. Si fa viva preghiera perchè appena ricevuti, questi Moduli siano debitamente riempiti e spediti all'Ufficio del Consigliere Generale pel tramite del rispettivo Ispettore.
Faccia il Signore che la buona volontà e la cooperazione di tutti nell'assecondare le disposizioni del Rev.mo Rettor Maggiore a riguardo di queste due opere abbiano a dare frutti copiosi per le anime e per la Congregazione.
24 Ottobre 1930
IL RETTOR MAGGIORE: Il Coad more' Salesiano - Mons. Ignazio Canazei
- Strenne pel 1931:
pag. 877
;I.
ATTI DEL CAPITOLO SUPERIORE
II Rettor Maggiore.
J. M. J.
Carissimi Confratelli,
Ho letto le parole dette dal Beato nostro .Don Bosco sul concetto ch'egli aveva dei nostri Confratelli coadiutori e il relativo commento del caro Consigliere Professionale D. Vespignani: le parole del Padre ed il commento del figlio mi paiono tanto giusti ed opportuni, che credo bene di farli miei e di presentarli a tutta la Congregazione: li troverete nella seconda parte di questi Atti.
Credo che se si arrivasse a tradurre tutta intiera la spiegazione nelle lingue dei paesi dove abbiamo confratelli, ne guadagnerebbe molto la nostra Società e si avrebbe nntc '7iorma giusta per formarli e conservarli, mentre essi sentirebbero di più l'importanza della loro missione e della loro santificazione.
Nell'ultima mia circolare vi parlai a lungo di Mons. Versiglia; ora ho la consolazione di dirvi che la S. Sede ha nominato a successore nel Vicariato di Shiu-Chow Mons. Ignazio Canazei che verrà presto consacrato colà dal delegato apostolico Mons. Costantini che si recherà perciò sul posto, forse accompagnato da un vescovo cinese. Raccomandiamolo tutti al Signore perchè, a intercessione del Beato D. Bosco, possa raccogliere anche il frutto del Sangue del Martire suo antecessore.
Nel desiderio che arrivi in tempo a tutte le Case la consueta strenna ve la mando con questo numero, quantunque siamo ancora lontani dal 1° dell'anno. Eccovi «dunque quella pei confratelli salesiani:
« Facciamo conoscere meglio il Beato D. Bosco. I Direttori ponendo alla portata dei confratelli vita ed opere del Beato. Tutti parlando di lui, citando i suoi esempi nelle conferenze, nei sermoncini della sera ed anche nella scuola e nelle conversazioni ».
Pei giovani:
« Fuggire l'oziosità anche in ricreazione impiegando bene il tempo ad imitazione del Beato D. Bosco ».
Per gli ex-allievi:
« Correttezza e riservatezza cristiana nei modi e nelle parole ricordando l'esempio di D. Bosco ».
Iddio vi benedica' tutti e vi conceda di terminare l'anno col desiderio di far sempre maggior bene alla gioventù e di santificare le anime vostre.
A ff.mo in C. J.
Sac. FILIPPO RINALDI.
II.
COMUNICAZIONI E NOTE
IL COADIUTORE SALESIANO
secondo la mente del Beato Don Bosco.
La Divina Provvidenza ci ha conservato in un prezioso documento il vivo ritratto del coadiutore salesiano, dipinto dallo stesso Beato Don Bosco: le qualità esteriori, le doti interiori, l'ufficio, lo spirito del coadiutore vi sono delineati con mano sicura e con rilievi precisi. Ciò fece il Beato Fondatore nella prima conferenza da lui tenuta ai suoi novizi coadiutori del 1883, nella casa di formazione di San Benigno Canavese. Ecco qui le sue testuali parole, che io presenterò distinte in vari punti secondo la diversità dei concetti.
Nolite timere, pusillus grex. Voi siete il pusillo grex. ma non vogliate temere chè crescerete. ,
Vi esporrò due pensieri. Il primo è l'esporvi qual è la mia idea del coadiutore salesiano. Non ebbi ancora mai tempo e comodità di esporla bene.
1.
1° Voi dunque siete radunati qui ad imparare l'arte ed ammaestrarvi nella religione e pietà. Perchè? Perchè io ho bisogno di aiutanti. V i sono delle cose che i preti ed i chierici non possono fare e le farete voi.
2° Io ho bisogno di prendere qualcuno di voi e mandarlo in una tipografia e dirgli: — Tu pensaci a farla andare avanti bene. — Mandarne un altro in una libreria e dirgli: — Tu dirigi che tutto riesca bene. — Mandarne uno in una casa e dirgli: — Tu avrai cura che quel laboratorio o quei laboratori camminino con ordine, non manchi nulla: provvedi quanto occorre, perchè i lavori riescano come devono riuscire. ‑
3° Io ho bisogno di aver qualcuno in ogni casa, a cui si possano affidare le cose di maggior confidenza, anche il maneggio di denaro, il contenzioso, che rappresenti la casa all'esterno.
4° Ho bisogno che vadano bene le cose di cucina, di portieria, di guardaroba, infermeria, sacrestia, ecc..., che tutto si procuri a tempo, niente si sprechi, nessuno esca, ecc...
5° Ho bisogno di persone ben preparate e di confidenza a cui poter affidare queste incombenze: voi dovete essere questi tali...
6° In una parola: voi non, dovete essere chi lavora solo direttamente o fatica, ma bensì quasi chi dirige. Voi dovete essere come padroni sugli altri operai, non come servi. Tutto. però con regola e nei limiti necessari; ma tutto avete da fare voi alla direzione, come padroni voi stessi delle cose dei laboratori.
7° Questa è l'idea del coadiutore salesiano. Io ho tanto bisogno di aver molti che mi vengano ad aiutare in questo modo. Sono perciò contento che abbiate abiti adattati e puliti; che abbiate letti e celle convenienti, perchè non dovete essere servi ma padroni, non sudditi semplicemente ma superiori.
8° Ora vi esporrò il secondo pensiero. Dovendo venire così in aiuto, in opere grandi e delicate, dovete procurarvi molte virtù, e dovendo presiedere ad altri, dovete prima di tutto dare buon esempio.
9° Bisogna che dove si trova uno di voi, si sia certi che qui vi sarà l'ordine. la moralità, il bene, ecc...
10° Che, si sal infatuatus fuerit, se il sale che preserva dalla corruzione, si riducesse a tal punto da perdere la sua virtù, allora solo resta che sia calpestato, ecc...
11° Conchiudiamo dunque come abbiamo incominciato: Nolite timore, pusillus grex. Non vogliate temere chè il numero crescerà, ma specialmente bisogna che si cresca- in bontà ed energia, e allora sarete come leoni invincibili e potrete fare molta del bene.
12° E poi: complacuit-dare vobis regnum; Regno e non servitù, e specialmente avrete Regno eterno!
Questo discorso del nostro Beato Padre e Fondatore è Come la rivelazione di un'invenzione uscita dalla sua mente e dal suo cuore; è l'espressione di un programma e di uno spirito nuovo, in conformità coi tempi che corrono e coll'apostolato che Don Bosco doveva compiere nel mondo.
Conviene farvi sopra alcune riflessioni. Per questo dividere in dodici punti le parole del nostro Reato Padre: così sarà più facile capire questa mirabile specialità, tanta /nella sua materia, come nella sua forma, ed apparirà nello stesso tempo -come il Beato Fondatore avesse idee molto chiare e precise sulla grande opera e sulla speciale missione ricevuta dal Cielo e da lui confidata ai suoi figli.
INTRODUZIONE.
Don Bosco incomincia con un preambolo, nel quale cerca di far coraggio a quel suo piccolo gruppo di ascritti o novizi artigiani, che erano una ventina. Dice loro di non incoraggiarsi per il piccolo numero e profeticamente li assicura, tanto al principio come al fine del suo discorso, che il numero sarebbe aumentato presto, come difatti avvenne. In seguito propone il tema della sua conferenza, che vuol dividere in due parti, corrispondenti a questi due pensieri: 10) spiegare il concetto, il fine, l'oggetto e il carattere speciale del coadiutore salesiano; 20) esporne le condizioni o qualità morali, ossia le virtù speciali, perché corrisponda alla sua vocazione e possa conseguire il fine dell'Opera e della Missione Salesiana.
PARTE I.
1. — Religione e pietà- - Arte e mestieri.. - Fine della scuola.
Il primo punto spiega il perchè della casa di noviziato, che è la preparazione e la formazione spirituale e professionale dei confratelli coadiutori come futuri capi e maestri salesiani; ed anche ci dà la ragione di questa nuova Opera dei confratelli coadiutori. Ecco le parole di Don Bosco: « Voi dunque siete radunati qui ad imparare l'arte ed ammaestrarvi nella religione e pietà ». L'istruzione religiosa e l'abito della solida pietà è la ragione tanto del noviziato quanto del biennio di perfezionamento che immediatamente lo segue: questa formazione religiosa poi va accompagnata coll'esercizio dell'arte e del mestiere al quale ciascuno si è dedicato.
In questo doppio esercizio spirituale e materiale vediamo quasi rinnovato il programma di quegli antichi religiosi benedettini, che circa mille anni prima avevano abitato quella stessa casa, dove il Beato Don Bosco parlava ai suoi giovani figli e che fu fondata dall'Abate S. Guglielmo di Volpiano. Quel programma era espresso nel motto Ora et Labora, cioè abito di orazione ed abito di lavoro; Don Bosco secondo lo spirito della Chiesa lo adattava alle nuove esigenze dei tempi.
Il nostro Beato Padre aggiunge poi un secondo motivo, per il quale i suoi ascritti sono riuniti in questa casa di formazione, per attendervi agli esercizi della vita interiore e del lavoro. Egli si domanda: Perchè siete qui? » E risponde: « Perchè io ho bisogno di aiutanti ». Dà poi la ragione di questo bisogno d'aiutanti o coadiutori. « Vi sono delle cose che i preti ed i chierici non possono fare e le farete voi ».
Per compiere dunque l'apostolato salesiano, che Don Bosco si era proposto tra la gioventù povera ed abbandonata, per togliere quei ragazzi dall'oziosità e dalla strada, ispirar loro l'amore e l'abito del lavoro, non gli bastavano i chierici ed i sacerdoti: egli aveva bisogno di religiosi operai, lavoratori, anzi veri maestri di laboratorio e di officina. Quello dunque che non potevano fare i chierici ed i sacerdoti lo dovevano fare i coadiutori salesiani. Questo concetto fondamentale e caratteristico dell'Opera Salesiana, Don Bosco lo viene svolgendo e spiegando nei sette punti della prima parte con mirabile precisione e semplicità, proprio con quella parola paterna, facile e convincente che conquistava la volontà e l'affetto di tanta gioventù.
Ci pare quasi di sentir ripetere quello che gli Apostoli dissero ai loro primi discepoli che si erano assai moltiplicati (Atti Apo»t., VI, 2):- «Non è ben fatto che noi abbandoniamo la predicazione della parola di Dio per servire alle mense », cioè per praticare la carità e distribuire le elemosine ai poverelli e dar loro da mangiare. Era press'a poco la stessa ra‑
gione che obbligava il fondatore degli Oratori Festivi e degli Ospizi d'Arti e Mestieri a cercarsi altri aiutanti, oltre ai suoi sacerdoti e chierici ed affidar loro non solo la manutenzione e gli uffici della casa, ma specialmente l'insegnamento delle arti e mestieri e dell'agricoltura. Anzi noi troviamo nella stessa elezione dei sette primi Diaconi un'altra bella analogia dei coadiutori di Don Bosco, perchè quantunque quelli fossero destinati e prepo‑
sti specialmente all'esercizio della carità e delle elemosine verso i poveri, tuttavia aiutavano anche i sacerdoti nel sacro ministero e nell'istruzione dei neofiti; e così pure Don Bosco voleva i suoi Coadiutori anche presso l'altare ad aiutare il sacerdote e specialmente ad insegnare la Dottrina cristiana..
2. — Ho bisogno di molti capi e maestri.
Per ben quattro volte il Beato ripete con insistenza: « Io ho bisogno ». È questo un grido di ansietà, di zelo, di depressione del suo cuore di Padre, al vedere tanta gioventù che si abbrutisce nell'oziosità, nell'abbandono, nel vizio. « Io ho bisogno di operai( di capi o maestri di arti e mestieri e di agricoltura ». Volendo togliere dalla strada e dai pericoli tanta povera gioventù, tanti orfanelli abbandonati, aveva bisogno di aprire laboratori ed officine e farne scuole cristiane di lavoro.
Fra tutte le- arti, Don Bosco dava la preferenza alla tipografia ed alla libreria, perchè il suo apostolato salesiano tra il popolo cominciò, non solo col Catechismo insegnato ai fanciulli dei suoi oratori festivi, ma anche colla propaganda morale e- religiosa e sociale della buona stampa, mediante le sue Lettere r attoliche, stampate e divulgate dai giovinetti delle sue tipografie e librerie, 'insieme agli altri libri ed opuscoli destinati ad istruire la gioventù ed il popolo, difendendoli dagli errori moderni.
Erano passati già circa trentacinque anni dacchè - Don Bosco in Valdocco aveva cominciato il suo primo Ospizio di artigiani (1847), raccogliendo poveri orfani fanciulli abbandonati, e provando tutti i sistemi che la sua carità nelle sue povere condizioni gli consigliava e permetteva, per insegnare a quei derelitti un mestiere: mandarli a lavorare presso capi bottega per la, città, ricoverandoli di notte nella casa Pinardi (1847); tenerli nell'Oratorio, insegnando a lavorare da- sarti e calzolai con maestri esterni a pagamento (1854); lavorare per conto degli stessi maestri mercenari (1860); esercitare gli stessi mestieri sotto la direzione di maestri esterni pagati, ma per conto della casa. Quante, difficoltà, prove, disinganni avevano fatto ripetere a Don Bosco quell'angoscioso lamento: — lo ho bisogno di maestri e di capi, che sieno della casa, che sieno figli miei, religiosi salesiani, col nostro stesso spirito di pietà, di moralità, di carità, che lavorino per il Signore e per le anime!
Don Bosco dunque fin dagl'inizi del suo Oratorio e del suo Ospizio, mentre ideava le Scuole Professionali ed Agricole, voleva che ogni laboratorio ed ogni azienda, destinati ad albergare i figli del popolo, avesse capi e maestri salesiani; che ogni arte e mestiere fosse una vera scuola, con teoria e pratica impartite da salesiani; che offrisse agli alunni ogni mezzo per riuscire operai abili, non solo a guadagnarsi il pane, ma anche a divenire padroni di laboratorio, mantenendosi modelli di onestà e di vita cristiana tra la classe operaia e nella civile società. E questo bel risultato oh! come l'ottenne il Beato Don Bosco, in tante nazioni, per mezzo delle sue Scuole Professionali ed Agricole, per opera specialmente dei suoi buoni coadiutori, capi e maestri di arti e mestieri! .
Immaginiamoci ora di udire lo stesso Beato Don Bosco, che dopo tanti studi e prove, dopo tanti sospiri e sacrifizi, trovandosi in San Benigno circondato dai suoi giovani coadiutori artigiani, ripete loro con quell'accento del suo ardente zelo: « Io ho -bisogno di poter prendere qualcuno di voi e mandarlo in una tipografia e dirgli: — Tu pensaci a farla andare avanti bene. — Mandarne un altro in una libreria e dirgli: — Tu dirigi, che tutto riesca bene. — Mandarne un terzo in una casa e dirgli: — Tu avrai cura che quel laboratorio o quei laboratori camminino con ordine, non manchi nulla: provvedi quanto occorre perchè i lavori riescano come devono riuscire ». —
Come si saranno sentiti animati quei giovani ascritti all'udire quell'invito di Don Bosco, bisognoso di operai, di capi e maestri per dirigere quei laboratori! Pare di vederli già tutti pronti rispondere generosamente: — Padre, eccomi, mandi me dove vuole! —
È questa una scena che si ripete oggi in tutte le nostre case di aspirandato, di noviziato, di studentati e di perfezionamento magistrale: i Superiori, come Don Bosco, ripetono: — Io ho bisogno di poter prendere qualcuno di voi e mandarlo dove c'è estrema necessità per salvare dei giovanetti specialmente artigiani. — Si risponda dunque da tutti: — Presente! eccomi pronto ad accorrere dove la voce di Don Bosco ci chiama. —
3. — « Ho bisogno di buoni coadiutori per ogni casa o collegio».
Nel paragrafo precedente abbiamo visto il nostro Beato Don Bosco intento a cercare e a distribuire il suo personale di coadiutori nelle sue tipografie e librerie e negli altri laboratori o scuole professionali, incaricandoli di disporre ed ordinare tutto con competenza e proprietà. Per tale ordinamento non bastano i Capi.
Ogni scuola professionale di Don Bosco ha i suoi quattro, sei, otto o dieci laboratori di distinte arti e mestieri, in ciascuno dei quali oltre il maestro o capo, vi sono alcuni vice-capi per i cinque corsi in cui è diviso il tirocinio: quindi uno o più vice-capi hanno l'incarico d'insegnare la teoria e la pratica nei rispettivi corsi. Di qui il gran bisogno di numerosi e valenti coadiutori in ogni laboratorio.
Ma oltre a questi coadiutori, Don Bosco insiste dicendo che ha bisogno in ogni casa di qualcuno a cui commettere le cose di maggior confidenza, anche il maneggio del denaro, il contenzioso, il rappresentare la casa all'esterno. Ecco quindi un altro aspetto delle case salesiane, che crea necessità di personale specializzato: le relazioni coi fornitori del materiale per tutti i laboratori, utensili, macchine, ecc., il trattare coi clienti che ordinano i lavori; la sorveglianza degli operai esterni indispensabili nelle diverse officine; il dover riscuotere fatture, fare acquisti e tenere la contabilità di ogni officina, anzi la manutenzione di tutto lo stabilimento; tutto questo costituisce un cumulo di preoccupazioni, di attenzioni, di lavoro, da esigere un organismo amministrativo complicato e di enorme responsabilità.
E Don Bosco, per bocca di tutti quelli che gli succedettero e lo rappresentano in questi stabilimenti di lavoro e di carità, leva la sua voce supplicante, chiedendo aiuto ed invitando i giovani di buona volontà per poter formare questi uomini della Divina Provvidenza, questi coadiutori salesiani, che maneggino e dirigano religiosamente e con competenza la grande impresa di trasformare i birichini della strada in buoni ed abili operai.
Così Don Bosco, coi suoi direttori salesiani, ripete: « Io ho bisogno di aver qualcuno in ogni casa a cui si possano affidare le cose di maggior confidenza, gli affari più delicati e di speciale importanza! ».
Nelle case; negli ospizi, nelle scuole professionali ed agricole oli! come risuona tuttodì questa parola supplicante di Don Bosco: « Ho bisogno di coadiutori salesiani! ». Questo bisogno urgente, questa necessità assillante si fa sentire specialmente nelle Missioni, dove il confratello laico non solo è il compagno di escursioni, il fedele aiutante del sacerdote, ma è il catechista, il vero padrino dei neofiti, maestro e guida, amico fedele, angelo tutelare di tutti i novelli cristiani
Ammiriamo dunque un'opera provvidenziale nella formazione di questi coadiutori maestri o capi di laboratorio, creati dal Beato Don Bosco;
lodiamo e benediciamo la loro benefica azione in ogni casa e nelle missioni; ma soprattutto, sentendo l'invito e la preghiera del nostro Beato Padre che abbisogna di questi confratelli in gran numero, che abbiano il suo spirito e sieno sparsi per ogni casa, procuriamo di far conoscere questa necessità dovunque vi sono buoni operai che seguono i suoi insegnamenti e paiono atti a secondare i suoi disegni.
4. — « Ho bisogno del coadiutore `uomo di casa'».
Una qualità speciale del coadiutore di Don Bosco è sempre stato l'affetto alla casa salesiana o alla « casa di Don Bosco », come se fosse la propria casa natale; e così fu sempre tradizionale fra i nostri coadiutori l'interessarsi per tutto ciò che appartiene alla casa stessa, come un buon figlio di famiglia ha cura di tutto ciò che appartiene alla casa del padre, non che degl'interessi, degli stabili, e di quanto è della famiglia.
Questa caratteristica dei figli dell'Oratorio certamente ebbe origine da quella prima casa di Don Bosco, dove egli stesso con Mamma Margherita, tutto maneggiava e regolava per mezzo degli allievi antichi, come di figli proprii della casa, sicchè vi si formava quella cara vita di famiglia, che è la comunicazione o comunità delle cose spirituali e temporali, condite e maturate al calore dell'amor filiale e dell'affetto domestico.
Don Bosco dunque, mentre fomenta, specie fra gli artigiani; questo amore alla casa e questo spirito di famiglia, ora invoca l'aiuto e la cooperazione di tutti i suoi coadiutori o di quelli che voglior o essere tali, perchè s'incarichino degli uffici di casa o delle faccende domestiche, come pulizia, ordine, manutenzione, ripartizioni, portieria, guardaroba, cucina, dispensa, infermeria, massime poi la chiesa e la sacrestia.
Per tutte queste occupazioni od uffici di casa egli « ha bisogno » di aiutanti volonterosi, capaci e pratici, ma più ancora dotati di buon spirito, perchè questi lavori si debbono compiere con una diligenza e con un amore, che risplenda agli occhi di tutti, onde si riconosca che questa è casa di Dio e di religiosi e non di lavoratori o impiegati mercenari o servi salariati.
Gli stessi allievi poi delle case salesiane vedranno in questi buoni coadiutori tanti modelli in quel primo ufficio o dovere che è di tenere in buon ordine di assetto, oltre alla propria persona, anche tutte le cose di casa, delle camere, ecc... come dei propri vestiti, calzature, letto, ecc. Questa fu la prima scuola che sotto il dolce magistero di Mamma Margherita, si aprì in Valdocco: ella fu la prima madre, la formatrice dei primi coadiutori di Don Bosco nello stabilire la casa o l'ospizio salesiano con lo spirito di famiglia, quasi fedele riproduzione della Casa di Nazareth.
Voglia Iddio che si moltiplichino attorno alle case di Don Bosco, come dentro di esse, questi mirabili collaboratori che rappresentano gli angeli della Divina Provvidenza, dedicandosi alcuni a provvedere e preparare l'alimento, altri a prendersi cura affettuosa di tutte le cose della casa o del collegio, dove tanta gioventù trova la sua salvezza ed i mezzi per la vita dell'anima e del corpo!
Oh come torna dovunque alle labbra la stessa parola di Don Bosco: « Io ho bisogno di un buon portinaio, di un buon cuciniere, poi del guardarobiere, dell'infermiere, dello spenditore o provveditore o commissioniere, del sacrestano, ecc.! ». Faccia il Signore che molti rispondano a quel premuroso invito del Beato Don Bosco, poichè, aumentando le case e gli stabilimenti salesiani in tante nazioni ed in tante missioni, il bisogno si fa sempre più urgente e molteplice!
5. — « Ho bisogno di coadiutori ben preparati e di confidenza ».
Dopo aver enumerate tutte le distinte necessità di personale che ha la sua opera salvatrice della gioventù, il Beato compendia tanti bisogni in uno che è il principale e della massima urgenza e che più lo preoccupa: « Io ho bisogno di persone ben preparate e di confidenza, a cui poter affidare queste incombenze! ».
Ecco la ragione di queste grandi case, di questi stabilimenti di normazione salesiana, aspirandati, noviziati, istituti di perfezionamento professionale di arti e mestieri e di agricoltura. Don Bosco ha bisogno di persone ben preparate col perfezionamento morale e religioso e cogli abiti delle virtù cristiane, con lo spirito salesiano; ed inoltre ben preparate nell'arte o mestiere che hanno da esercitare ed insegnare.
Nè gli basta questa buona preparazione e capacità nei suoi coadiutori; ma vuole che sieno persone « di confidenza », cioè che sieno di fiducia, di morale sicurezza, di responsabilità. Oh come ripete poi questo concetto nella seconda parte con maggior insistenza e più esplicitamente! E perchè diventino tali e dieno prove di queste qualità, si fanno quei saggi, quelle belle prove nelle case di formazione.
Qui si noti bene la squisita delicatezza e prudenza del Fondatore, che non vuole affidare quegli uffici e quelle mansioni a estranei o impiegati, più o meno conosciuti: egli vuole per ciascuno di quei posti di responsabilità, per quegli uffici delicati « persone ben preparate e di confidenza », cioè uomini di fede e di vita religiosa, di zelo e di coscienza, di preparazione professionale e di buona volontà, che capiscano le sue idee, sieno imbevuti del suo spirito ed abbiano abbracciata la sua missione come venuta dal cielo e la compiano con spirito di carità; che sieno insomma veri figli di Don Bosco.
Egli si dirige poi a quei giovani novizi di San Benigno e con affetto di Padre e di Maestro amabilissimo dice loro che li ha scelti proprio per essere i suoi uomini di fiducia, i suoi fidi coadiutori: « voi dovete essere questi tali ». È come se dicesse: — Appena "voi avrete terminato lodevolmente il vostro noviziato o il vostro corso di magistero o di perfezionamento, io verrò a scegliere tra voi i maestri, i capi e vice-capi di cui abbisogno, e vi incaricherò di questa o di quella tipografia, o libreria, dì questo o di quel laboratorio o degli altri offici della casa: ma verrò a cercare e preferirò i coadiutori ben preparati, i veri confratelli di confidenza, perciò appunto di questi io abbisogno, e poi li distribuirò per tutte le case e li manderò ad aiutare nelle nostre Missioni. Preparatevi dunque con diligenza, con costanza e con entusiasmo: abbracciate con amore il vostro mestiere e la vostra arte e fate onore alla vostra scuola ed al vostro laboratorio per poter competere cogli operai e maestri secolari e perfino superarli, e così fare onore alla nostra santa religione ed all'opera di Don Bosco! —
6. - Dovete essere capi, maestri, dirigenti nel vostro lavoro ».
Il nostro Beato ora vuole chiarire meglio il carattere speciale dei suoi coadiutori, che prima ha chiamato uomini di responsabilità;, di fiducia e ben preparati nell'arte o mestiere e nell'officio loro; ed ecco che in questo punto conferisce loro, in certo qual modo, una specie di autorità direttiva, una tal quale padronanza; quasi si direbbe che consegna loro la chiave della sua casa, dicendo: Voi altri, miei figliuoli, non dovete essere semplici lavoratori ed operai, ma veri maestri, capi e direttori del lavoro e del laboratorio, non solo in quanto ai ragazzi, vostri discepoli, ma anche riguardo agli impiegati o famigli che stanno alla vostra dipendenza; non dovete essere servi, ma padroni e rappresentanti della direzione dell'istituto, riguardo alla vostra mansione o amministrazione. — Di qui si scorge la differenza che passa tra i fratelli o frati laici degli antichi ordini monastici e mendicanti, ed anche delle altre congregazioni, ed i coadiutori salesiani di Don Bosco. Questi non hanno il loro compito limitato ai servigi della casa religiosa e dei sacerdoti, non sono semplici ausiliari della comunità; ma, mentre sono veri e perfetti religiosi e non ricusano neppure qualunque umile ufficio nella casa, sono poi anche educatori e maestri di un'importante ripartizione dell'istituto e costituiscono un fattore indispensabile dell'Opera Salesiana.
Si capisce facilmente che l'avere un salesiano capo alla direzione di un'officina o laboratorio, di una scuola o di un'azienda qualunque nella casa salesiana, oppure un salesiano incaricato della portineria, cucina, guardaroba, infermeria, ecc., e non una persona esterna, secolare, salariata, è una garanzia sicura della regolarità, del metodo, della morale, della religiosità e del buon andamento generale, anzi dello spirito dell'istituto e dell'esito felice nella formazione e perseveranza degli alunni, come pure del prestigio dell'Opera stessa. Ecco perchè il Beato sentiva la necessità di accentuare questa speciale distinzione fra il suo coadiutore ed il laico delle altre congregazioni.
Dopo di aver tolto al nostro coadiutore salesiano la condizione o apparenza di semplice lavoratore manuale e di servo del tutto subordinato agli altri, ed aver insistito sul carattere di capo e maestro, di padrone e dirigente, o meglio, di guida intelligente e buon papà di quelli che lavorano insieme con lui ed alla sua dipendenza, Don Bosco riconosce la necessità di temperare l'idea di assoluta padronanza che qualcuno potrebbe supporre in questi confratelli salesiani. Quindi aggiunge: « Tutto questo s'intende detto in conformità colla Regola e nei limiti necessari e convenienti », che sono quelli fissati dal Regolamento particolare dei maestri e capi di laboratorio e dall'ubbidienza ai superiori gerarchici, in santa unione e carità fraterna.
Ma anche dopo questo schiarimento, il Beato torna su quel criterio speciale del maestro salesiano e ribadisce il chiodo, riguardo a quella specie di libertà e responsabilità che egli concede ai suoi di disporre tutto riguardo al loro laboratorio, come padroni di bottega, cioè delle cose appartenenti alla casa, a differenza di quello che si farebbe o permetterebbe con maestri e lavoranti esterni, ai quali non si potrebbe concedere tanta libertà ed autorità sulle cose e persone della casa stessa.
Don Bosco dunque considera il suo buon coadiutore come un vero figlio suo, della Congregazione e della casa; e per questo gli dà, dopo la santa Professione, tutte quelle attribuzioni che competono ad un vero figlio della sua grande famiglia, come erede legittimo o partecipante dei beni della comunità, per i fini proprii di lei e per l'uso religioso e discreto che tutti i membri della Pia Società se ne propongono, per la gloria di Dio ed il bene delle anime.
7. — «Questa è la mia idea del coadiutore, ed io ho tanto bisogno di averne molti *.
È così convinto il Beato Don Bosco di averci dato il concetto esatto del suo coadiutore, che, terminando la sua esposizione delle caratteristiche speciali di questo suo aiutante, di questo fattore indispensabile, della sua opera, ripete la sua affermazione: « Questa è l'idea del coadiutore salesiano! ». Mirabile creazione della mente e del cuore di Don Bosco!
Ma egli non si contenta della nostra ammirazione. Dopo di averne fatta una così bella e completa descrizione, esclama subito pieno di ardentissimo zelo per la salvezza dei figli del popolo e della gioventù operaia: « Io ho tanto bisogno di averne molti, che mi vengano ad aiutare in questo modo! ».
Non gli è bastato dirci e ripeterci che ha bisogno di aiutanti, che ha bisogno di poter andare a scegliersi aiutanti per questa o quella opera, che ha bisogno anzi di aver qualcuno per ogni casa, che ha bisogno non solo di qualcuno, ma di vari altri per la cucina, portineria, guardaroba, infermeria, sacrestia, ecc.; ma che soprattutto ha bisogno « di persone ben preparate e di confidenza », ed ecco che ora con la maggior insistenza ripete: « Io ho tanto bisogno di aver molti che mi vengano ad aiutare in questo modo », cioè che vengano ad aiutarmi nelle Scuole di arti e mestieri, come capi e vice-capi di laboratorio, nelle Scuole agricole, come capi di differenti aziende, come catechisti ed assistenti negli Oratori Festivi, come incaricati di tutti gli uffici e lavori delle case, e che tutti vengano a prepararsi per lavorare poi in questo stesso modo coi medesimi criteri già esposti.
Questo « grande bisogno» che ha Don Bosco di aiuto e che ci manifesta con tanta ansietà ed insistenza è un invito ed uno stimolo a cercare molte vocazioni di coadiutori e di operai salesiani. Ci pare proprio di vedere in Don Bosco, secondo la parabola del. Vangelo, quel padre di famiglia che va d'ora in ora a chiamare operai per la sua vigna. Sembra infatti che egli non abbia mai lavoratori a sufficienza per la sua opera di salvare la gioventù abbandonata: esce sempre per mezzo dei suoi Ispettori e Direttori, per condurre nuovi operai, ai quali promette, anche lui generosa ricompensa, tanto a quelli della prima ora che a quelli dell'undecima. Per tutti c'è posto per tutti c'è lavoro nella casa e nell'ospizio salesiano: Don Bosco soleva assicurare a tutti i suoi quelle tre cose che sono restate proverbiali: Pazze, Lavoro e Paradiso!
Si osservi poi la carità veramente paterna di Don Bosco che vuol terminare questa prima parte della sua esposizione occupandosi con grande delicatezza anche di cose esteriori e secondarie riguardo al vestito, al letto ed alla cella dei suoi cari coadiutori che tratta proprio non come servi, ma come figli suoi, come padroni di casa. Ecco le sue paterne parole: « Sono perciò contento che abbiate abiti adattati' e puliti: che abbiate celle e letti convenienti, perché non dovete essere servi ma padroni, non sudditi semplicemente, ma superiori. « Ci senybra di sentir ripetere le parole di Gesù ai suoi cari discepoli dopo l'ultima céna : « Non vi chiamerò già servi, perché il servo non sa quel che si faccia il suo padrone: ma vi ho chiamati amici, perché tutto quello che intesi dal Padre mio, l'ho fatto sapere a voi ».
Pare proprio che Don Bosco nell'istituire i suoi coadiutori si preoccupasse assai di togliere quel gran pregiudizio che poteva esservi in alcuni di crederli d'una condizione inferiore nella stima, nell'affetto, nella considerazione del Padre comune; e quindi insiste nel volerli assicurare che sarebbero proprio trattati non da servi, ma da veri figli e fratelli nella famiglia salesiana.
Egli dunque si occupa anche di alcuni particolari sul vestito; sulla cella e sui letti, che vuole sieno decenti e adatti alla condizione ed agli uffici che i confratelli laici debbono disimpegnare in casa e fuori di casa, come maestri, educatori, commissionieri, ecc. In queste espressioni si ammira il gran cuore del Beato Don Bosco verso i suoi ospizi per artigiani e verso i coadiutori, che dovevano essere il principale fattore, l'anima e la vita di questa grande opera religiosa e sociale, complemento degli oratori festivi.
Per altro deve notarsi qui che quando il Beato Fondatore si espresse in questi termini, dichiarando che egli elevava, in certo modo, i suoi confratelli coadiutori quasi ad un rango speciale di padroni e superiori nella sfera delle Scuole Professionali, cioè riguardo al laboratorio e di fronte agli altri operai ed agli allievi, qualcuno ebbe a meravigliarsi e perfino a scandalizzarsi, come se quei termini fossero di una padronanza e superiorità assoluta e mondanamente intesa; ma devesi avvertire, come chiaramente lo spiega il testo, che si tratta di una condizione relativa di superiorità. di padronanza e direzione sia 'al riguardo al concetto dei laici negli altri Ordini e Congregazioni, sia rispetto agli impiegati, famigli e persone esterne ed ai proprii allievi, che sono affidati alle cure e alla dipendenza dei nostri coadiutori, come a veri maestri e capi, non differenti dai maestri ed assistenti di tutti i nostri collegi.
Il concetto di Don Bosco riguardo al coadiutore salesiano è chiaro, esatto, completo ed opportunissimo. Risulta dunque dall'esposizione del Beato Fondatore che il nostro coadiutore è un superiore riguardo ai suoi dipendenti, è un maestro, un educatore, un professionista, un padrone di bottega, come si dice volgarmente, che ha in mano tutto ciò che è necessario per praticare e insegnare il suo mestiere, in relazione coi suoi fornitori, coi suoi clienti, e soprattutto coi suoi apprendisti o discepoli; ma egli è anche, e prima di tutto, cioè essenzialmente, un vero religioso, ed un buon salesiano di Don Bosco, che, vivendo in comunità, sa compiere i suoi doveri ed è fedele alla sua Regola ed ai Regolamenti della casa e professa filiale obbedienza ai suoi superiori. Per questo il Beato Don Bosco volle chiarire bene il senso delle sue parole con quella clausola perentoria che determina e spiega interamente il suo pensiero: « Tutto però con regola e nei limiti necessari ». Dunque anche a quelle tali interpretazioni si deve applicare il detto dell'Apostolo: Littera occidit, spiritus autem vivificat. L'interpretare solo letteralmente è causa di morte, mentre l'intendere secondo lo spirito ci dà la vita, cioè c'insegna a vivere da buoni salesiani.
Ed i nostri buoni confratelli coadiutori sanno capire e penetrare bene nello spirito di Don Bosco, che ci dà il vero e sicuro concetto della vita e della missione del salesiano, secondo i bisogni delle anime e della gioventù operaia nei nostri tempi: essi non vanno a cercare nella lettera ossia nella parola mal interpretata, mezzi di esenzione, di libertà o d'indipendenza mondana, perchè sanno che con questo si mette in pericolo ia propria vocazioi e e la salvezza dell'anima.
Beati dunque coloro che ascoltano la parola del nostro Beato Padre con semplicità di cuore e con ispirito salesiano e la mettono in pratica.
Ma veniamo alla seconda parte della Conferenza, che è pure assai bella, opportuna e sommamente interessante.
PARTE I I
8. — Il coadiutore salesiano specchio di virtù e di buon esempio.
Se la prima parte di questa Conferenza è piuttosto teorica perchè ci dà il concetto del coadiutore, questa seconda parte, che ha solo cinque punti, è sommamente pratica. Qui si spiega quale dev'essere il coadiutore in se stesso e verso gli altri, quali garanzie deve dare nell'esercizio della sua missione, quanto grave il pericolo di defezione, se egli mancasse ai doveri della sua vocazione, e finalmente Don Bosco termina, secondo il suo stile, incoraggiando, anzi promettendo la vittoria ed il trionfo.
Il Beato Don Bosco comincia così la seconda parte del suo discorso: « Ora vi esporrò il secondo pensiero. Dovendo venire così in aiuto, in opere grandi e delicate, dovete procurarvi molte virtù, e dovendo presiedere agli altri, dovete prima di tutto dare buon esempio ».
Il ragionamento non poteva filare più logico e concludente. Egli vuol dire: — Basterà ricordarvi che siete aiutanti, ausiliari, coadiutori di Don Bosco, che siete continuatori della sua opera di redenzione; che lavorate con lui in uno stesso campo, cogli stessi mezzi, con ugual sistema e metodo e con lo stesso fine, e quindi con lo stesso spirito, per convincervi della necessità di procurarvi molte virtù, anzi di avere con lui uno stesso modo di pensare, di sentire, di amare, parlare ed operare, ciò che vuol dire avere il suo spirito. —
Di qui la necessità per i nostri coadiutori di studiar bene Don Bosco, leggere con amore ed interesse specialmente la sua vita, immedesimarsi nel suo spirito ed imparare da lui e ricopiare in sè e praticare tutte le virtù salesiane. Aiuta molto per questo il parlare tra loro dello stesso nostro Padre, narrare ai giovani i begli esempi ed episodi della sua vita ed animarsi reciprocamente a pregarlo ed a imitarlo per acquistare questa o quella virtù.
Si noti poi che il Beato Don Bosco chiama « opere grandi e delicate-» quelle che egli affida ai suoi coadiutori, perchè gli vengano in aiuto, e questo per correggere il pregiudizio di molti che sono usi a guardare materialmente e mondanamente l'arte, il mestiere o l'ufficio dello stesso coadiutore, messo nel suo laboratorio o nei lavori di casa, come un operaio qualunque occupato in lavori bassi, in cose di poco conto. — No, ripete Don Bosco, le vostre opere sono grandi e delicate, perchè voi avete in mano la gioventù da educare, da istruire, da assistere, da incamminare non solo nel mestiere, ma nella virtù, nella vita cristiana: seno grandi queste opere, perchè vanno indirizzate al bene dell'anima, a raggiungere il fine per cui siamo stati creati e redenti, la vita eterna. —
Egli ce lo ha dato come programma nello stemma della Pia Società: «Da mihi animar, caetera tolle »; e poi nelle Regole ci ha insegnato a praticare ogni opera di carità corporale e spirituale a pro della gioventù, specialmente poi per istruire i nostri ricoverati nella religione ed insieme avviarli ad un'arte e mestiere o all'agricoltura, perchè- possano guadagnarsi onoratamente il pane. Ecco dunque le opere grandi alle quali debbono cooperare i nostri coadiutori.
Ed aggiunge Don Bosco che sono anche opere delicate. Qui pure egli vuole togliere il pregiudizio che potrebbe sorgere anche tra noi, di credere molto volgare e persino; grossolano l'ufficio del coadiutore per le opere materiali che compie, in paragone specialmente dello studente, del chierico ed anche del sacerdote. In quanto a educatori salesiani, il nostro Beato Padre li ha equiparati sapientemente ed abilmente agli altri soci della Congregazione, facendoli tutti necessari fattori dell'educazione dei suoi artigiani. Anzi, imitando il nostro Divin Redentore che diede la preferenza agli umili, ai poverelli, ai figli del popolo ed alla pecorella smarrita, il nostro Fondatore si dedicò specialmente a queste anime neglette, abbandonate e pericolanti. Ecco perchè egli insiste: « Dovete procurarvi molte virtù ». Le molte virtù sono principalmente le virtù cristiane, teologali e cardinali che c'insegna il Catechismo, le virtù religiose,= che abbiamo descritte nelle Regole e nei Regolamenti, e poi specialmente quelle caratteristiche insegnate, praticate e raccomandatelo allo stesso Beato Don Bosco nella formazione pratica dei suoi salesiani. Queste si potrebbero ridurre anche a tre: una pietà solida e fervorosa, un'ardente ed attiva carità colle due qualità speciali della purezza e della pazienza ,o mansuetudine nel trattare con tutti, massime coi giovanetti, ed un grande spirito di lavoro e di sacrificio per la gloria di Dio e per il bene delle anime a noi confidate.
Con queste virtù vuole Don Bosco che vada accompagnato il buon esempio, che poi non è altro se non lo-splendore e la fragranza che spandono intorno le stesse virtù praticate constantemente, massime tra i compagni e i dipendenti, con spontanea semplicità.
Questa è la preminenza e la superiorità che debbono ambire i coadiutori salesiani, di condurre a Dio molte anime più coll'esempio che colla parola. Il non aver abito religioso o monacale li mette in condizione di far valere assai meglio, fra secolari ed in mezzo alla gioventù, i loro esempi di pietà e di modestia vincendo ogni rispetto umano ed incoraggiando gli altri a pregar bene, accostarsi ai SS. Sacramenti, udire la parola di Dio, prendere parte alle funzioni religiose, ecc.
Nelle nostre Regole il Beato Fondatore, fino dagli inizi della Pia Società, aveva messo come base o criterio fondamentale per formare i suoi soci il coepit Tacere et docere del Divin Redentore, cioè l'insegnare prima coi fatti che colle parole ed aggiungeva: « A imitazione di N. S. Gesù Cristo, i confratelli, oltre ad esercitarsi nelle virtù interne, procureranno perfezionarsi nella pratica delle virtù esterne e nello studio e lavoro; dopo poi si consacreranno con ogni impegno ad aiutare il prossimo ».
Dunque non si parla solo di virtù praticate in modo comune e ordinario, ma si comanda di aspirare alla perfezione delle virtù religiose, senza di che non si potrebbe dare l'aiuto richiesto da opere tanto grandi e così delicate quali sono la rigenerazione spirituale e la cristiana educazione di tanta gioventù abbandonata.
Appunto per promuovere l'esercizio esteriore di queste virtù fa una salutevole impressione quel buon esempio che Don Bosco raccomanda tanto ai suoi coadiutori, come un gran dovere di ogni educatore, e come la più efficace lezione, la miglior propaganda ed il più , bello e santo apostolato.
Nello stesso Regolamento dei suoi allievi Dori Bosco insegnava il più bell'atto di carità verso i compagni essere quello di dar loro buon esempio. Questo poi insinuava specialmente come fine speciale delle Compagnie di S. Luigi, S. Giuseppe, SS. Sacramento, ecc. e così potè riuscire ad avere tanti piccoli aiutanti in tutti i soci delle stesse Compagnie per formare nei suoi ospizi e collegi un ambiente di pietà, di moralità e di tutte le virtù: era questo uno dei segreti e delle furberie di Don Bosco. E noi abbiamo sempre ammirato gli effetti mirabili, e potremmo dire magici, prodotti da tanti cari coadiutori, nel loro abito secolare, tra i loro artigianelli e piccoli agricoltori, quando precedono o accompagnano i loro discepoli nelle pratiche di pietà, o nel compimento dei doveri della vita di comunità e di collegio. Allora si sente, si gode e si esalta quella bella vita di famiglia tra maestri e scolari che caratterizza l'opera salesiana.
Questo dunque è il punto essenziale del programma o la condizione sine qua non, imprescindibile che il Beato Don Bosco impone a tutti i suoi coadiutori: Virtù e buon esempio. Compiendo questa condizione morale, tutto il resto, insegnamento professionale, assistenza. ecc. otterrà un esito felicissimo.
9. — «Dove c'è il coadiutore, si deve essere sicuri dell'ordine, della moralità, del bene! ».
Quando il coadiutore di Don Bosco ha acquistato e possiede le virtù proprie del salesiano, e risplende in tutta la sua condotta la luce del buon esempio, risulterà per conseguenza ciò che dice la Sacra Scrittura dell'uomo giusto: tutto quello che farà andrà perfettamente e con completa prosperità: omnia quaecumque faciet, prosperabuntur. Così si avrà la sicurezza e la confidenza di tutti i superiori riguardo all'andamento del laboratorio, della scuola, dell'assistenza, o di altro ufficio che sia stato affidato allo stesso coadiutore.
Sopra questo punto Don Bosco esige dai suoi coadiutori le maggiori garanzie e così si esprime: « Bisogna che dove si trova uno di voi, si sia certi che qui vi sarà l'ordine, la moralità, il bene, ecc. ». Quindi tutti i nostri'coadiutori debbono rendersi responsabili a dare, in certo modo, garanzia di poter ottenere queste tre condizioni o risultati, indispensabili alla buona e cristiana educazione. Né deve credersi che- il nostro Beato Padre richieda troppo ai suoi coadiutori capi o maestri; perché egli ci ha lasciati i suoi Regolamenti, tanto per i confratelli, come per gli allievi, e non contento di regole generali, ci ha tracciato le norme speciali che deve praticare il salesiano . nell'educazione della gioventù; mediante il suo capolavoro « Il Sistema Preventivo ».
Il fine ed il carattere speciale della nostra Congregazione o Pia Società, che si propone d'indirizzare al lavoro ed alla virtù la gioventù abbandonata, obbliga tutti i Salesiani ed in modo particolare i nostri capi o maestri coadiutori a studiare attentamente e poi praticare diligentemente le norme che il Beato Don Bosco ci ha lasciato per suo « Sistema Preventivo », illustrato poi copiosamente nella « Vita del Fondatore» dallo storico Don Lemoyne. È proprio questa una speciale missione dei nostri coadiutori, perché generalmente appunto fra gli artigiani si trovano i caratteri difficili ed anche pericolosi (cioè i corrigendi) che la Divina Provvidenza manda alle nostre case come all'arca di rifugio e di salvezza. Per questo sarà non solo utile, ma necessario conoscere ciò che il Beato Don Bosco ci dice sul suo Sistema che consiste nel prevenire le mancanze degli allievi mediante una continua ed amabile assistenza, per non doverle poi reprimere; e così mettere i giovani stessi nella ;morale impossibilità di offendere Iddio. Perciò sono di gran profitto le, norme o regole per l'assistenza e correzione dei giovani che- il Beato ci dk'nel Cap. V, Art. 102, fino all'Art. 111, specialmente i due articoli 105 e 10'8' :dove si vede tutto il tesoro di praticità che Don Bosco aveva accumulato, per assicurare l'esito della sua opera nel correggere la gioventù e condurla soavemente e pazientemente al bene.
Non si contenta dunque Don Bosco che il suo coadiutore sia buono ed abile nel suo mestiere, ma vuole che sia capace di dirigere moralmente i suoi dipendenti e di guidarli con ordine nella moralità e nel bene, cioè nella virtù. Perciò dice che la competenza in assistere e dirigere i suoi subalterni dev'essere tale che ispiri confidenza e dia sicurezza ai Superiori che in quel laboratorio; in quel dormitorio, in quella scuola dove c'è il confratello, regni l'ordine, cioè la disciplina, dovere, moralità nelle parole, negli atti, nelle relazioni tra gli alunni, ed il bene, che comprende ogni virtù, e tutto quello che può desiderarsi in }ipa'casa di educazione, cioè recede a malo et fac bonum, allontanamento di tutto ciò che è male e pratica del bene sotto ogni forma, in tutti i modi.
Come sarebbe felice un superiore d'istituto salesiano che si vedesse circondato da questi buoni coadiutori, quali ce li descrisse Don Bosco, uomini di virtù e di buon esempio, abili e ben disposti per dirigere, insegnare ed assistere i loro artigiani! Come riposerebbe sicuro e tranquillo sopra la responsabilità di questi cari Confratelli, che sanno conservare l'ordine, la moralità e tutto ciò che è bene in ogni tempo ed in tutte le ripartizioni dell'istituto (chiesa, scuola, laboratorio, cortile, refettorio, dormitorio, passeggio)! Sarebbe questo il colmo della prosperità e la felicità della casa dei Superiori e dell'intera comunità: gli allievi stessi ed i loro genitori benedirebbero in coro quest'istituto modello dove trovarono ogni mezzo per l'educazione cristiana e professionale, che è un tesoro per le famiglie stesse. Questo risultato così felice solo si otterrà con l'amore a Don Bosco, con la fedeltà nel seguire i suoi insegnamenti, e con la costanza nel praticare i suoi Regolamenti insieme al suo Sistema Preventivo.
10. — «Guai, `si sal infatuatus fuerit'! ».
Ma Don Bosco vuole anche, sia pure per un momento, presentarci il rovescio della medaglia. Dopo quel quadro così bello del coadiutore salesiano, con le qualità e virtù così attraenti, coi frutti così copiosi, egli ci lascia trapelare un gravissimo timore, una pena, un dubbio spaventoso, ed è la possibile defezione di qualcuno tra questi suoi figli coadiutori. Egli esprime questa sua pena colle parole stesse del Divin Salvatore ai suoi discepoli: — Si sal infatuatus fuerit, se questo sale della terra destinato a preservare dalla corruzione la gioventù, perdesse la sua virtù di prevenire, di correggere... — Don Bosco non vuol terminare la frase, non ha il coraggio di esporre interamente questo dubbio, fare questa supposizione. Egli finisce con un sospiro, con un grido di attenti! all'erta!
Però noi dobbiamo completare e studiare tutta intera quella sentenza evangelica che Don Bosco vuole qui applicata ai suoi cari coadiutori, perché sieno saldi e fedeli alla loro vocazione: « Voi siete il sale della terra; chè se il sale diventa scipito, con che si salerà? Egli non è più buono a nulla, se non ad essere gettato via e calpestato dalla gente (S. MATT., Cap. V, 13). Si noti qui che S. Matteo, riportando nel suo Vangelo il-divino sermone del Monte fatto da Gesù ai suoi discepoli, dedica tutto quel Capo V a trattare della perfezione, incominciando colle Beatitudini, seguendo poi sull'osservanza della Legge di Dio, specialmente sulla Carità e sull'evitare tutto ciò che può essere di scandalo a noi ed agli altri (ibid., V, 29 e 30). Poi lo stesso Evangelista applica la medesima dottrina e gli avvisi all'opera di salvare i fanciulli, che è la missione nostra, e ripete le minaccie contro ogni sorta di scandalo (Cap. XVIII, 5 e 6).
S. Marco espone la stessa dottrina sul merito che ha chi si occupa dei fanciulli (Cap. IX, 86), ma fa le stesse minaccie contro chi li scandalizzasse (ibid. 41), imponendo il sacrificio e la mortificazione dei sensi per non lasciarsi vincere dalla tentazione (ibid. 42, 44, 46) e finalmente conchiude colla similitudine del sale. « Buona cosa è il sale, ma sé il sale diventa scipito, con che lo condirete voi? Abbiate in voi sale di virtù e pace abbiate tra voi» (ibid. 49).
San Luca poi riferisce questa stessa similitudine del sale, applicandolo come simbolo della mortificazione che è necessaria a tutti quelli che vogliono seguire Gesù e rinunciare alle tre passioni che trattennero gli invitati dal partecipare al gran banchetto della Redenzione e della Grazia; e termina colla stessa sentenza: c Chiunque di voi non rinuncia a tutto quello che possiede, non può essere mio discepolo. Buona cosa è il sale, ma se il sale di-Tenta scipito con che si condirà? Non è utile nè per la terra nè per il letamaio; ma sarà gettata via. Chi ha orecchie da intendere, intenda (S. LucA, XIV, 33, 34, 35).
La reticenza dunque tanto significativa del nostro Beato Padre riguardo alle conseguenze disastrose ed alla fine disgraziata e fatale di quegli infelici che mancassero di fedeltà alla loro santa vocazione e professione, dovrebbe destare in tutti i nostri coadiutori un salutare timore ed eccitarli a unirsi in un patto sacro di solidarietà e formare tra loro, fino dal Noviziato e più ancora nel biennio di perfezionamento e preparazione al Magistero, una lega di osservanza per la pietà e la modestia, di fedeltà alla Regola ed ai Regolamenti, di unione intima coi loro superiori per allontanare dalle nostre case qualunque pericolo di defezione o di scandalo. Questo comune proposito che si suol fare specialmente nell'atto della professione oh come consolerà sempre il cuore paterno del nostro Beato Don Bosco e del suo Successore e come rallegrerà tutti i superiori, con grande edificazione di tutta la Congregazione!
Lo stesso. Beato Fondatore nel formare la sua Pia Società praticò non solo verso i suoi allievi, ma anche con i suoi soci, il Sistema Preventivo che egli diceva consistere nel mettere gli educandi nell'impossibilità di commettere mancanze gravi, ed ottenersi quest'effetto coll'assistenza e col promuovere l'amore alla Regola.
Applichiamo fra noi questi stessi. mezzi che usiamo coi nostri educandi, paternamente, fraternamente, perché nessuno perda la virtù. nè dimentichi il buon esempio: così si eviterà il pericolo dello scandalo e delle defezioni, cioè della corruzione del sale, con quelle tristissime conseguenze che il nostro Beato Padre non ebbe il coraggio di scoprirci o enumerarci, solo contentandosi di ricordarci le parole di Gesù nel Santo Vangelo, perchè le meditassimo.
Studiamo dunque e pratichiamo quei preservativi che il Divin Maestro con tanta insistenza insegnò ai suoi Apostoli e Discepoli. Sono poi gli stessi, come si è detto, che, la nostra Regola ci suggerisce nei capitoli della Pietà e dei tre Voti, con. le'rispettive spiegazioni che il Beato Fondatore aggiunse nella sua bella e pratica Introduzione alle Costituzioni stesse, ampliate nei Regolamenti e neÌle Circolari dei Superiori. Così avremo promosso ed assicurato la felicità e prosperità nostra e dell'Istituto.
11. — « Si cresca in numero, ma più ancora in bontà ed energia ».
Dopo avere il Beato Don Bosco accennato a quei pericoli di defezione, subito ritorna al suo solito stile d'incoraggiamento e di allegria, dicendo: Nolite timere, pusillus grex; allontanate ogni timore, mio piccolo gregge! Come se dicesse: — Io non ho timore, non sconfido della vostra fedeltà, della vostra perseveranza, solo vi' ho voluto prevenire, mettendovi in guardia contro quei pericoli." Abbiate dunque fiducia, fatevi animo che vincerete e, conservando lo spirito religioso, aumenterete anche di numero.
Indi ripete ai suoi cari coadiutori il primo concetto, assicurandoli anche dell'aumento di numero, cioè, del compimento dei suoi desideri di avere molti coadiutori che gli vengano in aiuto per le sue opere: Non vogliate temere, chè il numero crescerà; ma specialmente bisogna che si cresca in bontà ed energia; e allora sarete come leoni invincibili e potrete fare molto del bene », Quanti motivi di allegrezza, di consolazione e di coraggio spirituale offrono queste parole ai nostri cari coadiutori!
Don Bosco incomincia e termina la sua bella Conferenza con le parole che i messaggeri celesti, gli Angeli e gli Arcangeli, usavano quando veni vano ad annunciare' i grandi misteri della nostra religione. Lo troviamo quest'augurio di pace e di felicità ripetuto nelle Sacre Scritture dell'Antico e del Nuovo Testamento: Nolite timere! Non temete, non dubitate, fuori ogni tristezza, ogni incertezza o pusillanimità! non inquietatevi per i pericoli, i mali, le contrarietà, le persecuzioni, gli scandali di questo mondo! Gesù stesso, specialmente dopo la sua risurrezione, comparendo agli Apostoli e Discepoli, che erano così costernati ed avviliti, li incoraggiava con queste parole: Nolite timere! I poverini, dopo il tradimento di uno dei loro compagni, dopo le loro debolezze e cadute, avevano proprio vergogna e paura di se stessi e si trovavano in una tale prostrazione d'animo da bisognarvi tutta la virtù di Gesù, perchè risuscitassero ancor essi con la mente e col cuore, facendo un vivo atto di fede, ed un generoso atto di carità.
Si è lamentato tante volte anche fra di noi salesiani che i nostri coadiutori sono pochi per tante scuole di arti e mestieri e di agricoltura, per tanti uffici che richiedono in oni casa l'opera loro. Si è deplorato che la guerra ultima ne abbia sacrificati molti, mentre si richiedeva dalle crescenti Missioni un maggior numero di maestri, di catechisti. Si sono studiati i mezzi per aumentare il numero delle vocazioni di artigiani; si stanno iniziando in ogni Nazione, anche in mezzo a mille difficoltà, le case di formazione per aspiranti artigiani insieme con le case per il biennio di perfezionamento o di magistero professionale. Don Bosco soleva animare tutti i suoi allievi colla narrazione di sogni o di visioni, che pronosticavano un grande aumento, un'espansione immensa della Congregazione: vedeva in mezzo a quelle turbe di giovani tanti suoi coadiutori. Forse anche allora la sua promessa alludeva a quei sogni; ma ora una parola di animazione, di conforto, di augurio o di promessa ci viene dal Cielo, dopo la beatificazione del nostro Padre. Egli ci ripete: Nolite timere, pusillus grex! È proprio suonata l'ora della Divina Provvidenza! Si sta per compiere la promessa del nostro gran Padre. Il numero dei coadiutori di Don Bosco crescerà in tutto il mondo!
Ma la promessa di Don Bosco, nella sua Conferenza del 1883 a San Benigno era in certo modo condizionata: Egli non si contentava che aumentasse il numero, nè voleva, secondo le parole di Isaia (IX — 3): quel multiplicasti gentem et non magnificasti laetitiam; ma raccomandava che col crescere e moltiplicarsi dei coadiutori si accrescesse pure la consolazione della virtù, della bontà, dell'energia spirituale! Ed a questo fine domandava la corrispondenza e la cooperazione di tutti i suoi figli.
Egli ripetè: « Non vogliate temere, chè il numero crescerà; ma specialmente bisogna che si cresca in bontà ed energia ». Bisogna dunque convincersi che l'aumentare del numero, il moltiplicarsi della gente nelle case di Don Bosco non è il miglior benefizio, nè la maggior fortuna, ma che la vera prosperità dell'Istituto è specialmente il crescere in bontà ed energia, nel compimento del proprio dovere, nel darsi alla virtù. Questo bisogna che sia lo sforzo e l'aspirazione massima di tutti i confratelli. Ed ecco ripetuto il primo concetto già esposto in questa seconda parte della sua Conferenza (80 punto): « Dovete procurarvi molte virtù, dovete prima di tutto dare buon esempio! ». Aggiunse solamente una qualità speciale in cui si doveva crescere e questa era l'energia della volontà, cioè lo sforzo generoso per fare il bene, per compiere i proprii doveri religiosi. Bisogna non lasciarsi vincere dalla prigrizia spirituale, dalla incostanza, dalla tiepidezza nel servizio di Dio. Per questo Don Bosco ha raccomandato tanto la fedeltà nelle pratiche di pietà (meditazione e lettura, Santa Messa quotidiana coi Santi Sacramenti, Esercizio della Buona Morte, Esame e Rendiconto, ecc). L'energia spirituale dunque vuole il nostro Beato Padre che cresca e si applichi specialmente a questi santi esercizi di pietà, per acquistare ed aumentare la forza di perseverare e fare molto bene!
Posta questa condizione, il nostro Beato Padre fa una nuova promessa: « Allora voi sarete come leoni invincibili e potrete fare molto del bene ». Il leone è l'emblema della forza e dell'energia e Don Bosco vuole che questo rappresenti una bella caratteristica dei suoi coadiutori che hanno da trovarsi spesso in mezzo al mondo, di fronte a molti pericoli di vanità, d'immoralità, forse d'irreligione e di allettamento alla vita secolaresca. Ecco i nemici da combattere e da vincere con l'energia del leone, con la prudenza del serpente e la semplicità della colomba, come insegna il Vangelo (MATTEO, X, 16); ma i salesiani di Don Bosco sono sotto la protezione della sua Ausiliatrice e, tali praesidio muniti certantes in vita, sanno combattere con l'energia e col valore che l'osservanza della Regola e la vita di comunità loro infondono.
« Potrete fare molto del bene », aggiunge Don Bosco, ricordandoci quanto ha esposto nella prima parte della sua Conferenza ed accennando al fine della Congregazione che è acquistare la perfezione cristiana e compiere ogni opera di carità spirituale e corporale verso i giovani, specialmente i più poveri. È dunque l'opera della rigenerazione o della redenzione quella a cui siamo chiamati per cooperare insieme con lo stesso Beato Don Bosco.
12. — «Il Padre Celeste vi ammise nel suo Regno e vi darà il Regno eterno ».
Don Bosco pone termine alla sua Conferenza completando quel testo evangelico con cui ha incominciato: Nolite timere, pusillus grex, quia com- placuit Patri vestro dare vobis regnum (S. LucA, XII, 32): non vogliate temere, voi, piccola gregge, perché il vostro Padre si è compiaciuto di darvi il suo regno. Ed aggiunge: « Regno e non servitù, e specialmente avrete il Regno eterno ».
Egli non si contenta di togliere ai suoi coadiutori ogni timore, ogni ansietà, nè gli basta promettere aumento di numero e di virtù, coi felici risultati e colle grandi vittorie nel compimento della loro missione: ma adesso, colle parole stesse di Gesù, annunzia loro che il Padre Celeste si è compiaciuto in dare loro il Regno.
Ecco la ragione per cui Don Roseo esalta il suo vero coadiutore e vuol togliere da lui ogni timor9 di abiezione e di servitù spirituale o temporale: egli lo dichiara servo''d'i Dio e, come servire Deo regnare est, così l'assicura che avrà una missione grande e sommamente bella e gloriosa e gli ripete le grandi promesse fatte da Gesù non solo agli Apostoli, ma anche ai semplici Discepoli ed a tutti i religiosi: « In verità vi dico: che non vi ha alcuno il quale abbia abbandonato la casa, o i fratelli, o le sorelle, o i] padre, o la madre, o i figliuoli e le possessioni per me e per il Vangelo, che non riceva il centuplo, adesso in questo tempo, in case e fratelli e sorelle e madri e figliuoli e possessioni in mezzo alle persecuzioni, e nel secolo avvenire la vita eterna ».
Questo stesso ripete S. Luca (XVIII, 29 e 30). Identica promessa poi si legge più ampiamente e solennemente proclamata da Gesù in S. Matteo (XIX, 28, 29, 30), quando S. Pietro, parlando a nome di tutti gli Apostoli. si arrischiò a fare quella domanda al Divin Maestro: «Ecco che noi abbiamo abbandonate tutte le cose e ti abbiamo seguito: che sarà dunque di noi? ». E Gesù disse loro: « In verità vi dico che voi che mi avete seguito, nella rigenerazione, allorchè il Figliuol dell'Uomo sederà sul trono della sua maestà, sederete anche voi sopra dodici troni e giudicherete le dodici tribù d'Israele. E chiunque avrà abbandonato la casa, o i fratelli, o le sorelle, o il padre, o la madre, o i poderi per amore del mio nome, riceverà il centuplo e la vita eterna: e molti primi saranno ultimi e molti ultimi saranno i primi ».
Dunque il nostro Beato Don Bosco rinnova ai suoi coadiutori buoni e fedeli quelle medesime solenni promesse fatte da Gesù ai suoi discepoli e specialmente a tutti i religiosi, che fanno le stesse rinunzie per amor di Dio e delle anime. Il compimento di queste promesse, cioè il Regno, si ottiene, come ripete Don Bosco, con la generosità in lasciar tutto propter me, per N. S. Gesù Cristo; con la fedeltà al seguirlo nell'apostolato, anche secolare, per le anime e nel sacrificio per la gloria di Dio.
Di qui quel bell'articolo 198 delle nostre Costituzioni, dove lo stesso dice: « Ciascuno sia pronto a sopportare, quando occorra, il caldo, il freddo, la sete, la fame, le fatiche ed il disprezzo, ogni qualvolta queste cose servano alla maggior gloria di Dio, allo spirituale profitto del prossimo ed alla salvezza dell'anima propria ».
Questo è il modo con cui si guadagna il Regno che Gesù ha promesso e che Don Bosco assicura ai suoi coadiutori fedeli.
Don Bosco ripete di nuovo questa promessa del regno colle parole stesse di Gesù, complacuit Patri dare vobis Regnum, perchè ha associato interamente tutti i suoi coadiutori all'apostolato salesiano, dando loro parte importantissima nelle sue opere.
Per questo Don Bosco ripete insistentemente: « Regno e non servitù », perchè riconosce come fattore necessario il coadiutore salesiano, alla maniera e nelle proporzioni di quei Diaconi della Chiesa che dicevano non solo ai Sacerdoti, ma ai Pontefici, come San Lorenzo a San Sisto I: « Oh! Padre, dove vai senza il tuo figlio? ». Noi dobbiamo stare insieme, siamo inseparabili così presso l'altare, come nel lavoro e nel sacrificio. I coadiutori- di Don Bosco hanno in loro mano il ministero quotidiano delle mense e provvedono in gran parte il pane quotidiano per i nostri poveri giovanetti. Onde il Beato Don Bosco mostrava per i suoi coadiutori uno speciale affetto, che soleva manifestare in mille maniere ed assai graziosamente. Secondo narra Don Lemoyne, egli soleva dare ai più antichi, che lo accompagnavano nei viaggi, speciali titoli di nobiltà, come di barone, conte o marchese di certe piccole frazioni di campo presso i Becchi o Mondonio, dove egli aveva passata la sua fanciullezza, e così scherzando, con paterna amabilità e ridendo, sapeva ricordare ai suoi figli la vera nobiltà spirituale di servire Iddio, servire Deo regnare est, e quella sua promessa di regno e non di servitù. Ed ecco l'ultima parola ai suoi figli, la solenne conclusione della sua magistrale Conferenza: « Specialmente avrete Regno eterno ». Sopra tutti i beni che ci ha promesso e proprio come una specialità c'è il Regno eterno, quel Paradiso che era la promessa caratteristica di Don Bosco: Pane, lavoro e Paradiso! ». Questa assicurazione che fa il Beato a tutti i'suoi coadiutori deve infondere nei loro cuori una grande allegria, una viva confidenza di ottenere questo gran premio, che è supremo fine dell'uomo, questa felicità eterna.
Così resta definito il coadiutore di Don Bosco dal suo stesso Fondatore e Padre; e questo cenno che egli ce ne dà deve svegliare in tutti, specialmente nei giovani artigiani, una grande stima ed ammirazione, sia per il carattere e la missione affidatagli, sia per il programma di carità, di lavoro, di sacrificio che questi salesiani s'impongono per condurre molte anime a Dio ed alla eterna felicità. Sieno molti quei generosi che vengano a schierarsi sotto la bandiera di Don Bosco.
CONCLUSIONE E PRONOSTICI.
Passarono già quasi cinquant'anni dacchè Don Bosco dirigeva al piccolo gruppo dei suoi giovani coadiutori quelle parole scritturali: « Nolite timere, pusillus grex; non vogliate temere, piccolo gregge, perchè voi crescerete », ispirando in loro fiducia, conforto e coraggio. Spesso le parole dell'Apostolo della gioventù si prendevano, non solo come pronostici, ma come infallibili profezie. Non sappiamo se i presenti dessero a quelle frasi tutta l'importanza che avevano, ma certamente 'quelli erano anni di prodigiosa espansione dell'Opera Salesiana, che già aveva attraversato l'Oceano ed aveva impiantato anche le sue Missioni nella lontana America, nella Patagonia.
Sei appena erano in quell'anno le Scuole di Arti e Mestieri fondate da Don Bosco: l'Oratorio di Valdocco, Sampierdarena, Nizza Mare, e San Benigno, poi Buenos Aires e Patagones. Ma il Padre della gioventù guardava a tutto il mondo e ripeteva ai suoi giovani coadiutori: « Io ho bisogno di aiutanti... Io ho bisogno di poter prendere qualcuno di voi e mandarlo lontano... Ho bisogno di,,qualcuno di voi in ogni casa. Io ho tanto bisogno di aver molti che mi --Vengano ad aiutare in questo modo (come coadiutori) ».
Questa voce supplichevole di Don Bosco, questa ansietà e preghiera dell'uomo di Dio salì al Cielo, salì al trono di Dio e di Maria Aiuto dei Cristiani e trovò eco anche nei cuori di tanti giovani da lui ricoverati nei suoi ospizi e molti si ascrissero alla Pia Società Salesiana. Nel corso di dieci lustri le Scuole di Arti e Mestieri e di Agricoltura si moltiplicarono in tutto il mondo, in quasi tutte le Nazioni e nelle varie Missioni estere fino al numero attuale di cento trenta cinque, che rappresentano 675 laboratori od officine professionali, nelle quali si educano cristianamente ed imparano il loro mestiere, come piccoli operai, circa 10.000 giovani dai 12 ai 18 anni. Questi ogni anno aumentano e si vanno sostituendo dopo un periodo di 5 anni di tirocinio; e così Don Bosco regala alla società civile ogni anno alcune migliaia di buoni, e valenti operai cristiani.
I maestri, i capi e vice-capi di questi 675 laboratori e scuole si formarono nell'Oratorio di Valdocco o nella prima scuola di formazione professionale di San Benigno o in altri Istituti Salesiani, che da quelli ebbero i primi maestri, e se non fu possibile avere coadiutori salesiani per tutte quelle Scuole Professionali, furono, in generale, gli Antichi Allievi di Don Bosco che supplirono e tuttora completano il numero già crescente dei capi e vice-capi salesiani.
Don Bosco dunque vede compiuto il suo pronostico, vede soddisfatta pienamente la sua prima promessa: « Nolite timere! Non vogliate temere, che crescerete ». Ma egli ripete ancora: « Io ho tanto bisogno di aver molti coadiutori che mi vengano ad aiutare ».
* * *
La Beatificazione di Don Bosco ha prodotto un grande risveglio ed uno speciale interessamento fra gli amici e Cooperatori dell'Opera Salesiana ed in particolare verso le Scuole Professionali ed Agricole, perchè l'aureola più splendente del nuovo Beato è appunto la sua carità e beneficenza, che praticò ed ispirò agli stessi Cooperatori suoi per procurare asilo, educazione cristiana ed un mestiere a tanta povera gioventù orfana e derelitta. Per questo la Chiesa, nella sua liturgia, chiama Don Bosco Padre e Maestro della gioventù, come sua speciale caratteristica, ed il popolo cristiano di tutto il mondo ha festeggiato con giubilo immenso la sua elevazione all'onore degli altari. Ora si ascolta da tutti con più devota attenzione e con affettuosa venerazione la parola di Don Bosco, che dal Cielo ancora va ripetendo: « Io ho tanto bisogno di avere molti che mi vengano ad aiutare in questo modo (come coadiutori salesiani) ». Ed il nuovo Beato elargisce pure dal Cielo le sue benedizioni ed ottiene le più segnalate grazie a quelli che l'aiutano nella sua Opera di redenzione.
Frutti quindi speciali della Beatificazione di questo Apostolo della gioventù furono tre nuovi grandi Istituti Professionali per artigiani ed agricoltori, di cui due per Missionari e per il Magistero Professionale. In questi tre Istituti noi vediamo avverato nuovamente ed in grandi proporzioni il pronostico, anzi il ripetuto vaticinio di Don Bosco ai suoi primi e pochi coadiutori-maestri di San Benigno: « Non temete. chè voi crescerete ».
Ecco dunque che per far crescere il numero dei suoi coadiutori il B. Don Bosco fa nascere due Istituti per aspiranti missionari artigiani ed agricoltori di tutta Italia. Si riunivano questi artigiani fino ad 80 e 90 nell'antica casa di Foglizzo, ma destinati a trasferirsi in nuova sede più opportuna. Contemporaneamente è sorta la Scuola Agricola Salesiana di Cumiana per aspiranti missionari agricoltori ed anche questa ben presto ha raccolto un 80 giovani di buona volontà, che stanno compiendo il loro tirocinio, parificato alle Scuole Agricole Statali.
Quello che segna, per così dire, l'apogeo delle Scuole Professionali ed Agricole di Don Bosco, e che era il desideratum del Beato Fondatore nell'aprire il suo ospizio in Roma, è l'inaugurazione dell'Istituto Professionale « Pio XI » come monumento del Giubileo Sacerdotale del Pontefice della beatificazione e collegato con la Scuola Agricola del Mandrione, essa pure parificata. Queste due opere di educazione popolare e professionale, benedette specialmente dal Sommo Pontefice e sotto l'alta protezione del Governo di S. M. nella capitale d'Italia aumentano il prestigio dell'umile ospizio che con tante fatiche e sollecitudini apriva Don Bosco in Valdocco e che così meravigliosamente ha steso i suoi rami per tutte le Nazioni del l'antico e del nuovo mondo.
* * *
Ma non bastava tutto questo per soddisfare ai bisogni della Missione Salesiana, ai quali accenna il Beato Don Bosco nella sua Conferenza. Come soddisfare al bisogno urgente di maestri tecnici, di capi-laboratorio salesiani per le Scuole Professionali di tante Ispettorie delle diverse Nazioni?
La generosità di un insigne Cooperatore, anzi Presidente dei Cooperatori di Don Bosco, il Senatore Conte Eugenio Rebaudengo, insignito recentemente della Gran Croce dell'Ordine Piano da S. S. Pio XI, ha voluto destinare un'ingente somma per innalzare in Torino un gran monumento al Beato Don Bosco e nello stesso tempo pagare un tributo di affetto ai suoi cari antenati ed alla memoria della sua nobile e virtuosa consorte. È questo il grandioso Istituto Professionale Conti Rebaudengo, in Torino, destinato a Scuola di Arti o Mestieri per aspiranti missionari, con una sezione speciale per il biennio di perfezionamento professionale o Corso di Magistero dei giovani coadiutori di tutte le Ispettorie Salesiane.
Quello dunque che il Rettor Maggiore col suo Capitolo aveva stabilito fino dal 1921 per la formazione dei sacerdoti salesiani, creando uno Studentato Teologico centrale in Torino presso la Casa Madre della Congregazione, ora si attuerà anche riguardo ai salesiani coadiutori, artigiani ed agricoltori, alcuni dei quali verranno all'Istituto « Conti Rebaudengo », altri alla Scuola Agricola di Cumiana per compiervi il loro corso di perfezionamento professionale, acquistare il titolo 'di maestri e ritornare ai loro paesi per insegnare le arti ed i mestieri o l'agricoltura con lo stesso metodo e gli stessi programmi delle nostre scuole Sono pertanto da quarantacinque Ispettorie Salesiane, corrispondenti Ville principali Nazioni e lingue del mondo, che manderanno i loro rappresentanti a queste due Case di Magistero professionale ed agricolo. Così noi che abbiamo avuto la bella sorte di assistere alla Beatificazione di Don Bosco siamo testimoni del compimento di una delle sue più belle promesse, anzi dell'attuazione di uno splendido vaticinio a favore della sua Opera, pronunciato da Lui quando iniziava in S. Benigno Canavese il primo noviziato dei suoi coadiutori e delineava così genialmente e santamente la genuina figura del coadiutore Salesiano.
Ma la gioventù. da salvare per mezzo dell'educazione cristiana nelle scuole professionali', ed agricole è sempre numerosa, tanto numerosa che anche ai nostri posteri parrà ancora di attualità lo stimolante invito del Beato Padre: « Io ho tanto bisogno di avere molti, che mi vengano ad aiutare in questo modo »! Per quanti siano i buoni coadiutori salesiani, non ve ne sarà mai nessun di troppo.
24 Dicembre 1930
Il Rettor Maggiore: Motivi di apostolato e di perfezionamento per il 1931. (L'apostolato delle nostre Compagnie religiose - La mente e la parola del Papa intorno alle associazioni religiose - Giornate e Congressi delle nostre Compagnie - Le Case di perfezionamento per i nostri Chierici e Coadiutori - Il vero salesiano nella vita e nella visione del beato D. Bosco). pag. 913
ATTI DEL CAPITOLO SUPERIORE
Il Rettor Maggiore.
J. M. J.
Carissimi 0Onfratelli e Figli in N. S. Gesù Cristo,
Nei rendiconti finanziari della fin d'anno si dà sempre molta importanza al preventivo per l'anno nuovo. Così fanno gli Stati, le Società, grandi e piccole, i negozianti, i capifamiglia, il semplice operaio, la buona massaia per i loro interessi materiali; e così dobbiamo fare noi pure per i nostri interessi morali e spirituali. Il preventivo dispone delle` attività del bilancio precedente onde averne utili maggiori per l'aumento del capitale proprio o di quello societario. Nel caso nostro, dalle relazioni ufficiali e dalle vostre lettere private, che mi sono sempre carissime, ho potuto, con grande soddisfazione, constatare che il bilancio delle attività individuali, e sociali segna un marcato aumento su quello precedente. Ne sia ringraziato di cuore il Signore: ed intanto permettetemi di richiamare la vostra attenzione sopra alcune cose che desidero entrino nel preventivo `dell'anno nuovo, perchè mi pare che ben praticate, debbano dare abbondanti frutti per noi, per la nostra Società e per la S. Chiesa.
1° La finalità del nostro apostolato educativo, quale ci è imposto dalla vocazione divina alla vita salesiana, è di lavorare in mezzo ai giovani i più abbandonati e miserabili, « i quali — sono parole del Beato — hanno veramente bisogno di una mano benefica che si prenda eicra di loro, li coltivi alla virtù e li allontani dal vizio » con « diffondere lo spirito di religione nei cuori incolti e abbandonati », adoperandoci, « per fare buoni cittadini in questa terra, perchè siano poi un giorno degli abitatori del cielo ».
In queste poche righe il Beato aveva compendiato, fin dal 1843, tutto il suo apostolato educativo, e tale l'ha trasmesso alla nostra Società, suscitata dal Signore per continuarlo e propagarlo in tutto il mondo. I mezzi: gli Oratori festivi, gli Ospizi, i Collegi, i Pensionati, le Scuole Professionali, ecc.; ma in tutta la moltiplicità di tutte queste Opere e nelle loro multiformi ramificazioni richieste dalle diversità di clima, popoli e civiltà, domina assoluta la finalità che non ammette eccezioni, di « fare buoni cittadini per la terra, onde siano poi un giorno degni abitatori del cielo ». In altre parole: formare buoni cristiani e buoni cittadini: buoni cattolici, figli devoti di Santa Madre Chiesa e cittadini onorati della patria terrena.
L'essenza del nostro apostolato educativo è dunque quella di crescere ed educare la gioventù nella comprensione ,e nella pratica dei doveri verso la Santa Chiesa e verso la patria.
Noi, un po' per volta dobbiamo riuscire a sviluppare e dirigere nei giovani una duplice attività: quella del cattolico al servizio della Chiesa e quella del cittadino per la patria. Sono però due attività inseparabili che devono procedere parallele, senza urti e senza contrasti nell'equilibrio della norma divina del « rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio » (S. LUCA, XX, 25). Quando i cuori incolti e abbandonati siano bene illuminati e fortificati nella luce e nello spirito di N. S. Gesù C., l'armonia tra cattolico e cittadino sarà serena e duratura per tutta la vita.
Il nostro Beato è riuscito meravigliosamente a fare tutto questo, da principio da solo e poi con l'aiuto dei suoi primissimi figli, in mezzo alle innumerevoli falangi giovanili che l'acclamavano e l'acclamano tuttora Padre e Maestro impareggiabile. A prescindere dalle singolari sue doti personali che lo resero dominatore dei cuori, il segreto di un esito così straordinario va ricercato nelle varie Compagnie ' e Associazioni religiose, che gradatamente, a tempo opportuno e per le varie categorie dei giovani, fece sorgere, Deo inspirante et adiuvante, nei suoi Oratori ed Istituti. L'appartenervi doveva essere un premio, più che alla bontà naturale, al desiderio sincero di volere divenire un po' per volta veramente buoni, perchè, secondo lui, doveva bastare la volonterosa osservanza del Regolamento per essere in breve realmente buoni. Inoltre egli aveva saputo immettere nei singoli Regolamenti una segreta virtù che trasformava i giovani, senza che essi quasi se ne accorgessero, in altrettanti piccoli apostoli tra i loro compagni. Così il Beato metteva bellamente in pratica, cinquant'anni prima, quanto l'attuale Sommo Pontefice, nelle sue sapientissime Encicliche e nei suoi inspirati discorsi, non cessa dall'inculcare a tutto il mondo circa la partecipazione del laicato all'apostolato gerarchico.
2° Il S. Padre infatti, nell'Enciclica Ubi arcano — il primo documento-programma del suo glorioso, attivissimo pontificato — aveva indicato chiaramente che le maggiori sue cure le avrebbe rivolte all'Azione cattolica da lui stesso definita: la partecipazione del laicato all'apostolato gerarchico. Nei successivi, numerosi documenti sopra quest'argomento, la mente universale, organizzatrice ed eminentemente pratica del S. Padre dopo aver messo in tutta la luce la grandezza dell'apostolato laicale, fatto dai giovani e dagli adulti, dagli intellettuali e dagli operai, tanto uomini che donne ed in qualunque nazionalità, segnò le linee fondamentali da doversi sempre e ,`ovunque mantenere, e poi le norme direttive adattabili alle esigenze dei singoli paesi, onde tutelare l'autonomia delle diverse organizzazioni locali, senza menomare la perfetta unità di fini e di metodi.
« L'azione cattolica — come osservava ultimamente il Papa — non è una novità come qualcuno può aver creduto. È una novità molto antica: gli apostoli stessi si servirono dei laici per la diffusione del cristianesimo. Anzi è questo un elemento che 'spiega la rapida diffusione sua: perchè oltre i miracoli e i carismi soprannaturali, non dobbiamo dimenticare che il Signore si serve ordinariamente delle cause seconde. S. Paolo parla dei suoi commilitones et coadiutores nell'apostolato. E perchè non si creda trattarsi di gerarchia, ecco nella lettera ai. Filippesi, ricordare quelle qnae mecum laboraverunt in Evangelio. Siamo quindi nella vera collaborazione del laicato. Questo richiamo ai tempi apostolici sappiamo che è di particolare incoraggiamento a coloro che, lavorano nell'Azione cattolica
Ma non si deve perdere di vista che: — « trattandosi di una collaborazione del laicato all'apostolato si richiede che i collaboratori siano anzitutto buoni cristiani. Non è possibile fare dell'apostolato, senza essere prima ben formati. Lo stesso sacerdote non potrebbe lavorare per la santificazione delle anime, se prima non fosse santo egli stesso, perchè nemo dat quod non habet. Dall'applicazione di questi principii risulterà un gran bene al nostro paese e alle nostre diocesi, come vivamente lo speriamo ». (Dal discorso del 6 marzo a un gruppo di sacerdoti argentini).
Ora fare dei buoni cristiani che partecipino a suo tempo all'apostolato gerarchico è la missione speciale della nostra Società, nella quale la partecipazione attiva dei laici all'apostolato è un fatto permanente. Infatti i nostri Coadiutori laici non son semplici ausiliari della comunità, come in altre Congregazioni; ma sono veri e perfetti religiosi quanto i sacerdoti nostri; educatori e maestri essi pure di un'importante parte del nostro programma sociale. Così collaborano efficacemente a rendere buoni cristiani i giovani affidati alle nostre cure; e perciò partecipano in modo eminente all'apostolato gerarchico che culmina in quello del Vicario di Cristo. Nella nostra missione però di preparare e formare i futuri soggetti dell'Azione cattolica. cioè i laici all’apostolato gerarchico o della Chiesa. dobbiamo seguire gli esempi del Beato Padre e praticare fedelmente i suoi metodi.
Tra questi metodi occupano un posto importante le Compagnie dell'Immacolata, di S. Luigi, di S. Giuseppe, del SS. Sacramento e del piccolo Clero. Esse entrano nel novero di quelle Associazioni tanto care al S. Padre e da lui tante volte commendate e raccomandate, « le quali con mirabili varietà di organismi tendono sia ad una più intensa cultura ascetica, sia alle pratiche di pietà e di religione e particolarmente all'apostolato della preghiera, sia all'esercizio della cristiana carità in tutte le sue diffusioni ed applicazioni, esercitando, di fatto, un largo ed efficacissimo apostolato, individuale e sociale, con forme di organizzazione altrettanto varie ed appropriate alle singole iniziative,- ma perciò stesso diverse dall'organizzazione propria dell'Azione cattolica. Opere quindi che non si possono senz'altro dire di Azione cattolica, bensì si possono e debbono dire vere e provvidenziali ausiliarie della stessa.
« ... Pertanto, come l'Azione cattolica avrà cura di favorire nel miglior modo possibile tali istituzioni, così queste continueranno a prestare all'Azione cattolica il loro provvidenziale ausilio sia coll'efficacissimo e non mai abbastanza desiderato ed invocato contributo della preghiera, sia ancora facendo conoscere la bellezza, la necessità, i vantaggi dell'Azione cattolica, opportunamente esortando ed indirizzando ad essa i propri iscritti. Il che vuol intendersi particolarmente per quelle istituzioni e congregazioni che raccolgono la gioventù allo scopo di mantenervi i frutti della cristiana educazione ».
In questo brano della Lettera indirizzata a nome del S. Padre il 30 marzo scorso dall'Em.mo Card. Segretario di Stato al Direttore Generale dell'Azione cattolica, sono bellamente indicate le finalità delle nostre Compagnie, le quali conserveranno sempre tutta la loro efficacia per la formazione dei giovani alla vita militante della Chiesa, se noi sapremo applicare i singoli Regolamenti integralmente nella luce della mente e della parola del Papa.
3° Da tutto questo, o miei cari, possiamo facilmente valutare la grande importanza delle nostre Compagnie e la conseguente necessità che ci adoperiamo tutti perchè siano fondate, fatte fiorire e tenute in continua efficenza negli Oratori festivi, Ospizi, Collegi, Pensionati, Parrocchie e Missioni. Ma perchè producano i frutti sopra accennati, occorre che siano non il fuoco di un momento d'entusiasmo, ma organizzate in modo stabile e continuativo, come il dovere proprio della Casa che non cesserà se non quando venisse meno la stessa Casa. La cura delle Compagnie il Direttore la deve annoverare tra i suoi doveri professionali più importanti. Pur lasciando la necessaria libertà di azione, s'interessi di tutte le Compagnie, le visiti, prenda visione dei Registri e alla fin dell'anno scolastico-professionale li ritiri nell'archivio della Direzione, quando siano finiti.
Gli Ispettori e Direttori vedano dunque di rimettere in efficenza e far fiorire le nostre Compagnie nelle loro Ispettorie e Case avendo di mira principalmente la formazione di buoni cristiani e cittadini. Questi più tardi faranno parte della gioventù e degli uomini cattolici, se una vocazione a maggior perfezione non li chiamerà alla vita ecclesiastica o religiosa.
Siccome mi sta grandemente a cuore questo mezzo del nostro apostolato educativo stabilisco che i Direttori delle Case e degli Oratori festivi senza eccezioni, preparino LA GIORNATA DELLE COMPAGNIE con solenni funzioni religiose e adunanze particolari . e generali nelle quali i relatori delle Compagnie, previamente preparati con il limpido resoconto della propria Compagnia, presentino le proposte che credono più utili al bene dei soci e della Casa od Oratorio. Il Direttore diriga le discussioni, illuminando, consigliando e insistendo per l'attuazione delle proposte migliori. Infine annunzierà che la bella giornata delle Compagnie è destinata a preparare il CONGRESSO DELLE COMPAGNIE che sarà tenuto nell'Ispettoria: dirà quando e dove sarà tenuto e; le modalità della partecipazione di un delegato di ogni Compagnia, se appena possibile.
A parte vi saranno mandati i programmi di..questi Congressi, proprio salesiani, il che non esclude che per deferenza o competenza non possano essere invitati amici, ex allievi -e Cooperatori. Siccome desidero che questi Congressi non siano solo una parata del momento, ma segnino un reale, duraturo progresso in tutte le Ispettorie e Case; così raccomando agli Ispettori di studiare accuratamente il proposto programma, assieme ai propri direttori, individualmente e in apposite adunanze. Si stabiliscano per tempo gli organizzatori e relatori dei vari argomenti dando loro comodità di ricercare nelle biografie scritte dal Beato e nelle Memorie Biografiche di lui, quanto v'è intorno all'origine, finalità, importanza delle varie Compagnie, per potere riuscire: ad approfondire i singoli Regolamenti, raffrontandoli assieme per rilevarne i punti di contatto e le particolarità differenziali: a penetrare la mente e il cuore del Beato per fare tesoro dei suoi consigli sparsi nei vari volumi in riguardo alle sue Compagnie: a raccogliere, come in quadro delizioso, i frutti meravigliosi delle Compagnie dell'Oratorio di Valdocco e delle altre primitive fondazioni, nei luminosi esempi degli eroici giovinetti che rispondono ai nomi di Michele Rua, Gabriele Fassio; G. B. Francesca, Domenico Savio, Michele Magone, Francesco Besucco, Paolo Albera, Francesco Cerruti, Ernesto Saccardi, ecc.
Allora apparirà chiaro' come il Beato Padre mirasse principalmente: - a formare nei giovanetti lo spirito d'apostolato con l'esercizio continuo della carità verso Iddio, fino a restare rapiti in estasi per lunghe ore, e del prossimo, -fino agli eroismi dell'assistenza degli appestati; ad eccitare il loro zelo per rendere migliori i compagni, per impedire l'offesa di Dio, anche .í costo della vita, e per intonare tutta la lor vita alla serena allegrezza che gode e fa godere l'anima che vive costantemente nella grazia del Signore: insomma a prepararli praticamente così che, fatti uomini, fossero dappertutto, in ogni tempo, e senza rispetti umani, cattolici praticanti con la vivezza della fede, con la frequenza dei Sacramenti, con la santificazione delle feste intervenendo alle funzioni-religiose, canto dell' Ufficio della Madonna, Messa cantata, spiegazione del Vangelo, Vespri, istruzione, benedizione del SS. Sacramento; con ascriversi alle Confraternite e associazioni parrocchiali e con prestarsi volontieri a collaborare nelle opere di carità corporali e spirituali in favore del prossimo. Allora le Giornate e i Congressi delle nostre Compagnie s'illumineranno di luci scintillanti per la vita che il Papa richiede nei membri dell'Azione cattolica, e che la parola fervida dei Presidenti, Relatori ed Oratori degli auspicati Convegni farà scattare ad ogni . momento dai modelli plasmati dal Beato, primo fra tutti Domenico Savio del quale sarà tenuta il 5 maggio la Congregazione preparatoria di Beatificazione.
Questo vero modello di tutta la gioventù delle nostre Case — presentato nella sua simpatica modestia, riflesso visibile dell'interno candore dell'anima; nella limpida semplicità dell'innocenza cosciente; nel vivo desiderio e nel bisogno di farsi santo ad ogni costo; nella volontà efficacemente risoluta nel bene operare e nel fuggire anche l'ombra del male; nell'apostolato per la salvezza delle anime, da lui compiuto con lo spirito di preghiera così elevato da essere fatto degno di consolanti, lontane visioni di future conversioni e con zelo così operoso da sottoporsi volontieri ad ogni umiliazione e sacrifizio per le anime - gli susciterà tra i giovani uditori una tale emulazione di imitarlo e invocarlo a proprio Protettore che gli saranno eretti tanti altari quanti sono;i cuori giovanili.
In questi Convegni è però buona cosa presentare anche gli altri modelli di santità giovanile, sbocciati ai raggi della santità del Padre: intendo parlare, non solo di quelli che, arricchitisi di meriti in breve tempo, fecero ritorno a Dio nel fiore della giovinezza; ma eziandio di quelli che alla scuola di Don Bosco ebbero, come il Savio, la lor giovinezza talmente fiorente in tutte le virtù da stargli alla pari, e che però il Signore ha voluto rimanessero quaggiù fino a tarda età per continuare in migliaia di altri giovani l'opera santificatrice che il Beato aveva personalmente compiuti in loro. La giovinezza dei membri della famiglia prodigiosa degli inizi della nostra Società può essere argomento fecondo di meraviglie e ammaestramenti salutari.
Ancora una cosa da tenersi ben presente. Se vogliamo che le nostre Compagnie prosperino e fioriscano largamente, siano conservate quali sono senza innovazioni e trasformazioni. A chi avrebbe voluto introdurre delle novità il Beato soleva rispondere: — « Se abbiamo le nostre! Promuoviamo queste che ci riguardano. Le cose altrui saranno ottime fin che si vuole, ma non servono per noi e ci allontanano dal nostro scopo. Noi per la bontà del Signore, non abbiamo bisogno di prendere dagli altri, ma gli altri vengano, se loro piace, a prender da noi ». Parole di sapore profetico che oggi si avverano luminosamente sotto i nostri occhi!
Si, insista perciò che il Beato Padre era assolutamente contrario che si introducessero nelle nostre case Compagnie nuove o divozioni estranee, ma raccomandava che si coltivassero bene quelle già esistenti nell'Oratorio e si praticassero le nostre pie usanze. (Memorie Biog., VIII, 228).
Con la relazione di quanto sarà fatto al riguardo, attendo possibil- mente anche lo svolgimento dei vari temi trattati e delle proposte e voti fatti: di tutto sarò molto grato ai singoli Ispettori e Direttori.
4° Però, o miei cari, mentre si lavora alla formazione cristiana dei giovani, non si deve perdere di vista il nostro perfezionamento sociale ed individuale. La nostra Società, che ha sempre maggior bisogno di aumentare il numero dei suoi membri, deve pensare seriamente a formarli e perfezionarli convenientemente per le diverse attività alle quali saranno destinati. A questo lavoro di perfezionamento sociale si deve cooperare da tutti con la preghiera e con l'operd nella proporzione delle proprie mansioni. Ma ,la parte maggiore e direttiva dei mezzi per coseguire lo scopo, spetta 'al Rettor Maggiore con il,suo Capitolo e conseguentemente agli Ispettori e Direttori.
Ora la decisione presa il 1928 dal Capitolo Superiore di non accettare più nuove Fondazioni nè di fase., .nè di Missioni per tutto il quadriennio 1929-1932 mirava appunto a mettere nella possibilità, di intensificare il perfezionamento religioso ed educativo., intellettuale e professionale delle nostre giovani reclute, chierici e coadiutori, sottraendoli dalla vita attiva onde possano a lor agio e sotto la guida di abili istitutori e maestri, perfezionarsi nelle virtù religiose proprie della nostra vita salesiana, e nelle scienze sacre od arti professionali.,
Non intendo ripetere quanto ho già detto nelle Circolari del 24 - 9 1928 e del 6 1 - 1929 (Atti del Capitolo Superiore, NO 46 e 47) sopra la necessità e i motivi impellenti che ci mossero a prendere una simile decisione. Dirò solo che ho incontrato le generali approvazioni e che nell'ultimo Capitolo Generale si sono studiate e formulate le norme e decisioni che parvero più atte per ottenerne gli sperati vantaggi. (Atti Capitolo, NO 50).
Tuttavia, dopo due anni di applicazione della presa decisione, mi pare opportuno dare uno sguardo a quanto si è fatto, onde cavarne ammaestramenti e norme per impiegare meglio gli altri due anni, se saranno su f facenti.
Nella decisione presa v'era la parte negativa che ci precludeva qualsiasi nuova fondazione richiedente nuovo personale; e la parte positiva che ci imponeva di far uso di tutti i mezzi a nostra disposizione e di ricercarne altri più copiosi per assicurare alle nostre giovani reclute le migliori possibilità e comodità di un progressivo, completo perfezionamento.
Non era infatti possibile pensare a un fattivo e duraturo perfezionamento di più centinaia di giovani confratelli, chierici e laici, senza sobbarcarsi a spese ingentissime di fabbricazione e di arredamento degli istituti che li dovevano, separatamente, accogliere.
Il Capitolo Superiore doveva pensare dunque a fare sorgere i nuovi istituti al centro, nelle vicinanze della Casa Madre, affinchè quanti vi sarebbero convenuti, potessero ancora, in certo modo, respirare l'attuo-s f era dianzi santificata dal Fondatore, ed avere maggior comodità di avvicinare i Superiori Capitolavi per attingere dalle lor parole e dal loro contegno quasi le impronte visibili degli ammaestramenti e degli esempi del Beato Padre.
Dapprima ecco un cenno intorno a quanto s'è fatto finora per il perfezionamento dei candidati al sacerdozio. L'Istituto Teologico Internazionale della Crocetta, aperto otto anni fa per accogliere il maggior numero dei nostri studenti di Teologia, corrispose ampiamente all'alta sua missione, e ci fu pure largo delle sue esperienze. Esse ci consigliarono a ridurre alquanto il numero troppo grande di inscritti, rendendo in tal modo più facile' al Direttore e ai Professori una soda formazione dei chierici nella spiritualità salesiana e nelle scienze, teologiche, bibliche, liturgiche, giuridiche, storiche, sociali, ecc. Perciò quest'Istituto Teologico, d'ora innanzi potrà conseguire meglio la sua finalità di Prima nostra Università Teologica, che, per essere al centro della vita salesiana, verrà ambita e preferita dai chierici, mentre gli Ispettori si faranno un dovere e una gloria d'inviarvi i lor migliori soggetti in vista del maggior bene che ne proverrà alla Congregazione.
Però la limitazione del numero dei Teologi alla Crocetta non è a detrimento della formazione totalitaria dei nostri Chierici, e ciò per motivi molto importanti. L'inaugurazione del nuovo Istituto professionale Pio XI in Roma e il relativo riordinamento dell'Ospizio del Sacro Cuore ci ha permesso di aumentare fino a 58 il numero di ascritti all' Università Gregoriana, con grande probabilità di un maggior numero negli anni seguenti. Credo che la nostra Congregazione possa quando che sia aspirare al primato per il numero di Gregoriani, e faccio voti che essi acquistino anche il primato negli studi e nell'esemplarità della condotta. La mitezza del clima romano gioverà particolarmente ai nostri chierici dei paesi caldi, mentre l'universalità e la bellezza sempre nuova della Chiesa cattolica s'imprimerà nel cuore di tutti con un attaccamento e amore indefettibili, che i nostri comunicheranno un giorno ai lor futuri scolari dalle cattedre degli studentati per i nostri chierici che si vanno formando o completando già anche presso molte Ispettorie.
E qui permettetemi di farvi notare che lo Studentato Filosofico presso il Capitolo Superiore conserverà, nella sua nuova sede di Foglizzo Canavese, ancora il carattere di interregionalità per le Ispettorie d'Italia, ed anche di internazionalità, perchè è desiderio dei Superiori che tutti gli Ispettori possano, qualora lo credano conveniente, inviarvi dei loro chierici. Quest'anno ve ne sono raccolti ben 180 che attendono con ardore alla lor formazione morale, religiosa, filosofica e scientifica. Rincresce che circostanze speciali abbiano consigliato di traslatagli colà dalla Casa privilegiata nella quale riposò per 40 anni la Salma ora gloriosa del Beato Padre e dove con lo spirito di lui vegliano tuttora i suoi due primi successori e figli prediletti. È il Signore che dirige tutto per il meglio e noi speriamo che la protezione del Beato continuerà a far scendere le più copiose benedizioni divine sopra di loro anche in quella nuova residenza provvista di quanto occorre perchè abbiano un'educazione completa.
Ciò posto, vi assicuro, o miei cari, che godo assai nel constatare come ormai quasi tutte le Ispettorie abbiano pure formato il loro studentato filosofico e che, come rilevo dai cataloghi, diventano anno per anno sempre più fiorenti in numero di allievi . serietà di studi.
Ora, essendo evidente che, questi chierici, compiuto il corso di filosofia, non possano essere inviati tutti allo Studentato Teologico Internazionale di Torino e alla Gregoriana di Roma, viene naturale che gli Ispettori debbano provvedere a fare loro continuare gli studi. Perciò parecchi di essi fecero già domanda regolare per l'erezione di uno Studentato Teologico nella loro Ispettoria con la presentazione dei professori idonei con le ore di studio e di scuola proporzionate alle materie da insegnare secondo il Diritto Canonico e le nostre Costituzioni.
Queste domande sono state in massima accettate dal Rettor Maggiore con il suo Consiglio, a., condizione che resti salvaguardato il principio che gli Ispettori sono tenuti a scegliere annulmente i migliori dei loro chierici per gli studentati di Torino e di Ro',ha onde aver sempre professori patentati e soggetti ripieni del vero spirito salesiano attinto durante gli studi teologici al centro stesso della salesianità. Però questi studentati teologici non saranno dichiarati regolari se non dopo la visita del delegato straordinario che sarà, entro quest'anno 1931, inviato ad ispezionarli. È volontà dei Superiori che i nostri chierici percorrano regolarmente tutto il ciclo ascensionale degli studi dal biennio di filosofia dopo il Noviziato, «l quadriennio di Teologia dopo il triennio di tirocinio pratico nelle Case.
Mi consola' pure potervi notificare, o miei cari, che da noi non si sono risparmiate nè sollecitudini, nè sacrifizi e spese ingenti per il perfezionamento morale e artistico dei nostri cari Coadiutori. Vi prego richiamane,. alla memoria quanto vi esposi nella Circolare del 24 luglio 1927 (Atti Cap., N° 40) intorno agli scopi della fondazione della Scuola Agricola Missionaria di Cumiana e comprenderete meglio quanto vi si è fatto in questi due anni. Colà si sono raccolte numerose reclute di futuri agricoltori missionari che son pieni di ardore e buona volontà, e vanno preparandosi a recare nelle nostre Missioni la vera civiltà per mezzo della coltivazione della terra produttrice instancabile di quanto occorre per la vita individuale e sociale. Questa lor missione di apostoli dell'agricoltura feconderà il seme della parola evangelica e trasformerà i nomadi selvaggi in stabili e pacifici coltivatori delle lor selve convertite in oasi di benessere.
Le scuole e lezioni pratiche proprio per loro sono divise, secondo gli ultimi programmi moderni, in vari corsi annuali per apprendere loro con graduale progressione dal facile al difficile la conoscenza teorica e pratica dei terreni, i modi della coltivazione per averne i maggiori frutti; l'allevamento razionale degli animali domestici e tutte le opportune cognizioni per servirsene più vantaggiosamente e cavarne maggiore rendimento, ecc. Un apposito gabinetto di chimica, attrezzato al completo dei migliori strumenti per ogni sorta di esperimenti rendono questa scuola agricola unica sotto tutti gli aspetti. Era dunque naturale .che vi si inviassero anche i giovani Coadiutori, specializzati in questo ramo professionale, per il loro perfezionamento: tanto più che essi avrebbero in pari tempo apportato agli aspiranti agricoli missionari l'inestimabile benefizio del loro esempio per la pratica dei metodi, delle norme e delle tradizioni della vita salesiana.
Così mi pare che ora si sia assicurato l'esito di questa singolare Scuola per i primi missionari agricoltori e non ci resta che continuare a' migliorare e a ringraziare il Signore di avere suggerito a vari generosissimi Cooperatori, ben compresi della singolarità della cosa, di venirci in aiuto e renderci possibile con la loro carità il principio e lo stabilimento dell'opera.
Per gli altri confratelli artigiani il corso di perfezionamento era stato provvisoriamente stabilito parte a San Benigno Canavese e parte alle Scuole Professionali del Martinetto in Torino. In ambedue le Case si ebbero frutti consolanti: ma ci si stava a disagio in tutti i sensi. La nostra massima preoccupazione era : perciò quella di potere creare ex novo un altro Istituto Professionale di perfezionamento sul modello di quello di Cumiana che servisse per i futuri missionari ed il perfezionamento dei confratelli. Ma dove e con quali mezzi trattandosi di milioni su milioni? Al momento opportuno la Provvidenza ha inspirato all'illustrissimo, nobile, generoso Conte Rebaudengo di costituirsi creatore e mallevadore di un tale istituto, una parte del quale al presente è già compiuta e i nostri cari Coadiutori ne presero silenziosamente possesso per cominciare a sistemare le cose in modo che verso la fin d'anno le varie scuole professionali d'arti e mestieri possano funzionare regolarmente a tutto vantaggio nostro e loro perchè di là usciranno degnamente attrezzati per essere abili capi-laboratorio e maestri delle legioni di allievi artigiani che affluiscono in sempre maggior numero ai nostri Istituti.
5° Quanto son venuto esponendovi intorno a ciò che hanno fatto i Superiori maggiori per il completo perfezionamento dei Confratelli che si seguono e si susseguono ininterrottamente e circa i frutti già riportati nelle prime Case del genere sono una prova luminosa che tali Case saranno entro breve tempo la vera consolazione e gloria della nostra Società. Per questo mi auguro che ne sorgano molte qua e là per le singole Ispettorie o per più Ispettorie associate assieme per il perfezionamento morale, intellettuale e professionale dei loro soggetti.
Da tutte le parti sale alle orecchie dei Superiori maggiori un grido unanime: « mandate molti buoni Confratelli, ripieni dello spirito e zelo del nostro Beato Padre, a portare alle Case lontane nuove energie di studi ed esempi più perfetti della primitiva vita salesiana! Ecco la voce dell'urgente necessità di molte Case di perfezionamento delle quali ho parlato sopra: ma guardiamoci bene dal formare solo degli studiosi ed abili professionisti! La scienza è buona e necessaria: è il sale della terra, ma guai se si corrompe! Allora la nostra Società, possedesse anche scienziati, sapienti e professionisti di prim'ordine, non eserciterebbe più il suo originario apostolato educativo, e sarebbe più solo simile a vetusto castello che presenti ancora 'all'esterno molti segni dell'antica magnificenza, mentre al di dentro è tutto una rovina!
Che la nostra potente Ausiliatrice e il Beato Padre ci preservino da tanta disgrazia, eccitando in ciascuno di noi, o miei carissimi figli, il desiderio vivo e la costante, risoluta volontà di lavorare indefessamente al perfezionamento dell'anima nostra con lo studio di crescere ogni di più nella santità della nostra vocazione, imitando il Beato Padre con la pratica dei suoi esempi e dei suoi ammaestramenti. Sviluppiamo con crescente ardore dentro di noi tutta la tenerezze del suo filiale amore verso la gran Madre di Dio per vivere in Lei e con Lei vicini, vicini a Gesù Sacramentato; ed; allora riusciremo facilmente ad infondere la soda pietà e il desiderio ardente della santità nelle giovani reclute che si affollano dietro di noi assetate di apprendere dal nostro contegno e dalla nostra condotta quello che devono fare pér imitare e rendersi simili al Beato Padre. Le nostre parole, il portamento e, il tenore quotidiano della vita hanno da essere norma della/perfetta disciplina religiosa salesiana ai nostri giovani confratelli, e così faranno essi pure per quelli che li seguiranno. Ir tal modo il modello del vero salesiano che il Beato ha finalmente ricamato dinanzi ai nostri occhi con la sua vita esemplarissima e adorna di tutte le virtù più splendide sarà, di generazione in generazione, !tramandata nella sua integrità e senza deturpazioni, fino a che sia compiuto il mandato divino affidato alla nostra Società.
E perchè tutto questo, riuscisse facile ai suoi figli, la misericordiosa bontà del Signore s'è degnata presentare a Don Bosco nella visione del sogno il modello del:ero salesiano e il Beato Padre ce l'ha tramandato a nostro ammaestramento e per la preservazione della Società nell'avvenire.
Gli appunti presi da Don Bosco subito dopo la notturna, laboriosa visione e di cui `si è servito per descrivere più tardi ai suoi primi figli il personaggio raffigurante la nostra Società e nel quale ogni salesiano, presente e futuro deve rispecchiarsi, ravvicinato e raffrontato con gli eroismi delle virtù che raggiano per tutto il mondo la santità del nostro Beato, ci fanno esclamare: « Il nostro Padre è stato sempre in tutta la sua vita l'incarnazione vivente di. questo simbolico personaggio! ».
Merita quindi che da noi- si studi questo sogno paterno nella luce della vita del Beato per eccitarci costantemente a ricopiare in noi questo vero modello del salesiano. Lo troverete più sotto nella sua primitiva stesura, spoglia delle osservazioni personali del Beato che nella limitazione del tempo sminuivano la sua universale importanza.
Il vero salesiano ci è presentato primieramente in tutto lo splendore delle sue virtù, raffigurate nei dieci diamanti, ognuno dei quali porge argomento a tali e tante meditazioni da potere studiare esaurientemente tutta la spiritualità della vita salesiana, senza però perdere mai di vista il misterioso personaggio nel quale dobbiamo trasformarci. Le brevi dilucidazioni descrittive fatte dal Beato indicano il modo della nostra trasformazione. Tutti i diamanti hanno una luce propria, ma tutte queste luci non sono che una luce sola: Don Bosco!
Tra parentesi: è mio desiderio che ci fissiamo principalmente sopra i diamanti della carità, del lavoro, della temperanza, della castità, dell'obbedienza e della povertà, che sono le virtù distintive del vero salesiano e la salvezza della nostra Società. Ecco qualis esse debet, come dobbiamo essere ciascuno di noi e come nella reciproca carità fraterna dobbiamo esercitare il fecondo apostolato dell'esempio e dell'ammaestramento per rendere gli altri nostri confratelli una vera incarnazione di questo vivente personaggio!
Ma come la troppa luce dà talora le vertigini al capo e impedisce di vedere, così la negligenza delle cose divine, l'oziosità, l'ingordigia della gola, i piaceri del senso, la superbia della vita e l'attaccamento ai beni della terra possono toglierci di vista il modello e accecarci così da rendere buia la luce che era in noi e gettarci nelle più grandi tenebre. Qualis esse periclitatur: ecco il rovescio del vero salesiano e il pericolo che noi possiamo quandochessia cadere in uno stato così deplorevole! Ma risuoni incessantemente alle nostre orecchie la voce ammonitrice dell'attraente giovinetto e saremo salvi. Tutte le sue parole siano la nostra salvezza. Perciò, o miei carissimi figli, imprimiamocele bene in mente, meditiamole e facciamone pascolo quotidiano del nostro apostolato: i Direttori delle Case di perfezionamento la spieghino durante tutto l'anno.
In tal modo sarà praticata alla perfezione anche la Strenna che vi ho dato, di fare, cioè, conoscere meglio il Beato Don Bosco, e l'anno testè iniziato segnerà un'accentuato perfezionamento nella santità della nostra vocazione.
La grazia di H. S. Gesù Cristo avvalori le nostre buone volontà nel compimento delle cose che sono venuto dicendovi in questa mia e ci ,conceda di vedere presto la glorificazione definitiva del nostro Beato Padre, perchè siano pure glorificati presto molti altri suoi figli prediletti, per ottenere da tutti loro che sono già nella visione e felicità dell'Amore infinito, la fortuna e gli aiuti per esserlo un giorno noi pure.
Vi benedico con tutte le benedizioni che sono quelle di Maria, SS. Ausiliatrice e del Beato Don Bosco, e voi ricordatemi dinanzi all'altare del Dio vivente perchè si compia sempre sopra di me la santa volontà divina.
Natale del 1930.
Aff.rao in C. J.
Sac. FILIPPO RINALDI.
NB. — Il Rev.mo D. Pietro Tirone il 7 dicembre è partito per. il Brasile in qualità di Visitatore straordinario di quelle Ispettorie; vi si dovrà trattenere per tutto l'anno 1931. È delegato come Pro-Direttore Spirituale il M. Rev. D. Renato Ziggiotti, Ispettore dell'Ispettoria Centrale.
II.
COMUNICAZIONE 1p3tE
LA SOCIETÀ SALESIANA
NEL SOGNO FATTO DAL BEATO D. BOSCO IL 10 SETTEMBRE 1881 COME LO HA RACCONTATO IL 21 NOVEMBRE DELLO STESSO ANNO.
Spiritus Sancti gratia illuminet sensus et corda nostra.
Ad ammaestramento della Società salesiana.
Qualis esse debet.
Il 10 settembre di quest'anno (1881), giorno che la Santa Chiesa consacra al glorioso Nomé'ài Maria, i Salesiani raccolti in S. Benigno Canavese facevano gli Esercizi Spirituali. Nella notte` dal 10 all'11, mentre dormivo, la mente si trovò in una gran sala splendidamente ornata.
Mi sembrava di passeggiare con i direttori delle nostre Case, quando apparve tra noi un uomo di aspetto così maestoso, che non potevamo reggerne la vista. Datoci uno. sguardo, senza parlare si pose a camminare a distanza di qualche passo da noi.
Era così vestito. Un ricco manto a guisa di mantello gli copriva la persona. La parte -più vicina al collo èra come una fascia che si rannodava davanti, ed una fettuccia gli pendeva sul petto. Sulla fascia stava scritto a caratteri luminosi: Salesianorum Societas, e sulla striscia di essa fascia portava scritte queste parole: Qualis esse debet.
Dieci diamanti di grossezza e splendore straordinari erano quelli che c'impedivano di fissare lo sguardo, se non con gran pena, sopra quell'augusto personaggio. Tre di quei diamanti erano sul petto; ed era scritto sopra di uno .Fides, sull'altro Spes, e Charitas sopra quello che stava sul cuore. Il quarto diamante era sulla spalla destra ed aveva scritto: Labor; sopra il quinto nella spalla sinistra leggevasi: Temperantia.
Gli altri cinque diamanti ornavano la parte posteriore del manto, ed erano così disposti. Uno, il più grosso e più folgoreggiante, stava in mezzo come il centro di un quadrilatero, e portava scritto: Obedientia. Sopra il primo a destra leggevasi: Votum paupertatis. Sopra il secondo più abbasso: Praemium. Nella sinistra sul più elevato era scritto: Votum castitatis. Lo splendore di questo mandava una luce tutta speciale e mirandolo traeva ed attaccava lo sguardo come la calamita tira il ferro. Sopra il secondo a sinistra più abbasso stava scritto: Ieiunium. Tutti questi quattro ripiegavano i luminosi loro raggi verso il diamante del centro.
Dilucidazione.
Per non cagionare confusione è bene notare che questi brillanti tramandavano dei raggi che a guisa di fiammelle si alzavano e portavano scritto qua e là varie sentenze.
Sopra la Fede si elevavano le parole: |
Date mano allo scudo della Fede, per potere combattere contro le insidie del demonio. - La fede senza le opere è morta - Non quelli che senton parlare della legge, ma solo quelli che la praticheranno, possederanno il regno di Dio. |
Sumite scutum fidei, ut adversus insidias diaboli certare possitis |
|
Altro raggio aveva: |
|
Fides sine operibus mortua est. -Non auditores, ed factores legis regnum Dei possidebunt. |
|
Sopra i raggi della Speranza: |
Sperate nel Signore, non negli uomini. - I vostri cuori siano costantemente rivolti dove sono i veri gaudi. |
Sperate in Domino, non in ho-minibus. - Semper vestra fixa sint corda ubi vera sunt gaudia. |
|
Sopra i raggi della Carità eravi: |
Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge divina. - Amate e sarete amati. Ma amate le anime vostre -e quelle dei vostri (giovani, dipendenti). - Si reciti divotamente il divino ufficio; si celebri con attenzione la S. Messa; si visiti con trasporto di amore il Santo dei Santi. |
Alter alterius onera portate, si vultis adimplere legem meam. - Diligite et diligemini. Sed diligite animas vestras et vestrorum. - Devote divinum ojicium persolvatur; Missa attente celebretur; Sanctum sanctorum peramanter visitetur. |
|
Sopra la parola Labor eravi: |
Rimedio della concupiscenza. |
Remedium concupiscentiae. - Arma potens contra omnes insidias diaboli. |
|
Sopra la Temperanza: |
Se togli la legna, il fuoco si spegne. - Fate un patto con i vostri occhi con la gola, col sonno affinchè non vi guastino l'anima, - L'intemperanza e la castità non possono Stare insieme. |
Si ligna tollis, ignis exstinguitur. - Pactum constituite cum oculis vestris, cum gola, cum somno, ne huiusmodi inimici depraedentur ani-mas vestras. - Intemperantia et castitas non possunt simul cohabitare. |
|
Sopra i raggi dell'Obbedienza: |
Base di tutto l'edilizio e compendio-della santità. |
Totius aedificii fundamentum, et samctitatis compendium |
|
Sopra i raggi della Povertà: |
Di loro è il regno dei cieli. - Le ricchezze sono spine. - La povertà si ottiene non con le parole, ma con il cuore e con le opere. Essa aprirà il regno del cielo e vi c'introdurrà. |
Ipsorum est regnum cóelorum. - Divitiae spinge sani - Paupertas non verbis, sed corde et opere confi-a citar. Ipsa cadi ianuam aper,et et=' introibit. |
|
Sopra i raggi della Castità: |
Tutte le virtù vengono insieme con lei. - I puri di cuore vedono í segreti di Dio - e 'vedranno Iddio medesimo. |
Omnes virtutes veniunt pariter cun illa. - Qui mondo sunt corde Dei arcana vident, et Deum ipsum videbunt. |
|
Sopra i raggi.. del Premio: |
Se attrae la grandezza dei premi, non atterrisca la grandezza delle-fatiche. - Chi patisce con me, godrà pure con me. - È momentaneo quanto si patisce - sopra la terra, eterno invece quanto rallegrerà i miei amici in cielo. |
Si delectat magnitudo praemiorum, non deterreat multitudo: làborum. -Qui mecum patitur, mecum gaudebit. - Momentaneurn est quod patimur in terra, aeternunn est quod delectabit in coelo amicos meos. |
|
Sopra i raggi del Digiuno: |
Arma potente contro le insidie del nemico. - Custode di tutte le virtù. - Con esso si scaccia ogni sorta di tentazione. |
Arma potentissima adversus insidias inimici. - Omnium virtutum custos. Omne genus daemonioram per ipsum eicie''tur. |
|
Un largo nastro color di rosa serviva d’orlo nella parte inferiore del manto e sopra questo nastro era scritto |
|
Argumentum praedicationis. - Mane meridie et vespere. - Colligite fragmenta virtutum, et magnum sanctitatis aedificium vobis constituentis.
|
Argomento di predicazione - al mattino - a mezzodì - a sera. - Praticate le piccole virtù e vi preparerete un grande edilizio di santità. - Guai a voi che disprezzate le piccole cose: a poco a poco verrete meno. |
Fino allora i Direttori erano chi in piedi, chi ginocchioni; ma tutti attoniti e nessuno parlava. A questo punto Don Rua come fuor di sè disse: bisogna prender nota per non dimenticare. Cerca una penna e non la trova;. cava fuori il portafoglio, fruga e non ha -la matita. Io mi ricorderò disse Don Durando. Io voglio notare, aggiunse Don Fagnano, e si pose a scrivere con il gambo di una rosa. Tutti miravano e comprendevano la scrittura. Quando Don Fagnano cessò di scrivere, Don Costamagna continuò a dettare: La Carità capisce tutto, sopporta tutto, vince tutto; predichiamola con le parole con i fatti.
Mentre Don Fagnano scriveva, scomparve la luce, e tutti ci trovammo in folte tenebre. Silenzio, disse Don Ghivarello, inginocchiamoci, preghiamo e la luce verrà. Don Lasagna cominciò il Veni Creator Spiritus, poi il De Profundis, Maria Auxilium Christianorum, etc., a cui tutti rispondemmo.
Salesianorum Societas qualis esse periclitatur.
Quando fu detto: Ora pro nobis, riapparve una luce, che circondava un cartello su cui leggevasi: Salesianorum Societas qualis esse periclitatur.
Un istante dopo la luce divenne più viva a segno che potevamo vederci e conoscerci a vicenda.
In mezzo a quel bagliore apparve di nuovo,il personaggio di prima, ma con aspetto malinconico simile a colui che comincia a piangere. Il suo manto era divenuto scolorato, tarlato e sdruscito. Nel sito dove stavano fissi i diamanti eravi invece un profondo guasto cagionato dal tarlo e da altri piccoli insetti.
Respicite, egli ha detto, et intelligite.
Ho veduto che i dieci diamanti erano divenuti altrettanti tarli che rabbiosi rodevano il manto.
Pertanto al diamante della Fides erano sottentrati: Somnum et Accidia. A Spes eravi: Risus et Scurrilitas.
A Charitas: Negligentia in divinis per ficiendis. — Amant et quaerunt quae -sua sunt, non quae lesse Christi.
A Temperantia: Gula et quorum deus venter est. A Labor: Somnum, furtum et otiositas.
Al posto dell'Oboedientia eravi nient'altro che un guasto largo e profondo senza scritto.
A Castitas: Coneupiscentia oculorum et superbia vitae.
A Paupertas era succeduta: Leasem, habitus, potus et pecunia.
A Praemium: Pars nostra erunt quae sunt super terram. A Ieiunium, eravi un guasto, ma niente di scritto.
Quomodo mutatus est color optimus!
A quella vista fummo tutti spaventati. D. Lasagna cadde svenuto, Don Cagliero divenne pallido come un cencio, e appoggiandosi sopra urta sedia gridò: Possibile che le cose siano già a questo punto? D. Lazzero e D.Guidazio stavano come fuor di sè, e si porsero la mano per non cadere. D. Francesia, il. Conte Cays, D. Barberis e D. Leveratto erano quivi in ginocchioni pregando con in mano la corona del SS. Rosario.
In quel momento si fe' intendere una cupa voce: Quomodo ~tatua est color optimust Ma all'oscurità succedette un fenomeno singolare. In un istante ci trovammo avvolti in folte tenebre, nel cui mezzo apparve una luce vivissima, che aveva forma di corpo umano. Non potevamo tenerci sopra lo sguardo, ma potemmo scorgere che era un avvenente giovinetto vestito di abito bianco lavorato con fili d'oro e d'argento. Tutto attorno all'abito vi era un orlo di luminosissimi diamanti. Con aspetto maestoso, ma dolce ed amabile si avanzò alquanto verso di noi, e ci ?indirizzò queste testuali parole:
Servi et instruntenta 39ei omnipotentis, attendate et intelligite. Con-f ortamini et estote robusti. Quod vidistis et audistis est coelestis admo-". nitio, quae nunc vobis et frdLiribiis vestris f acta est: animadvertite et intelligite sermonem. Iacula praevisa minus feriunt, et praeveniri possunt. Quot sunt verba signata, tót sint argomenta praedicationis. Indesinenter' praedicate, opportune et importune: sed quae praedicatis constanter facite, adeo ut opera vestra sint velut lux, gliele sicuti tuta traditio ad fratres et; :;filios vestros pertranseat de "generaiione in gene-rationem. Attendite et intelligite : Estote oculati in tironilus acceptandis; fortes in colendis: prudentes in admittendis. Omnes probate; sed tantum, quod bonum est tenete. Leves et mobiles dimittite. Attendite et ,intelligite : Meditatio matutina et vespertina sit indesinenter de observantia Constitutionum. Si haec feceritis numquam vobts deficiet Omnipotentis auxilium. Speetaculum facti eritis mondo et angelis, et tane gloria vestra erit gloria Dei. Qui videbunt saeculum hoc exiens et alterum incipiens, ipsi :elicent de vobis: A Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris. Tunc omnes fratres vestri et filii vestri una voce cantabunt: Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam. |
Servi e strumenti di Dio onnipotente, ascoltate e tenete ben in mente. Fatevi animo e siate forti. Quanto avete veduto ed udito è avvertimento celeste che ora è fatto ajiroi e ai vostri fratelli: state attenti e comprendete le mie parole. |
Queste ultime parole furono cantate, ed alla voce di chi parlava si unì una moltitudine di altre voci così armoniose, sonore che noi rimanemmo privi dei sensi, e per non cadere svenuti ci siamo uniti agli altri a cantare. Al momento che finì il canto si oscurò la luce. Allora mi svegliai, e mi accorsi che faceva giorno.
Questo sogno durò quasi l'intera notte, e sul mattino mi trovai stremato di forze. Tuttavia nel timore di dimenticarmene mi sono levato in fretta e presi alcuni appunti, che mi servirono come di richiamo a ricordare quanto qui ho esposto nel giorno della Presentazione di Maria SS. al tempio. Non mi fu possibile ricordare tutto. Tra le molte cose ho pur potuto con sicurezza rilevare che il Signore ci usa grande misericordia.
La nostra Società è benedetta dal cielo, ma Egli vuole che noi prestiamo l'opera nostra. I mali minacciati saranno prevenuti, se noi predicheremo sopra le virtù e sopra i vizi ivi notati: se ciò che predichiamo, lo praticheremo e lo tramanderemo ai nostri fratelli con una tradizione pratica di quanto si è fatto e faremo.