EDUCARE I GIOVANI ALLA FEDE, VOCAZIONE E MISSIONE DEI SDB |
|
---|---|
Roma-UPS, 17 febbraio 2004 «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio di Cristo nella S. Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione». [1] Ecco le parole con le quali il Papa Paolo VI definiva l’identità, la vocazione e la missione della Chiesa, nel celebrare il decimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, che si era dato il compito di aggiornare la missione della Chiesa alle condizioni mutate dei tempi e insieme di rispondere alle grossissime sfide venute dalla Riforma e dall’Illuminismo. Anche riconoscendo con tutta serietà e responsabilità queste sfide, la Chiesa non ha potuto rinunciare alla sua vocazione e missione fondamentale. La Chiesa è nata per evangelizzare e attraverso il vangelo lievitare le culture e trasformare il mondo, sì da renderlo più umano, casa per tutti gli uomini e donne. Ho voluto prendere spunto di questa rinomata citazione di Paolo VI, all’inizio del mio intervento in questa celebrazione del 50° anniversario dell’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione, innanzitutto perché - a mio parere - sintetizza bene la convinzione e la prassi di Don Bosco, ma anche perché esplicita tutto quanto comprende il lavoro dell’educazione alla fede e dell’educazione nella fede: la comunicazione vitale della fede che crediamo, la celebrazione di questa nella liturgia, la sua pratica nella vita, e la spiritualità che la dinamizza e in cui si esprime. Dire e dare Dio ai giovani oggi è inseparabile dalla testimonianza dell’evangelizzatore ed educatore della fede; la fede in fondo non esiste, ma esistono credenti, i quali rendono credibile la fede che professano e annunciano. Con termini biblici si potrebbe dire che la fede ha bisogno di padri e madri che generino figli capaci di fare proprie le grandi convinzioni e scelte di vita dei genitori, come il padre Abramo (cf. Is 51,1b-2a: «Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo vostro padre, a Sara che vi ha partorito», dice il profeta Isaia additando il modello da imitare a un popolo incredulo che cercava altri dei).
1. Occasione di questo interventoSono lieto e riconoscente dell’iniziativa in corso di celebrare il 50º di vita dell'Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell'Educazione con un atto accademico di spicco. Il significato della celebrazione va oltre il fatto di cronaca, perché rispondente all’urgenza odierna di formare a una fede adulta, più illuminata e convinta (cfr EiE, 50), più personale e meno ambientale, e potrebbe diventare punto di ripartenza per il futuro dell’Istituto. Non è da sottacere il fatto che la vita e la storia dell'Istituto di Catechetica (ICA) sono strettamente legate alla vita e alla storia dell'Istituto Superiore di Pedagogia (ISP) del Pontificio Ateneo Salesiano (PAS), diventato poi Facoltà di Scienze dell'Educazione (FSE) dell'Università Pontificia Salesiana (UPS). Se la grazia ha bisogno di una natura ben disposta, la fede e la formazione dei discepoli di Cristo, che è appunto il compito della catechesi, hanno bisogno dell’educazione come istanza metodologica, ma anche come comunicazione di valori, di sentimenti, di ideali [2] . In quanto tale, l'Istituto di Catechetica trova la sua identità e il suo significato nel contesto della vocazione pedagogica e catechetica della Congregazione e della missione pedagogica e catechetica dell'UPS. Questa è stata la sua culla e questa continua ad essere la sua casa, il suo ambiente e l’orizzonte delle sue mete.
2. La vocazione pedagogica e catechetica della CongregazioneSempre nel contesto e in riferimento alla missione educativa dei Salesiani, la tradizione della Congregazione ha inserito e privilegiato la dimensione catechetica come suo compito, consapevole che se è vero che nello svolgere la nostra missione siamo chiamati a partire non da una situazione ideale ma da quella in cui si trovano i ragazzi e le ragazze, è anche vero che la meta da raggiungere è la stessa per tutti, cioè la pienezza di vita in Dio, mediante l’incontro col Cristo, unico che può rispondere ai loro interrogativi fondamentali e appagare i loro aneliti più profondi. 2.1. L'eredità di Don Bosco All'origine della Congregazione e dell’intera Famiglia Salesiana c'è Don Bosco, la sua passione pedagogica e catechetica: «Questa Società nel suo principio era un semplice catechismo» (MB IX, 61). Ecco le origini della nostra Congregazione. Ed ecco la sua originalità! Questa espressione così carica di senso non si riferisce soltanto all’episodio dell’incontro di Don Bosco con Bartolomeo Garelli e neppure agli inizi del “Catechismo” o della “Dottrina” che più tardi si sarebbero sviluppati nell’Oratorio. C’è qualcosa di più: è l’ansia di evangelizzare che dimostra Giovannino sin dai suoi anni di adolescente, quando faceva il catechismo ai suoi compagni. Quest’ansia lo accompagnò per tutta la vita, esprimendosi in molte iniziative come le Letture Cattoliche, i libri di storia, la buona stampa, tutte quante intrise di una preoccupazione pedagogica, educativa. Don Bosco fu un prete educatore. Questa sua identità si rende palese nella originalità del suo Oratorio. Ecco una citazione di Don Bosco e un commento al riguardo, che si trova nella lettera del 13 marzo 1846 a Michele Cavour (padre del più famoso Camillo): “Lo scopo di questo Catechismo è di raccogliere nei giorni festivi quei giovani che, abbandonati a se stessi, non intervengono ad alcuna Chiesa per l’Istruzione […]. L’insegnamento si riduce precisamente a questo: 1. Amore al lavoro. 2. Frequenza dei Santi Sacramenti. 3. Rispetto ad ogni autorità. 4. Fuga dai cattivi compagni” [3] . Simili obiettivi, civili e religiosi insieme, trasformano l’Oratorio di Don Bosco in un ambiente educativo onnicomprensivo, luogo di formazione integrale, in quanto si rivolge al giovane con un’azione che lo considera allo stesso tempo uomo e cristiano. “La salvezza dell’anima”, come si esprime Don Bosco – oggi si direbbe “l’incontro sistematico con Cristo” – è lo scopo ultimo del primo Oratorio, ma ad esso compete non solo il catechismo, ma anche l’educazione formale e l’iniziativa per il tempo libero, il tutto in un’unica miscela. Certo, oggi la missione lasciata da Gesù ai suoi Apostoli: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20) va compresa e attuata in modo diverso, non più come un “compelle ad intrare”, frutto di una comprensione dettata dallo zelo per la salvezza del mondo ma non corretta, per andare contro un valore essenziale che deve caratterizzare anche la fede, cioè la libertà, ma va intesa come “proposta religiosa” per i cattolici, come “dialogo ecumenico” con gli altri credenti in Gesù, e come “dialogo inter-religioso” con i credenti di altre confessioni, accompagnata sempre dall’impegno per la promozione umana e per la creazione di una cultura ricca di valori. 2.2. La tradizione salesiana Nella sua storia, la Congregazione salesiana ha testimoniato in svariate forme la fedeltà alla sua vocazione pedagogica e catechetica. Nella sua ricca attività come Rettor Maggiore, don Pietro Ricaldone si è sempre dimostrato fervente promotore delle attività catechistiche. Fedele successore di Don Bosco, don Ricaldone ha messo in atto tutta una serie di iniziative, a questo riguardo, che gli stavano molto a cuore: la «crociata» a favore della dottrina cristiana e del catechismo [4] ; l’apertura dell’Ufficio Catechistico Centrale Salesiano (UCCS, 1939, poi diventato Centro Catechistico Salesiano nel 1943); la «Libreria della Dottrina Cristiana» (1940), poi diventata Editrice Elledici (1963); la presenza, nell’Istituto Superiore di Pedagogia, di una sala di documentazione catechistica con i migliori e moderni mezzi didattici per la catechesi, e simili. Nel 1940 lanciò una grande campagna per sensibilizzare l’intero mondo salesiano a prendere maggiormente sul serio l’impegno catechistico verso i giovani e scrisse un’ampia circolare su Oratorio festivo, catechismo, formazione religiosa [5] . E poi, come ricorderemo più avanti, diede un’impronta chiaramente educativa e catechetica alla nuova istituzione, da lui voluta, del Pontificio Ateneo Salesiano (1940). 2.3. La svolta conciliare Il rinnovamento conciliare ha impegnato seriamente la Congregazione nell’opera di rinnovamento, nella doppia direzione di ritorno alle origini e di aggiornamento alla luce delle direttive conciliari. Per ciò che riguarda la dimensione catechetica, meritano menzione speciale i diversi Capitoli Generali postconciliari e le nuove Costituzioni (1984). Ecco alcune principali indicazioni: * Il Capitolo Generale XIX (1965), celebrato nella nuova sede dell'UPS, contiene una esplicita riaffermazione della centralità della catechesi nella missione della Congregazione: «La Congregazione considera la catechesi giovanile come la prima attività dell’apostolato salesiano e chiede perciò ripensamento e riorganizzazione di tutte le opere in funzione prevalente della formazione dell’uomo di fede e promuove tutte le forme dell'apostolato catechistico secondo le esigenze e le situazioni dei singoli paesi» (ACS n. 244 [1966] p. 187). * Il Capitolo Generale Speciale (CGS - 1971), che occupa un posto centrale tra i Capitoli Generali per il suo obiettivo specifico di attuare il rinnovamento voluto dal Concilio, contiene un significativo e articolato documento intitolato: «Evangelizzazione e catechesi» (Atti CGS, p. 175-208), dove, richiamando la tradizione catechistica salesiana che ha origine in Don Bosco, riafferma con grande forza l’importanza del tutto centrale della catechesi nella Congregazione: «Nel particolare momento che la Chiesa sta vivendo, la Congregazione salesiana orienta decisamente la sua azione verso la pastorale catechistica e perciò si impegna a tutti i livelli nella catechesi, cioè nella educazione alla fede, e promuove il RINNOVAMENTO DELLE SINGOLE COMUNITÀ affinché diventino "autenticamente evangelizzatrici"» (Atti CGS, p. 205). Ma il CGS non si limita a sottolineare l’importanza del compito, scende a delle indicazioni molto precise. Anzitutto a livello ispettoriale, dove si chiede: una seria valutazione dell’incidenza evangelizzatrice, un piano di qualificazione catechistica, l’organizzazione di un servizio specializzato di animazione catechistica, la preparazione di esperti in catechetica (Atti CGS, p. 206). A livello locale si chiede poi alle comunità di operare un vero cambio di mentalità, di adottare un nuovo stile comunitario, per diventare un’autentica comunità evangelizzatrice. E di questa qualità comunitaria vengono indicati i tratti caratterizzanti (Atti CGS, p. 207). Ci si potrebbe domandare fino a che punto sono stati attuati questi pressanti orientamenti operativi. È interessante anche ricordare che il CGS fa un accenno alla fondazione dell’Università Salesiana in funzione di promozione catechetica: «I Successori di Don Bosco, nel fondare il CENTRO CATECHISTICO SALESIANO di Torino-Leumann e il PAS, hanno posto delle valide premesse per uno studio sempre più profondo e per un continuo aggiornamento e rinnovamento dell’azione catechistica, di modo che l'attività dei Salesiani in questo settore, inserita nella corrente ecclesiale del rinnovamento della catechesi, ha partecipato notevolmente alla pastorale della Chiesa sia a raggio universale che su piano nazionale e diocesano» (Atti CGS, p. 180). Per evidenziare poi lo stile salesiano dell’impegno per la catechesi, il CGS «in continuità con la tradizione salesiana, sottolinea il contesto educativo nel quale si è sempre svolta la catechesi nella nostra Congregazione» (p.178), fa sua «l'opzione antropologica in tutte le sue parti e mette in continuo rapporto tra loro l'uomo concreto, la Parola di Dio, la comunità» (p.177-178). Il Capitolo riprende anche la famosa espressione di Pio XI «Evangelizzare civilizzando e civilizzare evangelizzando» (p.180). Questa sarà ripresa e riformulata da don Viganò che, in ambito salesiano, dirà poi: «Evangelizzare educando e educare evangelizzando», formula che apparirà anche nel Direttorio Generale per la Catechesi (1997), al n. 147. * Del Capitolo Generale 21 (CG21 - 1978), possiamo ricordare l'affermazione di don Egidio Viganò: il modo salesiano è di «evangelizzare attraverso il sistema preventivo, ossia attraverso un progetto unitario che fa una sintesi vitale tra educazione e catechesi, tra evangelizzazione e promozione umana, tra fede e cultura» (Atti CG21, p. 300). * Le nuove Costituzioni (1984), che sono la nostra Regola di Vita, nell’art. 34 ribadiscono una convinzione fondamentale e ne precisano la conseguenza logica: «“Questa Società nel suo principio era un semplice catechismo” [MB IX, 61]. Anche per noi l'evangelizzazione e la catechesi sono la dimensione fondamentale della nostra missione». * Il Capitolo Generale 23 (CG23 - 1990) è stato dedicato proprio al tema: «Educare i giovani alla fede». Da sottolineare, nelle parole di don Viganò, il fatto che il cammino dell'educazione dei giovani alla fede «si muove nell'ambito della "nuova evangelizzazione"» (Atti CG23, p. 12) e che, per noi salesiani, «la nuova evangelizzazione esige concretamente una "nuova educazione" da ripensare in fedeltà alle origini» (Atti CG23, p. 13). Questo Capitolo ha tracciato inoltre un “itinerario di fede” da percorrere insieme, Salesiani e giovani, sì da definire la comunità come segno, scuola e ambiente di fede. Vi si dice che la comunità è segno della fede che si vuole annunciare, ha dunque bisogno di essere composta da credenti che la annunciano e la testimoniano. La comunità è anche scuola di fede, capace di accompagnare i giovani nella crescita della loro vita cristiana. E ancora, è ambiente di fede, cioè un’atmosfera che aiuti a fare esperienza dei valori evangelici e a svilupparli con purezza. Tutte queste testimonianze dei Capitoli sono unanimi nell’indicare nella catechesi e nell'evangelizzazione dei giovani l'identità vocazionale dei Salesiani, al tempo stesso che ne affermano la dimensione pedagogica. I Salesiani sono chiamati ad essere educatori, evangelizzatori e catechisti dei giovani, in profonda unità di educazione ed evangelizzazione: «evangelizzare educando e educare evangelizzando».
3. La missione pedagogica e catechetica dell'UPSLa nostra Università è stata voluta esplicitamente, come centro superiore di formazione e di ricerca, con uno sguardo preferenziale alla dimensione educativa, pastorale e catechetica. E questo riguarda in particolare la Facoltà di Scienze dell’Educazione (FSE) e, al suo interno, l’Istituto di Catechetica (ICA). 3.1. La volontà fondazionale di Don Pietro Ricaldone Come già accennavo, all’origine dell’ ISP (Istituto Superiore di Pedagogia, poi diventato FSE) troviamo la passione pedagogica e catechetica di don Ricaldone, fondatore del nostro Ateneo. E anche la nascita dell’Istituto di Catechetica (ICA), all’interno dell’ISP, trova la sua vera origine nella sensibilità profondamente salesiana di don Ricaldone. Superiore di una Congregazione di educatori, il Rettor Maggiore don Pietro Ricaldone aveva sempre desiderato, fin dal momento della nascita del Pontificio Ateneo Salesiano, la creazione di una vera Facoltà di Pedagogia. Già l'11 ottobre 1941, all'inaugurazione dell'anno accademico, il Superiore e Gran Cancelliere del nuovo Ateneo diede la "lieta comunicazione" dell'inizio di una species facultatis di Pedagogia, che giustificava poi in questo modo: «È una necessità per noi, l'erezione di questa nuova Facoltà: è una necessità per la Società Salesiana, società religiosa di educatori» [6] . Di fatto, per lunghi anni, con mille difficoltà, don Ricaldone e i suoi stretti collaboratori (tra cui in modo speciale don Leôncio Da Silva) lavorarono per ottenere dalla Santa Sede il riconoscimento della nuova Facoltà, che arriverà soltanto nel 1956, quattro anni dopo la sua morte (1952). Ora, è significativo il fatto che, fin dall'inizio dell'Ateneo, don Ricaldone abbia voluto nell'Istituto [Superiore] di Pedagogia una speciale «Scuola Catechetica» o Istituto di catechetica. Difatti, già nei primi Statuti (1940) si legge: «Per incrementare al massimo alcune discipline filosofiche ed altre connesse con quelle filosofiche, vengono istituiti nella Facoltà di filosofia diversi Seminari e Istituti, in cui sono insegnate anche discipline speciali libere e corsi particolari, stabiliti annualmente dal Consiglio di facoltà. I Seminari e gli Istituti nella Facoltà di filosofia sono i seguenti: [...] Istituto e Seminario di pedagogia con una speciale "Scuola catechetica"» [7] . Lo studio e l'interesse per i problemi catechetici sono stati dunque presenti nel PAS fin dalla sua fondazione, per espressa volontà del suo fondatore, don Pietro Ricaldone: «Parmi superfluo aggiungere che la Catechetica avrà sempre, e nell'Istituto di Pedagogia dell'Ateneo e nelle Case di Formazione, un posto di assoluta preferenza» [8] . Due aspetti innovativi mi sembra che meritino attenzione particolare, in questa circostanza: il fatto di aver voluto un Centro Superiore di studi catechetici e l'inclusione di questo Centro nell'erigenda Facoltà di Pedagogia. Alla radice del progetto si trova certamente la spiccata sensibilità del quarto Successore di Don Bosco per la catechesi. Ed è significativo il fatto che egli abbia pensato a un’istituzione universitaria al servizio della catechesi, in un tempo (1940) in cui non c'erano ancora veri Istituti superiori di catechetica, che saranno costituiti soltanto dopo la seconda guerra mondiale [9] . È possibile pensare che don Ricaldone si rendesse conto che questa componente costitutiva della missione salesiana - la catechesi o evangelizzazione della gioventù - non poteva più sostenersi soltanto a base di esperienza e di buona volontà, ma richiedesse una soluzione istituzionale, uno sforzo organizzativo che garantisse anche la formazione di salesiani esperti in pedagogia e in catechetica. Appare anche originale e molto significativa la collocazione della «Scuola Catechetica» nel seno di una Facoltà di Pedagogia, sia perché l'esistenza di tale Facoltà costituiva una novità che soltanto dopo molti sforzi ebbe il suo riconoscimento, sia perché la collocazione tradizionale dello studio della catechetica era l'ambito della teologia. 3.2. La dimensione pedagogica-pastorale-catechetica, nel cuore dell'UPS Una vera svolta si ha con l'arrivo, il 4 luglio 1956, del tanto sospirato riconoscimento ufficiale dell'ISP. Viene finalmente accolta, nel concerto delle Università pontificie, una Facoltà pedagogica, e questo costituisce certamente un motivo di gioia e di vanto per i salesiani: «La prima Facoltà di Pedagogia è sorta in Italia nel nome di Don Bosco» [10] . Per ciò che riguarda l'ambito catechetico, nei nuovi Statuti, tra le diverse «Scuole» dell'ISP viene nominato, non più un «Istituto di Teologia dell'Educazione e Catechetica», ma semplicemente un «Istituto di Catechetica» [11] . Due anni più tardi, nel 1958, ci sarà poi un’importante presa di posizione a proposito della necessità di dare a questo Istituto, secondo i nuovi Statuti, una sistemazione chiara e rinnovata. Nell'adunanza del 14 gennaio 1958, il Consiglio di facoltà dell’ISP incontrava l’allora Rettore Magnifico, don Eugenio Valentini, per sottoporgli le decisioni cui era giunto riguardo all’Istituto di Catechetica. Il verbale di questa adunanza esprime con molta chiarezza la consapevolezza dell'importanza e del significato della catechetica per la Facoltà di Pedagogia e per l'Ateneo Salesiano come tale. Viene ribadita la necessità di dare una sistemazione chiara e dignitosa all'Istituto di Catechetica all'interno dell'ISP, di garantirne l'identità universitaria, e di assicurare le cattedre e i docenti richiesti dagli Statuti. Non si poteva aspettare una migliore presa di posizione a favore della centralità e dell'importanza della ricerca catechetica nel contesto dell’Ateneo Salesiano. Da sottolineare, in particolare, la risposta del Rettore a proposito del significato fondamentale della dimensione catechetica per la Congregazione salesiana: essa «deve stare al centro di tutta la preoccupazione del PAS. Infatti il fondatore e organizzatore del PAS, il Rev.do don Pietro Ricaldone di f.m., ha dato questo segno caratteristico all'Ateneo». E altrettanto perentoria appare l'affermazione della collocazione della catechetica nella Pedagogia, in continuità anche in questo con la volontà del fondatore don Ricaldone: «l'Istituto di Catechetica deve fare parte dell'ISP. Il suo posto naturale è esattamente nella Facoltà di Pedagogia». La visita del Papa (1981) - Possiamo anche ricordare un fatto eccezionale e significativo: la visita alla nostra Università del Papa Giovanni Paolo II, nella festa di Don Bosco, 31 gennaio, del 1981. Nelle parole del Papa, rivolte in quella occasione ai professori e studenti dell'UPS, troviamo un esplicito incoraggiamento a onorare la dimensione catechetica della missione dell'Università: «È chiaro che la Pontificia Università Salesiana [...] è chiamata a potenziare la sua funzione evangelizzatrice, in chiave specificamente "catechetica". Vivete dunque una tale vocazione tipicamente salesiana a favore dell'uomo odierno ed in particolare della gioventù. Essa potrebbe sintetizzarsi in una frase programmatica [...]: "conoscere Dio nell'uomo e conoscere l'uomo in Dio"» [12] . Infine, un'altra testimonianza: il Rettor Maggiore Don Egidio Viganò, in occasione della creazione del «Dipartimento di Pastorale Giovanile e Catechetica» (1979), riaffermava la centralità, all'interno dell'UPS, del carattere pastorale e catechetico della sua missione. Infatti, nella lettera programmatica del 24 settembre 1979, che sta all'origine della nuova struttura dipartimentale, don Viganò, portando a termine un lungo cammino di rinnovamento dell'UPS, emanava «orientamenti e disposizioni» al fine di completare la ristrutturazione e l'aggiornamento dell'Università, sottolineando che «il primo curricolo di studi dell'UPS è quello di pastorale giovanile e catechetica, espressione nella Chiesa della missione dei salesiani per l'evangelizzazione dei giovani».
4. Le nuove sfide all'educazione e alla catechesiIn continuità con la sua tradizione, la Congregazione è chiamata anche oggi a rinnovare il suo impegno per l'evangelizzazione e la catechesi, in fedeltà alle origini e aperta alle nuove esigenze e condizioni del mondo attuale. Oggi, lo sappiamo bene, si tratta di rispondere alle nuove sfide che la società e i cambiamenti in atto lanciano alla missione della Chiesa. A livello mondiale, se da un canto c’è un “revival” di nuovi movimenti religiosi della più variata procedenza e ispirazione, dall’altro, almeno in gran parte dei paesi occidentali, si sta passando da una cultura ufficialmente credente ad una cultura esistenzialmente pagana, indifferente al fatto religioso o addirittura atea. Questa ha risvolti variegati: l’agnosticismo, che è un installarsi nell’immanenza, nel “più in qua”, liberi da qualsiasi preoccupazione religiosa: sono forme di un non-credere umanista che esalta l’uomo a scapito di Dio; il prometeismo della scienza, il dominio della natura da parte della tecnica; il progresso economico che porta l’uomo a trascendersi illimitatamente senza arrivare però a nessuna Trascendenza; la mancanza di fede, frutto della disperazione di chi è stato illuso dalle molte promesse mai compiute e sempre, di volta in volta, posticipate; l’incredulità come protesta contro il male, la sofferenza, la violenza, e l’ingiustizia, che rende tanto difficile il discorso su Dio; infine, il narcisismo, che porta molte persone a vivere totalmente concentrate su se stesse, con un’unica legge, quella della soddisfazione dei propri desideri. In questo nuovo contesto socio-religioso, in cui ha senso di parlare di nuova evangelizzazione o di “re-evangelizzazione” di paesi che vivono nel post-cristianesimo, la società ha bisogno di speranza e di futuro, che non le possono venire se non da Dio. Oggi più che mai è necessaria e urgente la missione della Chiesa e, in essa, della Congregazione, a favore delle nuove generazioni: la formazione di uomini e donne che scommettano per la pienezza di vita in Dio. Il nostro interlocutore è oggi l’uomo che non ha più “orecchio religioso” – per dirlo con parole di Max Weber – e la nostra scienza più eminente per dialogare con lui non può essere altra che Cristo e le sue insondabili ricchezze offerte ai nostri contemporanei attraverso una forte ed esplicita esperienza di Dio, una vita comune attraente e propositiva, un impegno coraggioso ed efficace nel sociale a favore dei più bisognosi. L’unico linguaggio credibile su Dio oggi è la vita propria del credente. 4.1. La riscoperta dell'urgenza e centralità dell'evangelizzazione Nel periodo postconciliare, la Chiesa ha riaffermato con forza il primato e l’urgenza dell’evangelizzazione, specialmente dopo il Sinodo dei Vescovi del 1974, dedicato a questo tema, e in forma significativa e autorevole attraverso l'Esortazione Apostolica di Paolo VI, «Evangelii nuntiandi», vera «magna carta» dell’evangelizzazione. Questo documento ha segnato una svolta importante: l’evangelizzazione, che per molto tempo era considerata compito di frontiera, è stata riconosciuta missione essenziale di tutta la Chiesa: «È con gioia e conforto che Noi abbiamo inteso, al termine della grande assemblea dell'ottobre 1974, queste parole luminose: “Vogliamo nuovamente confermare che il mandato d’evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa”, compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della società attuale non rendono meno urgenti. Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda» (EN 14). L'opzione evangelizzatrice è stata poi confermata in tante occasioni e documenti ecclesiali, come per esempio: a Puebla, nell'enciclica “Redemptoris missio”, nel “Direttorio Generale per la Catechesi” (1997), ecc. 4.2. La catechesi, nel cuore dell'evangelizzazione All'interno dell'opzione evangelizzatrice, la Chiesa riafferma l'importanza vitale della catechesi. E dobbiamo dire che, se l'evangelizzazione è stata riscoperta come «missione essenziale della Chiesa», «la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda» (EN 14), la catechesi partecipa della stessa dignità e importanza in quanto momento essenzialmente implicato nel dinamismo dell'evangelizzazione. È interessante ricordare che i Vescovi più grandi nella storia della Chiesa furono eccezionali catechisti, come Sant’Ambrogio, Sant’Agostino. La catechesi è infatti il tessuto più fine della Chiesa, perché ha a che vedere con la formazione dei discepoli di Gesù. Di qui la logica proclamazione della priorità della catechesi, solennemente ribadita in diversi momenti del magistero ecclesiale: «La Chiesa, in questo XX secolo che volge al termine, è invitata da Dio e dagli avvenimenti – i quali sono altrettanti appelli da parte di Dio – a rinnovare la sua fiducia nell’azione catechetica come in un compito assolutamente primordiale della sua missione. Essa è invitata a consacrare alla catechesi le sue migliori risorse di uomini e di energie, senza risparmiare sforzi, fatiche e mezzi materiali, per meglio organizzarla e per formare un personale qualificato. Non si tratta di un semplice calcolo umano, ma di un atteggiamento di fede» (CT 15). «In questa nuova situazione bisognosa di evangelizzazione, l’annuncio missionario e la catechesi, soprattutto ai giovani e agli adulti, costituiscono una chiara priorità» (DGC 26).
5. La missione della Congregazione oggiNon è indifferente il fatto che la fondazione dell’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione coincida con l’anno della canonizzazione di San Domenico Savio, di cui stiamo pure celebrando il giubileo. Parlare del frutto più riuscito del Sistema Preventivo di Don Bosco ci fa contemplare con gratitudine e responsabilità l’eredità lasciataci dal nostro amato Fondatore. Infatti, in San Domenico Savio si rispecchia la strettissima relazione tra santità ed educazione. La felice coincidenza dei due i giubilei non può che confermare l’opzione originale e rilanciare l’urgenza di rinnovare il fecondo rapporto carismatico tra educazione e catechesi, approfondendo le caratteristiche e la metodologia di un cammino di educazione alla fede. La fede è dono. E così, come puro dono, essa appare nel Vangelo attraverso i detti e i fatti di Gesù. L’iniziativa è di Dio che attira e mette sulla rotta di Cristo. Cristo esce all’incontro delle persone e provoca il loro stupore e la loro fiducia. La fede non è dunque qualche cosa che possiamo consegnare come una nozione scientifica o sviluppare come una qualità corporale. Dobbiamo piuttosto impetrarla come una grazia. Perciò è non soltanto interessante, ma indispensabile dirci dove punta il nostro sforzo di educare alla fede. Un’autentica educazione alla fede deve favorire l’incontro con Gesù Cristo. I Sinodi dei Vescovi, a livello continentale, che si sono celebrati alla fine dell’ultima decade dello scorso millennio, parlano sempre di un incontro con Gesù Cristo vivo, come condizione per una fede autentica. Sottolineano che non basta sentire la storia di Gesù o essere istruiti nella sua dottrina, ma ci vuole l’esperienza personale dell’incontro, il tratto e l’amicizia con Lui. Non di qualunque Gesù Cristo e non un qualsiasi incontro. Si sa che nel mercato religioso ci sono oggi immagini varie di Gesù. Giovani e adulti sono mossi da una vaga simpatia per Lui. Lo porterebbero volentieri su una maglietta. Un’altra cosa è che si confrontino con i suoi insegnamenti e assumano il Vangelo come codice della propria vita. Nel Vangelo la fede è sempre descritta come un incontro personale, significativo, intenso, spesso problematico all’inizio. L’educazione alla fede ha lo scopo di prepararlo, offrirlo, approfondirlo, perché dalla curiosità che suscita la storia di Gesù si passi all’ascolto, e da questo all’affidamento. L’incontro autentico con Gesù Cristo è quasi impossibile o risulta fugace se non ci si mette in contatto con Lui, lo si fa conoscere, si fa sperimentare la Chiesa nelle sue dimensioni di mistero, comunione e missione, se non si aiuta a maturare una appartenenza ad essa. La memoria, la parola, i gesti di salvezza, i discepoli, i propositi di Gesù si trovano, in maniera imperfetta ma comunque autentica e organica, nella comunità ecclesiale. La Chiesa, intesa come comunità di persone, è il grembo, la casa e il laboratorio della fede. Vale la spesa ricordare che l’educazione alla fede richiede di stimolare l’interesse, l’attenzione, la comprensione e l’esperienza della Chiesa. Non è oggi un punto facile e scontato. Le appartenenze sono fugaci, funzionali e selettive. L’informazione si ferma in generale sugli aspetti istituzionali o spettacolari. La privatizzazione della religiosità ha offuscato il carattere indispensabile della comunità. Infine, la fede resta religiosità evanescente o intimista se non ispira un progetto di partecipazione nella storia, in primo luogo nella società a cui apparteniamo. L’educazione a credere comporta dunque di aiutare a scoprire il proprio contributo nella costruzione del Regno e ad assumerlo con gioia e decisione. È l’orientamento vocazionale. Nella pedagogia salesiana si afferma che la scelta vocazionale è l’esito maturo dell’educazione alla e della fede. “Educhiamo i giovani a sviluppare la loro vocazione umana e battesimale con una vita progressivamente ispirata e unificata dal Vangelo” (Cost. 37). Mentalità, pratica cristiana, presenza nella comunità dei credenti, partecipazione nella storia: sono i parametri in cui si misura la formazione del “buon cristiano” e dell’ “onesto cittadino”. Ciascuno di questi aspetti suppone predisposizioni da creare, segni da dare, esperienze da fare, atteggiamenti da favorire, realtà già vissute da assumere consapevolmente, convincimenti da radicare, pratiche a cui iniziare. Nella misura in cui li accolgono e interiorizzano, i giovani sono preparati ad esprimere il loro essere credenti nel mondo di oggi, organizzando la propria vita attorno ad alcune verità, scelte di valori e atteggiamenti di fede: cominciano a vivere una spiritualità cristiana. Questo è stato appunto il lavoro fatto da Don Bosco nei confronti di Domenico Savio.
6. Alcuni suggerimenti conclusiviCome salesiani, siamo chiamati ad accogliere questo invito e a riprendere con coraggio il compito educativo, pastorale e catechetico che la Chiesa e il mondo ci chiedono, in fedeltà allo spirito e al carisma di Don Bosco. Oggi la Congregazione deve riprendere questo cammino e aiutare i giovani, partendo sempre dalla situazione personale in cui si trovano, a incontrare Gesù Cristo e percorrere un cammino di educazione alla fede, così come è stato tracciato dal CG23. A questo ho invitato esplicitamente la Congregazione nella Proposta Pastorale con cui ho voluto accompagnare la Strenna dell’anno 2004. In molte parti si sono elaborati itinerari specifici e diversità di percorsi di formazione cristiana. Ma ovunque si sente la mancanza di persone preparate ad animare e guidare questi itinerari. Un compito importante che potete realizzare voi, come Istituto e come Salesiani specializzati in catechesi, a favore della Chiesa e della Congregazione, è quello di incoraggiare e promuovere la formazione di persone, SDB e laici, giovani e adulti, capaci di realizzare l’itinerario di educazione alla fede proposto dalla Congregazione, sostenuto e animato dalla Spiritualità Giovanile Salesiana. Infine, un altro compito importante è quello di aiutare le équipes ispettoriali di Pastorale Giovanile a riflettere sulla situazione attuale della evangelizzazione e catechesi giovanile, aiutarle ad orientare gli itinerari di educazione alla fede che si propongono nei gruppi e associazioni del MGS, collaborare con la pastorale giovanile perché nella formazione dei giovani animatori sia sempre presente una preparazione ad essere educatori della fede dei loro compagni. Questa celebrazione del 50° anniversario dell’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione vuol essere – e questo è il senso della partecipazione del Rettor Maggiore e Gran Cancelliere all’evento – il rinnovamento dell’impegno della Congregazione a fare di questo Istituto un fiore all’occhiello per preparare educatori della fede competenti per la Chiesa e per la Congregazione. Don Pascual Chávez Villanueva Rettor Maggiore [1] Paolo VI, Esort. Ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 14: AAS 68 (1976), p. 13. [2] Già negli Statuti approvati dalla Santa Sede (12 giugno 1940) erano previsti, nell'ambito della Facoltà di Filosofia, un Istituto e Seminario di Pedagogia con annessa una speciale Scuola di Catechetica. Ma in realtà la storia dell'ICA può considerarsi incominciata a partire dal 1953 perché soltanto allora si può dire che la Scuola di Catechetica ricevette una prima germinale forma di attuazione. Nel Calendario delle lezioni dell’anno 1953-54 viene nominato un Istituto di Teologia dell’educazione e catechetica, come sesta delle “scuole” o istituti dell’Istituto Superiore di Pedagogia. [3] G. Bosco, Epistolario, I, lett. 21 a Michele Cavour [4] Cfr. Il contributo della Congregazione Salesiana alla crociata catechistica nelle realizzazioni di Don Pietro Ricaldone, IV successore di San Giovanni Bosco (1939-1951), Colle Don Bosco, LDC 1952. [5] Cfr. P. Ricaldone, Oratorio festivo, catechismo, formazione religiosa, Torino, Società Editrice Internazionale, 1940. [6] J. M. Prellezo, «Facoltà di Scienze dell' Educazione: Origini e primi sviluppi (1941-1965)», in: G. Malizia - E. Alberich (Edd), A servizio dell'educazione. La facoltà di scienze dell'educazione dell'UPS, Roma, LAS, 1984, p. 13-14. [7] Facultas philosophiae: p. 46, art. 91. [8] ACS n. 106 (1941) p. 142. [9] Ricordiamo i più noti: il già citato Istituto Lumen Vitae di Bruxelles; il «Canisianum» dei Gesuiti di Nimega (Hoger Katechetisch Instituut, 1945); l'Institut Supérieur Catéchétique di Parigi (1950, diventato più tardi ISPC, Institut Supérieur de Pastorale Catéchétique); Strasburgo (1958, fondato da J. Colomb). [10] È stata questa l'espressione di D. Giammancheri su «Scuola Italiana Moderna» (1957): cfr. Prellezo, «Facoltà di Scienze dell'Educazione», p. 34. [11] Prellezo, «Facoltà di Scienze dell'Educazione», p. 33-34. [12] ACS n. 300 (1981), p. 62 |