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Omelia Stefano Sándor (Roma 30.10.'13)

Omelia sul beato Stefano Sándor
Eucaristia nella Basilica del Sacro Cuore
30 ottobre 2013

«Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).
           
Eloquenti più d’un trattato, queste parole di Gesù dischiudono il segreto della vita. Non c’è gioia di Gesù senza dolore amato. Non c’è risurrezione senza morte. Gesù qui parla di sé, spiega il significato della sua esistenza. Perché morire, proprio Lui che s’è proclamato la Vita? Perché soffrire, Lui che è innocente? Perché essere calunniato, schiaffeggiato, deriso, inchiodato su una croce, la fine più infamante? E soprattutto perché Lui, che ha vissuto nell’unione costante con Dio, si sentirà abbandonato dal Padre suo? Anche a Lui la morte fa paura; ma essa avrà un senso: la vittoria sul male e sulla morte, la risurrezione.
            Questa Parola illumina anche la vita e il martirio del nostro Stefano Sándor, che oggi veneriamo come beato in questa Basilica del Sacro Cuore, tanto ricca di significato per i Salesiani e l’intera Famiglia Salesiana, sia per l’unità di significato tra il cuore trafitto d’amore e il martirio sia per la santità del nostro padre don Bosco.

  1. Testimone della fede

La beatificazione avviene in questo Anno della fede e il nostro Stefano rifulge per la sua grande fede in Dio fino all’effusione del sangue. Desideroso, fin dalla prima giovinezza, di consacrarsi al servizio di Dio e dei fratelli nel generoso compito dell’educazione dei giovani secondo lo spirito di don Bosco, fu capace di coltivare uno spirito di fortezza e di fedeltà a Dio e ai fratelli che lo misero in grado, nel momento della prova, di resistere prima alle situazioni di conflitto e poi alla prova suprema del dono della vita. La sua beatificazione, come ricordato da numerosi testimoni, è un segno di conforto e di incoraggiamento per la ripresa della vita di fede cristiana nella nazione ungherese.
La forte persecuzione esercitata dal regime comunista nei confronti della Chiesa cattolica era motivata dall’impegno morale e religioso posto dalla Chiesa nei confronti della gioventù. Per tale motivo la Chiesa era un vero nemico da combattere, in particolare le istituzioni e le persone che esprimevano tale impegno, quale appunto la Congregazione salesiana e Stefano Sándor; egli mai abdicò alla sua fede cristiana e alla sua vocazione di educatore salesiano, nonostante l’intolleranza e l’avversione dichiarata del regime. Tra le prove e gli ostacoli sia nel cammino vocazionale, sia nelle dure esperienze del servizio militare e al fronte, sia negli anni della soppressione e poi del carcere, fino all’ora suprema del martirio, sempre affiorava la consapevolezza che Dio è presente e opera per il bene dei suoi figli.
La caratteristica primaria di Stefano Sándor nel suo itinerario di prova nel professare la fede cristiana è l’evidente e forte accettazione del mistero della croce e del martirio per amore del Vangelo e del Signore Gesù. Il suo desiderio di testimonianza anche a costo della vita, è in primo luogo evidenziato dal rifiuto di lasciare la sua Ungheria e di abbandonare i suoi ragazzi. Infatti quando gli fu offerta la possibilità di espatriare decise di rimanere per difendere la fede e l’educazione morale e religiosa della gioventù ungherese, ben sapendo a quale rischio andava incontro. Inoltre, è chiaramente evidente e constatabile l’accettazione volontaria del martirio, nell’abbandono fiducioso al Signore, caratterizzato da una preghiera intensa durante la prigionia, incentrata nella recita del Rosario e nella pratica della Via Crucis.
            Oggi guardiamo a lui come modello e intercessore per ogni donna e uomo di buona volontà, ricordando e prendendo coscienza della grandezza della dignità e della immensa bellezza della libertà religiosa – riconsegnataci anche dal Concilio Vaticano II nella Dichiarazione Dignitatis Humanae – che Stefano Sándor ha rivendicato per sé e per la sua Ungheria, fino all’effusione del proprio sangue.

  1. Il valore della famiglia

            Fin dalla prima evangelizzazione la trasmissione della fede nel susseguirsi delle generazioni ha trovato un luogo naturale nella famiglia. In essa i segni della fede, la comunicazione delle prime verità, l’educazione alla preghiera, la testimonianza dei frutti dell’amore sono stati immessi nell’esistenza dei fanciulli e dei ragazzi, nel contesto della cura che ogni famiglia riserva per la crescita dei suoi piccoli. Anche Stefano crebbe in un contesto famigliare ricco di umanità e di valori cristiani. Ricorda il fratello Janos:
            «Passammo l’infanzia insieme, crescendo in una famiglia felice e religiosa. Avevo dei genitori molto semplici. Mio padre, che ci portava a messa ogni domenica, ci diede esempio per tutta la vita. La fede, l’amore per la patria e per la famiglia furono i valori più importanti nella nostra famiglia».[1]
            I legami famigliari con la scelta della vita consacrata non si affievoliranno, ma acquisteranno un nuovo spessore che porterà i suoi genitori e i suoi fratelli non solo ad accompagnare l’esperienza educativa e pastorale di Stefano, ma anche a condividere l’amaro calice del dolore. Il seme cadde non solo nella buona terra del cuore di Stefano, ma anche dei suoi amati genitori e dei suoi fratelli, facendo maturare questa famiglia cristiana come tralcio che potato porta più frutto. In una lettera del 1940, in occasione della sua prima professione religiosa come salesiano coadiutore così scrive:
            «Cari genitori, ho da riferire di un evento importante per me e che lascerà orme indelebili nel mio cuore. L’8 settembre per grazia del buon Dio e con la protezione della Santa Vergine mi sono impegnato con la professione ad amare e servire Dio. Nella festa della Vergine Madre ho fatto il mio sposalizio con Gesù e gli ho promesso col triplice voto di essere Suo, di non staccarmi mai più da Lui e di perseverare nella fedeltà a Lui fino alla morte. Prego pertanto tutti voi di non dimenticarmi nelle vostre preghiere e nelle Comunioni, facendo voti che io possa rimanere fedele alla mia promessa fatta a Dio. Potete immaginare che quello fu per me un giorno lieto, mai capitato nella mia vita. Penso che non avrei potuto dare alla Madonna un dono di compleanno più gradito del dono di me stesso. Immagino che il buon Gesù vi avrà guardato con occhi affettuosi, essendo stati voi a donarmi a Dio».
            Oggi il beato Stefano ci consegna una preziosa eredità e un forte richiamo a preservare la famiglia da una cultura che la minaccia nelle sue radici umane e cristiane e ad impegnarci per promuovere la famiglia secondo il disegno creaturale di Dio e la santità del matrimonio cristiano.

  1. Grande educatore con il cuore di don Bosco.

Fin da ragazzo e da adolescente il beato Stefano manifestò un’indole e una forte passione per l’educazione:
«Da ragazzo era sempre allegro, amante dei giochi. Era piccolo di statura, simpatico a tutti. Radunava intorno a sé i ragazzi e li dirigeva senza maltrattarli. All’occorrenza si tirava indietro anche nei giochi vedendo che i suoi compagni si divertivano. Gli piaceva esibirsi sul palcoscenico per far divertire i compagni. Era un autentico Giovannino Bosco tra i compagni. Badava ai fratelli minori. Recitava con loro le preghiere prima e dopo il pranzo. Anche la sera era lui a guidare le preghiere a casa. Fin da piccolo aiutava volentieri sua madre nelle faccende domestiche. Portava sempre rispetto ai genitori. Se ai fratelli capitava di commettere qualche birichinata, si sottometteva volentieri alla punizione al loro posto. Gli piacevano particolarmente i giochi con la palla. Ma anche qui preferiva assumersi il ruolo di arbitro e guidare gli amici più piccoli».[2]
            Era una grande fede che animava tutta la sua azione educativa e incideva profondamente nella vita dei giovani, ponendo semi che nel tempo sarebbero maturati in persone mature e ferventi cristiani. Ricorda un suo antico alunno:
            «Solo a lunga distanza di tempo ho potuto pienamente comprendere la forza e la grazia trasmessa da questa virtù così importante nella vita di Stefano Sándor. Il fanciullo vede il buon esempio, spesso se ne entusiasma e lo segue, ma è solo più tardi che sarà in grado di percepire il senso profondo della fede. Il lavoro fervente di Stefano Sándor si nutriva della sua fede nell’amore di Cristo, che è dono di Dio, e che costituiva anche una delle caratteristiche di Don Bosco. In forza di Cristo guidò i giovani a Dio e, per quanto io sappia, mise tutta la sua vita al servizio di questa fede profonda, senza alcun ripensamento. La sua fede aveva carattere pratico, mirava alla propagazione dell’insegnamento evangelico, che è lo spirito del vero Oratorio. Il costante lavoro svolto in mezzo ai giovani dell’Oratorio, del Piccolo Clero e quello con gli apprendisti a lui affidati dimostra che la sua autorità di educatore si nutriva di questa profonda fede, che gli diede la forza e tanto successo».[3]
            In un contesto di emergenza educativa il Beato Stefano Sandor con il suo sorriso e la sua intercessione ci invita a scommettere sull’educazione delle nuove generazioni, vivendola come lui con passione apostolica, con coerenza di vita e dedizione incondizionata. Da vero figlio di don Bosco oggi brilla nel firmamento salesiano come stella di viva luce che illumina la via e ci esorta a perseverare nel diventare compagni di strada dei giovani del nostro tempo.
            E concludo questa omelia con una invocazione che faccio a nome di tutti noi:

Beato Stefano,
ti ringraziamo per la tua forte e generosa testimonianza;
siamo orgogliosi che la Chiesa generi figli come te.
Ottienici la grazia di vivere con rinnovato ardore il nostro battesimo
e di dedicarci con gioia ed entusiasmo alla nostra missione.
Benedici la tua amata patria e la Chiesa di Dio che è in Ungheria.
Intercedi per la Congregazione e l’intera Famiglia Salesiana.
Accompagna con il tuo sorriso e con il tuo esempio
il cammino dei giovani del nostro tempo. Amen!

Roma – Sacro Cuore, 30.10.2013

 

Don Pascual Chávez V., sdb
Rettor Maggiore

 

[1] Testimonianza del fratello János Sándor, Positio, p. 166.

[2] Lettera del Salesiano József Mezőfényi all’Ispettore László Ádám (Szolnok, 14.08.1959). Positio, p. 274.

[3] Ivi, p. 88.