Il salesiano uomo e maestro di preghiera per i giovani
1. TU SEI LA MIA LUCE... - Rivisitare il proprio cuore. - Sinceri verso Dio e verso noi stessi. - Capaci di ascolto. - Gustare il silenzio. - Scoprire le proprie resistenze. - Accedere con fiducia al Padre. - Fare un cammino di preghiera. - Dare la parola a Dio. - Cogliere lo sguardo di Dio nel proprio essere. – L’esperienza di alcuni amici di Dio.
2. LA PREGHIERA DEL SALESIANO. - I semi: Mamma Margherita. - Don Bosco uomo di preghiera. - Sulla scia di San Francesco di Sales. - Il marchio oratoriano. - Contemplativo nell’azione. - Alcune condizioni: L’orientamento interiore. – L’intenzione. - Sentirsi strumenti di Dio a favore dei giovani - Scoprire la presenza dello Spirito nella vita dei giovani.
CONCLUSIONE. La preghiera dei nostri Santi. - La liturgia della vita. - Iniziazione dei giovani alla preghiera. - Maria, icona della nostra preghiera.
Roma, 1 gennaio 2001
Solennità di Maria SS. Madre di Dio
Per la Quaresima del 1999 un gruppo di diocesi della Spagna mandava ai fedeli una lettera sulla preghiera cristiana oggi, dal titolo: «Il tuo volto cercherò, Signore» [1] . Anche altri Pastori sono intervenuti nello stesso senso [2] .
I Vescovi facevano notare il disorientamento dei cristiani riguardo al senso della preghiera (perché pregare? ha ancora senso pregare regolarmente?) e riguardo alle fonti e forme originali della preghiera cristiana. Il fatto riguardava anche la progressiva perdita dell’abitudine di pregare, per i cambiamenti che stanno avvenendo nella vita familiare, nella quale possono trascorrere giorni senza che si veda un gesto di preghiera comune. Nella comunità cristiana poi, a parte la partecipazione alla Messa domenicale, stanno andando in disuso altre pratiche con cui la comunità cristiana esprimeva, nella scansione del tempo, il suo riferimento sostanziale al Signore.
Allo stesso tempo si sottolineava il moltiplicarsi di luoghi e di opportunità di preghiera “self-service”, offerti da vari gruppi religiosi per chi volesse approfittarne, e la crescente ricerca di tali luoghi.
Questo l’abbiamo sperimentato anche noi, dal nostro punto di osservazione: si offrono serate di preghiera nelle chiese, si svolgono veglie sentite, si moltiplicano le case di preghiera. Ma non soltanto. Non più tardi di quindici giorni or sono, ascoltavo una Radio evangelica che elencava nella città di Roma venti luoghi di culto, con i rispettivi orari, per chi ne volesse approfittare. Sullo sfondo risuonavano parole dei salmi con musica elettronica e coinvolgimento da parte dei partecipanti.
Il Giubileo, coi suoi toccanti raduni di preghiera in piazza San Pietro e con le numerose celebrazioni, ha sottolineato anche questa dimensione della religiosità cristiana.
Viviamo in un mondo globalizzato, singolare dal punto di vista religioso: umanistico e secolarizzato, quasi sbilanciato nell’affermare il diritto della persona ad una sua scelta personale in ogni campo e quindi un po’ allergico alle mediazioni imposte, “selvaggiamente religioso” nel privato, si potrebbe dire. C’è chi vive da “agnostico” (nel senso di non credente). C’è anche chi pratica una religione alla maniera dello snak-bar o McDonald, conforme ad una propria scelta e combinazione di tempi, luoghi e formule. C’è chi sceglie pratiche di religioni esoteriche. A volte in un compartimento del treno, l’unico che si vede pregare è un musulmano. Negli aeroporti sono state adibite sale per le espressioni delle varie religioni.
Una cosa risulta evidente: chiunque entri nello spazio di una qualsiasi esperienza o emozione religiosa, scopre e considera la preghiera come una delle sue principali manifestazioni. La richiesta al Signore, sentito come presente, l’espressione di lode e di ringraziamento, il desiderio di compagnia e protezione sorgono quasi inevitabilmente.
Niente di strano dunque che i giovani cristiani, che vivono in questa atmosfera, sono a contatto con noi, sentono qualche attrazione verso Gesù Cristo e verso il Vangelo, ed hanno accolto la sfida del senso ultimo, o espresso già una scelta consapevole per una presenza viva di fede, si interroghino sulla preghiera dei Salesiani. Si domandano quanto la sentano nel cuore, e soprattutto se i Salesiani siano capaci di iniziarli nei cammini di un’orazione che attraversi la vita, generando convinzioni e suggerendo esperienze, in modo che la preghiera diventi consuetudine, gusto, sostegno e luce.
Con i giovani ci sono momenti straordinari di celebrazioni solenni, ben curate dal punto di vista contenutistico, simbolico e coreografico. Ma riguardo a noi, le Costituzioni, dopo averci proposto tutti i momenti comunitari, ci dicono: «Potremo formare comunità che pregano solo se diventiamo personalmente uomini di preghiera. Ciascuno di noi ha bisogno di esprimere nell’intimo il suo modo personale di essere figlio di Dio, manifestargli la sua gratitudine, confidargli i desideri e le preoccupazioni apostoliche» [4] .
Una cosa, infatti, è recitare delle preghiere o partecipare a celebrazioni collettive, atti certamente utili e pregevoli, un’altra è diventare persone oranti. Abbiamo ascoltato questo dai giovani stessi e dai commentatori, in riferimento alle manifestazioni di massa del Confronto e del Giubileo: tutto ciò, che senza dubbio ha costituito una valida esperienza, durerà e farà strada nella vita? Viene chiamata in causa l’educazione religiosa, l’accompagnamento, l’interiorizzazione a seguito dell’evento straordinario, la comunicazione del cuore con il Padre, da figli.
È chiaro infatti che, se la nostra evangelizzazione propone soltanto spiegazioni, ma non riesce a creare un rapporto di comunione con il Padre, è vuota, quasi ridotta ad una ideologia. Il grande lavoro di Gesù è stato quello di far conoscere, in senso biblico, il Padre e insegnare ai discepoli a rivolgersi a Lui ascoltando le voci dello Spirito, gli insegnamenti e le parole che Egli suggerisce al cuore [5] .
Per questo, il Vangelo è ricco di insegnamenti sulla preghiera. L’evangelista Luca, nel capitolo undicesimo del suo vangelo, ne raccoglie alcuni: la parola unificante “Padre”, la perseveranza e l’efficacia della preghiera. Ed è il Vangelo a spiegarci la comunicazione con il Padre, la presenza dello Spirito che prega con Cristo in noi e per noi.
Non è mia intenzione adesso parlarvi della preghiera salesiana comunitaria. C’è sufficiente letteratura [6] e sforzo di animazione e si nota nelle comunità anche un proposito di miglioramento. E non c’è dubbio che essa esprime bene la vita del singolo e delle comunità ed è anche una scuola, oltre che garanzia di ricchezza, continuità, perseveranza, ed esperienza ecclesiale. Il salesiano prega con la comunità e nella comunità.
Ora voglio soffermarmi particolarmente sul cammino personale che, con l’aiuto delle comunità, porta ciascuno di noi ad essere uomo di preghiera, desideroso e capace di orientare i giovani verso di essa, portando anche a livelli di regolarità e fervore quelli che si dimostrano capaci.
Rivisitare il proprio cuore.
La preghiera del salesiano, comunicazione e dialogo filiale con il Signore, è certamente coerente con la sua vita ed adeguata alla sua esistenza concreta. Ci sono però dei “luoghi comuni”, non verificati, riguardo ad essa; così come ci sono dei condizionamenti reali da superare per arrivare ad essere uomini di preghiera secondo il modo salesiano.
Tra i luoghi comuni c’è quello che vuole che al centro della vita del salesiano ci sia l’azione, non sempre intesa come azione consapevolmente salvifica, ma a volte semplicemente come agire umano, con tutto quello che esso comporta: movimento, competenza, molteplicità di ambiti, rapporti e interventi, eccetera.
La preghiera, in tal caso, viene “relegata in alcuni angoli della giornata”, limitata ai momenti comuni. Il consiglio di Gesù Buon Pastore è invece quello di pregare “sine intermissione”: una comunicazione con il Padre, che nello Spirito viene a noi e da noi esce per molteplici vie: attraverso il pensiero, il sentimento, l’orientamento dell’azione, il rapporto con il prossimo, la partecipazione alle celebrazioni ed alla vita della comunità cristiana. Tutto ciò compiuto con lo sguardo rivolto verso di Lui e con il desiderio di compiere «le bon plaisir de Dieu» [7] , secondo l’espressione di San Francesco di Sales.
Un altro luogo comune è l’interpretazione del detto di Don Bosco: «La vita attiva, cui tende specialmente la nostra società fa sì che i suoi membri non possano aver comodità di fare molte pratiche in comune» [8] . È vero. Bisogna però risalire al suo tempo per capire la portata di questo asserto, paragonare questo detto con quanto prescrivevano altri Istituti: alle pratiche mattutine e vespertine giornaliere si univano i tridui, le novene, i tempi liturgici molto più regolati quanto a pratiche di pietà. Le parole di Don Bosco sono da leggere e interpretare in questo contesto. Bisogna poi non confondere tempi comuni con tempi personali, anche sottratti ad un’azione non ben ordinata.
Tra i nostri condizionamenti tipici bisogna invece annoverare una certa connaturale esposizione alla molteplicità di impegni che per alcuni, con “agenda aperta” ad imprevisti, può diventare agitazione. L’agitazione non provoca soltanto l’eliminazione della partecipazione ai momenti comunitari, ma anche la soppressione dei momenti di studio, di lettura, di cosciente preparazione ad un ministero o a un compito educativo, che diventa sempre più complesso anche dal punto di vista dell’interpretazione evangelica della vita, nonché della metodologia nell’orientamento dei giovani.
Si deve riconoscere che sia la lettura pastorale del contesto cui ho accennato prima, sia la nostra personale riflessione ci portano oggi a determinate conclusioni sulle condizioni da creare per la preghiera.
È possibile parlare di preghiera solo assumendo l’esperienza di Gesù, Figlio del Padre, riespressa nella propria vita sotto la guida dello Spirito. Parlare di preghiera è mettere allo scoperto quanto c'è di più sacro e unitario nella nostra vita [9] .